COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 20 giugno 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE

La seduta comincia alle 11,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
(Così rimane stabilito).

Audizione del ministro dell'interno, Giuliano Amato, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro dell'interno, onorevole Giuliano Amato, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Prima di dare, dunque, la parola all'onorevole ministro per lo svolgimento della relazione, desidero ringraziarlo, oltre che per avere corrisposto all'invito della Commissione, per la cortesia usata in una recente intervista quando, richiesto di indicare le linee fondamentali del suo lavoro, si è riservato di esporle dapprima in Parlamento e successivamente ai mezzi di informazione: poiché non sempre ciò è avvenuto in passato, ringrazio, appunto, il ministro per la cortesia istituzionale mostrata nei confronti del Parlamento e gli do, quindi, parola, ricordando che all'esposizione seguirà un intervento iniziale di un collega per gruppo e poi, naturalmente, si aprirà il dibattito.

GIULIANO AMATO, Ministro dell'interno. Signor presidente, la ringrazio e ringrazio, altresì, i colleghi intervenuti numerosi in una giornata senza particolare impegno in Assemblea, circostanza che, per così dire, da vecchio parlamentare, apprezzo molto.
Oggi, per il ministro dell'interno, è una buona giornata, e tale ritengo possa considerarsi anche per il Parlamento della Repubblica; come ormai saprete, infatti, nel corso della notte è stata avviata e quasi conclusa un'operazione denominata «Gotha». Il nome, questa volta, è, ahimè, ben trovato; infatti, sulla base degli elementi che si erano potuti raccogliere dopo l'arresto di Provenzano, ed anche sulla base di altri dati, è stato possibile localizzare i personaggi di maggiore spicco della mafia, non solo appartenenti alle due famiglie che avevano già iniziato a contrapporsi ai fini della spartizione dell' «eredità». È emerso anche tutto un contorno e si è potuto peraltro accertare proprio il regime transitorio in cui la mafia stava operando, essendovi una sorta di governo di fatto, imperniato su tre persone, e non già, ancora, la ricostruzione, con i capi mandamento, e via dicendo. Fatto sta che si è individuato il ruolo di personaggi come Rotolo, Cinà ed altri; di sicuro ricorderete Rotolo, che era stato da poco condannato all'ergastolo per partecipazione attiva a crimini gravissimi e ad omicidi. Ebbene, sono 52 i provvedimenti restrittivi da eseguire; tre ore fa, ne erano stati eseguiti oltre 45.
Giustamente, il procuratore nazionale antimafia, dottor Grasso, ha anche sottolineato l'apporto che le tecnologie possono


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dare a questo tipo di operazioni, perché una serie di informazioni sono state acquisite in modo particolarmente innovativo. Di questo sono particolarmente contento. La lotta alla mafia, purtroppo, per il nostro paese da anni è una priorità e continua ad esserlo, per chi fa il lavoro che ora mi è stato affidato e per il paese intero, quindi anche per tutti voi.
Sappiamo che la lotta continua; non riusciamo mai a dire che, vinta una battaglia, abbiamo vinto la guerra. C'è ancora molto lavoro da fare, ma questi sono passaggi molto importanti. Secondo me la cattura di Provenzano, per ciò che egli era stato e che in realtà continuava ad essere e per tutto quello che ne è conseguito, ci dà a dir poco una posizione di significativo vantaggio per il futuro, con tutto ciò che ne consegue per la Sicilia e per la sua vita democratica.
Sappiamo cosa tutto ciò significhi: significa non soltanto catturare persone dedite a svolgere attività criminose, isolate dal contesto della vita di quella società, ma anche eliminare delle cellule cancerogene, che tendono a produrre metastasi varie all'interno di quella società, che entrano nella gestione della cosa pubblica, che entrano, attraverso intimidazioni, nella vita privata di chiunque svolga un'attività economica in proprio. Tutto ciò significa dare respiro, restituire ossigeno alla vita democratica della Sicilia, che ha bisogno di più, ma che oggi almeno comincia ad avere maggiori speranze.
Per anni ho vissuto, in maniera diversa, all'interno dello Stato o ai bordi del medesimo, ma non avevo mai vissuto l'esperienza di ministro dell'interno, un'esperienza molto impegnativa anche sul piano umano, oltre che su quello tecnico e politico. A volte mi è capitato di svolgere nello Stato attività che in sé erano astratte ma che poi producevano effetti concreti in modo indiretto. Per questa ragione in qualche modo ho sempre invidiato i sindaci e gli amministratori locali, che svolgono funzioni che producono immediatamente degli effetti. Ricoprendo il ruolo di ministro dell'interno ho la sensazione di poter concorrere ad impostare delle attività ma anche di contribuire a realizzarle e ciò trasmette un senso particolare di responsabilità e di impegno, che ho trovato condiviso da questa amministrazione.
Mi ha molto colpito la solidità dell'amministrazione degli interni, così come l'ho trovata. Si tratta di un'amministrazione nella quale, tra l'altro, è penetrata una cultura coerente con i valori costituzionali e con la vita democratica, una cultura in cui la percezione che la missione principale sia la sicurezza non è mai disgiunta dalla percezione che esistono anche le libertà e i diritti dei cittadini, che certo la sicurezza difende, ma che al di là di un certo limite essa può mettere a repentaglio. Questo equilibrio mi ha molto colpito sul terreno della sicurezza, come sul terreno delle politiche e delle modalità di loro realizzazione e tra queste, in particolare, quella che considero un tema epocale per un ministro dell'interno, quello dell'immigrazione, di cui parlerò più avanti.
Permettetemi di dire in partenza che questa amministrazione, che mi ha colpito in positivo, deve «fare i conti con i conti» - ciò oggi è tutt'altro che facile - e tale situazione rende precaria la vita quotidiana di un'amministrazione solida come quella degli interni. Non posso non esprimere - l'ho già fatto con il ministro dell'economia - il disagio nel quale ci si trova quando si deve constatare che il controllo della spesa è stato impostato in termini largamente di tetti alla cassa, prescindendo dagli impegni ai quali la cassa deve corrispondere. Ciò finisce per determinare inesorabilmente debito sommerso, perché non si tratta di ridurre la spesa ma, in più casi, di postergarla. Sono stato ministro del tesoro e so che spingere le amministrazioni a comprimere la cassa le porta a fare di necessità virtù, cercando di compensare un capitolo con un altro e di risparmiare. È anche utile fare di necessità virtù, ma quando la necessità supera un certo livello non c'è virtù che possa cavarne alcunché.
Mi sono trovato di fronte ad alcune caserme della Polizia da mesi morose dell'affitto, quando fossero in locazione e,


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come ministro dell'interno, mi sono ritrovato moroso nei confronti dell'Enel o di altri enti erogatori di energia elettrica. Tutto ciò finisce per rendere precaria la vita. La stessa amministrazione degli interni è costretta ad avvalersi di precari e chiunque si avvalga di precari diventa precario esso stesso nelle cose che finisce per fare.
Abbiamo problemi di grande rilievo relativamente ai diritti umani, che vanno ad annodarsi attorno ai tempi necessari per riconoscere la cittadinanza, per dare o rinnovare i permessi di soggiorno o la carta d'identità elettronica; ricordo anche che le prefetture si avvalgono di lavoro interinale, quando riescono ad averlo, e di poco personale.
I Vigili del fuoco, uno dei corpi più amati dagli italiani, i quali sono carichi di funzioni che vanno al di là dello spegnere un incendio (funzione, tra l'altro, già di per sé tutt'altro che marginale), come spesso accade, nel nord trovano volontari, nel Mezzogiorno trovano volontari che diventano precari in assenza di altre fonti di reddito. Questo è un problema che abbiamo davanti e cercheremo, anche attraverso le tecnologie di cui prima parlavo, di migliorare queste situazioni.
Stiamo lavorando affinché tutti i nostri documenti (permessi di soggiorno, passaporti, carte d'identità elettronica et similia) possano essere al più presto affidati a sportelli unici presso i comuni. Non voglio assumermi il merito di questo lavoro già avviato, in quanto vi sono alcuni comuni-pilota che l'hanno già intrapreso, ma è certo che, grazie alle tecnologie, il meccanismo sarà sempre più alleggerito.
È evidente, però, che oggi siamo in consistenti difficoltà e che ci saranno problemi pratici che vi sottoporrò anche in futuro, dei quali ne cito uno che credo già il mio predecessore non possa non aver segnalato. Quando decidemmo, già due legislature fa, di abolire la leva obbligatoria e di passare al servizio volontario, per incentivare i giovani e le giovani a trascorrere parte della loro vita nell'esercito, stabilimmo di assicurare loro un transito successivo in altre amministrazioni. Questo congegno ha fatto sì che l'unico canale di approvvigionamento di fatto oggi consentito dalla legge per la pubblica sicurezza sia quello; ciò non va bene, non perché questi ragazzi e ragazze non siano idonei (ci mancherebbe altro!), ma perché la formazione di un agente di pubblica sicurezza non è la medesima di un giovane che si addestri all'attività militare. Abbiamo dunque bisogno di un retraining successivo, che presenta dei costi, per cui un equilibrio tra i canali di approvvigionamento - non dico di chiudere quello, ci mancherebbe altro! - andrà trovato.
Dovremmo inoltre parlare e riparlare dei coordinamenti: per quanto ne so, il coordinamento tra le forze è un tema eterno. Non vi è dubbio che la legge, che ha reso l'Arma autonoma, sottolinea ancora di più la necessità di assicurare la dipendenza funzionale dal ministro dell'interno per ciò che attiene ai compiti di ordine e di sicurezza pubblica, che costituiscono oltre il 90 per cento dell'attività dei Carabinieri.
Apprezzo moltissimo, e mi ha fatto sempre piacere vedere come nel contesto internazionale sia apprezzata, la doppia valenza dei nostri carabinieri, che sembra essere una qualità che pochi altri al mondo posseggano, e come quindi nelle missioni di pace tale doppia qualità si esalti per il profilo inesorabilmente militare che vi è in certi casi, che però si accompagna a quello di tenuta della sicurezza e dell'ordine sul piano civile. Tale duplice capacità è una grande virtù del nostro carabiniere.
Detto questo, sul piano interno, almeno per nostra fortuna, la componente assolutamente prevalente è quella civile, che fa capo al ministro dell'interno. A tale proposito, ricordo che ieri il presidente Cossiga ha presentato proprio su questi temi un disegno di legge, contenente una sottolineatura delle implicazioni della dipendenza funzionale, che meriteranno di essere valutate dal Parlamento.
Come dicevo poco fa, il grande tema del nostro tempo, che presenta profili che davvero sgomentano, è quello dell'immigrazione, legato ad un fenomeno di per sé


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inesorabile e con il quale siamo destinati a convivere. I giganteschi livelli di reddito di pochi paesi mediamente ricchi rispetto alla maggior parte degli altri esseri umani, che vivono in tanti altri paesi, portano migliaia e migliaia di persone ogni giorno, ogni anno verso quello che noi italiani chiamavamo per noi «il cammino della speranza»; inducono ad aspettarsi la possibilità di vivere meglio laddove si vive meglio; spingono oggi africani, cinesi, asiatici a prendere la rotta dell'immigrazione che nel secolo scorso era stata quella degli italiani, degli irlandesi, dei polacchi verso gli Stati Uniti. Da un lato, molti dei nostri paesi non sono abituati, come lo sono invece quelli americani, a questi flussi e a gestirli; ma, al di là di una certa dimensione, il fenomeno viene avvertito anche dagli americani come un problema.
In occasione del G8 sulla sicurezza, che si è svolto a Mosca la scorsa settimana, ho discusso con i miei colleghi americani proprio su come si fronteggiano i grandi flussi quando questi superano una certa dimensione. Certo è che si tratta di un fenomeno biblico. Quando ne ho parlato con Pisanu, persona di straordinaria sensibilità, egli mi ha detto: «Guarda, Giuliano, a me hanno dato addirittura questo numero, anche se sembra tale da non crederci. Mi è stato detto che nella traversata del deserto che conduce verso i porti libici migliaia e migliaia di persone, provenienti dal Corno d'Africa, dai paesi subsahariani e anche dall'Asia (a volte è da lì che giungono in quel paese), ne arriva in Libia una su cento». È un dato davanti al quale si resta annichiliti! Può darsi che sia eccessivo, può darsi che in realtà siano dieci, venti o trenta su cento, ma il deserto sta diventando un gigantesco ossario di persone che cercano solo di vivere meglio da qualche altra parte, che hanno rinunciato a tutto nel loro paese, che hanno venduto il letto o quel poco che avevano per rimediare quei 2 mila euro o 2 mila dollari che i criminali che organizzano questi viaggi acquisiscono per poi mettere in cammino tali soggetti, esponendoli a rischi di vita che si rinnovano nel Mediterraneo, dove a volte arrivano su una nave per poi, a metà del tragitto, essere scaricati su una barcaccia abbandonata a se stessa, che potrà arrivare o non arrivare a Lampedusa o in altri porti siciliani o, attraverso rotte esterne come quella della Mauritania, sulle coste della Spagna. Quelli che arrivano nel nostro paese sono dunque una esigua minoranza. Dobbiamo essere consapevoli di ciò.
Occorre combattere l'immigrazione clandestina in quanto, certamente, vi è un limite alla capacità di assorbimento dei nostri paesi ma, in primo luogo, perché è organizzata da delinquenti che, in realtà, sfruttano le aspettative di brave persone che vengono mischiate a persone meno brave che, quindi, non devono ricevere da parte nostra alcun incoraggiamento nel continuare questa attività. Dunque, occorre combattere l'immigrazione clandestina non perché l'immigrato clandestino sia di per sé un delinquente; di questo dobbiamo essere consapevoli. A volte, nei flussi di immigrazione clandestina si infilano i delinquenti, ne profittano e arrivano, ma non è necessariamente così. Costituisce certamente fonte di sofferenza mandar via queste persone, anche se è necessario farlo. Tuttavia, l'animo con il quale questi soggetti devono essere trattati non deve essere l'animo di chi sta trattando con un criminale del quale si libera, in quanto ci si trova a trattare con persone che si trovano nella stessa posizione dei nostri nonni, dei nostri bisnonni o dei nostri zii quando arrivavano a Staten Island.
In questi giorni, ho letto un libro di un mio ex studente che ora fa il giornalista per la televisione che, ritrovando brani dell'Ottocento e del primo Novecento sull'emigrazione italiana - brani che a volte sono di bravi sacerdoti che accompagnavano questi nostri antenati sfortunati -, ha descritto situazioni che corrispondono esattamente a quanto accade oggi, compresi i morti durante la traversata. Dico ciò evidenziando un aspetto che ho visto fortemente condiviso nel G8 di Mosca al quale ho partecipato. Dal documento finale di tale incontro emerge che le fattispecie di reato che vengono messe a fuoco


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quando si parla di immigrazione clandestina non sono quelle del terrorismo, ma quelle del traffico di esseri umani e della tratta di donne e di minori.
In realtà, si tratta di questo: sono questi i reati che combattiamo, combattendo l'immigrazione clandestina. Non combattiamo l'immigrato clandestino (povero Cristo!), ma egli stesso è vittima del reato. Tuttavia, lo dobbiamo espellere; o, meglio, non lo dobbiamo fare entrare, poiché tecnicamente non si tratta neanche di espulsione. Non possiamo consentire alle organizzazioni che stanno dietro a questi traffici di cogliere una luce verde rispetto a ciò che fanno in Europa e nel nostro paese.
La cooperazione è fondamentale; ed è fondamentale che cooperazione vi sia, non soltanto tra i nostri paesi. Quest'ultima comincia a manifestarsi ed ora, grazie anche a quanto avvenuto dopo il Trattato di Maastricht con riferimento al terzo pilastro - oggi area di giustizia, libertà e sicurezza comune - siamo in grado di organizzare un lavoro comune, in primo luogo in sede europea: il commissario Frattini si sta adoperando molto in questo senso.
Tuttavia, occorre che vi sia cooperazione anche con i paesi di transito e con i paesi di provenienza. Quando arriva qualcuno, dovete sapere dove rimandarlo. Non necessariamente ha senso farlo tornare nel paese da cui giunge: dovete rimandarlo nel suo paese di provenienza. Non è facile identificare tali soggetti: spesso arrivano senza documenti e, se ne hanno uno, lo mangiano per non essere riconosciuti. Sono impauriti da un clima che ignorano, da un paese in cui si recano, ma di cui molto spesso non comprendono la lingua, così come noi non capiamo la loro.
Occorre svolgere, quindi, una difficile operazione di identificazione per il ritorno, che ha bisogno di un'ampia collaborazione con diversi presupposti. È chiaro che tale lotta si innesta in altre lotte: la prima è quella contro la povertà. Non voglio fare retorica, ma è assolutamente ovvio che sia così. Ciò vale per i paesi subsahariani e per lo stesso Egitto. In questi giorni, ho parlato più volte con gli egiziani: l'Egitto ha un tasso di demografico elevatissimo e produce giovani che entrano annualmente, a centinaia di migliaia, su un mercato di «non lavoro» o di scarso lavoro. È naturale che questi giovani cerchino di trovare lavoro altrove.
Se parlaste con le autorità egiziane, queste ultime vi chiederebbero: a che punto è il processo di Barcellona? A che punto è la nostra cooperazione per lo sviluppo della piccola e media impresa in Egitto sul modello adriatico, che a noi interessa tanto? Quanta immigrazione legale siete pronti ad accettare? Ciò poiché, se voi non accettate immigrazione legale, diventa più difficile per noi concorrere con voi nel combattere l'immigrazione illegale.
Quindi, si viene a costituire una rete fatta di intelligence, di aiuto economico, di cooperazione consolare e diplomatica, e di tante altre cose. Davvero, a questo punto, vi accorgerete che tout se tient a questo mondo. E le ragioni che portano una persona proveniente da un paese subsahariano a cercare miglior vita in Italia sono le stesse che devono portare il Governo e il Parlamento italiano a stabilire altri rapporti con questi paesi.
Comunque, poi, ne arrivano di illegali, e ci si trova con la stessa angoscia d'animo davanti ad un tema come quello dei centri di permanenza temporanei e dei centri di accoglienza.
La legge in sé è molto chiara: se qualcuno chiede asilo politico, va separato dagli altri e mandato nel centro di accoglienza. Occorre verificare le ragioni della richiesta di asilo che, ove accertate, comportano, per ragioni di Costituzione e di convenzioni internazionali, l'accettazione o meno della stessa. Quanto agli altri immigrati, essi devono essere identificati: occorre, quindi, trattenerli in qualche luogo per l'identificazione. Questa è la regola comune dei paesi europei e sembra ingenuo pensare che vi possano essere altri modi per compiere tali accertamenti.
Lo dovete fare sia perché di chiunque si tratti avete la necessità di conoscere la sua identità per rimandarlo al suo paese,


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sia perché potrebbe trattarsi anche di un delinquente che va separato dalle persone per bene che sono lì come vostro nonno a Staten Island.
Debbono esserci condizioni di sicurezza e vivibilità; non debbono essere carceri anche se si tratta di luoghi nei quali le persone vengono trattenute. È difficile muoversi sul crinale di tutto questo e noi dovremo impegnarci per farlo nel modo migliore possibile, da entrambi i punti di vista. Proprio per tale motivo ho annunciato la nostra intenzione di costituire una commissione che sia composta da persone dell'amministrazione (per parte minoritaria) e (per parte maggioritaria) da persone esterne e che lavorano nel mondo del volontariato. Quest'ultimo genere di personale, infatti, è abituato ad intrattenere rapporti con coloro che arrivano disgraziatamente - in primo luogo per loro - e in quelle circostanze nel nostro paese. Quindi, questi centri vanno guardati, ispezionati, bisogna vedere come sono, come funzionano, affinché nel giro di sei mesi massimo il personale di cui sopra possa riferirci su cosa ha trovato e sulle proposte che avanza per discuterne successivamente in Commissione, tra me e voi.
Non vi è dubbio che l'episodio verificatosi a Torino due settimane fa costituisce la prova delle oggettive difficoltà che si incontrano: in quel caso si trattava di persone che stavano lì da 9 giorni, quindi non da molto. In ogni caso, gli organizzatori della protesta - a cui è seguita la fuga - erano dei pregiudicati che risultavano confusi tra gli altri, nessuno comunque aveva ancora avuto il modo di accertarlo. Inoltre in quel caso si sono manifestate difficoltà causate da turni presieduti da poche persone: infatti, non vi sono i soldi per poterne avere di più.
In conclusione, desidererei sottolineare che nella circostanza l'unica vittima della vicenda è stato un funzionario di pubblica sicurezza che ci ha rimesso i denti, sui quali è arrivato dritto un pietrone utilizzato da uno di quelli che se ne stavano andando.
Bisogna migliorare, allargare: avrete letto sulle agenzie che, proprio ieri, vi è stata la cerimonia di formale cessione al demanio della caserma Adorno di Lampedusa che ci permetterà di migliorare le condizioni dell'isola separando meglio il centro di assistenza dal centro di permanenza temporanea, a volte di fatto confusi cosa che, in realtà, non dovrebbe accadere.
Per concludere su questo argomento vi posso dire che, riguardo ai flussi che poi «sboccano» nei CPT e dintorni, tra pochi giorni si terrà a Rabat una conferenza promossa dagli spagnoli rimasti un po' scioccati dall'entità dei flussi che stanno arrivando.
Ciò che incide maggiormente nei paesi non sono i cambiamenti politici ma i cambi stagionali, come il mare che è migliore d'estate, o il ghibli che spinge più facilmente anche le barcacce. Tanto è vero che i flussi, che da noi sono cresciuti già nel periodo da febbraio a maggio rispetto allo scorso anno, sono aumentati ancora di più in Spagna. Evidentemente vi è stata una concentrazione di potenziali emigrati sulla rotta esterna. Gli spagnoli ne sono rimasti molto colpiti ed hanno chiesto lo svolgimento di questa conferenza a Rabat, alla quale parteciperanno diversi Stati europei, tra cui l'Italia, ed alcuni Stati maghrebini, nella quale si intende testare un meccanismo di controllo navale esterno. Personalmente sono piuttosto scettico. Realizzare un controllo navale sulla costa dell'Atlantico non è come ciò che, con efficacia, potemmo fare a Valona, con la Guardia di finanza che doveva controllare l'uscita di pochi scafi veloci o dal porto di Valona o dalle insenature circostanti.
L'impegno comune europeo è, comunque, un primo risultato e stiamo lavorando per concretizzare l'ipotesi, di cui da tempo si parla, di un lavoro comune tra Unione europea ed Unione africana sul tema della cooperazione per fronteggiare i flussi di immigrazione irregolare, così da avere un coinvolgimento più ampio che metta in gioco sia i paesi di transito sia quelli di provenienza, sia quelli di destinazione. Quando si riesce a realizzare ciò a livello di Unione europea ed Unione africana, il lavoro non può riguardare soltanto i ministri dell'interno ma anche le politiche di


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sviluppo e di formazione, con caratteristiche bilaterali e multilaterali, l'aggiornamento di ciò che è stato deciso a Barcellona per la costa nord dell'Africa, e l'intelligence, che conta veramente molto.
L'immigrazione è un grande tema anche quando è regolare, cioè quando l'immigrato vive nel nostro paese. Sappiamo che gli immigrati regolari sono ormai molti, sicuramente più di due milioni, forse prossimi ai tre milioni. Abbiamo sul territorio nazionale immigrati irregolari, che sono non tanto quelli che - diciamo così - scivolano fuori dal congegno dei CPT, ma coloro che permangono oltre la durata dei permessi di soggiorno trimestrali. Ciò avviene in tutta Europa, quando si rimane oltre il visto turistico che scade dopo tre mesi.
Avremo modo di discutere e vi dirò alcune idee riguardo ai risultati a cui si presta l'ultima legge in materia di immigrazione. Di sicuro abbiamo dovuto riscontrare, già nell'immediato, che i problemi che dobbiamo risolvere sono dovuti neppure tanto all'impostazione molto controversa della legge che porta il nome Bossi-Fini, quanto alle asperità regolamentari burocratiche che hanno reso la vita dell'immigrato regolare ancora più difficile di quanto in linea di principio non sia, assoggettandolo a vicende per le quali, se accadessero a noi, inonderemmo i giornali di lettere di protesta contro l'ottusità dei burocrati ed i nostri parlamentari di richieste di interrogazione parlamentare ai ministri.
Faccio un esempio concreto. Se un immigrato con un permesso di soggiorno valido, che scade (non discuto ora della data di scadenza, tema che affronterò poi), chiede il rinnovo avendone titolo, dovrà aspettare alcuni mesi in ragione di difficoltà esistenti, di cui ho parlato un poco all'inizio del mio intervento. L'immigrato rimane «nudo», «al vento», privo di un documento valido. Egli ha soltanto un cedolino e se andasse a trovare, poniamo, sua zia che si ammala nel paese di provenienza o si recasse al funerale del padre, che muore proprio in quelle settimane, non potrebbe tornare perché non ha documenti validi. Non ha il permesso di soggiorno. Ora, questo non ha nessuna ragione di essere così all'interno di qualunque impostazione legislativa, a prescindere dalle diversità di impostazione.
Quindi, per dirne una, provvederemo subito a fare ciò che qualunque italiano chiederebbe per sé, per qualunque documento dovesse avere, per qualunque vicenda della sua vita: se qualcuno chiedesse il rinnovo di un documento valido, che ha una scadenza, la validità del suo primo documento sarebbe prorogata fino al rinnovo o al diniego di rinnovo. Non potete caricare su di lui le difficoltà vostre nella tempistica del rinnovo!
Niente - non la Bossi-Fini - implica che ci sia questa cessazione immediata di validità di un permesso che ha i presupposti per essere rinnovato, ma che potrà essere rinnovato, per una serie di ragioni, non il giorno dopo la scadenza, ma settimane o mesi dopo la scadenza; e allora sia valido fino al rinnovo o al diniego di rinnovo!
Abbiamo una cura degli immigrati che non abbiamo di noi stessi, a volte: vogliamo che vivano in un alloggio assolutamente regolare, che abbia un certo numero di metri quadri, non di meno, e, se nasce un bambino, i metri quadri devono aumentare.
Vorremmo che qualcuno andasse da una giovane coppia italiana che si è sposata, che ha potuto permettersi solo 35 metri quadrati e che ha avuto un bambino, e gli dicesse che se ne devono andare, perché per il loro bambino lo spazio non è sufficiente?
Abbiamo questo amore paterno per i nostri immigrati, però vogliamo che lascino la casa, e nessuno si preoccupa di trovargliene un'altra, se nel frattempo gli è nato un bambino!
È un'esperienza che ho vissuto anch'io - tutti noi le viviamo, perché c'è sempre un immigrato o un'immigrata della quale ci capita di occuparci - e il Ministero dell'interno, guidato dal mio predecessore, mi aiutò umanamente a risolvere questa situazione. Cerchiamo di risolverla con una norma e non di affidarla alla raccomandazione!


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Perché noi dobbiamo far loro provare il soggiorno e la continuità del soggiorno soltanto attraverso l'esibizione di regolari contratti di affitto, che diano loro una regolare residenza anagrafica? Non esistono forse gli affitti in nero? Non capita che la maggior parte di questi poveretti finisca nelle mani di un locatore in nero, che il contratto non glielo dà, non consentendo loro di avere una regolare residenza anagrafica? E poiché l'imbroglione è un italiano, il loro locatore, chi paga è l'immigrato, che non avrà la residenza anagrafica e non potrà provare la continuità del soggiorno! Nessun italiano accetterebbe una cosa del genere per sé! E andrebbe dritto alla Corte di Strasburgo a lamentare giustamente la violazione dei suoi diritti umani!
E allora perché lo dobbiamo fare ad altri? Allora perché la continuità del soggiorno deve essere provata solo e soltanto con la residenza anagrafica, quando possono esservi altri modi di prova?
In base alla legge, diamo un permesso di soggiorno che ha anche un intervallo di tempo senza lavoro, perché il lavoro possa essere trovato (se poi scade: via!), ma l'unica fonte di sostentamento, che si può utilizzare per dimostrare che si è qui, è il reddito da lavoro in corso. Non esistono dei giovani italiani che hanno un lavoro precario? Non esistono dei giovani italiani che sopravvivono senza subire conseguenze giuridicamente negative tra un lavoro e l'altro avvalendosi dei risparmi che hanno fatto in ragione del precedente lavoro, campando con quelli? E magari campando col sostegno che altri danno? Possono avvalersi i giovani italiani che passano da un lavoro precario all'altro, tra un lavoro e l'altro, di fonti di sostentamento che non sono - perché non possono esserlo - i redditi derivanti da un lavoro in corso? Lo possono fare. Almeno questo! Perché non può farlo un immigrato? Allora, riconduciamo le fonti di sostentamento, in primo luogo, al reddito da lavoro, ma anche ai risparmi ed ai contributi che possono essere stati versati. Ciò vale, naturalmente, anche per la carta di soggiorno.
Per quanto riguarda il tema dei ricongiungimenti familiari, capita che il ricongiungimento possa avvenire a beneficio del figlio minore, non del figlio maggiorenne (che sia ancora nel suo paese). Ebbene, per effettuare gli accertamenti consolari discrezionali concernenti la sussistenza dei presupposti del ricongiungimento, riusciamo ad impiegare un tempo talmente lungo che il minore, nel frattempo, è diventato maggiorenne! Una volta conclusi gli accertamenti, egli ha perso il titolo per venire!
Dei minori ci occupiamo anche consentendo che familiari e madri vengano in Italia per poter accudire minori non altrimenti accuditi. Tuttavia, lo facciamo con un'ipocrisia che perseguita la donna (paradossalmente, la perseguita anche avendo riguardo alle disposizioni della legge n. 194 del 1978; curiosamente, mi è venuta in mente questa strana analogia): il permesso di soggiorno viene concesso alla donna - che pure sappiamo venire per accudire suo figlio o sua figlia minore - soltanto per motivi di salute (quindi, la donna non può lavorare). Ho citato la legge n. 194 del 1978 non per analogia: mi è venuto in mente che è sempre e soltanto la salute della donna la ragione per la quale l'interruzione della gravidanza viene consentita, anche quando vengano in rilievo gravi malformazioni del feto (però, c'è l'ipocrisia che la grave malformazione incida negativamente sulla salute della donna). Evidentemente, ci deve essere una ragione per la quale i diritti delle donne o passano attraverso la loro salute o sono messi un po' da canto (questo meccanismo scatta nelle circostanze più diverse) ... Scusate, è soltanto una divagazione.
A queste incongruenze intendiamo porre rimedio rapidamente: lo si può fare con regolamento e, immagino, con il consenso generale (non credo, infatti, che qualcuno abbia voluto ciò che è avvenuto; si tratta di situazioni che si sono verificate indipendentemente dalla volontà di qualcuno; poi, progressivamente, ci si è accorti che si stavano verificando).
È certo che si pongono anche problemi di cambiamento della legge. Io sono convinto


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- come tutti gli italiani, credo - che debba esservi una connessione tra immigrazione e lavoro, a meno che non si tratti di pensionati inglesi che comprano ettari di Chianti ...! Al di fuori di quest'ultimo fenomeno, che è rilevante in Toscana, ma che non riguarda il cuore del nostro problema, la connessione tra immigrazione e lavoro ha un gran senso. Diciamo che il modo in cui tale connessione è stabilita dalla legge vigente è troppo rigido, presenta fortissime rigidità (mettiamola così). Non c'è dubbio che una durata del permesso uguale a quella del contratto di soggiorno, in un paese che ha una propensione per il contratto a breve che non corrisponde alla durata dei lavori che offre, porta a risultati assolutamente paradossali: si viene chiamati per venire a fare gli stagionali; si sa che si viene chiamati, in realtà, per lavorare sei od otto mesi; tuttavia, si stipulano, in tale periodo, tre contratti!
Non ho mai capito la ragione di cose del genere, ma del resto non capita soltanto in Italia; nei giorni delle proteste nelle banlieue leggemmo tutti di quel ragazzo francese che manifestava - e credo che se vi foste trovati nella stessa situazione avreste manifestato anche voi - perché ogni settimana il lunedì firmava un contratto che scadeva il venerdì successivo pur facendo da mesi lo stesso lavoro.
Se in sei mesi vi fanno tre contratti di due mesi voi dovete chiedere tre permessi di soggiorno, con tutti i problemi di cui parlavo prima, compreso quello che oggi vi portano via nell'insieme un certo numero di euro che vanno ad incidere in maniera rilevante su questi salari non particolarmente ricchi. Non c'è alcuna ragione per caricare i costi vivi di tre permessi di soggiorno su questi lavoratori, se esiste una durata prevista il permesso deve essere allungato. Oggi la durata massima è di due con una propensione a rilasciarli per un anno, fra l'altro la mia amministrazione è la prima a ritenere che bisogna allungare i termini in modo da ridurre il tormentone dei rinnovi, che richiedono moltissimo lavoro che potrebbe essere risparmiato senza danno per la sicurezza, e voi sapete quanto l'amministrazione degli interni tenga alla sicurezza.
Bisogna mettere fuori i settori della ricerca e dell'università; l'articolo 27 della legge è più generoso con chi viene da professore universitario piuttosto che da raccoglitore di pomodori; di questo l'università è grata. Tuttavia si resta sempre all'interno della stessa disciplina, in un contesto in cui si comprende bene che il fuoco della disciplina è posto in realtà sui lavori meno qualificati in quanto è considerato eccezionale l'arrivo di persone che vengono per svolgere lavori qualificati. L'ostilità all'immigrazione di lavoratori qualificati dovrebbe esserci da parte dei paesi d'origine e non da parte nostra, siamo noi che dobbiamo farci scrupolo di quello che in inglese viene chiamato, chissà perché, brain drain (drenaggio dei cervelli) da paesi che in realtà avrebbero bisogno di tutto il loro personale qualificato. Certamente esperienze diverse possono essere utili anche da noi, così come possono esserlo scambi di personale qualificato. Personalmente ho fatto esperienza della disciplina vigente attraverso il Sant'Anna di Pisa portando in Italia i famosi ingegneri indiani ed ho scoperto che non era possibile poi collocarli in quanto non vi era alcuna convenienza per loro a rimanere presso le nostre imprese con la legislazione esistente.
Dobbiamo poi rivedere un punto base della legge Bossi-Fini: il fatto che la domanda può essere accettata se il lavoratore controparte del datore di lavoro nella firma del contratto di soggiorno si trova nel suo paese di origine. Il presupposto della legge è questo. Accade veramente così? La legge è stata applicata in questo modo? I nostri datori di lavoro assumono persone che non hanno mai visto? Prendiamo il caso dei molti collaboratori familiari, pensate veramente che una persona scriva al consolato di Manila?
Ho riscontrato anche tra i funzionari della Pubblica sicurezza e della direzione competente un certo imbarazzo. Posso fare sommessamente un'affermazione non sommessa? Non rischiamo, con una disciplina


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del genere, di fare, in realtà, una buona quota di regolarizzazioni affermando che siamo contrari alle regolarizzazioni? Siamo proprio sicuri che la realtà che si sta dipanando in applicazione della legge sia davvero conforme alla legge stessa? Oppure non sta accadendo che la legge ha un presupposto impossibile, e nella sua applicazione si finge di credere al presupposto stesso?
Mi fermo a queste considerazioni e vorrei che le domande che ho rivolto fossero accolte come sincere e serene per riflettere meglio su ciò che è stato fatto e per considerare se non vi siano modi diversi, e più corrispondenti alla realtà, per fare entrare nel nostro paese le persone ed essere certi che le medesime trovino un lavoro e, successivamente, su tale base proseguire. Il contratto di soggiorno può darsi che abbia in sé un margine di finzione che lo rende paradossalmente la fonte di regolarizzazione di immigrazione irregolare, inizialmente adibita al lavoro soltanto nero, che emerge appunto attraverso un contratto di soggiorno e che poi comporta, una volta stipulato il contratto stesso, che taluno compia un viaggio nel paese di provenienza e si faccia rilasciare il visto consolare in tale paese e poi torni in Italia, quindi sostenendo una spesa in più. Dobbiamo pensare a tale aspetto, di là da ogni ideologia e contrapposizione, perché ciò attiene al nostro realismo nel gestire un determinato fenomeno.
Dovremo adottare finalmente una disciplina appropriata per il diritto d'asilo. L'occasione ci è offerta dalla direttiva che il disegno di legge comunitaria appena approvato dal Governo include tra quelle da attuare. Attuando la ricordata direttiva si può varare finalmente la legge sul diritto d'asilo. Debbo dire che si era già riscontrato un ampio consenso in Parlamento su tale tema nella scorsa legislatura e che, quindi, lo si può riprendere. Sappiamo che i problemi sono organizzativi: come organizzare la fase dell'accertamento, come gestire il sostegno dei richiedenti asilo in tale fase e, successivamente, ai fini dell'immissione.
Deve essere rivista la legge sulla cittadinanza. L'Italia aveva già firmato la Convenzione di Strasburgo del 1997 che, giustamente, la nostra collega Bertolini, relatrice nella scorsa legislatura di un disegno di legge in merito, aveva citato tra le premesse della modifica in conformità della stessa Convenzione di Strasburgo, che peraltro non abbiamo ratificato - non ho ancora accertato come mai essa sia rimasta un po' «nel cassetto» da allora -, dando maggiore spazio al criterio dello ius soli.
Il tema è rimasto al punto in cui lo ha lasciato la scorsa legislatura, ossia vi sono posizioni fondamentalmente concordi, che divergono soltanto sulle tempistiche. L'unico aspetto su cui sembra siano tutti ampiamente d'accordo è che il matrimonio forse deve essere durato due anni anziché sei mesi, ma anche su ciò non vi è unanimità; comunque considero tale problema un argomento minore.
Il problema è fondamentalmente qual è lo spazio che riconosciamo allo ius soli, come misuriamo e a che punto collochiamo lo standard di stabilità del radicamento in Italia dei genitori e quali sono, e se ci sono, i tratti di collegamento culturale con il paese che riteniamo necessari per la stessa naturalizzazione. Al riguardo, le opinioni possono legittimamente divergere. Io sto acquisendo opinioni. Chi è favorevole alla sufficienza di una breve permanenza in Italia dei genitori non può non rendere facoltativo un diritto, che non dovrebbe essere tale; ciò lo dico anche in base alla mia esperienza personale di docente in un istituto europeo (a Fiesole), dove arrivano colleghi di diversi paesi. Ebbene, è chiaro che essi non hanno necessariamente desiderio che se hanno un figlio in Italia questo automaticamente diventi italiano; eppure essi stanno nel nostro paese per sei anni (in genere, per quattro anni più quattro anni, perché hanno un contratto quadriennale con l'istituto, rinnovabile per altri quattro anni).
Dunque le fattispecie vanno un pochino articolate. Può darsi invece che in altri casi un periodo di tempo anche inferiore possa essere ritenuto espressivo di un'acquisita


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stabilità. Certo è che, anche se la cittadinanza non risolve tutti i problemi..., assolutamente non li risolve e il caso francese ne è la prova. La Francia, grazie agli esiti della vicenda algerina, si sentì indotta a concedere la cittadinanza rapida (massimo due anni) e molti amici francesi mi dicevano: nulla è più umiliante di accorgerti che sei diventato cittadino, ma sei più di serie B di quanto tu non lo fossi prima di diventare cittadino! La cittadinanza non risolve tutti i problemi - dicevo - tuttavia, certo non aiuta negarla o non riconoscere che bambini che stanno crescendo nel nostro paese, che frequentano le nostre scuole e che sono completamente integrati nel loro ambiente, possano sentirsi diversi per il fatto di non avere la cittadinanza.
Questo non aiuta anche ai fini del secondo grande tema che abbiamo davanti, quello della lotta al terrorismo. Ci stiamo accorgendo di una realtà amara, che l'Afghanistan era la base di Al Qaeda e di Bin Laden, ma da allora la maggior parte degli attentati che abbiamo subito - fortunatamente non noi in Italia e questo va molto apprezzato - sono frutto di un'organizzazione che a dir poco dovremmo definire decentrata del terrorismo di fonte fondamentalista. Gli attentati in Spagna, in Regno Unito, in Egitto e gli stessi due attentati che furono sventati molto efficacemente da noi, quello alla metropolitana di Milano e quello alla chiesa di San Petronio a Bologna, erano frutto di alcuni collegamenti, ma nessuno dall'Afghanistan li aveva ordinati. La sensazione che si ha è che i capi supremi di Al Qaeda battezzino poi, appropriandosene, tali operazioni.
Questa organizzazione così decentrata evidentemente pone - questa è un'opinione che posso riferirvi come unanime dei paesi del G8 - quello della lotta alla radicalizzazione nei nostri paesi come un tema cruciale, perché si tratta di persone che vivono nel nostro paese, sono a volte di seconda generazione, addirittura terza generazione in qualche caso tedesco, di cui si è parlato. Allora, come fare per evitare che questi soggetti, che crescono nelle nostre società, si radicalizzino? Evidentemente, più sono integrati e meno si radicalizzano. Detto in questi termini, apparirà banale, ma di ciò si tratta. È principalmente attraverso Internet ed i contatti con singole figure, che li vanno a raggiungere dopo aver stabilito contatti per via informatica, che si crea il progetto e dietro a quest'ultimo vi è - permettetemi questo termine abusato - una crisi identitaria che si risolve con una identità eroica. Fondamentalmente, di questo si tratta!
Quello delle banlieue, anche seguendolo attraverso Le Monde e facendo riferimento a poche altre fonti, appare come un fenomeno di identità negata, di identità non trovata che riesce ad esprimersi con modalità devianti o trasgressive. Quando ero ragazzo, al massimo rappresentavano il disordine estivo nei quartieri poveri della grande città americana e mi riferisco, ad esempio, anche alla gang di Los Angeles che combatte contro un'altra gang (tutto ciò lo abbiamo visto al cinema e ne abbiamo percepito la forza identitaria).
Oggi è qualcosa di tragicamente molto più forte, perché abbiamo contro l'identità musulmana. Pertanto, a fronte di questa tragica idea di «loro contro di noi» e «noi contro di loro», quella identità, con un input fondamentalista, diventa un'identità antioccidentale che ci vede come l'espressione di un male che non deve entrare nelle loro società e via seguitando.
Quindi, il punto è evitare che ciò accada. Pertanto, sono tante le politiche che sono in gioco; politiche di cui, fortunatamente, disponiamo in Italia grazie alla tradizione molto civile dei nostri comuni, spesso più civile - lo dico sommessamente, ma convintamente - delle tradizioni urbane di altre paesi europei.
Siamo, ad esempio, riusciti ad evitare il ghetto separato per quanto riguarda le etnie diverse da quella nazionale. È un tratto della nostra civiltà, lo dico sommessamente, anche perché penso che il tasso d'immigrazione in Italia sia tuttora molto più basso rispetto a quello di altri paesi e pertanto ancora il fenomeno non ha dimensioni che, magari, quando fossero cresciute, potrebbero dar luogo anche al


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fenomeno del ghetto separato. Tuttavia, il dato di fatto è che vi è molta consapevolezza nelle nostre amministrazioni locali in ordine a ciò e ci si sta adoperando per evitare che accada.
Certo, non si tratta solo di questo, ma occorre anche porre una certa attenzione per quanto riguarda l'informazione, l'intelligence. Non dobbiamo, come diceva mio padre, fare troppo sociologia (lui era un uomo più di ordine) e aveva le sue ragione. Quindi, intelligence ed informazione!
Abbiamo degli splendidi quartieri integrati a Milano e a Bologna, ma se non vi fosse stata un'azione di intelligence avremmo subito uno di quei due attentati o, forse, tutti e due.
È stata la prova che ho utilizzato a Mosca, ricordando questo episodio di successo italiano. Ho detto di stare attenti: voi insistete molto sulla collaborazione fra di noi, ma dobbiamo collaborare anche con quei paesi, perché fu grazie alla collaborazione italo-marocchina, in realtà, che l'Italia fu in grado di adottare misure di prevenzione. Il che significa, tuttavia, adottare delle scelte che sono, in qualche modo, latamente politiche.
Guai a collaborare tra di noi contro di loro!
Guai ad accettare lo schema manicheo «noi contro di loro», perché ciò crea due mondi che non comunicano, generando una sorta di ostilità identitaria dell'uno nei confronti dell'altro; non comunicano a livello di intelligence e, quindi, informazioni preziose che si possono acquisire finiscono per non essere acquisite. C'è - questo lo posso dire - un alto livello di cooperazione in tutti i campi che oggi investe anche la difesa delle infrastrutture e dei trasporti di massa. I russi hanno legittimamente più attenzione di ogni altro al rischio «trasporto di massa» perché sono gli unici che si sono trovati davanti la bellezza - anzi la bruttezza! - di cinque attentati alla metropolitana, in pochi anni, e questo li ha portati a sviluppare diverse tecnologie che dobbiamo condividere.
Curiosamente si va dalle tecnologie più sofisticate ad uno dei miei grandi amici, il labrador, che al momento è la tecnologia migliore per percepire la presenza di esplosivi. Tutti oscillano dal labrador all'alta tecnologia che vale più a distanza, perché l'unico difetto del labrador è che per annusare l'esplosivo gli deve andare proprio accanto.

FABRIZIO CICCHITTO. D'Alema è più protetto!

GIULIANO AMATO, Ministro dell'interno. D'Alema è protetto, però non risulta che abbia addestrato il labrador a questo fine! Ho visto in Russia dei simpatici bastardelli addestrati e capaci quanto il labrador di dare quel risultato. Qui il problema è di trovare delle tecnologie che a distanza riescano ad «detectare»: non si possono assoggettare i cittadini che prendono la metropolitana o il treno alla stessa «vessazione» che tutti accettiamo quando prendiamo un aereo, perchè - ovviamente - i tempi del viaggio in metropolitana sono incompatibili e c'è bisogno di qualcosa d'altro.
In questo campo di straordinaria importanza è la cooperazione europea (devo abbreviare perché mi sono fatto prendere la mano da questi temi e vi sto intrattenendo al di là di quello che è il vostro tempo). Io intendo accelerare l'ingresso dell'Italia nell'accordo di Prum, di cui già Pisanu si era occupato. Non so per quali ragioni non ci invitarono al negoziato iniziale - e non entro in quelle ragioni - ma lo trovai strano perché l'Italia fa parte di quel gruppo informale chiamato «G5+1» che ha il massimo livello di integrazione operativa, anche in materia di sicurezza all'interno dell'Unione Europea; avrei trovato naturale che l'Italia fosse stata invitata a partecipare al negoziato iniziale di Prum - non è stato così -, comunque ora è il caso di entrarci. Voi sapete che lì si arriva davvero ad una autentica integrazione nell'esercizio delle funzioni di polizia.

PRESIDENTE. Ne sta discutendo il Parlamento europeo.


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GIULIANO AMATO, Ministro dell'interno. Sì, vi è un problema: dobbiamo costituire una banca dati, anche dati del DNA, però si tratta di dati alfanumerici, non di campioni biologici. Spero che saremo tutti consapevoli del fatto che c'è un limite al di là del quale la privacy va protetta in modo assoluto, ma vi sono anche dei dati che è nostro interesse mettere in una limitata circolazione, che vengono richiesti non per danneggiarci ma per aumentare la nostra sicurezza.
Voglio essere breve sulla sicurezza sulla piano interno, ma c'è una disputa che dura da anni e che si riflette sulle norme della Costituzione. Un punto ci dovrebbe trovare tutti d'accordo - spero - come incontro, forse, di posizioni diverse. Insomma, io mi esprimo così: la pubblica sicurezza è - e non può non essere - una funzione nazionale, ma la sicurezza è un prodotto locale, perché la sicurezza ciascun cittadino la vive dove vive. La sede nazionale, dal punto di vista della sicurezza interna, è messa a repentaglio quando c'è un attacco al territorio nazionale o quando c'è un sommovimento che mette a repentaglio l'assetto stesso del paese. Ma la criminalità attacca, e la percepisci, nel luogo dove si vive. Mi riferisco allo scippo, alla grande criminalità, a quello che - fortunatamente per noi - oggi è il piccolo terrorismo anarchico-insurrezionale, il quale, dopo la sconfitta pressoché totale dei grandi fenomeni terroristici interni, si è manifestato solo a livello di episodi locali (che sappiamo dove avvengono e da chi vengono promossi).
Il cittadino, tuttavia, vive la sicurezza come un fattore locale. Egli si sente insicuro se ha paura di dormire con la finestra aperta d'estate, poiché qualcuno può portargli via qualcosa da casa; oppure teme quello che può succedere al figlio quando va a scuola, mentre torna tardi a casa la sera o porta a spasso il cane: è in quei casi che si avverte il problema della sicurezza.
Pertanto, coloro che pensano alla questione della sicurezza come un fatto locale hanno, in realtà, ragione, perché è così: tutti noi, infatti, la avvertiamo come una problematica locale. La funzione della tutela della sicurezza, tuttavia, può essere organizzata a livello nazionale, perché esistono collegamenti tra le varie forme di criminalità. Vi sono, inoltre, spostamenti rapidissimi dei criminali, poiché un delitto viene commesso in una regione e, un'ora dopo, l'autore di tale reato si trova in un'altra.
I moduli di formazione di chi svolge una funzione di pubblica sicurezza sono a dir poco nazionali, anche se ormai li stiamo «europeizzando» per numerose finalità, a partire dal controllo delle frontiere. È questo il motivo per cui sono un difensore dell'attribuzione a livello nazionale della pubblica sicurezza, anche se difendo tutte le ragioni di chi la concepisce come un prodotto che, se c'è, deve essere percepito come tale sul piano locale, poiché ciascuno vive «localmente».
Per quanto concerne la vexata quaestio della funzione nazionale di coordinamento orizzontale - e torno al punto dal quale ero partito -, vorrei osservare che la deve risolvere il ministro dell'interno: in realtà, infatti, tocca al ministero ed al ministro dell'interno far in modo che si realizzi un coordinamento, anche a livello territoriale. Il ministro deve avere i mezzi necessari a tale scopo - in tal senso, ritengo interessante il progetto di legge presentato dal Presidente Cossiga - ma deve anche assumersi la responsabilità di farlo. Proprio in ragione della sua articolazione a livello territoriale, inoltre, deve esistere un rapporto con le autorità locali.
Il sindaco di Roma, Walter Veltroni ha affermato - ma poteva averlo detto qualsiasi altro sindaco - che, quando egli illumina un quartiere, fa opera di sicurezza. Egli ha ragione: infatti, quando si illumina un quartiere, si garantisce la sicurezza; anche quando si toglie la prostituzione dalle strade «si fa sicurezza», perché è chiaro che la prostituzione mette in circolazione una serie di «personaggi».
Quando si combatte efficacemente il fenomeno della droga, e si ha bisogno anche delle autorità scolastiche per farlo (perché, purtroppo, gli spacciatori riescono


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a piazzarsi anche davanti alle scuole), è evidente che si garantisce sicurezza. Vorrei osservare, infine, che anche quando si tolgono dal degrado quartieri abbandonati della città si concorre a realizzare una politica di sicurezza. Si tratta di profili che dimostrano come si debba lavorare insieme e come la sicurezza dipenda da numerosi fattori locali.
Molto è determinato da ciò che, nel Mezzogiorno, viene definito il sostegno della legalità. Vicende come quelle accadute oggi in Sicilia sono incoraggianti, perché concorrono a ridurre il tasso di illegalità: così facendo, infatti, esse restituiscono fiducia a chi considera la legalità una regola di vita. Vorrei osservare che, in effetti, più la legalità è regola di vita, più c'è sicurezza, poiché i due elementi finiscono per essere particolarmente legati fra loro.
Per quanto concerne il tema della sicurezza negli stadi - in ordine alla quale vengono spesso avanzate proposte -, vorrei segnalare che mi ha colpito ciò che, chiacchierando, mi ha detto Wolfgang Schauble (con il collega tedesco si parlava, ovviamente, dei campionati mondiali di calcio)...

PRESIDENTE. Ora che c'è il Torino in serie A...

GIULIANO AMATO, Ministro dell'interno. Mi spiace che non possa incontrare la Juventus, ma che ci posso fare, insomma (Si ride)...? Io sono un vecchio tifoso torinista e, quindi, assisto a questa vicenda con una perfidia che solo i torinisti possono nutrire, ma non aggiungo altro. Oltre a ringraziarmi per la presenza, peraltro decisa dal mio predecessore, di un contingente di poliziotti italiani che concorrono con altri all'ordine, Schaeuble mi diceva che nel campionato tedesco la regola base è che all'interno dello stadio fanno sicurezza vigilanti a carico delle società calcistiche e che il compito della pubblica sicurezza è esterno: devo confessare che davanti a tutto ciò mi sono brillati gli occhi. La stagione di riassestamento dei «giochi» del gioco del calcio che stiamo vivendo - forse assai più intensa di quanto avremmo potuto desiderare - potrebbe anche permetterci di rivedere tale questione: è una delle prime richieste che mi ha rivolto Giovanna Melandri, ora che è responsabile dello sport.
Prima di terminare, vorrei sottoporvi un problema alquanto estraneo alla mia esposizione, che è stata un po' più lunga di quanto dovessi. Ho davanti a me, perché lo prevede il programma di Governo ma anche un'istanza che so essere condivisa da tutti i gruppi, l'accorpamento delle consultazioni elettorali in Italia. Tutti noi diciamo - non c'è nessuno di noi che lo neghi - che in Italia si vota troppo spesso e che pensiamo solo a votare e non a governare. In genere lo sostiene di più chi governa di chi sta all'opposizione perché, normalmente, questi ultimi soffrono di meno del fatto che si voti tutti gli anni. Tuttavia, siccome fortunatamente stiamo realizzando l'alternanza, possiamo essere abbastanza bipartisan da «spalmare» la sofferenza e la gioia imparzialmente tra di noi ed arrivare a concludere che, in effetti, se votassimo di meno sarebbe meglio. Noi abbiamo fondamentalmente quattro tipi di elezioni: locali, regionali, nazionali ed europee; se riuscissimo a portarne due - non dico quali - in un anno e due in un altro anno, magari distanziandole di un paio d'anni, anziché votare tutti gli anni, sarebbe l'ideale. Ho analizzato la situazione con i miei uffici. Da un appunto che vi lascerò emerge che si fa prima a dirlo che a farlo, a meno che non ci sia una forte intesa politica sul farlo, intesa politica che può essere ostacolata da una valutazione, di volta in volta, del tipo «quanti dei loro e quanti dei miei sono in ballo questa volta».
Infatti, le elezioni riguarderanno nel 2007 7 province e 870 comuni; nel 2008 2 regioni, 14 province e 460 comuni (quindi, in entrambi gli anni abbiamo numeri abbastanza cospicui); nel 2009 il Parlamento europeo, una regione, 65 province e 4.500 comuni (quindi un bel numero di comuni, superiore a quello degli anni precedenti); nel 2010 14 regioni, 10 province e 970 comuni; nel 2011 le politiche, 2 regioni, 13


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province e 1.300 comuni. In altre parole, il nostro bazar elettorale è aperto, fondamentalmente, 24 ore su 24 ed offre tutta la gamma dei suoi prodotti, per cui è giusto cercare di portare un po' di ordine. Se lo portassimo, so benissimo che i consigli comunali si sciolgono, per cui rimarrebbero dei fatti spuri; comunque, a regime diventerebbe facile stabilire che se sono pochi in un anno si procede all'elezione, mentre quando superano un certo numero si accorpano alle elezioni dell'anno successivo. Se deciso preventivamente, tutto ciò si attua facilmente.
Il problema è gestire tutto questo. Cosa si fa? Accorpiamo i comuni del 2007 a quelli del 2008 e poi a quelli del 2009? I comuni durerebbero un anno di più, due anni di più. E le regioni, dove le mettiamo? Questo è un altro problema: figuriamoci se lo dimentico. Per le regioni troviamo un compromesso? Facciamo in modo che le regioni durino sei mesi di più e che il Parlamento nazionale duri sei mesi di meno? E riusciamo a convincere le regioni a statuto speciale? Ogni regione può fare la sua legge elettorale ed alcune regioni a statuto ordinario già l'hanno realizzata; quindi nell'ambito della legge elettorale si decide la data delle elezioni. Ci riappropriamo, attraverso una legge di principi, della legge elettorale e della relativa data? Metto tutti punti interrogativi; si tratta di domande accademiche che sto ponendo, sia chiaro, ma...

MARCO BOATO. Credo che la durata delle regioni a statuto ordinario non sia propria delle regioni stesse, è statale!

GIULIANO AMATO, Ministro dell'interno. Vediamo. In ogni caso, abbiamo di fronte questo problema che ritengo giusto risolvere secondo l'indicazione prevalente. Considero assolutamente improprio, non per viltà, ma per un fatto istituzionale, che sia io,come responsabile per il Governo delle elezioni, ad indicare il modo in cui procedere. Infatti, se c'è una materia nella quale il Parlamento svolge un ruolo davvero importante, è la materia elettorale, ancora di più quando si tratta di fare dei ritocchi con meccanismi transitori, perché esistono equilibri politici da rispettare.
Consegno un appunto al presidente, affinché si possa individuare un'altra occasione nella quale discutere su tale questione e portarla a soluzione. Mi scuso per la lunghezza dell'intervento.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per la sua relazione. Esiste un ulteriore piccolo problema di carattere elettorale. Ho letto su un quotidiano che si porrebbe un problema per la data del referendum, nel senso che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri fissava un giorno, il 25 giugno; successivamente, tale data sarebbe stata prorogata al 26, sembrerebbe in via impropria, tanto che qualcuno accenna all'opportunità che un decreto-legge fissi come data anche il 26, perché altrimenti ci sarebbe una distonia rispetto alla decisione del Consiglio dei ministri. L'ho letto oggi su un quotidiano, dove un costituzionalista sviluppa questo ragionamento. Non chiedo adesso una risposta, ma magari si può riflettere in proposito.

GIULIANO AMATO, Ministro dell'interno. Ne prendo nota.

PRESIDENTE. Colleghi, a questo punto dovremmo ordinare i nostri lavori, considerato che finora sono 13 i commissari iscritti a parlare e che la relazione è stata interessante. Faccio presente che il ministro, a causa di altri impegni, può trattenersi in Commissione fino alle ore 13,30 e, successivamente, dalle ore 16 in poi. Per quanto mi riguarda, alle 16 sarò impegnato nella Conferenza dei presidenti di Commissione che credo non durerà più di 45 minuti. Potremmo quindi proseguire nei nostri lavori fino alle ore 13,30, per poi sospenderli e riprenderli nel pomeriggio, a meno che non vi siano alternative. Lo dico solo per evitare di strozzare, ad un certo punto, il dibattito.

ITALO BOCCHINO. Presidente, non si tratta di evitare di strozzare il dibattito: siamo già in presenza, questa mattina, di un'anomalia, poiché teniamo l'audizione


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del ministro dell'interno, come il ministro sa, a Camera chiusa per lo svolgimento della campagna elettorale referendaria. Condivido quindi l'ipotesi di proseguire nei nostri lavori fino alle 13,30. Penso anzi che se riuscissimo a contenere i tempi per le domande, potremmo dare il tempo al ministro di valutare insieme agli uffici i dati che servono per fornire le risposte ed aggiornarci quindi per la prossima settimana.
Ritengo invece assolutamente impossibile proseguire la seduta ad oggi pomeriggio, dal momento che abbiamo in programma manifestazioni elettorali referendarie già organizzate. Abbiamo già fatto uno strappo alla regola per questa mattina, per cui è impossibile, presidente, farlo anche per il pomeriggio. Le chiedo quindi di aggiornare la seduta alla prossima settimana, in un giorno compatibile con l'agenda del ministro. Si tratta dell'audizione del ministro dell'interno, che ha parlato per un'ora e 45 minuti...

GIULIANO AMATO, Ministro dell'interno. No, solo per un'ora e 20...

ITALO BOCCHINO. Quando lei parla, signor ministro, ci affascina così tanto che, diciamo, il piacere sembra molto più lungo... Dicevo quindi che siamo assolutamente indisponibili alla prosecuzione pomeridiana e chiediamo invece un'altra data.

PRESIDENTE. Va bene, ora non esageri, usi un po' di flessibilità.

ITALO BOCCHINO. Il gruppo di Alleanza nazionale è assolutamente indisponibile.

PRESIDENTE. Ne prendo atto.

ANGELO PIAZZA. Potremmo tornare all'ipotesi che lei, presidente, ha formulato all'inizio della seduta, ossia quella di far intervenire un deputato per gruppo.

PRESIDENTE. Non posso però impedire ai colleghi di parlare. Inizialmente può intervenire un rappresentante per gruppo, ma poi il dibattito deve proseguire.

ROBERTO ZACCARIA. Compatibilmente con gli impegni del ministro, credo che oggi potremmo concentrare gli interventi fino alle 13,30, cercando di renderli sintetici...

PRESIDENTE. Il problema è che i colleghi che parlano oggi, fino alle 13,30, hanno un destino diverso da quelli che interverranno la prossima volta. Questo è chiaro.

CARLO GIOVANARDI. Credo che l'esposizione del ministro sia stata molto vasta ed abbia toccato argomenti molto importanti, diciamo di legislatura. Esaurire in 35 minuti alcuni interventi, che dovrebbero evidentemente essere molto succinti, non corrisponderebbe all'importanza delle osservazioni svolte dal ministro. Ritengo pertanto che martedì prossimo, con un tempo congruo a disposizione, potremmo proseguire nel dibattito, arricchendo così l'audizione.

PRESIDENTE. L'esigenza che ho posto è di evitare lo spezzettamento degli interventi.

ITALO BOCCHINO. Dato che sono in discussione valutazioni anche di tipo politico, ritengo che se procediamo ad un intervento per gruppo adesso, anche a fini giornalistici...

PRESIDENTE. Per evitare di farlo fuori di quest'aula lei dice?

ITALO BOCCHINO. No, perché il ministro è stato rispettoso con la stampa nei nostri confronti; quindi dobbiamo essere anche noi stessi rispettosi nei confronti della Commissione.
Propongo quindi di effettuare un intervento per gruppo, contingentando i tempi, fino alle 13,30, rinviando alla prossima settimana i restanti interventi e la replica del ministro.


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PRESIDENTE. Se non ci sono obiezioni da parte di chi ha chiesto di parlare per primo, possiamo proseguire fino alle 13,30 e riprendere l'audizione la settimana prossima.

GIULIANO AMATO, Ministro dell'interno. Troveremo sicuramente un'occasione nella prossima settimana.

PRESIDENTE. Sta bene. Do quindi la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ROBERTO COTA. Presidente, segue l'ordine di uno per gruppo?

PRESIDENTE. Sì, in modo alternato.

ITALO BOCCHINO. Ministro, le dico la verità, dalla sua relazione mi aspettavo di conoscere gli indirizzi del Governo su temi delicati quali quelli che sono di sua competenza. Ho assistito invece ad una relazione problematica, piena di punti interrogativi. Si sono quindi un poco invertite le parti, diciamo. Di solito, nelle audizioni i ministri espongono indirizzi e noi poniamo domande, cui seguono i relativi chiarimenti in sede di replica. Invece, la sua relazione - che anche per la sua natura di uomo di alta statura somiglia di più ad una splendida prolusione (Rino Formica la definirebbe «brillante, intelligente, colta, raffinata ed acuta», come ha detto oggi di lei su Il Riformista) - un poco ci delude. Comprendiamo che lei abbia avvertito un'esigenza, quella di «pattinare» lungo i labili confini dei vari partiti della sua coalizione, però ci sono questioni sulle quali si pone la necessità di conoscere l'indirizzo preciso del Governo.
Le pongo, dunque, alcune questioni. La prima riguarda la sicurezza dei cittadini: si avverte la sensazione, in questo primo scorcio di legislatura, che da parte della coalizione di Governo vi sia una certa tendenza ad occuparsi più di Caino che di Abele. Dico questo perché il primo tema affrontato dalla Commissione, ad opera di un partito della maggioranza, è stato quello di dar vita ad una Commissione di inchiesta sui fatti del G8 di Genova. In altri termini, la sensazione diffusa è che - sebbene i fatti di cui si discute siano temporalmente lontanissimi - vi sia una maggioranza intenzionata a ricercare responsabilità tra le forze dell'ordine e a punirle, ancor prima di occuparsi dei problemi della sicurezza del cittadino, rispetto ai quali, invece, non abbiamo sentito formulare proposte ed indirizzi da parte sua.
L'altro tema è quello dell'amnistia: vorrei sapere, in sede replica, se i suoi uffici abbiano valutato le varie ipotesi di amnistia di cui si è parlato giornalisticamente e quale impatto possano avere sulla sicurezza dei cittadini. Stiamo parlando di scarcerazioni repentine di dieci, ventimila persone che, per formazione culturale, non possono dirsi dei collegiali, che non percepiscono reddito alcuno, sia esso fisso o precario, e ciò preoccupa molto la mia forza politica. Vorremmo, dunque, sapere come il titolare dell'interno valuti un'immissione del genere nella società, e se gli uffici del Viminale ritengano che ciò possa procurare dei problemi e quale tipo di prevenzione e forme di intervento si stiano valutando.
Quanto all'immigrazione, capisco le esigenze politiche, però lei, seppure con grande garbo e grande intelligenza, di fatto ha cercato di smantellare una riforma rispetto alla quale, probabilmente, occorre una valutazione più attenta da parte del suo dicastero. In proposito, vorremmo conoscere cosa, a giudizio suo e degli uffici, abbia funzionato e cosa no in quella riforma sull'immigrazione, e poi discutere, eventualmente, anche di successive modifiche: nulla è immodificabile. Convengo con lei che sia assurdo rilasciare un tagliandino ed impedire ad una persona che vive regolarmente in Italia di andare a trovare un parente o partecipare al funerale dei propri genitori. Questi, del resto, sono problemi che possiamo affrontare; altra cosa, invece, è minare la filosofia della norma. Lei la mina, perché ci dà l'impressione - e vorremmo un chiarimento al riguardo - di voler tornare indietro rispetto al passo in avanti fatto


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dal concetto di «sanatoria» a quello di «regolarizzazione». Noi abbiamo mosso un passo in avanti che riteniamo importante, quello di regolarizzare persone provviste di una casa, di un lavoro, di un reddito. Nel momento in cui compie passi indietro, seppure tra punti interrogativi, lei ci preoccupa, perché ciò significa smantellare una legge prima ancora di spiegarci che cosa di questa non ha funzionato.
Riguardo, poi, ai CPT, ricordiamo che la loro corretta denominazione è CPTA, che non li abbiamo inventati noi o la normativa italiana, e che siamo in attesa e concordi con lei sul fatto che debbano funzionare il meglio possibile; prendiamo anche atto che non vi è la volontà da parte del Governo di sopprimerli.
Altra questione affrontata è quella legata all'uso di droghe. Ci sono suoi colleghi di Governo che hanno assunto posizioni molto dure riguardo alla normativa sulle tossicodipendenze. Anche a tale proposito, in considerazione dell'incidenza non trascurabile della questione sui profili collegati alla microcriminalità, vorremmo conoscere il giudizio del ministro dell'interno sulle proposte di alcuni suoi colleghi relativamente, addirittura, all'abrogazione della normativa vigente.
Vorremmo, altresì, conoscere il giudizio del ministro sulla polizia di prossimità e sapere se, a tale riguardo, abbia intenzione di proseguire il lavoro già compiuto dal Governo Berlusconi, sia al fine di aumentare il numero di poliziotti di prossimità sia per verificarne l'efficienza sul territorio.
Infine, posti tali quesiti, vengo alla questione dell'accorpamento delle elezioni, un tema molto, molto delicato che lei sottopone alla nostra attenzione. Ebbene, noi riteniamo che si possano accorpare gli appuntamenti elettorali ma all'interno dell'anno solare; quanto ad immaginare accorpamenti che facciano «saltare» alcuni anni in modo da far durare, per legge, talune consiliature un po' di più e tal altre un po' di meno, ebbene, noi riteniamo una simile operazione difficile da gestire in Parlamento e anche rischioso. Per certi versi, infatti, incideremmo su uno dei principi base della democrazia ovvero sulla durata certa delle consiliature e delle legislature. Riteniamo quindi che si possa dar vita ad un accorpamento, con un election day nel corso dell'anno solare, ma non ad accorpamenti che allunghino o riducano la durata di alcuni consessi, sia locali sia nazionali.

SESA AMICI. Ringrazio molto il ministro Giuliano Amato in quanto, all'interno di un'esposizione molto ricca e complessa, non solo si sono delineati una serie di indirizzi ma anche si è tenuto conto del lavoro svolto nella passata legislatura su alcuni grandi temi la cui incidenza, oltre che riguardare il profilo tecnico, si avverte molto anche sul versante dell'impatto politico. Mi riferisco soprattutto alla discussione intorno alle questioni poste dalla legge cosiddetta Bossi-Fini - discussione che ha impegnato questa Commissione per lunghi mesi - e alla vicenda del diritto d'asilo; vorrei al riguardo ricordare al ministro Amato che si iniziò l'esame di un disegno di legge il cui relatore, il collega Antonio Soda, espresso dall'allora minoranza, si dimise per una serie di considerazioni sugli eccessivi elementi di burocratizzazione che si immettevano nelle stesse normative europee di riferimento.
A mio avviso, peraltro, di grande impatto politico - ma anche attinente alla politica del Dicastero dell'interno - è, altresì, la questione della disciplina della cittadinanza; anche su tale versante, eravamo giunti ad iniziare un percorso abbastanza concreto ma si era evidenziato, nella discussione tra maggioranza ed opposizione, un aspetto che molto bene ha fatto il ministro Amato a ricordare. Il ministro, infatti, tracciando un'analisi molto precisa della legge sull'immigrazione, non ha espresso un giudizio astratto e teorico ma ha cercato di evidenziare le contraddizioni che quella legge portava con sé immettendo nel sistema elementi di forte ineguaglianza. A mio avviso - e mi rivolgo anche al collega Bocchino, che allora non faceva parte della Commissione affari costituzionali - se riguardassimo gli


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atti delle nostre discussioni, ci renderemmo conto, in un clima di ragionamento politico, di quanti di quei rilievi oggi evidenziati dal ministro fossero già presenti. Il ministro ha avanzato, peraltro, una proposta: usare la fonte del regolamento per apportare una serie di modifiche che pongano rimedino al grado di ottusità e all'idea in qualche modo persecutoria della normativa rispetto al cittadino emigrato, considerato spesso dalla legislazione, anche con l'uso di alcuni termini lessicali, al di fuori della concezione di persona e di cittadino. Vorrei, quindi, molto insistere su tali profili nell'auspicio che i primi atti di Governo portino il segno anche di una cultura politica completamente diversa.
Vorrei, però, anche porre al ministro tre grandi questioni. La prima è che tutto ciò, con gli eventuali indirizzi che si possono assumere nelle questioni complesse relative alle tematiche dell'Interno, postula due condizioni, mezzi e risorse. Lei, ministro, lo ha già dichiarato all'inizio; non può accadere che in una discussione, anche sulla polizia di prossimità, si affermi un principio ma a quella polizia di prossimità, poi, non si diano nemmeno, per così dire, gli strumenti per agire nella funzione. Mezzi e risorse significa aprire una discussione sul concetto di sicurezza; concetto che a me pare, da quanto da lei riferito, ministro, fare riferimento agli elementi del territorio e della sicurezza individuale ma anche alla capacità di tenere insieme i diritti e le libertà.
Credo che da questo punto di vista lei potrà riscontrare in questa Commissione, come già accadde a suo tempo con il ministro Pisanu, una grande impegno, affinchè sulle questioni delle politiche finanziarie non vengano sottratti fondi, attraverso il meccanismo dei cosiddetti tetti, che si pongono «a tappo» o «a compressione».
La seconda questione, che credo interessi molto anche le colleghe che oggi sono presenti in questa Commissione, di competenza del suo ministero, riguarda la tematica delle leggi elettorali. Lei oggi ci ha proposto la questione relativa all'accorpamento e quindi vi sarà una discussione, che dovremo affrontare insieme, anche per dar vita ad un insieme di proposte.
Credo però che, oltre alla modifica della legge elettorale che ci ha accompagnati alle ultime elezioni politiche, modifica che fa parte del programma di Governo, dovremo affrontare anche un tema inevaso - e ciò è segno di una debolezza e di una arretratezza del sistema politico, che riguarda la rappresentanza - che non voglio considerare in termini di decretazione d'urgenza sulle quote rosa, ma sotto il profilo dell'esatta applicazione, con appositi provvedimenti, dell'articolo 51 della Costituzione, questione che mi preme di sottolineare esplicitamente e sulla quale so di avere la sua attenzione.
O noi ripristiniamo, anche nella discussione sulla legge elettorale, l'elemento dell'essere questa uno strumento - e quindi non l'elemento su cui le maggioranze politiche costruiscono i propri disegni - o riaffidiamo all'autonomia anche una capacità di discussione che sappia fare della politica degli interni un'idea non semplicemente repressiva, ma che si inserisce nell'ambito di questa nuova dinamica.
Un'ultimissima questione riguarda l'immigrazione. Lei ha fatto molto bene ad individuare alcuni elementi che possono essere affrontati per via regolamentare. Esistono delle questioni: se pensiamo ai centri di permanenza, c'è questa idea di tenerli, non come lei ha detto esplicitamente in alcuni passaggi della sua relazione, come delle carceri. Non devono essere questo ma c'è un problema di uomini e le rivolte scoppiano perché alcune volte non solo non c'è controllo ma esiste carenza di personale.
Credo che su tale questione abbiamo bisogno di capire eventualmente come si possa affrontare la questione del rispetto, del controllo e della sicurezza per chi giunge in Italia in modo irregolare, soprattutto per far sì che i centri non appaiano ciò che non sono (fatto che si verifica anche per i tempi lunghi di permanenza). Spero si possa fare maggior chiarezza su questo aspetto. La ringrazio.


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GIANPIERO D'ALIA. Per prima cosa, le auguro buon lavoro, signor ministro. La ringraziamo di essere qui e di avere, anche in questo, rispettato quella che dovrebbe essere la regola per tutti, ma che certamente lo è sempre per i ministri dell'interno: il dialogo, il rapporto continuo con il Parlamento e la necessità avvertita di affrontare questioni delicate, come la sicurezza in tutte le sue forme, nella sede istituzionale più importante del nostro paese. Dico che questa dovrebbe essere una regola per tutti, ma intanto siamo soddisfatti del fatto che lo sia per lei, così come lo è stata per il suo predecessore.
Comprendo bene che questo è il suo primo incontro, in cui ci teniamo tutti su considerazioni di carattere molto generale e - anche per rispetto dei tempi e dei colleghi che devono parlare dopo di me - cercherò di porre alcune questioni in maniera estremamente sintetica e mi auguro comprensibile.
Intanto apprezzo il metodo con il quale lei ha esposto la sua relazione, perché credo che la gestione di un dicastero fondamentale per la sicurezza e la tenuta delle istituzioni democratiche del nostro paese, come il Ministero dell' interno, debba essere sempre improntata alla prudenza, al rispetto della continuità delle scelte, che sono molte volte di taglio istituzionale più che politico e devono poi anche essere seguite da assunzione piena di responsabilità, soprattutto quando vi sono passaggi delicati di carattere interno e internazionale.
Noi tutti, intanto, esprimiamo apprezzamento per la notizia che lei cortesemente oggi ci ha dato sui provvedimenti che riguardano la restrizione di 45 personaggi della criminalità organizzata in Sicilia. Ritengo che questo sia frutto di un lavoro improntato alla continuità dell'azione; quando sulla lotta alla criminalità organizzata c'è una unità di intenti e questa diventa un terreno di valori condivisi, l'unità rende più efficace l'azione dello Stato e più credibile l'azione che lo stesso, nelle sue diverse forme, dalla polizia alla magistratura, fa a presidio e a garanzia della legalità.
Su una delle questioni che lei ha affrontato, non le nascondo che esprimo una certa preoccupazione di carattere generale, relativa al decreto-legge sulla riorganizzazione del Governo, che esamineremo quando ci sarà consegnato dai colleghi del Senato. In particolare, vorrei qualche chiarimento su due aspetti.
Il primo riguarda i temi dell'immigrazione. Dopo la realizzazione, in attuazione della legge Bossi-Fini, dello sportello unico per l'immigrazione, cioè la struttura coordinata tra il Ministero dell'interno e l'ex Ministero del welfare, che è forse l'unico esperimento concreto di realizzazione delle prefetture come uffici territoriali del Governo, mi chiedo se, avendo scorporato il Ministero del welfare e avendo definito questo Ministero della solidarietà sociale e dell'immigrazione, la cabina di regia delle politiche dell'immigrazione resti - come personalmente ritengo - in capo al Ministero dell'interno o se, viceversa, cambi questo assetto, il che oggettivamente potrebbe creare una serie di problemi. È evidente che il 70 per cento del carico di lavoro è in capo al Ministero dell'interno ma ricordo che le competenze del Ministero del welfare erano certamente importanti, perché legate alla parte non solo della cosiddetta integrazione sociale, ma anche del meccanismo di determinazione delle quote dei flussi di immigrazione. Credo, quindi, che questo raccordo, partito con lo sportello unico per l'immigrazione, sia un valore che debba essere coltivato e portato avanti anche sotto il profilo amministrativo.
L'altra questione sulla quale vorrei avere maggiori chiarimenti riguarda l'attribuzione delle competenze in materia di autonomie locali al Ministero per gli affari regionali. La materia relativa alla vigilanza, alla finanza degli enti locali e alle procedure speciali ed eccezionali che riguardano gli interventi di rimozione o di scioglimento dei consigli comunali è una materia molto delicata che è in capo ai prefetti. È necessario sapere se resta o meno ad essi e capire di cosa si occuperà il Ministero per gli affari regionali in


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materia di enti locali. Ritengo che questa, al di là dei termini nominalistici, sia una questione di sostanziale rilievo.
Ci sarebbe da dire moltissimo sul tema dell'immigrazione, che lei ha affrontato per primo, ma concentrerò il mio intervento su tre aspetti.
Il primo è di politica estera. Le chiedo cosa lei ritiene che il suo Ministero ed il Governo debbano fare, ad esempio, in un rapporto, che è controverso, con la Libia, che, negli anni, attraverso forme di collaborazione, ha cercato di affrontare in termini concreti il problema delle migrazioni, anche quelle che, con grande consistenza e continuità, arrivano dal Sud Africa. È molto importante il tema di una cooperazione che consenta di prevenire o, comunque, di tentare di regolarizzare flussi che, obiettivamente, anche in questi ultimi mesi, interessano tutte le coste siciliane e, in particolar modo, Lampedusa.
Ritengo che la normativa in materia di immigrazione abbia bisogno di una omogeneità comunitaria perché comunitario è anche il problema. Un punto comunitario di accordo è stato raggiunto sul diritto d'asilo, ma noi possiamo, al di là del regolamento della Bossi-Fini, affrontare questo tema con maggiore concretezza anche in Parlamento. Ritengo sia un dato positivo quanto lei ha riferito sulla necessità di andare avanti sulla strada di Schengen e, soprattutto, di salvaguardare quella parte della normativa sull'immigrazione che riguarda, non solo il sistema sanzionatorio, ma anche quello relativo alle procedure di identificazione.
Le procedure di identificazione dipendono dalla collaborazione degli Stati di provenienza: laddove, infatti, vi è la collaborazione, il trattenimento nei centri rimane al di sotto dei trenta giorni (credo che la media sia quella di quindici o venti giorni); laddove essa invece non è presente, vi è una difficoltà di identificazione, per cui la norma che consente di protrarre la permanenza fino ad un massimo di sessanta giorni risulta essere di buon senso perché funzionale all'identificazione del migrante.
Su questo tema mi permetto di segnalare la necessità di andare avanti sulla strada della realizzazione, ma anche dell'apertura dei centri di permanenza già realizzati (mi riferisco ad esempio a quello di Bari, così come al centro di identificazione di Gorizia), e di procedere nella strada della realizzazione di centri polifunzionali per l'immigrazione e l'integrazione attraverso la costruzione e la realizzazione dei centri di identificazione, che sono funzionali a rendere attuale la normativa sul diritto d'asilo, cioè la distinzione tra l'immigrazione irregolare e le garanzie costituzionali sugli asilanti. Se non andremo avanti su questa strada, al di là del lavoro che la Commissione da lei insediata o da insediare dovrà svolgere, non riusciremo mai a mettere un punto concreto su tali questioni.
Procedo velocemente, perché credo che vi siano molte questioni da esaminare.
Sono contento della circostanza che finalmente sia stata ceduta al Ministero dell'interno, dopo una lunga ed estenuante battaglia, la caserma Adorno di Lampedusa, poiché ciò consente di ampliare quello che era stato trasformato in un centro di assistenza e di primo soccorso con la collaborazione delle associazioni non governative (mi riferisco a Lampedusa), augurandomi che anche il lavoro di completamento e di miglioramento di quella sede precaria siano stati realizzati.
Ritengo che non dobbiamo scandalizzarci sul tema della legge Bossi-Fini, perché tutte le normative sull'immigrazione sono, per definizione, necessariamente da adeguare e da modificare. Credo che vi siano alcuni aspetti che potranno essere, dopo un dibattito da svolgere, ove lei lo riterrà, anche in questa sede, oggetto di approfondimento, e mi riferisco ai regolamenti attuativi.
Vi sono questioni, come, ad esempio, quella dell'allineamento tra la legge Bossi-Fini e la Biagi, e cioè le tipologie dei rapporti di lavoro, che non sono tutte contemplate dalla legge Bossi-Fini - essendo tra l'altro la legge Biagi successiva - che devono essere oggetto di discussione. Ciò che è importante è essere d'accordo


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sui principi, per quanto riguarda, ad esempio, il mantenimento del contratto di soggiorno.
Prima di concludere, vorrei trattare altre due questioni, la prima delle quali riguardante la lotta al terrorismo.
Lei ha posto un tema molto delicato e a tale proposito ricordo che vi è una richiesta dei gruppi di opposizione di svolgere una indagine conoscitiva sui problemi della sicurezza, indagine che abbiamo deciso di proporre solo dopo lo svolgimento dell'audizione del ministro dell'interno. Tale questione importante, che già si è presentata in Commissione a proposito della discussione sulla legge istitutiva della Commissione antimafia, concerne l'ampliamento delle competenze delle strutture anticrimine organizzato esistenti, della polizia e della magistratura, anche alla lotta al terrorismo interno e internazionale, tema peraltro molto delicato sul quale ancora non abbiamo, ed è naturale che sia così, compreso se vi sia un orientamento del Governo e se questo sarà affidato al confronto parlamentare.
Credo che sarebbe opportuno applicare il principio di sussidiarietà al concetto di sicurezza - con riferimento alla cosiddetta sicurezza partecipata e alla sicurezza sussidiaria (come si è detto con riferimento alla sicurezza negli stadi) -, facendo svolgere a privati ciò che il pubblico non necessariamente deve fare, al di là delle competenze connesse al ruolo dello Stato.
Da ultimo, come accennato dal collega Bocchino, siamo molto preoccupati della disinvoltura con la quale alcuni suoi colleghi di Governo ed alcuni esponenti della sua maggioranza intendono affrontare il problema della droga. Non mi riferisco solo allo smantellamento del dipartimento per le politiche antidroga esistente presso la Presidenza del Consiglio, ma anche alla circostanza di una criminalizzazione di una legge approvata da un'altra maggioranza parlamentare. Ritengo che su tale tema sarebbero opportune maggiore prudenza e maggiore incisività, in quanto credo sia errato immaginare di continuare ad affrontare una questione così delicata attraverso l'estemporaneità di proposte riguardanti «stanze del buco» o altre idee che, di volta in volta, vengono in mente a qualcuno. Si tratta di un tema particolarmente serio, al quale so che lei, signor ministro, è stato da sempre attento, che non può essere affidato all'improvvisazione di questo o di quello.
Su tali questioni siamo aperti al confronto, in quanto riteniamo che le politiche della sicurezza debbano essere oggetto di incontro - e non necessariamente di scontro - tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione.

PRESIDENTE. L'onorevole Amici aveva chiesto di integrare il suo precedente intervento sottolineando una questione che ritengo non sia di suo esclusivo interesse.

SESA AMICI. Signor ministro, si pone il problema di affrontare la questione del terzo mandato, visto che anche nelle ultime competizioni elettorali molti sindaci - anche nella regione nella quale sono stata eletta - si sono ripresentati nonostante il divieto previsto dalla legge per i piccoli comuni.
Le chiedo dunque un chiarimento in proposito, in quanto ritengo ne vada della nostra democrazia e del rispetto delle nostre leggi.

MARCO BOATO. Signor ministro, mi associo ai ringraziamenti rivolti nei suoi confronti dai colleghi Amici e D'Alia. Ho notato che il collega intervenuto per primo ha usato un atteggiamento diverso; tuttavia io continuo ad usare nei suoi confronti lo stile che, quando eravamo all'opposizione, abbiamo usato nei confronti del ministro Pisanu tutte le volte che è venuto in questa sede ad affrontare temi che vanno al di là di una maggioranza di Governo, riguardando le istituzioni del nostro paese.
Pertanto, ritengo che lei, signor ministro, abbia fatto bene, nella fase iniziale della sua relazione, da una parte a coniugare il concetto di sicurezza con quello di legalità e di rispetto dei diritti - non ponendo in alternativa questi aspetti fondamentali della convivenza democratica -


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e, dall'altra, ad accennare a quanto avvenuto questa notte, vale a dire all'importante operazione di polizia giudiziaria nella lotta contro la mafia, con riferimento alla quale vorrei citare le affermazioni del senatore Carlo Vizzini di Forza Italia riportate dalle agenzie mentre lei, signor ministro, iniziava il suo intervento: «Le mani di Cosa Nostra sembrano essere davvero dovunque e se la politica non saprà fare la propria parte ancora una volta la Piovra risorgerà.(...) Il tema centrale resta però quello di una politica che deve sapersi guardare dentro con coraggio, eliminando tutto il marcio. La questione del rapporto tra mafia e politica diventa ineludibile e centrale e i partiti devono assumersi la responsabilità di affrontarla e subito. Senza chiacchiere e fronzoli, se la politica non ha il coraggio di stare in prima linea accanto agli inquirenti, ogni sforzo sarà vano e mentre noi continuiamo a parlare...»
Condivido testualmente le affermazioni del senatore Carlo Vizzini. Siccome si tratta di un tema delicato e, forse, drammatico per alcuni aspetti, a causa di quanto sta emergendo in queste ore, ho voluto riproporre tali considerazioni in quest'aula, visto che venivano espresse anche con riferimento a lei, nel momento in cui si accingeva a svolgere la sua relazione.
Del resto, lei sa che il primo adempimento istituzionale di questa Commissione, prima ancora della programmazione dei nostri lavori, è stato il varo in sede referente della Commissione antimafia. A tal proposito, mi associo alla richiesta avanzata dal collega D'Alia riguardo alla tematica di una qualche connessione eventuale con la questione del terrorismo internazionale, che è stata posta in questa sede anche attraverso un mio emendamento e che non è stata finora risolta, forse in vista della seduta di martedì prossimo. Forse, un preciso orientamento del Governo al riguardo potrebbe essere utile.
Molto rapidamente le sottoporrò alcune questioni flash, senza argomentare le mie richieste. Le chiedo, innanzitutto, se, come rappresentante del Governo e non solo come ministro dell'interno, intenda presentare nuovamente il disegno di legge sulla libertà religiosa che fu presentato dal Governo Prodi due legislature fa e che, nella scorsa legislatura, fu proposto dal Governo Berlusconi. Tale testo era da noi condiviso, ma, ad un certo punto, solo l'opposizione ne chiese l'approvazione. Peraltro, ne chiedeva l'approvazione anche il suo predecessore, il ministro dell'interno Pisanu, ma veniva regolarmente smentito da alcuni «pezzi» della sua maggioranza proprio in quest'aula ed anche in Assemblea.
Personalmente, con altri colleghi, ho presentato nuovamente questa proposta di legge, senza cambiare nulla, nel testo originario, senza le deformazioni introdotte successivamente. Credo, però, sarebbe utile che fosse il Governo ad assumersi la responsabilità istituzionale. E ritengo che non sia privo di rilevanza il fatto che un testo presentato da un Governo di centrosinistra nella XIII legislatura sia stato ripresentato pressoché identico dal Governo di centrodestra nella scorsa legislatura, e che comunque non abbia concluso il suo iter per qualche integralismo interno alla maggioranza.
Diritto di asilo: lei lo ha giustamente citato ed ha menzionato anche l'inadempienza dell'Italia sotto il profilo interno ed internazionale. La collega Amici ha giustamente ricordato il lavoro che tutti noi svolgemmo insieme al relatore, collega Soda. Ho presentato personalmente anche questo testo, chiedendo l'autorizzazione all'onorevole Soda, che in questa legislatura non è più parlamentare, ed ottenendo il suo assenso convinto. Credo che anche su questa materia una iniziativa del Governo sarebbe importante.
Per quanto riguarda le tematiche che lei ha affrontato con tono non demagogico e non declamatorio e con una grande capacità di riflessione critica che ho molto apprezzato rispetto a tutte le questioni dell'immigrazione, le chiedo di valutare se, oltre ad eventuali iniziative parlamentari, non sia utile anche un'iniziativa da parte del Governo, proprio perché a livello di Ministero dell'interno vi è una più ampia


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consapevolezza rispetto a tutte le questioni emerse, che lei ci ha indicato, una dopo l'altra, con molta serenità, ma con molto rigore.
La stessa questione - poiché si tratta di temi di carattere istituzionale fondamentale - si pone rispetto alla cittadinanza evocata sia dalla collega Amici sia più volte dal collega D'Alia. Nella scorsa legislatura solo l'UDC, tra le forze del centrodestra, insisteva regolarmente su questo tema e ne ho dato atto pubblicamente. Speriamo che questa determinazione si possa allargare anche ad altri colleghi in questa legislatura.
A ciò aggiungo un tema che è stato posto in varie realtà comunali, ma che è stato difficile affrontare in assenza di una legge statale: mi riferisco al diritto di voto dei cittadini immigrati residenti da un certo numero di anni in Italia sul terreno amministrativo. Anche a tale riguardo, è stata già presentata una proposta di legge; su questo tema si è pronunciato anche il Consiglio di Stato in sede consultiva e, pertanto, lo stesso andrebbe affrontato con un'iniziativa di carattere istituzionale, oltre che parlamentare, e soprattutto in modo uniforme sul terreno nazionale, avendo i comuni maturato diverse esperienze al riguardo.
Sempre riguardo ad iniziative che possono, opportunamente, essere assunte da lei e dal Governo di cui ella fa parte, una specifica riguarda il tema che abbiamo affrontato alla fine della precedente legislatura e che abbiamo rimesso all'ordine del giorno. Mi riferisco alla questione del referendum - tenutosi in forza dell'articolo 132 della Costituzione e che ha interessato il comune di Lamon in provincia di Belluno - rispetto alla quale, purtroppo, il Governo precedente, anche se ripetutamente sollecitato, era rimasto inadempiente. Credo che questo Governo non possa più tollerare l'inadempienza appena segnalata.
Signor ministro, riguardo alla questione dell'election day - o, comunque, dell'accorpamento - forse lei sa, o ricorda, che proprio l'attuale presidente Violante - come, del resto gli altri capigruppo dell'allora opposizione (il sottoscritto e gli onorevoli Castagnetti e Giordano) - presentò nella scorsa legislatura una proposta di legge ispirata alla semplificazione ed all'accorpamento. Al riguardo, ho osservato che dopo le elezioni amministrative qualche esponente del centrodestra - lo dico pacatamente - ha lamentato che vi erano state troppe elezioni non precedentemente accorpate. Noi per molti mesi avevamo chiesto di accorparle presentando una proposta di legge firmata - lo ripeto - da tutti i capigruppo dell'allora opposizione. Spero che, come da lei stesso auspicato, questa sia l'occasione buona per un giusto ripensamento bipartisan, quindi mi associo al suo auspicio.
Sulla questione sollevata anche dalla collega Amici, credo che lei troverà sicuramente nella maggioranza di questa Commissione, nonché nell'opposizione - anche se non posso parlare a loro nome pur avendo fiducia circa il loro agire -, un sostegno perché non sarà facile operare avendo a riferimento un contesto di scarse risorse economico-finanziarie che richiede scelte anche di carattere strategico. Quella che riguarda l'interno è sicuramente una scelta di carattere strategico.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Boato. Colleghi, vista l'ora - sono le 13,28 - rinvierei il seguito dell'audizione ad altra seduta, pregandovi di rimanere ancora per un minuto poiché ho da fare delle comunicazioni ..

ROBERTO COTA. Presidente, scusi ma non vi è stata parità di trattamento! Con quale criterio alcuni gruppi hanno parlato oggi ed altri no?

PRESIDENTE. Hanno parlato due gruppi di maggioranza e due di opposizione.

ROBERTO COTA. Perché sono stato scelti quei colleghi?

PRESIDENTE. Secondo l'ordine di iscrizione a parlare.


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ROBERTO COTA. Presidente, scusi, vorrei intervenire anch'io.

PRESIDENTE. Avevamo deciso che la seduta sarebbe terminata alle 13,30, ma se ce la fa a parlare in tre minuti...

ROBERTO COTA. In cinque. Tra l'altro, chiederei al ministro di fermarsi per un altro quarto d'ora così da riuscire a chiudere.

PRESIDENTE. Onorevole Cota, mi scusi ma avevamo deciso di concludere la seduta per le 13,30. Le iscrizioni a parlare sono definite alternativamente tra maggioranza ed opposizione; lei comunque potrà esprimere il suo giudizio nelle sedi in cui lo riterrà; tra l'altro, adesso spettava intervenire all'onorevole Cicchitto che, in questo momento, è non è presente. Comunque, ritengo sia preferibile procedere ordinatamente.
Rinvio quindi il seguito dell'audizione a martedì prossimo alle ore 11,30, giorno in cui il ministro sarà di nuovo con noi per consentirci di completare gli interventi e per replicare ad essi.

La seduta termina alle 13,30.