COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 18 luglio 2006


Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUCIANO VIOLANTE

La seduta comincia alle 9,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Vannino Chiti, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Vannino Chiti, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Ringrazio il ministro Chiti per aver dedicato la mattinata a questo incontro, nonostante i concomitanti impegni.
Per la nostra organizzazione dei lavori sarebbe utile procedere in modo tale da concludere l'audizione del ministro nella mattinata di oggi, anche sulla base di una constatazione: il rinvio della seduta dovuto al protrarsi degli interventi comporta difficoltà nell'individuazione del giorno e dell'ora da fissare per il prosieguo dell'audizione, nella sequenza degli interventi e nella possibilità per il ministro di concludere in modo completo la sua audizione.
Do la parola al ministro Vannino Chiti per lo svolgimento della sua relazione.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Ringrazio il presidente Violante e gli onorevoli deputati, membri della Commissione affari costituzionali, per questa occasione di confronto.
Grazie alla cortesia del presidente Violante ho potuto vedere e leggere attentamente i vostri lavori; come già ho detto alla Commissione affari costituzionali del Senato mi concentrerò in questo confronto sul tema delle riforme.
Per quanto riguarda i rapporti tra Governo e Parlamento, spero che nel prossimo autunno si possa avere un'occasione specifica di approfondimento con il Governo e una riflessione più distaccata sul tema, su cui sono state peraltro già evidenziate alcune problematicità, come ad esempio quella riguardante i decreti-legge. Mi pare che su questo argomento lo stesso Presidente abbia detto che ci sarebbe stato anche un approfondimento ed un confronto con il Senato.
Dopo il referendum del 25 e 26 giugno, il Presidente del Consiglio mi aveva incaricato, sulla base della responsabilità che rivesto nell'attuale Governo, di incontrare i gruppi parlamentari dell'opposizione - cosa che ho fatto - e di verificare e contribuire a creare spazi di dialogo e di possibile convergenza sul tema delle riforme. Il lavoro delle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato si è sviluppato in modo autonomo, ma credo che abbia prodotto un clima positivo nella stessa direzione.
La lettura che diamo del referendum è la medesima data dal presidente Violante nel confronto avvenuto presso la Commissione affari costituzionali della Camera e


Pag. 3

presso lo stesso ufficio di presidenza allargato. Mi pare che questa sia anche la lettura prevalente nel dibattito svoltosi in Commissione: i cittadini italiani considerano la loro Costituzione valida nelle strutture portanti, negli assi fondamentali. Non ritengono oggi convincente né proponibile un'impostazione - su cui pure si è riflettuto negli anni scorsi - basata su grandi riforme e mutamenti generali; non considerano immutabile - e questa sarebbe, secondo noi, una lettura altrettanto sbagliata - la Costituzione, poiché aggiornamenti e innovazioni sono necessari e coerenti con la struttura portante della Costituzione stessa. Se ciò non si verificasse, si potrebbe determinare una contraddizione tra la difesa di valori dell'architrave portante della Carta costituzionale e la loro effettiva applicabilità.
L'altra considerazione è quella per cui aggiornamento e innovazioni necessarie devono essere costruite e approvate con larghe maggioranze e non dal solo schieramento che di volta in volta può vincere le elezioni: credo sia questo il messaggio fondamentale del referendum.
Gli incontri avuti con i gruppi parlamentari attualmente collocati all'opposizione hanno fatto registrare un clima di dialogo che apprezzo, anche perché non necessariamente scontato: veniamo, su questi temi, da anni di battaglie politiche e, in questo senso, lo stesso referendum ha costituito un momento di contrasto politico forte.
Ho anche registrato una condivisione del metodo con cui procedere, anche se naturalmente so benissimo che la condivisione del metodo è necessaria ma non sufficiente: mi pare comunque positiva e incoraggiante la disponibilità costruttiva a misurarsi, dimostratami dai colleghi che ho incontrato dei gruppi di Forza Italia, di AN, della Lega, del Nuovo PSI (mi scuso se ho dimenticato di citarne qualcuno, ma li ho incontrati tutti).
Ho registrato come conferma di una disponibilità reale, non formale o di facciata, la stessa richiesta di compiere passi misurati. Naturalmente muoversi con passi attenti non significa immobilismo e questo non è nell'intenzione del Governo, né in quella che emerge dal confronto avutosi nella Commissione affari costituzionali della Camera.
In Commissione ci si è chiesti quale sia il ruolo del Governo rispetto alla costruzione delle riforme condivise. Il ruolo che il Governo vuole svolgere non è naturalmente quello dello spettatore, magari distratto, assente, se non addirittura indifferente, perché ciò - in un momento decisivo di scelta per le riforme - potrebbe determinare una minor convinzione a procedere da parte della maggioranza. Non è neppure quello dell'attore di un monologo, perché è del tutto evidente che in questo secondo caso le grandi convergenze sarebbero soltanto proclamate, senza volontà di concreta realizzazione, senza un'intenzione coerente: è evidente che, se il Governo interviene nel confronto sulle riforme con una propria impostazione legislativa, con la «scelta» - uso questa espressione - di svolgere un monologo, il confronto e la ricerca di larghe convergenze con le forze politiche del Parlamento vengono resi molto problematici, se non impossibili (io propenderei per quest'ultima tesi).
Il Governo intende porsi invece come soggetto - accanto al Parlamento che ha un ruolo essenziale e decisivo sul tema delle riforme - con la volontà di svolgere una parte in un testo condiviso, non prendendo iniziative che possano contraddire il confronto parlamentare.
Non vogliamo dunque non esserci: non possiamo e non abbiamo certo la responsabilità di non concorrere, ma non vogliamo sovrapposizioni, bensì una leale e trasparente azione di collaborazione.
D'altra parte, le riforme non solo non possono essere piegate - condivido il giudizio del presidente Violante - ad un limite che vi è stato e che ha riguardato tutti nelle passate legislature, legato ad un'esigenza di coalizioni politiche, ma non possono neppure essere una bandierina rispetto alla quale l'importante è chi la mette. Credo invece che esse siano un concreto traguardo da realizzare nell'interesse del paese e per questo posso dirle,


Pag. 4

presidente, che lavoreremo insieme, costruendo e concordando ciò che è utile in uno spirito di leale collaborazione.
Le priorità che emergono dal confronto con i gruppi parlamentari coincidono - e non potrebbe che essere così - con quelle emerse nel dibattito avvenuto presso la Commissione affari costituzionali.
Proprio per questo motivo non ripercorrerò nel mio intervento tutte le indicazioni contenute nel documento - da me condiviso - del presidente Violante e dell'ufficio di presidenza della Commissione, che è stato di riferimento per l'approfondimento dei vostri lavori.
Riprenderò i tre temi prioritari ed essenziali e proverò, su questi, ad indicare alcuni punti di iniziativa del Governo, che secondo me possono già evidenziarsi come auspicabili, possibili e necessari.
La priorità delle priorità è rappresentata dal lavoro sul Titolo V della seconda parte della Costituzione. Su questo punto vi è un passaggio - vorrei dire - obbligato, poiché vi sono equilibri da ricostruire e aspetti da attuare. Mi sembra giusta l'osservazione fatta dall'onorevole Zaccaria in un suo intervento, secondo cui dovremmo trovare un equilibrio per cui il Titolo V venga corretto e attuato; ciò al fine di non dare l'impressione al nostro paese e alle stesse istituzioni locali che la riflessione sui punti necessari da correggere possa impedire l'attuazione di singole parti su cui invece vi è l'assoluta convergenza.
Ritengo fondata la decisione assunta dalle Commissioni affari costituzionali della Camera e del Senato - se ho ben compreso ciò che è stato detto al Senato - di dar vita ad un'indagine conoscitiva nel prossimo autunno sul tema del Titolo V. In tale ambito occorrerebbe non soltanto affrontare la questione delle sentenze della Corte Costituzionale, o ascoltare gli interlocutori coinvolti nel federalismo già presente nella attuale Costituzione, ma anche valutare aspetti che attengono all'attuazione del Titolo V rispetto alle tematiche che si pongono a livello di rapporti fra Stato nazionale e Unione europea, con il ruolo delle regioni e degli enti locali e i relativi trasferimenti di competenze già avvenuti, nonché gli effetti prodotti o non prodotti.
Credo comunque che la ricognizione sul Titolo V della seconda parte della Costituzione possa essere utile per confrontarsi nel merito sugli aspetti e gli interventi correttivi da fare. Saremmo tutti d'accordo se alcune grandi materie, le grandi reti infrastrutturali, le grandi reti di produzione di energia fossero riattribuite alla competenza dello Stato centrale, ma - il collega Bruno, con il cui gruppo di Forza Italia abbiamo svolto un incontro, me lo potrà confermare - nessuno accetterebbe che questo avvenisse senza una ricognizione sugli equilibri che verrebbero ad essere mantenuti oppure corretti.
Sappiamo tutti che vi è una riflessione da svolgere sulla «chiusura» dell'articolo 117, nell'attuale formulazione, per cui le materie non espressamente indicate sarebbero di competenza diretta delle regioni. Ma come procedere? Qualcuno parla anche di reintrodurre il concetto di interesse nazionale, ma prevalentemente - questa è la mia valutazione - occorrerebbe considerare una clausola esistente in tutti i paesi federali, che è quella di supremazia; occorrerebbe poi valutare come vive, rispetto a queste tematiche, il comma terzo dell'articolo 116.
Per avere un confronto serio, che possa registrare un'intesa o circoscrivere le valutazioni positive e le differenze, ritengo che un'indagine conoscitiva rapida, ma con uno spessore di questo tipo, sia utile per tutti.
Come Governo pensiamo, in questi stessi mesi, di lavorare, insieme alla collega Lanzillotta e al Ministero dell'economia, per costruire una proposta di attuazione dell'articolo 119 sul federalismo fiscale. È un argomento su cui si può lavorare in sede attuativa; ovviamente l'audizione serve a questo, io informo per poter poi valutare, ma mi sembra un utile compito che il Governo può svolgere in un clima di leale collaborazione, visto che l'articolo 119 non è stato toccato neppure nella revisione costituzionale proposta dalla precedente maggioranza e oggetto


Pag. 5

del recente referendum. Anche nei colloqui che ho avuto, ho riscontrato che quello sull'articolo 119 è un giudizio di validità che accomuna: se riteniamo questo articolo un punto comune e fermo, l'impegno per costruirne l'attuazione sarà doveroso. Poi il confronto nel merito si svilupperà.
Ritengo che si potrebbe perlomeno provare a lavorare, sia pure con una maggiore cautela nell'affermarlo vista la difficoltà di estrapolarlo da una rivisitazione del Titolo V, per predisporre una proposta su Roma capitale. Su questo punto - lo ripeto - occorre una maggiore attenzione e prudenza, poiché risulta del tutto evidente l'importanza di procedere alla definizione del ruolo della città capitale nel quadro di una rivisitazione delle competenze e degli equilibri fra Stato e regioni, e dunque del Titolo V.
Penso, invece, che si debba riprendere con determinazione un dibattito forte, si debba compiere uno sforzo innovativo rispetto al sistema delle autonomie sul territorio, su cui mi sembra il dibattito, sia a livello culturale e politico sia - e ancor più - a livello attuativo, si sia interrotto.
Ricordo che, in anni in cui vi è stata una spinta per riorganizzare il sistema delle competenze, delle responsabilità e delle autonomie, anche a livello locale, era frequente un'impostazione che non si limitava ad una semplice assunzione di competenze, ma prevedeva uno sforzo innovativo che modificasse anche i soggetti che assumevano competenze nuove, cioè il soggetto «comune», il soggetto «provincia», e così via.
Credo che su questo punto, in un confronto con le associazioni degli enti locali, comuni e province, e con la stessa Conferenza delle regioni, si possano riprendere, in particolare, due temi, il primo dei quali riguarda le città metropolitane. A tale proposito penso che vi sia la fondamentale necessità di riorganizzare i livelli istituzionali in aree peculiari per densità abitativa, per concentrazione di problemi, di tensioni, di potenzialità, anche al fine di consentire alle energie e alla competizione presenti in quei territori di sprigionarsi positivamente.
Il secondo tema è legato al Testo unico degli enti locali, che deve essere riorganizzato perché si riprenda o si sviluppi un percorso che riguardi i comuni piccoli e medi. Non penso al riguardo di dover riprendere la tendenza seguita in altri paesi europei, per cui da 8 mila si passi a 4 mila comuni, impostazione che mi sembra astratta e giacobina: tutte le volte, nella mia esperienza, che si è discusso di un accorpamento di comuni ne è nato qualcuno in più.
È necessario invece lavorare e predisporre incentivi e misure a livello nazionale e regionale, con un ruolo delle province per cui vi sia un'associazione di servizi con una piena efficienza della spesa pubblica, evitando che si polverizzi, cosa che poi, andando verso il federalismo fiscale, costerebbe doppiamente ai cittadini, in termini di qualità dei servizi e di costo degli stessi.
Mi sembra che questi possano essere temi su cui sviluppare un confronto con iniziative e proposte, e in alcuni casi cominciare a lavorare anche per predisporre strumenti legislativi.
Ho visto poi che nei lavori della vostra Commissione si è posta una riflessione - che anch'io ritengo necessaria, e su cui si dovrà sviluppare un confronto soprattutto in Parlamento - riguardante la modifica dei regolamenti parlamentari per la Commissione bicamerale per le questioni regionali, in modo da attuare la previsione che consente la partecipazione dei rappresentanti degli enti locali.
In ogni caso vorrei che si percepisse l'importanza che attribuisco al Titolo V della seconda parte della Costituzione, come tappa obbligata su cui lavorare per produrre un esito positivo.
Due altre questioni di fondo, che voi stessi avete affrontato, riguardano l'importanza del confronto nel lavoro di rivisitazione del Titolo V, che potrebbe creare le condizioni perché possa essere affrontata positivamente.
La prima riguarda la riforma del sistema parlamentare, al cui interno - secondo me - si colloca, non obbligatoriamente ma principalmente, la questione del


Pag. 6

numero dei parlamentari. Come ho constatato nei lavori della vostra Commissione, si tratta di un tema essenziale e necessario per un paese che attribuisce a regioni e ad enti locali - ma soprattutto alle regioni che hanno competenza anche legislativa - un più grande peso.
L'altra riguarda principalmente il ruolo del Senato, cioè il cambiamento della seconda Camera. Francamente, se si discute tra i rappresentanti dei gruppi parlamentari (o delle forze politiche) di un modello di riforma del sistema parlamentare che porti al cambiamento della seconda Camera, non ci sono poi distanze molto accentuate; addirittura, a livello di impostazione si può dire che si individuano anche alcune convergenze. Il problema che si segnala e che conosciamo tutti è quello della difficoltà delle procedure con cui dare attuazione ad una impostazione, cioè dei meccanismi con cui il Senato diventi la Camera in cui viva il rapporto con le autonomie e con le regioni, in cui vi sia la competenza primaria sui temi che si legano a questo rapporto, sia dal punto di vista finanziario che legislativo, anche con la possibilità - mi pare che vi accennasse il presidente - che il Senato possa richiamare leggi esaminate dalla prima Camera, fermo restando il fatto che sia quest'ultima, quella politica, a mantenere la funzione decisiva.
Su questa, che è una differenza di competenze preliminare, una convergenza si trova, e non sarebbe neppure difficile, a livello di impostazione da parte dei gruppi parlamentari, definirne le modalità: se optare per la scelta di un Bundesrat italiano e di una sola Camera elettiva, o di una seconda Camera con funzioni differenziate, comunque eletta direttamente dai cittadini.
Però, nella stessa esperienza di cui mi hanno riferito i gruppi della precedente maggioranza, tale impostazione, all'inizio presente, si è scontrata con la difficoltà di giungere concretamente all'approvazione. Quindi, sul tema vi è una convergenza da mettere a fuoco e da costruire: può darsi che su questo aspetto possano porsi problemi che oggi non vogliamo affrontare e strumenti attuativi diversi da quelli con cui si ragiona rispetto alla rivisitazione del Titolo V.
Il terzo tema riguarda la legge elettorale ed alcune misure relative alla forma del Governo e al rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio. Noi pensiamo - l'ho già detto negli incontri che abbiamo avuto con tutti i gruppi parlamentari e lo ribadisco in Commissione affari costituzionali - di rivedere la legge elettorale; non reputiamo si debba tornare a votare con questa legge, ma non pensiamo neppure, per ovvi motivi, che il tema della riforma della legge elettorale sia un tema da affrontare quest'anno, e neppure negli ultimi mesi della legislatura, certamente nella seconda parte di essa. Su questo si può aprire un confronto ed un approfondimento, ma riteniamo che tale impostazione si debba collocare intorno al 2009.

ITALO BOCCHINO. Se ci arrivano al 2009!

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Noi speriamo di arrivare al 2011, collega Bocchino, e penso che ci speriate anche voi, tra l'altro!

ROBERTO ZACCARIA. Se dovesse finire prima, la faremmo prima...

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Se dovesse finire prima la faremmo prima, non c'è dubbio! Comunque, la nostra volontà è quella di arrivare al 2011 e di fare la riforma intorno al 2009!

ITALO BOCCHINO. Io vi consiglio di farla presto...

MARCO BOATO. I tuoi consigli non sono sani!

ITALO BOCCHINO. Sono provocatori!

PRESIDENTE. Il ministro sta esprimendo la linea del Governo.


Pag. 7

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Credo che nessuno abbia la capacità di leggere il futuro, ma su questo forse potremmo aggiornarci agli inizi del 2007, quando avremo le idee più chiare!
Rispetto alla riforma della legge elettorale - perché il dibattito è giusto che si svolga al di là dei tempi in cui questa si colloca - le opzioni attorno a cui si può ragionare sono quelle di un ritorno al maggioritario, con una predilezione per il maggioritario a doppio turno (anche se devo dire che nel confronto con i gruppi parlamentari questa possibile opzione appare al momento di gran lunga minoritaria) o quella di una legge elettorale secondo il «modello tedesco», anche qui con interpretazioni diverse, a seconda che si introduca rispetto alla ripartizione dei seggi elettorali un'unica soglia di sbarramento oppure si propenda, oltre a questo, anche per la presenza di un premio di maggioranza.
Per quanto riguarda il rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio, nei confronti avuti si è mostrata una condivisione unanime sulla necessità che lo stesso, per determinare l'indirizzo unitario del Governo, abbia tra i suoi strumenti, oltre a quello della proposta di nomina dei ministri, anche quello della loro revoca.
Anche la sfiducia costruttiva formalmente, anche se poi su di essa tutti concordano, viene letta in due modi differenti e non di poco: per alcuni gruppi, come in Germania, si gioca in Parlamento e, quindi, non in presenza di premi di maggioranza; per altri, invece - in presenza o meno di premi di maggioranza - avviene all'interno di una norma antiribaltone e cioè all'interno di schieramenti scelti dai cittadini.
Per tutti è sentito come obbligatorio che vi sia un'indicazione ai cittadini prima delle elezioni - condivido pienamente - delle alleanze che si determinano e dei candidati alla Presidenza del Consiglio.
Concludo con un'ultima considerazione sul tema, richiamato dai diversi interventi nella vostra Commissione, della revisione dell'articolo 138 della Costituzione. Mi sono fatto l'idea, nel confronto con i gruppi parlamentari, che questo tema esista, ma che non sia preliminare. In un'intesa che ridefinisca in modo unitario e convergente il Titolo V della parte seconda della Costituzione, e che magari riguardi anche altri temi tra quelli che ho indicato, la previsione di un innalzamento del quorum dell'articolo 138 (mi pare di aver capito che vi sia una prevalenza non per i due terzi, ma per i tre quinti) potrebbe costituire il suggello auspicabile di un lavoro convergente sulle modifiche costituzionali.
È auspicabile infatti che nella attuale fase di vita della nostra Repubblica, che presumibilmente sarà anche quella degli anni a venire, vi sia un patto politico (da rinsaldare con la previsione legislativa dell'innalzamento del quorum) tra tutte, o la gran parte, delle forze del Parlamento, per affermare che la Costituzione non viene modificata dalla maggioranza del momento, ma che occorre l'innalzamento del quorum.
In questo stesso quadro si inseriscono le riflessioni poste dall'onorevole Bruno, sia nell'incontro che ho avuto con la delegazione di Forza Italia, sia nei lavori della vostra Commissione. L'onorevole Bruno ha posto la questione se, in questa fase di vita della Repubblica, non debba esservi una previsione di quorum più alto anche per la elezione delle massime cariche istituzionali del paese, o comunque almeno di quelle delle due Camere, in modo tale da costringere le coalizioni, all'indomani delle elezioni, ad uno sforzo di confronto e ad una ricerca di convergenza. Ritengo che tale riflessione abbia un fondamento e meriti un approfondimento.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro. Colleghi deputati, per ordinare i nostri lavori vi pregherei di iscrivervi a parlare, in modo tale da concludere l'audizione verso le ore 12,30.
Do la parola agli onorevoli che desiderino porre quesiti o formulare osservazioni.


Pag. 8

ITALO BOCCHINO. Desidero, innanzitutto, ringraziare il ministro Chiti per aver illustrato alla Commissione affari costituzionali della Camera, così come ha già fatto al Senato, alcune linee relative al dicastero di sua competenza, pur rendendoci conto che si tratta della prima fase della legislatura, dunque certamente non il momento migliore dal punto di vista politico per comprendere quale possa essere il percorso, anche perché non si è giunti ancora all'esame delle proposte provenienti dai gruppi parlamentari e che giungono all'esame delle Commissioni.
Mi sembra comunque che il Governo, seppur timidamente, ponga il problema di una riforma della Carta costituzionale. Devo dire al ministro che ovviamente il Parlamento, e di questo ringraziamo il presidente Violante, non intende stare a guardare, stare fermo in attesa che il Governo, andando alla ricerca di equilibri all'interno della propria maggioranza, faccia una proposta; al contrario, si pone l'obiettivo di esercitare la propria funzione, quella di avviare un iter che, attraverso l'articolo 138 e l'analisi delle proposte, possa portare ad un positivo sbocco, almeno sui temi sui quali convergiamo come forze politiche, anche nel caso in cui il Governo dovesse essere distante da tali problematiche.
Siamo e restiamo convinti, anche dopo il no al referendum sulla nostra riforma costituzionale, che il paese avrebbe bisogno di una grande riforma. Questa Costituzione, a nostro giudizio, è vecchia e superata, il che non significa che tutto ciò che vi è scritto non vada bene. Riteniamo, anzi, che della prima parte vi sia molto da salvare; crediamo anche, però, che sia figlia di un momento storico e politico lontano anni luce da quella che è oggi la realtà del paese. Si tratta di una Costituzione pensata, scritta e voluta all'indomani di una guerra civile e che, probabilmente, oggi avrebbe bisogno non tanto di piccoli restyling, così come si è fatto fino ad adesso, quanto di un ripensamento profondo.
Le strade, come sappiamo, sono tre. Noi preferiremmo, perché sarebbe la strada maestra, quella dell'Assemblea costituente, ma siamo coscienti che al momento non esistono le condizioni nel paese per una proposta del genere. Riteniamo, infatti, che la riforma della Costituzione vada sottratta al dibattito quotidiano della politica.
Crediamo, invece, difficilmente praticabile la seconda strada, quella di una Commissione bicamerale. Abbiamo già visto che, quando ci si immette in tale percorso, la riforma finisce spesso per implodere rispetto a contraddizioni che non riguardano tanto il testo che si discute, quanto la situazione politica contingente, proprio mentre parallelamente si lavora a modificare la Carta costituzionale.
Rimane la terza strada, quella dell'articolo 138, indicata anche dalla Commissione nel dibattito portato avanti nelle settimane passate.
Con la nostra indagine conoscitiva speriamo di avere le idee più chiare sui contenuti da affrontare ed anche sugli argomenti su cui i gruppi possono riflettere per presentare proposte di modifica della Costituzione.
Passando al merito dei problemi, sicuramente vi è una convergenza sulla necessità di modificare il Titolo V. Senza entrare nella polemica politica sul come, quando e perché è stato fatto, oggi il Titolo V, così com'è, non funziona. Vi è bisogno di una riflessione che noi come Commissione vogliamo avviare per comprendere di quale federalismo abbia bisogno il paese.
Indubbiamente, siamo usciti da una fase di eccesso di centralismo. Grazie ad alcune forze politiche, a partire dalla Lega, vi è stata una sensibilizzazione del Parlamento e di tutte le altre forze politiche su questo tema. Poi, sia nel 2001 che nella nostra riforma costituzionale, sono intervenute spinte politiche, per cui non sempre si è pensato al tipo di federalismo necessario per il paese, ma piuttosto ai problemi politici contingenti.
Siamo molto preoccupati dal quadro emerso in questi anni, ministro, perché siamo passati da un sistema di centralismo statale ad un sistema attuale preoccupante


Pag. 9

di policentrismo regionale. Abbiamo regioni che, ormai, sono convinte di essere degli Stati; lo si evince già dal lessico, tant'è che i loro presidenti si autodefiniscono «governatori» e fanno delle cose assurde. Io provengo dalla regione Campania, che ha due ambasciate, una a Bruxelles e una a New York, molto bella, tra l'altro dentro una boutique. Le consiglio di andarla a visitare.

PRESIDENTE. Quale delle due?

SESA AMICI. Quella di New York, così può fare acquisti...

ITALO BOCCHINO. Gliela consiglio perché una persona entra dentro la boutique di Kiton, compra due o tre cravatte, compra una giacca, poi prende l'ascensore che è dentro la boutique e sale all'ambasciata della regione Campania.

ROBERTO ZACCARIA. Succede quando ci sono i grattacieli...

ITALO BOCCHINO. No, succede quando la regione permette ad un imprenditore di comprare una sede nella Quinta strada e di pagare un fitto pari all'importo del mutuo.
Allora, mi chiedo, per quale motivo una regione, che non riesce a smaltire la nettezza urbana e che la invia in Germania con le ecoballe, che ha la più alta migrazione sanitaria (90 mila campani l'anno vanno a curarsi fuori dalla regione), debba avere due ambasciate. Sono convinti di essere dei piccoli Stati e credo che vi sia un'esagerazione.
Tra l'altro, vi è un problema che dobbiamo porci come Commissione, quello della burocrazia regionale. Per dar vita a piccoli Stati, così come hanno voluto fare, bisogna avere anche una burocrazia adeguata a reggere quei compiti e quel ruolo, cosa che non mi pare, oggi, sia possibile all'interno delle nostre regioni.
L'altro tema è quello dell'interesse nazionale: siamo molto preoccupati, perché in campagna elettorale avete speculato un po' su alcune questioni ma è la normativa attuale ad essere preoccupante. Tale normativa, fatta da voi, prevede che le regioni si possano unire fra di loro e compiere scelte suscettibili di determinare una differenza fra cittadini di serie A e di serie B, sulla sanità ad esempio, senza che lo Stato possa intervenire. Quindi, noi dobbiamo risolvere questo problema. Il ministro Chiti ha parlato di clausola di supremazia: troviamo pure una formula, ma interveniamo con urgenza.
Quanto alla questione del rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio, che secondo noi dovrebbe diventare il Primo ministro, siamo affezionati, come Alleanza nazionale, ad un rafforzamento della democrazia diretta in quanto tale, cioè siamo per l'elezione diretta del Presidente della Repubblica o, in alternativa, per l'elezione diretta del Primo ministro. Vi è bisogno di una riflessione su questo punto, e non sarei così preoccupato dal timore - strumentale e da campagna referendaria - di questo premier troppo forte, di questo padrone del paese. In tutta sincerità, abbiamo visto che l'elezione diretta dei sindaci, dei presidenti delle province e delle regioni ha sì concentrato i poteri in mano a queste persone, ma ha garantito anche più stabilità, governabilità e maggiore soddisfazione - a prescindere da chi vince le elezioni - da parte dei cittadini dei comuni, delle province e delle regioni governate. Inoltre, un rafforzamento del decentramento si coniuga bene con un rafforzamento dell'accentramento in mano al Primo ministro.
A tale proposito, teniamo molto alla clausola antiribaltone - su questo punto ho percepito una posizione un po' timida - in parte perché ci siamo passati, in qualche regione e a livello nazionale, in parte perché riteniamo che ci debba essere chiarezza: l'elettore deve scegliere prima chi deve governarlo, deve responsabilizzarlo e se non è in grado di governare bisogna tornare alle urne, così come accade nei comuni, nelle province e nelle regioni.
Quanto alla legge elettorale noi aspettiamo: a parte le battute di prima, non possiamo farla adesso, altrimenti il giorno


Pag. 10

dopo l'approvazione dovremmo porci il problema se il Parlamento, alla luce di quella legge elettorale, debba restare in vita o meno! È vero che è una questione che riguarda la seconda parte della legislatura, ma è anche necessaria una riflessione su come ha funzionato questo modello - bene secondo me - che non è molto lontano da quello tedesco, perché è una legge elettorale che garantisce la governabilità e la stabilità con un premio di maggioranza e che rispetta la particolarità del sistema italiano, in cui vi è una pluralità di partiti e di posizioni politiche; quindi credo possa essere un buon punto di partenza, seppure da modificare. Personalmente, ad esempio, sono favorevole ad una soglia di sbarramento più alta, a trovare delle formule di maggiore ancoramento dei candidati al territorio: ma non mi sembra che siamo lontani da ciò di cui il paese ha bisogno. Ritengo comunque come lei che il problema del bicameralismo vada superato e che non siamo distanti come posizioni.
Tocco per ultimo un tema a me molto caro, ma so bene che è caro anche a lei, ministro, perché per un periodo siamo stati contemporaneamente responsabili degli enti locali dei nostri partiti: quello della riforma del Testo unico degli enti locali. Dopo dieci anni dall'approvazione dell'attuale legge, dobbiamo porci il problema di modificare le cose che non vanno.
Lei sa quanto me che all'interno dei comuni vi è un problema serio: quasi una mortificazione dei consigli comunali. Quando venne approvata quella legge elettorale, quel Testo unico e quel sistema, uscivamo da un periodo complesso dove i consigli comunali deliberavano pure sull'acquisto delle patate della mensa scolastica: spesso accadeva che i cittadini andavano a dormire la sera sapendo che alle 22 ci sarebbe stato il consiglio comunale, e quando si svegliavano la mattina, leggendolo sui giornali o sapendolo in piazza, venivano a scoprire che il sindaco era stato sfiduciato e che ne era stato eletto un altro, proprio perché, per l'appunto, l'amministrazione era caduta sull'acquisto delle patate della mensa comunale.
Per carità, nessuno vuole tornare a quel sistema, però probabilmente una restituzione di poteri, almeno di controllo, ed un riequilibrio tra i consigli comunali e i poteri del sindaco deve essere oggetto di una nostra riflessione. Questo anche perché vi è un problema politico che sottopongo al presidente Violante, di cui conosco la sensibilità su questo tema: nel momento in cui il ruolo del consiglio comunale viene ad essere depauperato, i partiti hanno una maggiore difficoltà a trovare soggetti qualificati da candidare ed eleggere. Oggi è difficile trovare soggetti provenienti dal mondo delle professioni, del commercio e dell'artigianato disposti a farlo e si finisce per candidare i soggetti di partito rappresentanti di questo o quel quartiere, di questa o quella corrente di partito, con il conseguente depauperamento della classe dirigente locale, che, costituendo essa il primo passo di un percorso politico, pagheremo poi con il tempo. In questo senso penso che bisogna restituire piccoli poteri al consiglio comunale.
Inoltre, con l'abolizione del Coreco, oggi, di fronte ad un atto illegittimo di un sindaco, se non è danneggiato personalmente, il consigliere comunale non può intervenire. Segnalo al ministro il caso di un comune italiano, in cui un consigliere di opposizione del mio partito dava fastidio ad un sindaco del suo partito; il sindaco ha commesso un atto illegittimo relativamente ad un suo terreno, costringendo quel consigliere ad adire le vie legali e a decadere di fatto dalla carica di consigliere comunale. Arriviamo ad eccessi rispetto ai quali non vi è alcuna possibilità!
Si potrebbe allora prevedere una corsia veloce e senza costi per le amministrazioni, ad esempio, di ricorso al TAR, trovando delle formule che restituiscano, anche in capo ai consigli comunali, ai gruppi consiliari, alle opposizioni, al consiglio


Pag. 11

stesso almeno la possibilità di ricorrere di fronte ad un atto illegittimo, cosa che oggi non è possibile.
L'altro grande tema sugli enti locali è quello dei piccoli comuni. Lei sa che nella scorsa legislatura la Camera approvò, tra l'altro all'unanimità, una proposta di legge che era frutto di un testo unificato di due proposte presentate dal collega Realacci e da me e che poi si arenò in Senato. Credo che dobbiamo riprendere quel lavoro, questa volta presso la Commissione affari costituzionali, e non più in Commissione ambiente come nella scorsa legislatura. Occorre fare qualcosa, perché lo spopolamento dei piccoli comuni è un dato preoccupante che non riguarda solo l'aspetto demografico, ma anche il problema del controllo del territorio dal punto di vista ambientale e geologico.
Sono d'accordo con lei nel ritenere che si debba incentivare l'associazione dei comuni solo ed esclusivamente per i servizi; che debba migliorare la qualità dei servizi e debbano diminuire i costi. Sono contrario a unificare i comuni: l'alto numero dei comuni dell'Italia, così come della Francia o di altri Stati, è una peculiarità positiva del nostro paese, perché ogni comune porta dietro la propria cultura, la propria tradizione, il proprio campanile, i propri prodotti enogastronomici, che sono anche una forza economica del paese. Parimenti non hanno funzionato neppure le unioni di comuni, che sono diventati ulteriori soggetti, senza però aver risolto i problemi.
Concludo con un altro argomento. Il servizio studi ci ha dato un ottimo appunto sulle competenze del suo ministero, tra cui vi è anche quella che riguarda il procedimento legislativo come ministro per i rapporti con il Parlamento.
Siamo molto preoccupati da quello che sta accadendo in questa fase, perché le difficoltà che la maggioranza trova al Senato rischiano - il problema l'ha posto anche il presidente Violante, ma a noi dell'opposizione ovviamente sta maggiormente a cuore - di trasformare la Camera dei deputati in un organo sostanzialmente estraneo al procedimento legislativo.
Con la presentazione di decreti-legge, la necessità di andare prima in Senato - poiché il problema è quello di superare lo scoglio numerico della maggioranza presso quel ramo del Parlamento - l'approvazione con la posizione della questione di fiducia su maxiemendamenti, rischiamo che il Governo «se la suoni e se la canti».
Di questo passo, si rischia che anche un'intera legislatura passi senza mai cambiare una virgola ad una legge; ciò è pericolosissimo, perché la Costituzione dice che abbiamo diritto, quanto lo ha il Senato, di modificare le norme. Credo che su questo punto, signor ministro, lei debba fare una riflessione e rassicurare questo ramo del Parlamento, perché altrimenti si porrebbe un problema di natura istituzionale e costituzionale. Non possiamo essere solo un soggetto che ratifica ciò che, a fatica, siete riusciti a far approvare al Senato.
Il Governo dovrà risponderci in tempi brevi, perché più andiamo avanti e più, mortificando il ruolo della Camera dei deputati, rischiamo di aprire uno scontro istituzionale, che poi ovviamente sarebbe difficile da gestire.

PRESIDENTE. Il ministro Chiti chiede una sospensione di qualche minuto, per un impegno sopravvenuto. Nel frattempo, mi preme sottolineare che mantenendo questo ritmo concluderemo l'audizione, credo, per l'8 settembre, naturalmente lavorando tutto agosto!

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Data infausta!

PRESIDENTE. Vediamo come sarà possibile procedere, visto che abbiamo anche un calendario abbastanza pieno fino alla fine di luglio. Mi rivolgo ai colleghi, salva essendo comunque, la facoltà di ognuno di autodisciplinarsi.

MARCO BOATO. Lasciamo il primato a Bocchino e poi noi ci autodiscipliniamo...

GIANCLAUDIO BRESSA. È chiaramente una minaccia!


Pag. 12

PRESIDENTE. Sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle ore 10,25 è ripresa alle ore 10,40.

PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Boato, che ha già reso una dichiarazione di autolimitazione.

MARCO BOATO. Presidente, cercherò di essere molto breve. Ringrazio il ministro per la sua esposizione.
Come lei sa, signor ministro, per sei settimane siamo andati avanti in parallelo. Da una parte, vi sono state le consultazioni che lei ha fatto, giustamente e opportunamente, con le forze politiche e, in particolare, con quelle dell'opposizione. Riteniamo sia giusto che in questa materia, in questa legislatura, si riprendano il più possibile i temi delle riforme con la consapevolezza che, se il cammino delle riforme costituzionali e istituzionali si può e si deve riprendere, esso vada ripreso senza commettere quegli errori di unilateralismo che hanno caratterizzato le precedenti legislature. Dall'altra, la nostra Commissione, come lei sa, su impulso del presidente Violante, prima in ufficio di presidenza e, successivamente, in seduta plenaria, ha focalizzato i temi su cui prioritariamente portare la nostra attenzione.
Ritengo, pertanto, utile l'indicazione da lei data sulla priorità nell'affrontare la «rivisitazione» previa una «ricognizione» - mi pare che siano questi i due termini che lei ha usato - del Titolo V in generale e, in particolare, dell'articolo 117, per quanto riguarda l'eventuale diverso riparto di competenze tra Stato e regioni. Mi fa piacere che lei abbia toccato anche il tema, cui ho accennato proprio nella seduta di ieri presso questa Commissione, della cosiddetta clausola di supremazia. Non credo, infatti, che possiamo ricominciare da capo, anche se ovviamente su questo argomento vi saranno valutazioni diverse su cui ci confronteremo, con la riproposizione del cosiddetto interesse nazionale.
Quello che deve prevalere è l'interesse della Repubblica, e la Repubblica è un soggetto costituito da una pluralità di soggetti, comuni, province, città metropolitane quando ci saranno, regioni e Stato; bisogna però introdurre ciò che è proprio del sistema federale, cioè una clausola di supremazia e la sede in cui inserirla potrebbe essere proprio quella dell'articolo 117.
Ritengo positivo e interessante il solo fatto che lei abbia citato questo argomento; nel merito tecnico e giuridico avremo poi modo di entrare. So che vi sono spinte, sia da parte dell'opposizione che anche da parte di qualche settore della maggioranza - lei ha citato il collega Franco Russo - in direzione di un superamento del terzo comma dell'articolo 116. Questo è un punto su cui non sono d'accordo con l'amico e collega Franco Russo, col quale invece sono d'accordo su moltissimi argomenti. Intendo solo segnalarlo poiché ogni tanto questo tema riemerge ed è bene che si sappia comunque che su di esso vi sono valutazioni diverse.
A volte questa richiesta viene da esponenti del centrodestra; contemporaneamente le due regioni principali governate dal centrodestra, la Lombardia e il Veneto, iniziano a fare dei ragionamenti proprio sull'eventuale attuazione, per quanto li riguarda, delle intese previste dal terzo comma dell'articolo 116. Questo sarà sicuramente un tema che vedrà opinioni differenti in questa Commissione e sarà bene che ci predisponiamo a riflettere opportunamente al riguardo.
Anche nel dibattito che abbiamo svolto al nostro interno, emerge inevitabilmente in seconda battuta (almeno che non ci si indirizzi su ipotesi di riforma complessiva, che tendenzialmente siamo portati in questa fase a escludere) la connessione fra il tema del Titolo V e la riforma del Titolo I della Costituzione della seconda parte della Costituzione, cioè del bicameralismo perfetto.
Non sono un cattivo profeta se dico che questo, apparentemente, è un tema su cui è facile trovare convergenze - lei lo ha accennato - a parole, ma che poi sarà


Pag. 13

molto difficile realizzare nei fatti; sappiamo tutti che un soggetto, che in questo caso è il Parlamento, più facilmente riesce a riformare tutti gli altri soggetti piuttosto che a realizzare effettivamente una propria autoriforma. Questo è il paradosso di cui parlava molti anni fa Zagrebelsky, nel famoso saggio precedente alle bicamerali, in materia di riforme. Temo che ci incontreremo e scontreremo anche noi con questa difficoltà, però non vi è ombra di dubbio che, se si vuole andare verso un federalismo equilibrato e ben temperato (uso una espressione «bachiana»), bisogna tenere in stretto rapporto le ipotesi di rivisitazione del Titolo V con il completamento della riforma.
D'altra parte, l'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, cioè della riforma del Titolo V, cui lei ha fatto riferimento e sul quale concordo (tema però di competenza delle Giunte per il regolamento, non del Governo, come lei più volte ha ricordato), inizia con le parole (non ho qui il testo sotto gli occhi, ma vado a memoria): «Fino alla riforma del Titolo I». In altri termini, si fa riferimento ad una soluzione transitoria di integrazione della Commissione per le questioni regionali con i rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali in vista di quello che dovrà essere un bicameralismo differenziato, con un ruolo della seconda Camera quale espressione del sistema delle autonomie regionali e locali.
Sono anche d'accordo sul fatto che, in un'agenda di argomenti da affrontare, rispetto ai quali dovremmo poi stabilire le priorità temporali, non solo quelle politiche, vadano posti almeno alcuni aspetti riguardanti la forma di Governo.
Anche su questo punto ci siamo scontrati sull'impianto complessivo, ma nel confronto nessuno ha mai negato la necessità di un rafforzamento della forma di Governo. La semplice ipotesi di modifica dell'articolo 92 (adesso vado a memoria) con l'introduzione della revoca, non solo della nomina, dei ministri da parte del Presidente del Consiglio già riuscirebbe a stabilizzare e ad evitare, ad esempio, quanto è accaduto nel passaggio dal Berlusconi due al Berlusconi tre. Berlusconi ha governato cinque anni, e questo è un dato di fatto, ma avrebbe potuto evitare quel passaggio ad un secondo Governo nella legislatura, che era il suo terzo Governo, se avesse avuto a disposizione una norma costituzionale che permettesse il cambio di alcuni ministri senza dover passare per una crisi di Governo.
Molte delle crisi di Governo della cosiddetta «prima Repubblica», quando i Governi duravano in media undici mesi, erano crisi di Governo (non di cambio della forma parlamentare, che restava pentapartito, esapartito, quadripartito), aperte spesso soltanto per consentire dei rimpasti, dei cambi di ministri.
Collegabile a questo argomento è anche la tematica della sfiducia costruttiva, alla quale sono favorevole. Alla fine della XIII legislatura fu presentato, da parte dell'intera maggioranza di allora, un progetto di legge perché si potesse affrontare il tema della forma di Governo sotto il profilo della nomina e revoca dei ministri e della sfiducia costruttiva, ma non si riuscì a trovare l'accordo, come non si riuscì a trovarlo sul Titolo V, che poi fu ugualmente approvato in forma di stralcio.
Credo sia giusto ricordare che lei ha fatto riferimento a questo argomento.
Penso che sarà bene che cominciamo a riflettere, anche collegialmente oltre che nei singoli partiti, sul tema della riforma della legge elettorale, che - come tutti noi sappiamo - non è riforma costituzionale, trattandosi di legge ordinaria, ma ha una grandissima rilevanza rispetto al sistema politico-istituzionale.
È difficile pensare che questo possa essere un tema da inserire all'ordine del giorno, operativamente, nella fase iniziale della legislatura, mentre è realistico che si cominci ad affrontarlo, probabilmente nel merito, nella seconda metà della legislatura, proprio per i meccanismi, cui il collega Bocchino aveva accennato, che si mettono in atto una volta che si ipotizzino delle riforme elettorali.
Ho detto ieri - lo ripeto oggi - che a fianco degli argomenti riguardanti la seconda parte della Costituzione, in particolare


Pag. 14

il Titolo V e il Titolo I, in parte anche il Governo, vi sono alcuni temi di revisione costituzionale cui ho accennato ieri, e oggi vi accenno soltanto per titoli, sui quali sarà opportuno porre l'attenzione perché si tratta di questioni che, pur non riguardando la seconda parte della Costituzione, possono e debbono essere affrontati.
Il primo riguarda la revisione dell'articolo 27, per estromettere definitivamente la pena di morte dalla nostra Costituzione, in quanto siamo una delle pochissime realtà che fanno parte del Consiglio d'Europa che non sono ancora totalmente abrogazioniste.
Il nostro paese per fortuna non ha la pena di morte dal dopoguerra, cancellandola però dal codice penale militare di guerra soltanto nel 1994, se non ricordo male, all'epoca del primo Governo Berlusconi. Fu in quella fase che avvenne la cancellazione della pena di morte dal codice penale militare di guerra.
Paradossalmente, dirò una cosa che nessuno ha intenzione di fare. Attualmente in Iraq e in Afghanistan viene applicato il codice penale militare di guerra, discuteremo di superarlo almeno per l'Afghanistan. Dico una cosa folle che nessuno si sognerebbe di fare (neanche nel centrodestra nessuno si è mai sognato di farlo!): l'adozione di un decreto-legge che reintroducesse nel codice penale militare di guerra la pena di morte, che diventerebbe applicabile, perché il codice penale militare di guerra lo si sta applicando in Iraq e in Afghanistan; sarebbe in astratto - pura follia dico io - possibile. Quindi noi dobbiamo arrivare a fare questo atto di pulizia rispetto ad una situazione che ci colloca fra i paesi abrogazionisti di fatto, ma non totalmente abrogazionisti sul piano costituzionale. Siccome nella scorsa legislatura avevamo approvato all'unanimità qui alla Camera, eccetto un voto contrario e due astenuti, un progetto di legge, bloccatosi poi al Senato, purtroppo per iniziativa dell'allora gruppo di Alleanza nazionale del Senato (non della Camera perché alla Camera Alleanza nazionale votò a favore), propongo che questo tema venga riattivato.
Un altro tema, che ho citato ieri e che cito di nuovo oggi, è quello non della modifica, nel senso di cambiare ciò che c'è scritto, ma di un arricchimento dell'articolo 9 della Costituzione in materia di tutela dell'ecosistema. È un tema su cui abbiamo lavorato nella scorsa legislatura in questa Commissione positivamente (il relatore era un collega di Forza Italia, Schmidt), che ebbe un consenso amplissimo e che ritengo sarebbe utile riprendere.
Se dovesse non andare in porto - ma io mi auguro che ci vada - l'iniziativa legislativa ordinaria in materia di indulto oggi e di amnistia domani (se andasse in porto vorrebbe dire che in qualche modo si può superare il vincolo introdotto nel 1992 all'articolo 79) bisognerebbe rimettere all'ordine del giorno un abbassamento del quorum previsto dall'articolo 79 della Costituzione, per riportarlo non alla maggioranza semplice, che sarebbe un errore, ma alla maggioranza assoluta dei componenti, che costituirebbe così un quorum sufficientemente elevato ed equilibrato.
Questi sono i temi che segnalo - lo ripeto -, visto che parliamo col ministro per le riforme costituzionali e istituzionali, ma che pongo a latere rispetto ai temi di carattere ordinamentale, che invece sono stati citati nella sua relazione introduttiva e che sono stati anche oggetto di un proficuo lavoro istruttorio, fatto in questa Commissione su impulso del nostro presidente.
Credo altresì sia utile che anche il Governo diventi interlocutore attivo, come del resto sta già facendo, nella fase dell'indagine conoscitiva preventivata, rispetto alla quale il ministro ha espresso apprezzamento nella parte iniziale della sua relazione, poiché, quando ascolteremo regioni, province, comuni, sindacati, imprenditori, sarebbe importante che il Governo fosse presente come interlocutore.

ROBERTO COTA. Anch'io la ringrazio, ministro, per essere intervenuto oggi e


Pag. 15

rilevo un primo aspetto: mi pare che in questa fase l'interlocutore sia il Governo. Lo dico anche perché, giustamente, il presidente Violante ha convocato una riunione della Commissione affari costituzionali per discutere e interloquire di riforme, proprio nel momento in cui lei aveva avviato un giro di consultazioni con le forze politiche. Devo dirle che ci siamo trovati un po' spiazzati, perché non capivamo quale fosse l'interlocutore. Almeno oggi mi pare di capire che l'interlocutore almeno in questa fase sarà il Governo.
Ho sentito oggi il suo intervento e, ovviamente, su alcune cose, per esempio sulla necessità di lavorare sul federalismo fiscale e anche su alcune riflessioni da lei svolte, sono d'accordo.
Tuttavia, vi è una preoccupazione che emerge e che proverò a sintetizzare. Lei ci ha parlato della necessità ineludibile di provvedere ad un riassetto del Titolo V. Ha parlato di equilibri da ricostruire. Il problema è che certamente vi sono degli equilibri da ricostruire, però la vecchia riforma, cioè quella che è stata oggetto di referendum, realizzava un bilanciamento tra equilibri da ricostruire da un lato ed esigenze di federalismo che avanzava dall'altro. È vero cioè che si ricostruiva un equilibrio tra competenze dello Stato e competenze delle regioni e che, in alcune materie, alcune competenze venivano trasferite dalle regioni allo Stato, ed è anche vero che veniva introdotta la clausola dell'interesse nazionale, che non ci ha mai visto particolarmente entusiasti, però era previsto il trasferimento alle regioni della competenza legislativa esclusiva su tre importanti materie.
Non vorrei allora che l'esigenza di riassetto dichiarata porti poi ad un saldo negativo, nel senso che si realizzi una riforma centralista e si tolga anche quel poco o tanto di federalismo che è contenuto nel Titolo V, che oggi è in vigore e che ha certamente delle sue potenzialità, non sfruttate per tanti motivi.
La seconda riflessione è questa: cosa pensa lei del voto. Il voto referendario ci ha dato un segnale chiaro: ci ha detto che esiste una parte del territorio, il nord, che ha chiesto il cambiamento, per il quale quindi è maturo anche politicamente, ed il federalismo, mentre un'altra parte di esso ha detto di non volere il federalismo, anche qui per tanti motivi, perché ad esempio la riforma non è stata spiegata bene o perché è stata strumentalizzata (questo fa parte dell'analisi politica ma ormai del passato).
Dal voto quindi è uscita un'esigenza di riforme a doppia velocità, per cui esistono realtà che vogliono e - a mio avviso - debbono poter avere l'autonomia, certamente il Piemonte, la Lombardia e il Veneto. Il Piemonte è una bella partita, ministro, perché cinque province su otto hanno detto sì. Dal nostro punto di vista vi è la zona di Torino da riconquistare, ma un progetto che riguarda solo la regione Piemonte ha certamente il suo fascino e anche le possibilità e potenzialità per ottenere la maggioranza.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Allora anche Milano deve riconquistare...

ROBERTO COTA. Complessivamente Milano fa un milione e duecentomila, Torino fa due milioni su quattro. Quindi, federalismo a due velocità e anche sfruttamento delle potenzialità che il Titolo V su questo punto concede.
Per quanto riguarda l'articolo 138, il problema è che si fa fatica a cambiare. Se noi modifichiamo quell'articolo in senso restrittivo renderemo sempre più difficile il cambiamento. Sono perplesso, direi decisamente contrario, ad un innalzamento di quorum per modificare la Costituzione, che non è qualcosa di immutabile, ma che necessariamente deve essere modificata, può e deve esserlo in base ai mutamenti che avvengono nella storia politica e istituzionale.
Quella del 1948 era una Costituzione abbastanza evoluta per quei tempi se pensiamo all'idea di trasferire alle regioni competenze legislative e anche al tipo di materie che fino ad allora erano state pensate come competenza regionale. Oggi


Pag. 16

quelle materie allora previste, su cui poi è avvenuta la modifica, ad un lettore possono sembrare assolutamente anacronistiche, quindi tutto va attualizzato.
Vorrei fare un ultimo flash - in proposito ha svolto un interessante intervento l'onorevole Boato - sull'esigenza di stabilità dell'Esecutivo e di fatto sul rafforzamento dei poteri del premier in ordine alla nomina e alla revoca dei ministri. Pian piano si scoprirà che probabilmente la riforma, tanto vituperata e attaccata in maniera strumentale, non era così male.

PRESIDENTE. Come succede con le fidanzate, che apprezzi realmente nel momento in cui se ne vanno!

ROBERTO ZACCARIA. Vorrei dire poche cose. Ho sotto gli occhi il materiale che abbiamo prodotto durante la discussione precedente, quindi eviterò di ripetere quanto ho detto in quella sede. Aggiungerei alcune considerazioni molto specifiche in relazione all'audizione del ministro, che peraltro quel dibattito ha potuto seguire, per cui non mi pare neanche il caso di riproporre a lui argomenti che abbiamo sviluppato qui in sua assenza.
Non mi pare neppure il caso, come hanno fatto alcuni colleghi, di riproporre letture e significati del voto. Noi siamo qui, in questo contesto, per cercare dei punti di convergenza, non di differenziazione. È chiaro che, sul piano politico, ciascuno dà alla lettura del voto un significato un po' diverso; dobbiamo cercare, se c'è, un significato comune e mi pare che questo sia stato riassunto dal presidente e ripreso anche dal ministro. Da tale punto di vista direi che le stesse considerazioni svolte dal Presidente della Repubblica sulla possibilità, dopo il referendum, di trovare un terreno di riforme possibili sono quelle che ci vedono in questa sede animati da un'intenzione comune.
Per questo motivo mi limiterei a fare riferimento (anche se vi è questa usanza per cui una volta svolto l'intervento si esce!) all'ultimo intervento - anche perché lei presidente sta dando la parola alternativamente, quindi mi pare giusto dialogare - circa il ruolo del Governo. Mi trovo in proposito in una strana situazione per cui praticamente l'onorevole Cota, sia nell'intervento che ha fatto in precedenza che in quello di oggi, anche se in modo più attenuato, attribuisce al Governo un ruolo maggiore di quello che gli attribuisco io stesso in questo dibattito.
Credo sia chiaro che il Governo in questa materia ha un ruolo concorrente, visto che l'abbiamo definito così. Il Governo non può recitare un ruolo esclusivo, ovvero essere assente, disinteressarsi o guardare da lontano questo dibattito. Ha un ruolo concorrente, che in alcune materie diventa essenziale. Lo abbiamo già detto: attuare il federalismo fiscale, non foss'altro perché vengono chiamate in causa diversi tipi di competenze, compresa quella in materia economica, per l'appunto fiscale, vede il Governo con un ruolo ancora più ampio.
Riteniamo che questo sia il tipo di impostazione da dare, quindi concordo con quello che ha detto il ministro nel definire quella funzione. Mi pare che oggi sia importante comprendere quale sia il passo successivo; penso all'indagine conoscitiva. Dico «passo successivo» proprio perché cerchiamo un terreno comune di lavoro.
L'indagine conoscitiva mi trova d'accordo nel coinvolgimento di Camera e Senato. Vorrei anche sottolineare il passaggio in cui viene definita «breve e concentrata», perché - l'ho detto più di una volta, mi permetto solo di ripeterlo - non possiamo permetterci, nel metodo che abbiamo scelto, attese troppo lunghe sul risultato del nostro lavoro; per questo motivo abbiamo deciso di mettere i «vagoni» in successione e non in contemporanea partenza, secondo quella che mi pare essere la tentazione di alcuni di noi, perché in tal caso sicuramente arriveremmo ad un blocco. I collegamenti sono tali da fare poi scattare i poteri impeditivi e dunque è bene che l'indagine sia «breve e concentrata».
Posso permettermi di dire, proprio per la mia formazione, che mi pare sia più importante sentire le autonomie, perché le


Pag. 17

ritengo particolarmente essenziali. Vorrei mettere su un gradino più basso l'esigenza di sentire le accademie, non perché ciò significhi che siamo autosufficienti, ma perché in genere i professori scrivono e quindi quello che vengono a dire qui lo possiamo apprendere andando a consultare i siti o le riviste specializzate: basterebbe che l'efficientismo ufficio studi della Camera ci facesse avere una rassegna di queste posizioni.
Dei tre punti richiamati dal presidente Violante nel breve intervallo che ha visto l'assenza del ministro, mi permetto di dire che, in qualche modo, il primo ed il secondo punto, rispettivamente riguardanti le competenze, l'articolo 117, ed eguaglianza e federalismo, in qualche modo sono parte di uno stesso argomento. È infatti evidente che, nel momento in cui ci poniamo il problema di rivisitare la struttura dell'articolo 117, quindi delle competenze concorrenti, esclusive, la clausola di salvaguardia, e altro ancora, dobbiamo pensare che su questo punto si inserisce anche il problema del rapporto tra federalismo e eguaglianza.
Penso, invece, che in qualche modo manchi - non so se prevedere un'altra mezza giornata di attività, o inserire questo punto in sostituzione di un altro già previsto - la parte relativa alla Corte costituzionale, quindi alla ricaduta dell'attività di tale organo sulla riforma costituzionale. Questa parte, secondo me - e qui forse c'è già un piccolo accenno, che però vorrei amplificare - ci darebbe la possibilità di introdurre quel capitolo che riguarda il rapporto tra Corte costituzionale, seguito della sua attività e leggi ordinarie di attuazione.
A tale riguardo il presidente Violante e il ministro Chiti hanno sottolineato che ci troviamo di fronte ad una materia nella quale vi sono una serie di leggi ordinarie, alcune delle quali sono state qui richiamate. Sono particolarmente affezionato a quelle sul trasferimento delle funzioni - anche perché sono quelle che poi alla fine determinano il trasferimento e fanno da perimetro alle materie - rispetto alle quali siamo indietro. Allora, se noi inserissimo una parte in cui trattare di Corte costituzionale, seguito della sua attività, leggi ordinarie e, in qualche modo, di attuazione, riempiremmo un capitolo e daremmo il senso a questo lavoro del doppio acceleratore - attuazione e modifiche - che è un elemento insostituibile.
L'unica esigenza che sento realmente e che reputerei opportuna, è quella di effettuare parallelamente all'indagine conoscitiva una particolare esplorazione sul sistema tedesco. Forse sarebbe opportuno che in questa singola circostanza ci recassimo a prendere visione diretta di quell'esperienza costituzionale.
In tal modo compiremmo anche un'operazione economica, perché con una sola missione potremmo soddisfare due esigenze, quella della riforma costituzionale e quella della riforma elettorale. Non vorrei fare un banale ragionamento di costi e di economie, ma anche nel suo intervento il ministro Chiti ha parlato di due ipotesi, quella del maggioritario a doppio turno e quella del proporzionale secondo la lettura tedesca, giustamente graduandole anche come fattibilità.
Permettetemi solo di fare un inciso e concludo: sulla legge elettorale non mi sentirei di sostenere - dico questo semplicemente da un punto di vista metodologico - che esiste un principio, che viene dato per scontato, in base al quale fare una legge elettorale significherebbe delegittimare il Parlamento. Questo deve essere chiaro. È chiaro che il Parlamento è delegittimato soltanto dai referendum in materia elettorale, per una ragione evidente, perché se il popolo dice che quel sistema elettorale non va e ne viene imposto un altro, automaticamente - e questo è anche agli atti di questa Repubblica - la conseguenza è prodotta dallo stesso referendum.
Vi inviterei a riflettere attentamente - anche se è difficile tecnicamente fare un referendum - sul fatto che, se procederemo troppo lentamente sulla vicenda della modifica elettorale, potremmo rischiare qualche altra iniziativa referendaria. Ed è per questo motivo che dicevo, considerate anche le varie esperienze costituzionali,


Pag. 18

che le riforme elettorali - l'abbiamo ricordato anche durante il dibattito alla Camera - vengono effettuate all'inizio, a metà oppure alla fine della legislatura, e che, se fatte dallo stesso Parlamento che programma il significato del suo intervento, non si può parlare di delegittimazione.
Naturalmente, non è il caso di farle domani, però facciamo attenzione perché, se partisse, di fronte all'inerzia del Parlamento, un movimento referendario (oggi non ve ne è sentore), sarebbe molto peggio per il Parlamento intervenire per bloccare l'eventuale iniziativa referendaria.
Pertanto, inviterei a questa doppia riflessione. In primo luogo, non è vero che le riforme elettorali delegittimino il Parlamento se vengono fatte in un certo modo, e in secondo luogo, ciò che delegittima è eventualmente il referendum. Detto questo, condivido lo spirito delle vostre osservazioni - dico «vostre» perché le ha svolte il presidente e le ha riprese il ministro - però sommerei l'esigenza di andare a vedere il modello tedesco con una esplorazione che, quindi, prima, durante o dopo l'indagine conoscitiva sarebbe opportuno fare.
Per il resto sono d'accordo sulle cose cha ho sentito e quindi invito a procedere secondo la linea indicata.
Sarebbe il caso ad un certo punto di stabilire (forse questo argomento sarà ripreso dal collega Bruno) se, dopo l'indagine conoscitiva, partire con delle iniziative legislative (mi riferisco sempre al Titolo V dato che non ho mai allargato il campo delle attività). Potrebbe in effetti essere utile per i lavori di questa Commissione confrontarci su proposte di iniziativa parlamentare concrete, che più facilmente consentirebbero la verifica delle posizioni, e anche decidere quando avviarne l'esame, visto che evidentemente non si possono collocare né troppo presto, perché pregiudiziali, o comunque viziate da un pregiudizio, né troppo tardi perché rischieremmo poi di non avere più materia.

DONATO BRUNO. Ringrazio il presidente e il ministro Chiti per il tempo che ci ha dedicato e anche per la sobrietà dell'intervento. Ho avuto la fortuna di partecipare a un incontro e quindi già avevo avuto modo di ascoltare quale fosse il perimetro entro cui il ministro Chiti e quindi il Governo intende procedere nel campo delle cosiddette riforme costituzionali.
Dico da subito che noi ci saremo e ci siamo in questo processo, però mi aspetto dal Parlamento e poi dal Governo, che se lo riterrà opportuno lo accompagnerà in questo, un qualcosa di più consistente. Mi spiego meglio: non è che difendiamo la nostra riforma, ma crediamo che una riforma federale non possa fermarsi a riscrivere l'articolo 117 in quanto sarebbe un'opera di poco conto.
Credo che non interessi neppure i soggetti che andremo ad ascoltare in audizione, salvo qualche modifica che noi stessi riteniamo di effettuare in virtù delle sentenze della Corte costituzionale che gridano allo scandalo. Questa però sarebbe più un'esercitazione accademica che non il lavoro proprio di un legislatore che intende modernizzare il paese; la mia preoccupazione è che si intenda limitarsi a questo.
Ci viene detto che il programma dell'Unione presenta anche la modifica dell'articolo 138. La Lega su questo ha già espresso il suo parere; per quanto riguarda Forza Italia, credo che potremmo anche essere interessati a continuare questo dialogo, non vi è assolutamente una preclusione nei confronti del sì e del no.
Non ho ben capito se andremo oltre, poiché la legge di attuazione dell'articolo 119 è la vostra riforma, che noi abbiamo ritenuto valida, tant'è che non l'abbiamo modificata ed il Governo si è impegnato oggi a presentare a questo riguardo un disegno di legge di attuazione. Non vorrei che tutto questo, tutta questa attività posta in essere dal presidente della Commissione affari costituzionali del Senato, dal presidente Violante, che ringrazio ancora, e dal ministro Chiti, anch'essa meritoria, alla fine si concretizzi in interventi di questo


Pag. 19

tipo. Se così fosse, se questa fosse la volontà, sarebbe bene dire all'opinione pubblica che non stiamo parlando di riscrivere la seconda parte della Costituzione. Quindi, mi sarei aspettato, ministro, che, al di là di questi punti che lei ha proposto e che per ciò stesso saranno condivisi anche dalla maggioranza che lei rappresenta, ci potesse essere un futuro nel dialogo che lei dovrà continuare a tenere con la sua maggioranza, cercando di capire se il Senato è materia intoccabile, ovvero se esso costituisce un argomento da affrontare.
In questo senso, il Parlamento è sovrano e lo affronterà se lo riterrà opportuno, però lei comprende quanto sia stata importante la figura di Prodi, in negativo, nella scorsa legislatura. Non vorrei che lo fosse anche in questa: infatti, se vi è un soggetto che non intende modificare e ammodernare questo paese è proprio l'attuale Presidente del Consiglio. Infatti, nella scorsa legislatura affrontammo il tema delle riforme, qualche timido tentativo di colloquio venne fatto e, quando arrivò l'input da fuori, questa Commissione non fu più in condizione di parlare di riforme costituzionali.
Non vorrei che anche oggi, con la scusa di aggiustare quello che in qualche modo abbiamo ripetuto, e che voi stessi avete riconosciuto, e che è necessario aggiustare, ci limitassimo solo a questo, perché i problemi che sono tutti stati posti dai colleghi Bocchino, Cota, Boato e, da ultimo, anche Zaccaria, tanto per citare i colleghi intervenuti oggi, sono tutti tali da meritare un approfondimento e una soluzione da parte di questa Commissione.
Le domando, quindi, signor ministro, se vi sia da parte del Governo - dato che ognuno di noi parla singolarmente e ci si può confondere nel comprendere se vi sia una linea comune - la volontà di affrontare il problema relativo al Senato, all'iter formativo delle leggi, di capire che cosa debba fare il premier qualora abbia una sola Camera di riferimento, di verificare dunque la disponibilità ad esaminare questi argomenti.
Potremo poi verificare, vedere e meglio puntualizzare il modello con i viaggi, attraverso le audizioni: sarà giusto che questa Commissione faccia ciò che riterrà di fare, ma credo sia fondamentale chiarire questo equivoco. Su questo non vorrei però una risposta affrettata, perché non servirebbe.
Mi auguro che a settembre, quando entreremo nel vivo di queste modifiche, di questo maquillage che faremo all'articolo 117, poiché è necessario farlo, lei possa ritornare da noi e dire se vi sarà la possibilità - pur se procedendo per successivi «stati d'avanzamento» - di un comune sentire da parte dell'attuale maggioranza riguardo al resto del corpo delle norme da riformare.
Mi avvio alla conclusione, precisando che proprio per evitare che possa esservi un equivoco, noi - l'ho detto nell'intervento precedente - non siamo d'accordo sui doppi turni. Studiamo tutte le formule che vogliamo, per quanto riguarda il sistema proporzionale, quello maggioritario, tutto quello che questa maggioranza ritiene di offrire all'opposizione (su questo il dialogo è completamente aperto) però abbiamo...

ORIANO GIOVANELLI. Può dare un argomento...

DONATO BRUNO. Non siamo d'accordo, poi semmai affronteremo l'argomento quando lei preparerà la proposta, la leggeremo e le dirò quali sono le controindicazioni, per quanto ci riguarda.
Riguardo al periodo in cui realizzare queste riforme, credo che questo possa essere anche indifferente, ma si tratta di capire veramente - non è una battuta - quanto questo Governo e questa maggioranza potranno tenere. Se siamo preoccupati, potremmo già iniziare a discutere adesso la riforma costituzionale, visto che è un argomento che è stato toccato da tutti; poi il voto lo potremmo anche rimandare, ma forse sarebbe bene entrare - anche se non a «gamba tesa» - su questo argomento anche da subito.
Mi aspetto e mi auguro che saranno presentate proposte di iniziativa parlamentare,


Pag. 20

anche se il Governo in questa materia è bene che ci sia, proprio per rappresentare la punta dell'iceberg di questa maggioranza. Per quanto riguarda la nostra parte politica, faremo in modo di presentare per settembre le nostre proposte, anche se divise, che però costituiscano alla fine quel corpus che riteniamo necessario per la modifica della seconda parte della Costituzione.
Visto che il collega Boato giustamente fa riferimento ad altri articoli della Costituzione che potrebbero in qualche modo formare oggetto della nostra attenzione, le chiedo, signor ministro, ed è chiaro che rivolgendomi a lei lo chiedo a questo Governo, quale sia la sua posizione sull'articolo 68 della Costituzione. Le chiedo cioè se non si ritenga maturo il tempo di ritornare, per quanto riguarda i parlamentari, a quella sorta di immunità che vi era precedentemente, nel 1992-93, ovvero se si possa mutuare per intero il testo sulle immunità parlamentari europeo applicato ai colleghi italiani eletti in Europa.
Su questo mi piacerebbe, nelle sedi opportune, che il ministro Chiti potesse darci una risposta, poiché riteniamo che forse anche su questo argomento occorra svolgere una riflessione, come quella che stanno facendo i colleghi della Commissione giustizia sull'indulto e sull'amnistia; qualora non vi fossero le possibilità, anche la proposta ripetutamente riproposta oggi dal collega Boato a nostro avviso dovrebbe essere oggetto di maggiore attenzione.

GRAZIELLA MASCIA. Vorrei interloquire col collega Bruno solo per dire che, in realtà, nella scorsa legislatura non abbiamo avuto nessuno stop esterno che ci impedisse di confrontarci. Peraltro, egli sa benissimo che, con proposte alternative diverse e comuni, abbiamo risposto ponendo questioni di merito.
Questo ha riguardato le materie principali, relative al federalismo - le competenze delle regioni e la cosiddetta devolution - al ruolo del Senato, al procedimento legislativo, alla questione della sfiducia costruttiva. Tutti temi da voi proposti in una riforma organica nella scorsa legislatura, che hanno trovato in realtà risposte di merito da parte nostra. Poi, le cose sono andate in un certo modo, anche perché non vi era una grande disponibilità al dialogo: questo per dire che non è vero che vi siano stati input esterni, che hanno impedito un confronto di merito.
Io credo tuttavia che la premessa da cui è partito il ministro Chiti sia da tenere in considerazione riguardo agli esiti del referendum costituzionale. Ormai, infatti sono anni, e sicuramente qualche decennio, che, in alcune legislature, attraverso sistemi diversi, bicamerali o quant'altro, si cerca di produrre delle riforme organiche della seconda parte della Costituzione, che, comunque, alla fine, per ragioni politiche o per un giudizio del popolo italiano, finiscono per essere bocciate.
Credo, dunque, che la proposta e la metodologia avanzate sia dal ministro che dal presidente, nel dibattito che si è svolto in questa Commissione, confermino che forse, se si vuole essere efficaci e dare dei risultati... Fermo restando che noi come partito, prendiamo avvio dalla valutazione dell'esito del referendum, che ha confermato la validità di questa Costituzione. Non abbiamo alcuna chiusura ad affrontare questioni di merito; anzi siccome non abbiamo condiviso per nulla la riforma del Titolo V, siamo fra coloro che ne auspicherebbero una revisione vera, non solo per le parti che mi sembrano più urgenti e prioritarie, anche semplicemente cercando di dare attuazione al Titolo V con legge ordinaria, cosa naturalmente obbligatoria per l'attuazione dell'articolo 119, ma anche per la parte relativa ai «livelli essenziali delle prestazioni». Sul concetto di livelli essenziali abbiamo infatti molto da dire; quindi, sia che si scelga, sia che si sia costretti ad affrontare questo tema - dal punto di vista della sua ricostruzione o della sua attuazione - credo che avremmo qualcosa da dire e riteniamo opportuno lavorarci.
Se vi fossero le condizioni per andare verso una revisione dell'attuale Titolo V, sarei d'accordo sulla possibilità di prendere in considerazione anche tutta l'altra


Pag. 21

parte dell'articolo 122, che ha definito la questione dei sistemi elettorali delle regioni.
Penso che se un bilancio deve essere fatto, possa essere fatto complessivamente; in ogni caso, per quanto ci riguarda, le priorità sono certamente nella definizione delle materie di competenza dello Stato, in relazione anche alle sentenze della Corte costituzionale, e soprattutto nell'eguaglianza dell'esercizio dei diritti costituzionali da parte dei cittadini, ovverosia nell'esigibilità dei diritti.
Su questo vi sono il problema della clausola generale e altri aspetti che andrebbero esaminati, la questione dell'articolo 116, terzo comma, con il quale abbiamo una divergenza chiara non solo con il collega Boato, ma anche con coloro che hanno fatto questa riforma. Sono temi, però, che noi abbiamo affrontato al momento della discussione del programma dell'Unione, e su cui, siccome non sono competenza di una stretta maggioranza - come abbiamo più volte ribadito -, credo si possa e si debba sviluppare un confronto complessivo.
Ritengo che le materie indicate sia dal lavoro della Commissione sia oggi dal ministro Chiti siano sostanziose, tocchino questioni significative, come quelle dell'area metropolitana o della Conferenza Stato-regioni, e giustamente siano state inserite nell'indagine conoscitiva.
Penso che, anche da questo punto di vista, la suddivisione del lavoro tra noi e il Senato - da una parte il Titolo V e dall'altra la questione e il ruolo del Senato - sia una scelta giusta, anche perché è inevitabile che, se si affronta il Titolo V, immediatamente si debba o si possa prendere in considerazione (non è obbligatorio, ma un po' di coerenza potrebbe o dovrebbe portare quantomeno ad interrogarsi) il ruolo del Senato.
Di conseguenza, sulla questione del procedimento legislativo non abbiamo alcuna preclusione o timore rispetto alla possibilità o alla necessità di affrontare questi temi. Crediamo che ciò debba essere fatto nel modo indicato, con il contributo dei protagonisti degli enti locali, che peraltro nella scorsa legislatura hanno in parte detto la loro quando si è addivenuti al Senato ad un'ipotesi relativa al ruolo di quel ramo del Parlamento, ipotesi che non abbiamo condiviso alla Camera (nessuno dell'opposizione di centrosinistra l'ha fatto) e che comunque ha lasciato insoddisfatti rispetto alla soluzione che è stata trovata, che poi è andata al vaglio del referendum.
Credo quindi che ascoltare questa opinione sia fondamentale e che lo sia tanto più in riferimento alla scelta indicata. Quindi, o vi è una soluzione minimalista, che non comporta la modifica della Costituzione, oppure, se si interviene su di essa, non credo ci si possa limitare all'applicazione della sentenza della Corte costituzionale.
Infine, per quanto riguarda le questioni citate, anche nel programma dell'Unione non abbiamo avuto alcuna preoccupazione e in questo senso avevamo presentato anche delle proposte, nella scorsa legislatura, qui alla Camera, ad esempio sulla questione della sfiducia costruttiva. Noi siamo totalmente contrari alle norme antiribaltone. Le due cose non sono automatiche; anzi, vi sono opinioni di noti giuristi e ricca documentazione, da questo punto di vista, che dimostrano che non sono legate e, che al contrario, sono controproducenti: l'idea dell'irrigidimento delle norme di per sé può essere un elemento controproducente. Noi abbiamo sposato questa tesi e dico questo proprio come premessa.
Quanto alla legge elettorale, sono note le divergenze, presenti anche trasversalmente nell'arco parlamentare. Anche noi siamo contrari al doppio turno e con il collega che ha tentato prima di interloquire avremo modo di approfondire, visto che non è una questione che possiamo esaminare ora. La nostra scelta è quella del sistema tedesco su cui da tempo vi sono proposte di legge ed una discussione franca e tranquilla. Quindi, ben venga questa discussione nel momento opportuno, nella seconda parte della legislatura, magari affrontando la questione tenendo


Pag. 22

conto delle esperienze di altri paesi, che nel frattempo, peraltro, si sono arricchite, anche recentemente.
Concludo sulle questioni poste dal collega Boato, relativamente alla pena di morte e all'articolo 79.
Anch'io penso che, indipendentemente dalla nostra capacità o possibilità di intervenire sugli altri capitoli, essendo questi temi molto circoscritti, sia opportuno andare avanti. Sull'articolo 68, devo dire che, senza alcun problema rispetto al tornare nel merito di questo argomento, non capisco, non riesco a cogliere quale sia l'urgenza o le ragioni che determinano questa sollecitazione, perché comunque si tratta di un tema che noi abbiamo affrontato nella scorsa legislatura e le modifiche introdotte, quando l'attuale opposizione era al Governo, sono state le massime possibili dal punto di vista dell'unità politica. Non ho mai preclusioni, tantomeno su un tema così delicato: sinceramente, non comprendo da cosa derivi la sollecitazione.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Caro ministro, la passione ci porta a pronunciarci su questi argomenti, se pure con qualche velo di disincanto, per le molte esperienze maturate, anche registrando la grande molteplicità di pensieri e opinioni, che è appassionante e persino divertente registrare, al di là degli schieramenti.
Io sono portatore di un pensiero abbastanza personale che potrei definire di «ragionevole impazienza» a questo riguardo. Vedrei, cioè, con sofferenza trascorrere un'altra legislatura inconcludente, perché quella passata, giusta o meno giusta che fosse la riforma che veniva proposta, si è conclusa con un nulla di fatto per l'esito referendario.
Ora, non so cosa faremo. Non è che al cambiamento delle regole personalmente attribuisca una definitiva efficacia. Credo più al clima che regna in un paese in un determinato momento. Per aprire una parentesi, ho sostenuto sempre che quando si pareggia con un sistema elettorale nient'affatto disonesto, anzi, onesto, come quello varato per le ultime elezioni... Se ne può discutere, alla gente la sparizione apparente - ma non c'era già da prima - della preferenza, lasciava un retrogusto poco simpatico in bocca. Sembrava di avere già tutto bell'è fatto, non pensando che anche con i collegi fosse la stessa cosa, e poi vi era già una quota proporzionale, in fondo: epperò restava un retrogusto poco simpatico!
Fatto sta che, questo sistema elettorale, che registrava come un termometro (non lo alterava), ha indicato un paese sostanzialmente diviso a metà. Quindi quando si pareggia le cose sono tre, ma se avete altre indicazioni io le registro: o si sciolgono nuovamente le Camere, si va ai tempi supplementari e la gente viene nuovamente chiamata a votare; oppure, si costituisce una grossa coalizione a tutto campo, «alla tedesca», con un programma concordato per due anni (e questo si fa, non vi è nulla di scandaloso; gli ultrà a questo riguardo sono sempre sospetti, mentre chi è molto identitario, quale io sono, è disposto a fare invece tutte le operazioni, purché siano trasparenti e democraticamente affidabili); la terza possibilità è che chi ha avuto mezzo voto in più, o uno o due voti o 32 voti in più, si prende la responsabilità di fare il Governo da solo.
In tal caso le cariche di garanzia istituzionali si ripartiscono, grosso modo, a metà: non è che ci si può prendere il Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera, il Presidente del Senato, la Corte costituzionale, i capi dei commessi e poi si dice «facciamo un clima...» No, il clima è un'altra cosa, il clima per me vale più delle regole: sarò all'antica, ma d'altra parte io sono tendenzialmente un conservatore.
Allora le dico, onorevole ministro, davanti a tutti i riformisti (ché non ve n'è nessuno che osi non definirsi riformista): il parere di un tendenziale conservatore è quello di chi è attratto dalle grandi riforme, mentre ha il sospetto e perfino il fastidio delle piccole o delle false riforme.
Da conservatore amante della grande riforma ed essendo un «ragionevole impaziente», le chiedo: realmente il Governo e lei ritenete che possiamo continuare a


Pag. 23

parlare di ipotesi riformatrici, continuando a spostare i soggetti esistenti sul nostro scacchiere? Il Senato deve rimanere la seconda Camera, sostanzialmente copia della prima. Le province devono restare, i comuni guai a chi ne tocca l'impianto, le regioni devono essere quelle attuali, mentre continuiamo a parlare di dare più o meno poteri alle attuali regioni. Lei, signor ministro, ha avuto un'esperienza in una regione: grande, piccola? Dica lei.

ROBERTO ZACCARIA. Piccola è eccessivo per la Toscana...

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Il ministro Chiti sa di cosa sto parlando, vi è anche una dimensione non territoriale di certe realtà; comunque ha avuto un'esperienza importante, e forse comprende quello che intendo dire.
In altri termini, lei stesso, ministro, ha toccato il tema della libera sinergia delle autonomie locali, dei comuni, sui quali diciamo tutti che bisogna mettere il baricentro, dare loro più forza, più responsabilità, perché sono quelli sentiti dal cittadino: tutte cose vere! A questo punto, però, siamo tutti convinti che vi sia uno spazio e una ragion d'essere per le province? Si tratta di un dibattito antico, ma è inutile continuare a «dribblarlo».
Qui bisogna porsi il problema, perché certamente sono auspicabili non burocratiche e spontanee sinergie di comuni per l'organizzazione di questo o di quel servizio, anche se non è poi detto che debba essere sempre la stessa geografia, che questa debba valere sempre per tutti i servizi, perché certi postulano aree molto più vaste, certi ne postulano altre.
Occorre fare un dibattito che sia realmente riformatore, disposto anche a scompaginare l'esistente; noi svolgeremo l'indagine conoscitiva, ascolteremo tutti i livelli istituzionali, tutti si proclameranno riformatori, ma ciascuno si guarderà bene dal mettere in discussione la propria esistenza, o il proprio patrimonio di competenze, anzi, invocando più deleghe, tutto si risolverà in un'eterna mediazione compromissoria, che non porta a un punto di caduta ottimale. E mentre andremo avanti in questo non elegante balletto delle rivendicazioni e della difesa dell'esistente, dei vari livelli istituzionali, il cittadino non saprà di cosa stiamo parlando, non sarà interessato e non capirà nulla. Poi ne invochiamo la partecipazione ai referendum, ci illudiamo che tale partecipazione significhi consapevole interesse, piuttosto che mobilitazione delle forze organizzate. Non è così! Il cittadino vuole capire se la nostra riforma lo libera dal caos che stanno facendo le ASL sui nostri territori, in materia di sanità. I cittadini vogliono sapere se una riforma di questo genere porterà i comuni ad amministrare meglio il fondamentale servizio dei trasporti, senza che il capo di una regione, per esigenze di equilibrio tra le baronie del suo partito, stabilisca quali sono i bacini. Lo stesso vale per le comunità montane, dove si continuano ad inserire comuni che montani non sono; allora, facciamo cattiva stampa anche per le comunità montane, anche laddove potrebbero esercitare una funzione.
Il cittadino ci riduciamo ad evocarlo, dicendo che vogliamo un'Assemblea costituente, cosa giustissima, nobile, ma lo facciamo proprio per ricercare disperatamente questa legittimazione del cittadino, che altrimenti, in questo tipo di dibattito, non ci starebbe più ad ascoltare. Non gli interessa niente di tutto questo: vi sembra qualunquismo? Vi sembra populismo? Vi sembra deriva? Può darsi che io sia arrivato a questo dopo qualche decennio di militanza, di lavoro o approfondimento. Insomma, in questa legislatura si ha interesse, su impulso del Governo, da lei qui pertinentemente rappresentato, e dei nostri gruppi, ad arrivare a lavorare su questo impianto, su questa struttura, oppure no? Perché se così non fosse, sinceramente piccole modifiche seppure incidenti sul testo della Carta costituzionale, nella sua parte funzionale, non mi appassionerebbero granché.
Vorrei ricordare un tema che ho trattato quando è venuta la sua collega Lanzillotta: la questione del Senato. Al riguardo ho espresso un parere molto personale.


Pag. 24

Ho chiesto che mi fosse spiegato se si volessero dare forti e maggiori poteri alle regioni, oppure no, fermo restando quanto detto prima, cioè che non credo più all'attuale assetto della geografia regionale. A mio parere, nel contesto europeo, facciamo ridere con le nostre attuali regioni, non è possibile! Chi di noi ha avuto esperienze regionali sa come i grandi problemi passano sopra, senza che si riesca né ad impostarli né a risolverli, tanto meno ad avere su di essi un'autorevole interlocuzione né col potere centrale, sempre più evanescente, in una situazione paragonabile ad una matassa di cui nessuno riesce a trovare il bandolo.
Quanto al Senato, se dobbiamo dare più poteri alle regioni, e alcuni invocano anche maggiori poteri legislativi, è indispensabile che abbiamo anche una Camera centrale legislativa che le rappresenti? A me sembra quasi una contraddizione in termini, andrei verso altre soluzioni. Penso allo sdoppiamento delle due Camere e alla non sovrapponibilità delle funzioni, e anche del metodo di elezione. Dobbiamo prima chiarire questo aspetto, a cui si collega il tema della ripartizione delle competenze. Ammesso che si possa arrivare - continuo ad auspicarlo con passione disincantata - ad un disboscamento dei livelli amministrativi, serio ed incisivo, le regioni ci sono, sono una grossa realtà e bisogna capire quali sono effettivamente le competenze centrali e quali quelle regionali.
Su questo nella passata legislatura, si è provato a fare qualcosa, non so se felice o meno, ma perlomeno si è provato a farlo.
Gettate così alcune pennellate su quello che può essere lo scenario e anche la ricchezza e la vastità dei temi senza confini che possiamo provare ad affrontare, concludo con un riferimento alla legge elettorale, anch'essa importante; non di rilievo costituzionale, tuttavia fondamentale per il buon funzionamento del paese, nel senso che deve essere conforme alle scelte di impianto che facciamo ed al modo di reggersi dell'ordinamento.
Anche in questo parlo un po' da innamorato del maggioritario, di cui negli anni passati c'è stata una grande ubriacatura sia a destra che a sinistra, in molti casi anche perdurante. Ciò per una ragione fondamentale, o forse per più ragioni: la prima è che un legislatore eletto nell'ambito di 120 mila abitanti costituisce una figura mortificata, limitata. Poi ci si lamenta se, quando arriva la legge finanziaria, si verifica l'assalto alla diligenza e quel deputato si preoccupa anche dei gradini del campanile del proprio piccolo borgo. Questo è normale: quando si costringe ad eleggere un deputato con una differenza di dodici voti, in più o in meno, su 100 mila abitanti, non vedo come non sia doveroso, per colui che deve competere, occuparsi di quei problemi. Francamente, non mi appassiona quel ruolo di minideputato che rappresenta un quinto di un consigliere di circoscrizione di una città grande, certamente meno di un consigliere comunale di una media città.
Vengo ad una seconda osservazione, di cui ci siamo occupati quando si discuteva di legge elettorale: scorporo, non scorporo e altro ancora. Per l'assetto elettorale consolidato nelle nostre regioni, con il maggioritario secco avremmo regioni monocolori dove predomina il centrodestra (tutto il centrodestra, 300-400 mila voti che vanno perduti per lo schieramento opposto), e, al contrario, regioni prevalentemente di sinistra. Questa è una aberrazione che non ho mai accettato: per fortuna si è posto rimedio, in un modo o nell'altro, con l'ultima legge elettorale.
Anche per la legge elettorale, mi sembrerebbe effettivamente un po' azzardato dire che modificarla in principio di legislatura non comporti un certo notevole tasso di delegittimazione politica per il resto della legislatura. Formalmente è ineccepibile, lo si può fare anche il primo giorno di legislatura ma la politica e le istituzioni hanno un altro respiro, vivono di un clima diverso. Quando vi è una legge per la quale teoricamente colui che l'ha varata non sarebbe più neppure in carica, dire che non vi è una delegittimazione mi sembra un po' azzardato.
Quello della legge elettorale mi sembrerebbe un terreno sul quale poter lavorare, partendo, come mi pare dicesse il


Pag. 25

collega Bocchino, da una base che oggi, ad elezioni ormai avvenute, non è più da recriminare e costituisce invece una buona base di confronto. Si tratta ora di vedere come realizzare il massimo di coinvolgimento della pubblica opinione, del singolo cittadino, per rimetterlo al centro della vicenda elettorale e, allo stesso tempo, arrivare anche ad una ragionevole semplificazione del quadro politico. Ma questa non può essere un'operazione violenta, poiché i partiti non nascono e non scompaiono soltanto per giochi di palazzo o per fortuite circostanze. In questa ottica, ho visto che tutti hanno gettato un sasso, che raccoglieremo sicuramente con il tempo, con comodo, con calma. Anche io milito nettamente per i turni unici e non per i doppi turni, che sono fonti di distorsioni e non di soluzione dei problemi.
Su questo, però, penso che avremo occasione e tempo per poterci confrontare.

MAURIZIO TURCO. Nel premettere che cercherò di essere breve, devo dire che mi ha molto aiutato l'intervento dell'onorevole Dato, svolto ieri nell'ambito di una meritoria iniziativa che lei, presidente, ha preso e che ci porta qui abbastanza preparati rispetto alle riforme.
Io ritengo che le questioni sollevate ieri dall'onorevole Dato, rispetto ai fondamenti della partecipazione del cittadino alla vita democratica, a cominciare quindi dagli statuti dei partiti politici, dal finanziamento della politica e dalla selezione della classe dirigente, ma soprattutto dalla legge elettorale, come faro per quella che dovrà essere la conformazione dello Stato, siano importanti e non secondarie.
Dal punto di vista del merito e di come procedere, penso che l'esperienza dell'Unione europea sulla redazione della Convenzione sia stata, almeno per l'organizzazione del lavoro, qualcosa di molto significativo, importante e produttivo.
Penso invece che non sia produttivo continuare a dibattere di tutto e non lavorare su singoli dossier. L'onorevole Bocchino ha ricordato che le regioni si sentono piccoli Stati e vi sono molti esempi di cattiva amministrazione, ma vi è qualcosa di molto più grave: quello che combinano le regioni, comportandosi in questo modo, a livello di Unione europea e di istituzioni europee, non consentendo al sistema Italia di essere competitivo quando si devono distribuire i fondi strutturali o si tratta di impostare una politica di coesione sociale.
Presidente Violante, lei ci ha ricordato per tre volte, nel dibattito, l'importanza del bilanciamento, anche dal punto di vista sociale, in un impianto federalista. Ebbene, la coesione sociale è uno dei pilastri delle politiche dell'Unione europea e penso che anche nella riflessione sulle riforme costituzionali la partecipazione all'Unione europea debba significare anche qualcosa di concreto, non semplicemente un richiamo astratto.
Sono anche d'accordo con l'onorevole Zaccaria, quando dice che una nuova legge elettorale non delegittima affatto il Parlamento eletto con un altro sistema. Sappiamo tutti che per quanto riguarda il modello elettorale non esiste una formula magica, però deve essere chiaro - e noi lo abbiamo - che tale modello va a prefigurare quella che sarà la struttura dell'intero Stato.
Non sono d'accordo con i doppi turni, specialmente in un sistema come quello italiano di oggi che, mi richiamo ancora all'onorevole Dato, si fonda su micro-oligarchie di partito, cui con i doppi turni si darebbe ancora più potere.
Riteniamo quindi, se dobbiamo parlare di riforme, che queste debbano essere profonde e non semplici operazioni di maquillage. Occorre partire dai fondamenti, cioè dai diritti dei cittadini, e da come questi possano esigerne il rispetto. Ancora il collega Zaccaria ha accennato alla Corte costituzionale, che - dobbiamo dircelo - spesso si sostituisce al Parlamento nel legiferare; dovremmo anche aggiungere che nelle ultime elezioni, i funzionari del Ministero dell'interno si sono sostituiti al Parlamento nell'interpretare le leggi elettorali, assegnando i seggi al Senato in modo difforme da quanto previsto nel testo della legge.


Pag. 26


Noi dovremmo riflettere su questo, sul principio di legalità violato, non lo diciamo solo noi: andate a leggere le sentenze della Corte europea di giustizia sul nostro paese. Rispetto a tutto questo, parlare di riforme costituzionali vuol dire riportare al centro il principio di legalità, sicuramente il bilanciamento dei poteri, la coesione sociale, in un quadro che veda al centro non le oligarchie di partito, ma il cittadino consumatore.

ENRICO LA LOGGIA. Veramente pochissimi minuti solo per ribadire che la nostra posizione è stata espressa più volte, per cui credo che sia abbastanza chiara. Siamo disponibili, vediamo quali sono gli argomenti e poi quali quelli connessi.
Ho qualche perplessità ad affrontare, insieme con la riforma del Titolo V, con particolare riferimento all'articolo 117, anche i poteri del Senato e la sua nuova configurazione. Personalmente - ripeto - ho qualche perplessità: non facciamo lo stesso errore fatto nel 2001. È difficile distinguere un argomento dall'altro, ma comprendo che si tratta di una scelta più politica che tecnica e, laddove la politica ci portasse adesso a questi obiettivi, la tecnica ci aiuterebbe, comunque, a trovare delle soluzioni.
Vengo ora al tema della legge elettorale: non lo voglio dire provocatoriamente, però forse su questo un po' di chiarezza andrebbe fatta e mi riferisco ai tempi. Da sempre, almeno dal 1953, quando si approvò la cosiddetta «legge truffa», c'è un dibattito un po' stucchevole in Parlamento sul quando si possa modificare la legge elettorale: non subito, ad inizio della legislatura, perché questo delegittima il Parlamento; non alla fine perché siamo già in corsa. Forse si potrebbe anche stabilire ipoteticamente quale debba essere il periodo in cui è possibile approvarla. Siccome la legge elettorale si porta dietro una serie di considerazioni, sul prima, il durante, e il dopo, stabiliamo che da un certo periodo del tale anno della legislatura se ne può discutere senza scandalo, nel senso che almeno questo argomento venga tolto dalla polemica politica.
Dopodiché sistemi se ne possono inventare di tutti i tipi; chi studia sistemi elettorali, come faccio io, ormai da diversi decenni, sa che è difficile trovare un sistema che non si presti a critiche: sono tutti buoni e tutti cattivi, allora bisogna vedere esattamente cosa fare.
Su un tema in particolare voglio attirare la vostra attenzione, perché credo che su questo, ne faceva un cenno prima il collega Boato, vada fatta una riflessione. Cosa manca realmente nel rapporto molteplice centro-periferia? Manca l'interlocuzione necessaria del Parlamento, e non è un'omissione da poco. Mi spiego meglio: i governi nazionali e regionali si confrontano all'interno della Conferenza Stato-regioni, dopodiché il risultato di questo confronto arriva in Parlamento, che è un interlocutore altro rispetto all'accordo che si è fatto tra esecutivi, quando si è riusciti a farlo. Quando e in che modo si può legittimamente immaginare di coinvolgere il Parlamento, in attesa di un eventuale Senato federale? La risposta incompleta, impropria, non sufficiente, per come spesso è stata definita, è data proprio dall'articolo 11 della legge elettorale del 2001. Durante la scorsa legislatura vi fu un nobile tentativo, portato avanti dal comitato presieduto dal senatore Mancino, per cercare di trovare una soluzione.
Mi chiedo e vi chiedo che cosa succeda in attesa che tutto ciò si verifichi; io non faccio parte di quella schiera di persone che ritiene che, siccome le cose stanno per cambiare, nel frattempo, quello che c'è, anche se non funziona, può rimanere. Non faccio parte di questo gruppo di persone e mi sono battuto a lungo e, a un certo punto, anche con un risultato positivo a proposito dell'unica legge di attuazione che si è riusciti a fare durante la scorsa legislatura; proprio per dire che, intanto che vi è questa Costituzione, in attesa di quella bellissima che verrà, occorre fare in modo che sulla base di quella attuale si facciano minor danni possibile e che comunque si risolvano alcuni problemi.
Pongo all'agenda parlamentare questo argomento, perché credo che noi, come Parlamento, non ci possiamo permettere


Pag. 27

di essere ulteriormente accusati di non averci almeno, seriamente, provato una seconda volta a dare piena attuazione a quanto già previsto, assicurando il pieno funzionamento, nella nuova composizione, della Commissione bicamerale per gli affari regionali.
Questo, non comporta né nuove leggi, né modifiche costituzionali, ma basta soltanto quel tanto, o quel poco, di buona volontà, da parte di tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, per trovare quel minimo comune denominatore che possa portare ad una soluzione. Vorrei porre questo argomento all'attenzione dei colleghi, anche in vista, presidente Violante, delle audizioni che la Commissione svolgerà in sede di indagine.
Forse anche su questo si può chiedere qualche opinione in giro, ma io credo di conoscere quale sia l'opinione - ne abbiamo parlato tante volte con i diversi esponenti regionali e delle istituzioni locali - e ciò sarebbe considerato positivamente laddove riuscissimo a trovare una composizione ordinata.
Partiamo dall'ultima ipotesi che si era trovata e che poi non ebbe esito positivo, vediamo se è possibile ancora fare di meglio. Faccio qui una proposta un po' forte, di non costituire la Commissione bicamerale fino a che non sia esaurito il tentativo. Se poi il tentativo avrà un effetto positivo, meglio per tutti; se dovesse comunque avere un esito negativo, si rifaccia pure la Commissione, esattamente come la scorsa volta, sapendo che purtroppo poco potrà fare, molto poco, rispetto a quel vuoto che io mi permetto di richiamare all'attenzione di tutti, nel rapporto triangolare Governo, regioni, Parlamento.
Questo vuoto c'è, reca problemi ulteriori e sicuramente varrebbe la pena di colmarlo. La mia proposta sarebbe di mettere questo argomento nell'agenda politica e provare a trovare una soluzione. In attesa che si esaurisca il tentativo, si può stabilire un termine: se non si trova una soluzione positiva entro quel termine, allora procederemo alla costituzione della Commissione per gli affari regionali con il vecchio sistema; se invece entro un determinato termine (una data ragionevole) si riesce a trovare una soluzione, la Commissione per gli affari regionali potrà trovare, nella sua nuova composizione, un suo nuovo ruolo, che pur non essendo esaustivo - non è la risposta, lo sappiamo bene - rappresenterebbe comunque un passo avanti.

MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Dato lo scarso tempo a disposizione, non parlerò di tutti gli argomenti cui ha fatto riferimento il ministro, ma mi concentrerò su alcune questioni.
Parto da una valutazione relativa al referendum, al suo esito, all'interesse dei cittadini, alle riforme costituzionali. Credo che i cittadini siano soprattutto interessati a riforme che risolvano i loro problemi. Da questo punto di vista, credo anche che non possiamo continuamente pensare di andare verso grandi riforme che mettano in discussione gli assetti istituzionali e che alcune cose dobbiamo darle anche per assestate, per poi verificarle. Credo fondamentalmente che le riforme istituzionali non siano solo un tema di ingegneria istituzionale, ma chiamino in campo poteri, diritti, azioni e soprattutto temi di sviluppo economico, che poniamo in capo, con i poteri legislativi, ad alcuni soggetti istituzionali.
Per questo sono molto convinta del sistema che ci siamo dati come Commissione, di ascoltare gli attori ed i soggetti, non soltanto istituzionali, ma anche sociali ed economici, perché appunto la distribuzione dei poteri coinvolge la visione che abbiamo avuto fino adesso, quella cioè del ruolo delle regioni del nostro paese.
Al di là delle battute che ha fatto l'onorevole Bocchino - non è qui il caso di replicare - credo che le regioni abbiano una fondamentale esigenza, quella di essere attori dello sviluppo economico, della programmazione, il centro di una rete di governance e di governo di un sistema territoriale che tiene insieme diversi soggetti istituzionali; penso ai comuni, alle province, ma anche a diversi soggetti sociali ed economici.
Se abbiamo questo asse di riferimento, quindi non un centralismo regionale, ma un ruolo delle regioni che intervenga e che


Pag. 28

quindi sia capace di fare davvero sistema su quel territorio, allora dobbiamo porci anche il tema di come le regioni facciano sistema rispetto al paese.
Per questi motivi vedo un po' antistorico, anacronistico e anche anti-economico pensare a macroregioni, come a pezzi isolati che possono quasi concorrere da soli con il resto del mondo o con l'Europa. In una visione di globalizzazione, credo che il sistema paese debba essere invece tenuto presente come un punto di riferimento fondamentale.
Ciò che è mancato, su questo sono d'accordo per alcuni aspetti con quello che diceva l'onorevole La Loggia, è una leale collaborazione e cooperazione tra il sistema regionale e quello dello Stato centrale, del Governo centrale.
Prendere atto che la Repubblica è davvero ripartita così come ce l'ha consegnata la Costituzione, significa programmare insieme dai temi dell'economia a quelli dello sviluppo e delle riforme istituzionali. Credo che questo elemento sia mancato e che sia mancato sicuramente anche l'altro pezzo, quello del Parlamento, nel confronto tra Parlamento, regioni e Stato. Sono convinta perciò che alcune cose potrebbero da subito avviarsi: la questione dell'articolo 119, cui si faceva prima riferimento, il tema dei contenziosi, cui ha fatto riferimento in questa sede durante la sua audizione il ministro Lanzillotta, e l'altro tema anche da sperimentare (perché no?) della «bicameralina», sull'articolo 11. Si potrebbe infatti, in accordo con le forze politiche (naturalmente se questo non comporta tempi biblici, perché poi anche questa è l'esigenza che ha il paese, di non avere tempi lunghissimi), dar vita in questa prima fase al confronto su questi primi tre punti fondamentali; intendo dire sul contenzioso, sull'articolo 119 e sulla possibilità di sperimentare la «bicameralina».
Nel frattempo, parallelamente a questo dibattito e al lavoro che la Commissione intende fare, credo che il ruolo del Parlamento sia fondamentale, insieme a quello del Governo, per avviare il ragionamento sui temi che qui sono stati posti, secondo le priorità che lei, signor ministro, ha enunciato e a cui anche il presidente Violante ha fatto riferimento.
Credo che questo potrebbe consentirci di fissare alcune tappe ravvicinate (compresa la riforma della Conferenza Stato-regioni cui faceva riferimento il ministro Lanzillotta) ed altre fasi di più lungo termine, che poi, in qualche modo, ci possano portare invece ad una ricomposizione per una riforma un po' più assestata, anche perché le riforme hanno sempre bisogno anche di assestamento. Non possiamo sottoporre il paese a stress, a pezzettini di riforma, che mettano in discussione anche l'impianto generale.
Non mi soffermo sulla legge elettorale perché credo che ci sarà tempo e modo di discuterne. Vorrei solo sottolineare i temi del procedimento legislativo, cui lei, signor ministro, faceva riferimento (naturalmente, vi si faceva riferimento rispetto all'intervento del presidente Violante), che credo debbano essere presi in seria considerazione per le cose stesse che il presidente ha avuto modo di dire in aula e anche qui in Commissione.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per l'esauriente relazione svolta e, tenuto conto del numero dei deputati iscritti a parlare, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 12,10.