COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta pomeridiana di marted́ 19 settembre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE

La seduta comincia alle 16,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Corrado Calabrò, sulle attività di controllo e di vigilanza in materia di conflitto di interessi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, consigliere Corrado Calabrò, sulle attività di controllo e di vigilanza in materia di conflitto di interessi.
Avverto che il presidente per le garanzie nelle comunicazioni, consigliere Corrado Calabrò, ha chiesto di essere accompagnato, nell'ambito dell'audizione sulle attività di controllo e di vigilanza in materia di conflitto di interessi, dall'ingegner Roberto Viola, segretario generale, dal dottor Guido Stazi, capo di Gabinetto, dal consigliere Nicola Gaviano, direttore del servizio giuridico, dalla dottoressa Laura Aria, direttore dei contenuti audiovisivi multimediali e dal dottor Franco Angrisani, portavoce. Ne autorizziamo la presenza in Commissione.
Abbiamo chiesto al Presidente Calabrò di venire in Commissione sulla base dell'esperienza di questi due anni di applicazione della legge sul conflitto di interessi, con specifico riferimento naturalmente alla materia delle comunicazioni, che è la materia sulla quale l'Autorità ha specifica competenza.
Do la parola al consigliere Corrado Calabrò per lo svolgimento della sua relazione.

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Ringrazio il presidente e l'intera Commissione per questa occasione di ascolto. Noi abbiamo bisogno del contatto col Parlamento, perché siamo molto esposti. Tuttavia, in modo particolare, mi rende lieto l'occasione di un incontro con la Commissione affari costituzionali.
Le considerazioni che esporrò tengono conto dell'organica ricostruzione, fatta dal Presidente Violante nella sua relazione, del sistema vigente e del modo in cui si va ad innestare in esso la proposta di legge in esame.
L'esigenza di un'efficace disciplina del conflitto di interessi è avvertita da tempo dalla società italiana, con periodiche riacutizzazioni.
La stessa esigenza sussiste negli altri paesi democratici, ma quelle esperienze - modellate su previsioni generali, quando non generiche - non sembra possano soccorrere molto per l'integrazione della legge n. 215 del 2004, alla luce delle inadeguatezze rivelatesi, sul piano dell'effettività, nella sua applicazione.
Sinteticamente, si può dire che l'impostazione della legge n. 215 (la cosiddetta legge Frattini) non si esaurisce nel prevedere un complesso di incompatibilità preventive, ma stabilisce altresì per il titolare


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di cariche di Governo il dovere di astenersi dal porre in essere atti o partecipare a deliberazioni collegiali in una situazione di conflitto di interessi.
A parte lo sbarramento delle incompatibilità, la legge n. 215 ha scelto il criterio del conflitto reale e non potenziale, sicché le ipotesi di conflitto concretamente accertabili finiscono, invero, per essere «registrate» solo ex post ed in modo, per giunta, sostanzialmente passivo.
Il conflitto ricorre, secondo l'articolo 3 della legge, quando l'atto (o l'omissione di un atto dovuto) imputabile al titolare di carica di Governo abbia una «incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio» dello stesso titolare, di un suo congiunto (coniuge o parenti entro il secondo grado) o dell'impresa controllata, con il concorso, peraltro, dell'ulteriore requisito di un «danno per l'interesse pubblico». È questo un punto saliente dell'attuale disciplina che, mi pare, sia stato sottolineato, questa mattina, anche dal presidente Catricalà, come ho rilevato dalle agenzie. Quando si verifica il danno, l'illecito si è già completamente realizzato e intervengono a quel punto altri presidi, anche penali, a tutela dell'interesse pubblico. Il conflitto di interessi dovrebbe, invece, scattare già nel momento in cui si profila il pericolo che si verifichi la situazione che si mira ad evitare.
La proposta di legge in esame si segnala, appunto, per la sua ricerca tesa ad una più fattiva ed efficace «prevenzione» delle situazioni di conflitto.
La proposta, peraltro, non innova particolarmente il regime vigente dell'incompatibilità (laddove dal testo della legge n. 215 meriterebbe di essere ripreso, comunque, anche il richiamo all'esercizio di compiti di gestione nelle imprese, che è caduto nella proposta Franceschini), né gli obblighi di comunicazione già attualmente esistenti a carico degli interessati. La proposta di legge è, invece, notevolmente innovativa per l'attenzione dedicata al versante delle «attività patrimoniali» dei titolari di cariche di Governo.
Circa l'ampiezza della prefigurazione sul piano legislativo delle situazioni che si intende prevenire, su un piano astratto e generale si potrebbe osservare - ma qui il discorso è più da giurista che da presidente dell'Authority; farò solo un accenno, poi il mio discorso verterà interamente sull'asse dell'attività istituzionale dell'Autorità - che un'ipotetica previsione, a rafforzamento delle disposizioni della proposta di legge in oggetto, della ineleggibilità per il candidato versante in una potenziale situazione di conflitto di interessi, sarebbe un ύστερου-πρότερου che solleverebbe problemi di costituzionalità. Interessanti considerazioni - ed è anche per questo che riprendo questo punto - sono state svolte in proposito dal mio predecessore, professor Cheli, nella sua audizione dinanzi a questa Commissione del 28 gennaio 2002.
Diversamente, potrebbe essere valutata un'ipotesi di incompatibilità successiva all'elezione, che desse all'eletto un tempo sufficiente per la sua scelta.
La questione sta, oltre che nella soglia al di sopra della quale scatterebbe, nell'ampiezza dell'incompatibilità prefigurata.
In proposito, due sono le principali criticità che sembra di poter cogliere nella proposta di legge: l'ipotesi della vendita coattiva, non di semplici azioni, ma di pacchetti azionari di controllo, e quindi in pratica di aziende, sia pure come extrema ratio nei confronti di un titolare di cariche di Governo riluttante a far cessare la situazione di incompatibilità; l'eccessiva ampiezza dei poteri affidati all'istituenda autorità circa l'assunzione di misure idonee alla risoluzione del conflitto di interessi, discrezionalità che risulterebbe addirittura praticamente sconfinata per la mancata predefinizione della nozione di conflitto, esistente invece nella legge n. 215 (mi sia consentito, per amor di matrice, al riguardo, di osservare del tutto marginalmente e incidentalmente che la previsione di assegnare la giurisdizione in materia al giudice ordinario non appare coerente con l'ampia discrezionalità che la costituenda autorità dovrebbe esercitare, la quale farebbe ritenere, invece, «naturale» propendere in materia per la giurisdizione amministrativa).


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Lasciando queste considerazioni di principio alla riflessione e alla valutazione di codesta Commissione, ci si può comunque chiedere se, anche con queste dubbie accentuazioni del momento preventivo, la proposta di legge in esame valga ad evitare situazioni non precluse dalla legge n. 215.
È mia sommessa opinione - basata sull'esperienza maturata - che, per meritorio che sia un intendimento di prevenzione, non è da pensare che esso possa valere ad escludere in tutti casi la possibilità dell'insorgenza in concreto di un conflitto di interessi, specialmente nei casi in cui il complesso di attività professionali o imprenditoriali non si esaurisca nella mera proprietà dell'impresa.
Ovviamente, la valutazione positiva di un intervento del legislatore in materia di conflitto di interessi non è vanificata dalla considerazione che la situazione di conflitto possa, al postutto, essere sempre aggirata (c'è l'astensione, c'è sempre la possibilità di vendita, anche se Re Lear insegna che bisogna andarci piano).
Dico questo non per attestarmi su una linea di scetticismo di fondo, ma per indurre a considerare se non c'è un altro genere di disposizioni che possa efficacemente soccorrere e che, comunque, sia bene tenere presenti nel quadro complessivo. Innanzitutto, quindi, è da considerare se non sia da riprendere la previsione del monitoraggio dell'attività di Governo, che è un punto apprezzabile della legge n. 215, anche se l'ipotesi del conflitto è subordinata in quella legge - come ho detto - alla generazione di un danno per l'interesse pubblico. Pur tuttavia, questo è un punto che potrebbe essere rivisto.
Inoltre, un elemento che la proposta di legge non pare esaurientemente cogliere è il sottile legame che può stabilirsi, mediante un sostegno dal basso verso l'alto, fra il titolare di carica di Governo e le imprese del settore dell'informazione.
In effetti, sia la legge n. 215, sia la proposta di legge in esame hanno riguardo, fondamentalmente, ai sistemi vigenti negli altri paesi. Ma la peculiarità della situazione italiana la rende non compiutamente coincidente con le esperienze di altri paesi. In questa ottica, l'esperienza di questa Autorità si propone all'attenzione in modo molto significativo.
Infatti, in seguito all'eccezionale sviluppo nell'ultimo decennio delle tecnologie dell'informazione, i diversi mezzi di comunicazione di massa - e indirettamente le imprese che ne sono editrici - influenzano in maniera sempre più determinante la formazione dell'opinione pubblica.
Questo accade in parte per le televisioni locali, ma massimamente per quelle nazionali.
Di fronte alle straordinarie potenzialità di comunicazione di tali mezzi, il legislatore ha avvertito l'esigenza di porre a fondamento del sistema radiotelevisivo alcuni principi generali, quali il pluralismo, l'obiettività, la completezza, l'imparzialità e la lealtà dell'informazione, che permeano di sé anche le leggi parametro poste a base della figura del «sostegno privilegiato». Il profilo del conflitto di interessi si riverbera così, per quanto riguarda la competenza della mia Autorità, nel cosiddetto sostegno privilegiato da parte di una delle imprese che operano nel Sistema integrato delle comunicazioni (il cosiddetto SIC) e che fanno capo (sottolineo la pregnanza sostanziale di questa espressione) al titolare di cariche di Governo, al coniuge o ai parenti entro il secondo grado.
Si tratta di un aspetto fondamentale, perché il sostegno dei mezzi di comunicazione di massa, in particolare della televisione, può risultare decisivo per il successo dell'una o dell'altra formazione politica.
Le ultime elezioni hanno dimostrato che, ai giorni nostri, la partita della democrazia si gioca in televisione. Fondamentale è, quindi, risultato l'intervento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nello sconsigliare, reprimere, correggere, sanzionare un uso del mezzo televisivo lesivo dei principi del pluralismo nell'informazione.
Gli interventi di questa Autorità hanno avuto successo per cinque basilari ragioni: la tempestività degli interventi, grazie ad un monitoraggio continuo, ventiquattr'ore


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su ventiquattro, delle trasmissioni televisive nazionali e alla prontezza delle susseguenti determinazioni (in un caso in cui la violazione è avvenuta di domenica siamo intervenuti già il lunedì); il reticolo regolamentare emanato da questa Autorità...

ROBERTO ZACCARIA. Quale caso?

PRESIDENTE. Un caso.

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Un caso.

ITALO BOCCHINO. Prodi a Ballando sotto le stelle!

ROBERTO ZACCARIA. Se i casi sono citati, si capiscono meglio.

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Dicevo, il reticolo regolamentare emanato da questa Autorità, che si è rivelato capace di cogliere anche infrazioni ulteriori rispetto a quelle puntualmente previste da disposizioni legislative, integrando così le insufficienti previsioni della legge n. 215 ed anche quelle delle leggi parametro (che sono, come è noto, la cosiddetta legge Mammì, la legge istitutiva dell'AGCOM, la legge sulla par condicio, la legge Gasparri, trasfusa poi nel Testo unico della radiotelevisione); la valenza precettiva diretta attribuita nei provvedimenti di questa Autorità anche ai principi di più ampio respiro sulla par condicio e sull'obiettività e adeguatezza dell'informazione desumibili dalle leggi n. 28 del 2000 e n. 112 del 2004; l'applicazione di sanzioni rinvenibili nella legge istitutiva di questa Autorità, ad integrazione dell'inadeguatezza delle previsioni sanzionatorie contenute nelle leggi speciali; l'avallo che la giustizia amministrativa ha dato alle determinazioni assunte da questa Autorità, respingendo, in sede cautelare o di merito, i ricorsi proposti ex adverso e riaffermando, a livello sistematico, il valore dei principi di pluralismo, obiettività, completezza, lealtà e imparzialità dell'informazione insiti nel nostro sistema legislativo.
Tale azione regolamentare e provvedimentale dell'AGCOM è valsa ad ovviare alle carenze della legge sulla par condicio e - di riflesso e in una certa misura - a sovvenire alle principali lacune della legge n. 215 sul versante del sostegno privilegiato, consistenti nell'indeterminatezza della previsione e nella labilità del sistema sanzionatorio.
Sotto il primo aspetto il regolamento per la risoluzione dei conflitti di interesse adottato dall'AGCOM ha identificato pragmaticamente il sostegno privilegiato con «qualsiasi forma di vantaggio diretto o indiretto, politico, economico, di immagine al titolare di cariche di governo».
Sotto il secondo aspetto, quello sanzionatorio, si è detto del ponte tra le varie leggi che l'Autorità ha gettato sui pilastri dei principi ispiratori (pilastri che hanno tenuto).
Premesso che l'ipotesi del sostegno privilegiato passa necessariamente attraverso la violazione di una delle leggi parametro sopra indicate, l'Autorità ha ritenuto che la violazione della normativa sul pluralismo e sulla par condicio configuri in re ipsa anche la fattispecie del sostegno privilegiato di cui alla legge n. 215 del 2004, da parte di detta impresa.
Una carenza è risultata, tuttavia, insuperabile. Infatti, c'è da rilevare che, per l'ipotesi del conflitto di interessi, la legge n. 215 non fissa sanzioni specifiche, né tanto meno dissuasive, ma rimanda alle sanzioni poste a presidio delle quattro leggi parametro, con l'aumento previsto fino ad un terzo. Ma soprattutto, come primo provvedimento adottabile da questa Autorità, la legge n. 215 prevede semplicemente la diffida, atto che questa Autorità non ha mancato di emanare, ma cui non ha potuto far seguito un provvedimento sanzionatorio in mancanza di susseguente inottemperanza alla diffida. Insomma il soggetto, una volta diffidato, non ha proseguito in quel comportamento.
Sullo sfondo rimangono, è vero, le sanzioni impartite per l'inottemperanza agli ordini di questa Autorità, e cioè la


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pena pecuniaria da 10.330 a 258.230 euro, con possibilità, in alcuni casi, se la violazione è di particolare gravità o reiterata, di disporre nei confronti del titolare di licenza o autorizzazione o concessione persino la sospensione dell'attività, per un periodo non superiore a sei mesi, ovvero la revoca. Per la concessionaria del servizio pubblico - l'onorevole Zaccaria lo saprà bene - la disciplina sanzionatoria di cui all'articolo 48 del codice prevede la possibilità dell'irrogazione di una sanzione pecuniaria «fino al 3 per cento del fatturato realizzato nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida».
Ma se è vero che il TAR del Lazio ha ritenuto, con una sua recente decisione, che la sanzione pecuniaria fino a 258.230 euro possa applicarsi anche a presidio degli ordini emessi in materia di par condicio elettorale, non è meno vero, però, che la estensibilità anche sul versante del conflitto di interessi di una simile interpretazione «integrata» della legislazione di settore non è ancora mai stata asseverata, e allo stato costituirebbe solo una malcerta ipotesi di studio.
Si deve, inoltre, rimarcare che non sempre tali sanzioni sono irrogabili in prima battuta, la prima misura normalmente adottabile - sul terreno della par condicio - essendo quella dell'ordine di ripristino della parità di accesso ai media. E in tali casi - che rappresentano, come si è detto, la normalità - la disciplina del conflitto di interessi (sotto forma di sostegno privilegiato) prevista dalla legge n. 215 rimane praticamente priva di conseguenze sanzionatorie.
Una significativa evoluzione interpretativa di questa Autorità, che ha ottenuto il riconoscimento del TAR, con la sentenza n. 5038 del giugno di quest'anno, ha consentito di evitare l'inane ripiegamento su tale misura in un caso in cui una trasmissione televisiva, univocamente dedicata all'encomiastica raffigurazione di un protagonista politico, non avrebbe potuto conseguire il «ripristino» se non attraverso una trasmissione di segno opposto, e cioè altrettanto squilibrata e dedicata alla parimenti encomiastica raffigurazione del suo antagonista. In questo caso l'Autorità ha ritenuto - e il giudice amministrativo ha riconosciuto - che era immediatamente applicabile la sanzione.
Ma pur con questi interventi di supplenza, il sistema sanzionatorio rimane inadeguato e manifesta contraddizioni e lacune non superabili in via interpretativa, che sono state illustrate nelle segnalazioni fatte al Parlamento, di cui dà conto, nella sua relazione, il presidente Violante.
Così ad esempio, proprio riguardo a violazioni rilevanti ai fini della disciplina del conflitto di interessi, la legge n. 28 del 2000 in materia di par condicio, nel porre il divieto per le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione nel periodo elettorale (ad eccezione di quella effettuata in forma impersonale e indispensabile per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni), non permette all'Autorità di sanzionare ex lege n. 215 del 2004 le emittenti radiotelevisive che si trovino a diffondere, nel ruolo di carrier, la pubblicità istituzionale non ammessa: ciò in quanto il divieto qui posto dalla legge n. 28 si rivolge, appunto, alle sole pubbliche amministrazioni, e non anche alle imprese di diffusione, cui nello specifico non è perciò ascrivibile l'infrazione di una legge parametro. Ne discende, a cascata, non essendoci stata violazione alla legge parametro, l'impossibilità di avviare su questo terreno procedimenti tesi ad accertare eventuali ipotesi di sostegno privilegiato a titolari di cariche di Governo da parte delle imprese di radiodiffusione o pubblicitarie.
Va, poi, evidenziata l'incongruenza che si registra tra l'esteso ambito soggettivo delle imprese che possono fornire sostegno privilegiato secondo l'articolo 7, il quale si riferisce a tutte le imprese rientranti nel SIC, e le più ristrette leggi parametro, ivi pure richiamate, nelle quali si rinvengono solo marginalmente dei precetti rivolti agli editori di quotidiani e periodici, e mancano del tutto precetti rivolti ad altri soggetti operanti nel SIC, ad esempio nei settori del cinema, delle sponsorizzazioni, della comunicazione di prodotti e servizi.


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Il grosso delle leggi parametro riguarda, insomma, il settore dell'audiovisivo, con la conseguenza che al di fuori di esso la figura del sostegno privilegiato è ben difficile da configurare.
Fino ad ora questa Autorità ha ritenuto che l'attenzione dovesse essere rivolta alle testate edite o di proprietà delle imprese editoriali incluse nel SIC, nonché a tutti i «programmi» televisivi e radiofonici predisposti da dette imprese, intendendo per «programma» l'insieme dei contenuti unificati da un medesimo marchio editoriale e destinati alla fruizione del pubblico mediante la trasmissione televisiva o radiofonica con ogni mezzo.
Ma lo scenario, oggi, è in fase di accentuato cambiamento - come perspicuamente rileva il presidente Violante nella sua relazione - perché l'evoluzione dei media verso la tecnologia digitale sta portando ad una progressiva mutazione degli assetti cui eravamo abituati.
Anche a voler considerare solo il mezzo di comunicazione più influente e più pervasivo, vediamo che, oggi, la televisione può essere ricevuta sui computer (IP TV) e sui telefonini cellulari. I relativi operatori sono, in genere, diversi dai tradizionali operatori televisivi.
Questa rimescolanza di soggetti si accentua maggiormente per la separazione, insita nel passaggio al digitale, tra operatori di rete e fornitori di contenuti. Questi ultimi, che sono i soggetti più vari, hanno diritto ad accedere, nei limiti del 40 per cento - e non è poco -, alla capacità trasmissiva degli operatori di rete e sono soggetti del tutto autonomi da quelli.
Pertanto, in caso di violazione della par condicio, sarebbe un palese errore d'obiettivo infliggere sanzioni agli operatori di rete, anziché agli autori della trasmissione. E tuttavia, sul piano interpretativo-applicativo sarebbe arduo estendere l'ambito dei soggetti sanzionabili (e in particolare di quelli sanzionabili per sostegno privilegiato) a tutta questa progenie di soggetti emergenti (o già esistenti e trascurati dalla legge), data la necessità di rispettare il principio costituzionale che vincola l'interprete, nel caso di norme a contenuto afflittivo, al principio di stretta interpretazione.
In definitiva, dunque, le considerazioni esposte portano a concludere che per un'efficace azione di contrasto del conflitto di interesse sono necessarie due assidue azioni di controllo: una, dall'alto, svolta dall'Autorità garante per la concorrenza e il mercato e l'altra, dal basso, dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
L'esposizione che ho fatto ha posto nel contempo in rilievo - credo - l'importanza del presidio che questa Autorità svolge in un campo di primaria rilevanza per il rispetto delle regole nella competizione elettorale e politica.
La proposta di legge in oggetto non considera questo cruciale versante: il sostegno privilegiato dal basso verso l'alto dato dai mezzi di informazione al titolare della carica di Governo.
Ebbene, qualora si voglia, come appare necessario, mantenere l'ipotesi del sostegno privilegiato, è pensabile trasferire la competenza in materia alla nuova autorità che si andrebbe ad istituire?
Secondo il nostro punto di vista la cosa sarebbe irrazionale. La vigilanza sul settore televisivo presuppone una complessa e specialistica organizzazione - messa su faticosamente in otto anni -, che, con il monitoraggio continuo delle trasmissioni televisive, sia in grado di intervenire tempestivamente, e in televisione la tempestività è tutto.
Né questo aspetto organizzativo può essere avulso dalla complessiva organizzazione dell'Autorità dedicata alla vigilanza sul settore radiotelevisivo, nella quale è incardinata, che riguarda in generale il rispetto della par condicio nei confronti di tutte le formazioni politiche, non solo di quelle che abbiano per esponente un titolare di cariche di Governo cui «faccia capo» l'emittente televisiva in questione; riguarda, addirittura, lo svolgimento della vita democratica.
È altresì da considerare che è tramite il Registro operatori delle comunicazioni (ROC), tenuto dall'AGCOM, che vengono


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controllate le dichiarazioni dei titolari di cariche di Governo relative alle partecipazioni azionarie detenute nei settori della comunicazione televisiva, della multimedialità e dell'editoria; ed è sempre il ROC che registra le intervenute variazioni dei dati acquisiti.
Infine, v'è da considerare, in aggiunta alle considerazioni appena esposte, che spetta all'AGCOM autorizzare «i trasferimenti di proprietà delle imprese radiotelevisive». Si passa attraverso questa necessaria autorizzazione.
Valutate voi se tutta questa organizzazione dedicata e interconnessa, validata da una sofferta esperienza nella lunga stagione elettorale, debba essere salvaguardata.
Se così riterrete, evitando antifunzionali mutilazioni da una parte e duplicazioni dall'altra, il collegamento, nella nuova normativa, con la nuova autorità potrebbe essere limitato alla comunicazione a quest'ultima, da parte dell'AGCOM, di tutti i casi di violazione delle leggi parametro che configurino un potenziale conflitto di interessi. Spetterebbe eventualmente poi all'istituenda autorità infliggere apposite sanzioni per il conflitto di interessi, anche per quello sotto forma di sostegno privilegiato al titolare di cariche di Governo.
Infine, in altro momento e in altro contesto, auspico che codesta alta Commissione voglia considerare l'opportunità di dare un riconoscimento a livello costituzionale a questa Autorità, come alle altre autorità indipendenti poste a tutela dei valori fondamentali garantiti dalla Costituzione.
Nella nostra azione istituzionale noi siamo tenuti ad intervenire per il rispetto di fondamentali valori etico-sociali, quali il pluralismo nell'informazione, e su importanti interessi economici, per un equilibrato assetto di mercato che contemperi l'iniziativa imprenditoriale, l'innovazione tecnologica, la concorrenza, gli interessi dei consumatori. L'abbiamo fatto e lo facciamo, nonostante la nevralgicità di certi interventi, con obiettività istituzionale e con serena fermezza, in piena indipendenza dal Governo in carica, di centrodestra o di centrosinistra.
Le autorità indipendenti sono state, invero, concepite come non soggette alla sovraordinazione del Governo. La direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002 afferma che, in conformità al principio della separazione delle funzioni di regolamentazione dalle funzioni operative, gli Stati membri sono tenuti a garantire l'indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione, in modo da assicurare l'imparzialità delle loro decisioni.
Nel rispetto della nostra autonomia e delle regole comunitarie, centrale è il rapporto con la massima sede rappresentativa, il Parlamento, per la commisurazione degli indirizzi e degli esiti della nostra azione regolatrice e di vigilanza.
Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio molto il Presidente Calabrò.
Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ROBERTO ZACCARIA. Cominciando dalla nota finale, dico che il presidente Calabrò ha superato il presidente Catricalà. Quest'ultimo, infatti, aveva semplicemente chiesto, come lei stesso ha fatto del resto, che nel formulare una legge in questa materia sostanzialmente non fossero toccate le competenze delle autorità esistenti. Lei ha fatto una riconvenzionale e ha chiesto, addirittura, che procedessimo, con separato provvedimento, a dare fondamento costituzionale all'Autorità.
Siccome ci occupiamo del Titolo V della Costituzione, non vorrei che ci fosse un abbassamento del livello al piano regionale! Per il momento il problema è serio, ma non potremo certamente affrontarlo a breve. Peraltro questa ipotesi era già prevista in precedenti testi. Ad ogni modo, non è questo l'argomento di cui vorrei parlare.
Ho preso visione delle due relazioni presentate dalla sua Autorità al Parlamento,


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ma non ho visto la terza, probabilmente perché non esiste una terza relazione, visto che la seconda è stata presentata nel luglio di quest'anno. Dico questo, perché la seconda relazione mi ha lasciato un dubbio, dal momento che affrontava la questione di un esposto sollevato dai colleghi, mi pare Carra ed un altro parlamentare; nella relazione si afferma che è stato aperto un procedimento, ma che non si sa come va a finire. Di conseguenza, il terzo fascicolo è indispensabile per sapere se in quel caso ci si riferiva ai programmi di Rete 4, e al TG4, e si ipotizzava che la continuità di questa programmazione potesse costituire una sorta di sostegno privilegiato.
Chiedo scusa per l'interruzione di prima, ma ho letto anche la relazione che l'Autorità ha sottoposto al Parlamento poco tempo fa. Ebbene, i casi che vengono ricordati dall'Autorità, presidente, sono sempre indicati come numeri statistici. Personalmente non ho alcuna autorevolezza per avanzare questa richiesta, ma credo che capiremmo molto meglio, se questi casi fossero specificati. Io stesso, ad esempio, ho fatto fatica a capire che uno di questi si riferiva alla Pivetti, quando ha condotto la trasmissione Uno contro tutti, oppure che un altro faceva riferimento a Bruno Vespa e ad una sua trasmissione speciale dedicata al Presidente del Consiglio, in quel momento in campagna elettorale, o ad altri episodi di questo genere. Ecco, credo che sia molto importante abituarsi ad indicare i casi, prima di tutto perché in questo modo chi legge queste relazioni può capire la portata dell'infrazione.
È difficile ritenere che Emilio Fede, in tutto l'insieme della sua attività, non portasse avanti un'azione di sostegno privilegiato del Presidente del Consiglio di allora, perché lui stesso lo dichiara (Commenti del deputato Carfagna). Ma sì, lo dichiara!
Credo che non si debbano sanzionare questi comportamenti, perché questi sono estremamente...

ITALO BOCCHINO. Il problema è che Santoro non lo dichiara!

ROBERTO ZACCARIA. Colleghi, cercate di capire che stiamo parlando del tentativo di interpretare una legge, quando essa parla di «sostegno privilegiato». A tal proposito, il presidente Calabrò giustamente ha detto: chi meglio dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni può stabilire se un'azienda di comunicazione attua un sostegno privilegiato? Chi la osserva in continuazione. Questo perché bisogna considerare che il sostegno privilegiato non si esprime in un singolo atto, ma in una continuità di atti.
Per quanto mi riguarda, non sono particolarmente interessato a capire se in quella ipotesi voi abbiate sanzionato, alla fine dell'apertura del procedimento, Emilio Fede. Mi interessa di più comprendere l'impalcatura che la legge Frattini è stata in grado di produrre.
Anche in questo caso, ma su un altro versante, riusciamo a capire una cosa molto chiara. Vale a dire che l'articolo 7 della legge Frattini, per arrivare ad un giudizio sostanzialmente critico, che possa comportare non solo l'apertura del procedimento, ma anche la sanzione, parla di imprese che fanno capo ad un titolare di funzione di Governo. Quindi, questa è una prima condizione, alla quale si affianca la circostanza che tali imprese abbiano prestato un sostegno privilegiato ed, ancora, che abbiano violato una delle quattro leggi richiamate testualmente.
Si tratta di un caso simile, anche se di altra fattispecie, a quello che abbiamo trattato questa mattina, quando si è parlato del «preferenziale», del fatto cioè che fosse necessario il danno per l'interesse pubblico; quindi una serie di cause concomitanti, per cui la questione diventa veramente molto difficile, anche perché, come ha detto il presidente Calabrò nelle sue relazioni, sostanzialmente l'apparato sanzionatorio è ridicolo. In pratica, infatti, si vanno a moltiplicare, per un certo numero, delle sanzioni che hanno un valore vicino allo zero. Tuttavia, la moltiplicazione di zero per un qualsiasi numero dà come risultato sempre zero e, di conseguenza, non rende significativo il provvedimento sanzionatorio.


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A questo punto, voglio chiedere al presidente Calabrò un chiarimento. Nelle vostre relazioni, si parla molto del regolamento che avete fatto, della definizione che voi avete dato del concetto di «sostegno privilegiato». Tale nozione è divenuta in qualche modo estensiva. Infatti, avete affermato che il «sostegno privilegiato» è qualsiasi forma di vantaggio, diretto o indiretto, politico, economico, di immagine, al titolare di cariche di Governo. Pur avendo ampliato il concetto, tuttavia credo che questo non sia poi valso a rendere tale strumento particolarmente incisivo. Infatti, i casi di «sostegno privilegiato», sommando tutto il monitoraggio da voi realizzato, e che lei ha qui sottolineato, non arrivano a dare un risultato significativo. Pertanto, ci troviamo di fronte ad una legge inutile. Certo, lei non ha usato questa espressione - come invece è stato fatto questa mattina -, ma questo è il risultato.
Personalmente ritengo, presidente Calabrò, che la vostra attività, che mette insieme un monitoraggio continuo, poi però non si trasformi in rilevazioni d'ufficio. La domanda che le pongo riguarda infatti proprio questo aspetto. Quanti sono stati i casi per i quali si possa sostenere che vi siano state violazioni di questa legge, della legge sulla par condicio, della legge Maccanico e della legge Gasparri, che poi siano stati rilevati d'ufficio da questa Autorità nel periodo di vigenza di questa legge, ossia praticamente due anni? Ho la sensazione che ci siano pochi poteri, poche situazioni di opportunità, e che anche lo strumento di rilevazione d'ufficio sia stato insoddisfacente.

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. La rilevazione d'ufficio c'è stata. Noi accettiamo denunce da parte di qualsiasi cittadino. Naturalmente, effettuiamo uno screening per verificare che esse non siano infondate, avventate e via dicendo. Tuttavia, lo ripeto, la rilevazione d'ufficio c'è stata e, soprattutto per quanto riguarda l'intervento dell'Autorità, ci si è sporti leggermente al di là del periodo strettamente elettorale. Questa è stata la grossa novità di questa stagione elettorale. Mi riferisco ad un programma di approfondimento informativo del TG4, ossia Liberi tutti, diffuso in periodo preelettorale, oltre che ai notiziari diffusi dalle testate del TG4 e del TG5 in periodo elettorale.
Abbiamo ritenuto che un certo obbligo di par condicio dovesse vigere anche in quel periodo. Vale a dire che l'obiettività e la completezza dell'informazione e la contrapposizione pro e contro rispetto all'esponente politico di cui si tratta, cioè il contraddittorio, dovesse valere anche in quel periodo, anche se non con le forme rigide e ingessate che valgono per la campagna elettorale.
Devo dire che questa campagna elettorale ha messo in luce un particolare aspetto, ossia il fatto che più che le trasmissioni dedicate alla comunicazione politica, hanno fatto appeal, sono state ricercate dagli esponenti politici e hanno fatto audience quelle che avevano l'aspetto di programmi di informazione, all'interno dei quali si infilava un esponente politico con la più varia motivazione, cavalcando l'audience ed accentrando il discorso sulla sua esposizione.
Ebbene, avendo ritenuto che ci fosse questo obbligo di contraddittorio interno in quel caso abbiamo applicato, tout court, una sanzione ritenuta discendente dai principi della legge n. 28 del 2000, perché abbiamo considerato non replicabile quella trasmissione con un programma di segno opposto, dedicato in maniera elogiativa al candidato dello schieramento antagonista. Tale disposizione ha funzionato in quel caso. Si trattava di una determinazione a rischio per certi versi, perché si avventurava in un terreno ancora non esplorato. Tuttavia, il TAR del Lazio - non abbiamo ancora la pronuncia del giudice di secondo grado, non so se ci sarà - ha riconosciuto la giustezza della nostra determinazione e l'applicabilità tout court dei principi discendenti dalla legge n. 28.
Allo stesso modo siamo intervenuti in altri casi. Inoltre, le sanzioni nei confronti dell'emittente televisiva di cui lei parlava,


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complessivamente, sono state pesanti (parliamo infatti di sanzioni di 150 mila euro, 200 mila euro, 100 mila euro).

ROBERTO ZACCARIA. Ai sensi della legge Frattini?

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. No. Ciò che noi abbiamo applicato, bene ed efficacemente, è la violazione della par condicio. Invece, il tratto carente è rappresentato dalla legge Frattini. In seguito, infatti, abbiamo ravvisato l'esistenza di un sostegno privilegiato. Tuttavia, la legge Frattini impone in primis non di applicare la sanzione, ma di fare la diffida; e così abbiamo fatto. Ebbene, poiché non si trattava di reiterato comportamento, la situazione è rimasta invariata. È questa la disposizione labile, cedente.
Quanto al procedimento a cui lei faceva riferimento, avviato su denuncia dell'onorevole Carra e del senatore D'Andrea, anche in quel caso abbiamo ritenuto, dopo un contraddittorio con la società, e via discorrendo, la sussistenza del sostegno privilegiato. Quindi, la società RTI è stata diffidata a non riproporre in futuro il comportamento accertato; e non l'ha riproposto.

PRESIDENTE. Vorrei chiarire ai colleghi un aspetto che rischia di sfuggirci, ovvero che la par condicio riguarda esclusivamente la fase immediatamente preelettorale. Il problema che ha incontrato l'Autorità è il seguente. Poiché deve essere garantito il pluralismo, la parità di informazione, l'oggettività, e via dicendo, come valore complessivo dell'ordinamento, che cosa accade quando si viola questo principio al di fuori della condizione puramente preelettorale? L'aspetto problematico, dunque, è relativo al periodo non coperto dalla par condicio, se non ho capito male.
A questo punto, è necessario stabilire quali sono i meccanismi sanzionatori che si applicano al di fuori dello stretto regime della par condicio. Peraltro, se ricordate, questo aspetto è stato già affrontato nella relazione introduttiva.
In sostanza, credo che sia difficile applicare il rigorosissimo meccanismo della conduzione della trasmissione in par condicio fuori da quella stretta fase. Allo stesso modo, è difficoltoso lasciare assolutamente libero il tipo di sostegno che può essere dato al di fuori di quella fase.
Ora, il meccanismo che regola tale materia è quello secondo cui fuori della fase preelettorale si fa riferimento al principio del sostegno privilegiato, che è certamente meno forte del principio della parità di condizioni. Nella fase strettamente preelettorale, invece, se non capisco male, il sistema è più rafforzato, perché interviene la par condicio. Quindi, il sostegno privilegiato funziona come soglia di intervento, da quello che capisco, assai più bassa di quella della par condicio. Non sono comparabili. È così, o sbaglio?

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Sì, è questione di dosaggio. Noi abbiamo ritenuto applicabile il principio della par condicio, e il giudice amministrativo ci ha dato ragione, anche nella fase immediatamente preelettorale. Sottolineo «immediatamente», perché non sarebbe possibile cominciare ad applicare tale principio troppo tempo prima.
Ad ogni modo, anche recentemente, in una trasmissione - e adesso siamo lontani dalla fase elettorale! - si è ravvisato qualche elemento di forzatura rispetto al comportamento da tenere in una trasmissione informativa. Pertanto, abbiamo fatto presente all'emittente televisiva interessata che non sono possibili questi pretestuosi inserimenti.
Per fare un ordine di graduazione, chiarisco che lontano dalla fase elettorale possono essere sottolineate solo macroscopiche violazioni, forzature ictu oculi. Nella fase preelettorale, invece, devono essere considerate quelle violazioni della par condicio che sono significative.
In quella circostanza rilevata eravamo già in fase elettorale e il caso era veramente


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macroscopico, perché si trattava di una trasmissione dedicata molto rilevante. Infatti, se fosse stata ripetuta ventiquattr'ore su ventiquattro, tutti i giorni, o anche ogni giorno, ma non per ventiquattro ore, avrebbe indubbiamente influenzato l'elettorato.
Infine, nella fase strettamente elettorale vigono le regole dettate dalla Commissione di vigilanza, per quanto riguarda la RAI, e dalla stessa Autorità, per quanto riguarda le altre emittenti.
Tali regole sono molto precise. Il contraddittorio, ad esempio, deve prevedere la presenza di esponenti di formazioni politiche contrapposte. Inoltre, esiste un dovere di imparzialità e di obiettività che deve essere rispettato dal conduttore, mentre in alcuni casi è stato violato.
Faccio notare che il conduttore può influenzare l'elettorato più di un contraddittore, perché il pubblico guarda a questa figura come a colui che determina l'orientamento, la giustezza o meno dell'esposizione presentata da un esponente politico.
In tutti questi casi siamo intervenuti sempre e, devo dire, con notevole efficacia.
La prima sanzione normalmente applicata, quando è possibile, è il ripristino. Altre volte, invece, si prevede l'esposizione di un cartello, che rechi la frase: ho violato la par condicio. Anche questo l'abbiamo fatto, anche questo è avvenuto. Tuttavia, se in questi casi si è verificato anche il sostegno privilegiato, non è che si può esporre un cartello ingrandito di tre volte!
È nel sostegno privilegiato infatti che si trova il punto cedente, non nella par condicio. Nel caso di quest'ultima, infatti, con la nostra ricostruzione interpretativa - che fino ad ora ha ottenuto il vaglio del giudice amministrativo - presidiamo abbastanza la situazione.

FRANCO RUSSO. Presidente Calabrò, ho ascoltato il suo intervento con la dovuta attenzione e ho appena riletto la sua relazione (mi riferisco specificamente alle pagine 3 e 4). Può darsi anche che non abbia ben compreso, e le sarei grato se potesse aiutare me e la Commissione a capire meglio la questione.
Lei sostiene che esistono due punti di criticità - così li definisce - nella proposta di legge Franceschini, su cui stiamo lavorando e che è stata oggetto della relazione del presidente Violante.
I punti di criticità da lei sottolineati sono costituiti dall'ipotesi della vendita coattiva e dall'eccessiva ampiezza dei poteri affidati all'istituenda autorità.
Ebbene, mentre mi risulta abbastanza chiara la criticità sollevata rispetto all'ampiezza dei poteri affidati all'istituenda autorità - nel senso che, effettivamente, nella proposta di legge Franceschini si parla di interventi non tipicizzati, per cui non si capisce con quali provvedimenti l'autorità possa intervenire; peraltro questo lo ha rilevato anche il dottor Catricalà nella sua relazione, che ho letto oggi pomeriggio -, non capisco bene invece cosa intenda per criticità nell'ipotesi della vendita coattiva. È solo un elemento neutrale di valutazione, oppure lei individua un fattore di difficoltà nell'attuazione della legge, nel caso in cui la relativa proposta di legge fosse accolta?
Il secondo chiarimento che vorrei chiederle è il seguente. Lei si definisce abbastanza scettico sulla possibilità di prevenire i conflitti di interesse - peraltro nella discussione che svolgeremo in Commissione anche io rileverò che la commistione fra politica e affari oggi è talmente larga che prevenire ogni conflitto di interesse è abbastanza difficile -, ma le domando se a suo avviso questo preclude, per alcuni casi più palesi, relativi quindi a chi gestisce incarichi di Governo, che una legge possa prevenire tali conflitti.
Inoltre, a pagina 4 della sua relazione è scritto: «È mia sommessa opinione - basata sull'esperienza maturata - che, per meritorio che sia un intendimento di prevenzione, non è da pensare che esso possa valere ad escludere in tutti i casi la possibilità dell'insorgenza in concreto di un conflitto d'interessi, specialmente nei casi in cui il complesso delle attività professionali o imprenditoriali non si esaurisca nella mera proprietà diretta dell'impresa». Tuttavia, nel paragrafo successivo si afferma che, comunque, potrebbero esservi


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dei modi per prevenire questi conflitti, ad esempio monitorando l'attività di Governo. Tale attività di monitoraggio è prevista dall'attuale legge, ma non dalla proposta di legge Franceschini.
Poiché colgo un atteggiamento leggermente contraddittorio in queste parole, la invito ad aiutarmi a capire il suo pensiero. Infatti, se per un verso lei sembra scettico, per l'altro è come se avesse in mente, sulla base dell'esperienza maturata, dei suggerimenti possibili, come quello di mantenere il monitoraggio in corso.
Spero che le mie sollecitazioni siano state abbastanza chiare e che la sua esperienza possa aiutarci ad individuare più penetranti strumenti, per prevenire questi conflitti di interessi.

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Cominciamo da quest'ultimo punto. Senza dubbio, come ho detto prima, pensare ad un'ipotesi di conflitto di interessi rilevabile solo quando si è già verificato il danno è come chiudere le stalle dopo che sono scappati i buoi! Quindi certamente si deve mirare alla prevenzione. Si tratta infatti di un illecito di pericolo e dunque la legge deve fare uno sforzo in questo senso. So che non è facile, ma ciò non significa che non sia opportuno, o meritorio, farlo.
Dico che non è facile operare in tale direzione, perché i modi di aggiramento sono tanti. Alcuni li ha ricordati il presidente Catricalà questa mattina. Penso, ad esempio, all'astensione, al fatto che gli atti di gestione dei ministeri sono adottati ormai dai dirigenti, e non dal ministro - quindi il ministro non ha adottato nessun atto e non ha neanche dato alcuna direttiva al direttore generale -, ed ancora, al fatto che l'atto può essere adottato da un ministero diverso, anche se riguarda il patrimonio, il vantaggio e la posizione di un titolare di una carica di Governo. Infine, mi riferisco al fatto che si può dismettere una proprietà con una vendita volontaria, non coattiva, antecedente i tre mesi precedenti le elezioni. A tal proposito, mi chiedo chi potrebbe vietare una vendita, anche perché dobbiamo chiederci fino a che grado vogliamo arrivare nel precludere la proprietà.
La legge, dunque, può arrivare fino ad un certo punto. Peraltro, gli altri paesi non sono andati oltre con la legge, anzi, si sono fermati al di qua, al blind trust, che lì funziona anche perché normalmente vale nei confronti dei funzionari. Per quanto riguarda gli esponenti di Governo, invece, esistono certamente delle disposizioni, ma è soprattutto la valutazione dell'opinione pubblica, l'esposizione alla critica dell'opinione pubblica a rappresentare la remora, il deterrente. Quindi, in via preventiva si stabilisce tutto quello che si può fare, ma non è da pensare che, poi, in concreto, tutto resti precluso.
Alla luce di tali considerazioni, il controllo e il monitoraggio dell'attività di Governo, come prevede la legge Frattini, forse è un'attività da non trascurare. Invece, la proposta di legge Franceschini parrebbe non prenderla in considerazione.
Per quanto riguarda le criticità precedentemente citate, dico che non vorrei soffermarmici; mi limito ad accennarle, rimanendo rispettosamente sulla soglia e lasciando a codesta Commissione il compito di valutarle.
Ricordo però a me stesso che, nelle precedenti audizioni, i miei predecessori - tra i quali anche un ex giudice costituzionale - si sono appassionati all'argomento, dicendo che è opinione diffusa, ma non incontrastata, che, mentre si può arrivare ad una separazione temporanea, e quindi ad un blind trust, ad un'avulsione della gestione, la privazione definitiva della proprietà in via coattiva, soprattutto se si tratta del proprietario di un'azienda, non di singole azioni in un settore, parrebbe andare al di là dei limiti che la Costituzione prevede. Peraltro, il presidente Violante si è occupato di questo aspetto nella sua relazione. In quel caso, il professor Cheli diceva che i limiti riguardavano oggettivamente l'azienda e non il soggetto titolare. Questo è il passaggio. Si tratta di punti molto problematici.
Allo stesso tempo, un provvedimento di tale tipo è anche di dubbia efficacia,


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perché è sempre possibile procedere ad una vendita ad un fiduciario, o a persone di famiglia, anche se Re Lear ci insegna che quando ci si spoglia della titolarità di qualcosa, non è detto poi che se ne torni in possesso, quando la si voglia riprendere.

MARCO BOATO. Intervengo brevissimamente, signor presidente. Domando scusa se sono arrivato con un leggero ritardo all'audizione - peraltro ringrazio il presidente Calabrò di averci fornito il testo scritto della sua relazione -, ma la discussione di un'interpellanza in Aula è durata più del previsto.
Vorrei svolgere un'osservazione - ne ha parlato anche il collega Zaccaria - sull'ultima considerazione «extra vagante» che lei ha fatto. Quando il Parlamento ha affrontato la materia che lei ci ha suggerito fuori dall'ambito di questa audizione formale, ha trovato una convergenza pressoché unanime, sia all'epoca della Bicamerale D'Alema, sia anche nel contrastatissimo, e poi bocciato dagli elettori referendari, disegno di legge Berlusconi. Su questo punto, infatti - il relatore Donato Bruno se lo ricorda -, si registrò uno dei pochissimi casi di convergenza pressoché unanime. Se lei andasse a vedere come si è votato in quella circostanza, potrebbe riscontrare il fatto che la totalità dell'Assemblea votò a favore. È stato uno dei rarissimi casi in cui ciò è avvenuto, perché poi si sa come è andata a finire.
Il suo auspicio, dunque, sia pure in tempi che sono dilazionati in questa fase - perché adesso stiamo affrontando le tematiche del Titolo V - credo che non cada nel vuoto.
Chiusa questa parte, che riguarda due aspetti sui quali abbiamo lavorato sotto il profilo della revisione e dell'innovazione costituzionale - e questa era una radicale innovazione, perché non c'è nulla nella Costituzione a questo proposito -, le chiedo semplicemente un parere più esplicito, nei limiti in cui lei lo voglia dare. Dal momento che ci troviamo in audizione, siamo interessati a conoscere non solo ciò che fa istituzionalmente l'Autorità, ma anche le opinioni di chi la presiede. Peraltro parliamo di libere opinioni, di cui il Parlamento terrà conto come meglio ritiene, come lei stesso ha giustamente ricordato.
Nella parte conclusiva della relazione del presidente Catricalà, svolta questa mattina, è stato fatto un esplicito richiamo, che potrei citare testualmente, alla probabile non necessità od opportunità di istituire un'altra autorità ad hoc, quale quella prevista dall'articolo 5 della proposta di legge, che per adesso è l'unica al nostro esame, perché c'è già chi - al di là dei cambiamenti normativi che vengono suggeriti, dell'implementazione dell'organico e via discorrendo - ha una lunga esperienza al riguardo. Questo vale per un'Autorità. Pertanto, credo che, da quello che abbiamo ascoltato, che già sappiamo e che ha ricordato anche il collega Zaccaria, ciò valga anche per l'Autorità che lei presiede.
Le chiedo un parere «più esplicito» su questo punto, perché lei si è espresso in un modo che vorrei definire allusivo - ovviamente nel senso buono - nella parte conclusiva della sua relazione, dicendo che eventualmente l'Autorità da lei presieduta potrebbe segnalare i casi di violazione all'istituenda autorità. Insomma, vorrei che lei, se lo ritiene, affrontasse più esplicitamente questo argomento.

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Mi conforta il suo ricordo del consenso manifestatosi circa la possibilità di un riconoscimento costituzionale di questa e di altre autorità esposte. Tra queste, la mia forse è in trincea, per la sensibilità degli interessi politici toccati, che hanno provocato anche reazioni violente, anche degli interessi economici.
Non parlo tanto per me, che ho il futuro dietro le spalle, ma credo che i commissari potrebbero a volte sentirsi turbati da continui preannunci di rimpasto, di autorità, e via discorrendo. Noi dobbiamo svolgere un'azione istituzionale che non si esaurisce nella giornata, né nel mese, ma deve perseguire i suoi obiettivi secondo una rotta istituzionale che deve


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avere il tempo necessario per essere sviluppata. Grazie veramente, perché abbiamo bisogno di essere confortati, e il Presidente Ciampi in altri momenti ci ha dato il suo conforto.
Quanto alla questione relativa all'opportunità di istituire o meno un'altra autorità, il presidente Catricalà, questa mattina, ha fatto presente la complessità delle leggi che deve applicare. Egli ha affermato che non si tratta di questo o di altro soggetto, ma che, essendo la materia normativa intricata, complessa, lenta - insomma a posteriori -, essa non consente di intervenire tempestivamente. L'Antitrust sarebbe in grado di farlo, se le leggi glielo consentissero.
La nostra posizione, invece, è ancora più particolare. Lasciamo da parte per un momento il sostegno privilegiato, che rappresenta il posterius, e concentriamoci sul prius, che è il rispetto della par condicio. Questa deve valere nei confronti di tutte le formazioni politiche e di tutti gli esponenti politici, siano o meno titolari di cariche di Governo. Non dimentichiamo, infatti, che può esservi il sostegno ad un esponente politico che non sia titolare di cariche di Governo, ma che comunque potrebbe squilibrare la competizione elettorale. Questa materia è presidiata dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in maniera piena, incisiva, sofferta, ma decisa.
È bene quindi creare la nuova autorità? Sia nel caso in cui la si istituisca, sia che si decida di lasciare l'Antitrust, o la nostra Autorità, il tratto carente e cedente è che quando si verifica il sostegno privilegiato non succede nulla di più. Di fronte ad una circostanza del genere, la nostra Autorità, o l'Antitrust, o l'istituenda autorità dovrebbe essere dotata di poteri maggiori. A voi la scelta. Se istituite la nuova autorità, a noi dovrebbe restare tutto il campo della par condicio, che riguarda la generalità delle formazioni politiche e la garanzia del regolare svolgimento della vita democratica. Quando poi si verifica questo sovrappiù - che la violazione della par condicio ha per di più concretato -, cioè un sostegno privilegiato al titolare di cariche di Governo, un'autorità, l'istituenda o quella che volete, dovrebbe adottare una sanzione, che voi stabilirete, in seguito ad una segnalazione, che noi non mancheremo di fare immediatamente, per l'intervento di sua competenza.

PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Calabrò e i suoi collaboratori. Credo che siano state espresse considerazioni molto utili anche per il nostro lavoro. Mi pare che non sia sfuggita a nessuno la specificità di questo settore, rispetto a quello di cui abbiamo parlato questa mattina, ossia i caratteri anche tecnici che rendono la materia particolarmente complicata.

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Vorrei aggiungere che, apparentemente, si tratta di una competenza adiettizia, ma è rifluente sull'oggetto della vostra proposta.

PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 17,35.