COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 5 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUCIANO VIOLANTE

La seduta comincia alle 9,05.

Seguito dell'audizione del ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, Linda Lanzillotta, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, Linda Lanzillotta, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire.

MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Ministro, la ringrazio per essere qui e le faccio gli auguri di buon lavoro per un incarico complesso - come è stato riconosciuto da più colleghi - e prima di tutto per il rapporto con una serie di altri ministeri, con cui elaborare congiuntamente linee di riforma per quanto riguarda la pubblica amministrazione e il tema delle riforme istituzionali, in particolare relativamente al complesso e delicato rapporto con le regioni e con il sistema delle autonomie.
Quest'ultimo, nella precedente legislatura, ha subito una battuta d'arresto, anche nei rapporti di leale cooperazione e collaborazione che normalmente si devono avere tra le varie istituzioni, così come previsto dalla Costituzione. Abbiamo assistito invece a un maggiore accentramento ad opera di provvedimenti, interventi dei ministeri e del Governo, complessivamente non certo a favore del sistema delle autonomie e delle regioni.
In alcuni provvedimenti siamo tornati addirittura ante Titolo V. Vorrei ricordare, a titolo esemplificativo, che nella Conferenza Stato-regioni, con il decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, passavano provvedimenti attinenti addirittura alle materie del decentramento - stiamo quindi parlando di tempi abbastanza lontani - anche prima delle altre riforme. Nella passata legislatura si è registrato un atteggiamento molto spinto sul tema della riforma costituzionale, poi non confermata dal referendum, e al tempo stesso una serie di provvedimenti, sui quali mi auguro che lei, signor ministro, interverrà per mettere un po' d'ordine.
Credo che il tema della riforma della Conferenza Stato-regioni - cui lei accennava - sia centrale, poiché riguarda il luogo della leale collaborazione e cooperazione - quanto mai necessarie sui temi fondamentali del Governo e non solo sugli assetti istituzionali di un paese - che può divenire importante solo se oggetto di una riforma consistente.
Peraltro si tratta di una riforma possibile e praticabile senza scomodare particolari assetti costituzionali, almeno per il momento. La riforma può essere poi molto fruttuosa: in quel luogo passano provvedimenti dai più banali ai più complessi, svuotando in tal modo la stessa Conferenza Stato-regioni di reale potere di codecisione e di concertazione.
Qualunque sia la strada che imbocchiamo sulla questione del Titolo V, il tema della leale cooperazione e collaborazione tra le istituzioni non si potrà mai eludere. Il governo condiviso di una Repubblica ripartita in una serie di istituzioni che non hanno più un rapporto gerarchico tra loro è un tema centrale, squisitamente affidato alla politica e soprattutto


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a un modo di intendere il governo non soltanto come capacità di dirigere dal centro, ma come una più complessa governance che tiene insieme vari soggetti istituzionali e costruisce una proposta di sintesi e di governo generale del paese.
Altro tema importante, cui lei ha accennato, riguarda il contenzioso determinatosi tra Stato e regioni. In realtà, si potrebbero verificare i punti di maggiore crisi, molti dei quali sono stati provocati dalla mancanza di dialogo, protagonista della passata stagione e che ha dato luogo talvolta a irrigidimenti del sistema regionale, o addirittura trasversali, cioè non tanto imputabili all'una o all'altra coalizione, data la sottovalutazione del ruolo affidato dalla nostra Costituzione alle regioni.
In sostanza, condivido moltissimo la sua relazione e ne apprezzo i contenuti. Mi sono soffermata soltanto su questi punti per averli vissuti direttamente; auspico che su di essi si possa andare avanti con riforme che prevedano provvedimenti legislativi o semplici atti amministrativi. Ritengo che ciò potrà contribuire anche ad avviare i tavoli cui si faceva riferimento nonché il discorso più generale degli assetti e delle riforme istituzionali. Grazie e buon lavoro.

MICHAELA BIANCOFIORE. Ministro, la ringrazio innanzitutto per aver svolto un discorso molto articolato che - come già precedentemente detto nel mio intervento in sede di audizione del ministro Amato - tocca una materia che sta particolarmente a cuore alla comunità italiana dell'Alto Adige, quella delle minoranze. Nel fare un discorso più generale, mi fa piacere che in base alla nuova delega sia il ministro non soltanto per gli affari regionali, ma anche per le autonomie locali.
Tuttavia, con tutto il rispetto - ovviamente non mi rivolgo alla sua persona -, le autonomie locali vanno conosciute nei loro aspetti più peculiari. Quindi, per quanto riguarda le autonomie locali, e specialmente per quella speciale dell'Alto Adige, vorrei chiederle di non avere pregiudizi di tipo politico.
Purtroppo, gran parte del suo discorso - assolutamente apprezzabile - cozza completamente con la realtà della provincia autonoma di Bolzano. Giustamente, il suo Governo è orientato verso le liberalizzazioni con il metodo della concertazione, che peraltro sta fallendo, come si è visto in questi giorni. Però di liberalizzazioni, in particolar modo in Alto Adige, non si vede l'ombra. L'Alto Adige è il monopolio per eccellenza, anche per quando riguarda la delega di competenze.
Abbiamo parlato di riforme costituzionali, ma la nostra riforma è stata bocciata. A mio parere, si è fatto un passo indietro. Tuttavia, è rimasto il Titolo V della Costituzione, che si fonda sul principio di sussidiarietà orizzontale e verticale. In Alto Adige accade l'esatto contrario: c'è un monopolio del potere provinciale e di fatto nessuna delega ai comuni. Inoltre, la nostra provincia autonoma con grande entusiasmo - credo che ciascuno di voi possa inorridire davanti a tale affermazione - afferma che «la provincia è la più grande impresa della provincia». Si tratta delle parole del presidente della provincia autonoma di Bolzano, il quale, tra l'altro, si caratterizza anche per la sua capacità di dare interpretazioni alle leggi emanate.
Signor ministro, mi spaventa quando lei, in buona fede, insieme al Presidente Prodi - mi lasci dire forse meno in buona fede, visto l'indispensabilità dei voti della Südtiroler Volkspartei in Parlamento e in particolar modo al Senato - annuncia che prima di impugnare le leggi della provincia o delle regioni sarebbe bene studiare le situazioni, per evitare conflitti di attribuzione davanti alla Corte costituzionale che, soprattutto fra province autonome di Trento e di Bolzano e Stato, sono molteplici. Queste dichiarazioni sono sue: sono state rilasciate non solo qui in Commissione, ma anche ai giornali, in occasione del forum sull'economia in Trentino.
Comunque, mi pregio di annunciarvi che con il Governo di centrosinistra i conflitti di attribuzione sono stati maggiori


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rispetto a quelli registrati durante il Governo di centrodestra: 49 con il centrosinistra, 29 con il centrodestra. Quindi è da sfatare il mito secondo il quale col vostro Governo si intratterranno rapporti più costruttivi, come le avranno detto gli esponenti del partito di maggioranza assoluta in Alto Adige e come ho visto nelle sue dichiarazioni. Sul piano politico non vi sono dubbi, ma su quello istituzionale sarà tutto da verificare.
Credo e voglio avere la certezza che lei qui rappresenti innanzitutto lo Stato e quindi il Governo italiano e che abbia a cuore la salvaguardia dei diritti costituzionali attribuiti allo Stato italiano. D'altra parte, basta verificare quante sentenze della Corte costituzionale ci sono state nei confronti della provincia autonoma di Bolzano. Non credo che la Corte costituzionale faccia politica: vi sono state violazioni delle prerogative costituzionali. Violazioni che vengono tentate a piè sospinto ogni volta vi sia una possibilità di intervenire e nessuno se ne accorga.
Purtroppo, con il Titolo V della Costituzione sono venute meno le prerogative del commissario del Governo e il potere di firma. Per fortuna, nonostante i vari conflitti di attribuzione, la Corte costituzionale sentenzia sulla base del diritto e non della partigianeria politica.
Vengo ad un altro discorso da lei affrontato, quello delle commissioni paritetiche. Le chiedo di sentire entrambe le parti quando si tratta di normative di attuazione rispetto allo Statuto di autonomia. Storicamente, quando fu approvato il pacchetto di leggi per l'Alto Adige, le norme di attuazione dovevano essere quattro; basta chiedere al presidente Andreotti per averne certezza. Oggi credo che abbiamo superato le 250, attraverso le commissioni paritetiche, che non davano parere vincolante, costituzionalmente parlando, ma che purtroppo sono diventate vincolanti. Oggi di fatto abbiamo un parlamentino, che si chiama Commissione dei sei e dei dodici, che esautora il Parlamento e preconfeziona norme che il vostro Governo sarà solo chiamato a ratificare. Si tratta di norme spesso e volentieri non solo a danno di una comunità specifica ma, a mio parere, anche antidemocratiche. Con il vostro Governo ci troveremo di fronte a questo problema se non volete capire che oggi non parlo solo come esponente politico di un partito di opposizione, ma anche come rappresentante della minoranza italiana dell'Alto Adige, la vera minoranza esistente in Alto Adige.
Nella provincia autonoma di Bolzano - nel corso dei mesi finirò per annoiarvi su questa situazione - non c'è una minoranza soltanto, ve ne sono ben tre. Per me che sono italiana dell'Alto Adige, è come un pezzo di cuore parlare della situazione nella quale si trova la mia terra. È una terra straordinaria, plurilingue, mistilingue, che avrebbe l'occasione straordinaria di essere il ponte verso l'Europa e che invece vive una situazione purtroppo ancora in gran parte sconosciuta al Parlamento e all'Italia in generale.
Ci sono situazioni - lo ribadisco - nelle quali bisogna entrare un po' più profondamente, anche mettendo da parte talvolta la partigianeria politica. Mi riferisco, ad esempio, all'ottimo lavoro che ha fatto precedentemente il ministro La Loggia, e non perché esponente del mio partito: un ministro siciliano a digiuno di situazioni locali che aveva avviato il metodo della concertazione all'inizio del suo mandato con riguardo all'Alto Adige, come anche lei ha annunciato, e che poi ogni volta si è visto tradire la parola data da entrambe le parti.
Avrà visto presso il suo Ministero che esiste una commissione per la toponomastica, parola che - a parte i cartelli - molto spesso non si sa a cosa si riferisca, ma che attiene a una realtà che tocca l'Alto Adige. Disprezzo - non ho paura a dirlo - ciò che fece il fascismo in Alto Adige, ma allo stesso tempo non posso accettare, da liberale, quello che vi sta accadendo oggi, cioè l'esatto contrario. Se prima c'è stata una italianizzazione forzata, oggi c'è una tedeschizzazione forzata. La commissione della toponomastica era costituita in maniera paritetica, nonostante il Governo fosse in mano alla maggioranza del centrodestra, ed era stato


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attuato un metodo di consenso per cercare di arrivare a una definizione della micro e macro toponomastica in Alto Adige.
Ebbene, nonostante avesse accettato il metodo, oggi la Volkspartei, o meglio la provincia, ha proposto un disegno di legge provinciale, che mi auguro questo Governo voglia impugnare quanto prima, nel quale vi è di fatto una pulizia linguistica; chiamiamo le cose con il loro nome.
I toponimi riconosciuti dallo Stato italiano sono circa 9 mila, mentre la legge della provincia ne riconosce circa 200: in pratica viene completamente cancellato il nome italiano che ormai è storia. Vengono cancellati i 9 mila toponimi riconosciuti con legge dello Stato e si trasferisce alla provincia il potere di riconoscerne bilingue soltanto 200, dopodiché si delega ai comuni. Dovete sapere che alcuni sindaci dei comuni dell'Alto Adige nottetempo vanno a togliere i cartelli italiani delle indicazioni delle città e delle vie. Non sto scherzando, purtroppo sono cose tristi che però potete trovare sulla stampa locale. Ministro, siamo in Italia, a meno che non vogliamo sentenziare il contrario! Se poi vogliamo arrivare a un processo di autodeterminazione, come previsto dal disegno di legge costituzionale del Presidente Cossiga, parliamo di altri livelli. Allora va benissimo la più ampia autonomia, però a questo punto iniziamo un processo inverso, anche di risarcimento, per le popolazioni locali.
Non credo che questo Governo voglia arrivare a tanto. Al di là della partigianeria politica, credo che abbia il compito di comprendere che in Alto Adige vi sono 300 mila tedeschi e 100 mila italiani. Come dicevamo, lei ha voluto sancire la compattezza e definire la pienezza della suddivisione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Ma, nella nostra realtà - è di ieri la notizia della richiesta di una sezione del Consiglio di Stato di lingua tedesca o comunque con giudici eletti in Alto Adige -si attua il passaggio degli uffici amministrativi giudiziari alla provincia autonoma, grazie ad una norma che si troverà ad affrontare molto presto e della quale credo che tutti gli organi dello Stato le abbiano già dato notizia, con il paradosso che gli uffici giudiziari rispondono al potere politico provinciale, anziché allo Stato.
Ministro, vanno bene l'autonomia, le regioni, il federalismo - che, lei ha detto, unisce e infatti deriva dal verbo latino foedere -, ma attenzione a non creare Stati negli Stati, e non solo per quanto riguarda l'Alto Adige. Attenzione a non creare piccoli rais locali, che non si ritorni all'Italia dei campanili: le riforme devono essere fatte, ma qualcuno alla fine deve decidere. Non è possibile smembrare lo Stato fino a questo punto.
Da noi la realtà è completamente diversa. Quando i miei colleghi della Südtiroler Volkspartei cercano di mettere sullo stesso piano - il loro è un gioco politico intelligente - le cinque regioni a statuto speciale, dimenticano di dirvi che la regione Trentino-Alto Adige non esiste più: è stata completamente smembrata. Oggi, ministro, lei ha parlato di efficienza, di sburocratizzazione, cose nelle quali crediamo profondamente anche noi, ma in realtà il Trentino-Alto Adige è un juke-box solo per i soldi e per mantenere posti per alcune persone, per alcuni assessori: la regione non ha più alcuna delega.
Ministro, lei ha la preparazione e l'intelligenza politica per capire che, laddove si dà un potere così forte a entità locali così piccole, il condizionamento quotidiano politico è assoluto e l'aria è realmente irrespirabile. Pertanto, quando le sarà possibile, la prego di ascoltare anche l'opposizione, che per quanto riguarda la provincia autonoma di Bolzano non è un'opposizione politica, bensì la rappresentanza degli italiani. Quando parlerò di Alto Adige in questa sede lo farò a nome di 100 mila italiani, visto che il mio partito è quello che ha avuto più voti in Alto Adige. La prego di mettersi dalla parte degli interessi del Governo e dello Stato italiano.
Concludo dicendo che per me, e credo anche per il mio partito, autonomia coincide con il concetto di libertà. Allora, cerchiamo di realizzare le riforme approfondendo realmente il concetto di libertà e applicandolo fino in fondo, guardando


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nella peculiarità dei meandri, delle realtà locali, conoscendo le reali applicazioni del principio di sussidiarietà.
Termino con uno spunto poco istituzionale, ma molto divertente: credo che l'unico posto dove non sia stato attuato lo sportello unico per le imprese, istituito con la riforma Bassanini, sia l'Alto Adige.

FRANCO RUSSO. Innanzitutto mi scuso con l'onorevole Lanzillotta per non aver potuto ascoltare di persona la sua relazione. Ho avuto comunque modo di leggerla e la trovo caratterizzata da una fortissima tensione intellettuale, da un rigore espositivo molto netto e soprattutto da una chiarezza degli obiettivi che il ministro per gli affari regionali e le autonomie locali si è preposto. Farò quindi pochissime considerazioni, dato che condivido la relazione al 90 per cento.
Mi permetta, presidente, di dire che vorrò dialogare con l'onorevole Biancofiore per quanto riguarda la concezione delle minoranze nel Sud Tirolo la prossima settimana, quando interverrò sulla relazione svolta dall'onorevole Amato. Trovo che le argomentazioni che porta l'onorevole Biancofiore siano molto appassionate, e dunque da rispettare, ma contemporaneamente è necessario aprire una discussione schietta e franca fra di noi.
La relazione dell'onorevole Lanzillotta ha esposto con nettezza lo stato delle cose nel nostro paese dopo l'approvazione della legge costituzionale n. 3 del 2001 e ha colto con onestà i limiti di quella riforma, peraltro evidenziati da una serie di sentenze della Corte costituzionale che hanno messo in luce l'impossibilità di legiferare per materia, cioè come se vi fossero ambiti per i quali è possibile delimitare le competenze. La Corte non solo ha voluto salvaguardare il discorso dell'interesse nazionale o generale, ma a mio avviso ha messo in luce il fatto che ormai dobbiamo ragionare in termini di legislazione complessa o organizzata: ormai sulla stessa materia intervengono differenti livelli legislativi, amministrativi e di conseguenza regolamentari.
Da qui l'impossibilità - mi pare che l'onorevole Lanzillotta l'abbia molto chiara, perlomeno da come ho interpretato il suo scritto - di una separazione netta fra le varie competenze legislative. Occorre dunque muoversi per promuovere tutte le sedi di cooperazione, soprattutto in fase ascendente, in maniera che i diversi enti, specialmente quelli legislativi come le regioni, possano partecipare alla definizione della decisione legislativa.
Condivido pienamente questo approccio, perché ritengo impossibile oggi svolgere un discorso di materia, sul quale pure la riforma del 2001 aveva lavorato, con un buon intento, rovesciando come ben sappiamo la disciplina fra Stato e regioni, ma con risultati piuttosto infruttuosi.
La Corte costituzionale, fin dalla famosa sentenza n. 303 del 2003, ha delineato un'altra modalità di azione, tanto da riservare allo Stato una sorta di supremacy clause e da spingere verso il modello del federalismo cooperativo, e non delle competenze.
Qui però dovremmo svolgere una riflessione comune, e spero che lei onorevole Lanzilotta possa essere sollecitata in questo senso, perché la legislazione organizzata - che io, ripeto, condivido perché ormai è lo stato delle cose - è tale a livello europeo, nazionale e regionale. Si dà il caso, però, che in questa legislazione complessa il soggetto legislatore, cioè il Parlamento, compreso quello europeo, rischia di svolgere un ruolo assolutamente secondario. I meccanismi sono abbastanza semplici, li descrivo nuovamente per far comprendere il mio ragionamento.
Prendiamo ad esempio una direttiva: questa viene decisa fondamentalmente con il metodo della codecisione dal Consiglio dei ministri a livello europeo, ma deve poi essere tradotta nella legislazione nazionale. Il Governo nazionale dunque già partecipa al Consiglio dei ministri, a livello europeo, poi nel Parlamento nazionale chiede una delega - l'abbiamo visto anche in questa legge comunitaria - ed è sempre il Governo, quindi, a legiferare, a volte passando per le Commissioni parlamentari, a volte no.


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In questo discorso della legislazione complessa o organizzata che dir si voglia, il vero dominus del procedimento allora sono gli esecutivi e il Governo. Su questo punto dobbiamo riflettere, se vogliamo dare un ruolo ai parlamenti nazionali che non sia solo di registrazione della volontà degli esecutivi.
Ripeto che in questa procedura sono gli esecutivi ad avere una funzione predominante e dunque la funzione degli organi rappresentativi viene sempre più a decadere. L'onorevole Lanzillotta sa quanto apprezzo la tecnoburocrazia europea: non ho nessun pregiudizio quindi nei confronti del ruolo che svolge anche a livello conoscitivo e di contributo fattivo nell'elaborazione delle leggi da parte di organi che in questa fase storica seguono i problemi della società con più attenzione di quanto dovrebbero fare le forze e i gruppi parlamentari. Ripeto, però, che questo è un punto su cui richiamo la sua attenzione per vedere se è possibile dare un maggior ruolo al Parlamento nazionale e ovviamente ai consigli regionali.
Seconda questione: io apprezzo molto il realismo che contraddistingue la linea che si è prefissa l'onorevole Lanzillotta, per esempio nel tentare di disboscare il contenzioso insorto all'indomani della riforma del 2001 fra Corte costituzionale e consigli regionali, coinvolgendo questi ultimi anche nella ridiscussione e nella ristesura dei provvedimenti su cui le regioni hanno sollevato conflitto di attribuzione, sottraendo così materia del contendere alla Corte costituzionale, sia per il passato sia soprattutto per il futuro. Infatti, dobbiamo riaffidare alla Corte Costituzionale il ruolo di organo istituzionale che interviene soprattutto sui diritti e non solo sui conflitti di attribuzione.
Condivido pienamente, onorevole Lanzillotta, il suo obiettivo di muoverci affinché nella revisione del Titolo V della Costituzione, compreso il federalismo fiscale (articolo 119), sia possibile ragionare per trasformare il Senato in una Camera delle regioni e delle autonomie locali. Per quanto riguarda la mia parte politica, troverà un sostegno deciso e determinato per muoversi in questa direzione, al fine di realizzare una riduzione del numero complessivo dei parlamentari. Nella nostra idea, il Senato, come seconda Camera, dovrebbe rappresentare gli enti territoriali e non più essere eletto direttamente dai cittadini e dalle cittadine. Ritrovare nel Senato un punto di raccordo fra organo nazionale e organi territoriali è una proposta molto convincente.
In ultimo, così come sono stato convintamente elogiativo della sua linea e della sua esposizione, ministro Lanzillotta, quale esponente del gruppo di Rifondazione comunista, esprimo un giudizio in merito al Titolo V della Parte II della nostra Carta costituzionale, e precisamente all'articolo 116, terzo comma, relativo al regionalismo asimmetrico: è stata più una rincorsa della Lega nel 2001 che non un atto convinto da parte del centrosinistra a fare in modo che le regioni più avanzate procedano in quella direzione. In questo periodo, al di là delle forzature, si è riparlato della cosiddetta «questione settentrionale» della regione lombardo-veneta. Non vorrei che, utilizzando il dettato del terzo comma dell'articolo 116, si realizzassero fughe in avanti, spinte separatiste e non più un federalismo che unisce. Probabilmente le mie sono preoccupazioni eccessive, ma il dettato dell'articolo 116, terzo comma, non ci ha mai convinto - infatti su tale argomento esprimemmo un voto contrario anche nel 2001 - così come non mi convince - e su ciò il nostro dissenso è antico - la sussidiarietà orizzontale ex articolo 118, ultimo comma: in verità si tratta della grande leva attraverso cui far passare la liberalizzazione nei servizi pubblici. Non mi dilungo, ma spero che avremo altre occasioni per parlarne. Sono assolutamente persuaso che - lo dico come affermazione apodittica - la tematica dei beni comuni, innovativa anche nella concezione della sinistra a cui appartengo, intesa cioè non più come pubblicizzazione dei servizi, come statalizzazione delle funzioni economiche, ma come possibilità di far gestire ai livelli corretti, attraverso la partecipazione dei cittadini, i servizi pubblici essenziali, sia


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un punto di rinnovazione dello stesso modello economico. Una leva di trasformazione dell'economia contemporanea, capitalistica, globalizzata sta proprio nella gestione dei beni comuni a partire da una gestione democratica. Quando dico beni comuni intendo quelli fondamentali: aria, energia, acqua, che a mio avviso dovrebbero essere gestiti in maniera innovativa attraverso forme di partecipazione anche nei servizi fondamentali relativi alla salute, ai trasporti, a quelli che tradizionalmente passano come beni pubblici.
Concludo dicendo che dovremmo svolgere una riflessione sulla grande distinzione fatta da Hirschman tra exit e voice, cioè tra i beni che sono procurabili attraverso il mercato, da cui si può uscire, perché comunque il pane lo posso comprare dal panettiere a fianco, e la voice che, invece, potrebbe essere utilizzata nei servizi pubblici. Penso che dovremmo perseguire l'utilizzazione della voice, cioè della partecipazione, della protesta, della verifica, quella che altre organizzazioni di volontariato chiamano dell'audit sociale. Sono assolutamente persuaso che la grande sfida posta dall'impresa capitalistica sia l'innovazione, ma penso che la sfida somma debba venire da parte di chi vuole cambiare questo modello economico a partire dai beni comuni e dal tipo di gestione che dobbiamo operare.
Su questo, invece, so che la sua posizione è nel senso di una liberalizzazione: non sto dicendo che sia per un attacco al welfare state, però lei ritiene, come molti altri - lo stesso dottor Mario Draghi nell'ultima relazione della Banca d'Italia ha detto che la concorrenza è strumento di equità -, che vi sia un'equazione tra concorrenza ed equità, di cui non sono assolutamente persuaso. Su questo punto spero che molto civilmente e col dialogo potremo avere scambi di idee in successive occasioni.

KARL ZELLER. Condivido pienamente la relazione del ministro Lanzillotta. Credo che in essa siano elencate in modo esaustivo e completo le problematiche del rapporto tra Stato e regioni. Negli ultimi cinque anni abbiamo assistito ad un fenomeno piuttosto paradossale: vi era un Governo sedicente federalista che però, nel rapporto con le regioni, non è mai riuscito a costruire un dialogo sereno e meno conflittuale. Anzi, invece di procedere sulla via del consenso, che anima anche la relazione del ministro, ha sempre cercato il metodo dell'imposizione dall'alto. Non a caso una delle ragioni dell'alta conflittualità tra Governo e regioni sta proprio in ciò: si voleva a tutti i costi dimostrare che la riforma del centrosinistra, la legge costituzionale n. 3 del 2001, fosse un fallimento.
Anche laddove all'interno dell'amministrazione dello Stato non c'erano i pareri favorevoli per impugnare le leggi regionali - mi richiamo alle impugnazioni dei vari statuti regionali della Toscana, della Liguria - si è sempre cercato per motivi politici di tenere alto il tasso conflittuale. Pertanto, credo che, attraverso l'idea di istituire una task force per verificare quali siano veramente i conflitti esistenti e attraverso il tentativo di cercare un comune assenso con le regioni, sarà possibile eliminare parecchi di questi conflitti, in parte davvero artificiosi.
In tal senso condivido questo spirito nuovo, a mio avviso di discontinuità rispetto al passato, perché in questo modo credo si possa lavorare meglio, non solo con le altre regioni a statuto ordinario e a statuto speciale, ma sicuramente anche con la provincia autonoma di Bolzano che ha sperimentato sulla propria pelle lo spirito che abbiamo sentito dalla collega che mi ha preceduto e dove spesso non si guardava alla sostanza, ma si tentava di animare una conflittualità che non aveva motivo di essere. Ricordo solo un episodio: dopo la vittoria del centrodestra, nel 2001, due ministri del Governo Berlusconi si precipitarono a Bolzano, presso il commissariato del Governo, per tenere una conferenza stampa, annunciando una serie di modifiche unilaterali dello statuto di autonomia e delle norme di attuazione e rifiutandosi persino di incontrare il presidente della provincia. Questo era l'approccio del centrodestra. Pertanto, sono


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molto contento e fiero che il nostro partito - che non è di sinistra, ma di centro - nelle ultime politiche si sia schierato con le forze del centrosinistra, in modo da porre fine ad una stagione di conflittualità.
Credo che un altro punto importante per consentire una nuova stagione di modifiche e di aggiornamento dei vari statuti speciali sia anche la proposta di legge che abbiamo presentato assieme ai capigruppo della maggioranza, per recepire una delle poche parti buone della riforma del centrodestra, vale a dire il principio dell'intesa per la modifica degli statuti.
Finora, c'è sempre stata paura a livello locale ad affrontare il tema della modifica degli statuti: in sostanza da quaranta anni gli statuti non sono mai più stati modificati in modo significativo, non vi è stato l'adeguamento alla riforma del 2001. Le forze politiche temevano di affrontare questo tema, perché c'era sempre il rischio che il testo uscito da un'assemblea a livello regionale potesse essere stravolto a livello parlamentare, proprio perché non c'era la garanzia di un metodo di concertazione. Perciò, auspichiamo che questa proposta di legge possa essere approvata il più presto possibile, anche perché era l'unico articolo della riforma del 2005 votato all'unanimità da tutto il Parlamento.
Ritengo molto importante anche l'attuazione dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3, come auspicato dal ministro Lanzillotta, perché credo sia uno dei punti rimasti inattuati che meritava invece maggiore attenzione. Siccome il centrodestra non ha mai accettato la riforma del 2001 cercava di superarla con un'altra riforma, adesso bocciata con il referendum. È necessaria invece una riforma veramente federale dello Stato italiano, che in via transitoria rappresenti una possibilità per coinvolgere meglio le regioni ordinarie e speciali nel processo legislativo del Parlamento. Credo sia questa la strada maestra da seguire, perché la strada per una riforma del Senato sarà piuttosto lunga e si profila l'orientamento di procedere solo a piccole modifiche della Carta costituzionale.
Penso, comunque, che sia da approfondire un punto: se l'attuazione dell'articolo 11 si possa fare con regolamenti parlamentari, o se, come ritengo, sia necessaria una legge ordinaria per stabilire la composizione della Commissione bicamerale per le questioni regionali integrandola con i rappresentanti dei comuni, delle province e delle regioni. Non so se ciò sia fattibile attraverso una modifica dei regolamenti del Senato e della Camera; credo sia meglio, anche per la certezza del diritto, predisporre una legge attuativa.
Concludendo, vorrei fare un breve cenno anche alle commissioni paritetiche, su cui la collega Biancofiore ha reso affermazioni che non posso condividere, perché da sessant'anni il processo dinamico della nostra autonomia passa attraverso queste commissioni che, come dice il nome, sono paritetiche. Ebbene, in quelle commissioni, di cui ho l'onore da dodici anni di essere membro, le soluzioni vengono tutte concordate, lì si trovano proprio le mediazioni necessarie per trovare le soluzioni condivise. La Südtiroler Volkspartei ha due rappresentanti su sei nella commissione dei sei e due su dodici nella commissione dei dodici. Per cui, nonostante rappresentiamo il 70 per cento della popolazione di gruppo tedesco e ladino, in esse non siamo la maggioranza. Questo era il vero motore dell'autonomia, per cui non credo che le accuse siano giustificate. Non credo neanche che l'onorevole Biancofiore rappresenti 100 mila italiani, perché altrimenti mi chiedo chi rappresentino gli onorevoli Bressa e Boato, visto che in totale ci sono 130 mila italiani, includendo anche i bambini.
Del passaggio del personale amministrativo dell'amministrazione della giustizia abbiamo discusso in commissione paritetica già nella precedente legislatura: era una proposta - guarda caso - pervenuta da un ministro dell'allora Governo Berlusconi. È allucinante, adesso, che ci si accusi di un tentativo di questo tipo, cui noi, certamente, siamo favorevoli, ma la proposta e il parere positivo arrivarono dall'allora ministro Castelli, non da un ministro di questo nuovo Governo.


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Spero che il ministro Lanzillotta nominerà, entro breve, i componenti delle commissioni paritetiche, perché stiamo uscendo da una situazione di stallo durata cinque anni: l'obiettivo del precedente Governo era, soprattutto, bloccare l'attività di queste commissioni per motivi politici, spesso anche su questioni per le quali avevamo trovato soluzioni condivise con i rappresentanti del Governo. Ad esempio, il passaggio del conservatorio alla provincia, per poterlo includere nell'università, come richiesto da tutti gli insegnanti, venne bloccato - nonostante tutti i pareri positivi dei vari ministeri interessati - proprio dietro iniziativa della collega Biancofiore. Nessuno di noi ne ha mai compreso il motivo, perché i rappresentanti del precedente Governo, all'interno della commissione paritetica, avevano votato con noi il testo. Si è trattato di situazioni piuttosto imbarazzanti anche per noi.
Spero che, pertanto, dopo questa situazione di stallo riusciremo a sbloccare alcune questioni importanti, soprattutto sul tema dell'energia. La Commissione europea ha archiviato la procedura di infrazione contro l'Italia dal momento che il Parlamento italiano ha modificato il cosiddetto decreto Bersani, conformandosi alle obiezioni della Commissione europea. Questo non venne consentito a noi, perché il precedente Governo ha sempre bloccato tutte le modifiche della relativa norma di attuazione, non rendendoci possibile l'adeguamento al diritto comunitario.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Gentile ministro, ho ascoltato con interesse ed anche con simpatia la sua relazione, e lo dico per più ragioni. La prima è perché, pur essendo lei rappresentante di un Governo che non ha la mia fiducia, tuttavia ci ha offerto una relazione di evidente e onesto impegno, che fornisce un monitoraggio dei problemi reali da fronteggiare.
In più, la vedo anche con simpatia, perché, pur rendendomi conto per esperienze precedenti che il suo Ministero - non per la persona che lo rappresenta - non è il massimo delle potestà idonee a concretare ciò che uno desidera, perché si trova naturalmente sottoposto spesso come un vaso di coccio a pressioni di altri dicasteri che hanno altre potenzialità e altre risorse, ciononostante in qualche modo sarebbe - uso il condizionale - il crocevia idoneo a far da sintesi dei tanti problemi che possiamo qui affrontare con il ministro Chiti, con il ministro Amato e con altri ministri del Governo. Quindi, il problema delle realtà regionali in relazione ai poteri centrali dello Stato è uno dei massimi problemi contemporanei; ecco perché mi sono permesso di definire il suo Ministero in qualche modo un crocevia tematico di questi temi.
Sarei tentato, ma sciuperei il tempo suo e dei colleghi, di affrontare tutti i passaggi della sua relazione, anche i più specifici; alcuni concetti addirittura li condivido, altri decisamente no. Però, preferisco limitarmi a poche riflessioni di carattere molto generale, da libero pensatore e libero studioso, anche appassionato di questo tipo di problematiche.
Noi ci stiamo impegnando, da tanto tempo ormai, ad approfondire la questione dei rapporti tra Stato e regioni e ci si divide spesso, sia ideologicamente sia praticamente, tra l'attribuire più o meno poteri alle regioni, tra l'emanare o meno leggi-quadro; insomma, parliamo delle regioni e degli enti locali senza porli profondamente in discussione.
Intendo dire che discutiamo se il nostro ordinamento costituzionale sia obsoleto, o se sia, invece, da difendere in blocco, ma non ci poniamo seriamente, per esempio, il problema se le nostre regioni siano ormai nella loro consistenza attuale idonee a rispondere ai problemi che abbiamo di fronte.
Oggi il panorama delle oltre venti regioni, in un piccolo territorio come quello italiano, ha ancora senso? Siamo convinti, noi che veniamo anche da esperienze per essere stati consiglieri regionali, che possiamo discutere ancora e semplicemente dividerci sul fatto se si possono attribuire più o meno poteri, se si può attuare il federalismo, cioè l'autodeterminazione fiscale nel rapporto tra prelievo e investimento,


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con l'attuale disseminazione delle regioni, tanto più in uno scenario europeo? Vogliamo continuare a discutere - è inutile nominarle tutte - con l'attuale Abruzzo, con le attuali Marche, con l'attuale Emilia-Romagna, con l'attuale Umbria? È possibile tutto questo? Davvero siamo convinti di poter risolvere i nostri problemi con questa dimensione territoriale organizzativa? Anche chi sarebbe teoricamente incline ad attribuire determinati poteri può pensare di attribuirli a regioni che, complessivamente, non hanno certo dato buona prova e comunque, anche al di là delle loro volontà, non sono nella condizione, dimensionale e organizzativa, per esprimere il meglio?
Così nell'articolazione degli enti locali. Qualche collega vi ha fatto un fugace accenno. Possibile che nessuno abbia il coraggio di chiedere, avendolo abbandonato negli archivi di passate e ormai lontane legislature e di dibattiti per più o meno addetti ai lavori e studiosi che però non arrivano mai qui ad avere un'eco, se esista ancora un ruolo delle nostre province? O dobbiamo ancora continuare ad arrovellarci demagogicamente licenziando nuove «provincelle», sia il centrodestra, sia il centrosinistra, nelle sue stagioni di Governo?
Continuiamo ad eruttare province. Ci sono regioni che addirittura ne contano sette o otto, tutte in un'unica infornata. E non sappiamo più di cosa stiamo parlando, non comprendiamo che per il cittadino la provincia è ancora comunque, come immagine complessiva, la dimensione dell'articolazione periferica di un potere centrale, di cose che sono essenzialmente in capo allo Stato. L'articolazione dei servizi si riferisce a quello; invece noi continuiamo sempre a ripetere che la provincia è ente intermedio tra comune e regione, come se le regioni ormai non avessero fatto un loro percorso, come se non stessimo dicendo che si deve «ribaricentrare» sui comuni. Anzi, a questo riguardo, parliamo dell'eventualità che anche i comuni si compattino per raggiungere anch'essi dimensioni realistiche e moderne. Però, continuiamo a cercare missioni per le province, a tentare di incrostare loro addosso deleghe e funzioni.
In questo quadro, comprendiamo perché, poi, nasca da tutte le nostre piccole o medie città la richiesta di divenir province. Tutti noi che veniamo dalla profonda provincia viviamo questa realtà, e anziché porci il problema di garantire, anche se questo dovesse avere un qualche costo, a queste nostre città di grande cultura, ma di dimensione media, un loro ufficio giudiziario, un loro ospedale, un loro servizio, smantelliamo progressivamente questi servizi; però, ci inventiamo le nuove province. A mio modesto e personalissimo parere, è tutto sbagliato. Invece di arricchire i servizi e di renderli prossimali al cittadino, con i relativi costi, ci inventiamo enti anziché disboscare.
Gentile ministro, occorre vedere se abbiamo lo stesso approccio a questo problema. Quando con il ministro Amato e con il ministro Chiti parleremo anche di federalismo fiscale bisognerà capire se verranno o meno attribuite determinate funzioni. E qui scatta anche un tema che mi pare il collega Russo abbia toccato nel suo intervento. Anche in questo caso, parliamo di federalismo, questa magica parola che prima si pasteggiava in tutti gli angoli della bocca la sinistra e che poi è diventata, invece, l'amore nuovo del centrodestra. Adesso, tutti parliamo di federalismo con una definizione la più ascientifica e astorica che abbia mai ricordato, ma ognuno parla di qualcosa di diverso: uno splendido dialogo democratico tra sordi che non viene a capo di nulla!
Cos'è il federalismo? Non lo so, bisogna vedere. Può essere una magnifica cosa nella dimensione dell'autogoverno moderno a cui aspirano le comunità, ma può essere anche una cosa dilacerante. Ad esempio, se dovessi - sempre da libero pensatore - dire di condividere l'idea delle realtà a più velocità, ciò contrasterebbe con la mia cultura unitarista. Non mi interessa se parlando di questo sono o non sono di destra. Culturalmente, lo sono di sicuro, ma se mi dovessi trovare d'accordo con colleghi della sinistra, non vedo alcuno


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scandalo. Io sono unitarista, sono un ultrà del decentramento amministrativo, ma sono un ultrà degli indirizzi politico-culturali che fanno l'unità di una comunità democratica, nazionale, identitaria.
Regionalismo asimmetrico? Questa è una cosa estranea alla mia dimensione culturale. Perché muovendomi dalla mia verde Umbria e passando all'altrettanto verde Toscana, o appena sdoganando nell'altrettanto verde Abruzzo, dovrei trovarmi di fronte a facoltà, a possibilità, a potenzialità diverse, o addirittura a normazioni diverse? Non è questa la dimensione dell'autogoverno di cui abbiamo bisogno in una realtà moderna, con la circuitazione di cose, persone, idee, merci, cultura.
Infine, per quanto riguarda la dimensione, sulla quale lo studio e il lavoro del suo Ministero possono essere contigui, o addirittura correlarsi con quelli di altri suoi colleghi e di altre tematiche - sempre, peraltro, devolute alla competenza della nostra Commissione, anche quando si parla di riforme istituzionali - ci siamo fortemente arrovellati sul discorso del Senato, della differenziazione tra l'una e l'altra Camera.
Io sinceramente ho qualche perplessità. Dobbiamo attribuire alle regioni più poteri e più autonomia? Se la risposta è sì, ci sarà forse bisogno di una Camera parlamentare in cui ci siano i rappresentanti espressi da queste realtà regionali? È indispensabile? È questa l'impostazione corretta? Non ne sono per niente convinto, sono disposto ad esserlo in futuro, ma per ora non lo sono.
Capirei se si dessero minori e più blandi poteri alle regioni: allora forse potrebbe esserci maggiore esigenza di una rappresentanza in una Camera del Parlamento. Se così non è, però, non è detto che la configurazione dell'altra Camera debba essere assolutamente questa.
Infine, un tema che emerge anche in una pagina importante, addirittura in neretto, della sua relazione (a pagina 5) è quello delle competenze. È un tema che ci ha appassionato anche in occasione del confronto referendario, ma che tornerà di grande attualità, perché già pasticci adeguati erano stati combinati nella precedente legislatura, nella precedente riforma.
Bisognerà capire, allora, con un approccio culturalmente aperto al confronto, se effettivamente sia giusto tracciare, da parte dello Stato, principi che debbano valere per tutte le regioni indistintamente, neppure differenziando fra statuti speciali e statuti ordinari. Inoltre, mi chiedo quale sia all'interno di questa cornice lo spazio normativo spettante alle regioni e se si debba imboccare la strada della definizione netta delle competenze, in cui a questo punto passa alle regioni quella esclusiva; si tratta di due approcci diversi.
Ora, il referendum c'è già stato, è stata cancellata la normativa, ahimé rivive la precedente, che di confusione ne aveva fatta abbastanza; stabiliamo cosa dobbiamo fare, ricominciamo il confronto. Per la parte che mi riguarda - ma a questo proposito credo di poter parlare anche per il partito che rappresento - sono disponibile a un confronto onesto e voglioso di definizione, chiarificazione e rinnovamento sotto questo profilo.
Ho buttato giù alcuni temi nella speranza, gentile ministro, che lei sia nelle condizioni di operare, pure in un Governo che sotto questo profilo ha un sacco di idee al suo interno - mi rallegro che ne abbia, sarebbe peggio se ne non avesse alcuna - e quindi anche nella speranza che queste considerazioni le facciano comprendere che lei trova un arco politico assolutamente disponibile al confronto, purché ci sia la concretezza e il gusto di questo confronto, e nello stesso tempo che, ove dovesse avere la forza e la volontà politica di portare avanti anche idee nuove a questo riguardo, non le mancherà il nostro apporto.
Certo, se invece dovessimo dilettarci per mesi e mesi soltanto in un'impaginazione di argomenti, lasciando inalterato il mero quadro istituzionale e costituzionale che ci troviamo nelle mani a seguito della caduta di un testo varato dal Governo di centrodestra, semplicemente riallineandoci su quanto fatto nella precedente legislatura,


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sarebbe un'accezione così negativa della conservazione che nel mio versante politico non potrebbe trovare né connivenza né compiacimento.

PRESIDENTE. L'ultimo intervento è quello dell'onorevole La Forgia.
Il ministro aveva fissato come termine le ore 10, ma si ferma ancora per concludere oggi l'audizione. Pertanto, mi affido alla sua esperienza, onorevole La Forgia.

ANTONIO LA FORGIA. Signor presidente, non abuserò della cortesia che mi viene fatta. Tra l'altro, essere breve non mi costerà nulla: francamente condivido sia il censimento delle questioni che il ministro ha svolto, che a me appare esaustivo - naturalmente, anche io non posso non notare questioni che andrebbero affrontate meglio - sia la struttura logico-politica entro cui il censimento delle questioni è stato ordinato.
Ho chiesto la parola per toccare due aspetti, che attengono allo svolgimento dei temi che ci sono stati sottoposti dal ministro, piuttosto che per commentare alcune affermazioni che a mio avviso sono assolutamente condivisibili.
Mi aiuta molto l'intervento, appena concluso, dell'onorevole Benedetti Valentini: dimostra che, sotteso a questa discussione, vi è un gigantesco problema politico-culturale, prima ancora che politico in senso stretto e politico-istituzionale.
A costo di incappare nella matita rossa e blu dei costituzionalisti, ritengo che l'obiezione rivolta spesso all'uso del termine «federalismo» in un contesto come quello italiano - secondo cui si può parlare di assetto federale di un ordinamento, di una Repubblica, soltanto laddove questo assetto sia raggiunto per un processo storico di federazione - contenga un fortissimo elemento di verità, ma anche un vizio scolastico.
Il punto dal quale preferisco muovermi è il seguente: l'acquisita consapevolezza o perlomeno la necessità di acquisire pienamente consapevolezza di un elemento che, in parte esplicitamente, in parte implicitamente, la Lega Nord ha avuto il merito di chiarire in tempi ormai lontani. In conseguenza dei processi di globalizzazione, vi è l'esigenza di introdurre, in un assetto fondamentalmente unitario ancorché con componenti autonome e considerevole spirito autonomistico, quale quello del nostro paese, non elementi di frantumazione - anche se questo pericolo nell'impostazione della Lega Nord c'era -, ma di forte e significativa flessibilità.
Questo è ciò di cui abbiamo bisogno, e se in ordinamenti storicamente sperimentati e prodotti per processo di federazione e di accorpamento si riconosce l'esistenza di questa duplice efficacia, sia unitaria che di interna flessibilità, credo che tutto sommato sia ragionevole - potrà apparire un po' ingegneristico, ingenuo - porsi l'obiettivo di introdurre analoghe caratteristiche di flessibilità nel nostro ordinamento e denominarlo con il nome che viene riconosciuto e che si è affermato storicamente per le collettività nazionali e le strutture istituzionali che possiedono queste caratteristiche.
Ma al di là del punto nominalistico, che costituisce comunque sintomo del problema, la vera discussione è fin dove vogliamo spingerci o, più correttamente, quale riteniamo sia il grado di flessibilità necessario, desiderabile e sostenibile da introdurre nell'ordinamento.
Questa è la discussione culturale incompiuta. Potrò apparire un cacciatore di farfalle, ma penso che uno dei compiti, forse meno dichiarabili, ma sicuramente più rilevanti dell'azione e dell'iniziativa del ministro Lanzillotta dovrebbe essere esattamente questo: trovare ogni forma ed ogni occasione per promuovere il consolidamento di questa riflessione culturale.
Aggiungo, e concludo, due osservazioni: innanzitutto più che di federalismo fiscale preferirei parlare di fiscalità federale. Bisogna cominciare a intravedere una fiscalità federale, così come è scritto nelle note del ministro Lanzillotta, pur con tutte le precauzioni del patto di stabilità e di crescita, sui saldi piuttosto che su singoli comparti di spesa: come è stato detto e come sappiamo ormai da sempre, è difficile


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che la responsabilità di spesa possa a lungo svolgersi senza degenerare, se non è bilanciata da una altrettanto esplicita responsabilità di approvvigionamento delle risorse necessarie alla produzione degli interventi e dei servizi.
Bisogna quindi procedere in quella direzione. Il punto che progetteremo di raggiungere sarà una cartina al tornasole, darà concretezza alla misura della flessibilità che noi vogliamo e progettiamo di introdurre nel nostro ordinamento. Aggiungerei, ma qui sto davvero fuggendo in avanti, che a me piacerebbe molto che questa fiscalità federale potesse essere, al tempo stesso, solidale e orientata a un supporto perequativo, ma anche trasparente. Vorrei che si realizzasse lo spostamento di risorse dalle zone più capaci di produrre ricchezza alle zone, ahinoi, al momento meno capaci, come è indispensabile in uno Stato che si vuole ancora unitario, ancorché ordinato con forme di federalismo. Si deve riconoscere il modo in cui le diverse parti del paese concorrono al processo perequativo, soprattutto al processo di sostegno dello sviluppo e della crescita.
La seconda osservazione riguarda ciò che ha cominciato a chiarirsi, almeno per la mia esperienza periferica in un consiglio regionale, in questi anni di prima applicazione della riforma del Titolo V della Costituzione, indubbiamente segnata - non me ne voglia l'allora ministro La Loggia - dalla immediata messa in discussione e urgente esigenza di ulteriore trasformazione del nuovo testo del Titolo V.
Non ci si può e non si ci si poteva aspettare, naturalmente, che il processo avvenisse dall'oggi al domani, ma il passaggio ad un ordinamento federale fa pensare e rende desiderabile e necessario - questa almeno è la mia convinzione - che alla struttura politica bipolare, quindi al confronto tra i grandi campi, centrodestra e centrosinistra - come dobbiamo dire in Italia, per non poter dire sinistra e destra -, a questo cleavage dei due campi politici, se ne dovrebbe aggiungere un altro, non eversivo né antagonista, ma forte ed espressivo nella lealtà alle istituzioni rappresentate, un cleavage tra sistemi regionali e sistema nazionale.
Questo secondo è completamente mancato, nella mia esperienza e per quello che ho potuto vedere, non soltanto nella mia regione, ma in generale. L'opposizione fra destra e sinistra non ha impedito il manifestarsi di contrasti, che sono stati, anzi, numerosissimi, fra regioni e Governo con tutta la conflittualità portata al tavolo della Corte costituzionale. Ma all'interno delle singole regioni ho potuto vedere che la lealtà di coalizione, la lealtà del sistema bipolare, ha sempre prevalso sulla lealtà nei confronti dell'istituzione all'interno della quale si operava.
Può apparire un'affermazione forte, non sono naturalmente in grado di dimostrarla in un minuto, ma credo che, se fossimo interessati a verificare il fenomeno, si potrebbero raccogliere elementi che renderebbero questa mia affermazione abbastanza accettabile e ragionevole.
Penso che questo sia il cuore più sofistico della nuova relazione che il ministro propone: instaurare con il sistema regionale e locale un clima di trasparenza, di chiarezza e di reciproca affidabilità, che favorisca l'emergere di lealtà nei confronti delle strutture politiche regionali, in modo che queste non prevalgano - sarebbe un danno anche il rovesciamento - sulle lealtà di coalizione, del sistema bipolare, ma si combinino efficacemente in modo limpido ed aderente alle questioni che vengono affrontate.
Se l'onorevole Benedetti Valentini accetta una battuta amichevole, ascoltando il suo intervento in parte ho cominciato a spiegarmi come mai il risultato del referendum sia stato per i sostenitori del voto negativo più favorevole di quanto quegli stessi sostenitori si aspettassero; infatti, sulla base degli argomenti che lei ha svolto, immagino che abbia votato no!

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, Linda Lanzillotta, per la replica.


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LINDA LANZILLOTTA, Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali. Ringrazio la Commissione, il presidente e i deputati intervenuti per gli apprezzamenti alla relazione, gli spunti e gli approfondimenti, che credo siano molto interessanti, stimolanti e che arricchiscono le riflessioni alla base dell'impostazione dell'azione di Governo. Ringrazio in particolare i deputati dell'opposizione, oltre che per gli apprezzamenti, per il tono, l'impostazione, la disponibilità al dialogo e al confronto, che ritengo preziosi su temi come quelli di cui mi occupo che, avendo una valenza istituzionale, richiederanno un confronto molto sereno ed equilibrato e, mi auguro, in massima parte capace di portare a soluzioni condivise.
Credo infatti che il lavoro della Commissione attenga in parte a norme costituzionali, come si è detto, ma in gran parte anche a leggi che tuttavia interferiscono su temi che coinvolgono le regole e che quindi devono essere ampiamente condivisi.
È stato per me molto importante - e credo lo sia per tutti noi - partire con questo piede.
Ringrazio anche per la comprensione, espressa da ultimo dall'onorevole Benedetti Valentini, della difficoltà del compito e della particolarità del ruolo del ministro per gli affari regionali, anche se devo dire che forse non a questa Commissione, ma a molti colleghi, anche ministri, che hanno ruoli sicuramente più pesanti dal punto di vista del portafoglio, sfugge un aspetto che invece per me è di grande fascino nell'incarico che mi è stato affidato, e che ritengo anche molto moderno. È un incarico attraverso il quale si rende concreta e attuale una di quelle sfide che io credo decisive per la funzionalità e la trasformazione delle nostre istituzioni: la capacità di organizzare una governance multilevel, caratterizzata dalla complessità dei livelli, sia verticali sia istituzionali, e delle relazioni con il sistema sociale, sempre più articolato, che le istituzioni devono riuscire ad organizzare per essere effettivamente rappresentative. Ciò al fine di rispondere in modo incisivo, puntuale e soddisfacente alle questioni di regolazione e di intervento che una società ed una economia sempre più complesse richiedono.
Credo che nei ruoli come il mio, che sono di raccordo, la sfida sia più forte. Da questo punto di vista, penso che il mio compito sia molto affascinante: richiede da una parte una visione, cioè una capacità di vedere un disegno, dall'altra una capacità di tradurre questo disegno in termini concreti, in misure e interventi puntuali. Su ciò il confronto e il supporto delle Commissioni parlamentari sarà fondamentale, come è importante cercare insieme una soluzione e un modello organizzativo per risolvere una delle questioni sottolineate dall'onorevole Franco Russo, che è fra le più delicate di questa fase di trasformazione dei modelli della governance: il ruolo dei parlamenti e delle assemblee elettive. Quanto più è complessa l'azione di Governo, tanto più essa tende a concentrarsi negli esecutivi, che tra l'altro sono gli organi che più facilmente creano e costruiscono relazioni multilivello, nel senso che anche la sede delle conferenze è un asse di raccordo tra esecutivi. Per esempio, nella gestione della task force che svolge le cosiddette riunioni-pacchetto, regione per regione, per disboscare il contenzioso, vi è la complessità di una negoziazione su materia non interamente disponibile: si tratta di negoziare su leggi tra esecutivi e quindi di assumere impegni che debbono essere attuati da altri organi, all'interno dei diversi livelli istituzionali.
Quindi, il lavoro è molto complesso, ma anche importante e decisivo: da una teoria e una enfasi retorica sul federalismo e sulla governance multilevel si passa alla capacità di declinare questo modello in termini di efficienza e democraticità.
Così come è complesso il rapporto con l'Unione europea. Circa il 40 per cento delle procedure di infrazione nei confronti dell'Italia ha alla base leggi o atti di livello regionale o locale; occorre quindi costruire connessioni e relazioni che garantiscano una pienezza e una coerenza di partecipazione dei vari livelli nelle diverse sedi.


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Il compito è impegnativo anche perché si tratta di far maturare nella cultura di determinati soggetti, per esempio i ministri che quanto più sono forti tanto meno sono disponibili ad assoggettarsi a vincoli esterni, la necessità di interiorizzare e acquisire consapevolezza dell'assoluta non unilateralità della loro azione, che deve inserirsi in un processo decisionale più complesso.
Alla Commissione mi sembra siano molto chiari questi problemi, sarà quindi un alleato e una sede importante per svilupparli e trasformarli in strumenti di governance.
Per quanto non mi astenga dal replicare a singoli punti, vorrei solo ricapitolare i temi dell'agenda e delle prossime tappe. Sul piano dell'azione diretta del Ministero, la priorità attiene alla gestione del contenzioso e al supporto o alla cooperazione e alla definizione delle regole del nuovo patto di stabilità. Credo che questa attività di sollecitazione e trasmissione di una visione culturale evolutiva stia dando risultati significativi per arrivare a regole nuove, che possano trovare il consenso delle regioni e degli enti locali, fermo restando che poi, individuato il metodo e definite le regole, la traduzione dell'azione di risanamento finanziario avrà una sua incisività e profondità che anche nelle regole sarà comunque complessa da governare a livello regionale e sul territorio. Sicuramente vi sono aggregati di spesa pubblica, fra i quali quelli della sanità e della spesa a livello territoriale, che, come ha anticipato il ministro dell'economia, dovranno essere oggetto di interventi della legge finanziaria. Si tratta comunque di interventi organizzati e impostati secondo le regole del patto di stabilità.
Sul piano legislativo, invece, credo che anche dagli interventi degli onorevoli deputati sia emersa la conferma delle priorità che avevo indicato e che attengono alla riforma delle conferenze, su cui mi auguro di poter presentare un disegno di legge entro le prossime settimane, alla riscrittura della delega per quanto riguarda il testo unico degli enti locali e alla riproposizione della delega, che in parte riproporrà i principi e i criteri direttivi già contenuti nella legge n. 131 del 2003, che in parte verranno rivisitati. Credo che il disegno del Titolo V della Costituzione vada attuato a partire dalla questione delle funzioni: la riorganizzazione dei livelli istituzionali deve partire dall'analisi e dall'allocazione delle funzioni.
La mia opinione è che - per arrivare a un'idea di federalismo che risponda alle sue ragioni originarie, cioè avere amministrazioni coerenti con i bisogni dei cittadini e delle imprese e non solo rispondenti a logiche di autoriproduzione e moltiplicazione di apparati, in contraddizione con le ragioni originarie del federalismo stesso - questa analisi debba mettere al centro i destinatari delle funzioni, più che gli enti. È necessario allocare le funzioni partendo dall'output, anche con le attività e i servizi offerti e prodotti dalle amministrazioni locali, continuando l'operazione che stiamo portando avanti con il cittadino consumatore dei servizi offerti dal mercato. Questo forse ci può aiutare a delineare un'allocazione delle funzioni che non parta dalla rivendicazione corporativa del singolo ente, ma dalla risposta da dare al cittadino.
In quest'ottica dobbiamo ridefinire l'organizzazione dei livelli istituzionali. In tale ambito, credo che si debbano rapidamente introdurre criteri di delega per l'attuazione del modello della città metropolitana. Mi sembra che i tempi siano maturi per una disciplina che risponda a criteri di differenziazione in relazione alle diverse tipologie dei sistemi metropolitani.
La terza priorità riguarda il federalismo fiscale. Su questo tema occorre riprendere ciò che è stato sviscerato nel corso di questi anni. Insieme al ministro dell'economia ci siamo ripromessi, appena concluso il suo lavoro sul DPEF, di affrontare l'argomento in modo molto concreto e pragmatico. Anche qui, l'unico modo per costruire il federalismo fiscale è partire dalle funzioni: dal loro costo e dalla loro allocazione. Devo dire che il lavoro si è un po' fermato: negli ultimi anni, le funzioni sono rimaste in gran parte dove erano. Quindi, bisogna completare


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il lavoro già in itinere, svilupparlo e corredarlo con il federalismo fiscale, partendo dalla consapevolezza che, forse, saremo facilitati se nei prossimi anni le politiche che attueremo, insieme alla congiuntura internazionale, consentiranno una ripresa della crescita.
È chiaro che il riequilibrio anche della spesa storica potrà giovarsi di una fase di crescita economica e, quindi, di entrate fiscali che abbiano un andamento incrementale; assai più complesso sarà raggiungere un riequilibrio della spesa storica a risorse costanti; ciò significherà ridurre le risorse a disposizione dei diversi enti locali storicamente e in modo consolidato.
A mio avviso, si tratta di operazioni un po' astratte, fatte dagli scienziati a tavolino, che non si misurano con la complessità dell'amministrare e con l'impatto che questi fenomeni hanno sulla struttura socioeconomica dei territori e sull'attività di erogazione dei servizi.
Se si procederà in questo modo, con buonsenso e concretezza, anche il tema del federalismo fiscale potrà essere avviato su un percorso che abbia una sua curva di attuazione ed una sua gradualità e che, nell'arco di qualche anno, arrivi a compimento.
Credo che sul tema del regionalismo asimmetrico avremo modo di confrontarci. Quello che vedo, anche qui con molta concretezza, è un regionalismo asimmetrico nei fatti. Il regionalismo asimmetrico esiste già oggi, perché ci sono regioni con una diversa capacità di realizzare il modello federalista e, quindi, di attuare il disegno del Titolo V della Costituzione. Di ciò dobbiamo farci carico in modo concreto, perché forse nella nostra cultura è presente un eccesso di fiducia nel potere taumaturgico della legge o della Costituzione, per cui pensiamo che, una volta scritta la legge, questa sia magicamente attuata.
Il modello del Titolo V è molto avanzato, richiede forme anche di cooperazione e supporto di alcune regioni per quanto attiene alla loro capacità amministrativa: occorre garantire una copertura amministrativa del processo di attuazione del federalismo, che è fatta non solo di risorse, ma anche di know how, best practice e competenze organizzative.
Credo che, nel rispetto pieno e totale dell'autonomia delle singole regioni, lo Stato debba cominciare ad offrire forme di cooperazione, di institutional building: lo garantiamo a livello europeo, dovremmo cominciare a farlo anche a livello nazionale, se non vogliamo, in nome di un astratto egualitarismo, avallare la permanenza e l'accentuazione di enormi distanze che il federalismo, scritto in Costituzione, può determinare e che, a mio avviso, determina già oggi, realizzando una asimmetria forte tra realtà non necessariamente geograficamente dislocate solo al Mezzogiorno.
Francamente sono più preoccupata di agire sulla asimmetria che si sta realizzando, piuttosto che immaginare asimmetrie future. Avremo modo di confrontarci e di lavorare insieme su questo argomento. Grazie ancora.

PRESIDENTE. Avremo ulteriori occasioni di approfondimento anche dei singoli temi in relazione al lavoro che svolgeremo in materia di riforme istituzionali.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,45.