COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta pomeridiana di mercoledì 26 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUCIANO VIOLANTE

La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del ministro per i diritti e le pari opportunità, onorevole Barbara Pollastrini, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro per i diritti e le pari opportunità, onorevole Barbara Pollastrini, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Do la parola al ministro Pollastrini per lo svolgimento della sua relazione.

BARBARA POLLASTRINI, Ministro per i diritti e le pari opportunità. Signor presidente, innanzitutto vorrei ringraziare lei, i deputati e le deputate presenti, per l'attenzione che vorranno rivolgere alla mia audizione.
Tengo molto al confronto che potrò avere con voi e sono convinta che da questa Commissione possa venire un contributo preziosissimo alla definizione del profilo e dell'agenda del Ministero per i diritti e le pari opportunità.
Conosco, come voi, gli impegni pressanti dell'Aula e non so se il tempo a nostra disposizione oggi consentirà di esaurire un dibattito che considero molto importante. Quindi, dico subito che, se ciò non potesse accadere, sarò a vostra disposizione, quanto prima, per completare questa fase di dialogo e di ascolto che aiuti a costruire, in modo convincente, un intreccio di iniziative tra Governo e Parlamento.
So che molti dei temi che animano la missione del ministero che ho l'onore di dirigere, innanzitutto la questione delle regole, ma anche l'interpretazione di nuove forme di diritto di cittadinanza, vedono confrontarsi opinioni e soluzioni diverse. Tuttavia, si tratta di diversità - almeno questo è il mio punto di vista - che non debbono impedire al Parlamento la ricerca di soluzioni coerenti, e allo stesso tempo largamente condivise, su questioni (penso ad esempio al riequilibrio della rappresentanza tra i generi) che chiamano in causa la responsabilità di tutti, poiché segnano, nei fatti, la qualità e l'identità democratica delle istituzioni di un paese, oltre che la sua collocazione e credibilità in Europa e nel mondo.
Come è ovvio, esiste un dovere di proposta e anche di decisione del Governo, a cui non intendiamo sottrarci nell'ispirazione del programma dell'Unione presentato dal presidente Romano Prodi. Tuttavia, per quanto mi riguarda, sento - questo è un punto che voglio sottoporre alla vostra attenzione - l'esigenza di dare un contributo che possa essere un'ambizione, direi morale, comune, che riguarda le classi dirigenti della politica, ma non solo.
In pochissime parole, si tratta, nel corso di qualche anno - e quindi di una


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fase che continuerà anche dopo il mio mandato - di portare l'Italia a sfidare l'Europa, se così si può dire, in termini di visione del futuro, di civiltà, di apertura alle donne e ai giovani. Infatti, come avviene da troppi, moltissimi anni, su questi temi, purtroppo è l'Italia a essere sfidata dall'Europa.
È per tutti questi motivi che - credo - da posizioni diverse, con storie e biografie differenti, si sono battute, nel corso di questi anni, molte ministre che mi hanno preceduto e che voglio ringraziare. Sto parlando di Anna Finocchiaro, Laura Balbo, Katia Bellillo e Stefania Prestigiacomo.
Mi perdonerete, dunque, se - pure in una sintesi massima - la mia introduzione muoverà da una fotografia di carattere generale sulle funzioni e sulla vocazione del ministero che dirigo, senza la quale non sarebbe semplice, nemmeno per me, comunicare alcune proposte di ragionamento che vi sottoporrò alla fine della mia introduzione.
Come sapete, il Ministero per i diritti e le pari opportunità è un dicastero senza portafoglio, al quale spetta un compito di indirizzo e di coordinamento di iniziative, anche normative, in materie concernenti la promozione dei diritti della persona, delle pari opportunità, nonché di prevenzione e rimozione di ogni forma e causa di discriminazione tra gli individui, e quindi non solo tra i generi.
Il ministero nasce dieci anni fa su impulso di indicazioni sopranazionali, in materia di diritti umani e parità di genere. Una spinta importante venne, allora, dalla piattaforma approvata nel corso della IV Conferenza delle donne, tenutasi a Pechino nel settembre del 1995. Quello fu un evento che, successivamente alla Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, ha costituito il momento politico di maggior peso sui diritti femminili nell'epoca globale.
Come ogni ministero, anche quello per i diritti e le pari opportunità si ispira ai fondamenti e ai riferimenti essenziali della nostra Costituzione. Mi riferisco, innanzitutto, all'articolo 2, che conoscete e non devo ripercorrere, che riconosce i diritti inviolabili dell'uomo, inteso ovviamente come persona; all'articolo 3, il quale stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, di razza e via dicendo; e da ultimo, all'articolo 117, come modificato dalla legge del 2001, con il quale si dispone che le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo alla piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica, e promuovono, inoltre, la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
Un riferimento a parte merita l'articolo 51, così come modificato dalla legge costituzionale del 2003, con cui si stabilisce che tutti i cittadini, dell'uno o dell'altro sesso, possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Lo stesso articolo attribuisce alla Repubblica, al fine del perseguimento di detta uguaglianza, il compito di promuovere, con appositi provvedimenti, le pari opportunità.
Ho voluto ricordare tale articolo, con una sottolineatura particolare sulla sua modifica. In quella circostanza, infatti, il Parlamento ha scritto una pagina importante, ritrovando il profilo di un rinnovato spirito costituente. La legge - lo sapete - venne approvata con una larghissima intesa dopo un lavoro avviato nella precedente legislatura da una maggioranza di centrosinistra, e portato successivamente a compimento da una maggioranza di centrodestra, con l'allora ministra Prestigiacomo.
Ritengo che sia stato quello un passaggio che ha comunicato alle donne del nostro paese, e agli uomini lungimiranti, un messaggio di fiducia e di serietà delle istituzioni. Ho riletto di recente gli atti parlamentari, dai quali emerge che quasi tutti i gruppi e i partiti salutarono quell'evento come il possibile inizio di una nuova stagione. Tra l'altro, vedo qui presenti alcuni dei protagonisti e delle protagoniste di quel confronto parlamentare.
La domanda che ci riguarda tutti è perché quel nuovo inizio sia rimasto una


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mera possibilità, e perché il processo iniziato si sia sostanzialmente arenato. Muovere da qui può aiutarci a fissare non solo i presupposti di un metodo condiviso di un nostro lavoro, ma anche le priorità di fondo della nostra azione. D'altronde, la vocazione stessa del Ministero per i diritti - così si chiama oggi il dicastero, è stata aggiunta la parola «diritti», che non interpreto solo come aggiustamento linguistico, ma come messa a punto di una missione - e le pari opportunità porta ad individuare le Commissioni affari costituzionali, del Senato e della Camera, quali sedi privilegiate di un confronto culturale, politico e propositivo.
Penso all'impulso e ad un segno illuminante, per questo Parlamento e per la parte più avvertita del paese, che potrebbe venire da un'interpretazione coraggiosa della riforma della Costituzione all'articolo 51, se venisse richiamata come riferimento nello stesso confronto, anche più ampio, su le regole, le norme e l'insieme della legislazione. Parliamo di regole e provvedimenti che non si limitino dunque, se lo vogliamo interpretare con correttezza, ai temi legati alle leggi elettorali - che pure stanno a cuore a tutti noi -, ma riguardino norme di accesso ai lavori, alle carriere, alle funzioni sociali, alle nomine, agli allargamenti dei diritti di cittadinanza. Questo stesso ragionamento, d'altronde, si riscontra nelle numerose proposte di legge, depositate da autorevoli componenti di questa stessa Commissione, su materie che, in sostanza, vanno oltre un'interpretazione limitativa dell'articolo 51.
Il mondo evolve rapidamente, spesso più velocemente dei processi politici legislativi. Noi tutti siamo chiamati a misurarci con un tempo ansioso, carico di paure, di insicurezze e, soprattutto di domande, a partire dal legame complicato delle ultime tre o quattro generazioni con il proprio avvenire e con la concretezza del mercato del lavoro.
Il nostro è un tempo che può alimentare drammatiche diseguaglianze, soprattutto nella fruizione dei beni immateriali, come il sapere e la conoscenza, ma è un tempo che può anche aprire nuove e significative opportunità per i singoli. Opportunità che si traducono in veri processi di inclusione e integrazione, anche attraverso riforme e leggi, solo se inserite pienamente in quella cornice di principi democratici e di valori di uguaglianza, laicità e libertà, che hanno ispirato l'atto di nascita della nostra Repubblica.
Lo stesso esito del recente voto referendario in materia costituzionale - tema di cui avete discusso nell'occasione di altre audizioni importanti di questa Commissione - credo che vada interpretato come una fermezza di fondo, se in discussione è il senso profondo della Carta costituzionale e l'attualità dei principi che la ispirano. Allo stesso tempo, tuttavia, penso anche che esso richieda quella lungimiranza, invocata dallo stesso Presidente della Repubblica, a proposito del coraggio necessario per innovare regole e criteri, in nome del bene e del benessere comuni, da identificare in primo luogo con il valore della persona, della sua piena cittadinanza, della sua uguaglianza, della capacità delle istituzioni di investire sulle sue potenzialità e responsabilità. A mio avviso, peraltro, questo è anche il senso profondo dell'interpretazione della riforma dell'articolo 51 della Costituzione.
Come ho già accennato, sono convinta che proprio sulle regole vadano ricercate intese larghe. Sono altrettanto convinta che tale traguardo esiga una coerenza dei comportamenti sotto il profilo del metodo e della disponibilità a cogliere sempre gli elementi di verità nelle posizioni dell'interlocutore, anche di quello apparentemente più distante. Impostazione questa che, del resto, ho visto essere autorevolmente ripresa dal ministro Chiti proprio nell'audizione che oggi ha avuto una continuità, ma che è cominciata circa quindici giorni fa.
Penso, dunque, che regole e legalità rappresentino, nell'Italia odierna, il primo passo per rigenerare quelle virtù repubblicane nelle quali, indipendentemente dalla fede o dall'appartenenza politica, possano riconoscersi tutti e ciascuno. In questo modo, inoltre, sarà possibile rivitalizzare la tradizione migliore di uno


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spirito civico condiviso e restituire alle classi dirigenti la pienezza del loro ruolo e della loro affidabilità.
Non diverso, almeno nelle mie intenzioni, vuole essere il confronto di merito sulle misure concrete - di cui parlerò - dei singoli provvedimenti che caratterizzeranno l'azione del Governo e del ministero sui temi oggetto del nostro lavoro. Ho già accennato a differenze, anche profonde, che la politica misura quando si affrontano, in particolare, i capitoli della libertà delle persone, dei loro diritti e dello stesso ruolo sociale delle donne, ma ribadisco che non è la differenza a doverci spaventare.
L'unica paura - se posso scomodare una citazione assai nota - è nell'avere paura di affrontare serenamente una discussione su tutti i temi, anche quelli considerati più difficili ed eticamente sensibili, che interrogano e spesso attraversano, anche trasversalmente, culture politiche di entrambi gli schieramenti. Non ho certo la presunzione di risolvere quesiti che travalicano sia le mie capacità sia le risorse e la missione del ministero che dirigo. Ciò non toglie, tuttavia, che io senta il dovere di essere, in ogni momento, una ministra che risponde del proprio operato al paese e non ad una parte di esso. A questo principio mi atterrò, naturalmente, con la trasparenza che devo alla coerenza di valori e principi dei quali rispondo, in primo luogo, alla mia coscienza e al programma per cui sono stata eletta.
A queste considerazioni generali, voglio aggiungere una notazione che mi sta particolarmente a cuore. Credo di dovere esprimere, anche nella mia veste istituzionale, una lealtà profonda nei confronti delle donne, di tutte le donne, perché ritengo, ancora una volta, al di là degli schieramenti, che esse siano nel nostro paese e nelle istituzioni la vera chance mai riconosciuta fino in fondo dell'Italia.
Le donne sono la grande opportunità per aprire la società e la politica italiane ai talenti, alle qualità, in una logica di miglioramento delle istituzioni, dell'economia, della cultura e del lavoro. Questa è la ragione che mi spinge a chiedere non solo alle colleghe della maggioranza, che saluto ovviamente con profondo affetto, ma anche alle parlamentari dell'opposizione, a cui pure rivolgo un saluto, di intraprendere la strada del dialogo e di un confronto che, pure nelle distinzioni politiche, culturali e di esperienza, sarebbero di insegnamento per tutti, un innesto di energia e di fiducia nel paese.
Credo sia giusto, a questo punto, entrare nel merito dell'agenda di lavoro e ragionare sulle priorità di azione del ministero. Mi è capitato di descrivere, nella Commissione affari istituzionali del Senato, il Ministero per i diritti e le pari opportunità come una semplice imbarcazione, neppure troppo lussuosa, in mezzo a grandissime corazzate. Resto convinta, però, che quel ministero sia un piccolo vascello che svolge la funzione sensibile di un «radar». Vale a dire che esso è uno strumento fondamentale per la corretta navigazione, anche di mezzi e strutture ben più possenti che, tuttavia, senza un chiaro orientamento, rischiano di perdersi nella rotta dei flutti di una modernità sempre più complicata.
Parlo di una questione di non poco conto che si presenta in Italia, tanto più da un punto di vista delle donne, come una vera e propria emergenza e con una propria radicalità, e che investe il significato da offrire alla sfera dei diritti e delle opportunità individuali nelle democrazie contemporanee. Mi riferisco alla necessità dell'affermazione di una nuova stagione di uguaglianza per le donne e di estensione dei diritti di cittadinanza per tanti.
Questa ragione ci spinge ad un'interpretazione del ruolo del ministero non come una protezione degli interessi di una o più categorie, per quanto numericamente corpose, ma come una leva trasversale all'azione del Governo, capace di dirottare sulla persona, e sulle sue aspirazioni, un modello avanzato di crescita, relazioni sociali, integrazione e convivenze.
Nel merito, le domande sono come si interpretano concretamente oggi i principi di libertà e di coesione, come si investe negli scenari futuri. Ma anche come si può


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rendere più competitivo, più capace di crescita economica, più innovativo il nostro paese, valorizzando l'autonomia e la libertà femminili, una nuova gerarchia dei diritti a partire dal riconoscimento del merito e del talento individuale, da un accesso liberalizzato ai mercati e alle professioni, da una concorrenza reale in tanti settori finora privilegiati e protetti.
Siamo un paese, lo ricordo, in cui il tasso di occupazione femminile è tra i più bassi di Europa, anche se le generazioni più giovani di donne corrono come frecce in termini di capacità, di formazione, di esiti scolastici e universitari, di lettura di libri.
Siamo un paese dal dinamismo sociale bloccato, in cui famiglia, territorio e censo contano molto più della formazione e delle qualità, nei destini dei ragazzi e delle ragazze; un paese in cui il carico del lavoro familiare poggia soprattutto sulle spalle delle donne, con un monte ore di lavoro superiore a quello degli altri paesi europei, per non parlare degli stessi Stati Uniti d'America; un paese in cui i rischi di scivolamento sotto la soglia di povertà, di nuove povertà e di sfruttamento riguardano soprattutto le donne anziane in particolare e i bambini, che nel Mezzogiorno sono sicuramente tra le fasce sociali più povere e più a rischio; un paese che registra, purtroppo, il tasso demografico più basso d'Europa.
Permettetemi di riportarvi gli ultimissimi dati in merito. Dall' indagine ISTAT condotta per il 2005, emerge che l'anno si è chiuso con un saldo negativo di 28.200 unità e che, se non fosse stato per un afflusso migratorio netto di 338.100 unità, la popolazione nazionale sarebbe di gran lunga diminuita. Oggi la nostra popolazione è aumentata dello 0,53 per cento, esclusivamente per quella risorsa straordinaria che ci viene da tante donne, che vogliono essere cittadine con pienezza di diritti e doveri nel nostro paese.
La realtà è che siamo un paese nel quale le donne, come confermano tutti gli studi, desiderano avere figli, anche fino a tre, ma rinviano quel momento per una mancanza di fiducia nel proprio futuro. Non a caso, le donne in Italia riprendono a fare bambini solo quando hanno un lavoro minimamente riconosciuto, nei diritti e nella trasparenza delle carriere. Infatti, il tasso recupera, in particolare, in alcune aree del nord in cui è più diffuso il lavoro nei diritti per le donne.
Il nostro è un paese in cui le donne hanno minori posizioni apicali e di direzione, ovunque: dall'università alla magistratura, agli ordini professionali, alla finanza, all'informazione e, ovviamente, alla politica e alle istituzioni, dove ci troviamo a quel settantesimo posto nel mondo davvero vergognoso.
Fenomeni di questa natura - sui quali non voglio diffondermi ulteriormente -, come è ovvio, hanno radici e origini diverse, spesso complesse. Non sto parlando, dunque, della responsabilità di uno o più governi, ma mi sto riferendo a limiti antichi del nostro modello culturale di crescita, di sviluppo e di interpretazione degli stessi fondamenti della Costituzione. Parlo, quindi, di quelle che ormai gli studiosi chiamano patologie, di meccanismi rigidi, ingessati e corporativi, di protezione delle rendite, che hanno finito per mettere a rischio qualità di tanti, a partire dalle donne e dai giovani in particolare.
Ho voluto accennare a questi dati per dire che servono atti, legislazioni e politiche molto coraggiose, per incidere su un processo di selezione che tocchi anche le èlite diffuse nelle classi dirigenti. E ciò deve avvenire in un paese in cui tali elite - in grande parte - sono ancora poco il frutto di una valutazione seria della qualità e della deontologia. Troppo peso, infatti, hanno ancora le appartenenze, i clientelismi, le corporazioni e le opacità, con conseguenze dannose sullo spirito civico e sulla stessa tenuta morale dell'Italia.
Ormai, sono innumerevoli gli economisti, e in generale gli studiosi, che analizzano le tendenze globali, a partire dalle condizioni di dignità, libertà e funzioni dirigenti delle donne.
Parliamo di donne, quindi, che all'inizio di questo nuovo secolo, anche e soprattutto in Italia, rispetto agli altri paesi d'Europa, tornano con prepotenza a rappresentare


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un indicatore fondamentale di progresso, democrazia, competitività, innovazione e crescita. Secondo le stime riportate da The Economist e da altri recenti studi (tra i quali uno condotto dalla mia università, la Bocconi) nell'ultimo decennio, l'incremento dell'occupazione femminile nei paesi sviluppati ha contribuito al PIL globale più dell'intera economia cinese. Questo è un dato incredibile che, giustamente, ci fa molto discutere e ci fa rendere conto dell'argomento che stiamo trattando oggi, anche in riferimento all'articolo 51.
Lo stesso grande tema dei diritti umani delle donne nel mondo si iscrive in questo orizzonte. Conoscete tutti i dati relativi a quella che viene chiamata la femminilizzazione della miseria, in termini di condizioni di sopravvivenza, di nuove e vecchie forme di schiavitù, di sfruttamenti, che vediamo anche in aree del nostro paese, di malattie, abusi e violenze sulla dignità del corpo femminile.
Penso, quindi, che un primo atto, anche in Italia, per quanto riguarda le funzioni del Ministero per i diritti e le pari opportunità, debba essere mirato al rafforzamento del programma contro la tratta e le violenze sulle donne, a partire dalle violenze nella famiglia - le riguardano in modo drammatico e con dati impressionanti che, se volete, vi fornirò - che interessano la loro dignità.
Un'uguale attenzione deve essere prestata alla salvaguardia della dignità di migliaia di bambini indifesi che vivono in Italia.
Insomma, all'inizio di questo secolo, i diritti umani e la libertà delle donne tornano ad avere una posizione centrale negli scontri che hanno luogo all'interno delle civiltà e tra le stesse, nonché nella definizione dello stesso concetto di democrazia e di diritti.
Compete al Parlamento e al Governo, nel definire il ruolo internazionale dell'Italia e nella costruzione della pace - penso ad una giornata importante come quella odierna -, il compito di squarciare il velo anche e soprattutto nelle sedi sopranazionali, affinché si discuta dei diritti umani delle donne, pienamente, politicamente e con un'assunzione di responsabilità, come finora non è mai avvenuto.
D'altronde, la promozione della parità tra uomini e donne nel mondo, e nei singoli paesi, è riconosciuta oggi come uno dei compiti fondanti della comunità (articolo 2 del trattato CE).
Una missione del Ministero per i diritti e le pari opportunità è, dunque, assolutamente e naturalmente - in sintonia con il Parlamento e con tutto il Governo - quella di aiutare l'affermazione di un new deal delle donne come new deal del paese, una nuova stagione di autonomia, dignità e libertà, come leva, insieme ai giovani, di una ripresa stabile dell'Italia. In questa chiave, come ho avuto modo di dire nel Consiglio dei ministri, non c'è un «prima» e un «dopo» tra risanamento, equità, crescita ed estensione dei diritti, delle opportunità sociali e civili delle donne e dei giovani.
Chiunque rimuova tutto questo si inganna e non fa i conti con un conservatorismo che potrebbe determinare il nostro futuro in modo irreversibile. Si tratta, dunque, di rovesciare uno schema di tipo classico, facendo vivere il nesso irriducibile tra processi economici e crescita civile e sociale del paese, tra politiche di liberalizzazione e di pari opportunità, ricalibrature delle tutele e dei diritti.
È precisamente dentro questi nessi che, a mio avviso, dovrebbe attivarsi ed operare quel «radar» del ministero, a cui mi riferivo, l'attività del Parlamento e, in particolare, di questa Commissione.
D'altra parte, è in questa logica che si stanno muovendo gli altri paesi europei. L'idea che si deve fare strada è quella di portare avanti legislazioni e provvedimenti innovativi, che investano, nei prossimi anni, su una scelta netta. Vale a dire quella di promuovere, prima di ogni cosa, l'attivismo, l'occupazione e le funzioni dirigenti delle donne, come volano di una capacità competitiva che permetta di reggere nella qualità, anche così, alla concorrenza dei mercati globali.
Infatti, in molte realtà, si stanno mettendo a punto delle leggi quadro che


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prevedono nuove regole e incentivi per la promozione dei talenti femminili nella direzione delle aziende e degli enti, garantendo al contempo la parità salariale degli stipendi; favorendo l'accesso ai congedi delle coppie; disciplinando le politiche di rientro delle donne al lavoro dopo la maternità; estendendo i diritti alla maternità, soprattutto per quelle lavoratrici che vivono e lavorano in occupazioni discontinue.
Diverse sono le soluzioni adottate nei paesi europei, ma identica è la meta.
La Norvegia, nel 2002, ha fatto da apripista, con una legge che propone una presenza femminile pari al 40 per cento nei consigli di amministrazione delle imprese pubbliche e private. Si procederà, in quel paese, a gradini, nel corso di sei anni, per giungere, entro il 2008 - a me sembra una meta incredibile -, addirittura allo scioglimento del consiglio di amministrazione, per quelle aziende che non ottemperassero alle norme. Come ho detto, si procede a gradini, prima con politiche premiali, fino ad arrivare all'attuazione di politiche con sanzioni negative.
La Spagna, promulgando la cosiddetta legge sull'uguaglianza, ha introdotto norme «dolci» e progressive. Anche in questo caso, con una previsione di sette anni, si stanno attuando norme relative alle nomine di donne nei consigli amministrazione degli enti, alla parità salariale degli stipendi, ai diritti per la maternità. Tutto ciò viene fatto all'interno di un'unica legge e si segue la medesima logica applicata in Norvegia. Vale a dire che, per aziende, enti e istituzioni, si prevedono prima norme premiali, nel caso in cui si adeguino, e poi, lentamente, si adottano norme severamente sanzionatorie nel caso in cui non si attengano a tali direttive.
La stessa Francia, nei programmi di entrambi i candidati alla presidenza, così come la Germania di Angela Merkel, si stanno muovendo in direzioni assolutamente simili, dotandosi di normative di cinque, sette o dieci anni, entro le quali raggiungere traguardi assolutamente coraggiosi dal nostro punto di vista.
Dall'Europa, dunque, viene la richiesta di sostenere, con nuove regole, la possibilità di immettere pienamente le donne non solo nel mercato del lavoro, ma anche nelle funzioni dirigenti, per garantire alla stessa Europa una qualità umana competitiva, in grado di reggere la concorrenza che ci viene dai mercati globali.
Le due grandi parole chiave - voi lo sapete - sono «giovani e genere», ossia «giovani e donne». Tuttavia, dalle analisi più recenti degli altri paesi europei risulta che questi, avendo già introiettato culturalmente il tema dell'inclusione dei giovani, presente nei programmi di tutti gli schieramenti, - declinati poi in modo diverso, questo va da sé, dal centro-destra e dal centro-sinistra - si stanno predisponendo per far fare un balzo in avanti rispetto all'uguaglianza tra generi. Questo sta avvenendo sulla base di un'interpretazione di processo che è fatta non tanto in termini di valori ideali - come sarei portata a fare io - o di rispetto delle indicazioni costituzionali, ma di una necessità storica per competere nello scenario dei prossimi dieci-venti anni con i mercati globali.
Ecco, è in questa cornice che il 2007 è stato dichiarato «Anno europeo delle pari opportunità per tutti». Pur rimanendo al centro la questione della parità di genere, l'obiettivo è quello di rimuovere - così dicono le indicazioni che ci vengono dall'Europa - fino al fondo le discriminazioni per cause direttamente e indirettamente fondate sull'etnia, l'origine sociale, la lingua, la religione, il genere, le convinzioni personali, le opinioni politiche, o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza a una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età e gli orientamenti sessuali.
Questa è la ragione per cui il 2007 è stato dichiarato «Anno europeo» e per cui i governi sono stati chiamati ad avanzare progetti inerenti a questa finalità di fondo.
Ricordo, a tal proposito, che nel Ministero per le pari opportunità era stato costituito, con decreto legislativo n. 215 del 2003, l'Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale, che ora vogliamo potenziare


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in coordinamento con gli altri ministeri. Non è un caso, quindi, che proprio la direzione generale del Ministero per le pari opportunità e l'Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale estenderanno il proprio intervento e il proprio progetto a una visione più generale. Inoltre, verranno avanzate proposte più generali, che sarà mio interesse portare in questa Commissione, per addivenire alle indicazioni europee. In questo modo, potremo essere protagonisti, come paese, nella costruzione del 2007 come anno europeo per le pari opportunità di tutti.
Indicherei ora - se siete d'accordo - alla vostra attenzione alcune parole chiave, che attengono alle deleghe, di un impegno concreto che ha accompagnato il mio ministero, nel confronto con gli altri dicasteri, nella recente discussione all'atto della formazione del Governo. Si tratta di deleghe che oggi consentono di avere in dote alcune funzioni che, precedentemente, non appartenevano al Ministero per i diritti e le pari opportunità.
Viceversa - devo dirlo con altrettanta sincerità -, sono state trasferite ad un altro ministero, quello della famiglia, delle funzioni che, in passato, corrispondevano alla missione del Ministero per i diritti e le pari opportunità. Mi riferisco all'Osservatorio contro la pedofilia e a quello sulle adozioni internazionali.
Ad ogni modo, fra le nuove deleghe che abbiamo potuto prendere in considerazione e che abbiamo ottenuto, vi è un atto che ritengo di particolare valore. Mi riferisco al fatto che, per la prima volta, questo dicastero si può chiamare dignitosamente Ministero per i diritti e le pari opportunità perché ha avuto una delega sui diritti umani delle donne nel mondo.
Capisco che a molte colleghe e colleghi questo possa sembrare un atto simbolico non significativo. Di fatto, invece, lo è, anche perché ci permette di intrecciare concretamente la nostra azione con il più potente Ministero degli esteri. Inoltre, tale atto permette alla voce dell'Italia di essere riconosciuta, in modo più cogente, nelle sedi sopranazionali, come la voce di un paese che considera essenziale il tema dei diritti umani delle donne, nei rapporti e nelle relazioni diplomatiche internazionali.
Su questa delega, assolutamente nuova per il ministero, presenteremo fin da settembre un primo progetto, che sottoporremo all'attenzione del Ministero degli esteri e, ovviamente, se vi interessa, anche di questa stessa Commissione.
Il secondo tema che vorrei proporvi è più legato alla storia e alla condizione del Ministero per i diritti e le pari opportunità, ed è quello che riguarda le regole, a cui ho accennato in precedenza.
A questo proposito, voglio dire che sono allo studio delle proposte di legge, finalizzate a determinare una cornice legislativa organica, che ci avvicini a quegli obiettivi di uguaglianza, di cui parlavo poc'anzi, riferendomi agli esempi che ci vengono dagli altri paesi europei.
In quest'ottica, credo che abbiamo una responsabilità cui assolvere, anche per essere credibili nella capacità di una proposta legislativa più avanzata e coraggiosa. Mi riferisco al fatto che questo Parlamento, in intreccio con il Governo, o viceversa, debba muovere i propri passi, cercando di dare finalmente all'Italia una normativa che regoli la presenza delle donne nelle liste elettorali, l'elezione delle stesse in Parlamento, nei governi, nei consigli comunali e provinciali, e il raccordo con le regioni per attuare pienamente il Titolo V.
Tutti conoscete l'iter tribolato della legge elettorale - molti di noi ne sono stati protagonisti -, in riferimento all'introduzione di norme per la presenza e l'elezione, tendenzialmente paritetica, dei generi. L'ipotesi che stiamo studiando, come Governo, fa riferimento alla raccomandazione europea che ha come soglia minima il 33 per cento, con premi e sanzioni, fino alla irricevibilità della lista.
Tuttavia, prima di compiere ogni atto, ho voluto sentire questa Commissione, così come la Commissione affari istituzionali del Senato. Inoltre, vorrò ritornare, se lo desiderate, per verificare la possibilità di una condivisione, di un protagonismo comuni, almeno per la struttura essenziale del disegno di legge. Così com'è avvenuto


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per la riforma dell'articolo 51, tagliare il traguardo di una legge saggia, europea, non sarà il successo di uno schieramento politico, e tanto meno quello di una ministra, sia chiaro. Sarà piuttosto il successo - per questo lavorerò - di una larga e trasversale maggioranza parlamentare e potrebbe essere anche la vittoria delle donne italiane e degli uomini più saggi di questo paese.
Se il Parlamento lo vorrà, in accordo con il Governo, su alcune proposte legislative - alcune sono state nuovamente depositate e ho avuto modo di leggerle - potremo confrontarci con molta serenità e con grande spirito di dialogo. Voglio ripetere che ci terrei, se arrivassimo al traguardo, che questo fosse un obiettivo del Parlamento italiano, così com'è stato per l'articolo 51, e che potesse significare una vittoria delle donne e degli uomini saggi di questo paese, e non il successo di una parte politica. Proprio per questo motivo, non ho ancora avanzato la proposta del Governo, perché desideravo prima verificare se esistono le condizioni per un confronto fra noi.
Aggiungo che, tra l'altro, questo Parlamento può avere una possibilità in più, quella di iniziare, entro dicembre, la strada della riforma dei codici e delle regole. Dobbiamo intraprendere il cammino ambizioso delle leggi delega sul codice che è stato costruito e approvato nel Parlamento precedente. Personalmente, ritengo che tale codice debba essere migliorato in molte parti, ma anche che possa rappresentare un'occasione di confronto molto serrato e impegnativo.
Credo che a questa Commissione possano interessare meno i temi legati alla funzione propulsiva e trasversale del ministero nel Governo sui grandi traguardi di uguaglianza delle donne e degli uomini del nostro paese. Quello che voglio segnalarvi è che di tutto ciò vi è traccia nel documento di programmazione economica, che certamente dovrà essere tradotto in provvedimenti e misure, a partire dalla prossima finanziaria, dove si parla, in modo preciso, di un piano d'azione per le pari opportunità.
Probabilmente, è la prima volta che un documento di programmazione economica contiene precisi riferimenti in merito. Sarebbe lungo leggervi il dettaglio e, d'altra parte, i punti essenziali probabilmente li conoscete già.
Essi muovono dall'idea di un piano straordinario per l'occupazione delle donne e dei giovani; muovono dall'idea che una parte dell'uso del conto fiscale differenziato degli incentivi venga mirato a quelle aziende e imprese che favoriscano la stabilizzazione del lavoro e, di conseguenza, l'occupazione femminile e giovanile; muovono dall'idea che si debbano mettere a punto adeguamenti legislativi e riforme, per consentire l'estensione dell'esercizio del diritto nella maternità per le lavoratrici precarie (sapete che è un grande tema per l'Italia); inoltre, muovono dall'idea di avanzare con politiche della conciliazione. Di questo argomento, si è discusso in maniera più serrata in altre sedi, come la Commissione affari sociali e la Commissione lavoro. Ad ogni modo, se lo desiderate, potrò confrontarmi nella replica anche con voi.
Ritornando al tema delle deleghe, aggiungo che il Ministero per i diritti e le pari opportunità ha avuto, dal Ministero dello sviluppo economico, la delega sull'imprenditoria femminile, che deve essere riempita di contenuti e di progetti.
Tutto ciò per darvi un'idea del fatto che la partita del lavoro in tutti i suoi aspetti, quelli legislativi, quelli che attengono alle proposte di intervento - già avanzate in sede di concertazione - o quelli riguardanti gli investimenti, è un tema centrale dei nostri interessi.
Allo stesso modo, ci preme particolarmente la promozione di grandi campagne, che siano in continuità, ma nello stesso tempo innovino la comunicazione non tanto del ministero quanto delle istituzioni col paese. Mi riferisco, ad esempio, ad una campagna per un civismo diffuso e condiviso, che vorremmo promuovere, in particolare con i Ministeri dell'istruzione, dell'università e della ricerca, oltre che con la struttura competente in materia di informazione.


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Da ultimo, ma non meno importante, voglio ricordare a questa Commissione - che forse è più delle altre, insieme alla Commissione giustizia, competente in materia - che abbiamo un compito da svolgere nell'arco dei cinque anni della legislatura: quello di innovare gli strumenti di parità nelle istituzioni e nello stesso Parlamento e di decidere se vogliamo discutere insieme anche riforme coraggiose, che possano attenere addirittura alla formazione, così com'era stato proposto in alcuni disegni di legge depositati, nella precedente legislatura, da entrambi gli schieramenti.
Tali misure coraggiose potrebbero tendere a formare una vera e propria Commissione dei diritti e delle pari opportunità nel Parlamento italiano, alla Camera e al Senato.
Esiste quindi una partita di carattere istituzionale e costituzionale, legata agli strumenti da adeguare alle finalità ed ai traguardi di parità per tutti, che riguarda la discussione in questa Commissione.
Su questo argomento, tuttavia, se siete d'accordo, chiederei di prevedere un incontro specifico. Del resto, si tratta di una partita importante che, insieme a quella delle regole, potrebbe segnare un'innovazione profonda persino del modo di misurarsi del Parlamento italiano su questi temi legati alla modernità e alla coesione.
Come dicevo, il dicastero che dirigo si chiama appunto Ministero per i diritti e le pari opportunità e, per quanto mi riguarda, non interpreto i diritti come un fiore all'occhiello, ma come un impegno. Personalmente, anzi, preferisco pensare ai diritti insieme ai doveri. In questo senso, come è ovvio, mi ispirerò al programma dell'Unione, ma sempre con la volontà di arricchirlo, di renderlo più denso, e più vincente anche, se ci riusciremo. Questo potrà essere fatto attraverso il confronto parlamentare, proprio sui temi - ne accennavo all'inizio - considerati eticamente sensibili, sui quali vanno ricercate soluzioni sagge e umane.
Il punto cardinale - spero che il lessico non appaia eccessivamente stonato, in una sede come questa - sarà quello dell'amore e del rispetto per le persone, da come nascono a come vivono i momenti più drammatici del dolore e della malattia nella propria vita. Si tratta di cogliere, con lo spirito di cautela, ciò che mettono a disposizione la scienza e la medicina nella loro libertà e, certamente, nel perimetro di limiti invalicabili.
Penso al testamento biologico che è un diritto con cui fare i conti, in una società avanzata. Ritengo ad esempio, che su questa materia - che non attiene direttamente alla I Commissione, come è ovvio, ma è legata alla coscienza di ognuno di noi e non può non riguardare il Ministero per i diritti - esista la possibilità di arrivare a una mediazione largamente condivisa nel Parlamento italiano.
Al contempo, penso al capitolo, assai dibattuto, di una regolamentazione per le coppie di fatto. Desidero ripetere con chiarezza, e a scanso di equivoci, che non parlo personalmente di matrimoni gay. Mi atterrò, come punto di partenza, al programma dell'Unione e so che il mio compito è quello di avere a cuore la sensibilità di un'opinione pubblica plurale. Tuttavia, quest'ultima - che voglio tenere in massimo conto - oggi chiede al Parlamento di trovare il coraggio di prevedere una legislazione umana, equilibrata, saggia e condivisa per le coppie di fatto omosessuali.
Ripeto, perché non ci siano equivoci, che ho parlato di una legislazione «saggia, umana e condivisa» - ecco quali sono i riferimenti -, che sia in sintonia con lo spirito costituzionale dell'uguaglianza dei diritti del cittadino e della cittadina e che, contemporaneamente, rispetti l'articolo 29 della nostra Costituzione sulla famiglia.
Questi sono i due paletti entro cui possiamo far procedere questo vascello, se lo vogliamo, tutti insieme, in un lavoro pluralistico, come Parlamento. Fare ciò significa, davvero, segnare una parte importante della storia parlamentare del nostro paese.
Ci sarebbero molti altri temi di cui parlare, che tuttavia non sottoporrò alla vostra attenzione. Concludo, dicendo che, come è ovvio, cercherò di valorizzare il rapporto con il Parlamento - a cui dedicherò


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la massima attenzione - e di seguire un metodo concertativo, di condivisione con le parti sociali, il sindacato e l'impresa.
Abbiamo chiesto che, per la prima volta nella storia del nostro paese, possa essere costituito un tavolo concertativo, sui temi che riguardano le pari opportunità e i diritti delle donne e dei giovani, in Italia, con le parti sociali. Cercherò un confronto - l'ho già richiesto - con la Conferenza Stato-regioni, perché molte delle nostre partite passano da lì, nonché un rapporto costante con il sistema delle autonomie locali.
Ho parlato di un New deal delle donne, come un New deal del paese. Deal, come sapete, vuol dire «scambio», «patto». In realtà, significa «affare», nel senso più nobile del termine. Facciamo riferimento, dunque, ad un patto tra istituzioni, per l'inclusione delle persone, delle donne, dei giovani, di soggetti sociali che sono animati da sentimenti, ragioni, ansie e speranze, e che aspettano una risposta.
Parliamo di un patto tra donne e di un patto - certo - da stringere con quegli uomini seri, lungimiranti e moderni, quelle leadership che intendono investire su una nuova stagione di opportunità e che sanno che le donne rappresentano la parte migliore del mondo: la parte che è più disposta, anche per i suoi bisogni, a innovare, che non si rassegna e che cerca, con ostinazione, di riuscire, e vuole per questo il dialogo e la convivenza.
Ecco perché, insieme ad una valorizzazione del lavoro del Parlamento - a partire dalle Commissioni affari costituzionali della Camera e del Senato, che possono svolgere una funzione di «illuminazione» su tutte le altre Commissioni -, stiamo costruendo dei forum e dei tavoli di consultazione permanente con associazioni femminili e femministe, con le università, con il sapere, con l'informazione, con donne del volontariato e, certamente, con quegli uomini della cultura che sanno che vale la pena di investire in tutto questo.
In quest'ottica, è importante anche il tipo di metodo che viene adottato. Quello che noi vorremmo applicare vede in una partecipazione moderna, attenta e rapida, se possibile, un modo di esprimere una funzione di Governo, in intreccio con il lavoro importantissimo che proviene dal Parlamento. Si tratta di un metodo faticoso, ma è quello che vorremmo percorrere in un ministero che vuole essere una squadra.
Voi non ci crederete, ma la mia ambizione è proprio quella di creare una squadra molto pluralista nel suo modo di lavorare, che sia composta di molte donne certamente, ma anche di qualche uomo.

PRESIDENTE. In modica quantità...

BARBARA POLLASTRINI, Ministro per i diritti e le pari opportunità. In modica quantità, nel rovesciamento delle quote a cui siamo abituati. Quindi, potremo prevedere un 40 per cento di uomini e un 60 per cento di donne.

PIERANGELO FERRARI. Non vorrà prevedere questo rovesciamento su tutto... !

BARBARA POLLASTRINI, Ministro per i diritti e le pari opportunità. So che dovremo arrivare al 50 per cento in tutti gli ambiti, ma so anche che dovremo farlo procedendo con passi molto equilibrati, condivisi e seri. Quello è il traguardo.

PIERANGELO FERRARI. Non c'è fretta...

BARBARA POLLASTRINI, Ministro per i diritti e le pari opportunità. Non c'è fretta, ma è sicuramente importante arrivarci.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

SESA AMICI. La ringrazio molto, ministro, e le auguro buon lavoro, credo anche a nome dell'intera la Commissione, in particolare delle colleghe di maggioranza e di opposizione.


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Mi sembra che la sua ampia relazione si sia mossa su tre direttive, quelle della programmazione, dell'indirizzo e del coordinamento. Tali direttive sono proprie della delega da lei ricevuta, insieme ad un ulteriore elemento su cui vorrei ragionare, anche per rendere molto più concreta la parte propositiva della sua relazione.
Lei ha voluto insistere, nel corso di questa sua ampia relazione, nel definire la missione del Ministero per i diritti e le pari opportunità. Non c'è dubbio che, nella storia di questo ministero, possiamo registrare elementi di valore. Allo stesso tempo, tuttavia, si sono vissuti anche grandi momenti di stanchezza, frutto di una discussione culturale che ha investito questo paese, che, a volte, non riesce a cogliere il dato della presenza, e anche della rappresentatività sociale, delle donne, come uno degli elementi di scommessa, per declinare e qualificare l'idea di una democrazia moderna.
Ebbene, in questo andamento, a volte alterno, lei ha posto l'obiettivo di ridefinire una missione pubblica di grande valore del ministero, - ho notato che nella sua relazione questa parola compare diverse volte -, di assumere come metodo di lavoro un'idea di libertà e di laicità, anche nella funzione di un ministro della Repubblica. Ritengo che questo sia uno degli elementi su cui dovremmo seriamente confrontarci, perché può essere la chiave di lettura non per dare a questo paese un dibattito astratto sulla presenza o meno delle donne, sulle garanzie di accesso o sulle pari opportunità, ma per fargli vivere una stagione in cui le donne italiane tornino ad essere, a pieno titolo, cittadine.
A questo proposito, ricordo che un argomento su cui ci siamo molto divise e scontrate è stato il disegno di legge presentato, nella scorsa legislatura, dal ministro Prestigiacomo. Ebbene, credo che avremo bisogno di rimettere al centro, e anche di costruire, la storia di quella sconfitta. Lo ritengo necessario, perché altrimenti daremmo di nuovo vita ad una discussione in cui l'andamento delle quote viene vissuto, da alcuni rappresentanti della parte politica, ancora come una concessione, come una riserva indiana, senza capire che nelle fasi di una democrazia, soprattutto di tipo europeo, abbiamo bisogno di forzature che ne connotino proprio il valore.
Forse, dovremo proporre questa idea della rappresentanza attraverso un disegno di legge che porti il segno della temporaneità. Quest'ultima, infatti, diventa la sfida concreta su cui si misura una nuova classe dirigente, oltre a un grande senso di responsabilità.
All'interno di questo ragionamento, credo che lei faccia bene, ministro, a sollecitare il Parlamento a svolgere la sua funzione autonoma attraverso la presentazione di disegni di legge che potranno essere la base su cui lo stesso Governo potrà interloquire con una propria autonoma proposta. Abbiamo bisogno di ricostruire non un'astratta unità trasversale, ma le condizioni culturali e politiche affinché questa discussione si avvii dentro binari che abbiano la stessa valenza e dignità delle discussioni che attengono alla riforma della legge elettorale.
Badate, noi sbaglieremmo - lo dico innanzitutto per la mia storia politica, per il partito al quale appartengo, per lo schieramento nel quale sono stata eletta - se nella discussione della legge elettorale prevalessero, in ognuno di noi, le nostre storie e le nostre convinzioni culturali. Se commettessimo questo errore, non individueremmo nella legge elettorale uno strumento per dare contenuto alla politica, ma lo piegheremmo ad esigenze politiche e troveremmo di nuovo, di fronte a noi, il baratro e il fallimento. È per questo motivo, credo, che - come lei ha già ricordato, probabilmente avendo preso nota delle nostre audizioni - ci apprestiamo ad un lavoro di indagine conoscitiva e di attuazione di alcuni punti relativi al Titolo V, in particolare al federalismo fiscale.
Il federalismo fiscale non è solo un'operazione contabile. Al suo interno, si intrecciano profondamente diversi fattori. Tra questi, vi è l'idea dell'Italia che procede con due velocità e quella di un paese in cui ancora permangono livelli di disuguaglianza,


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insomma, l'immagine di un'Italia che spende e di una che soffre.
Ebbene, nel federalismo fiscale gran parte di questo elemento viene influenzato dalle condizioni assai peggiori delle donne che da quella fiscalità a volte traggono un elemento negativo. Vale a dire: meno servizi, meno qualità della vita, meno incentivi a migliorare le proprie condizioni. A tal proposito, le chiedo se, proprio a partire da questo intreccio di programmazione, indirizzo e coordinamento del suo ministero, non sia possibile ipotizzare una vera e propria indagine conoscitiva sulle condizioni di vita delle donne italiane, alla luce della diversa impostazione fiscale.
Abbiamo bisogno di uno studio del genere, per dare il senso di un'operazione che vuole parlare a tutte e a tutti. Così facendo, peraltro, ci misureremmo anche con un'espressione che credo stia al cuore delle nostre riflessioni: quella di essere, sul serio, un pezzo della classe dirigente di questo paese, non solo assumendone la richiesta, ma anche rivendicando un proprio ruolo e indirizzo.
In ultimo, ministro, lei ha parlato del codice. Non voglio aprire una polemica con l'opposizione, perché non è nel mio stile, ma vorrei ricordarle che quella vicenda è stata una delle pagine finali con cui abbiamo chiuso in malo modo la legislatura.
Il codice non venne approvato da questa Commissione perché privo di due pareri: quello del Consiglio di Stato e quello della Conferenza Stato-regioni. Si ridisegnava, a fine legislatura, non solo l'ipotesi di strutturazione di testi unici di norme che riguardano le pari opportunità, ma anche la funzionalità attraverso cui lei, oggi, si ritrova un ministero con tre funzioni dipartimentali, dentro le quali sono inserite anche nuove funzioni.
Nel periodo transitorio, il codice è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e - se ho capito bene - lei ha annunciato l'intenzione di rivederlo. Ebbene, credo che questo sia molto importante. Infatti, nell'organizzazione funzionale, per dipartimenti, del Comitato per le pari opportunità, abbiamo bisogno di immettere una cultura - questa sì - veramente innovativa, anche sul piano procedimentale: quella di legare le azioni, la promozione di politiche femminili ad un risultato che comprenda la capacità di verificare l'impatto di quelle politiche.
Per essere ancora più esplicita, sottolineo che compete al suo ministero presiedere la Consulta sull'immigrazione, in raccordo con i Dicasteri della solidarietà sociale e per la famiglia. Ebbene, credo che questo sia il secondo terreno sul quale, sul serio, si misura un'ulteriore capacità di azione di Governo. Il fenomeno dell'immigrazione, infatti, in questo paese deve arrivare ad essere vissuto non come la paura del diverso, ma attraverso politiche inclusive; occorre saper guardare anche a quegli elementi, alle loro condizioni, per dare proposte concrete, in stretto rapporto con gli enti locali e territoriali.
Abbiamo bisogno, dopo tanti anni, di non sprecare questa legislatura, guardando all'Europa non solo per gli aspetti da imitare, ma anche per la sua cultura da vivere fino in fondo.
Pertanto, il mio invito è quello di far sì che, in questa prospettiva, la questione delle pari opportunità non torni ad essere qualcosa di ghettizzante, ma divenga piuttosto uno degli elementi attraverso cui quel ministero - che pure non ha portafoglio - possa contribuire ad indirizzare e a dare identità ad una politica del Governo. È dentro questa missione, e in questa ambizione, che le rinnovo gli auguri di buon lavoro.

JOLE SANTELLI. Innanzitutto, ringrazio il ministro per il taglio molto ampio dato alla relazione, e per il contesto di analisi politica e sociale in cui ha inserito l'impulso che vorrebbe dare all'attività del suo ministero.
Vorrei riagganciarmi proprio all'ultima considerazione della collega Amici, che credo dia il segno di un cambiamento reale - che almeno personalmente leggo - nelle nuove competenze del suo ministero.
Si è molto discusso sulla sua stessa natura. In termini franchi e senza ipocrisia, infatti, dobbiamo dire che molti storcevano


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il naso, pensando ad un dicastero che sembrava semplicemente l'espressione di una rivendicazione vetero femminista. Ebbene, attraverso l'apertura formalizzata ad un concetto di pari opportunità che vada al di là della condizione di discriminazione delle donne e che assuma una diversa connotazione comprensiva di nuovi diritti, combattendo discriminazioni in senso ampio, questo ministero può contribuire, pur senza portafoglio - anche forse per questa debolezza «intrinseca» - ad una discussione politico-parlamentare più ampia nell'esame di varie materie; anche attraverso l'innovazione sulla tipizzazione delle deleghe, può segnare realmente un cambio di rotta o un'evoluzione successiva, un'evoluzione che spiega, anche meglio forse, il fallimento cui prima si richiamava l'onorevole Amici.
Molto spesso, il fallimento delle politiche di discriminazione al femminile è stato causato da discussioni fatte solo al proprio interno e da un'incapacità di comprendere, all'esterno, che non di rivendicazione di parte si trattava, ma di evoluzione sociale in senso lato. Inoltre, bisogna tener presente che in un paese in cui ancora si parla di distinzione di donne, diventa anche difficile, o più complesso, parlare di nuove politiche inclusive o di discriminazioni.
In questo senso, ci auguriamo - al di là delle indicazioni di partenza - che il metodo d'azione da lei indicato, signor ministro, possa essere costitutivo della sua attività e possa portare ad una discussione parlamentare ampia e ad una apertura su questi temi.
È vero che si tratta di argomenti a proposito dei quali ci si confronta con un programma di Governo, ma è altrettanto vero che, quando si parla di diritti dei cittadini, si fa riferimento non solo ad un dovere, ma anche - direi - ad un compito stesso della politica, quello di trovare un terreno comune di azione. Quindi, su questo punto, noi saremo sicuramente disponibili ad un confronto ampio, che investa l'intera parte parlamentare, sperando appunto di superare le incomprensioni.
In precedenza, la collega Amici parlava di rivendicazioni di nicchia, da una parte, e di una sorta di concessione, dall'altra. In questo dualismo, a mio avviso, sta il limite del dibattito politico che ha caratterizzato i temi del femminile, e in generale tutti gli altri temi. Quella che ci troveremo ad affrontare ora, è una sfida più ardua, come lei stessa diceva, ovvero quella di portare l'Italia in Europa per quanto riguarda alcuni diritti.
Dall'altra parte, però - e su questo credo che ci dovremo veramente confrontare - stiamo vivendo un'ulteriore sfida. L'ingresso e l'allargamento, in Italia, di comunità diverse, infatti - parlo soprattutto di alcune di esse che provengono da una parte definita del paese -, possono comportare una retrocessione dei diritti delle donne. Del resto, non è un caso che in alcuni paesi siano le donne a rappresentare l'elemento oppresso della società.
Ebbene, è con la capacità di questo Stato di dare risposte democratiche, di non chiudere gli occhi rivendicando una sorta di diversità culturale, ma al contrario di saper imporre quelle che per noi sono regole di democrazia e di civiltà, che ci confronteremo nei prossimi anni.
Molti di voi, probabilmente, avranno letto un libro, molto bello, di una scrittrice francese, che è intitolato Lettera a mia figlia che vuole portare il velo. In questo libro, si esprime tutta la sofferenza di una donna immigrata di terza generazione che vive in Francia e che si ritrova a dover discutere della rivendicazione da parte dell'adolescente della propria cultura. Al contempo, tuttavia, la donna deve anche spiegare alla figlia quale sia stato il percorso di rivendicazioni che è stato seguito, ricordandole che ciò a cui sono arrivate è il risultato della vittoria di una serie di guerre condotte nel corso del tempo. Su questo argomento incontreremo delle sfide da affrontare.
Non so con quanta consapevolezza questo Parlamento, nella scorsa legislatura, abbia assunto delle decisioni importanti (lo ha fatto sull'infibulazione e su


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altri temi) su diverse questioni. Mi auguro che fossero scelte consapevoli di un'inversione di politica.
Su alcuni temi - sia chiaro - non si transige, perché determinate conquiste sono per noi progressi di civiltà, che imponiamo agli altri non perché ci riteniamo migliori, ma perché riconosciamo agli altri gli stessi diritti di cui gode chi nasce e vive in questo paese.
Sulla tematica femminile si soffermerà più ampiamente la collega Carfagna. Personalmente, mi limito a procedere per punti.
Un'altra questione di estrema rilevanza è quella relativa all'attribuzione, al suo ministero, della delega sull'imprenditoria femminile. A tal proposito, le chiedo di aprire un confronto reale sulla riforma di questa legge, che spesso viene indicata come un fallimento per quanto attiene, tuttavia, non all'investimento politico, ma alle regole. Cito un caso, in proposito: se vengono finanziati tre esercizi di parrucchieri nella stessa strada, è ovvio che questi chiuderanno dopo due anni. Non si tratta, quindi, di un problema legato all'imprenditoria femminile, ma alla politica generale del finanziamento. Credo che questo sia un altro dei temi sui quali ci si può confrontare.
In conclusione, le dico che lei, ministro, si troverà di fronte ad un'opposizione consapevole dei temi in questione, pronta ad un confronto che sia franco e diretto, che non si nasconderà dietro ipocrite funzioni. Siamo aperte ad affrontare qualunque tipo di discorso. Il mio invito è quello di parlare e discutere dei nuovi diritti e di quant'altro, pur nella differenza delle posizioni, ma senza che i nostri dialoghi siano infarciti da retropensieri. Confrontiamoci, quindi, con franchezza e disponibilità.
In generale, considero importante - su questo saremo pronte ad intervenire se chiederà il nostro aiuto - che questo ministero venga salvaguardato nella sua funzione: parlo ovviamente di attribuzione di deleghe e di specifiche competenze. Infatti, se queste tornassero a ministeri diversi, sarebbe come compiere un passo indietro.
Ciascuno di noi comprende che ci sono delle spaccature all'interno della maggioranza, dovute agli spacchettamenti, e quindi siamo in grado di capire anche le difficoltà che questo comporta in termini politici. È vero, però, che in alcuni casi la suddivisione all'interno delle forze di maggioranza non può comportare un passo indietro rispetto a conquiste politiche che possono considerarsi effettuate.

MERCEDES LOURDES FRIAS. Rivolgo un saluto di benvenuto alla ministra. Anche io, come chi mi ha preceduto, sono molto contenta che sia stato ampiamente sostanziato il concetto di pari opportunità e di diritti. Ciò, infatti, permette di superare un limite culturale, quello di pensare alle pari opportunità come ad un contentino per le donne, e consente di allargare il concetto di parità di trattamento a una cultura della non discriminazione e, soprattutto, dei diritti.
Lei ha specificato che intende lavorare portando avanti in particolare la promozione dei diritti e la rimozione di ogni forma di discriminazione. Si tratta di due cose che procedono di pari passo, ma che potrebbero anche escludersi a vicenda se non prestassimo abbastanza attenzione a come possono integrarsi tra loro, oppure se dessimo priorità ad una piuttosto che all'altra.
Penso che qualunque individuo che non sia bianco, maschio, cinquantenne e benestante sappia cosa significa discriminazione. Potrei aggiungere anche altre categorie in questa prospettiva, ma sto parlando solo per esclusione. Del resto, ritengo che le discriminazioni funzionino tutte più o meno allo stesso modo. Per questo motivo, è importante che il lavoro parta così come lei lo ha descritto, vale a dire dalla complessità della questione della cultura profonda dei diritti.
Lei ha detto che, quando si è svolto il dibattito sul ministero, è andata a guardare i documenti e si è domandata perché si fosse arenato un determinato processo e


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perché quell'inizio sia rimasto solo una possibilità. Credo che tutti noi ci stiamo ponendo le stesse domande.
Pretenziosamente, azzardo una risposta. A mio avviso, sui principi siamo tutti d'accordo. Credo che nessuno di noi si tiri indietro quando si parla di diritti di uguaglianza e di pari opportunità. La questione nasce al momento di agire. Quanto siamo disposti a riconoscere e a lasciare spazio alle donne, in una cultura che, da sempre, è stata dominata dai maschi? Basta prendere ad esempio la curva della presenza delle donne in Parlamento dalla Costituente ad oggi. Ebbene, se guardiamo quei numeri viene quasi da piangere, perché in sessant'anni possiamo dire che si è fatto ben poco.
A fronte di questi dati, però, c'è una nutrita legislazione a favore delle donne. In questo senso, ci sono due questioni molto importanti che ci possono aiutare a fare la differenza fra ciò che si dichiara e ciò che, effettivamente, poi si realizza.
In primo luogo, dobbiamo considerare il metodo che seguiamo e, in seconda istanza, gli strumenti che ci diamo. Lei ha elencato numerosi strumenti, ma io volevo soffermarmi sulla Conferenza di Pechino, la conferenza delle Nazioni Unite sulle donne. Due parole chiave sono emerse in quella occasione: empowerment e mainstreaming, che non so perché in italiano non siano state tradotte. Dell'empowerment abbiamo parlato tanto, ma credo che, nel nostro caso, la chiave sia il mainstreaming, ossia l'integrazione orizzontale delle politiche di genere, di quelle di integrazione e di quelle del riconoscimento dei diritti. Ciò vuol dire che, se releghiamo tutto all'esistenza di un ministero delle pari opportunità, rimarremo sempre donne che parlano di questioni di donne. Se, invece, il ministero è uno strumento, per promuovere politiche attive di riconoscimento e di pari diritti delle donne - incluse tutte le categorie più facilmente discriminabili -, allora questo può effettivamente aiutarci, in un arco temporale che ci possiamo dare, per compiere dei passi significativi in avanti.
Questo vuol dire lavorare strettamente con tutti gli altri ministeri, in merito alla presenza delle donne a tutti i livelli. Tutti sappiamo come stanno le cose. Esiste un tetto di cristallo. Continuano a ripeterci quanto siamo brave noi donne a scuola o all'università, ma poi arrivate ad un certo punto rimaniamo ferme. Per questo, come diceva l'onorevole Amici, credo che siano necessarie delle forzature. Certo, le possiamo chiamare come vogliamo, ma abbiamo bisogno di strumenti per poter garantire l'obiettivo.
In questo senso, si è svolto un intenso dibattito, ad esempio, sulla questione delle quote. Personalmente, tra l'altro, l'ho considerato anche molto strumentale, perché, del resto, è molto facile mettersi l'anima in pace su tale tema. È stato dimostrato che nei paesi dove le donne rappresentano quasi il 40 per cento, addirittura il 50 per cento, in alcuni casi, delle presenze nei luoghi decisionali, è perché hanno fatto ricorso a questa forzatura, altrimenti le questioni sostanzialmente non cambiano.
Per quanto riguarda quello che diceva l'onorevole Santelli, sulla questione delle ulteriori differenze con le donne che vengono nel nostro paese, penso che il problema sia quello di riconoscere pari diritti e pari opportunità, oltre che la possibilità di accesso ai beni immateriali, simbolici della società per tutte le persone. Poi, all'interno di questo argomento, ci sono i margini di libertà sui quali penso che nessuna istituzione debba intervenire. Questa è la mia opinione molto personale.
Non l'ho sentita parlare di un problema grosso, quello della violenza sulle donne.

BARBARA POLLASTRINI, Ministro per i diritti e le pari opportunità. Non l'ho fatto in modo diffuso, ha ragione lei, vi ho solo accennato.

MERCEDES LOURDES FRIAS. Penso che questo sia un problema tragico per l'Italia di oggi. Le statistiche ci parlano di una percentuale elevatissima di donne che subiscono violenze ogni giorno (se non erro, si parla di sette donne, quotidianamente). Negli ultimi mesi, inoltre, abbiamo


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assistito a diverse uccisioni atroci di donne. Il problema è che questo diventa, nel giro di pochissimo tempo, una notizia da diciannovesima pagina del giornale, tanto che tutti ce ne dimentichiamo.
Allora, anche la questione della violenza sulle donne sta diventando un tema che si presta ad essere utilizzato in modo strumentale. Se l'aggressore è uno straniero, ad esempio, questa diventa la notizia. Ovviamente, per quanto mi riguarda, condanno uno straniero tanto quanto un locale, in quanto una violenza è sempre un atto orribile. Tuttavia, questa è una trappola nella quale siamo caduti tutti. Tutti, infatti, parliamo degli stranieri che compiono atti di violenza sulle donne, quando poi il problema effettivo è che, nella stragrande maggioranza dei casi, tali violenze avvengono tra conoscenti, fra parenti e così via. Su questo bisogna agire su più piani, non solo quello punitivo.
L'altro aspetto che voglio sottolineare riguarda l'ufficio per la lotta alla discriminazione. La legge Turco-Napolitano ha introdotto in questi due articoli una definizione di discriminazione diretta e indiretta molto precisa. Ha anche dato mandato alle istituzioni di attrezzarsi, per lavorare in questa direzione. Bene ha fatto la ministra Prestigiacomo a lavorare all'istituzione di questo ufficio, ma penso che la legge ci offra lo spazio per fare molto di più di quanto si è fatto fino adesso.
In alcuni paesi si lavora molto dal punto di vista culturale, ma anche attraverso gli strumenti di tutela. Non ci si basa soltanto sulla banca dati che raccoglie casi, come praticamente sta succedendo, ma si offrono anche strumenti offensivi per potersi difendere nel caso di discriminazione.
In questo senso, dunque, è necessario allargare il concetto. Non possiamo rimanere alle definizioni di razze, etnie o altri termini che non stanno né in cielo che in terra. Bisognerebbe lavorare piuttosto, come fanno alcuni paesi, con un concetto molto allargato che include tantissime categorie, come l'orientamento sessuale, il genere e via dicendo. A mio avviso, considerare tutti questi fattori insieme ci può facilitare in questo compito.
In tale prospettiva, credo che anche un lavoro condotto sul territorio sia molto importante e che sia uno strumento dell'istituzione.
Volevo citarvi un caso, per spiegare meglio di cosa sto parlando. In un ospedale di una città del nord Italia, in un reparto di maternità, le donne straniere venivano separate da quelle italiane. La spiegazione di questo fatto che è stata data in principio è stata che, siccome nessuna di loro aveva protestato, la situazione doveva rimanere come era. Questo lo dico proprio a proposito della diffusione della cultura delle pari opportunità, che deve essere condotta attraverso un ufficio del Governo che dovrebbe lavorare su questo elemento.
Quanto alla questione della Commissione per le pari opportunità, bisogna fare tesoro della storia, per non assumere un'azione complessiva che poi però si limita a dare il solito contentino alle donne, per cui i partiti si mettono a posto collocando alcune donne rimaste fuori, senza però che si vada molto avanti in termini concreti.
Riguardo, poi, all'imprenditoria femminile, oltre a quello che ha detto l'onorevole Santelli, volevo aggiungere la questione della burocrazia. Il decreto legislativo n. 215 prevede un finanziamento del 50 per cento per le nuove idee delle donne. Pertanto, per ottenere i fondi, si deve trattare di imprese nuove di donne o di cooperative. Perché sia sborsato questo finanziamento, però, bisogna presentare una fattura per il 100 per cento. Tuttavia, a una donna che non sa da dove partire le banche non rilasciano prestiti. Del resto, come possono rilasciare un prestito a qualcuno che non ha nessuna garanzia? È una contraddizione.
Gli strumenti ci sono, ma dobbiamo vedere come possiamo lavorare in modo che possano essere efficaci.
Lo stesso vale per la questione del congedo parentale. In proposito, peraltro, chiederei se fosse possibile allargarlo anche


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alle lavoratrici autonome, con un determinato tetto di reddito e così via.
Mi fermo, perché so che mi sto dilungando molto.
In definitiva, sono d'accordo sul fatto che dobbiamo lavorare con alleanze larghe, ma credo che la questione delle pari opportunità e dei diritti non riguardi solo le donne. Se questo problema esiste, esso riguarda non solo le donne, le immigrate, i neri, o i cinesi, ma un deficit generale della democrazia. Pertanto, la questione coinvolge tutti e il fatto che gli uomini oggi presenti sono così pochi in questa sala mi induce a pensare che dobbiamo ancora lavorare moltissimo.

MARIA ROSARIA CARFAGNA. Innanzitutto, vorrei ringraziare il ministro per la sua cortesia umana, oltre che istituzionale, e per la sua disponibilità a collaborare con la nostra Commissione. Mi auguro che questo sia, davvero, l'inizio di una reale e proficua collaborazione tra la nostra Commissione e il suo ministero.
Quanto alla prima questione che vorrei porre, ho già avuto modo di affermare, diverse volte, che ho assolutamente compreso i motivi che hanno ispirato la battaglia che l'ex ministro Prestigiacomo ha condotto a favore delle quote rosa e quindi anche la sua volontà di continuare sulla strada tracciata da chi l'ha preceduta.
Tuttavia, credo che il problema della discriminazione delle donne sia molto più complesso, che le cause vadano ricercate più a fondo e che le soluzioni da proporre debbano essere più ampie.
Il compito del suo dicastero, signor ministro, è quello di garantire pari opportunità a uomini e donne. Mi rendo conto che assicurare la presenza femminile in politica, e quindi all'interno delle istituzioni e del Parlamento, è un obiettivo nobile e importante, ma ci sono donne - forse anche molto più numerose di quelle che aspirano a fare politica - che la discriminazione la vivono quotidianamente sui luoghi di lavoro.
Faccio riferimento ad alcune stime elaborate su ricerche ISFOL e IRES, basate su dati ISTAT e condivise da istituzioni e sindacati. Si tratta di stime che parlano di una discriminazione salariale, tra uomini e donne, pari al 20 per cento. In un articolo de l'Unità del 19 giugno 2006, infatti, si sostiene che, a parità di formazione professionale e di mansioni svolte, le donne guadagnano sistematicamente l'80 per cento di quello che i colleghi maschi trovano in busta paga.
Le donne, come diceva benissimo la collega Frias, studiano di più, si laureano più in fretta, sono più brave e diligenti degli uomini; tuttavia, le pari opportunità continuano a restare un miraggio.
Le chiedo, allora, se non sia più opportuno occuparci ed impegnarci seriamente per risolvere e colmare questo divario, anche con eventuali forzature - come sono state definite in precedenza -, prima ancora di concentrarci e di facilitare l'ingresso delle donne in politica, e quindi nelle istituzioni.

BARBARA POLLASTRINI, Ministro per i diritti e le pari opportunità. Tutto insieme.

MARIA ROSARIA CARFAGNA. Tutto insieme, certo, ma questa sarebbe già una prima vera vittoria per le donne, per fare riferimento alle parole che lei ha detto durante la sua relazione.
Passo, molto velocemente, alla seconda questione. Un'altra profonda ragione di squilibrio tra i sessi consiste, indubbiamente, nel fatto che il lavoro familiare e di cura ricade in gran parte sulle spalle femminili.
Oggi più che mai, è avvertita l'esigenza di assicurare alle donne misure adeguate, che consentano loro di svolgere serenamente sia il ruolo di madre e moglie che quello di lavoratrice. Tutto questo dovrebbe, ovviamente, rientrare nella logica di una politica più generale, che tenda a tutelare il nucleo familiare e, soprattutto, la madre. Questo deve essere fatto, al fine di proteggere indirettamente ciò che più di ogni altra cosa al mondo necessita di cure e attenzioni - e, in proposito, ripeterei due parole che lei ha citato prima, ossia amore e rispetto -, ovvero il nascituro.


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Ritengo che nulla più della famiglia, nel senso costituzionale e religioso del termine, possa garantire al nascituro, al bambino, l'ambiente naturale più adatto alla sua crescita psicologica e comportamentale. Premesso che ciascuno di noi è libero di esprimere le proprie opinioni come meglio crede, e i propri orientamenti come meglio desidera - mi scusi se mi permetto di entrare in una questione delicata e personale -, ritengo comunque che la sua partecipazione al gay pride abbia rappresentato, indirettamente, un attacco al concetto di nucleo familiare, a cui prima facevo riferimento.
Se il compito del suo ministero è quello di garantire le pari opportunità, credo che tale dovere andrebbe svolto con particolare riferimento al nucleo familiare, cercando di esaltare il ruolo della donna, e non di svilirlo; cosa che avverrebbe, a mio avviso, se si equiparassero la famiglia naturale, basata sull'unione tra un uomo ed una donna, e le unioni di fatto, omosessuali. Se tali unioni ottenessero il riconoscimento pubblico - riagganciandomi a quanto detto prima - finirebbero infatti per danneggiare chi ha più bisogno di tutela, di amore e di rispetto.
Ritengo, quindi, che, prima ancora di pensare ad una legislazione umana e saggia sulle unioni di fatto, omosessuali, bisognerebbe pensare ad una legislazione umana e saggia di sostegno alle famiglie - lo dico, anche in considerazione del fatto che l'Italia è tra i paesi che registrano una crescita demografica fra le più basse -, intervenendo sulle questioni degli asili nido, dei sostegni economici alle famiglie e delle politiche fiscali.
A tale proposito, vorrei farle presente che il mio gruppo ha presentato una proposta di legge, di cui sono la prima firmataria, che prevede il sostegno economico alle ragazze madri e alle famiglie di minori. Tale provvedimento, inoltre, tende, in qualche maniera, anche a disincentivare l'aborto. Secondo uno studio recente, infatti, risulta che la percentuale di donne che ricorre all'interruzione di gravidanza perché versa in stato di disagio economico e non vede alcuna alternativa è molto alta, pari circa all'80 per cento. Quindi, mi piacerebbe sapere quale sarà il parere del suo ministero riguardo a questa proposta di legge.
Mi fermo qui e le rinnovo i migliori e più affettuosi auguri per un buon e proficuo lavoro.

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi e rivolgo un ringraziamento particolare al ministro per il suo intervento, che è andato al di là del rituale e che ha aperto anche frontiere di tipo nuovo.
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 16,25.