COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di luned́ 23 aprile 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE

La seduta comincia alle 9,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione d'impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Vannino Chiti, in ordine alle questioni relative alle riforme della Costituzione e del sistema elettorale.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Vannino Chiti, in ordine alle questioni relative alle riforme della Costituzione e del sistema elettorale.
Per quanto riguarda l'ordine dei lavori, propongo di svolgere inizialmente un intervento per gruppo, di circa dieci minuti ciascuno, dopo la relazione del ministro.
Do ora la parola al ministro Chiti per la sua relazione.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor presidente, colleghi, come più volte si è ripetuto in questi ultimi mesi - da parte, in primo luogo, del Presidente della Repubblica - la riforma delle attuali norme per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica rappresenta una delle priorità per la politica nazionale e una condizione necessaria anche per completare il processo di rinnovamento delle istituzioni repubblicane.
È convinzione ormai diffusa tra tutte le forze politiche che nella legge n. 270, approvata alla fine della scorsa legislatura, recante «Modifiche alle norme per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica», vi siano alcuni evidenti e gravi limiti, che esigono un intervento riformatore, con l'impegno di tutto il Parlamento.
A titolo d'esempio di questi limiti, vorrei ricordare: l'assenza di ogni meccanismo di collegamento dell'eletto con l'elettore; l'eccessiva frammentazione del sistema partitico per la mancanza di alcuni rigorosi meccanismi selettivi; la mancata attuazione dei principi di pari opportunità, di cui all'articolo 51 della Costituzione; alcune problematicità riguardo alla ripartizione sul territorio del premio nazionale di maggioranza alla Camera, che pure scatta, e la casualità sistemica che emerge dal premio regionale al Senato, con l'accentuazione del rischio della formazione di maggioranze divergenti nei due rami del Parlamento (peraltro congenito già in un sistema di bicameralismo paritario, ma se si accentuano questi rischi si pone la forte probabilità di una paralisi del paese). L'imminente avvio - domani esattamente - della raccolta delle firme per un referendum abrogativo di talune parti delle leggi vigenti per l'elezione del Parlamento, promosso da alcuni esponenti politici e docenti universitari, conferma che tale giudizio è oggi fortemente diffuso anche nell'opinione pubblica.
È tuttavia convinzione del Governo che i quesiti referendari, seppure abbiano il


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merito - riconosciuto in più occasioni - di avere evidenziato molti dei limiti della normativa vigente e di sollecitare il Parlamento a giungere in tempi brevi all'approvazione di una nuova legge, non conseguono l'auspicato obiettivo di risolvere le principali storture dell'attuale sistema elettorale. Semmai aggiungerebbero ulteriori profili problematici: potremmo avere o il caso di due grandi «listoni», con liste di coalizione in cui simboli e candidati dei singoli partiti coalizzati non sarebbero riconoscibili agli elettori, o il caso di singole liste di partito che, ad esempio, con una percentuale anche bassa - magari il 25 per cento - potrebbero conquistare il controllo del Parlamento.
L'esperienza negativa relativa all'approvazione delle modifiche ai testi unici delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, con il solo voto favorevole della passata maggioranza, nella fase finale della XIV legislatura, ha mostrato una volta di più quanto sia delicata la scelta delle regole del gioco per la competizione elettorale e quanto sia dunque indispensabile addivenire ad una legge di riforma complessiva con il consenso di un ampio schieramento del Parlamento, tale da comprendere anche settori dell'opposizione.
È questa l'unica via per dar vita a un meccanismo elettorale possibilmente stabile e contribuire all'evoluzione in atto del sistema dei partiti.
Sulla scorta di queste valutazioni, d'intesa con il Presidente del Consiglio, ho avviato alla fine del 2006 una serie di consultazioni delle forze politiche e dei gruppi parlamentari, per conoscerne le posizioni circa la necessità di riformare le leggi elettorali vigenti, le modalità di presentazione di una nuova legge di modifica, le relative opzioni di merito.
A tali consultazioni - e a seguito di un appello formale del Capo dello Stato a Governo e Parlamento a creare le condizioni per conseguire questi obiettivi - ha fatto seguito, agli inizi del marzo scorso, un ciclo di incontri di approfondimento, al quale ha direttamente preso parte, oltre a me, lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri.
Durante lo svolgimento degli incontri appena conclusi, il Governo ha sempre ribadito - e lo confermo di nuovo stamani - la necessità che il Parlamento sia protagonista del futuro processo di riforma normativa, altrimenti non esisterebbe una convergenza ampia tra maggioranza e opposizione, che sarebbe impedita sul nascere.
Sulla base di ciò, il Governo si è fatto carico di interpretare una propria specifica funzione istruttoria e di stimolo, allo scopo di creare le migliori condizioni possibili per agevolare i gruppi parlamentari nel raggiungimento di una soluzione condivisa dallo schieramento di forze più ampio possibile. Mi pare che gli esiti di queste consultazioni abbiano permesso di conseguire un primo risultato, con la costruzione di un clima positivo di confronto e dialogo tra le diverse forze politiche appartenenti ai due schieramenti di maggioranza e opposizione.
È inoltre da apprezzare il fatto che i Presidenti di Camera e Senato si siano già prontamente attivati per predisporre l'avvio degli iter legislativi, con la decisione di iniziare al Senato l'esame della riforma elettorale e alla Camera dei deputati l'esame delle collegate proposte di legge di riforma costituzionale.
Inoltre, il prossimo 8 maggio la Commissione Affari costituzionali della Camera avvierà l'esame dei progetti di legge di riforma costituzionale relativi alla forma di Governo, mentre la Commissione Affari costituzionali del Senato ha avviato una discussione su proposte di modifica della legge elettorale presentate da esponenti sia della maggioranza sia dell'opposizione.
Venendo al merito delle consultazioni, si è registrata una sostanziale e completa condivisione da parte dei rappresentanti dei gruppi parlamentari circa la necessità di superare la disciplina attuale in materia elettorale.
In particolare, si è ritenuto che possibili interventi di riforma debbano mirare al raggiungimento di alcuni obiettivi di carattere generale, quali: preservare, nel rispetto della sua articolazione pluralistica, l'assetto quanto più possibile bipolare del sistema politico italiano, sia al


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momento della competizione elettorale - indicando prima le alleanze politiche, le priorità programmatiche e il candidato alla Presidenza del Consiglio - sia nel prosieguo della legislatura; incentivare la stabilità e la coesione delle coalizioni, in modo da consentire al corpo elettorale di percepire l'unitarietà e la continuità dell'azione di governo nell'intero arco della legislatura; prevedere meccanismi per avvicinare gli elettori agli eletti e consentire a questi ultimi di incidere in modo più efficace sulla selezione dei candidati e degli stessi eletti; valorizzare la democrazia dell'alternanza, senza tuttavia costringere i partiti politici ad un bipolarismo coatto, sacrificando coerenze programmatiche e, dunque, la successiva azione di governo alla necessità di comporre i più vasti schieramenti elettorali possibili per conquistare il premio di maggioranza.
Al fine di un armonico perseguimento di tali obiettivi, la quasi totalità delle forze politiche consultate, pur consapevole che i percorsi di riforma dovranno necessariamente svolgersi secondo modalità e tempi diversi, ha ritenuto necessario intervenire anche attraverso una serie contestuale di misure che, oltre alla nuova legge elettorale, riguardano: puntuali ritocchi al testo della Costituzione, diretti ad agevolare la funzionalità del Governo e del Parlamento; la legislazione relativa al finanziamento della politica; eventuali modifiche dei regolamenti parlamentari, nella parte in cui dovessero incentivare frammentazione dei gruppi in Parlamento.
Considerata la sede in cui mi trovo - la Commissione Affari costituzionali della Camera - ritengo opportuno esaminare dapprima la parte riguardante gli interventi di modifica alla Costituzione, per poi passare ad esaminare i punti relativi alla nuova legge elettorale.
Posto che il Governo e le forze politiche consultate vedono con favore l'ipotesi che il Parlamento decida di procedere a tali modifiche con la procedura ordinaria prevista dall'articolo 138 della Costituzione, ribadisco che le modifiche alle quali si è fatto riferimento dovranno essere puntuali e specifiche, organizzate in differenti disegni di legge sulla base di argomenti omogenei, da realizzarsi con un percorso autonomo, ancorché collegato rispetto a quello della riforma della legge elettorale, per il quale è necessario definire un'intesa anche sulle scadenze temporali.
Tali riforme dovranno infatti mirare a costruire la cornice istituzionale più adeguata ad ospitare la nuova legge elettorale, con riferimento specifico agli obiettivi della stabilità dei Governi e delle maggioranze parlamentari, e alla possibilità che questi siano precedentemente individuati con chiarezza dal corpo elettorale. Sul primo di questi punti abbiamo verificato convergenze sufficientemente estese. Se per il Senato verrà mantenuta una forma di suffragio elettorale diretto da parte dei cittadini, al di là di opportune riforme al sistema bicamerale, si riconosce la necessità fin d'ora di prevedere un abbassamento dell'elettorato attivo a 18 anni e dell'elettorato passivo a 25 anni.
Per quanto attiene alla forma di governo, in stretto collegamento con la nuova legge elettorale dovranno essere decise alcune modifiche del testo della Costituzione: la revisione dell'articolo 94, nel senso di prevedere che sia il candidato alla Presidenza del Consiglio - indicato al Presidente della Repubblica dalla coalizione vincente le elezioni - a ricevere, sulla base della presentazione del programma di governo, la fiducia dal Parlamento, in altri termini adottando una procedura per la fiducia simile a quella seguita in altri paesi, come la Germania e la Spagna; la revisione dell'articolo 92, nel senso di attribuire al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di nomina e revoca dei membri del Governo e quella dell'articolo 94...

MARCO BOATO. Signor ministro, potrebbe procedere più lentamente, visto che si tratta di temi molto delicati?

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Ha ragione, onorevole, chiedo scusa.
Come dicevo, tra le modifiche vanno ancora inserite: la revisione dell'articolo 94, nel senso di prevedere che la sfiducia


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sia condizionata all'attribuzione della fiducia ad altro candidato (sfiducia costruttiva); la revisione possibile degli articoli 88 e 94, nel senso di prevedere la possibilità per il Presidente del Consiglio di porre la questione di fiducia alle Camere e, in caso di reiezione, proporre al Presidente della Repubblica lo scioglimento anticipato delle stesse, salvo che non sia presentata entro un certo termine una mozione di fiducia che riguardi un altro candidato.

DONATO BRUNO. Con la stessa maggioranza?

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Sì, a maggioranza assoluta.
È chiaro che sull'articolazione di tutti questi punti ci deve essere un confronto parlamentare. Rispetto alla posizione emersa tra le forze politiche quando abbiamo svolto le consultazioni, soprattutto nella prima fase, in cui questi aspetti si sono maggiormente specificati, mi sono state indicate due possibili soluzioni.
La prima, devo dire predominante, faceva riferimento a un analogo meccanismo, che è stato adottato alle ultime elezioni nella Germania federale e che esiste nella legge fondamentale tedesca. Alcuni gruppi parlamentari, invece, avevano avanzato l'ipotesi di approfondire il modello attualmente esistente in paesi scandinavi come la Svezia.
Un terzo punto riguarda la riduzione del numero dei parlamentari. Il complesso di riforme costituzionali così delineato è opportuno sia accompagnato da una riduzione del numero dei parlamentari e dalla conseguente modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione. Mi rendo conto che è difficile avanzare proposte, perché è del tutto evidente che questo ragionamento si inquadrerà nell'ultimo punto, che è il più rilevante: la riduzione del numero dei parlamentari non è la stessa se avviene nel momento in cui riusciamo a superare il bicameralismo paritario, in cui solamente la Camera ha una funzione di dare la fiducia, o in un'altra fase. La mia proposta, che va intesa come una proposta del cuore, di convinzione personale, vorrebbe la riduzione a 450 deputati e 225 senatori. In ogni caso, penso che l'ipotesi debba essere tenuta presente, almeno quella indicata nel progetto di riforma costituzionale della scorsa legislatura, che era di 518 deputati e 252 senatori. È del tutto evidente che, andando verso un superamento del bicameralismo paritario, una Camera di 518 o 500 deputati sarebbe del tutto funzionale.
Il quarto punto riguarda la riforma del bicameralismo. Una modifica fondamentale della Costituzione, sulla quale si è registrato un interesse concreto e di un arco consistente di forze, sia di maggioranza sia di opposizione, è quella che porta a superare l'attuale bicameralismo paritario.
Credo che tale modifica si renda necessaria per poter superare alcune patologie che hanno caratterizzato l'evoluzione del bicameralismo italiano degli ultimi decenni, anche guardando a quello che esiste nei grandi paesi dove ci sono esperienze, come da noi, di un regionalismo avanzato o di un processo in senso federale.
Ritengo che il Parlamento nel suo insieme, centrale per la vita democratica di un paese, debba rappresentare non soltanto le forze politiche, attraverso i candidati indicati da queste ai cittadini, ma anche il sistema pluralistico delle autonomie, secondo i principi generali dell'articolo 5 della Costituzione, a completamento della riforma avviata nel 2001, con la modifica del Titolo V, Parte II della Costituzione.
La tendenza che viene storicamente affermandosi verso forme di federalismo sempre più ampio e incisivo consiglia di indirizzarsi verso un Senato da configurare come Camera delle autonomie territoriali, nel quale possano trovare rappresentazione gli interessi delle regioni e delle autonomie locali.
Ridefinito in tal modo, per usare un'espressione del presidente Violante, come Senato della Repubblica, il Senato non avrà ovviamente più il potere di conferire la fiducia al Governo, ma diventerà la sede istituzionale nella quale si affronteranno temi rilevantissimi - connessi al rapporto tra Unione europea, Stato centrale, regioni e autonomie locali


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-, si definiranno le leggi e i principi di garanzia e si procederà alle nomine degli organismi di controllo.
In questo quadro, occorrerà modificare il procedimento legislativo individuando le materie di competenza bicamerale - penso alle leggi in materia costituzionale ed elettorale, a quelle in materia di diritti civili e politici -, mentre sulle altre, fermo restando il potere di richiamarle da parte del Senato federale, l'ultima parola dovrebbe spettare alla Camera, prevedendo eventualmente la necessità di un voto a maggioranza qualificata, qualora non si tenga conto di modifiche che siano state introdotte al Senato.
Il nuovo Senato, anche inquadrato in una tale impostazione, potrebbe rispondere a differenti modelli: quello di una seconda Camera, basata sul modello del Bundesrat, con modifiche che la rendano più confacente al sistema italiano delle autonomie (cioè con la presenza non solo dei delegati delle regioni, ma anche dei sindaci delle città capoluogo di regione, dei presidenti delle province o città metropolitane con il più alto numero di abitanti in ogni regione); oppure quello di una seconda Camera a composizione mista, con senatori eletti direttamente dai cittadini, più un numero determinato di rappresentanti designati dalle regioni e dalle autonomie locali.
Se fosse questa la modifica, la legge elettorale per il Senato, nell'eventuale parte elettiva, risulterebbe opportuno che fosse configurata su base proporzionale e regionale.
Per tutti questi motivi, ritengo preferibile - lo sottopongo ovviamente alla valutazione delle Commissioni, sia della Camera sia del Senato - dare vita a due distinti disegni di legge per l'elezione della Camera e del Senato; questo, non perché vi siano, nella fase che ancora rimane di bicameralismo paritario, principi differenti (ciò peraltro non conviene, se non vogliamo avere maggioranze diverse), ma perché si possa prevedere nella legge elettorale per il Senato, addirittura con una norma transitoria, che nel momento in cui si determini il superamento del bicameralismo paritario, decadono lo sbarramento e il premio di maggioranza, rimanendo così l'elezione su base proporzionale e regionale.
Quello della nuova legge elettorale è uno degli ultimi punti che voglio affrontare, tra l'altro, come dicevo al presidente Violante, con un certo imbarazzo, sul quale vorrei una consapevole partecipazione dei colleghi. Faccio presente che nella stessa giornata si riuniscono le due Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato (alle 15, oggi stesso, ripeterò questo discorso al Senato). Essendo la legge elettorale più incardinata al Senato, una prima indicazione che era stata data - ma che io credo difficilmente seguibile, da parte mia - era quella di finire oggi al Senato...

MARCO BOATO. Questo comporterebbe che lei al Senato non parlasse affatto di riforme costituzionali.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Non è che al Senato questo lo prenderebbero male, però...

PRESIDENTE. Mi sono permesso di dire al ministro che le materie sono strettamente connesse e che anche a noi, come ai colleghi del Senato, interessa conoscere il quadro delle riforme costituzionali. Bisogna avere il bicameralismo intelligente, come principio.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Per quanto riguarda la nuova legge elettorale, vi è un consenso ampio - che non vuol dire unanime - sul continuare a dividere in due grandi quote i seggi parlamentari da assegnare: una prima quota, largamente maggioritaria, da assegnare secondo il sistema delle liste concorrenti; una seconda, quella in funzione del cosiddetto premio di maggioranza, verrebbe attribuita alla coalizione di partiti o alla lista di partito che risulti vincente.
Per quanto riguarda la prima quota di seggi da assegnare, l'ipotesi che si può avanzare è quella di procedere alla loro preventiva ripartizione su base proporzionale


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in sede circoscrizionale, fissando una soglia di sbarramento che sia identica per tutte le circoscrizioni e che sia identica - sottolineo questo secondo elemento di novità - per le liste che partecipino o meno a coalizioni (insomma, non avere quella che si suole definire una soglia di sbarramento «nemico-amico» oppure «avversario-amico», più semplicemente).
In ogni circoscrizione, in questo modo, i seggi verrebbero ripartiti fra le liste che superano la soglia di sbarramento. Naturalmente tale soglia, per le prossime elezioni, dovrà essere stabilita sulla base di un'intesa che va negoziata e su cui occorre trovare un accordo fra i gruppi parlamentari. Il punto che ho verificato di accordo generale è di eliminare il recupero del miglior perdente, ma la negoziazione del livello a cui si colloca la soglia di sbarramento va fatta. Quando si arriverà a discuterne, il Governo sarà presente e farà tesoro delle indicazioni che sono emerse.
È mia convinzione (in accordo, su questo, con il Presidente del Consiglio dei ministri) poter prevedere comunque, nella nuova legge elettorale - oltre alla soglia di sbarramento, su cui si raggiungerà un accordo più esteso possibile tra i gruppi parlamentari -, uno sbarramento, che a giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri e di chi vi parla dovrebbe essere, in questo caso, del 5 per cento, a partire dalle elezioni della XVII legislatura (Commenti).
Ho notato la vostra reazione...

DONATO BRUNO. L'abbiamo utilizzato pure noi, ma voi ci avete detto che non era giusto!

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Lo spiego. Se è del tutto evidente che il negoziato fra le forze politiche raggiunge uno stesso livello di sbarramento, non ci saranno problemi. Io penso che siamo, però, in una fase in cui dobbiamo pensare e votare la legge elettorale mentre è in atto un'evoluzione del sistema politico italiano, che non è nelle mani del Parlamento poter imprimere con la legge elettorale. Il Parlamento deve pensare a costruire una legge elettorale che, in qualche modo, possa essere in sintonia con l'evoluzione del sistema politico e non ostacolarlo.
Un modo per essere in sintonia, non facendo della legge elettorale un elemento di resa dei conti, che pretenda di costruire i sistemi che ognuno ha più nel cuore, è il seguente: per le prossime elezioni - quando ci siano - deve esserci il negoziato e l'intesa piena in Parlamento. Il fatto di dire che nelle elezioni per la XVII legislatura (non le prossime, quelle immediatamente successive) deve essere indicato un livello di sbarramento, può dare anche un segnale all'evoluzione del sistema.

DONATO BRUNO. Mi scusi, signor ministro: lo sbarramento rimane quello che è stabilito, meno il miglior perdente, se ho sentito bene.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. No. Io ho detto che lo sbarramento deve essere frutto dell'intesa e del negoziato fra i gruppi politici. Il punto di accordo per le prossime elezioni è che non c'è il recupero del miglior perdente, ma tutto il resto deve essere definito. Sapete quanto me che ci sono gruppi parlamentari che hanno indicato soglie di sbarramento differenziate tra loro.

DONATO BRUNO. Va bene, grazie.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Le circoscrizioni, a mio giudizio, dovrebbero essere di dimensione regionale o, per le maggiori regioni, sub-regionale. In ipotesi, da questo punto di vista, potrebbero rimanere 26 circoscrizioni per la Camera e 20 circoscrizioni per il Senato, come prevede la Costituzione. Esse, al loro interno, potrebbero suddividersi in collegi plurinominali, di norma coincidenti con le province o con parti di esse per le province più grandi, nelle quali saranno presentate le candidature e nelle quali si svolgerà la competizione per determinare gli eletti.
Ho parlato di avvicinare cittadini ed eletti. Al riguardo, vi sono alcuni sistemi:


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uno è quello di reintrodurre il voto di preferenza. Nel momento delle consultazioni, la gran parte - una maggioranza, non tutte - di forze politiche non è disponibile a reintrodurre il voto di preferenza. Un'altra via è quella di avere collegi più numerosi e più piccoli.
Poniamo di mantenere una differenza fra circoscrizioni e collegi, per cui le circoscrizioni sono quelle in cui si determina la soglia di sbarramento che è stata concordata. Una lista che in una circoscrizione regionale raggiunge lo sbarramento partecipa alla ripartizione dei seggi che sono assegnati.
I seggi si conquistano nei collegi. È evidente che il recupero dei resti che non si utilizzano nei collegi avviene a livello di circoscrizione regionale, per cui lo sbarramento che si determina è quello e non viene ad assumere significati diversi. Certamente se si togliesse il recupero sarebbe un altro esito. Ovviamente io non propongo di abolire il recupero (Commenti).
Faccio l'esempio della mia regione, che mi è più semplice...

MARCO BOATO. Se facessimo svolgere la relazione e intervenissimo poi? Tutti abbiamo domande da porre!

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Faccio l'esempio della mia regione. Se in Toscana si continuassero ad eleggere 38 deputati e lo sbarramento fosse per evitare quello che attualmente è senza il recupero del miglior perdente, cioè del 2 per cento (ma vale anche se è il 4 per cento), in quella regione le liste che superano il 2 per cento accedono alla ripartizione dei seggi.
Su quella base i seggi vengono poi ripartiti - e questo avviene normalmente in ogni elezione regionale - collegio per collegio. I collegi sono provinciali o subprovinciali. C'è un elemento di rapporto tra candidati e cittadini. È una competizione (Commenti).

GIANPIERO D'ALIA. È all'italiana!

PRESIDENTE. Colleghi, consentiamo al ministro di concludere il suo intervento.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. È il «regionellum»!

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Si determina comunque un risultato per cui, supponiamo, la lista del partito democratico ha dieci deputati, la lista di Forza Italia sette; dopodiché, dove queste liste hanno il quorum più alto, a un certo punto ci sono resti che vengono lasciati nei collegi provinciali e recuperati a livello della circoscrizione regionale.
Questo elemento dei collegi provinciali o subprovinciali così composto porterebbe ad avere come numero di candidati, nella media dei collegi italiani, da tre a sei. Nei collegi delle province più grandi (come Roma, Milano, Napoli e le altre grandi città) si potrebbe avere un massimo di dieci candidati. Rispetto alla situazione attuale...

ITALO BOCCHINO. Ma c'è un tetto alla circoscrizione per abitanti?

PRESIDENTE. Se facciamo terminare il ministro, comprendiamo meglio.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Non ho fatto la legge...

PRESIDENTE. Poi ognuno farà le sue valutazioni! Sta parlando di uno schema! Prego, signor ministro.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Quindi, questo può portare a superare il problema di un rapporto tra cittadini e collegi.
Infine, sempre rispetto al problema del rapporto tra cittadini e candidati, potrebbe anche eventualmente riflettersi su esperienze che ci sono in alcuni paesi europei, come ad esempio in Belgio, dove esiste quella che si chiama la lista semirigida, in cui c'è la possibilità, all'interno delle candidature nelle liste che sono indicate,


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di segnare la preferenza. Ciò può determinare una diversa articolazione della lista degli eletti. Non si tratta della scelta degli eletti con preferenza, come quella che conosciamo nella tradizione e nell'esperienza italiana.
Un secondo obiettivo che nella legge elettorale bisogna assolutamente porsi, oltre all'avvicinamento tra cittadini ed eletti nel modo in cui il Parlamento deciderà di farlo, è quello che riguarda l'attuazione rigorosa dell'articolo 51 della Costituzione sulle pari opportunità tra donne e uomini nelle istituzioni. Non è possibile, a nostro giudizio, che la nuova legge elettorale non consenta, per la presentazione delle liste, con i meccanismi che sono utilizzati per i rimborsi, il raggiungimento di questo obiettivo.
La terza questione è come si possano determinare le condizioni per un rafforzamento della democrazia dell'alternanza, attraverso un bipolarismo che viva però non in modo coatto.
Ho già parlato della soglia di sbarramento, resta da dire qualcosa sul premio di maggioranza. Rispetto alla consultazione tra le forze politiche, la maggior parte di esse ritiene, almeno in questa situazione, che debba mantenersi il premio di maggioranza. Mi pare che si potrebbe definire come soluzione un premio di maggioranza che scatta sulla base dei seggi che si sono acquisiti (ho già detto qual è il meccanismo, quindi non a livello nazionale sulla base dei voti) e che si raggiunge a partire da un livello di seggi conseguiti che non sia inferiore al 40 per cento.
Infine, il premio di maggioranza potrebbe essere determinato attorno a una percentuale sui seggi che sono attribuiti alla Camera e al Senato. Supponiamo il 10 per cento dei seggi riservati al premio di maggioranza, con un massimo, che è quello previsto già nell'attuale legge, del 54 per cento dei seggi; quindi, è del tutto evidente che questo 10 per cento, se scatta al 40 più 1, porterà al 51, e così via. Infine, l'ultima considerazione che voglio fare...

FABRIZIO CICCHITTO. E se non c'è il 40 per cento?

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Non scatta il premio di maggioranza se non si raggiunge il 40 per cento. Ed è mia convinzione - non impegno altri che me - che il premio di maggioranza non scatti neppure quando ci siano maggioranze diverse alla Camera e al Senato. Se esiste una maggioranza diversa alla Camera e una maggioranza diversa al Senato il premio non può scattare, fino a quando c'è il bicameralismo paritario. Né può scattare il premio di maggioranza se non si supera almeno il 40 per cento dei seggi che sono da assegnare. Queste sono le mie valutazioni, non è la legge.
Naturalmente, nel rapporto tra cittadini ed eletti, c'è la necessità - questo è anche uno dei quesiti posti nel referendum - di eliminare la possibilità di presentare candidature plurime.
Infine, si dovrà procedere anche a un miglioramento della disciplina normativa del voto degli italiani all'estero, assicurando maggiori garanzie di trasparenza per l'espressione di un voto personale e segreto, ma, a mio giudizio, seggi assegnati alle circoscrizioni estere dovranno continuare a non essere inclusi nel calcolo per l'attribuzione del premio di maggioranza sopradescritto.
Ci sono poi misure sulle quali si può riflettere, che riguardano direttamente l'autonomia e la riflessione delle Camere. Una riguarda i regolamenti parlamentari: mi riferisco all'ipotesi che nei regolamenti parlamentari possa essere definito, all'inizio della legislatura, il finanziamento ai gruppi sulla base della consistenza in quel momento, in modo che non ci siano modificazioni successive. Si potrebbe anche - ma sono tutte decisioni e valutazioni che non riguardano direttamente la legge elettorale - evitare che si formino in Parlamento gruppi non corrispondenti alle liste con le quali ci si è presentati alle elezioni. Si tratta di misure normative che riguardano la vita del Parlamento. Penso, altresì, al modo di funzionare del gruppo misto.
Credo che sia necessaria - e del resto al Senato hanno cominciato a discutere - una legge sui partiti politici, in attuazione


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dell'articolo 49 della Costituzione, che indichi alcuni criteri di riferimento comuni di trasparenza e di democrazia, per la disciplina dell'organizzazione interna, la rendicontazione finanziaria, e introduca anche alcuni principi generali per quanto riguarda le scelte importanti per le elezioni, come quella delle candidature.
Al Senato sono stati presentati testi di legge; è stato nominato anche un relatore unico, nella figura del senatore Fisichella. Ritengo che questa sia una scelta importante che questa legislatura dovrebbe portare a compimento.
Sarà naturalmente cura del Governo continuare ad impegnarsi e a seguire gli sviluppi del dialogo tra le forze politiche in Parlamento, accompagnando e sostenendo il lavoro delle Commissioni, contribuendo per la sua parte a garantire l'equilibrio, la tenuta e i tempi di attuazione del disegno di riforma complessivo, sia per quanto riguarda la nuova legge elettorale, sia per quanto riguarda le modifiche puntuali che mi auguro siano introdotte nella Costituzione, a cui facevo riferimento.
Ribadisco nuovamente che, fermo restando l'impegno del Governo, il Parlamento è sovrano nel realizzare e nel portare avanti la legge elettorale e le modifiche costituzionali.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Chiti per la sua relazione. Prima di dare la parola ai colleghi, vorrei fissare alcuni punti.
Il ministro ha fatto riferimento alla stretta relazione che passa tra le riforme costituzionali e le riforme elettorali. Se dovessimo arrivare, come io personalmente auspico, al superamento del bicameralismo paritario, che oggi esiste solo in Svizzera (che è una confederazione, quindi ha particolari specificità) e in Romania (paese che sta abbandonando questo meccanismo), credo che agevoleremmo notevolmente non solo la stabilità dei Governi, ma anche una migliore compattezza del paese.
Il ministro ha parlato del Senato come Camera della Repubblica, essendo luogo in cui sono presenti tutte le rappresentanze della Repubblica, Stato, regioni e autonomie. Forse, da questo punto di vista, bisognerebbe pensare che anche gli eletti all'estero stiano al Senato, dunque non concorrono a determinare la maggioranza, ma la rappresentanza. È un argomento sul quale si dovrà discutere. In questo caso, naturalmente avremmo un sistema puramente proporzionale al Senato, dove c'era il problema della rappresentanza, e un sistema che consente invece di designare una maggioranza di governo alla Camera.
L'8 maggio inizieremo il lavoro relativo alla prima tranche di riforma costituzionale (relatori i colleghi Bocchino e Amici), che prevede i poteri del Presidente del Consiglio di nomina e revoca dei ministri e la fiducia data dalla sola Camera al Presidente del Consiglio e al suo programma. Questo comporterebbe l'avvio di un meccanismo che va a superamento del bicameralismo paritario e, immediatamente dopo l'esame di questo provvedimento (che io personalmente auspico, se saremo d'accordo, di portare in Aula prima dell'estate), comporterebbe un lavoro sui contenuti del bicameralismo, facendo del Senato una Camera con una diversa politicità. Intendo dire che la Camera dei deputati sarebbe la Camera dello Stato, che dà l'indirizzo all'azione di governo; il Senato, invece, sarebbe il luogo di costruzione del rapporto tra Stato, regioni e autonomie.
Da questo punto di vista, dovremmo discutere se le commissioni d'inchiesta le debba costituire solo il Senato, proprio per lo stesso motivo. Insomma, si devono definire diversi poteri, che non significano una diminuzione, ma una diversa strutturazione.
Per quanto concerne il numero, abbiamo oggi un numero di senatori dimezzato rispetto a quello dei deputati. Ma in una logica completamente diversa, di una rappresentanza proporzionale al Senato e maggioritaria alla Camera, forse dovremmo ridiscutere complessivamente la questione del numero. Non avrebbe più tanto senso la proporzione metà e metà. Comunque, ne parleremo.


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ITALO BOCCHINO. Facciamo mille e mille! Con il voto segreto passa.

PRESIDENTE. Sì, questa può essere una delle soluzioni possibili. Si tratta di partire subito, l'8 maggio, con questo tipo di lavoro e mettersi nella lunghezza d'onda di cominciare a riflettere su quelle che possono essere le caratteristiche specifiche delle due Camere.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare richieste di chiarimento.

ITALO BOCCHINO. Sarò breve, perché molte questioni che oggi ci ha illustrato il ministro Chiti, che ringraziamo per la sua presenza in Commissione, sono già emerse nel corso del dibattito politico e giornalistico, alla luce delle consultazioni che il Governo ha tenuto con i partiti e i gruppi parlamentari.
Comincio col dire che il clima positivo che ha registrato il Governo e che il ministro ci ha riportato qui dipende sicuramente dalla presa d'atto dei problemi oggi esistenti. Nel nostro sistema bicamerale c'è sempre stato, vista la differenza dei due corpi elettorali, il rischio di maggioranze diverse tra Camera e Senato. Questa volta, però, il risultato delle elezioni ha prodotto una situazione veramente difficile da gestire, nonostante la chiarezza portata dal premio di maggioranza alla Camera.
C'è, poi, un altro argomento sul quale il ministro ha taciuto e che noi, come Alleanza nazionale, sentiamo il dovere di citare, come qualcosa che non ci spaventa: il referendum. Mentre parliamo di tutto questo, domani mattina inizia la raccolta di firme per un referendum che comunque interviene sulla materia elettorale, cambiando molto più di quanto si vorrebbe fare per via parlamentare. Di fatto, spostando il premio di maggioranza dalla coalizione che prende il maggior numero di voti al partito che prende il maggior numero di voti, questa modifica introdurrebbe in Italia un vero e proprio bipartitismo.
Ci rendiamo conto che quella referendaria è una scelta forte, ma sappiamo anche che fino ad oggi il Parlamento, almeno negli ultimi dieci o quindici anni, non è riuscito a dare risposte concrete in tema di riforme. Ricordiamoci che il sistema dei partiti fu messo in crisi dal referendum sulla preferenza unica e che il maggioritario è stato introdotto dal referendum nel 1993. Sono stati i referendum, insomma, a dar vita a cambiamenti, e anche questa volta temiamo che ci possa essere più una spinta da parte dei cittadini che una volontà concreta da parte dei partiti.
Da una parte, dunque, c'è la presa d'atto di una situazione che richiede modifiche, dall'altra esiste la cosiddetta pistola carica del referendum.
Lei, ministro, non ha fatto cenno a questo, anche se è evidente che la molla di tutto ciò è il quesito referendario. Il gruppo di Alleanza Nazionale è chiaramente disponibile a ragionare e negoziare una legge elettorale, alle condizioni che di qui a poco illustrerò. Abbiamo maggiori perplessità sulle riforme costituzionali - anche di questo parlerò tra poco -, ma non siamo affatto spaventati dall'ipotesi referendaria.
Se c'è capacità da parte del Parlamento, in tempi brevissimi, almeno per una prima risposta, noi contribuiremo con franchezza e con chiarezza anche per accelerare i tempi. Se il Parlamento, però, non manifesterà questa capacità, riteniamo che il referendum possa rappresentare uno strumento per smuovere le acque.
Detto questo, ribadisco i nostri obiettivi, come è mio dovere fare, ma dico subito che sono abbastanza coincidenti con quelli citati dal ministro: rendere stabile il bipolarismo, che a nostro giudizio è fortissimo nella coscienza dell'elettorato; garantire la stabilità dei Governi, delle maggioranze e delle coalizioni; non fare passi indietro rispetto alla democrazia diretta, ossia rispetto alla possibilità per il cittadino di decidere chi debba andare a governare e non di dare una delega ad un parlamentare che poi decide, all'interno dell'Assemblea, chi deve governare; avvicinare eletti ad elettori.


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I principi base ci sono, per quanto riguarda Alleanza nazionale. Per il resto noi riteniamo che lei abbia messo troppa carne al fuoco.
A nostro avviso, considerata l'instabilità di questa legislatura, dovuta non soltanto al problema di una maggioranza non eterogenea - comune a tutte le coalizioni, ma a questa in particolar modo - ma anche allo scarto minimo della maggioranza al Senato, sarebbe consigliabile fare una scelta diversa, vale a dire quella di intervenire esclusivamente sulle modifiche elettorali (nella medesima direzione indicata dal referendum) e, solo in un secondo tempo, pensare alle elezioni anticipate.
Lei ha accennato, oltre che alla modifica delle due leggi elettorali, anche alle ipotesi di modificare i regolamenti parlamentari, di fare le riforme costituzionali, di fare una legge sui partiti. Sui contenuti di queste proposte, ministro Chiti, noi saremmo anche d'accordo - così come siamo d'accordo su molte delle cose che lei ha detto -, ma riteniamo sia eccessivo, per una legislatura così affaticata, pensare di poter cambiare i regolamenti parlamentari, la Costituzione, il bicameralismo, i poteri del premier e così via.
Alcune delle proposte sono da noi anche condivise: figuriamoci se Alleanza Nazionale può essere contraria all'idea di modificare gli articoli 92 e 94 della Costituzione - garantendo in tal modo più poteri al Presidente del Consiglio - o alla riforma dei regolamenti parlamentari, che renderebbe più efficiente e veloce il lavoro dei due rami del Parlamento. Tuttavia, pur condividendo il merito di queste proposte da lei avanzate, riteniamo che, in questa legislatura, non ci siano le condizioni per il loro sviluppo.
Ciò non significa che verremo meno al nostro compito in Parlamento, e l'ho già comunicato per le vie brevi al presidente Violante: il fatto di aver accettato di essere uno dei relatori su una delle modifiche costituzionali, dimostra che abbiamo la disponibilità di venire a vedere.
Al tempo stesso, però, abbiamo anche l'impressione che la legge elettorale sia una necessità dettata dall'urgenza in prospettiva del referendum, mentre le proposte di legge costituzionali siano un escamotage che voi mettete in campo per allungare i tempi della legislatura nel caso in cui venisse approvata la legge elettorale.
A nostro giudizio, la legge elettorale andrebbe approvata subito, per evitare il referendum, dopodiché l'opposizione chiederà subito nuove elezioni, nel giro di pochi mesi; l'unico modo per allungare la legislatura sarà, quindi, quello di mettere in campo una serie di riforme costituzionali, tra l'altro gradite all'opposizione. Mi permetto di farvi notare che stiamo parlando di riforme estrapolate testualmente dalla nostra riforma costituzionale che voi, con il referendum, avete voluto bocciare.
Comprendiamo, quindi, l'intelligenza tattica ed anche la capacità di cercare degli accordi ampi e siamo, come già detto, disponibili a venire a vedere; ma se si tratta di un'azione dilatoria, la nostra disponibilità viene meno.
Se, invece, fosse chiara la volontà di una riforma reale che possa garantire il voto dei due terzi del Parlamento - quindi senza rischiare il referendum sulle riforme costituzionali -, a nostro avviso le riforme potrebbero essere attuate in tempi brevissimi - in base a quanto previsto dall'articolo 138 - e non di certo in tempi lunghi, che servirebbero solo a garantire un accanimento terapeutico a questa legislatura che, a nostro giudizio, dopo la legge elettorale o dopo il referendum andrebbe comunque messa in discussione.
Noi le chiediamo maggiore chiarezza, signor ministro, in quanto lei è stato molto esaustivo nell'esporre i principi della legge elettorale - li condividiamo quasi tutti - ma molto confusionario nell'illustrarne i meccanismi perché, a nostro avviso, all'interno della maggioranza non c'è ancora un accordo sull'attribuzione dei seggi del premio di maggioranza, né su una serie di altre scelte. Le chiediamo, quindi, di farci avere un testo quanto prima.
Vorrei concludere con un domanda: da tre o quattro mesi la stampa, riportando testualmente alcune sue dichiarazioni, annuncia un testo che dovrebbe essere in arrivo «per la prossima settimana». Di


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settimane credo ne siano passate tra dieci e quindici, ma questo testo non è ancora stato presentato. Quando la Commissione Affari costituzionali, che ha già svolto con lei numerose audizioni sui temi delle riforme e che ha bisogno, invece, di veder fissato qualcosa nero su bianco, avrà un testo sul quale cominciare a confrontarsi?
Noi abbiamo bisogno di esaminare una relazione scritta, per capire se avete intenti dilatori o se ci proponete un progetto di riforma complessivo sul quale si può trovare un'ampia convergenza.
Questa è la nostra richiesta: ribadiamo la disponibilità e la sensibilità istituzionale, specialmente in tema di riforme - che è un tema a noi particolarmente caro - ma chiediamo chiarezza e velocità perché, altrimenti, si rischia di entrare in un meccanismo dove una coalizione vuole allungare i tempi, l'altra vuole accorciarli e, anziché risolvere i problemi, se ne creano altri.

MARCO BOATO. Signor presidente, farò alcune considerazioni ed altre ne esprimerà, successivamente, il collega Angelo Bonelli, che partecipa oggi a questa audizione. È un bene che siano presenti anche colleghi, in rappresentanza dei gruppi, che non sono membri di questa Commissione, perché i temi trattati sono di una tale importanza e delicatezza per cui è bene che ci sia una partecipazione più ampia.
Vorrei fare alcune considerazioni sul quadro generale. Rispetto a quanto ha detto poco fa il collega Bocchino sui tempi rapidi e sui tempi dilatori, questi dipendono esclusivamente dalla volontà delle Commissioni Affari costituzionali e poi delle due Assemblee, ovviamente.
Pertanto, il fatto che lei, presidente Violante, abbia già fissato per l'8 maggio l'inizio di una prima tranche di tematiche di revisione costituzionale, e che abbia opportunamente attribuito la responsabilità bipartisan ad un collega di maggioranza ed ad uno di opposizione è il segnale, da una parte, della volontà di non fare scelte unilaterali ed imposte all'attuale opposizione - come invece si verificò, purtroppo, nella scorsa legislatura - e, dall'altra, di stabilire per questo lavoro dei tempi rapidi - anche se le riforme costituzionali vanno poi valutate, approfondite e discusse -, compatibilmente con la complessità e delicatezza della materia.
Ritengo che il ministro abbia fatto bene a mettere in connessione, o in un quadro complessivo, i due temi delle riforme costituzionali e della legge elettorale, perché sarebbe stato risibile se avesse discusso in questa sede di riforme costituzionali e poi avesse ascoltato per radio, il pomeriggio, quanto detto dal Senato sulla legge elettorale.
Tra l'altro, il presidente Violante sa che abbiamo fatto delle riunioni degli uffici di presidenza delle due Commissioni congiunte in quest'aula, proprio per evitare che per la necessaria distinzione degli argomenti di competenza di ciascuna Commissione si andasse poi in direzioni divaricate e contrapposte. Quindi è bene affrontare contestualmente, in una fase di delibazione preliminare, il tema che riguarda le riforme costituzionali e quello concernente le leggi elettorali.
In subordine io porrei, signor ministro, la tematica che riguarda eventuali - ovviamente possibili e, forse, ad un certo punto, anche necessarie - riforme regolamentari, per la principale ragione, da lei più volte sottolineata, che questa è materia di esclusiva competenza parlamentare - nella quale il Governo non ha alcun ruolo interlocutorio - e, in secondo luogo, perché le riforme regolamentari che, magari, ad un certo punto saranno necessarie o doverose, vengono necessariamente dopo che il quadro, sia costituzionale sia della legge elettorale - che è importantissima, ma ordinaria - sarà definito.
Non si possono fare modifiche regolamentari in corso d'opera, quando non si conosce l'esito della riforma costituzionale - o delle specifiche e puntuali riforme costituzionali, come lei ha opportunamente detto - e delle due leggi elettorali per la Camera e per il Senato.
Ritengo anche opportuno che il Governo interloquisca strettamente ed assiduamente con i gruppi parlamentari, sia di maggioranza sia di opposizione - e,


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quindi, sono state opportune le consultazioni fatte con entrambi gli schieramenti - e che prosegua poi in Assemblea, astenendosi dal presentare propri ed autonomi disegni di legge (cosa che, peraltro, avrebbe il pieno titolo di fare), come invece è capitato nella scorsa legislatura.
Il fatto che il Governo presenti un disegno di legge non è di per sé preclusivo ad un accordo bipartisan; su questo dissento da lei, perché il Governo può presentare disegni di legge sui quali è possibile cercare un accordo fra maggioranza ed opposizione.
Non c'è dubbio, poi, che in un clima difficile, teso e contrastato come quello che caratterizza questa legislatura, l'astensione da parte del Governo - come è avvenuto per esempio per la riforma dei servizi segreti - dalla presentazione di un proprio autonomo disegno di legge, sia un atteggiamento opportuno che credo vada apprezzato e riconosciuto proprio nel momento in cui il Governo stesso si accinge ad interloquire strettamente su questa materia.
Le tematiche che lei ha affrontato sotto il profilo delle riforme costituzionali sono tutte largamente condivisibili, salvo il fatto che poi, quando arriveremo alla definizione normativa dei testi costituzionali, si potranno aprire forme di discussione, di dibattito e di confronto più ampie.
Io ho sottoscritto la proposta di legge presentata dal collega Zaccaria, ma ho prima ripresentato una proposta di legge che riguarda gli articoli 92 e 94 della Costituzione - che, nella parte finale della XIII legislatura, era stata sottoscritta da tutti i capigruppo all'epoca del centrosinistra - e che riguarda non solo la nomina e la revoca dei ministri da parte del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio, ma anche il meccanismo della sfiducia costruttiva a cui lei, signor ministro, ha fatto poco fa riferimento.
Per il momento, invece, quest'ultimo tema non è affrontato nella proposta del collega Zaccaria, da me sottoscritta e condivisa. Pertanto, ci saranno due proposte di legge - forse altre arriveranno - che affronteranno unitamente la tematica della riforma della forma di Governo che lei ha poco fa trattato.
Condivido anche il modo graduale e problematico con cui lei ha prospettato il superamento del bicameralismo paritario - o perfetto che dir si voglia - mantenendo la definizione «Senato della Repubblica» proprio perché la Repubblica, così com'è definita con la riforma del Titolo V nel primo comma del nuovo articolo 114 della Costituzione, verrebbe a meglio qualificare l'altro ramo del Parlamento come Senato delle regioni e del sistema delle autonomie.
Personalmente - non parlo a nome del gruppo - auspicherei un'ipotesi sul modello del Bundesrat, da lei citato. Ritengo del tutto impraticabile politicamente una teoria di questo genere, che può essere realizzata all'inizio non di una legislatura, ma di un ordinamento, quando lo si fonda - nel 1948-1949 - mentre è molto difficile farlo in corso d'opera, dopo che da sessant'anni esiste il Senato della Repubblica ad elezione diretta.
Anche se preferirei quel modello, penso che l'ipotesi da lei prospettata come seconda sarà quella più largamente praticabile. È evidente che si porrà, poi, un complesso, difficile e delicato problema riguardo al procedimento legislativo. A mio parere, questo è il punto principale su cui è caduta la riforma del centrodestra nella scorsa legislatura.
Durante il referendum si è discusso di mille cose, magari più appetibili all'opinione pubblica; ma il buco nero di quella riforma stava soprattutto - ma non esclusivamente - nella inadeguatezza dell'ipotesi sul procedimento legislativo. Inadeguatezza è un termine cauto e delicato, ma che credo sia comprensibile da tutti.
Sono d'accordo con lei sul fatto che sia assolutamente imprescindibile applicare, nelle forme che definiremo - ci sono diverse modalità, a seconda dei diversi sistemi elettorali -, l'articolo 51 della Costituzione, tenendo conto che nell'articolo 117 c'è già una norma molto forte che riguarda i sistemi elettorali regionali e una norma, altrettanto forte, è contenuta anche nei cinque statuti delle regioni ad


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autonomia speciale, così come risultano dalla modifica attuata, contestualmente alla riforma del Titolo V, alla fine della XIII legislatura.
Sarebbe paradossale che noi intervenissimo su questa materia a livello comunale e regionale (regioni sia ordinarie sia speciali), e nulla facessimo a livello di sistema parlamentare, tanto più che altri paesi, che hanno già introdotto norme di questo tipo, hanno avuto un cambiamento radicale nella composizione delle assemblee legislative, mentre le nostre, sotto questo profilo, sono ancora scandalosamente inadeguate. Se non erro, siamo passati dall'11 per cento al 16 per cento nell'arco di sessant'anni, perché si è cominciato con l'11 per cento quasi sessant'anni fa.
Detto questo, signor presidente, signor ministro, esprimo invece notevoli perplessità sull'ipotesi del modello elettorale così come è stato prospettato.
Non mi associo alle critiche o alle sollecitazioni che alcuni colleghi, in particolare dell'opposizione, hanno sollevato poco fa interloquendo con lei, affermando che ella non ci sta fornendo un modello elettorale ben definito; io credo, invece, che sia opportuno che non ci venga dato un modello definito puntualmente e dettagliatamente, visto il ruolo di interlocutore che il Governo ha voluto assumere in questa materia, sollecitando e avviando una prima fase istruttoria che, però, non chiude e non definisce. Tuttavia, il tipo di ipotesi di sistema elettorale che mi pare di vedere delineato, anche se in modo ancora abbastanza indeterminato, suscita fortissime perplessità da parte mia e da parte nostra.
Dal momento che il collega Bonelli ha partecipato con lei alle riunioni di carattere istruttorio su questa materia - che, almeno per una certa fase, definivano un'ipotesi radicalmente diversa da quella oggi indicata -, credo sia più opportuno e corretto che intervenga lui stesso, quando il primo giro di interventi su questo tema sarà completato.
La prospettiva di una soglia di sbarramento non mi preoccupa: c'è sempre una soglia di sbarramento, e devo anche dire che trovo giusta ed intelligente l'ipotesi che hanno adottato tutti - o quasi tutti - i sistemi costituzionali e non costituzionali, e tutti gli ordinamenti che hanno affrontato questa materia.
Il sistema francese a doppio turno, ad esempio, ha delle soglie di sbarramento elevatissime - siamo al 12,7 per cento degli aventi diritto al voto, se non sbaglio - che sarebbero del tutto inaccettabili nel nostro paese. In ogni caso, se si va a vedere la storia di quel sistema si nota come ci sia stata una graduale elevazione della soglia nel corso degli anni, anche se quella soglia sarebbe comunque per noi impensabile. Anche il sistema tedesco, la cui storia credo lei conosca, presidente, dal momento che l'ha proprio citato, ha attualmente una soglia del 5 per cento alla quale anch'esso è arrivato gradualmente. E anche le poche modifiche che nel sistema tedesco sono state introdotte rispetto alla composizione numerica del Bundestag sono state applicate nella legislatura successiva rispetto a quella in cui sono state approvate; pertanto, quando lei, rispetto ad alcune ipotesi, ha parlato di una loro entrata in vigore a partire dalla XVII legislatura, voleva semplicemente saltare la prossima, e farle entrare in vigore dalle elezioni che riguarderanno quella ancora successiva. Sono tutti strumenti e procedure che vengono utilizzati anche in altri ordinamenti, e che di per sé non suscitano perplessità.
Quello che in me suscita non solo perplessità, signor ministro, ma totale avversione - però, ripeto, sui temi più specifici di questa materia credo sia corretto che ne parli il collega Bonelli, che ha partecipato con lei e gli altri capigruppo alla fase istruttoria - è immaginare che la soglia di sbarramento si collochi a livello di circoscrizione. Quando si elegge un Parlamento nazionale - il Parlamento della Repubblica - la soglia di sbarramento va collocata a livello nazionale, quale che sia; poi, magari, potremo discutere sull'entità di tale soglia, ma va collocata a livello nazionale, perché si elegge un Parlamento nazionale.


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Lei ha detto e ripetuto che la soglia di sbarramento vale a livello di circoscrizione, e che l'eventuale recupero dei resti rispetto agli eletti...

PRESIDENTE. Il ministro vorrebbe interloquire su questo punto.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Non vorrei ci fosse un equivoco: io intendo dire che c'è una soglia di sbarramento - che sarà negoziata dal Parlamento - che è unica in Italia e che...

MARCO BOATO. Unica, ma applicata circoscrizione per circoscrizione: lei ha detto questo...

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Ho detto unica in Italia; se viene applicata a livello di circoscrizioni regionali determina un recupero rispetto ai resti, che altrimenti si perdono nei collegi provinciali, che salvaguarda la gradualità di un'evoluzione. Vorrei che ci rifletteste.

MARCO BOATO. Credo di aver capito perfettamente, e la ringrazio perché lei me lo ha confermato (Commenti).
Le dico che non sono d'accordo sul punto; tuttavia, dal momento che non dobbiamo decidere oggi ma dobbiamo solo confrontarci, vorrei concludere, presidente. Avevo capito perfettamente e non sono d'accordo, anzi: non siamo d'accordo.
Su tutto il resto, riguardo la legge elettorale, ripeto che credo sia opportuno che parli il collega Bonelli, mentre io vorrei arrivare ad una conclusione, signor ministro, di carattere strettamente personale.
L'8 settembre del 2005, quando presidente di questa Commissione era Donato Bruno, noi riprendevamo i lavori dopo la pausa estiva per apportare alcune limitate e concordate modifiche al sistema elettorale allora vigente, quello che viene definito da Sartori il mattarellum. Debbo dare atto che, in quella fase, maggioranza di centrodestra e opposizione di centrosinistra stavano cercando di concordarle insieme.
Le modifiche riguardavano l'abolizione dello scorporo per evitare lo scandalo delle liste civetta, l'eventuale aumento del numero dei simboli a fianco del candidato uninominale, ed altri temi fra cui la revisione di quei collegi che fossero, nel tempo trascorso dalla loro entrata in vigore, andati fuori quota per l'aumento o la riduzione della quota di popolazione.
Quel giorno, l'8 settembre, da quello stesso banco dove ora siede il presidente Violante, il presidente Donato Bruno disse che c'era un gruppo - se non ricordo male era l'UDC - che aveva chiesto di riaprire i termini per una settimana, dopo che già da quattro mesi erano stati chiusi. Noi ci opponemmo, ma una settimana dopo si fece il cosiddetto porcellum, ovvero la «porcata» di cui Calderoli ha più volte parlato, modificata con subemendamenti del centrodestra che non potemmo più subemendare perché, come il presidente Violante m'insegna - ne abbiamo discusso anche recentemente - non si possono subemendare i subemendamenti.
Il centrodestra, quindi, fece questa operazione l'8 settembre - data simbolica -, proprio quando stavamo lavorando da mesi per modificare consensualmente quel sistema elettorale. Dico questo solo a titolo personale, perché non ho autorizzazioni da parte del gruppo ad esprimere questa posizione, che col gruppo non ho nemmeno discusso.
Ho presentato una proposta di legge - che vi segnalo - la quale non riguarda la situazione contingente ma potrà risultare utile fra qualche mese, qualora non riuscissimo a trovare degli accordi.
La proposta di legge è composta da due articoli, il primo dei quali abroga totalmente la legge Calderoli; la chiamo così pur sapendo che non è lui il responsabile di quella legge, anzi forse è il meno responsabile di tutti, però era lui, all'epoca, il ministro con funzioni analoghe a quelle del ministro Chiti oggi.
Il secondo articolo ripristina integralmente le leggi definite Mattarella, e indica in relazione - perché non era opportuno farlo in sede di articolato - la necessità di apporre alcune limitate modifiche, ad


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esempio quella dello scorporo, da concordare tra attuale maggioranza e attuale opposizione, che si trovano oggi, a parti rovesciate, in una situazione identica a quella dell'8 settembre del 2005.
Oggi, forse, non c'è praticabilità del campo, per cui ritengo forse più opportuno mettere la mia ipotesi nella riserva della Repubblica: in questo caso non un nome, ma una proposta di legge, per l'evenienza in cui ci si trovasse, come allora, in una situazione di impasse non procedibile.
Fino a quel punto eravamo arrivati insieme, prima del colpo di mano - che il principale, non dico autore, ma nominativo esponenziale, Calderoli, ha definito nel modo che ho già ricordato - del quale nessuno dei gruppi del centrodestra ormai più riconosce la paternità. Forse sarà necessario, ad un certo punto, se non dovessimo trovare un percorso praticabile, immaginare di ritornare ad un'ipotesi di questo tipo.

GIANPIERO D'ALIA. Signor presidente, cercherò di esporre brevemente la nostra opinione che, peraltro, è già nota, ragione per cui credo che possiamo concentrare al massimo le considerazioni, partendo - ovviamente, e non per ragioni di forma - da un apprezzamento per il lavoro che ha svolto con grande onestà il ministro Chiti, che apprezziamo e stimiamo al di là della sua funzione e della sua collocazione.
Ci consentirà un po' di pessimismo...

PRESIDENTE. Quello dell'intelligenza...

GIANPIERO D'ALIA. Questo non lo so. Il presidente Violante faceva riferimento al bicameralismo intelligente e io credo che, se noi avessimo adottato un criterio di buonsenso, probabilmente oggi avremmo già acquisito maggiori elementi di valutazione, sia sulla legge elettorale sia sulle riforme; perché è indubbio che discutere, noi come rappresentanti della Camera, del bicameralismo e del ruolo del Senato, e affidare al Senato la discussione sulla legge elettorale, comporta ovviamente una complicazione che tanto piccola non mi sembra.
Innanzitutto sul piano politico, perché è evidente che è più difficile - lo dico realisticamente, al di là dell'opinione che ciascuno di noi ha - trovare un'intesa in Parlamento sulla legge elettorale facendola partire dal Senato; i numeri infatti rappresentano oggi l'unica vera «pistola carica» sul Governo poiché riguardano il rapporto fra alcuni partiti e lo stesso Esecutivo sulla questione della legge elettorale (sempre che vogliamo parlarne andando al di là dei convenevoli e delle opinioni di rito o delle posizioni di partito che ciascuno di noi ha).
Concordo con il presidente Violante sul fatto che vi è un legame indissolubile tra riforme istituzionali e legge elettorale.
È evidente che, qualora si dovesse accedere alla tesi dell'eliminazione del rapporto fiduciario fra il Senato della Repubblica e il Governo, la legge elettorale per il Senato dovrebbe essere una proporzionale pura.
Quindi, anche le obiezioni postume e tardive sulla cosiddetta Calderolum (io continuo a chiamarla così), ovvero sulla circostanza che il premio di maggioranza possa essere assegnato su base regionale e non nazionale, verrebbero ovviamente superate dal fatto che, nell'ipotesi di un Senato federale, anche il meccanismo di rappresentanza dovrebbe essere integralmente regionale.
Il metodo sbagliato, dal quale si è partiti, determina una serie di difficoltà oggettive nell'affrontare i temi. Comprendo anche lo sforzo che sta facendo il presidente Violante, affidando a questa prima ipotesi di riforma, che riguarda il premierato, un tentativo di approccio e di dialogo sulle riforme istituzionali.
Non so se questo sia o meno il metodo giusto, ma credo che, dal nostro punto di vista, le questioni siano tutte sul tappeto; noi, sulle riforme costituzionali, siamo aperti a 360 gradi ad un confronto dal quale non intendiamo sottrarci, purché esso sia serio e, soprattutto, caratterizzato da tempi certi di svolgimento e da regole, sotto il profilo del metodo, chiare e da tutti condivise.


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Ad esempio - vado rapidamente ad elencare i capitoli delle nostre posizioni su questo tema -, per noi il premierato va certamente inquadrato nella logica di un rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio, ma cammina di pari passo con l'introduzione della sfiducia costruttiva.
È assolutamente evidente che, se vogliamo affrontare la questione del numero dei deputati o dei senatori come ipotesi-manifesto, possiamo anche farlo. Credo che dovremmo affrontarla con riferimento a due circostanze diverse, ovvero al diverso ruolo che si assegna alla Camera e al Senato.
Dovremmo affrontarla in una logica molto più ampia, perché è singolare che la Costituzione, che noi vogliamo riformare, tagli - giustamente - il numero dei deputati e dei senatori e consenta, ancora oggi, un'autonomia che con il federalismo e con il regionalismo non ha nulla a che vedere, ma con i costi della politica, di cui tutti parlano, sì. Mi riferisco al fatto che la Costituzione consente ai singoli consigli regionali di modificare i propri statuti aumentando, raddoppiando, triplicando il numero dei consiglieri regionali, degli assessori, e chi più ne ha più ne metta.
Credo che questo sia un tema da affrontare assieme, avendo il coraggio di farlo senza tabù; perché un conto è discutere del regionalismo o del federalismo (tema sul quale dobbiamo confrontarci), un conto è confondere l'autonomia regionale con l'ampliamento di un ceto politico regionale autoreferenziale, che non è di minor impatto rispetto a quello nazionale, anzi, forse rispetto a quello centrale lo è molto di più.
Ritengo, quindi, che questo tema debba essere inquadrato in un più ampio ragionamento sulla compressione di quelle forme di autonomia che con il federalismo e l'autonomia regionale non hanno nulla a che vedere, ma che hanno certamente a che fare con la tenuta e la credibilità di un intero sistema istituzionale.
Anche sulla questione del bicameralismo imperfetto e del procedimento legislativo, non ci scandalizza l'ipotesi che è stata qui accennata, cioè quella di attribuire al Senato competenze diverse e non meno importanti.
L'unica nostra preoccupazione è quella di evitare l'errore, che abbiamo commesso noi nella passata legislatura, di legare questo tema; infatti, in relazione ad una legge sui diritti civili e politici, mentre sul termine «diritti politici» ci si può anche intendere, l'espressione «diritti civili» è molto ampia e determina un conflitto di competenze fra Camera e Senato nel procedimento legislativo di difficile soluzione. La soluzione che si trovò in merito alla riforma bocciata dagli elettori sul procedimento legislativo, credo fosse la peggiore possibile.
Pertanto anche in questo caso bisogna cercare - memori delle esperienze, tutte positive, che sono state fatte in passato - di affrontare le questioni precisando esattamente ciò che si vuole fare e che si può modificare, e in che termini lo si può fare.
Tuttavia, signor ministro, mi consentirà - essendo arrivato con dieci minuti di ritardo non ho potuto ascoltare l'inizio della sua relazione - di dire che, a mio parere, il tema centrale che noi dovremmo affrontare, se vogliamo parlare della riforma, è la riscrittura dell'articolo 117 della Costituzione: questa è la madre di tutte le questioni istituzionali nel nostro paese.
Il presidente Violante sa meglio di noi che abbiamo trascorso due interessanti giorni a Berlino per studiare la riforma tedesca. Quest'ultima, è stata travagliata, complessa e controversa e ha riguardato, in modo particolare, il sistema di riparto delle competenze legislative. Credo che questo sia un tema fondamentale, perché quando noi affrontammo - mi riferisco al centrodestra nella passata legislatura - la questione della riformulazione e della riscrittura dell'articolo 117, mi colpì molto una polemica sollevata dal quotidiano Il Sole 24 ore sul costo della riforma da noi proposta. Fu detto che essa avrebbe creato una duplicazione di costi, nonostante riportasse invece alla competenza statale una serie di materie che erano state erroneamente, in maniera esplicita o in via interpretativa, attribuite alle competenze delle regioni.


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Oggi credo che noi, con tutta serenità, proprio perché siamo fuori dalla logica di una competizione elettorale, dovremmo riconoscere, in maniera condivisa, che la riforma del Titolo V approvata ed entrata in vigore nel 2001 ha prodotto oggettivamente una duplicazione di strutture e di costi. Infatti, alla mancata o parziale soppressione di alcune strutture statali e centrali (anche e soprattutto per l'incertezza delle competenze), è corrisposto un aumento delle strutture regionali e del sistema delle autonomie, chiamate a disimpegnare le funzioni che la riforma aveva loro attribuito. Tutto questo ha determinato, obiettivamente, un costo ed un peso sul sistema complessivo della finanza pubblica.
Considero questo un tema centrale sul quale ci vorrebbe, da parte di tutti noi, un po' più di coraggio; anche perché, dal nostro punto di vista pregiudiziale, qualsiasi discussione circa una legge sull'attuazione del federalismo fiscale, o sull'attivazione dei meccanismi relativi alla cosiddetta autonomia differenziata - di cui al terzo comma dell'articolo 116 - credo debba implicare una chiara definizione delle competenze, legislative e quindi anche amministrative, dello Stato, delle regioni ed anche delle autonomie locali.
Sulla legge elettorale io dico cose ovvie e risapute e quindi, anche in questo caso, cercherò di essere molto breve. Il collega Bocchino, prima, parlava della «pistola carica» del referendum. Dal nostro punto di vista noi non abbiamo fretta, e il referendum non ci spaventa; se non riusciremo a portare avanti la nostra posizione in Parlamento, la sottoporremo agli elettori, attraverso una proposta di non partecipazione al voto.
Riteniamo la proposta referendaria, posto che la Cassazione sia nelle condizioni di ammetterla - io, infatti, personalmente ho uno serie di dubbi sul fatto che questo possa avvenire -...

MARCO BOATO. È la Corte costituzionale! La Cassazione verifica le firme!

GIANPIERO D'ALIA. Chiedo scusa: la Corte costituzionale. L'onorevole Boato è sempre preciso, io sono in piedi dalle 4, quindi...

PRESIDENTE. Anche perché la verifica delle firme è un punto importante.

GIANPIERO D'ALIA. Spero di non aver turbato molto le sue orecchie.
A mio avviso, il punto centrale è che ci sono una serie di questioni relative all'ammissibilità dei quesiti.
Comunque, al di là di questo, si vedrà: qualora il Parlamento non fosse nelle condizioni di approvare una buona legge elettorale, o di approvarne una, i cittadini - sempre che, ripeto, la Corte costituzionale lo renda ammissibile - parteciperanno a questo referendum e ognuno potrà esprimere la sua opinione.
Dal nostro punto di vista, le cose che lei ha detto non affrontano le due questioni centrali per le quali si è sempre sostenuto, in questo dibattito, che bisognava cambiare la legge elettorale, a meno che non si voglia fare il porcellum tre. Dico questo perché ho l'impressione che, ancorché non vi sia un testo - e, se venisse dal Senato, abbiamo già le idee abbastanza chiare su come potrebbe presentarsi - ci si troverà di fronte al Calderolum due o al porcellum tre.
La prima delle due questioni, centrali dal nostro punto di vista, è quella delle oligarchie: il sistema proporzionale, anche con le liste rigide, è stato per noi un passo avanti rispetto ai collegi uninominali; infatti, noi oggi facciamo, giustamente, la polemica sui deputati nominati, ma dimentichiamo quella fatta sui deputati catapultati nei colleghi uninominali, che non era cosa di minor conto, e questo mi preme sottolinearlo. È assolutamente evidente che questo tema deve essere affrontato con l'introduzione della preferenza: non ci sono altri meccanismi possibili.
È altrettanto evidente che l'introduzione delle preferenze ha bisogno di circoscrizioni più piccole rispetto a quelle attuali perché, altrimenti, torneremmo ai problemi che i partiti hanno avuto nel 1997, nel 1982 e negli anni precedenti.
Un altro sistema non è possibile: se dobbiamo superare il sistema delle oligarchie,


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il cittadino deve scegliere il partito ed il suo rappresentante in Parlamento.
L'altra possibilità, a nostro avviso, per il superamento del sistema delle oligarchie è contenuta nel modello tedesco, al quale noi facciamo richiamo: tale sistema contempera l'assegnazione dei seggi su base proporzionale con l'indicazione e la scelta dei candidati nei collegi uninominali, ma supera anche la questione territoriale perché, come è noto, consente di non essere sottoposti alla tagliola dello sbarramento del 5 per cento nel caso in cui si conseguano tre deputati nei singoli collegi uninominali.
Quindi, anche per le formazioni regionali, questo sistema ha un suo significato, a differenza - concordo con il collega Boato - delle ipotesi di uno sbarramento regionale che di fatto tenderebbe alla balcanizzazione del sistema politico, circostanza rispetto alla quale noi siamo assolutamente contrari.
Il secondo nodo centrale è quello della cultura delle alleanze di Governo. Ormai diciamo tutti che con il Mattarellum - o con il Calderolum, chiamiamolo come vogliamo - si costruiscono alleanze elettorali non omogenee che non riescono a governare e che, di conseguenza, il sistema elettorale dovrebbe favorire - senza uccidere i partiti - la costruzione di alleanze che non siano solo elettorali ma anche politiche, e che consentano un bipolarismo fatto di schieramenti omogenei.
Tutto questo, ovviamente, non si realizza attraverso l'intervento manutentivo sul porcellum che si prefigura da quanto il ministro e le forze politiche hanno dichiarato nel corso di questi mesi.
Da ultimo, riteniamo che, ad esempio, sul tema dei regolamenti parlamentari potremmo cominciare a confrontarci già da subito. Abbiamo già detto - e ribadiamo - che, a prescindere dal dibattito sulle riforme costituzionali e sulla legge elettorale che, comunque, hanno una loro oggettiva connessione, sui regolamenti di Camera e Senato è necessario fare dei passi in avanti. Dal nostro punto di vista possiamo cominciare a confrontarci per modificarli, anche se non dovesse andare in porto questo pregevole lavoro che si spera di poter realizzare.

GRAZIELLA MASCIA. Signor presidente, anch'io devo apprezzare il lavoro del ministro Chiti che, nella sua veste di ministro per i rapporti con il Parlamento, dà un contributo significativo a questo dialogo che, come è stato sottolineato, non può che avvenire in Parlamento e registrare un ampio consenso.
Proprio questo sforzo, mirato a definire - finalmente, dopo tanti anni - ipotesi di riforme costituzionali e di legge elettorale con un ampio consenso, deve però portare ad una riflessione molto profonda perché, a mio avviso, se andiamo in questa direzione non possiamo permetterci di approvare delle leggi o delle riforme non rigorose, che non resistano nel tempo.
Ritengo pertanto che, se il giudizio sulla legge elettorale attuale è unanimemente - o quasi - un giudizio negativo, allo stesso tempo sia negativo anche il giudizio sugli eventuali esiti di un referendum.
Ad esempio, io non penso, come fa il collega D'Alia, che questo referendum automaticamente debba mettere paura, o che rappresenti la spinta di un'esigenza dei cittadini. È discutibile che di questo comitato referendario facciano parte esponenti di rilievo della maggioranza o del Governo, ma questo non può essere impedito.
In ogni caso, non credo che questa debba essere considerata automaticamente l'espressione di una volontà popolare. La volontà popolare o i problemi che noi riscontriamo nel rapporto tra cittadini e istituzioni sono altri, e su questo vale la pena di ragionare per procedere ad eventuali ipotesi di soluzione.
Tuttavia, proprio perché una delle valutazioni molto ampie rispetto ad un eventuale esito referendario riguarda, ad esempio, il premio di maggioranza alla lista vincente, io escluderei questa, tra le ipotesi da prendere in considerazione. Il ministro Chiti, facendo riferimento agli eventuali premi di maggioranza, diceva in modo


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aperto: o alla coalizione, o alla lista vincente. A mio avviso, almeno questo andrebbe scartato.
Aggiungo che, proprio perché dovremmo tentare di procedere in maniera rigorosa anche nell'ambito delle esperienze e delle considerazioni sulla storia del costituzionalismo, l'ipotesi della soglia di sbarramento del 5 per cento unita al premio di maggioranza non si è mai verificata nella storia o, comunque, è sempre stata considerata negativamente. Non mi importa che questo sia previsto nella XVII legislatura, a me importa il principio.
Se a ciò si aggiunge l'ipotesi su piccoli collegi in circoscrizioni regionali, credo che tutto questo sia in contrasto con le necessità cui noi dobbiamo corrispondere, almeno secondo il mio pensiero e quello del partito di Rifondazione Comunista, che in questa sede rappresento.
Ritengo che, ormai, le esperienze siano tali e tante da poter spingere tutti quanti ad una verifica reale dei risultati di questi anni, soprattutto in merito al problema che tutti avvertiamo, ovvero la crisi della politica e del rapporto cittadini-istituzioni.
A mio avviso, come sottolineato poco fa anche dal collega D'Alia, non sono opportune, dal punto di vista legislativo, forzature di leggi elettorali per obbligare in determinate direzioni coalizioni che faticano a collaborare politicamente. Anche se la logica bipolare è entrata a far parte del nostro sistema, questa deve comunque fare i conti con l'esigenza effettiva della rappresentanza della società italiana.
A mio parere questo è un nodo inderogabile, tanto che tutti gli esperimenti che sono stati fatti fino ad ora dovrebbero spingerci in questa direzione. Non penso - lo dico molto francamente - che il tema del rapporto cittadino/eletto posto in questi termini sia risolutivo. Questa è una sola delle questioni, ma è una questione che, se verrà seriamente riferita, potrà essere affrontata in modo più adeguato.
Noi siamo per il sistema proporzionale: credo che oggi ci sia davvero l'esigenza di andare verso una rappresentazione il più reale possibile della società perché, nonostante tutti i tentativi messi in atto per ignorarlo, alla fine, ancora nel 2007, abbiamo una serie di rappresentanze anche in piccoli partiti, che sono comunque espressione di una realtà sociale. A mio avviso, dunque, sono i processi politici - come quelli in atto in questo periodo - a spingere verso eventuali aggregazioni più ampie, e non le forzature tecniche-istituzionali.
Il rapporto cittadino/eletto deve rientrare nel ragionamento della rappresentanza e, attraverso tutte le esperienze che sono state prese in considerazione nel corso di questi anni, il sistema tedesco risponde, per le ragioni prima ricordate, sia a questa esigenza sia alle esigenze della rappresentanza e della governabilità.
Naturalmente, ciascuno può disegnare il modello che preferisce a partire dai propri intendimenti, ma non credo che così arriveremo a definire un sistema elettorale che corrisponda effettivamente agli interessi delle coalizioni di entrambi gli schieramenti. Quindi, lo sforzo di trovare un consenso ampio non è dettato da una scelta morale, ma da un'esigenza concreta della politica che, come dimostrano non solo l'esperienza tedesca, ma anche quella francese di questi giorni, non riguarda solo il nostro paese.
Non credo che i problemi dei rapporti tra i cittadini, la politica e le istituzioni possano essere risolti con una personalizzazione della politica. In questo, penso che anche nelle ipotesi di modifica indicate agli articoli 92 e 94 ci siano alcune cose che vanno in direzione della governabilità.
Tutti abbiamo condiviso, ad esempio nell'ambito della discussione svolta nella passata legislatura in questa Camera dei deputati, l'esigenza che il Presidente del Consiglio possa indicare la nomina e la revoca dei ministri. Ma tra questo e l'indicazione dello scioglimento delle Camere alla Presidenza della Repubblica c'è una grande differenza; su questo tema abbiamo lungamente discusso e, da parte nostra, c'è una totale contrarietà.
Allo stesso modo vorremmo manifestare una grande - alleggerisco un po' il termine - «perplessità» sul fatto che solo il Presidente del Consiglio debba ottenere


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la fiducia: a nostro avviso tutto il Governo deve ottenere la fiducia in Parlamento.
Questi sono, naturalmente, elementi molto importanti: siamo certamente favorevoli alla sfiducia costruttiva, ma avevamo valutato che fosse più logico affrontare la legge elettorale in questa sede, e le riforme che riguardano il Senato in un secondo tempo; è andata diversamente, ma è evidente che i due temi sono legati, e che ci debba essere un nesso fra di loro.
Noi, giustamente, dovremo affrontare un argomento alla volta: la riduzione del numero dei parlamentari, i poteri del Presidente del Consiglio e così via; tuttavia, i due temi che verranno affrontati sono imprescindibili e in relazione fra di loro proprio perché se si sceglie un determinato sistema elettorale, è anche più facile trovare il giusto equilibrio costituzionale.
Il sistema tedesco è equilibrato in tutti i suoi aspetti; altre ipotesi avanzate in questa sede, e che derivano parzialmente da altri tipi di esperienze, non consentono sinceramente di dare una valutazione d'insieme.
Di conseguenza, il nostro giudizio parte dalle singole questioni, ed io ritengo che noi non abbiamo certamente bisogno di un Presidente del Consiglio eletto direttamente (o il cui nome venga indicato sulla scheda) né di altre forme che vadano verso un'ulteriore personalizzazione; occorre bensì un maggiore equilibrio che dia più poteri rispetto ad un'ipotesi di governabilità, pur tenendo conto concretamente anche della questione della rappresentanza.
Questo tema non solo ci trova disponibili, ma è anche alla base del ragionamento da noi avanzato, in termini di proposte, nella scorsa legislatura e, in termini emendativi, in quella attuale, anche con le proposte di legge presentate in questi giorni.
Anche in relazione alla questione del superamento del bicameralismo perfetto noi non poniamo difficoltà, e ci sono delle proposte in merito anche da parte nostra.
È necessario rivedere tutta la partita del Titolo V alla luce non solo di quelle che, da parte nostra, sono state opinioni contrastanti già nel passato, ma anche delle verifiche concrete connesse alle pronunce della Corte. Anche questo mi pare sia abbastanza scontato e, ferme le caratteristiche che venivano indicate, ci trova d'accordo.
In merito all'articolo 51, a mio avviso non si tratta di un problema di sistema elettorale, ma di un problema di volontà politica. L'attuale legge elettorale, che ha tantissimi difetti, con l'indicazione dei nomi nella scheda era quella che si prestava, più di ogni altra, ad una elezione paritaria fra uomini e donne; la cosa sarebbe stata facilissima, invece non è stata possibile a causa di una contrarietà manifestata non solo su una norma antidiscriminatoria al 50 per cento, ma persino su una quota, ridotta, del 30 per cento. C'è ostilità verso l'introduzione delle sanzioni, e questo è un punto politico che pone il nostro paese in una condizione di grande arretratezza. Con il sistema uninominale il discorso della parità sarebbe molto più complicato, ma comunque possibile: semplicemente, alcuni sistemi elettorali si prestano, meglio di altri, alla sua attuazione.
Vorrei, infine, esprimere un'opinione tutta politica che, probabilmente, mi vedrà in minoranza; comunque, ritengo sia giusto esporla, perché quando si fanno i bilanci bisogna farli fino in fondo. Per quanto riguarda le circoscrizioni estero, concordo sull'esigenza di trasparenza: bisognerebbe avere il coraggio di dire che è stata una scelta sbagliata allora, che si conferma sbagliata oggi: è decisamente discutibile che rappresentanti esteri debbano partecipare quantomeno alla fiducia al Governo.
Ragioniamo pure su tutto il resto, ma che i nostri concittadini, all'estero ormai da anni, debbano essere determinanti per le sorti del nostro Governo è discutibile, come tutti abbiamo avuto occasione di verificare.

MARIO VALDUCCI. Signor presidente, signor ministro, colleghi, vorrei dire due parole sul referendum: come ricordava il ministro Chiti, il referendum non risolve i limiti dell'attuale legge elettorale, anzi, personalmente ritengo che li peggiori. Per questo motivo, non è sicuramente il mezzo idoneo per superare l'attuale sistema elettorale.


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Temo molto che, se continuiamo con questi tempi, conseguiamo l'obiettivo di fare per via parlamentare una riforma della legge elettorale: sono passati quattro mesi dall'inizio delle consultazioni, che oggi hanno visto il ministro portarci una relazione.
Penso di poter dire - anche sulla parte elettorale, molto delineata e dettagliata - molto più, magari, di quanto possa apparire ad un primo ascolto delle parole e della relazione svolta dal ministro; ma i tempi sono molto ristretti, se consideriamo che il mese di maggio sarà un mese di campagna elettorale; ciò, quindi, difficilmente ci consentirà un grande lavoro per trovare un accordo.
Sicuramente il clima politico è migliorato nelle ultime settimane, e spero e mi auguro che rimanga tale in futuro, perché senza un clima accettabile è difficile, su una materia così complessa dove aggettivo, sostantivo o preposizione possono comportare un differente meccanismo di calcolo, trovare una larga maggioranza.
Per quanto riguarda le riforme costituzionali della legge elettorale, vorrei solo dire che i tempi sono assolutamente diversi e non possiamo ritenere di inserire, nella legge ordinaria che riguarda il sistema elettorale, vincoli o connessioni con una riforma costituzionale che è in itinere - nell'iter parlamentare alla Camera o al Senato, quando sarà approvata la legge elettorale - perché lo riteniamo un fatto abbastanza pleonastico.
Peraltro, non si è mai vista nella storia repubblicana una legge ordinaria che faccia riferimento ad un eventuale diverso meccanismo nell'applicazione della legge ordinaria stessa, qualora si modifichi la Costituzione. Mi sembra qualcosa di abbastanza complesso.
Lei non ha parlato delle pluricandidature, che è un altro dei quesiti...

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Ho detto di escluderle...

MARIO VALDUCCI. L'ha accennato, mi scusi: sono stato disattento io.
Per quanto riguarda, più in dettaglio, la legge elettorale, siamo del parere che meno modifiche si apportano meglio è: ciò proprio per la difficoltà, cui accennavo prima, di trattare una materia così delicata. Vorrei tornare su alcuni punti che lei ha citato nella sua relazione introduttiva.
Innanzitutto, vorrei dire che condividiamo fortemente quanto lei ha detto sul bipolarismo; quindi, concordiamo sulla necessità di mantenere chiarezza, per il cittadino che va al voto, sul candidato alla Presidenza del Consiglio, sulle coalizioni che lo sosterranno e su un programma elettorale ben definito; a mio avviso, infatti, questo è ormai un elemento acquisito, e da noi molto apprezzato, che dovrà caratterizzare anche nell'iter parlamentare che verrà.
Vorrei sottolineare, tuttavia, alcuni aspetti che ci lasciano molto perplessi. In primo luogo, riteniamo, come già ricordato anche da chi mi ha preceduto, che si possano perseguire altre modalità per l'avvicinamento dell'eletto agli elettori, mentre la proposta che lei qui ci ha formulato mi sembra molto complessa e poco chiara, al punto da prevede addirittura un ridisegno dei collegi all'interno delle aree metropolitane. Insomma: mi sembra un elemento troppo «scivoloso» per una materia così delicata.
Capisco come, probabilmente, vi sia la necessità di riavvicinare il candidato parlamentare al territorio; comprendo anche come ciò sia difficile, e che molte forze politiche abbiano espresso contrarietà al rientro rispetto al voto di preferenza; tuttavia, possono essere seguite anche altre vie, rispetto al ridisegno delle attuali circoscrizioni, per andare in tale direzione senza prevedere, però, un meccanismo così complicato di collegi uninominali, di tre o sei candidati (a seconda delle province) o di spezzettamento dell'ambito metropolitano.
Poiché dobbiamo arrivare ad una larga intesa su questa materia, ritengo che tutto ciò debba essere contenuto nella proposta di legge stessa. Su questa materia, è difficile rinviare, attraverso leggi delega, all'operato del Governo; pertanto, anche il ridisegno dei collegi risulta abbastanza complicato.


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Il secondo aspetto sul quale nutriamo molti dubbi riguarda l'ipotesi in base alla quale, se ho ben capito quanto da lei detto, se la coalizione che vince le elezioni non raggiungesse il 40 per cento dei seggi (o dei voti, poi si vedrà in seguito) non verrebbe assegnato nessun premio di maggioranza.
Forse la legge attuale ci spinge molto al bipolarismo. Infatti, in teoria, al raggiungimento di qualsiasi numero di voti da parte della coalizione vincente, vengono ad essa assegnati 340 seggi. Effettivamente, possiamo condividere l'opinione che ci possa essere un «elastico» troppo lungo da tirare; però, affermare che una coalizione che risulta vincente, ottenendo il 39 per cento dei seggi o dei voti, non ha neanche diritto a conseguire il premio di maggioranza - cosa che potrebbe anche comportare, per questa coalizione, il mancato superamento della maggioranza assoluta dei seggi - è una condizione che non aiuta il mantenimento del bipolarismo. Al contrario, ciò spinge al tripolarismo, o a tutte le altre forme di assetto politico a cui noi non auspichiamo si debba arrivare.
Se da una parte, quindi, condividiamo la necessità di prevedere un limite inferiore del 40 per cento, dall'altra non condividiamo la proposta che non debba, in tal caso, scattare alcun premio di maggioranza.
L'altro punto sul quale noi riteniamo sussistano veramente enormi dubbi di costituzionalità - oltre al fatto che, secondo noi, anche ciò va verso l'incrinamento della posizione a favore del bipolarismo - è quello che qui viene chiamato in vari modi e del quale lei ha parlato nella sua relazione. Mi riferisco al fatto di stabilire che non scattino i premi di maggioranza qualora nei due rami del Parlamento si registrino maggioranze contrapposte, il che è assolutamente possibile, dato che, per le due Camere sono previsti requisiti diversi per l'elettorato attivo e passivo. Infatti, si parla di circa 5, 6 o 7 milioni di persone che votano per un ramo del Parlamento e non per l'altro: non si tratta di una quantità irrilevante di elettori!
Noi contestiamo tale proposta perché, per semplificare, ciò significherebbe che, in questo modo, i cittadini che non hanno diritto di voto in un ramo di Parlamento potrebbero influire anche sul voto per l'altro ramo dello stesso.
Ho portato questo esempio ma ce ne sono tanti, oltre al fatto che, se ciascuno di noi avesse voglia di andare a rileggere tutto il dibattito svolto nell'elaborazione della Costituzione, i due rami del Parlamento nacquero in modo totalmente separato, e l'esistenza dei due elettorati, attivo e passivo, sottolinea proprio tale diversità.
Il fatto, quindi, di ricongiungere, attraverso una norma di legge...

PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo, onorevole Valducci, ma ho bisogno di capire: ciò confermerebbe la necessità di superare il bicameralismo paritario?

MARIO VALDUCCI. Sì, presidente, io ho parlato solo di tempi diversi. Noi, d'altronde, abbiamo approvato una riforma costituzionale che, per larga parte, corrisponde comunque a quella che il relatore stesso ha citato, per lo meno nei capoversi; quindi, penso di poter affermare tranquillamente che non siamo contrari alla necessità di rivedere l'attuale Carta costituzionale. Personalmente, ritengo che forse alcuni aspetti, anche della prima parte della stessa, andrebbero rivisti, mentre sulla revisione della parte organizzativa non esistono assolutamente dubbi.
Ma è chiaro che i tempi, però, sono differenti: noi, infatti, dobbiamo approvare, entro sei mesi, una legge elettorale diversa, mentre le riforme costituzionali, solitamente, seguono un andamento differente. Mi riferisco solamente ad una potenziale modifica costituzionale che potrebbe favorire la possibilità di non avere una doppia maggioranza, e che consisterebbe nel far votare, anche per l'elezione del Senato, i cittadini che abbiano compiuto 18 anni.
Non vorrei, tuttavia, che toccando questo aspetto marginale, si aprisse una riflessione sull'intera problematica, che è giusto discutere, degli elettorati attivi e passivi (ad esempio, rivedendo i limiti di età, ovvero i 25 anni di età richiesti per il


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diritto di voto al Senato e i 40 anni per l'eleggibilità).
Anche la riforma costituzionale diventa, pertanto, una materia rilevante, sulla quale mi auguro si approdi ad una modifica sostanziale, anche se la storia recente e passata del paese non mi aiuta ad essere ottimista in tal senso.
Questi sono alcuni dei dubbi che ho voluto ricordare; l'ultimo, in particolar modo, mi sembra che evidenzi gravi aspetti di incostituzionalità. È vero che mi si può rispondere, non essendo io un costituzionalista, che le scelte del Parlamento lambiscono spesso i limiti della costituzionalità, tuttavia mi sembra che vi sia, sfiorando tali limiti, un punto oltre il quale non sia il caso di andare.
Auspico veramente, dunque, che il clima migliori, e spero che anche negli interventi che si attueranno in queste materie si guardi poco indietro e molto avanti. Se tutti noi dovessimo elaborare le nostre relazioni guardando indietro, infatti, difficilmente troveremmo il modo di rivedere questa legge elettorale.

MAURO FABRIS. Signor presidente, ringrazio il ministro Chiti per quanto ci ha relazionato stamattina. Potremmo dirci, non senza una qualche amarezza, che finalmente ce l'abbiamo fatta. Infatti, il giorno dopo la fine dei congressi dei due maggiori partiti di maggioranza e il giorno prima dell'avvio della raccolta delle firme referendarie, finalmente approda in Parlamento una discussione concreta, nelle sedi opportune, per procedere verso l'approvazione di quella riforma del sistema elettorale più volte sollecitata dal Presidente della Repubblica.
A noi dispiace molto che la maggioranza abbia aspettato, sbagliando, tutto questo tempo, ma penso che abbia fatto bene ad avviare nei mesi scorsi - sempre con lei, ministro - un confronto sul tema della riforma elettorale, che ritengo costituisca un ottimo lavoro. Non si è ancora capito perché quel lavoro abbia subito un rallentamento, se non addirittura uno stop, per dover successivamente ricominciare con le consultazioni formali svolte presso la Presidenza del Consiglio. Da questo punto di vista, penso che abbiamo lasciato veramente passare troppo tempo.
Ritengo che la sintesi cui si era giunti (qualcuno l'aveva anche letta, me compreso) fosse meno «scivolosa», come l'ha definita il collega Valducci, di quella che abbiamo ascoltato oggi in questa sede.
L'opposizione, peraltro, aveva manifestato qualche disponibilità anche al tempo, perché mi pare che si fosse talmente convinta che la cosiddetta «porcata» avesse così ben funzionato da ritenere fosse assolutamente il caso di cambiarla, onde evitare che, chiunque vinca le elezioni la prossima volta, si trovi nelle condizioni in cui versiamo noi adesso.
Avendo i colleghi dell'allora maggioranza - oggi opposizione - costruito quella legge in maniera mirata - come già detto hanno colto l'obiettivo - si sono resi conto, tuttavia, che ciò è estremamente pericoloso per garantire quella governabilità che tutti invocano: quindi, ora sono disponibili a lavorare insieme.
I tempi sono abbastanza stretti perché si dice che c'è il referendum. Ai colleghi che ne hanno parlato con toni di ammirazione vorrei sottolineare che, innanzitutto, noi parlamentari abbiamo il dovere di onorare lo stipendio che riceviamo e di svolgere il lavoro per cui siamo pagati (cioè, fare le leggi), senza tuttavia favorire, sostenere o incentivare gli appuntamenti referendari.
A chi è così entusiasta, vorrei far notare che se guardiamo come sono finiti, in passato, i referendum che avrebbero dovuto cambiare la storia, possiamo verificare come persino i loro promotori, oggi, si rammaricano, o comunque rimpiangono che gli obiettivi tanto sbandierati alla vigilia degli appuntamenti referendari non siano stati colti.
Non si tratta di un buon viatico, quindi, nemmeno per i cosiddetti referendari richiamare i precedenti, visto che, attualmente, tutti i promotori dei referendum di allora e di oggi sono qui a piangere, o comunque a dichiarare che questo finto bipolarismo adesso è sbagliato.
Infine, siccome si continua in maniera falsa a contrapporre i cittadini agli eletti,


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vorrei segnalare che può essere possibile che, con la raccolta delle firme, quella referendaria diventi una iniziativa «di popolo», ma per ora si tratta solamente di una iniziativa elitaria, promossa da qualche élite culturale di destra e di sinistra, con il sostegno di esponenti politici di destra e di sinistra già ministri o tuttora ministri.
Pertanto, prima di farci del male da soli - voglio dirlo in questa sede -, continuando a contrapporre la volontà del popolo alle volontà «retrive» di noi eletti, valutiamo la situazione per quella che è. Non è ancora dimostrato il contrario, perché la raccolta delle firme non è ancora partita, ma lo stato attuale delle cose sta esattamente nei termini che mi sono permesso di riferire.
Peraltro, tale iniziativa referendaria - al riguardo, condivido quanto precedentemente sostenuto da un collega - vedremo che fine farà, dato che, francamente, è più modificativa che abrogativa.
Ritengo assolutamente necessario, quindi, che il Parlamento - che, comunque, sarà chiamato ad intervenire in caso di referendum e di celebrazione della vittoria di chi vuole modificare la legge elettorale vigente - dica qualcosa su tale questione. Non possiamo sempre assistere, infatti, alla proposizione di quesiti referendari che vengono fintamente presentati come abrogativi e poi, di fatto, sono modificativi di volontà legislative espresse nelle sedi parlamentari.
Penso che su questo aspetto, a livello sia di Commissione, sia di Assemblea, una qualche affermazione si possa e si debba fare, per non passare sempre per quelli che sono chiusi in una «torre d'avorio», che non ascoltano, non vedono e non sentono: infatti, così non è. Da questo punto di vista, dunque, credo sia giusto spendere qualche parola chiara.
Prima di entrare nel merito di quella che è stata una serie troppo vasta di proposte (alcune delle quali addirittura alternative, poiché non ho capito le preferenze del ministro) presentate oggi in questa sede, vorrei chiedere il motivo per cui siamo qui. È solamente perché, come è stato affermato, c'è «la pistola» del referendum?
Ci troviamo qui perché anche noi siamo convinti che il sistema non funzioni. Si afferma che il sistema si è inceppato: si sarà inceppato questa volta, rispondo io. La volta precedente, infatti, il sistema ha funzionato.
Se la legge elettorale non fosse cambiata, visti i risultati della Camera e il fatto che un'ampia maggioranza si è manifestata, penso che, verosimilmente, il «trappolone» preparato per il Senato non sarebbe scattato e non diremmo che il sistema, questa volta, si è inceppato. Il sistema, infatti, si è bloccato questa volta proprio perché il sistema elettorale è stato costruito in modo da far sì che ciò accadesse.
Non siamo al tempo del referendum promosso da Mario Segni, quando nel paese c'era un clima culturale e politico che vedeva la fine della prima Repubblica o Tangentopoli, e chi più ne ha più ne metta! Siamo qui a dirci tra di noi che il sistema si è inceppato, ma sapendo bene che molti di quelli che lo affermano sono proprio coloro i quali hanno lavorato affinché potesse esservi tale risultato. Ciò per un calcolo politico evidente e dichiarato, apertamente, nel momento in cui l'allora maggioranza modificava la legge elettorale sul finire della scorsa legislatura.
Se si afferma che il sistema si è inceppato, vorrei tuttavia rilevare che la società non avverte ciò in maniera forte. Se bastasse tornare a far funzionare il sistema, allora riprendiamo a formulare delle valutazioni, con riguardo anche alla precedente legge elettorale, che ha dimostrato di funzionare anche nell'assorbimento del dissenso. Tale dissenso, infatti, non è stato represso, ma è stato assorbito.
Nella precedente legislatura, infatti, i partiti perdenti non venivano eliminati, ma venivano sconfitti in base alla logica dei numeri. Essendo la maggioranza abbastanza ampia, potevano esprimere le loro posizioni; dopodiché, alla conta in Parlamento, perdevano.
La verità che si vuole dire in questa sede è che si avverte un certo fastidio, a


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livello sempre di élite e di certe realtà politiche, rispetto a quella che viene definita, in maniera eufemistica, la «frantumazione». Si afferma, infatti, che vi sono troppi partiti.
Con molta serenità, vi dico che non voglio che la discussione sulla legge elettorale, ed eventualmente anche quella sulla riforma costituzionale, diventi l'occasione per risolvere, tramite una modifica legislativa, ciò che non si riesce a ottenere per via politica.
Non è ammissibile, infatti, che tutta la nostra discussione - che ci troviamo a reiterare oggi, mentre nei prossimi mesi potremmo anche scontrarci nel paese - sia sorta perché qualcuno ritiene di dover semplificare il quadro politico non tanto in virtù di ragioni o motivazioni forti e palesi (che io non riesco a vedere), bensì per il fatto che, per via politica, i cosiddetti grandi partiti non riescono a nascere e, quindi, bisognerà modificare la legge elettorale per favorirne, a destra come a sinistra, la nascita. Questo è un modo di procedere che trovo francamente inaccettabile e che sento di dover contestare. Mi sembra, infatti, che molte delle ragioni sin qui affermate nel dibattito a cui ho partecipato siano esattamente queste; altro non c'è, se non la volontà di rendere tutto più semplice.
Un politologo come Pasquino ha dichiarato: meno partiti ci sono, più democrazia c'è. Io non so su quali «testi sacri» si sia specializzato il professor Pasquino, ma, francamente, io sapevo il contrario. È evidente, tuttavia, che, essendo lui tra i promotori del referendum, nonché tra coloro che hanno un certo quadro di riferimento politico-culturale, ciò mi inquieta non poco.
Da questo punto di vista, credo che, senza ricercare «inciuci», scorciatoie referendarie, «strizzatine d'occhio» e leggi elettorali fatte a misura di partito, si debba affrontare ciò che non funziona, cercando di evitare di commettere quegli atti liberticidi che si vogliono consumare! Non so, infatti, come definire un referendum, sostenuto da troppi esponenti di maggioranza e di opposizione, che mira, sostanzialmente, a dare un ampio premio di maggioranza al primo partito della coalizione vincente.
Tra l'altro, mi fa sorridere che a sostenere questa tesi siano anche gli eredi di quel pensiero che definiva «legge truffa» la proposta maggioritaria di De Gasperi, il quale era e rimane un grande statista (Commenti del deputato D'Alia). Rispetto a questo tipo di proposta, vorrei osservare che siamo veramente al liberticidio! Proporre, infatti, che il premio di maggioranza - mi dispiace aver sentito qualche riferimento in merito anche dal ministro Chiti - venga assegnato al primo partito della coalizione, è qualcosa che fa venire i brividi. Ciò significa ottenere per via legislativa, come detto, quello che non si riesce a ottenere per via politica.
Ritengo, quindi, che la riforma elettorale debba essere varata con un largo consenso. Di fronte, però, alla situazione che si è creata, in cui vi sono troppi ammiccamenti e tatticismi, penso, signor ministro, che avrebbe dovuto presentare oggi in questa Commissione una proposta maggiormente definita, sulla quale misurarci con i colleghi dell'opposizione, così come fece il precedente Governo.
Ricordo, infatti, che il precedente Governo raccolse al proprio interno un orientamento e si assunse la responsabilità di presentarsi in Parlamento con una proposta. Noi, allora all'opposizione, l'abbiamo contrastata, ma non per questo abbiamo gridato allo scandalo nel momento in cui la maggioranza di allora avanzò comunque una propria proposta di riforma.
Allo stesso modo avremmo dovuto fare noi. Come il ministro e i colleghi sicuramente sanno, in effetti nella maggioranza una sintesi era stata trovata. Dopo il lavoro istruttorio, infatti, avevamo trovato un punto su cui poterci confrontare con tutto il Parlamento e, quindi, anche assieme ai colleghi di opposizione. Non capisco perché, oggi, tale proposta non sia stata avanzata ed espressa in maniera chiara in questa sede, senza presentare alternative plurime, al fine di confrontarci con i colleghi.


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Da questo punto di vista, devo dire che noi, come altri gruppi di maggioranza, aspettavamo con una certa ansia questo appuntamento. Prendo atto, oggi, che la situazione è questa. Mi pare che si voglia continuare a perdere tempo in discussioni. Se non c'è una proposta chiara, allora fanno bene i colleghi dell'opposizione non solo a porre domande, ma anche a chiedere quali siano gli obiettivi, le proposte e i disegni che si prevedono. Ciò, infatti, vuol dire ricominciare ogni volta dal punto di partenza, e a mio avviso non va assolutamente bene.
Noi avevamo aspettato prima di avanzare qualsiasi tipo di proposta per rispetto nei confronti sia dell'iniziativa assunta dal senatore Calderoli, che noi condividiamo, sia di questo lavoro istruttorio della maggioranza di cui facciamo parte e che oggi si sarebbe dovuto materializzare. Se ciò non è avvenuto, mi sembra evidente che ciascuno di noi dovrà pensare al futuro e al dibattito che oggi si avvia nei tempi e nei modi indicati dal presidente Violante.
Per quanto riguarda il mio gruppo, quindi, valuteremo se presentare, anche con la nostra firma, un testo, che abbiamo condiviso anche con altri gruppi, per far sì che non si dica che mancano gli elementi di confronto. Non vorrei, infatti, che, una volta finita questa riunione, durante le singole dichiarazioni dicessimo che, mancando i termini del confronto, bisogna continuare a discutere. Non è così: penso che sia giunto il momento di mettere un punto preciso su questa discussione per incominciare ad entrare nel merito. Prima di noi spetterà al Senato. Noi abbiamo altri temi già iscritti all'ordine del giorno della Camera, tuttavia vorrei evitare che i colleghi del Senato si trovassero nuovamente in un marasma in cui non si sa bene chi vuole che cosa!
È bene, allora, che chi vuole proporre delle soluzioni lo dica in maniera chiara e lo metta nero su bianco; dopodiché, il confronto in Parlamento si svolgerà proprio per tale motivo. Auspico la più ampia convergenza.
Condividiamo, come altri, l'ipotesi della fine del cosiddetto bicameralismo perfetto. Siamo perfettamente d'accordo, inoltre, per la riforma in senso federale del Senato, così come proposta dal ministro Chiti e suggerita, in maniera opportuna, dal presidente Violante. Vogliamo sicuramente che si garantisca la rappresentatività, poiché, come già detto, non condividiamo l'impostazione del professor Pasquino. L'Italia della prima e della seconda Repubblica è il paese in cui, quando si è tentato di comprimere i partiti, si è assistito alla loro crescita. Con il sistema maggioritario prima e con il sistema attuale dopo, infatti, i partiti sono cresciuti e non sono affatto diminuiti. Non capisco peraltro la posizione di coloro i quali vogliono ridurre questa rappresentatività, sostenendo che, in questo modo, si avvicinerebbe di più il cittadino all'eletto. Sono gli stessi che non vogliono introdurre il sistema delle preferenze, il quale garantirebbe ancor più la democrazia e la rappresentanza degli elettori.
Infatti, se ci togliete anche la possibilità di essere rappresentati e mantenete le liste bloccate, come avete fatto in questa occasione, allora potete anche riunirvi in una stanza in due e decidere come deve essere composto questo nostro Parlamento!. Ritengo ciò inaccettabile. Queste due ipotesi costituirebbero, insieme, veramente un gravissimo attentato alla rappresentatività di un Parlamento che dovremmo eleggere con nuove norme.
Noi siamo favorevoli, inoltre, ad assicurare la governabilità. Siamo, quindi, assolutamente d'accordo sul fatto che le alleanze siano definite, pur nell'ambito di un sistema parlamentare, prima dello svolgimento delle elezioni.
Da questo punto di vista, signor ministro, lei ha reso affermazioni sicuramente condivisibili; in alcune di esse ci riconosciamo, mentre non ne condividiamo assolutamente altre. Non ci ha dato, comunque, un quadro di riferimento preciso su cui svolgere quel lavoro che speravamo di poter avviare oggi. Devo dire con forza, tuttavia, che condividiamo due questioni meno di tutte.
La prima è la fissazione di una soglia di sbarramento al 5 per cento a partire dalla XVII legislatura. A parte che, se si


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continua così - o meglio, se si torna indietro -, le legislature potrebbero anche consumarsi in pochissimo tempo e, quindi, la XVII potrebbe incominciare a breve. Se dovessimo tornare ad adottare certi sistemi, è evidente che non è il numero delle legislature a far cambiare il quadro, ma che i percorsi sono altri. Da questo punto di vista, potrebbe trattarsi di una data piuttosto ravvicinata.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. La XVI o la XVII legislatura?

MAURO FABRIS. La XVII legislatura. Ricordo che, in passato, in cinque anni si facevano anche tre o quattro legislature, per cui, a mio avviso, non è il numero delle legislature a contare.
La nostra critica riguarda la soglia del 5 per cento. Avete parlato di salvaguardia del bipolarismo, cosa che contesto: ma perché, allora, fissare uno sbarramento del 5 e non del 10 per cento? È un riferimento che non ho capito, se non sulla base di qualche proposta isolata, proveniente da qualche gruppo di opposizione.
Il secondo punto è il superamento preciso del sistema bipolare che lei ha invocato, mantenendo tuttavia fermo, fintanto che è possibile, il cosiddetto sistema bipolare nel suo complesso. L'esperienza francese di queste ore dimostra, infatti, che, molto spesso, voler forzare la mano e immaginare uno schema che piace a noi non corrisponde alla realtà. Da questo punto di vista, quindi, sono favorevole a garantire la governabilità, ma non a irregimentare tutto nell'ambito di una visione ancora una volta «bipolarista».
Signor presidente e signor ministro, credo, dunque, che, senza fare gli esterofili, si possa ripartire dalle proposte concrete valutate nei mesi scorsi. Il sistema adottato nelle elezioni regionali, ad esempio, ha dimostrato di poter funzionare bene, introducendo le modifiche al bicameralismo che in questa sede sono state illustrate. Il punto di partenza potrebbe essere veramente concreto, senza ulteriori perdite di tempo, a meno che, in maniera non dichiarata, non si voglia far sì che non solo la raccolta delle firme si compia, ma che effettivamente il referendum - Corte costituzionale e Corte di cassazione permettendo - possa celebrarsi.
In tal caso, anche noi, come hanno già annunciato i colleghi del gruppo dell'UDC, ci batteremmo per l'astensione. Penso, però, che prima di allora, in questo Parlamento ci si debba assumere responsabilità, anche rispetto agli impegni - lo dico con molta serenità, perché ne va del ruolo che abbiamo ricoperto e che tuttora ricopriamo - di maggioranza che erano stati presi.

GIACOMO STUCCHI. Signor presidente, ringrazio anch'io il ministro Chiti per la relazione, per i contenuti e gli spunti in essa racchiusi. Mi scuso in anticipo se non potrò ascoltare la replica del ministro, dato che a mezzogiorno è convocato l'Ufficio di presidenza e dovrò recarmi in quella sede.
Noi concordiamo su parte degli indirizzi, delle linee guida e degli obiettivi che la riforma presentata dal ministro contiene. Questa riforma elettorale è senz'altro un banco di prova importante non solo per la maggioranza, ma anche per tutte le forze rappresentate in Parlamento. Vi sono alcuni punti pienamente condivisibili, mentre altri lo sono meno, e ve ne sono altri che, sicuramente, necessitano di un'analisi più approfondita.
Su questa base, signor ministro, da parte nostra vi è la disponibilità a lavorare concretamente e celermente - mi rivolgo anche al presidente Violante, ben sapendo che la discussione verrà svolta al Senato - per raggiungere l'obiettivo perseguito da questa riforma.
Non nascondiamo la nostra preoccupazione circa il referendum e le ripercussioni politiche che esso potrebbe comportare. È un referendum sostenuto palesemente da alcuni soggetti, meno e in maniera forse più ambigua da altri. Si tratta di un referendum sulla legge elettorale che avrebbe come unico risultato, a parere nostro, di cancellare dalla vita politica nazionale e da questo Parlamento - o quanto meno, di ridurne la portata e


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l'importanza - partiti e movimenti politici che sono sì «scomodi», ma che sono anche portatori di istanze politico-territoriali condivise da tantissimi cittadini. È un referendum, quindi, che, da questo punto di vista, si può ritenere politicamente pericoloso.
Ciò che è più semplice fare, quindi, è mettersi al lavoro e partire proprio dalla legge elettorale.
Lei ha elencato, inoltre, altri provvedimenti - su cui è necessario prestare attenzione - per varare modifiche costituzionali, nonché nuovi interventi legislativi, finalizzati a superare determinate situazioni e avvicinare maggiormente i cittadini agli eletti, vale a dire ai loro rappresentati all'interno delle due Camere. Le proposte in materia di pari opportunità, di voto degli italiani all'estero e di finanziamento ai gruppi ad inizio legislatura sono tutte interessanti, compresa quella che riguarda la legge sui partiti politici, che è un argomento degno di interesse che deve essere affrontato.
Bisogna, tuttavia, partire dalla riforma della legge elettorale. La serietà che verrà dimostrata nell'affrontare questa tematica sarà il banco di prova anche per tutti i passaggi successivi. Naturalmente, bisognerà poi vedere i contenuti dei vari provvedimenti, a cominciare dal testo scritto che ci verrà sottoposto dopo questa enunciazione di principi e di indirizzi resa quest'oggi e già anticipata in altre sedi.
Da parte nostra riteniamo che si possa svolgere un lavoro per offrire risposte, nell'interesse pubblico complessivo. Siamo interessati, pertanto, a ragionare a 360 gradi con il ministro.
A questo punto, però, c'è un fattore fondamentale: il tempo. Serve, infatti, avere rassicurazioni sui tempi. Tale fattore è fondamentale e potrebbe impedire la presentazione e l'approvazione di proposte di legge che tutti, o almeno gran parte di noi, ritengono necessarie. Esse, tuttavia, potrebbero trasformarsi in provvedimenti normativi non per nostro intervento, ma per opera dei cittadini, tramite il referendum.
Quella del tempo, signor ministro, è sicuramente la questione dirimente per dimostrare la serietà e la volontà di procedere sulla strada della riforma.

ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Signor presidente, ringraziamo il ministro Chiti del lavoro svolto, che consideriamo - come abbiamo detto anche altre volte - incessante e serrato.
Manifestiamo, tuttavia, stati d'animo che, francamente, oscillano fra l'imbarazzo e lo sconcerto. Dopo una precedente riunione, infatti, avevamo maturato il convincimento che vi fosse un orientamento preciso che muovesse, in modo inequivocabile, verso un epilogo che mi pare, però, non trovi corrispondenza nella sua relazione.
Sono assolutamente convinto del metodo seguito: l'Italia, infatti, deve necessariamente uscire da questa lunghissima ed interminabile transizione. Ciò sarà possibile finendo, una volta per tutte, di essere subalterni alla cultura dei politologi - da Sartori a Pasquino - i quali, da più di un decennio, tentano di assestare il sistema politico italiano attraverso riforme elettorali. Non è così che giungeremo alla soluzione: occorrono, infatti, riforme istituzionali su cui costruire una legge elettorale adeguata e calzante.
Lei, signor ministro, ha delineato correttamente le questioni ed ha svolto la sua relazione partendo da un quadro di riforme costituzionali che, come alcuni colleghi hanno sottolineato, ipotizzano nuovamente uno scenario da «grande riforma» (di Stato e di Governo), vale a dire una propensione all'abbandono del parlamentarismo a favore del presidenzialismo. Ciò che non condividiamo radicalmente, è il potere del Presidente del Consiglio di chiedere la fiducia e di sciogliere le Camere, nonché di superare il bicameralismo perfetto. Sono, però, tutte questioni, signor ministro, che implicherebbero altri interventi: la sfiducia costruttiva, la fiducia concessa soltanto al Presidente del Consiglio o altri interventi che, ad esempio, postulano il principio dell'assenza di vincolo di mandato per i parlamentari.


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Si tratta, quindi, di proposte molto serie e importanti. Alcune ci vedono assolutamente d'accordo da tempo, come il superamento del bicameralismo perfetto, ma su altre manifestiamo la nostra contrarietà.
Pensavo che si partisse e si tenesse fermo l'obiettivo, più volte dichiarato, della semplificazione e della razionalizzazione del funzionamento del Parlamento, legandolo, ovviamente, alla stabilità del Governo. Si tratta di esigenze che, credo, tutte le forze politiche ed il Governo, per sua parte, hanno posto all'ordine del giorno.
Ritengo abbia assolutamente ragione il presidente Violante, quando sostiene che la chiave di volta di tutto è il superamento del bicameralismo perfetto. Esso riesce, innanzitutto, a sgombrare dal campo tutti quegli inconvenienti, alcuni molto seri a cui accennava anche l'onorevole Valducci. Se, però, siamo d'accordo nel ridisegnare un nuovo ruolo del Senato, attribuendogli una nuova funzione costituzionale (il che non vuol dire far diventare il Senato un'altra Camera che attribuisce la fiducia e concorre alla nascita dei governi), è chiaro che tutto diventa più facile: per esempio, la riduzione del numero dei senatori, anziché dei deputati. Non trovo corretto, infatti, legare i due aspetti, vale a dire la riduzione dei membri di entrambe le Camere. Se si muta il ruolo del Senato, questi diventerà la Camera delle autonomie. Noi possiamo serenamente prevedere una riduzione, ma, in questo modo, la Camera politica per eccellenza diverrà la Camera dei deputati, ed è lì che sarà possibile misurare la vera rappresentanza politica del paese. Incidere sulla riduzione dei membri, mi sembra francamente una decisione troppo forte.
A questo punto, sarebbe molto semplice - ciò è stato proposto, e mi pare che anche il collega D'Alia abbia detto cose condivisibili; non tutte, ma, dal mio punto di vista, alcune lo sono - ipotizzare un sistema elettorale proporzionale puro per il Senato, il che risolverebbe veramente il problema sotto ogni profilo. Noi siamo davvero d'accordo nel procedere a varare riforme costituzionali di quella portata, signor ministro?
Credo che manchi una cultura condivisa innanzitutto per ciò che riguarda la forma di governo. I costituenti furono, in larghissima parte, a favore del regime parlamentare, ma oggi in Italia e in questo Parlamento tale cultura condivisa non c'è. Siamo divisi, infatti, tra chi ancora privilegia e difende un regime parlamentare, vale a dire un Governo basato sulla fiducia delle Camere e chi, invece, punta al presidenzialismo. Si tratta di due impostazioni politico-culturali e giuridiche di fondo che rendono difficile raggiungere una mediazione. Credo che sul superamento del bicameralismo l'accordo si possa raggiungere.
Vorrei affrontare, a questo punto, il tema della legge elettorale. Se modificassimo il ruolo del Senato, allora avremmo soddisfatto anche l'altra esigenza. In altri termini, avremmo snellito il funzionamento del Senato, ridotto il costo della politica, attribuito un vero e forte ruolo al Senato e raccolto l'impostazione federale che viene da alcune forze politiche.
La Camera dei deputati, invece, resterebbe il ramo del Parlamento che intratterrebbe il rapporto fiduciario con il Governo. In tal modo, avremmo risolto il problema della stabilità.
Paradossalmente, osservo che ciò lo assicura anche il «porcellum» in vigore. Alla Camera, infatti, non vi è un problema di stabilità per la coalizione che vince, per la quale è tutto molto più semplice.
Esiste una tendenza ad aggrovigliare i temi che non aiuta e non conduce alla soluzione dei problemi. Siamo partiti muovendoci per ottenere gli obiettivi della stabilità e del bipolarismo, ma poi rischieremmo di perderli per strada se toccassimo tutto.
Devo dire, francamente, che in realtà il centrodestra sarebbe anche favorevole a modificare la vigente legge elettorale. Per una eterogenesi dei fini, infatti, al Senato avrebbero vinto loro, avrebbero centomila voti in più, avrebbero dovuto avere la maggioranza e, invece, c'è una sostanziale parità, o una prevalenza debole dell'Unione, grazie a quel meccanismo e al voto degli italiani all'estero. Sono stati due


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strumenti che il centrodestra ha voluto, tuttavia, a causa dell'eterogenesi dei fini, in realtà gli si sono ritorti contro.
Chiedo ai colleghi dell'opposizione, dunque, se intendano continuare così. Credo di no, però non mi convince la proposta avanzata dal ministro. Come dicevano benissimo gli onorevoli Boato e Fabris, lo sbarramento per le circoscrizioni per l'elezione del Parlamento nazionale francamente non si giustifica, e induce ciascuno di noi a pensare che vi siano altri fini e altri strumenti di semplificazione, forzosa e forzata, del quadro politico, sui quali, tuttavia, non possiamo essere d'accordo.
Siamo d'accordo, per esempio, a discutere su un graduale innalzamento della soglia di sbarramento. Ribadisco, signor ministro, l'aggettivo «graduale». Propongo di elevarla già dalla prossima tornata elettorale, al 2,5 per cento, in attesa di vedere, alla luce delle novità politiche, come il sistema politico italiano si assesti naturalmente, e non forzatamente, attraverso sbarramenti e riforme elettorali. Credo si tratti di una scelta di buon senso, molto seria e rigorosa.
Al tempo stesso, non possiamo condividere nel merito la proposta che di eliminare da subito lo strumento - che, in effetti, non è accettabile, poiché è una «furbata» - del recupero del miglior perdente, rinviando ad un momento successivo la negoziazione della soglia di sbarramento.
Secondo noi, ad esempio, sarebbe molto più utile, abolendo il meccanismo del recupero del miglior perdente e stabilendo la soglia di sbarramento, far accedere al riparto dei seggi le forze politiche che presentano una consistenza elettorale notevole in alcune parti del paese e che, in due o tre regioni, superino di gran lunga la soglia minima di sbarramento. Si tratterebbe di un modo per eliminare le «furbate» e dare una risposta seria alle forze a carattere regionale.
Regionalizzare o «balcanizzare» - come qualcuno ha affermato - il Parlamento, francamente è una soluzione che non ci trova d'accordo. Siamo, invece, assolutamente favorevoli alla previsione di «penalità» per assicurare concretamente la presenza delle donne nelle istituzioni. Non condividiamo, quel sistema farraginoso, complicato e incomprensibile delle circoscrizioni che prevedano, al proprio interno, i collegi, poiché si creerebbero doppi livelli di sbarramento: uno legale ed uno sostanziale.
Non abbiamo alcun timore del referendum. Secondo la mia personalissima opinione, sussistono tutti gli estremi affinché la Corte costituzionale lo giudichi inammissibile. Questo è non un referendum abrogativo, ma un micidiale e luciferino «taglia e cuci», che propone una disciplina elettorale che ha immediate ricadute sulla Carta costituzionale. Si potrebbe giungere, infatti, al risultato aberrante di una lista di maggioranza relativa che prende tutto, con ricadute anche sul rapporto fiduciario tra Governo e Camera. Noi abbiamo il compito di dire «basta» a queste fughe referendarie, poiché umiliano e mortificano lo strumento stesso del referendum.
Concludo dicendo cosa vorremmo: superamento del bicameralismo perfetto; diverso ruolo del Senato della Repubblica; riduzione del numero dei senatori; elezione del Senato con un sistema proporzionale puro, mutando i requisiti dell'elettorato attivo e passivo; legge elettorale proporzionale alla Camera che preveda un premio di maggioranza ed una soglia di sbarramento che può, gradualmente, essere aumentata nelle legislature successive, in attesa dell'assestamento naturale e non forzato del sistema politico. Mi riferisco, in sostanza, al modello regionale di cui si è parlato con riferimento alla sua bozza, signor ministro, e che vorremmo leggere. Vorremmo, inoltre, aggiustamenti minimi alla legge elettorale per la Camera con la modifica del sistema del recupero del miglior perdente, sostituendo quest'ultimo con chi dimostra una forza elettorale consistente in alcune parti del paese.
Crediamo che tutto ciò possa assicurare un Parlamento più agile e più snello, minori costi della politica, stabilità dei Governi, bipolarismo e pluralismo vero. In tal modo, non si verificheranno strane situazioni, come succede in Francia, dove si assiste al fenomeno sociale delle


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banlieue parigine, a causa di un Parlamento ingessato e surreale, che non rappresenta assolutamente l'articolazione della realtà sociale francese.

FELICE BELISARIO. Chiedo scusa al presidente e al ministro, ma pensavo che, questa mattina, avremmo cominciato a ragionare di riforma elettorale, anziché rimettere in campo un dibattito politologico dagli sbocchi indefiniti e anche un po' confusi.
Ci siamo detti, infatti, che la XV legislatura ha il compito, alto e complicato, di varare una nuova legge elettorale congiuntamente a ritocchi sostanziali della Costituzione per le materie che vanno non dico ad incidere, ma a toccare la stessa legge elettorale.
Questa difficoltà e tale complicazione appaiono evidenti nella relazione del ministro Chiti, che ringrazio per l'applicazione e per lo sforzo, che ho colto, nel voler venire a capo delle diverse, e spesso contrapposte, tesi. Complessità che, poi, è aumentata in maniera oggettiva, a partire da un referendum capzioso e imbroglione. Tutte le iniziative referendarie, ovviamente, meritano rispetto, perché tendono a dare al cittadino elettore la possibilità di incidere sul sistema legislativo. Come diceva in maniera chiara l'onorevole Licandro, però, questo è un «taglia e cuci» luciferino, di cui soltanto una stampa «teleguidata» non evidenzia l'aspetto fortemente incostituzionale che emerge. Ci troviamo di fronte, infatti, non a un referendum abrogativo, ma ad un quesito referendario che cerca di introdurre un nuovo sistema elettorale.
A nome del gruppo de l'Italia dei Valori, quindi, cercherò, a questo punto, di essere sintetico e schematico, dato che, probabilmente, vi saranno altre sedi nelle quali discutere.
Siamo certamente d'accordo sulla necessità di garantire stabilità e coesione alla coalizione, la quale non può essere, tuttavia, assicurata attraverso sistemi elettorali. La politica, infatti, deve fare sintesi, senza utilizzare né cesoie, né mannaie, né raggruppamenti «forzosi».
Condividiamo la proposta di garantire la funzionalità del Governo, attribuendo più poteri al Presidente del Consiglio. Vorrei ricordare che questa è una Repubblica né presidenziale né semipresidenziale, ma parlamentare; pertanto, la centralità del Parlamento deve essere comunque assicurata e rafforzata. Essa va rafforzata, infatti, rispetto a quanto è successo nella legislatura precedente, nonché a quanto si avvia a succedere in quella in corso, nella quale è normale che il Governo diventi guida del Parlamento, e non un potere differente da questo.
Con questi dati di partenza, dunque, possiamo introdurre qualche riforma elettorale e non costituzionale. Ciò non nel tentativo di procrastinare il termine naturale la legislatura (questo lo vedremo nel corso dei lavori), ma perché, probabilmente, i costi della politica vanno ridotti. Snellire un Parlamento così ampio e così numeroso, in presenza di autonomie territoriali (le regioni) che non c'erano al momento in cui la Repubblica è nata, grazie ai poteri, alle competenze e alle deleghe proprie delle regioni stesse, è, infatti, un intervento che dobbiamo realizzare.
Stesso discorso vale per il limite di età fissato per l'elettorato attivo e passivo al Senato, che è giusto ridurre a 18 anni per il primo ed a 25 per il secondo.
È bene chiudere questa espressione nuova del bicameralismo paritario. Io sono affezionato al bicameralismo «perfetto», perché così l'ho studiato sui manuali di diritto costituzionale. Ritengo giusto ciò perché, a volte, il meccanismo legislativo diventa farraginoso e paralizzante.
In merito al Senato delle autonomie, o Camera delle autonomie (lo definisco Senato per individuarlo meglio), vorrei capire fino in fondo questo sistema misto di soggetti eletti direttamente dai cittadini e di rappresentanze di secondo livello, vale a dire tutti coloro che sono designati dai consigli regionali, piuttosto che dalle associazioni di province e dei comuni, perché potremmo creare dei meccanismi legislativi non proprio virtuosi. A titolo personale, da vecchio cultore di materie giuridiche, sostengo che il sistema elettorale proporzionale


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- e non intendo, con tale asserzione, impegnare il gruppo di appartenenza, poiché si tratta di una riflessione personale che desidero svolgere - esalta la rappresentanza delle diverse sensibilità, esaspera le identità e, spesso, le coalizioni ne hanno un oggettivo svantaggio.
Essere parlamentare del proprio partito è diverso dall'essere un parlamentare eletto in un collegio rappresentando un'intera coalizione. Queste cose dobbiamo dirle, così come dobbiamo precisare che la precedente legislatura, nonché quella ancora prima, è giunta comunque alla scadenza naturale prevista dalla nostra Costituzione.
La riduzione della frammentazione, signor ministro e colleghi, non può avvenire per atto autoritativo o legislativo. Al riguardo, condivido ciò che l'onorevole Fabris ha puntualizzato, nonché quanto, dopo di lui, ha asserito l'onorevole Licandro. Noi siamo convinti, infatti, che non possiamo avere una miriade di partiti e che bisogna semplificare il quadro politico. Lo affermiamo noi, che non siamo una forza numericamente «grande». Tutto ciò va fatto, come sappiamo, perché le istituzioni devono poter lavorare al meglio, senza pressioni e senza l'esaltazione del particolare. Questo, tuttavia, deve essere realizzato con il consenso e non con le forbici! Noi desideriamo insistere su questo punto.
Cosa non ci convince di questa novità (a me è parso di leggere come tale la riforma elettorale che lei ci ha illustrato questa mattina)? Non ci convince il sistema degli sbarramenti a livello di circoscrizione elettorale. Noi vorremmo esaminare il testo scritto in quanto, nella simulazione, io intravedo un doppio sbarramento e, a livello circoscrizionale, persino la possibilità che vi siano forze politiche che, pur superando uno sbarramento (ad esempio, quello del 2 per cento), comunque potrebbero non eleggere alcun parlamentare. Questo è, più o meno, ciò che si è verificato al Senato in questa tornata, ma io lo prevedo in senso assoluto. Su questo tema, ministro, sarebbe interessante vedere lo schema e, anche, i calcoli.
Sono d'accordo, come del resto tutti, sul fatto che i nostri connazionali residenti all'estero debbano essere rappresentati e contare nel Parlamento italiano. Tuttavia, dobbiamo evitare qualche anomalia, come i colleghi intervenuti hanno sottolineato precedentemente. Probabilmente, bisognerà rivedere il loro livello di rappresentanza e di rappresentatività.
Condivido tutta la parte «di sostanza». Tutto ciò che può funzionare, affinché tutto funzioni meglio - perdonatemi il bisticcio di parole! - facciamolo, ma in tempi brevi e con proposte organiche! Credo che anche il Parlamento debba cominciare a discutere. Al riguardo, ha fatto bene il presidente Violante a imprimere un'accelerata, perché nessuno di noi vuol «menare il can per l'aia» e procrastinare decisioni che vanno assunte oggi e non domani. Facciamolo, però, sapendo qual è l'obiettivo da raggiungere. Mi rivolgo alla mia maggioranza, ma anche all'odierna opposizione: si tratta di una legge che va realizzata per essere valida oggi, domani e dopodomani. Non siamo più nelle condizioni, infatti, di variare una legge elettorale a seconda delle convenienze e delle opportunità di questa o quell'altra forza politica, esistenti o da costruire.

ROBERTO ZACCARIA. Signor presidente, dopo aver ascoltato, in maniera diligente, tutti gli interventi successivi alla relazione del ministro Chiti, vorrei dire che se qualcuno avesse avuto dubbi sulla difficoltà di dare vita ad una legge elettorale largamente condivisa, avrebbe dovuto seguire questa seduta, o collegarsi via satellite, per avere una meticolosa conferma. Tuttavia, ciò non ci sorprende. Da questo punto di vista, dobbiamo capire che si tratta soltanto di un esordio, sul terreno parlamentare, del confronto su tale materia.
Desidero ringraziare sinceramente il ministro Chiti perché credo sapesse, in qualche modo, che, nel corso della riunione di oggi, avremmo dovuto prevalentemente parlare - non perché sia facile scindere i due argomenti - dei princìpi costituzionali che andavano affrontati. Il


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ministro, infatti, era informato - ed il presidente Violante lo ha ribadito - che in questa sede, per un accordo tra gli Uffici di presidenza di Camera e di Senato, si era deciso di discutere, prevalentemente, di tale capitolo.
È stata singolare la sua pausa durante l'esposizione della relazione. Essa deriva non soltanto da una forma di rispetto per il bicameralismo, ma anche dalla consapevolezza di quanto la materia elettorale sia delicata. Per quanto possa sembrare strano, i princìpi che il ministro ha richiamato, nella sua introduzione, hanno trovato un largo consenso. Scendendo dall'applicazione di quei princìpi ad un livello immediatamente successivo, si determinano incertezze legate ad inevitabili incomprensioni.
Segnalo che, ad un certo punto, io stesso avevo segnato quota maggioritaria e quota proporzionale, ma in seguito mi sono consultato con i miei vicini perché, in realtà, il ministro aveva semplicemente usato l'espressione «maggioritaria» facendo riferimento non al sistema di computo dei voti, ma ad un altro aspetto.
Mi rendo conto che il mio intervento, arrivando alle 12,30, non avrà un grande effetto sul metodo. Noi avremmo dovuto, principalmente, discutere della parte dei princìpi costituzionali; invece, attirati dal piatto più «succoso», costituito dalla riforma elettorale, abbiamo finito per discutere quasi esclusivamente dell'aspetto della riforma elettorale stessa.
Mi dispiace per questa affermazione, ma rilevo che, così, rischiamo di perdere un'occasione, anche se ve ne saranno altre. Noi, infatti, stiamo affrontando tali questioni sulla base di una duplice indicazione. La prima, molto autorevole e significativa, proviene dal Presidente della Repubblica, il quale ha invitato il Parlamento a procedere al varo sia di riforme costituzionali, isolate e condivise, sia di una legge elettorale che consenta, nel momento in cui ve ne fosse l'occasione, di andare a votare, sulla base di un consenso altrettanto ampio.
Vi è, inoltre, la questione del referendum, che naturalmente anche oggi è stata sollevata in misura molto esplicita.
Voglio parlare chiaramente: io non sono tra coloro che hanno firmato il quesito referendario, in quanto sono convinto che tale quesito non sia una buona soluzione per i problemi che affliggono il nostro sistema elettorale. Credo che il nostro rapporto con il referendum non debba basarsi sulla sua probabile incostituzionalità. Può anche darsi che esso sia incostituzionale, ma voi sapete, colleghi, che, da un certo momento in poi, vi è una giurisprudenza della Corte, proprio sui referendum in questa materia, che ha fatto superare l'impostazione del referendum abrogativo e del referendum propositivo, poiché, in materia elettorale, la proposta di referendum non può che essere formulata in un certo modo.
Io non ho sottoscritto il referendum, non lo condivido e ritengo che l'unico modo possibile per batterlo sia quello politico. Il tempo a disposizione non è molto, come sappiamo, e vorrei sottolineare che parte non dal momento della raccolta delle firme, ma da quello - dopo il vaglio della Corte costituzionale - della celebrazione del referendum.
Se noi, come Parlamento e forze politiche, da ora fino a quel momento avessimo raggiunto un'intesa ampia e significativa, allora avremmo creato le condizioni per battere il referendum sul piano politico. Ciò non è facile, a giudicare da oggi, ma se trovassimo un'ampia intesa sulla materia elettorale, nonché su alcune questioni costituzionali, potremmo creare una piattaforma di consensi contro il referendum che, a mio parere, rappresenta l'elemento più logico per fronteggiare il referendum stesso; si tratterebbe, infatti, del risultato di un confronto politico.
Esistono tanti esempi di referendum svolti nel nostro paese, ma credo che un referendum democraticamente osteggiato da larga parte delle forze politiche - le stesse che possono trovare un accordo sulla legge elettorale -, non raggiungerebbe, in termini elettorali, il proprio obiettivo. A mio parere, infatti, la risposta


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al referendum non può essere né giurisdizionale, né di altra natura, ma soltanto politica.
Mi interessa molto conoscere l'agibilità del percorso costituzionale, che oggi abbiamo trattato in maniera un po' incidentale. Sto parlando in questi termini poiché l'onorevole Valducci - e, forse, in una certa misura, anche l'onorevole Bocchino - ha sottolineato alcuni aspetti, affermando che le riforme costituzionali sono, sostanzialmente, un'optional. Inoltre, egli ha ragione quando ha dichiarato che, nel nostro paese, abbiamo una legge elettorale che tocca sì la materia costituzionale, ma non è legata in maniera diretta all'assetto costituzionale.
Se quella elettorale fosse legata in maniera troppo stretta alla riforma costituzionale, vi sarebbe una specie di anomalia. Sarebbe il caso di una riforma elettorale sul modello di quella regionale, la quale presuppone una modifica di tipo costituzionale.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Zaccaria, ma, sulla base di quello che adesso lei sta illustrando, non è emerso un punto. Le forze che temono di essere escluse dal riparto dei seggi, per via di una legge che preveda una soglia di sbarramento troppo alta, dovrebbero riflettere sul fatto che, se superassimo il bicameralismo paritario, entrerebbero comunque al Senato. Vorrei osservare che si tratta di un punto sul quale non si è discusso.

ROBERTO ZACCARIA. Presidente, io la ringrazio, però (Commenti)...

PRESIDENTE. Il problema è un altro. Il fatto che la Camera dia la fiducia, non significa che il Senato non partecipi alla formazione del Governo e non vuol dire che il Governo non abbia interesse ad avere una maggioranza anche al Senato...

ROBERTO ZACCARIA. Scusate, il presidente mi ha interrotto e ha disperso il consenso che avevo cercato, faticosamente, di costruire (Si ride)! Voglio parlare del percorso, sottile, nel quale vorrei cercare di incamminarmi. Noi non dobbiamo individuare delle riforme costituzionali che siano necessarie per la legge elettorale, vale a dire che siano legate da una sorta di sinallagma inestricabile. Tuttavia, possiamo individuare un percorso volto ad apportare alcune modifiche costituzionali che, in qualche modo, rendano migliore il sistema nel suo complesso.
Per quanto riguarda le riforme costituzionali, di cui stiamo parlando, mi sembra di ricordare che qualcuno - non ricordo se Licandro o Belisario - abbia parlato della forma di governo parlamentare e di quella presidenziale. Noi sappiamo benissimo che non esiste questo schema alternativo (o l'uno o l'altro). Infatti, fra l'uno e l'altro modello, esiste un'infinità di formule intermedie. La proposta che io, raccogliendo alcune idee già emerse nel dibattito, ho presentato, con riferimento agli articoli 92 e 94 della Costituzione, è la seguente: qualora si rafforzi il ruolo del premier (nomina e revoca dei ministri, fiducia concessa solo a lui), si irrobustisce tale potere, ma non si arriva, neanche lontanamente, ad una forma di governo presidenziale.
Sullo stesso meccanismo del raccordo tra sistema elettorale e ruolo del premier, si potrebbe giungere a una forma di governo come quella regionale, ma ci si potrebbe anche fermare prima, lasciando intatte le prerogative del Capo dello Stato, con riferimento alla scelta del Presidente del Consiglio e, se necessario, ad una eventuale scelta successiva.
Non credo, quindi, che, attraverso queste modifiche costituzionali, si debba necessariamente pervenire a trasferire il potere di scioglimento dal Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio dei ministri. Tale possibilità rafforzerebbe, in un certo modo, il ruolo del Presidente del Consiglio stesso, ma ci si limiterebbe ad operare un rafforzamento attenuato.
Ciò che, in sostanza, dobbiamo fare - possibilmente, durante questa legislatura - è dare un corpo costituzionale condiviso a quel denominatore comune che emerge dall'esperienza derivante da più di una legislatura.


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Mi fa piacere quando l'onorevole Bocchino, assieme a qualcun altro, dichiara che il ministro Chiti ha preso in considerazione le proposte da loro presentate nella scorsa legislatura. Certamente, alcune di quelle proposte il ministro le ha considerate, ma non ho alcuna preoccupazione a sostenere che, con riferimento all'articolo 117 della Costituzione, noi recepiamo alcune proposte contenute nella riforma varata dal centrodestra. Il problema riguarda la quantità. Infatti, per noi era accettabile non tutto, ma solo alcune singole questioni: ad esempio, la riduzione del numero dei parlamentari, l'abbassamento a 18 anni dell'età per votare per l'elezione del Senato, la modifica dell'articolo 117 della Carta costituzionale ed i poteri del premier.
Si tratta di un percorso che, a mio parere, configura una forma di Governo che non abbandona il modello parlamentare, ma che non giunge neanche a quello presidenziale, rispetto al quale sarei personalmente contrario.
Per quanto riguarda il tema del bicameralismo, perfetto o non perfetto, credo che possiamo intenderci su un aspetto. Non è detto che il superamento del bicameralismo porti, automaticamente, ad affrontare e risolvere il problema anche del Senato delle autonomie, della Camera delle regioni o del Senato della Repubblica. La differenziazione tra Camera e Senato si ottiene, notoriamente, in due modi: modificando strutturalmente gli organi e cambiandone le funzioni. Si possono utilizzare entrambe le modalità, o anche una sola di esse.
Mi ostino a ritenere che si possa differenziare il ruolo di Camera e Senato approvando una norma sulla differenziazione diversa da quella precedente, nonché prevedendo la concessione della fiducia da parte di una sola Camera. Solo se abbiamo la capacità e le condizioni politiche, possiamo arrivare ad una differenziazione anche strutturale. Inoltre, possiamo pervenire al superamento del bicameralismo in due tempi: differenziando in una legislatura le funzioni - e si tratta di una possibilità reale - rimanendo, dal punto di vista strutturale, con le formule previste dall'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, per poi raggiungere l'obiettivo finale nella legislatura successiva.
Ho detto più volte che affrontare la questione della nuova composizione del Senato è certamente il massimo, ma, al tempo stesso, risulta molto difficile, poiché esistono alcune obiezioni, che anche oggi qualcuno ha sollevato. Il tema delle riforme costituzionali è un punto importante. Non possiamo pensare di varare la legge elettorale e poi, se possibile, dare una «spruzzatina» di riforme costituzionali. Secondo il mio punto di vista, infatti, approvare riforme costituzionali condivise costituisce un dovere verso il paese. Ciò perché non possiamo, dopo tre legislature di grandi riforme, non portare a casa neanche quelle modifiche sulle quali siamo d'accordo.
Visto che ne parliamo in questa sede, ribadisco che queste riforme devono essere, per quanto possibile, condivise. Non è scritto da nessuna parte, infatti, che, in un anno, non si possa giungere a varare alcune riforme costituzionali largamente condivise. Certamente, dovremmo avere il buon senso di verificare se sussistano le condizioni. In questa Commissione, da quello che ho sentito, è possibile raggiungere un accordo molto più ampio di quello che può sembrare.
A questo punto, prendiamo in considerazione il discorso della legge elettorale, che vorrei toccare in maniera filiforme. Non starò qui ad indicare, alla fine degli interventi dei vari gruppi, la proposta ottimale per il gruppo de L'Ulivo. Tale proposta, infatti, è emersa in un documento la scorsa settimana, e si è aperta, al riguardo, una polemica, come se noi volessimo rilanciarla per «far saltare il tavolo».
Noi vogliamo il tavolo, vogliamo cercare la sintesi e, naturalmente, siccome ciascuno di voi ha enunciato il proprio modello elettorale ottimale, vogliamo rappresentare che il nostro corrisponde a quello del sistema uninominale a doppio turno, più volte ribadito. Tuttavia, in queste condizioni, non è proponibile, poiché occorre trovare quella sintesi che riteniamo necessaria.


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A riguardo di tale sintesi, devo precisare pochissimi aspetti. Ritengo che questo dibattito, inevitabilmente, si svolgerà più al Senato, rispettando il metodo, che il ministro Chiti ha enunciato all'inizio, del rapporto Governo-Parlamento. Il Governo, infatti, ha percorso un tratto di strada, ma in seguito entrano in gioco le responsabilità del Parlamento, dal momento che le sintesi si devono trovare in tale sede. Si troveranno più al Senato, perché in quel ramo del Parlamento comincerà il relativo dibattito, ma la politica, comunque, le individuerà su un terreno per così dire parallelo.
Dobbiamo cercare di applicare questi princìpi nella maniera più coerente possibile. Sono convinto, come attitudine di principio, che soglia di sbarramento e premio di maggioranza siano due elementi che, messi insieme, possono generare miscele «esplosive», in quanto determinano, sostanzialmente, un distacco troppo forte della rappresentanza parlamentare rispetto alla fotografia della realtà del paese.
Credo che il livello della soglia di sbarramento - come ha affermato, giustamente, il ministro Chiti - sarà deciso dal Parlamento. Altrettanto chiaramente, il ministro ha dichiarato l'intenzione di abbandonare la formula del «primo perdente». Tuttavia, bisognerà individuare, a mio avviso, un meccanismo che cerchi di bilanciare, in maniera appropriata, la soglia di sbarramento nazionale e alcune significative eccezioni. Credo si tratti di un elemento imprescindibile, che in quella miscela si può trovare.
Sono convinto, come è stato già detto, che la soglia di sbarramento possa essere modulata con una progressione di legislatura. Probabilmente, oggi non stiamo realizzando la migliore legge possibile; tuttavia, ci poniamo come condizione quella di realizzarla attraverso una larga intesa. Naturalmente, una legge fatta con un'ampia intesa può avere alcuni limiti; ad ogni modo, abbiamo il dovere di guardare ad una prospettiva più ampia.
Quindi, ritengo sia un'ipotesi da raccogliere (mi sembra fosse presente anche nell'introduzione del ministro Chiti) quella di una soglia di sbarramento che possa crescere con il susseguirsi delle legislature.
Dopodiché, è chiaro che affronterei il tema del premio di maggioranza con grande circospezione e attenzione. A me spiace introdurre un premio di maggioranza al di sotto di certe percentuali di risultato elettorale, in quanto credo che incontri un'obiezione rilevante in ordine all'uguaglianza del voto.
È vero che stiamo cercando di realizzare un sistema bipolare; tuttavia, così come non possiamo forzare l'aggregazione dei partiti attraverso il sistema elettorale, allo stesso modo non possiamo neanche formare un sistema bipolare che preveda un premio di maggioranza spropositato, soprattutto se dovesse essere combinato con una soglia di sbarramento. Da questo punto di vista, quindi, io non propugno tale modello. Lo accetterei soltanto se si trattasse di un premio di maggioranza molto calibrato; altrimenti, come ho già evidenziato, si correrebbe il rischio di allontanarci dalla fotografia del paese reale.
Vorrei formulare un'ultima osservazione sulle riforme costituzionali ed il sistema elettorale. Ritengo che la questione dell'attuazione dell'articolo 51 della Costituzione vada affrontata da due punti di vista. Ricordo che l'articolo 51 è già scritto nella nostra Carta, mentre nella riforma elettorale non è ancora contenuta una previsione del genere. Io sono favorevole, in tale contesto, ad una applicazione molto forte di quel principio.
In conclusione, ricordo che oggi abbiamo svolto - nell'ambito del quadro ampio che ci è stato presentato dal ministro - una discussione centrata maggiormente sulla legge elettorale. Ad ogni modo, essa sarà stata utile poiché nulla è inutile di ciò che si dice nell'ambito del confronto tra i partiti. Tuttavia, credo che in questa Commissione ci si debba domandare quale sia il percorso costituzionale possibile; ciò forse non lega con la legge elettorale, ma può rendere più facile una sua modifica.

DONATO BRUNO. Signor presidente, cercherò di essere abbastanza breve. Innanzitutto, ringrazio il signor ministro,


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poiché egli conosce la stima che nutro nei sui confronti. Questa mattina, tuttavia, mi ha molto sorpreso, poiché, nei mesi precedenti, anche nel corso degli incontri informali che si sono svolti, abbiamo avuto modo di scambiare alcune opinioni.
Ritenevo che questa Commissione si sarebbe dovuta occupare delle riforme necessarie e urgenti - quanto meno in una prima fase -, per poi eventualmente valutare, in una seconda fase, la sussistenza delle condizioni necessarie per allargare il nostro campo di azione. Credevo, infatti, che avremmo probabilmente discusso della modifica dell'articolo 117 della Costituzione, a cui non ha fatto assolutamente riferimento. Avremmo dovuto parlare, inoltre, della legge sul federalismo fiscale, che le stava tanto a cuore all'inizio, ma che anche oggi è rimasta «latitante» in questa sede. Avremmo, altresì, dovuto discutere della modifica dell'articolo 138 della Carta costituzionale, alla quale credo che abbia rinunziato, dal momento che si trattava di uno degli argomenti che lei, ministro, aveva sempre posto sul tavolo, quanto meno per stimolare una riflessione da parte del Parlamento.
Abbiamo notato che, invece, ci ha rappresentato tutto lo scibile delle riforme del Titolo V della Costituzione; quindi, tutto ciò che, in qualche modo, ricalca la riforma che, nella scorsa legislatura, ci siamo apprestati ad approvare e che, in occasione del referendum, non è stato gradito e, quindi, è stato respinto. Ho la sensazione, tuttavia, che se dovessimo procedere con questo metodo e, soprattutto, con questa «corposità», probabilmente rischieremmo di non realizzare nulla.
Mi domando, ancora, come mai l'esame della proposta di riforma della legge elettorale parte dal Senato della Repubblica, mentre le riforme costituzionali vengono inizialmente trattate dalla Camera dei deputati. Anche su questo punto nutro forti dubbi, poiché ciò vuol dire che, se dovesse passare una qualche riforma elettorale al Senato - attese quelle maggioranze -, noi alla Camera avremmo un testo «blindato» e, dunque, non avremmo neanche la possibilità di interloquire sul punto. Forse - viste le diverse composizioni numeriche presenti alla Camera - sarebbe stato molto più consono discutere la legge elettorale in questa sede e, in seguito, apportare ulteriori correttivi al Senato (e lì «blindarla» veramente), attese le divergenze che, questa mattina, ho notato essere state ampiamente sottolineate da parte di tutti i rappresentati dei gruppi.
Anche sul tema della legge elettorale, che oggi non volevo affrontare (ma ci riserviamo di farlo nel prosieguo), ho registrato che, mentre lei ha indicato una cornice entro cui ci possiamo muovere, tuttavia, ascoltando i colleghi, non mi pare che tale cornice sia molto delineata.
A tale proposito, auspico che si faccia il meno possibile, in quanto della legge elettorale che abbiamo approvato, come peraltro qualcuno ha affermato, è più facile parlarne male che farne a meno!
In questo entusiasmo nel riscrivere e nel rivedere la riforma costituzionale (perché considerata una «porcata» e cose simili), ci riempiamo molto la bocca di un certo tipo di affermazioni, ma, alla fine, nessuno di noi conosce il filo conduttore che può veramente rispondere al «grido di allarme» del Presidente della Repubblica. Ricordo, infatti, che, ogni settimana, egli sollecita l'individuazione di un modo per convergere, quantomeno su una modifica che consenta di rispettare alcune condizioni inderogabili (almeno mi auguro che sia così), quali la governabilità e la stabilità.
Se ce ne andiamo per altri rivoli, il rischio è - come, ad esempio, nel caso dell'assegnazione del premio di maggioranza quando la soglia oltre il quale viene attribuito è bassa - che si creino veramente quattro o cinque poli. Credo che ciò vada scartato a priori, perché non è argomento di dibattito. Infatti, anche se fossimo chiamati a discuterne in questa sede, saranno i colleghi del Senato che dovranno affrontare tale questione.
Mi auguro che si possa realmente riprendere il filo del discorso nello stesso modo in cui era stato impostato inizialmente.
Comprendo, caro ministro, il suo obbligo di rappresentare, in questa sede,


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tutte le posizioni emerse a seguito degli incontri che lei ha tenuto, e di ciò le si darà atto. Tuttavia, se allargassimo il campo sia della riforma costituzionale - che ritengo necessaria per il bene del paese -, sia della legge elettorale, che ha sicuramente bisogno di qualche modifica, dovremmo tuttavia stare attenti.
Il referendum, peraltro, non sarebbe questa grande dannazione. Lo strumento referendario, infatti, è un istituto di partecipazione popolare che dovremmo incentivare. Lo si può appoggiare o meno, si può condividerlo o non condividerlo, ma è giusto che il Parlamento se ne faccia carico e che quegli argomenti, sollevati in parte dalla politica, in parte dall'opinione pubblica (abbastanza vicini a questi problemi), sollecitino, in qualche modo, il Parlamento ad intervenire.
Abbiamo perso un po' tempo, signor ministro. Mi auguro, però, di trovarci nelle condizioni di recuperarlo. Non voglio essere pessimista, tuttavia ho la sensazione che sia quanto ho detto prima sulla circostanza di affrontare la riforma elettorale al Senato, sia ciò che, quantitativamente, lei ha oggi rappresentato in materia di riforme costituzionali possa ostacolare, anziché agevolare il percorso che noi intendiamo seguire, sia nell'uno che nell'altro campo. Ricordo che abbiamo offerto la nostra completa disponibilità, come credo lei abbia avuto modo di valutare negli incontri, formali e non, che fino ad oggi si sono svolti.

ANGELO BONELLI. Signor ministro, ovviamente mi associo ai collegi precedentemente intervenuti, come è giusto che sia, nel ringraziarla per il lavoro importante che sta svolgendo. Del resto, come gruppo parlamentare dei Verdi, abbiamo avuto più volte modo di esplicitare ciò.
Preannuncio che sarò sintetico, individuando per punti le questioni. Mi duole constatare che l'orizzonte non è chiaro: ho le idee un po' confuse, anche se, probabilmente, sarà uno mio limite.
Innanzitutto, vorrei affrontare una questione di metodo. A breve si concluderà questa audizione. È vero che esiste la sovranità delle Commissioni parlamentari al Senato, per quanto riguarda la riforma elettorale, e in questa sede per quanto riguarda la riforma costituzionale, ma non dimentichiamoci che la «madre» di tutto questo è la politica, che deve governare questi processi.
Mi permetto di dire, allora, che, avendo le idee confuse, non comprendo quale sia il quadro che andiamo a costruire, chi lo costruisce, quando, come ed attraverso quali interlocuzioni. Lo lasciamo al libero confronto delle Commissioni parlamentari o lo affidiamo ad un processo più complessivo della «madre», vale a dire della politica?
Francamente, sono un po' preoccupato, poiché non sono abituato a vedere processi determinati nella casualità (anche se, alle volte, come sostengono alcuni filosofi, anche nel disordine c'è l'ordine). La prima questione è, quindi, di metodo.
Desidero affrontare, adesso, una seconda questione. Ci troviamo in questa sede per ribadire il nostro avviso circa la nostra necessità che siano varate riforme costituzionali per superare il bicameralismo perfetto e per risolvere la questione, in questo caso non costituzionale, del federalismo, precedentemente citata.
Il legame - in questo caso, mi rivolgo all'onorevole Zaccaria - della riforma costituzionale con la riforma elettorale è stato sollevato da un'indicazione del leader della nostra maggioranza, vale a dire il Presidente del Consiglio, il quale ha evidenziato la necessità di tenere insieme questi due aspetti. Si tratta di un punto molto importante.
Vado al dunque: mi sembra, signor ministro - mi rivolgo a lei con molta amicizia e con molto rispetto: non si tratta di retorica, poiché nutro un rispetto sostanziale - che il suo intervento di oggi sia condizionato, dal punto di vista politico, dagli avvenimenti che si sono determinati in queste ultime ore. Non sto facendo riferimento, ovviamente, alle elezioni francesi, che dovrebbero far pensare ad altro. Tali elezioni, infatti, dovrebbero far comprendere come, senza alleanze, un certo tipo di frammentazione determini ciò cui assistiamo oggi. La Francia, infatti, ci deve


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indicare che le alleanze sono necessarie alla politica per motivare maggiormente i cittadini, in modo che si sentano rappresentati dal leader o, in questo caso, dalla leader che le incarna.
Mi pare, quindi, che questa sua audizione sia fortemente condizionata.
Affronto, a questo punto, la questione degli sbarramenti. Il problema non è che qualcuno voglia formulare un ragionamento in termini sopravvivenza. Esiste, infatti, un problema di democrazia molto forte. Se vogliamo mantenere le alleanze, è evidente che tutti vanno motivati. Mi riferisco non alle forze politiche, ma ai cittadini di questo paese, vale a dire gli uomini e le donne, che hanno sensibilità e che si possano ritrovare in un leader o in una leader del futuro.
Siamo molto preoccupati (in seguito, avremo a disposizione luoghi dove confrontarci per compiere, dal punto vista politico, un approfondimento maggiore) circa il fatto che vi sia una tentazione di costruire, nel paese, una nuova geografia politica attraverso la fissazione di sbarramenti elettorali, e non attraverso processi «naturali» di aggregazione politica.
A mio avviso, dopo che era stato ventilato un accordo nel centrodestra ed un accordo nel centrosinistra, mi pare che, al contrario, siamo ancora lontani.
Si parlava di un riferimento al modello adottato per le elezioni regionali, ma nei punti di riferimento che lei ha fornito, così non è. Più che altro, mi sembra si proponga un modello spagnolo, con alcuni punti di riferimento che possono, vagamente, ricordare il modello tedesco. Per quanto concerne il livello dei doppi sbarramenti, vorrei segnalare che, con l'aumento delle circoscrizioni (dividendo, ad esempio, la città di Roma in sei collegi), verrebbe meno l'attenzione rispetto al fatto che si tratta di una competizione elettorale nazionale.
Sulla questione del premio di maggioranza, si è detto che non verrebbe assegnato qualora nessuno superi il 40 per cento dei consensi. Ebbene, intravedo, come conseguenza, un legittimo riferimento al modello tedesco, anche se ritengo che il sistema elettorale usato per le regioni sia quello che, formalmente, l'Unione deve assumere. Ciò perché, in base alla proposta avanzata, si rischia veramente di determinare tre o quattro blocchi elettorali.
Cosa succede, infatti, se si registra un blocco al 38, un altro al 30 e un altro al...

FRANCO RUSSO. Trentadue per cento!

ANGELO BONELLI. Trentadue, grazie collega. Succede, evidentemente, che non viene assegnato il premio di maggioranza e che le alleanze si possono formare, successivamente, in Parlamento.
Questo non è il bipolarismo, ma è un'altra cosa, che ricorda quel che accade in Germania, dove le alleanze si stringono in Parlamento. Ciò rappresenta francamente un problema nel rapporto con i cittadini.
Il mio gruppo, quindi, esprime forti perplessità e preoccupazioni. Ritengo che dobbiamo richiamarci ai punti contenuti in un accordo, definito un po' di tempo fa tra tutti noi, il quale deve portare a svolgere un confronto per costruire un'intesa con l'opposizione. Sarà nostra responsabilità farlo nei prossimi giorni.

ENRICO LA LOGGIA. Signor presidente, rivolgo un ringraziamento non formale al ministro Chiti. So bene, infatti, in quali difficoltà si trovi nel tentare di compiere una sintesi tra posizioni di partenza estremamente distanti e troppo spesso contrapposte.
Questa è una legislatura che è «partita male» (per tante ragioni, che non occorre, quanto meno in questa sede, riassumere), dalla quale può nascere un'occasione o un impedimento. Sono per natura un impenitente ottimista e quindi, per un momento, voglio almeno far finta che non vi siano impedimenti e tentare di capire come la particolarità di questa legislatura possa rappresentare, al contrario, un'occasione.
Forse mai come in questa circostanza l'evidenziazione di una serie di problemi è talmente chiara da poter tentare di compiere un salto avanti. Mi riferisco non solo


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alla legge elettorale, ma anche alle riforme costituzionali, dal momento che stiamo affrontando entrambi gli argomenti.
Anch'io sono molto perplesso sul fatto che si tenti alla Camera di varare la riforma costituzionale e al Senato di approvare la riforma elettorale: sarebbe stato molto più logico, a mio avviso, il contrario. Non so da cosa tragga origine tale scelta o chi l'abbia determinata, ma mi permetto di esprimere la mia perplessità. Le ragioni sono state già precedentemente illustrate dal collega Bruno, e ne potrei aggiungere altre; per brevità non lo faccio, ma esse sono, sostanzialmente, abbastanza evidenti e comprensibili.
Vorrei sgomberare subito il campo dal problema della riforma costituzionale, evidenziando quella che mi pare un'ovvietà. Ho ascoltato l'intervento del collega Zaccaria, che in gran parte condivido. Vorrei osservare che, se ripartissimo da zero, sarebbe estremamente improbabile riuscire a ritrovare un accordo non solo all'interno dell'attuale maggioranza, ma anche, ed ancora più difficilmente, nell'ambito di un confronto con l'opposizione, per tentare di avere una maggioranza qualificata, come previsto dalla nostra Costituzione.
Non mi permetto di dare un consiglio, ma mi limito a svolgere una riflessione, che nasce anche dalla esperienza che ho personalmente maturato nel corso della precedente legislatura. Perché, infatti, non si potrebbe partire da quella base, sgombrando il campo da tutte le altre possibili riforme, che pure sarebbero utili e, non dico necessarie, ma auspicabili? Perché non sfrondare i temi sui quali potremmo non essere d'accordo - e sui quali già non lo fummo nella scorsa legislatura - e puntare l'attenzione, invece, sulle materie sulle quali si è registrato un sostanziale consenso? È stata evocata, ad esempio, la riforma dell'articolo 117 della Costituzione. In tale caso, tutto questo contrasto non esiste. È molto probabile che, con qualche modificazione non particolarmente eclatante, si possa arrivare ad un'intesa ampia per riformare detto articolo. Chi non riconosce che l'attuale formulazione del Titolo V della Parte II della Costituzione è assolutamente insufficiente, poiché ha creato anche un'enorme quantità di contrasti ed una serie di disagi nei rapporti tra lo Stato, le regioni, i comuni, le province, e così via? Si tratta di una questione sulla quale non è difficile trovare un accordo.
Perché non partire dalla riforma del Senato che abbiamo operato, tentando di fare anche qualche piccolo passo in avanti? Forse il tempo è maturo.
Sono sempre stato contrario ad immaginare che modelli diversi dal nostro possano essere recepiti senza problemi nel nostro ordinamento. Infatti, si tratta di storie non solo costituzionali, ma anche sociali e politiche totalmente diverse. Tuttavia, forse un piccolo passo avanti per creare un organo che somigli di più al Bundesrat si potrebbe compiere, operando una scelta sicuramente più netta rispetto a quella che siamo riusciti, con un'enorme difficoltà, a realizzare. Infatti, vorrei osservare che ciò che siamo riusciti a far votare ai senatori è stato una sorta di miracolo!
Perché, dunque, non riprendere, considerandolo un punto di partenza, quello che noi chiamavamo un aumento (molto modesto, peraltro) o un'accentuazione dei poteri del premier? Noi lo consideravamo molto modesto, ma altri lo ritennero addirittura eccessivo.
Ciò mi fa pensare ad un'altra questione, che sarà bene tenere in conto: un progetto, quando viene proposto, ha una sua omogeneità di impostazione ed una sua filosofia di fondo; esso corrisponde all'esigenza di dare risposte ad una serie di problemi e si costruisce, nell'insieme, seguendo un certo indirizzo. Tra la proposta di partenza e la proposta votata dal Parlamento, rilevo che esiste spesso una differenza enorme, anche se non si tratta certo di una novità.
Un grande personaggio della storia del secolo passato, Winston Churchill, asseriva che non ci sono leggi o riforme perfette, per la semplice ragione che occorre una maggioranza che le approvi in Parlamento: questo dice tutto. Non voglio scatenare alcuna polemica, ma credo che mai come ora quell'espressione sia attuale.


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Ciò mi induce a formulare, se il signor ministro me lo consente, una proposta non di merito, ma di buonsenso. Bisognerebbe infatti riunire, a mio avviso, poche persone, rappresentative dei diversi gruppi parlamentari, per stabilire qual è l'obiettivo che si vuole raggiungere. La scelta politica è senz'altro prevalente, ma, con altrettanta franchezza, nel momento in cui questa è stata compiuta, occorrerebbe che qualche tecnico la mettesse in opera. Mi è sembrato, infatti, di vedere molti sedicenti «tecnici» che tentano di comporre questioni estremamente complesse, ma poi si nascondono dietro l'accordo politico, che magari aveva tutt'altra natura. Lo affermo anche in questo caso senza polemica, ma ciò rappresenta la constatazione di molti fatti che si sono verificati, soprattutto negli ultimi tempi.
Salva la scelta politica, che comunque va operata in una sede naturalmente più ristretta, i tecnici (i quali non necessariamente devono essere funzionari, ma possono essere anche parlamentari), o comunque coloro i quali hanno esperienza in queste materie, possono tentare di tradurre in un articolato legislativo l'accordo politico raggiunto.
Mi rendo conto che lei, signor ministro, ha scandagliato in maniera considerevole le varie posizioni, e le sono grato per tale sforzo. Se l'intenzione era presentare un ampio ventaglio, per poi cogliere gli eventuali punti di riforma sui quali è possibile lavorare, il suo compito è certamente semplificato.
Prendiamo atto di tale enorme ventaglio di analisi e di approfondimenti e, successivamente, occorre considerare ciò su cui è realmente possibile procedere. L'idea di partire dalla precedente riforma non mi sembra sbagliata, poiché credo che possa costituire una buona base di partenza. Ciò che ho ascoltato, anche nel corso di questo dibattito, mi induce ad essere moderatamente ottimista. Su alcune questioni, infatti, si può trovare, anche abbastanza facilmente, un'intesa.
Ovviamente, resterebbe fuori dal dibattito la modifica dell'articolo 119 della Costituzione. Ricordo che anche noi abbiamo compiuto quel tipo di scelta per una ragione molto semplice, che procede di pari passo col percorso della legge ordinaria di attuazione dello stesso articolo 119. Infatti, mentre modificavamo il riparto delle competenze dello Stato, delle regioni e via seguitando, sarebbe stato realmente prematuro - e, probabilmente, imprudente - delineare un percorso quanto più possibile definitivo rispetto all'attuazione dell'articolo 119 della nostra Carta.
Vogliamo rimettere in discussione tale articolo? Siamo disponibili a farlo. Se vogliamo scegliere di lasciarlo invariato, allora diciamolo con chiarezza. Risulta estremamente complesso, infatti, scrivere un nuovo articolo 119, ma, in ogni caso, credo che l'idea di un accordo politico sul quale poi i tecnici possano lavorare, sulla base della precedente esperienza riformatrice, sia una buona tecnica per procedere.
Vorrei affrontare adesso il tema della legge elettorale, che rappresenta il clou del nostro odierno dibattito. Osservo che quella in vigore non è affatto una pessima legge elettorale. Probabilmente, se il dibattito che si svolse prima del varo di quel provvedimento fosse stato un po' più approfondito, le due o tre modifiche che oggi si pensa di apportare si sarebbero potute addirittura introdurre allora, senza creare molti contraccolpi. Penso, ad esempio, ad un diverso calcolo del premio di maggioranza al Senato, ad una omogeneizzazione migliore dei sistemi di sbarramento ed alla possibilità di creare una sorta di piccola «cripta», nella quale inserire i rappresentanti dei diversi partiti che compongono una coalizione. Ciò avrebbe assunto - ed anche oggi potrebbe assumere - il significato di tenere un po' più compatta sia la coalizione vincente, sia quella perdente alle elezioni, contemperando, in questo modo, la forza naturalmente e fisiologicamente centripeta di un sistema elettorale proporzionale. Mi domando, quindi, perché ciò non avrebbe potuto essere realizzato.
Tali modifiche si sarebbero potute introdurre anche nel contesto dell'attuale legge elettorale, ma ciò non è avvenuto. Perché non farlo oggi? Si tratterebbe di


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un rimedio minimo - ma non tanto - per rendere sicuramente più omogenea la maggioranza tra Senato e Camera e per contribuire ad un rafforzamento del bipolarismo, nonché per tentare di semplificare il quadro politico. Su quest'ultima espressione, devo svolgere una considerazione che, forse, può sembrare un po' fuori dalle righe.
Noi vogliamo realmente semplificare, attraverso l'innalzamento della soglia di sbarramento, il sistema politico attuale, oppure vogliamo introdurre una complicazione ulteriore? Infatti - parlo anche per i partiti cosiddetti minori, ma che sono tali solo per percentuali, non certo per dignità o valore delle idee di cui sono portatori -, nel momento in cui innalziamo al di là di un certo limite la soglia di sbarramento, induciamo sicuramente diversi partiti ad unirsi fra di loro, ma solamente in occasione dell'appuntamento elettorale, perché si separerebbero nuovamente il giorno dopo.
Se l'idea è questa, allora non abbiamo affatto ottenuto una semplificazione del quadro politico; abbiamo, semmai, creato una finzione - un po' ipocrita, se mi consentite - per ingannare gli elettori. Non mi sembra che gli elettori accoglierebbero con entusiasmo questa idea! Altrimenti, dovremmo prevedere, contestualmente, una modifica radicale dei regolamenti parlamentari, per stabilire che chi non raggiunge una certa soglia di parlamentari non può costituire un gruppo autonomo. Potremmo decidere che ciò costituisca una norma invalicabile e non derogabile: altrimenti, non avremmo ottenuto un bel niente!
Certo, gli ultimi eventi e i prossimi futuri potrebbero portare di per sé - ma si tratta di un'altra cosa, perché è una scelta della politica, e non a causa del fatto che il Parlamento ha modificato la legge elettorale - ad una reale semplificazione del quadro politico. Penso al nascente partito democratico, alla possibilità che si costituisca un nuovo rassemblement di sinistra alla sinistra del partito democratico e ad un eventuale rassemblement di centro, sempre all'interno del centro-sinistra, per la parte che non si riconosce nel partito democratico. Allo stesso tempo, anche dalla nostra parte, mi riferisco alla costruzione del partito delle libertà, magari anche stringendo alleanze diverse con partiti che non si riconoscono in quel progetto. Ma si tratta di un'altra questione, poiché è argomento della politica, e ciò non può essere favorito, impedito o tanto meno provocato da un differente sistema elettorale.

PRESIDENTE. La prego di concludere...

ENRICO LA LOGGIA. Insomma, signor ministro, io starei molto attento su tale aspetto. So di assumere una posizione forse non perfettamente ortodossa rispetto a tante altre che sono state espresse, anche da parte dell'opposizione; tuttavia, vorrei rappresentare che io ragiono in termini di concreta valutazione del quadro politico, da una parte, e di quanto è possibile fare attraverso le leggi del Parlamento, dall'altra. In ogni caso, penso che una migliore omogeneizzazione delle soglie di sbarramento di Camera e Senato, rispetto a quelle che furono individuati con l'attuale legge elettorale, non sia difficile da realizzare. È sicuramente possibile farlo, ma senza compiere forzature al di là di un certo limite.
Se mi consente, signor ministro, concluderei il mio intervento formulando una proposta. Lei ascolterà, ovviamente, anche l'analogo dibattito che si svolgerà al Senato della Repubblica. Al termine di tale discussione, forse non sarebbe sbagliato compiere intanto una scelta, per procedere successivamente nel modo che sto per illustrare. Finita questa tornata di audizioni alla Camera e poi, subito dopo, al Senato, si potrebbe stabilire definitivamente se vogliamo varare sul serio le eventuali riforme costituzionali alla Camera e quelle elettorali al Senato. Francamente, io rifletterei su questa scelta, ma non lo considero un argomento dirimente.
La domanda che intendo porre riguarda i tempi. Lei comprende bene - e, in questo caso, mi sento assolutamente ortodosso, vale a dire in linea con tutto il


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resto dell'opposizione - che se mettessimo in collegamento la riforma costituzionale con la legge elettorale, per pensare di realizzarle contemporaneamente, questa assicurazione sulla vita al Governo che lei rappresenta non ci sentiamo di darla: ciò detto fuori dai denti, con molta cortesia e molta stima nei suoi confronti! Lei comprende bene che le due attività non possono svolgersi contemporaneamente.
Bisognerebbe, comunque, procedere da subito, in tempi quanto più possibile definiti e brevi, alla riforma del sistema elettorale; poi, nel frattempo, si potrebbe avviare il dibattito sulla riforma costituzionale per vedere fin dove si arriva, ma ritengo la modifica della legge elettorale sicuramente più urgente e necessaria. Non estenderei la riforma - è questa la mia proposta - al di là di modifiche all'attuale assetto. Si tratta delle questioni che mi sono permesso di indicare brevemente, nonché di qualcun'altra che potrebbe scaturire dal nostro approfondimento. Non ricomincerei un dibattito più o meno politologico, vale a dire discutere se sia meglio il sistema tedesco anziché quello francese, oppure quello inglese o israeliano; altrimenti, come si dice in termini non tecnici, «ci perdiamo di casa»!

PRESIDENTE. Onorevole La Loggia, deve concludere!

ENRICO LA LOGGIA. Ho concluso, presidente. Signor ministro, credo che limitare gli interventi a poche modifiche essenziali potrebbe essere la scelta giusta. Se tale processo può essere avviato in tempi brevi, da parte nostra c'è non solo la massima disponibilità, ma anche la volontà di collaborare e di giungere ad un risultato concreto. Se ciò, invece, dovesse andare in una direzione che voi non potreste condividere, la disponibilità non mancherà, ma la collaborazione sarebbe sicuramente meno entusiastica.

FRANCO RUSSO. Essendo l'ultimo ad intervenire, presidente, mi sforzerò di essere assolutamente breve...

PRESIDENTE. È il penultimo!

FRANCO RUSSO. Allora, sarò ancora più breve, ma spero che la brevità non incida sulla schiettezza e sulla nettezza del mio intervento. Ringrazio anch'io il ministro per il lavoro che ha svolto in tutti questi mesi e per aver evidenziato, nella sua relazione, un punto di vista culturale. Mi riferisco all'affermazione per cui il sistema elettorale non deve essere strumentalizzato e reso funzionale all'evoluzione del sistema politico, essendo i due campi - evoluzione del sistema politico e decisioni sul sistema elettorale - tali che, seppur correlati, devono marciare per proprio conto. Ciò affinché, per l'appunto, non vi sia un uso strumentale del sistema elettorale per indirizzare, in maniera coattiva, l'evoluzione del sistema politico italiano.
Per questo motivo la ringrazio, signor ministro, essendo d'accordo su tale aspetto. Su questa base, presidente, svolgerò le mie brevi considerazioni. Credo che non ci troviamo di fronte ad una crisi di governabilità nelle democrazie occidentali e, specificamente, europee. La mia lettura, nonché quella del gruppo a cui appartengo, è che non esiste una crisi delle capacità di intervento dell'Esecutivo nella gestione degli affari della nostra società, ma una fortissima crisi della rappresentanza. Si tratta di un punto di vista culturale, sul quale tuttavia non pretendo di avere ragione, che spiegherà i motivi alla base delle nostre proposte.
Noi riteniamo, infatti, che il Governo, soprattutto in Europa, tramite i meccanismi del funzionamento dell'Unione europea, disponga di fortissimi strumenti di intervento e che questi, in verità, non siano controllati dal Parlamento; anzi, essi operano al di fuori di esso. Il nostro Governo, dunque, e non solo per meccanismi dovuti ormai ai rapporti di forza di questa legislatura, gode, in generale, di una sorta di premio nell'approvazione dei propri provvedimenti legislativi. Mi riferisco non solo a quelli che, ad esempio, vengono adottati in sede comunitaria (direttive e regolamenti); ma anche agli strumenti cui i Governi ricorrono (come i


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decreti-legge). Ciò è dovuto non alla cattiveria del Governo, ma alla complessità della legislazione. Sto parlando di quella che, per l'appunto, viene definita legislazione «complessa» o legislazione «organizzata», in cui, fondamentalmente, le rappresentanze danno indicazioni di massima - quando le danno, ma non è il caso dell'Europa - che il Governo traduce, successivamente, nei decreti legislativi, salvo l'espressione di un parere da parte delle Camere.
Il Governo, quindi, non ci pare debole e non merita ulteriori rafforzamenti nel nostro disegno istituzionale. Merita moltissima attenzione, invece, la fortissima crisi di rappresentanza parlamentare. Si tratta di quella che si definisce la «passivizzazione politica», vale a dire l'abbandono della politica. Tale processo non solo presenta aspetti etico-morali (mi riferisco ai costi della politica, che pure incidono), ma rappresenta, fondamentalmente, la conseguenza del fatto che il Parlamento e le rappresentanze popolari non sono più in grado di esprimere gli interessi, diversi e molteplici, delle nostre società, le quali sono altamente differenziate al loro interno. Questo è il vero nodo: infatti, il Parlamento non rappresenta più la cittadinanza e non è più in grado di esprimere i suoi interessi; quindi, anche la selezione delle domande sociali avviene in altri luoghi.
Raccolgo l'indicazione dell'onorevole Zaccaria, ma anche l'imbarazzo con cui il ministro Chiti è passato al secondo punto della sua relazione, vale a dire il sistema elettorale. Vorrei partire dai problemi della riforma del sistema istituzionale, che conveniamo debba essere puntuale. Deve trattarsi non di un progetto di legge complessivo, che rimetta nuovamente mano alla Parte seconda della Costituzione, ma di un processo che avvii riforme molto specifiche, in maniera da razionalizzare la forma di governo parlamentare.
Questo è il secondo punto che intendo evidenziare, onorevole Chiti. Vorremmo che lei tenesse presente che, come gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, siamo a favore della forma di governo parlamentare; quindi, vorremmo si evitasse qualsiasi fuga da tale assetto, rifiutando anche il modello del sistema elettorale regionale. Tale sistema, infatti, implica comunque l'elezione diretta del presidente della regione; dunque, per traslazione, si tratterebbe di prevedere l'elezione del Presidente del Consiglio.
Anticipo che presenteremo dei progetti di legge in tale materia. Vorrei specificare, signor ministro, che si tratta di proposte di legge, non di giudizi politici. Noi siamo favorevoli, ovviamente, a ritoccare l'articolo 92 della Costituzione, nel senso di consentire la nomina e revoca dei ministri da parte del Presidente del Consiglio, e siamo altresì d'accordo sull'introduzione dell'istituto della sfiducia costruttiva. Non siamo favorevoli, invece, all'idea (e non contempleremo ciò nel nostro progetto di legge) che solo il Presidente del Consiglio riceva la fiducia da parte della Camera. Noi crediamo, infatti, che il Governo sia un organo collegiale e che questa caratteristica debba permanere. A maggior ragione, ministro Chiti, non condividiamo la proposta per cui al voto contrario sulla fiducia chiesta dal Governo possa seguire lo scioglimento della Camera, visto che pensiamo di superare il bicameralismo perfetto.
Su questa teoria dello «stare insieme e insieme cadere» non siamo assolutamente d'accordo, perché si lederebbe fino in fondo il regime parlamentare. Tale forma di governo, infatti, si basa su maggioranze che si formano in Parlamento, il quale deve avere la possibilità di ricorrere alla sfiducia costruttiva. In caso contrario, ministro Chiti, è inutile ricordarle che lei, in questo modo, recupererebbe uno dei perni della riforma presentata dal centrodestra contro la quale noi ci siamo battuti e che ricordo essere stata bocciata dall'elettorato italiano.
Infatti, se coniugassimo l'indicazione del Presidente del Consiglio con la possibilità di sciogliere il Parlamento in caso di approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente del Consiglio, non potremmo parlare di una forma di presidenzialismo, ma non so come altrimenti potremmo definirla.


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Siamo invece a favore, ministro Chiti e onorevoli colleghi, di una revisione, anche immediata (vale a dire, da realizzare in questa legislatura), del bicameralismo perfetto. Onorevole La Loggia, se anche noi toccassimo la legge che oggi disciplina le nostre elezioni, non avremmo ugualmente la possibilità di garantire un buon governo delle istituzioni perché, se avessimo assegnato il premio di maggioranza al Senato a livello nazionale - non nascondo che ci furono delle pressioni in tal senso -, avremmo comunque due maggioranze diverse nei due rami del Parlamento. Evidentemente, un ritocco alla legge elettorale dovrà essere operato, e poi rappresenterò molto rapidamente la mia opinione al riguardo.
Preannuncio che il gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea presenterà un progetto di legge per superare il bicameralismo perfetto. Ciò, onorevole La Loggia, incide direttamente sull'articolo 117 della Costituzione. Noi potremmo anche spostare una materia dalla legislazione concorrente a quella esclusiva e viceversa, ma non è questo il punto. Dobbiamo trovare la sede in cui, superando il concetto della cosiddetta bicameralina, le autonomie territoriali e gli enti regionali - che ricordo essere enti legislativi - abbiano il modo di partecipare, a livello nazionale, alla discussione ed al confronto che si svolgono nella determinazione delle leggi.
Siamo, quindi, favorevoli a superare il bicameralismo perfetto e ad indicare nella Camera delle autonomie (o Senato della Repubblica) il luogo in cui superare quelle grandi controversie che hanno dato origine al notevole contenzioso giacente presso la Corte costituzionale. Ciò corrisponde al bisogno di rispondere alla problematica della cosiddetta legislazione complessa. Infatti, anche a livello nazionale non è possibile escludere le regioni o le autonomie locali nella legiferazione su alcune materie, anche se non su tutte.
Vorremmo, inoltre, che la seconda Camera non debba esprimere la fiducia al Governo. Per questo motivo, signor ministro, non vediamo con estremo favore, anche se siamo disponibili a discuterne, l'elezione diretta di una parte dei senatori o dei componenti della seconda Camera. Infatti, laddove si esprime la volontà popolare, non si può escludere la votazione della fiducia all'esecutivo; altrimenti, non vedo quale motivazione potremmo addurre.
Su questo argomento, signor ministro e signor presidente, depositeremo i nostri progetti di legge entro pochi giorni. Ovviamente, dobbiamo essere consapevoli che, quando verrà abbandonato il bicameralismo perfetto, dovrà essere discusso anche l'articolo 70 della nostra Carta costituzionale, vale a dire la disciplina del procedimento legislativo.
In due battute, dal momento che su questo aspetto si è pronunciata già l'onorevole Mascia, il cui intervento condivido completamente, vorrei rappresentare quanto segue. Semmai verrà confermato che il Senato tratterà la riforma della legge elettorale (a livello personale l'ho trovata una scelta poco saggia, anche se rispetto chi l'ha assunta), in quel ramo del Parlamento presenteremo una proposta di legge che traduce «in italiano» il sistema elettorale tedesco.
Onorevole ministro, la prego di tenerne conto. Rifondazione comunista, infatti, ritiene che il sistema tedesco risponda a diverse esigenze, quali la garanzia della rappresentatività, il legame tra eletti ed elettori - grazie al meccanismo per cui metà dei parlamentari sono eletti a livello di collegio uninominale - e la garanzia - qualora fosse prevista anche la sfiducia costruttiva - della governabilità, vista la soglia di sbarramento. A nostro avviso, tale soglia, in questa legislatura o nella prossima, si può attestare benissimo al 5 per cento. In questo, ci dimostriamo molto rawlsiani, nel senso che, quando pensiamo alle istituzioni, ci mettiamo davanti un «velo dell'ignoranza». Infatti, vogliamo venga fissata una soglia di sbarramento al 4 per cento non perché le nostre percentuali di voto si attestano attorno al 5-6 per cento, ma perché crediamo che tale soglia potrebbe garantire la semplificazione del sistema politico.
Signor ministro, vorrei comunque ribadire quanto ha affermato l'onorevole Mascia. Infatti, qualsiasi sistema elettorale si


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scelga, lei sappia che il gruppo Rifondazione comunista-Sinistra Europea vorrà che il conteggio degli eletti abbia luogo a livello non circoscrizionale, ma nazionale, e che il recupero avvenga sempre a livello nazionale. È questa la garanzia di fondo, affinché la rappresentanza sia assicurata e, soprattutto, non vi siano soglie di sbarramento «nascoste», così come avverrebbe se non si prevedesse il recupero a livello circoscrizionale o a livello dei collegi. Si tratta di un punto per noi cruciale: pertanto, ribadisco che il conteggio e la distribuzione dei seggi debbano avvenire a livello nazionale.
Infine, e anche su questo punto non posso che riconfermare quanto ha già sostenuto l'onorevole Mascia, vediamo che molte forze politiche - e, in questo caso, sarò pessimista, o forse cinico - sono grosso modo interessate al referendum. Non a caso, non solo molte forze politiche che sono al Governo, ma anche forze rappresentative - penso all'ex membro della segreteria dei DS, onorevole Filippeschi - raccolgono le firme. Non vorrei, quindi, che dal bipolarismo si volesse passare al bipartitismo. Sappia che, come altre forze, siamo assolutamente contrari a tale orientamento, tanto più che lei ha addirittura affermato che non vuole un bipolarismo «coatto». Noi, dunque, ci batteremo con determinazione contro il referendum, anche se sappiamo che chi cavalca l'antipolitica potrà, ancora una volta, creare danni, come quelli seguiti al referendum elettorale del 1992-1993.
Accogliamo con favore, in conclusione, l'indicazione del presidente Violante di cominciare a discutere l'8 maggio della modifica degli articoli 92 e 94 della Costituzione, con le posizioni che ho preannunciato e che, come già detto, tradurremo in una proposta di legge.

PRESIDENTE. Vorrei solo osservare, onorevole Russo, che nel sistema tedesco la fiducia è accordata solo al Cancelliere, se non ricordo male, e che la legge elettorale serve per eleggere una sola Camera.

FRANCO RUSSO. Presidente, mi consenta: allora, eleggiamo in Parlamento il Presidente del Consiglio!

PRESIDENTE. Certo!

FRANCO RUSSO. Su questo punto siamo d'accordo.

ANTONIO LA FORGIA. L'intervento dell'onorevole Russo resta l'ultimo, perché io le ho chiesto la parola, signor presidente, per fatto personale.
Chiedo scusa al signor ministro Chiti se faccio perdere ancora qualche minuto. Sono stati pronunciati giudizi molto netti, da alcuni degli intervenuti, circa la natura luciferina del referendum elettorale, ed essendo io indegnamente membro del comitato promotore...

PRESIDENTE. In modo poco «luciferino», onorevole!

ANTONIO LA FORGIA. Ho una certa simpatia per l'angelo caduto, ma mi sembrava di intendere che non fosse simpatico il tono usato. Mi sentirei pertanto poco leale nei confronti dei colleghi e nei confronti di me stesso, naturalmente, se non dicessi anche due parole sul punto in questione.
Non ho alcuna difficoltà a convenire che la legge elettorale che uscirebbe da una eventuale sottoposizione al voto popolare del referendum e da un eventuale consenso nella espressione del voto, non sarebbe una buona legge elettorale, tanto meno sarebbe la migliore possibile. Mi sentirei comunque di affermare che sarebbe migliore di quella attuale, ne sono convinto.
Si racconta che Michelangelo dichiarasse di estrarre le proprie creazioni dal blocco di marmo, togliendo ciò che era di troppo. Credo che sarebbe ingeneroso pretendere dai propositori del referendum di ottenere, con il bisturi dei quesiti referendari, qualcosa di comparabile alla Pietà di Michelangelo. Si fa quel che si può, ma il risultato sarebbe comunque migliore della legge attuale.


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Se davvero - prendetelo come un periodo ipotetico del terzo tipo - fosse condivisa l'urgenza drammatica di modificare questa legge elettorale; se davvero si fosse convinti di tenere fermi i due punti, l'assetto bipolare e la sicurezza di produrre maggioranze, e di evitare di imporre per legge processi politici che devono invece procedere per forza politica, ebbene, alla luce dei giudizi diffusi, credo che la via maestra sarebbe quella di abrogare la legge elettorale esistente e restaurare quella preesistente, assumendosi poi, con tutta la calma e la pazienza necessaria, la ricerca di produrre qualche cosa di nuovo.
Concluderei, pertanto, questo intervento per fatto personale dicendo che di luciferino non c'è soltanto il comitato referendario, ma forse c'è qualcos'altro che si aggira per queste aule.

PRESIDENTE. Do ora la parola al ministro per la replica.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Prima di tutto, in modo non formale, voglio ringraziare tutti per questo confronto ampio e approfondito, senz'altro utile per il ruolo che può svolgere il Governo, ma anche per le posizioni e per l'impegno dei diversi gruppi. Naturalmente, mi riservo di valutare anche il contributo che il Governo potrà apportare nel prosieguo dei lavori del Parlamento, al termine del confronto che tra poco inizierà nella Commissione affari costituzionali del Senato, per avere elementi più precisi di definizione e valutazione.
Voglio iniziare dalle riforme costituzionali, rispondendo intanto ad una considerazione che hanno svolto gli onorevoli Bruno e La Loggia. Questa mattina ho parlato di riforme costituzionali che si legano, che sono in grado di ospitare coerentemente la legge elettorale che si farà, anche se i tempi sono diversi. Questo è del tutto evidente, per quanto mi riguarda. Credo che su questo non ci fosse bisogno di fare l'ennesima sottolineatura; che si proceda da un lato alla riscrittura dell'articolo 117, mentre se ne attuano le parti condivise, è il risultato assunto dal Parlamento e dal Governo, all'indomani dell'indagine conoscitiva.
Quanto al federalismo fiscale, noi stiamo lavorando per attuarlo. Penso che nel mese di maggio il Governo approverà un disegno di legge-delega sull'attuazione dell'articolo 119, che impegnerà il Parlamento nei mesi a seguire. Questa parte è acquisita. Aggiungo, invece, che non ho modificato neppure il mio convincimento sulla riforma dell'articolo 138. Come ho detto - ho l'abitudine di dire le stesse cose, anche in appuntamenti diversi -, ho preso atto, dagli incontri svolti, che la maggioranza dei gruppi parlamentari, soprattutto alcuni di opposizione, ritengono che sia preferibile prima concludere in modo unitario un percorso di aggiornamenti alla Costituzione, e successivamente - come frutto di un lavoro comune, che supera i due momenti diversi che si sono verificati nel recente passato nell'atteggiamento delle forze politiche su questi temi - costruisce il rafforzamento dell'articolo 138, a garanzia che questo sia legato non soltanto alla volontà politica.
Sulle altre riforme costituzionali - devo dire che c'è maggiore coincidenza di idee, dunque non faccio uno sforzo, mentre per la legge elettorale il discorso è più complesso - ho cercato di dare una interpretazione, non una lettura burocratica, di quanto è emerso negli incontri degli ultimi tre o quattro mesi, alcuni ripetuti più volte, con i gruppi parlamentari, con i leader politici, da solo e con il Presidente del Consiglio, eccetera. Potrei anche dire che alcune di queste obiezioni da parte di versanti della maggioranza le ho capite meno. I temi di riforma costituzionale di cui ho parlato sono scritti nel programma con cui ci siamo presentati ai cittadini, cioè nel programma dell'Unione. Tuttavia, ha ragione l'onorevole Zaccaria quando dice che alcuni di questi temi erano presenti - e questo ci consente un minimo di possibilità di credere che, se c'è davvero la volontà politica e la coerenza dei comportamenti, possiamo farcela - nella stessa proposta di riforma


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costituzionale approvata dall'allora maggioranza di centrodestra, poi respinta dal referendum confermativo.
Quale problema è stato posto nei vari incontri che si sono tenuti? Non quello di non tentare di superare il bicameralismo paritario né quello di tentare di ridurre il numero dei parlamentari, né un altro sul quale pure si ritrova chi vuole mantenere un sistema elettorale legato alle nostre tradizioni e chi guarda di più ad un modello spagnolo o tedesco; che sia il candidato alla presidenza del Consiglio, sulla base di un programma, ad andare in Parlamento per ottenere la fiducia, è un punto presente in tutti questi sistemi.
La questione che è stata sollevata, di cui ho preso atto, tanto che è nella proposta, è quella di non legare strettamente (come sinceramente avevo fatto all'inizio) il percorso delle leggi di riforma costituzionale alla nuova legge elettorale, essendo in corso il referendum. È evidente che se i due temi si legano, il tempo in cui si realizza la nuova legge elettorale - a meno che non ci sia un'intesa, che ad un certo punto era anche balenata, ma che è stata smentita nel breve volgere di qualche ora - cambia; si tratta di abrogare l'attuale legge e ritornare a quella preesistente, che per alcuni rappresenta una soluzione preferenziale, per altri una soluzione transitoria.
Questa è stata l'obiezione, ma si è parlato di due piani autonomi tra loro, come procedure e come tempi, perché uno (la riforma costituzionale) necessita di una doppia lettura, l'altro di una legge ordinaria. Su questi due piani autonomi, anche se collegati, si può tentare di andare avanti.
Penso che si debba fare questo tentativo. Se non lo si fa perché si ritiene di avvantaggiare l'attuale maggioranza, allora non si farà mai nulla. Occorre fare un tentativo con queste leggi costituzionali e, su un altro piano, lavorare per la nuova legge elettorale.
La decisione, che qui ho sentito molto discussa, di iniziare al Senato l'approfondimento della legge elettorale e alla Camera quello delle riforme costituzionali, è stata assunta in un incontro dei Presidenti delle due Camere, tenendo conto del percorso che era già iniziato, almeno come abbozzo di discussione, in una Commissione.
In ogni caso, se si tengono le riforme su due piani autonomi, che pure devono essere tra loro coerenti e ad un certo punto sempre più coerenti, se uno dei percorsi procede davvero, francamente questa non mi sembra una questione insuperabile. Del resto, a questo punto non saprei nemmeno se la riforma del bicameralismo paritario sia più facile farla partire dalla Camera o dal Senato.
All'obiezione sollevata dall'onorevole Bruno, se è il caso che la riforma della legge elettorale, viste le maggioranze esigue, debba prendere il via al Senato, rispondo che forse non ci siamo capiti, sebbene anche il Presidente del Consiglio lo abbia ribadito più volte: noi non pensiamo di fare una legge elettorale di sola maggioranza. Non è che, siccome al Senato viene fatta una legge elettorale e c'è una maggioranza di soli tre senatori, alla Camera si prevede anche la fiducia. Noi pensiamo che si debba costruire una legge elettorale di larghissima convergenza, che mi auguro possa coinvolgere tutte le forze politiche.
Questo è il metodo che intendiamo seguire. La legge elettorale e così anche gli aggiornamenti alla Costituzione, essendo le regole comuni, devono essere approvati con uno schieramento che non sia della sola maggioranza del momento. Questo è necessario se vogliamo cercare di mettere qualche punto fermo, che non sia revocato all'indomani delle successive elezioni.
Discutere di legge elettorale - a qualsiasi modello si faccia riferimento, tedesco, spagnolo o quello che volete - in presenza di un sistema di bicameralismo paritario francamente significa discutere molto in astratto. Vorrei sapere quando scatterà la sfiducia costruttiva: scatterà alla Camera, al Senato, ne scatteranno due diverse?
Ho cercato di fare alcune proposte di mediazione non con le forze politiche, ma con questo percorso, che da una parte presenta un aggiornamento della Costituzione, che spero vada avanti su quei punti, e dall'altra la necessità di una legge elettorale


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da riformare in tempi più rapidi, per rispondere positivamente a certe esigenze poste dal referendum.
Credo che in un'intesa possibile si dovrebbero definire anche i tempi. Per quanto riguarda la legge elettorale, o riusciamo a farla entro un determinato periodo, che sarà la fine di questo anno, altrimenti - se sono state raccolte le firme e se la Corte Costituzionale lo ha ammesso - ci sarà il referendum.
Potremmo definire dei tempi anche per le leggi costituzionali. Se ci saranno convergenze ampie - come a me pareva ci fossero e come, in fondo, la discussione di stamani non ha smentito - sul piano delle riforme costituzionali, su questi piani autonomi, anche se coerenti tra di loro, io credo che alla fine del 2008 potrebbe essere concluso un percorso o almeno buona parte di esso, quella che avrà meno obiezioni politiche.
Il Governo - su questo vorrei che ci fosse una fiducia reciproca - non pensa che, perché ci sarà una nuova legge elettorale, ci saranno le elezioni. Il Governo non vuole e non chiede all'opposizione di garantirgli, dopo la legge elettorale o dopo le riforme costituzionali, la durata; se sarà in grado di tenere la coesione della sua maggioranza e le priorità del suo programma, se la garantirà da solo. Se questo non ci fosse, si rischia di andare alle elezioni a prescindere. Penso che, in ogni caso, questo lavoro sia positivo. Credo che di questo percorso e di questo impegno ci sia bisogno per guardare all'Italia.
Per questo personalmente ritengo che si costruirebbe sul nulla se si pensasse che sulle leggi di modifica della Costituzione e sulla legge elettorale, che richiede la ricerca di convergenze amplissime, si costruisca una sorta di smembramento, si costruiscano dei cavalli di Troia, per entrare nel campo avversario. Ma così non si entra da nessuna parte.
Sulla legge elettorale, il Governo non ha intenzione di presentare propri disegni di legge. Questa è una scelta che abbiamo sempre affermato. Il Governo ha intenzione di vedere se può aiutare un percorso, essendone parte, con il Parlamento, con le Commissioni e con i gruppi parlamentari, individuando possibili convergenze.
Questa è la piattaforma che oggi ho cercato di illustrare e sulla quale mi pare ci fossero della convergenze e degli approfondimenti: la difficoltà consiste nel fatto che noi dobbiamo trovare delle sintesi e delle possibili intese non dico tra schieramenti, ma tra forze all'interno dei vari schieramenti, di maggioranza e di opposizione. Questo è l'equilibrio; lo abbiamo voluto; non so se sarebbe stato facile, ma una posizione diversa avrebbe portato ad un'altra soluzione. Non esistono un'intesa di centrosinistra e un'intesa di centrodestra, tra le quali si deve mediare; esistono posizioni differenziate all'interno del centrosinistra e all'interno del centrodestra. Esiste, in più, il fatto che la legge elettorale si deve costruire mentre è in atto un percorso di possibili modifiche alla Costituzione che potrebbero mutare alcuni di questi aspetti.
Sinceramente non sono d'accordo - la questione è stata sollevata oggi dall'onorevole Licandro - su una valutazione di questo genere: siccome sarà superato il bicameralismo paritario, ammettiamo che così avvenga, la legge elettorale che esiste per la Camera è una legge elettorale che funziona. Secondo me questa legge elettorale per la Camera, anche se rimane solo questa, non va bene; essa va modificata in alcuni punti fondamentali. Innanzitutto non va bene il rapporto fra cittadini ed eletti.
In queste nostre stanze si avverte meno; a volte siamo costretti a dividerci per i ruoli che nel momento svolgiamo, e poi quando siamo nel territorio ce ne rendiamo conto. Nelle ultime elezioni, che pure hanno avuto il merito di una maggiore semplificazione, se si somma il non voto - parlo di bianche, nulle e di chi non ha partecipato al voto - si raggiunge oltre il 20 per cento dei cittadini italiani. A questo punto, può dirsi positivo il rapporto tra cittadini ed eletti? Questo è un aspetto che, secondo me, deve essere modificato. Non penso che si possa tornare a


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votare con una legge elettorale che fa arrivare, nelle 26 circoscrizioni elettorali, liste bloccate di 38 candidati!

PRESIDENTE. Non è possibile!

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Infatti, non è possibile. Questo per me rappresenta un punto importante da affrontare. Ci sono diversi modi per superarlo, ma uno è obbligato. Non ci sono ad oggi le condizioni per reintrodurre la preferenza; non so neppure se questa sia una scelta giusta, ma qui ci sono colleghi che la pensano in modo diverso. Non mi si dica, però, che con 38 candidati, introducendo la preferenza si è risolto il problema del collegamento tra cittadini ed eletti. Anche la preferenza, per funzionare, necessita di un numero che abbia una sua ragionevolezza, dal punto di vista della conoscenza e del rapporto con i territori.
Ci sono più modi per superare il problema, certamente, ma credo che una via maestra da approfondire sia comunque quella che le circoscrizioni debbano essere meno ampie e più numerose.
L'approfondimento tecnico che mi è stato riferito è che con quello schema (uno di quelli possibili che ho avanzato), si arriverebbe ad avere in Italia gran parte dei collegi con un numero di candidati da tre a sei (il che consentirebbe anche l'effettuazione, per quei partiti che lo vogliono, di primarie per scegliere i candidati) e, nel numero più grande, intorno a dieci candidati.

ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Mi scusi, ministro: con liste bloccate?

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. In questo caso sì. Ho già detto che è il numero più ridotto, ma con liste bloccate...

ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Vorrei capire, però, alla fine che rapporto c'è tra i candidati e il cittadino.

PRESIDENTE. Sono pochi i candidati!

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Se ci sono tre candidati, o anche cinque, siccome nessuno ne eleggerà cinque su cinque, si possono fare davvero, per chi vuole, le primarie.
Quello che, per il Governo, è un punto fermo (per il resto, invece, riferisco la mia interpretazione, dunque non impegno nessun altro) è il seguente: noi riteniamo che non sia fattibile una nuova legge elettorale che non si proponga di attuare in modo coerente, visto che l'Italia è maglia nera in Europa, l'articolo 51 della Costituzione, che riguarda la presenza delle donne nelle istituzioni, non soltanto nelle liste. Questo è un punto sul quale posso usare un «noi» che non è plurale maiestatis.
Nel dibattito c'è stata qualche stranezza, permettetemi di dirlo. Il collega Fabris afferma la necessità di un superamento del bipolarismo; il collega Bonelli sostiene la volontà di un bipolarismo drastico, quello che arriva fino all'ultimo voto, quello che abbiamo vissuto. Poi ci sono coloro che sostengono legittimamente - Rifondazione comunista, che lo ha detto anche negli incontri precedenti, e l'UDC - il sistema tedesco e altri, come l'Ulivo, che sostengono il maggioritario a doppio turno.
Io, in questa fase, sono l'unico che non può sostenere qualcosa di preciso, anche rispetto ai miei colleghi di Governo...

ROBERTO ZACCARIA. Ti dispiace?

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Sì, un po' mi dispiace, ma i colleghi sanno bene - l'ho detto quando ci siamo incontrati la prima volta - che se potessi sceglierei, e non perché è questa la posizione dell'Ulivo, il collegio uninominale o il maggioritario a doppio turno.
Tale questione è un po' alle nostre spalle, se dobbiamo trovare un punto di condivisione. Non è giusta neppure la rappresentazione che si dà all'esterno, dove appare che non ci sia un punto di condivisione perché i piccoli partiti fanno i ricatti.


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Non è vero, perché un grande partito come Forza Italia non è d'accordo sul sistema del collegio uninominale, con maggioritario a doppio turno, ma anche a un turno; e Forza Italia non è un piccolo partito. Neppure Alleanza nazionale è un piccolo partito, e ugualmente non è d'accordo.
Se si registra la possibilità di una convergenza per ritornare alla legge Mattarella, io sono d'accordo. Fino ad oggi, però, questa convergenza non è emersa, perché nella maggioranza, e anche nell'opposizione, non c'è accordo su questo.
Se vogliamo fare una nuova legge elettorale e se vogliamo cercare di rispondere positivamente a domande poste dal referendum, dobbiamo affrontare alcune questioni. Una è semplice: non si consentono candidature plurime, in più collegi.
Secondo punto: lo sbarramento. Ho affermato, come interpretazione del Governo, che non si può mantenere - mi pare che questo sia stato confermato - il premio di consolazione al miglior perdente e ho proposto di introdurre una gradualità per lo sbarramento per l'accesso ai seggi. Mi pare che questo sia un punto positivo di stamattina.
Ho detto, altresì, che il confronto nei gruppi deve stabilire l'asticella dello sbarramento per la prossima legislatura e, naturalmente, la ponga in una posizione più elevata.
Dal momento che ci sono diverse forze che sostengono il modello tedesco, a prescindere dal discorso del premio di maggioranza, probabilmente dai colloqui che ho avuto con le forze politiche - non solo con i gruppi parlamentari - mi sembra di poter affermare che se si va a due legislature, significa che la prossima si farà con uno sbarramento più alto, quindi con un innalzamento graduale, per arrivare, dopo cinque anni, al 5 per cento.
Comunque, era un'indicazione. Dopodiché sarà il Parlamento a definire dove porre (e noi contribuiremo) il punto di equilibrio per far un'intesa.
Sulla questione dello sbarramento su base circoscrizionale, ci sono due aspetti possibili: si può (e mi pare che fosse la posizione di Bonelli, forse di Belisario, di Licandro, della Mascia) stabilire dove collocare, come primo movimento di gradualità, lo sbarramento a livello nazionale, e si può determinare che, se in tre circoscrizioni, non della stessa regione ovviamente, si supera uno sbarramento più alto, si accede alla ripartizione dei seggi.
Questa è una modalità. Una controindicazione - di cui non ho parlato stamani poiché su questo punto non ho a disposizione le verifiche tecniche che invece ho sull'altra ipotesi - è che, in quel caso, se viene mantenuto, come mi pare oggi sia, quel premio di maggioranza, che grosso modo sarà attorno a un 10 per cento o a scendere, si può determinare, per poter effettuare realmente tutto il recupero, che quei seggi, come è successo questa volta, vengano assegnati nelle circoscrizioni non tenendo conto dell'equilibrio che in quelle regioni si era determinato per le varie forze e quindi anche del rapporto - è vero che è un 10 per cento - di parlamentari eletti in un territorio.
Il Parlamento ritiene che questo sia il male minore, benissimo. L'obiettivo più importante è fare la legge elettorale.
Naturalmente, penso che in questo caso sarà un po' più difficoltoso il negoziato per trovare il punto in cui, alle prossime elezioni, stabilire la soglia di sbarramento. È evidente che con il recupero nazionale è difficile dire che dal 2 si passa al 2,5, ma questo lo determineranno i gruppi.
Nell'altra ipotesi, il recupero, determinato uguale sulla base di circoscrizioni che corrispondono alle regioni (lasciate stare il fatto degli strumenti dei collegi che servono al rapporto con i cittadini) provoca certamente un non completo recupero di tutti i resti - perché a livello di circoscrizione regionale si fermano -, ma probabilmente, incrociati i dati con il livello a cui si porta lo sbarramento, questi possono anche dare una più facile convergenza ed equilibrio.
Lo pongo come elemento di riflessione. Certamente, nessuno si strappa i capelli se la convergenza, con l'approfondimento tecnico, si trova su questo aspetto. Il problema è che sia serio perché considerate che in queste elezioni ci sono state 70


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liste elettorali. I partiti in Parlamento, in questo momento, stanno per diventare 24 e non credo che noi potremo presentarci decentemente ai cittadini - chiunque pensi di vincere o di perdere - dicendo che nelle prossime elezioni le liste saranno 130 e così via per i gruppi.
Credo che questo sia nell'interesse della democrazia; un partito può avere un minore consenso, ma avere un suo fondamento e radicamento nel paese; non stiamo parlando di quei partiti che si inventano vicino alle elezioni perché serve anche quella millesima percentuale di voti.
Ora, la seconda alternativa dello sbarramento possibile su base regionale, è comunque un'interpretazione. Non c'entrano nulla i congressi costitutivi o gli altri processi politici in atto; non c'entrano niente. Ho già spiegato il motivo: avere due alternative possibili, invece di una, alla riflessione del Parlamento, rispetto alla questione di trovare una soluzione per la soglia di sbarramento, non mi sembra un fatto negativo.
L'ultima considerazione riguarda il premio di maggioranza. Anche in questo caso, se facciamo un dibattito culturale, è vero - lo diceva l'onorevole Zaccaria - che il premio di maggioranza non è usuale nei sistemi elettorali (non ce l'ha nessuno, come dice il presidente Violante). La questione più semplice sarebbe decidere il livello della soglia di sbarramento, senza gradualità, e abolire il premio di maggioranza. Non ci sono, però, le condizioni politiche per questo e non so se ci saranno strada facendo: in quel caso le verificheremo tutti insieme.
Siccome la maggior parte delle forze politiche, di maggioranza e di opposizione, afferma che la democrazia dell'alternanza deve funzionare in modo che i cittadini conoscano le alleanze e i candidati alla presidenza del Consiglio, prima del voto e si deve cercare di tenere in piedi tutto questo, così come è, anche nel corso della legislatura, per tutti questi motivi, in questa fase di evoluzione del sistema politico italiano, e del nostro bipolarismo, una forma di bipolarismo (non l'unica), che sia legata anche al premio di maggioranza, è conveniente mantenerla. Sappiamo che questo comporta un negoziato diverso sulla soglia di sbarramento per l'accesso ai seggi. Se questo dato rimane (ossia un 10 per cento di premio di maggioranza a diminuire), mentre mi rendo conto che sulla soglia di accesso si possono fare discussioni di varia natura - nazionale, più elevata, o tutto quello che abbiamo detto - sul premio di maggioranza insisto e chiedo a voi tutti una riflessione e un approfondimento. Dichiarare che il premio di maggioranza non scatta comunque, ma quando si raggiunge un certo livello di consensi, mi pare sia un principio di democrazia.
Non si può fare come a livello regionale; è stato detto che l'elezione diretta del Presidente del Consiglio non si può fare per ragioni costituzionali, altrimenti dobbiamo introdurre un'altra riforma, ma anche per ragioni politiche. Coloro i quali hanno sostenuto un'impostazione nel referendum di un anno fa, non sono convinti di questo; vogliono un governo parlamentare forte, ma sempre un governo parlamentare, vogliono un ruolo più forte del Presidente del Consiglio, ma sempre un Presidente del Consiglio che ottiene la fiducia dalle Camere, fino a quando non sia superato il bicameralismo paritario.
Se questa è l'impostazione, il riferimento è che il premio di maggioranza può scattare ad un determinato livello di consensi. Io propongo anche che il livello di consensi si valuti non in voti, ma una volta raggiunto e superato un determinato numero di seggi. Riflettiamoci, ma mi pare che questo possa rappresentare un punto di equilibrio per avere un negoziato più tranquillo sulla soglia di sbarramento, e quindi impostare la gradualità, e per avere politicamente non una sollecitazione alla frammentazione. Ogni coalizione, che si forma su un programma, saprà se quello che presenta o quello che cerca ha o meno possibilità di superare la soglia di sbarramento; se non la supera, i voti saranno dispersi e andranno in altro modo organizzati. A me sembra che questo possa anche determinare una maggiore coerenza nei programmi delle coalizioni che si trasformano,


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dopo le elezioni, in capacità di azione di Governo. Questo è un nesso che si deve mantenere.
È vero, ci sono due circostanze in cui può non scattare il premio di maggioranza.
Ho parlato di lista o di coalizione, ma un partito potrebbe anche decidere di provare da solo o con una federazione fra partiti. L'obiettivo ha un'altra possibilità per essere raggiunto.
In ogni caso, se un'alleanza o un partito che ritiene di poter avere i numeri per governare l'Italia, non supera il 40 per cento dei seggi, è uno scandalo o è giusto che non ottenga il premio di maggioranza per controllare la Camera? Dal 40 al 51 gli vengono dati più o meno 60 seggi.
Non sono d'accordo, per questo motivo, con la sottolineatura che faceva l'onorevole Valducci. Il premio di maggioranza - se e quando si tiene e, in questo momento, mi sembra che la maggioranza delle forze lo voglia mantenere - ha senso se serve per governare. Se uno raggiunge il 38 per cento dei seggi mica posso regalargli, a spese della rappresentanza dei territori di parlamentari, un premio di seggi che comunque non può neppure governare?
Il premio di maggioranza scatta affinché si possa governare, altrimenti davvero il dibattito è diverso. E non scatta se al Senato e alla Camera ci sono maggioranze diverse.
Se in questa legislatura si supera il bicameralismo paritario o se si supera la questione della fiducia, questo tema rimane un confronto culturale.
Ho già detto e ribadisco - non essendoci state osservazioni contrarie, penso ci sia accordo - che propongo che ci siano due leggi elettorali distinte, una per la Camera e una per il Senato. I principi, oggi, dovranno essere molto simili per cercare di evitare il rischio di due maggioranze diverse.
Un minuto dopo il superamento del bicameralismo paritario, è realisticamente possibile che il Senato sia a composizione mista e non dia la fiducia per questo motivo. Il Senato avrà una parte di senatori eletti e una parte di senatori designati dal sistema delle regioni e delle autonomie, quindi non esprimerebbe la fiducia.
In quel momento, la parte che deve essere elettiva del Senato deve essere proporzionale su base regionale e su questo non credo che ci sia discussione.
Se si determina la situazione - fin quando non è superato il bicameralismo paritario - per cui se al Senato vi è una maggioranza diversa dalla Camera, non scatta il premio di maggioranza in nessuna delle due, a me pare che questa situazione sia fondata sul buonsenso.
Cosa altro si dovrebbe fare? I premi di maggioranza non sono mica in aggiunta, come in Germania, ma sono seggi che vengono utilizzati in un certo modo, sono quel 10 per cento o meno che viene tolto alle circoscrizioni per fare il premio di maggioranza.
Vengono utilizzati per avere due premi che danno luogo a due maggioranze comunque diverse nella Camera e nel Senato; e quindi a che servono? In ogni caso per governare, o si torna a votare un mese dopo, e allora non c'è bisogno del premio di maggioranza, o comunque occorre trovare un'intesa per fare un Governo. Allora perché quella intesa non può essere trovata senza premio di maggioranza? Su questi aspetti credo che si debba insistere.
Questi erano i punti che spero di aver chiarito nella loro problematicità in quelle che sono le maggiori convinzioni e, ripeto, la responsabilità della lettura degli incontri e il tentativo di sintesi che aiuterà o meno nel prosieguo dei giorni e dei mesi, è mia personale. Su questo non c'è nessuna responsabilità che riguardi qualcun altro oltre a me, che ho portato avanti questa riflessione.
Non so se l'onorevole La Forgia era presente all'inizio della mia relazione, ma sul referendum io mantengo la valutazione data all'inizio, che è comune sul fatto che nemmeno io credo che si debba criminalizzare uno strumento di partecipazione. La divergenza tra la mia idea e quella dell'onorevole La Forgia non consiste nel contributo di sollecitazione. Se l'esito del referendum decide la legge elettorale - e non so se il Parlamento che non riesce a


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costruire una legge elettorale ora, riuscirà a farla dopo il referendum - non sono convinto che quella legge elettorale, così come esce dal referendum, sia migliore di quella attuale, ma questo è l'unico elemento di valutazione diversa.
Non sono convinto perché le due soluzioni che ci potrebbero essere con la legge elettorale scritta al referendum, sarebbero o due listoni uno di centrosinistra e uno di centrodestra, il che non mi pare che aumenti né la stabilità, né la coesione, né il rapporto con i cittadini, o in caso diverso di liste separate, in coerenza con quello che ho finito di dire ora, non scatterebbe il premio di maggioranza a un «x» livello di consensi, potrebbe scattare anche al 17,5 per cento di consensi, se quello che viene dopo è al 17,4. Queste sono valutazioni, per quanto mi riguarda, di merito.

PRESIDENTE. Ringraziamo molto il ministro. Aggiungo che nella sua impostazione di premio di maggioranza mi sembra ci sia questo concetto: o il corpo elettorale decide da solo la scelta della maggioranza, e quindi esprime un consenso sufficiente, oppure, se non esercita o non è capace di esercitare questa funzione, a questo punto la scelta deve farla la politica.
Dobbiamo anche tenere conto che ci sono paesi come l'Austria, l'Olanda, la Germania e l'Irlanda del nord che, non avendo avuto una maggioranza, non stanno decidendo di cambiare la legge elettorale, stanno decidendo di dare spazio alla politica per trovare un governo.
Mi pare che il ragionamento del ministro, da questo punto di vista, sia assolutamente coerente: decide il corpo elettorale, ma se il corpo elettorale non è in grado di farlo, perché esprime due maggioranze diverse o perché non dà un numero di voti sufficienti alla coalizione vincente, a questo punto entra in campo la politica.
Ringrazio nuovamente il ministro e tutti i colleghi intervenuti. Il lavoro svolto questa mattina, in quasi cinque ore di seduta, è stato sicuramente utile.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,25.