COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 2 maggio 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE

La seduta comincia alle 9,55.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del presidente della Consob, Lamberto Cardia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del presidente della Consob, dottor Lamberto Cardia. Come ricorderete, nell'ultima seduta fu richiesto l'intervento del presidente della Consob, che ringraziamo per avere aderito con tempestività al nostro invito.
Do la parola al presidente della Consob, dottor Lamberto Cardia.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Signor presidente, onorevoli deputati, in relazione ai quesiti rivoltimi, desidero premettere che il mio contributo avrà ad oggetto profili di regolamentazione appartenenti all'ordinamento settoriale cui la Consob è preposta. Quanto alle ulteriori tematiche che i quesiti pongono, per quanto non riconducibili in modo evidente alla missione istituzionale svolta dalla Commissione che ho l'onore di presiedere, saranno da me considerate nei limiti delle mie personali conoscenze.
Prima ancora di affrontare la questione relativa all'obbligo di alienazione di partecipazioni azionarie, avuto riguardo alla tematica che forma oggetto del disegno di legge attualmente in corso di esame, ritengo utile premettere alcuni richiami al fenomeno del conflitto di interessi quale si configura all'interno dell'ordinamento più direttamente riconducibile alle competenze istituzionali della Consob, ossia l'ordinamento societario.
Al fenomeno del conflitto di interessi, inteso come condizione nella quale versa il soggetto che abbia interessi personali o professionali contrastanti con l'imparzialità richiesta dalla posizione rivestita o dalla carica ricoperta all'interno dell'ordinamento societario, sono - quanto meno in senso lato - riconducibili numerose previsioni del diritto societario di matrice codicistica.
Ulteriori previsioni in argomento sono contenute nella parte «emittenti» del testo unico della finanza, laddove, con particolare riguardo alle società italiane con azioni quotate in un mercato regolamentato italiano o di un paese dell'Unione europea, viene integrata, o in taluni casi integralmente sostituita, la disciplina recata dal codice civile.
Le ipotesi più rilevanti riguardano il conflitto di interessi del socio. Immediatamente riconducibile, anche dal punto di vista nominalistico, al tema del conflitto di interessi nel diritto societario risulta l'ipotesi del conflitto di interessi dell'azionista che in una determinata delibera abbia, per conto proprio o altrui, un interesse personale contrastante con quello della società. In presenza di tale situazione, contrariamente a quanto previsto dalla precedente disciplina societaria, al socio non è fatto divieto di votare. Tuttavia, nel caso


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in cui prenda parte alla votazione, la delibera approvata con il suo voto determinante risulta impugnabile a norma dell'articolo 2377 del codice civile, qualora possa recar danno alla società.
Vengo alla disciplina degli interessi degli amministratori, prevista dall'articolo 2391 del codice civile. Ulteriori ipotesi riconducibili latu senso alla tematica dei conflitti di interesse è quella prevista dall'articolo 2391 (Interessi degli amministratori), che prende in considerazione il caso in cui un amministratore abbia, per conto proprio o di terzi, un interesse in una determinata operazione della società, interesse che rileva ai fini dell'applicazione della disciplina in questione anche qualora non si ponga in conflitto con quello della società. Nella fattispecie, il codice prevede che l'amministratore informi gli altri amministratori e il collegio sindacale dell'interesse di cui è portatore, precisandone natura, termine, origine e portata.
Qualora investito di deleghe, egli dovrà astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale. È utile precisare che tale fattispecie risulta assistita da sanzione penale: l'articolo 2629-bis del codice civile prevede infatti la pena della reclusione da uno a tre anni per la violazione degli obblighi di disclosure previsti dal citato articolo 2391, da parte di amministratori, qualora da tale violazione siano derivati danni alla società o a terzi.
Per quanto riguarda le operazioni con parti correlate, ulteriore fattispecie riconducibile al fenomeno del conflitto di interessi è quella delineata dall'articolo 2391-bis del codice civile in materia di operazioni con parti correlate, nel caso di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ossia società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati o diffusi tra il pubblico in misura rilevante. Nell'ambito di tali operazioni la presenza di potenziali conflitti di interessi risulta strutturale e maggiori sono, quindi, i rischi di comportamento contrario all'interesse sociale e di danno per gli azionisti di minoranza. L'inosservanza degli adempimenti formativi previsti risulta sanzionata dall'articolo 193, comma 1, del testo unico, con l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5 mila a 500 mila euro.
Altro caso è quello che riguarda la disciplina dell'attività di direzione e coordinamento. Nell'ambito della disciplina dei conflitti di interessi è possibile, altresì, inquadrare le previsioni recentemente introdotte dalla riforma del diritto societario, in relazione al fenomeno dei gruppi, con particolare riguardo ai profili della trasparenza e della responsabilità della capogruppo in caso di operazioni intraprese da una controllata. Le previsioni sono accompagnate da sanzioni di tipo civilistico, per il caso in cui la società che esercita direzione e coordinamento, in violazione dei principi di corretta gestione di società imprenditoriale, abbia arrecato danni ai soci e ai creditori delle società soggette all'influenza della prima.
Ulteriori previsioni riconducibili, almeno in senso lato, alla tematica dei conflitti di interesse nell'ordinamento societario sono rinvenibili nelle norme che prevedono cause di ineleggibilità e di decadenza dei soggetti investiti di funzione di controllo, componenti del collegio sindacale e componenti del consiglio di sorveglianza e del comitato per il controllo sulla gestione, sia pure con disposizioni parzialmente coincidenti.
In presenza di situazioni e di rapporti suscettibili di minare alla radice l'indipendenza dei soggetti preposti al controllo endosocietario, il codice civile ha previsto per costoro l'impossibilità di assumere il relativo incarico. Disposizioni coincidenti si rinvengono anche nella disciplina specificamente applicabile ad emittenti quotati, sia pure con qualche opportuna diversità. La sanzione atta ad operare, qualora la situazione di incompatibilità sopravvenga o sia rilevata successivamente all'assunzione dell'incarico, è quella della decadenza.
Passo ad affrontare nello specifico i quesiti posti. Nei casi di conflitto di interessi brevemente esposti, non si rinvengono tra i rimedi tipicamente preordinati alla risoluzione del conflitto ipotesi in cui


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il soggetto che versi in tali situazioni sia obbligato alla cessione di beni o di attività allo stesso appartenenti. Viceversa, nell'ordinamento del mercato mobiliare, alla tutela del quale è preposta la Consob, l'alienazione obbligatoria di partecipazioni è rimedio conosciuto sia nell'ambito della disciplina dei servizi di investimento, sia nell'ambito della disciplina applicabile agli emittenti con azioni quotate in un mercato regolamentato.
Con specifico riguardo alla disciplina dei servizi di investimento, due sono le ipotesi in cui è contemplato siffatto presidio. La prima ipotesi ricorre allorquando partecipazioni azionarie al capitale di intermediari autorizzati all'esercizio di servizi di investimento siano acquisite in misura superiore al limite stabilito dal ministro dell'economia, o da soggetti in possesso di requisiti di onorabilità predeterminati dallo stesso ministro, sentita la Banca d'Italia e la Consob.
I requisiti cui fa riferimento la previsione citata sono stati stabiliti dal ministero a mezzo del decreto n. 469 del novembre 1998. Con questo decreto sono state individuate, tenendo conto dell'influenza che la partecipazione consente di esercitare sulle società, le soglie partecipative rilevanti ai fini dell'applicazione di siffatta previsione.
Il testo unico stabilisce, inoltre, al fine di evitare facili elusioni della normativa, che per determinare la consistenza della partecipazione detenuta dal soggetto in questione debba tenersi conto anche delle partecipazioni possedute per il tramite di società controllate, di società fiduciarie o per interposta persona, nonché di tutti i casi in cui i diritti derivanti dalle partecipazioni spettino o siano attribuiti ad un soggetto diverso dal titolare delle partecipazioni stesse, o comunque esistano accordi concernenti l'esercizio del diritto di voto.
La prima conseguenza di un acquisto effettuato in assenza dei prescritti requisiti di onorabilità consiste nell'impossibilità di esercitare i diritti di voto e gli altri diritti che consentono di influire sulla società, inerenti alle partecipazioni acquisite, oltrepassando la soglia rilevante.
In casi di inottemperanza al divieto, peraltro, la deliberazione o il diverso atto adottati con il voto, o comunque il contributo determinante delle partecipazioni in questione, possono essere impugnati non soltanto dai soggetti a ciò titolati sulla base delle previsioni codicistiche, ma anche dalla Banca d'Italia e dalla Consob.
La conseguenza più significativa di un acquisto effettuato in violazione delle previsioni in argomento resta, tuttavia, l'obbligo di alienare le partecipazioni eccedenti le soglie previste; obbligo non presente all'epoca in cui il testo unico fu emanato nel 1998, ma introdotto successivamente per effetto degli interventi operati sul testo unico della finanza e sul testo unico bancario, in occasione della riforma del diritto societario.
In proposito, la disposizione attribuisce alla Banca d'Italia e alla Consob, a seconda dei casi, il compito di stabilire il termine entro il quale l'alienazione debba effettuarsi, senza fare cenno tuttavia alle relative modalità.
Sono previste infine sanzioni amministrative pecuniarie - da 25 mila a 258 mila euro - recentemente modificate dalla legge n. 262 del 2005, la cui erogazione compete alla Consob, per l'inosservanza del divieto di esercizio del diritto di voto e dell'obbligo di alienazione delle partecipazioni in questione.
Ulteriore fattispecie di alienazione di partecipazioni contemplata dalla parte «intermediari» del testo unico si colloca nell'ambito della disciplina volta a garantire che l'acquisto di partecipazioni qualificate al capitale degli intermediari sia operato da soggetti idonei ad assicurare una sana e prudente gestione della società o a consentire l'effettivo esercizio della vigilanza.
È in proposito prevista una procedura, da espletare preventivamente all'effettuazione degli acquisti di partecipazioni qualificate, che contempla l'iniziale comunicazione alla Banca d'Italia e la successiva eventuale pronuncia della stessa nel termine


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di 90 giorni dalla comunicazione, pronuncia che può anche avere ad oggetto la fissazione di un termine massimo entro il quale effettuare l'acquisto.
La comunicazione è dovuta anche qualora si intenda procedere ad acquisti o cessioni da cui derivino variazioni, in aumento o in diminuzione, della partecipazione rilevante, ovvero l'acquisizione o la perdita del controllo. Anche in questo caso, per evitare facili illusioni, rilevano gli acquisti e le cessioni effettuati indirettamente, ossia per il tramite di società controllate, di società fiduciarie o per interposta persona.
La conseguenza primaria dell'acquisto effettuato in violazione dell'obbligo di comunicazione o senza attendere la scadenza del termine assegnato alla Banca d'Italia per pronunziarsi, o allorquando sia scaduto il termine massimo eventualmente da essa fissato per il compimento dell'operazione, o nonostante il provvedimento di divieto adottato dalla stessa banca, consiste nell'impossibilità di esercitare i diritti di voto e gli altri diritti che consentono di influire sulla società, inerenti alle partecipazioni eccedenti le soglie all'uopo stabilite.
La sospensione dei medesimi diritti può rappresentare peraltro la conseguenza di un provvedimento adottato in qualsiasi momento dalla Banca d'Italia, anche su proposta della Consob, nel caso in cui l'influenza esercitata dal titolare della partecipazione possa pregiudicare la sana e prudente gestione dell'intermediario o l'effettivo esercizio della vigilanza.
In entrambe le ipotesi di sospensione, qualora l'azionista non si conformi, la deliberazione o il diverso atto adottati con il voto, o comunque il contributo determinante delle partecipazioni in questione, possono essere impugnati non soltanto dai soggetti a ciò titolati sulla base delle previsioni codicistiche, ma anche dalla Banca d'Italia e dalla Consob.
L'acquisto effettuato in assenza di comunicazione preventiva o al di là del termine massimo stabilito dalla Banca d'Italia, ovvero allorquando è intervenuto il divieto della stessa, può determinare altresì la necessità di alienare le partecipazioni eccedenti i limiti in precedenza menzionati; ciò accade tuttavia soltanto qualora la Banca d'Italia decida in tal senso, fissando il relativo termine, non rappresentando l'alienazione delle partecipazioni suddette una conseguenza indefettibile della violazione della disciplina in argomento.
La previsione evidentemente intende consentire all'autorità di vigilanza una valutazione, caso per caso, in merito all'incidenza degli acquisti in questione sull'esigenza di sana e prudente gestione dell'intermediario. Anche in questa ipotesi non sono definite dalla legge le modalità attraverso le quali procedere alla dismissione delle partecipazioni azionarie.
Sono previste sanzioni amministrative pecuniarie da euro 25 mila a euro 258 mila - come recentemente maggiorate dall'articolo 39, comma 3, della legge n. 262 del 2005 - per l'omissione delle comunicazioni preventive e successive all'effettuazione degli acquisti, nonché per l'inosservanza del divieto di esercizio del diritto di voto e dell'obbligo di alienazione delle partecipazioni in questione.
È infine punito con l'arresto da sei mesi a tre anni e con l'ammenda da 5 mila a 51 mila euro, chiunque nell'effettuare le comunicazioni sopraindicate fornisca informazioni false. Tali pene sono raddoppiate in base ad una normativa successiva.
Con riguardo alla disciplina degli emittenti, recata dal testo unico della finanza, l'obbligo di alienazione di partecipazioni azionarie è previsto nell'ambito della disciplina in materia di offerte pubbliche di acquisto e di quella relativa al fenomeno delle partecipazioni reciproche.
Con specifico riferimento alla prima fattispecie, il testo unico impone l'obbligo di promuovere un'offerta pubblica di acquisto totalitaria a carico di chiunque, a seguito di acquisti a titolo oneroso, venga a detenere da solo, o in concerto con altri, una partecipazione superiore alle soglie ivi stabilite in una società italiana, con azioni ordinarie quotate in un mercato regolamentato italiano.


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In tale contesto, per il caso di violazione degli obblighi previsti dalla disciplina in materia di OPA obbligatoria, l'articolo 110 del testo unico prevede, in primo luogo, la sospensione del diritto di voto, che non interessa soltanto la partecipazione acquisita in eccesso rispetto alle soglie rilevanti, ma si estende al complesso delle azioni detenute dall'emittente quotato nel soggetto a cui è riferibile l'inottemperanza. Nel caso in cui il diritto di voto venga comunque esercitato, la deliberazione adottata con il voto determinante delle partecipazioni in questione può essere impugnata dalla Consob, e l'azionista risulta esposto all'applicazione, da parte della Consob, di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 25 mila ad euro 516 mila.
Accanto alla cosiddetta sterilizzazione del diritto di voto, l'acquirente risulta poi tenuto ad alienare, entro dodici mesi, le azioni acquisite in eccesso rispetto alle soglie rilevanti. Anche in questo caso non sono previste le modalità attraverso le quali realizzare la richiesta dismissione. Nel caso in cui il soggetto sia tenuto ad alienare le partecipazioni, sia una società con azioni quotate, ovvero una società con azioni non quotate che partecipa al capitale di una società con azioni quotate, e il relativo obbligo resti inadempiuto, trova applicazione anche la sanzione penale prevista dall'articolo 173 del testo unico, alla stregua del quale gli amministratori di società con azioni quotate, o di società che partecipano al capitale di società con azioni quotate, i quali violino gli obblighi di alienazione delle partecipazioni previste dagli articoli 110 e 121, sono puniti con la reclusione fino ad un anno e con la multa da euro 103 ad euro 1033 (sono aumentate, ma non di molto).
Un'ulteriore ipotesi di alienazione obbligatoria di partecipazioni azionarie è prevista dall'articolo 121 del testo unico, il quale reca la disciplina delle partecipazioni reciproche. In caso di partecipazioni reciproche fra emittenti quotati eccedenti la soglia partecipativa del 2 per cento del capitale (o del 10 per cento, se la partecipazione è detenuta da un emittente quotato nel capitale di un emittente non quotato o di una società a responsabilità limitata), è infatti previsto che la società che abbia superato il limite successivamente non possa esercitare il diritto di voto inerente alle azioni o quote eccedenti, e debba alienarle entro dodici mesi dalla data in cui ha superato il limite.
Se non è possibile accertare quale delle due società abbia superato il limite successivamente, la sospensione del diritto di voto e l'obbligo di alienazione si applica ad entrambe, salvo loro diverso accordo.
In caso di inosservanza del divieto di esercizio del voto, la deliberazione adottata con il voto determinante della partecipazione in questione risulta impugnabile secondo quanto prevede il codice civile. Anche la Consob può proporre questa impugnazione. Per l'ipotesi di mancata alienazione delle azioni o quote entro il termine dei dodici mesi dalla data di superamento del limite, è previsto che la sospensione del diritto di voto si estenda all'intera partecipazione detenuta dall'emittente in questione. Risulta anche applicabile la sanzione penale prevista dall'articolo 173, precedentemente richiamata.
Lo stesso articolo 121 del testo unico estende poi il concetto di partecipazione reciproca a livello di gruppo, stabilendo altresì che se un soggetto detiene una partecipazione superiore al 2 per cento del capitale, in una società con azioni quotate, questa o il soggetto che la controlla non può acquisire una partecipazione superiore a tali limiti in una società con azioni quotate controllate dal primo.
Per quanto riguarda le sanzioni applicabili a tale ultima fattispecie, queste appaiono limitate alla sospensione del diritto di voto, mentre non si applicano l'obbligo di alienazione e le connesse sanzioni, che consistono nell'estensione della sospensione del diritto di voto all'intera partecipazione e nella sanzione penale già più volte richiamata.
Soltanto un breve cenno merita infine, per concludere, l'illustrazione sulla tematica dell'alienazione di partecipazioni azionarie, talune ipotesi previste dalla disciplina


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codicistica e dal testo unico bancario, che dunque si collocano al di fuori della disciplina strettamente riconducibile al mercato mobiliare.
Le prime riguardano gli acquisti di azioni proprie o di azioni delle società controllate, effettuate da un emittente in violazione dei limiti quantitativi e dei presìdi procedurali previsti dallo stesso codice civile, la cui conseguenza consiste appunto nell'obbligo di alienazione delle partecipazioni in questione, secondo modalità da determinarsi da parte dell'assemblea entro un anno dai loro acquisti. In mancanza, l'assemblea dovrà procedere all'annullamento delle partecipazioni medesime e alla corrispondente riduzione del capitale.
Quanto alle previsioni del testo unico bancario in materia di alienazione di partecipazioni azionarie, le stesse appaiono sostanzialmente in linea con la disciplina del testo unico - che ho precedentemente esposto - relativa agli intermediari autorizzati all'esercizio dei servizi di investimento. Esse rispondono alla necessità di garantire che acquisti di partecipazioni qualificate al capitale di una banca siano operati da soggetti in grado di assicurare la sana e prudente gestione dell'emittente bancario, nonché all'ulteriore esigenza che i partecipanti al capitale del medesimo emittente si trovino in possesso dei requisiti di onorabilità stabiliti dal Ministero dell'economia, sentita la Banca d'Italia.
Come emerge delle fattispecie normative esposte, il fenomeno dell'alienazione obbligatoria di partecipazioni azionarie è attestato sia nell'ambito dell'ordinamento generale, sia nell'ambito di alcuni ordinamenti settoriali, al di là della sfera normativa propria della Consob. Il rimedio in questione è anche contemplato dall'ordinamento bancario.
I presupposti di operatività dell'obbligo in discussione, tuttavia, non sembrano, prima facie, potersi ricondurre a situazioni nelle quali un soggetto risulti titolare di interessi personali o professionali contrastanti con l'imparzialità richiesta dalla posizione rivestita o dalla carica ricoperta. Piuttosto si è visto come l'alienazione delle partecipazioni azionarie rappresenti la conseguenza di esigenze connesse alla tutela della stabilità e della sana e prudente gestione di soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività di intermediazione, sia mobiliare che creditizia, ovvero costituisca la reazione apprestata dall'ordinamento di settore con riguardo a specifiche condotte suscettibili di porsi in contrasto con i principi ispiratori del medesimo. Tipico è il caso della rilevazione della disciplina in materia di OPA obbligatoria.
Rilevante è, quindi, la differenza fra l'ipotesi attualmente prevista dall'ordinamento, in cui l'alienazione rappresenta l'esito di una lesione già prodottasi di interessi ritenuti meritevoli di tutela, e quella prefigurata dal disegno di legge in esame, in cui l'alienazione costituisce lo strumento utilizzato in chiave preventiva rispetto a situazioni solo in via potenziale suscettibili di nuocere a quegli interessi.
Per quanto concerne il tema del blind trust in relazione ai principi costituzionali vigenti in materia di proprietà, è da considerare che la Consob ha competenze specifiche nel campo della gestione di patrimoni per conto di terzi; attività che si caratterizzano per la gestione, ad opera di soggetti appositamente autorizzati (SIM, banche, società di gestione del risparmio), di patrimoni composti di strumenti finanziari - azioni, obbligazioni, titoli di Stato -, che vengono loro affidati dai risparmiatori allo scopo di aumentarne il valore mediante acquisti, vendite o altre operazioni di investimento.
Oggetto del servizio, dunque, è la gestione di un patrimonio mobiliare inteso come valore, e non già l'amministrazione di beni individuati. Diversamente, l'ipotesi in esame concerne, nella sostanza, l'affidamento in gestione ad un trustee di beni specificamente individuati e segnatamente di imprese e partecipazioni in imprese conferiti in un trust cieco.
Il regime del trust cieco implica che il trustee proceda, una volta costituito il trust, all'alienazione e/o alla trasformazione dei beni in esso conferiti inizialmente, così da rendere ignota al costituente


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la composizione del patrimonio ed assicurare la completa cecità della gestione.
Prima ancora di esprimere qualche personale considerazione sulla compatibilità costituzionale di un tale meccanismo, ritengo di dover segnalare che, dal punto di vista tecnico, l'istituto del blind trust risulta strutturalmente adeguato alla gestione di patrimoni mobiliari, avendo essi ad oggetto beni fungibili, anzi ne prevede la continua trasformazione mediante acquisto e vendita.
Il ricorso al blind trust appare, invece, problematico per la detenzione e la gestione di attività economiche di carattere imprenditoriale anche quando esse siano costituite da partecipazioni azionarie, giacché implica - come ho detto - che debbano essere vendute e/o trasformate.
Quanto al problema della costituzionalità dell'utilizzo dell'istituto del blind trust per la risoluzione dei problemi connessi ai potenziali conflitti di interesse di chi accede a cariche di Governo, considerate le competenze della Consob, che attengono propriamente ai profili tecnici della materia in discussione, mi limito ad osservare che nessuna incompatibilità con i principi costituzionali vigenti in tema di diritto di proprietà e di libertà di iniziativa economica privata sembrerebbe configurarsi laddove il ricorso al blind trust riguardasse beni fungibili. Ove, invece, il ricorso al blind trust concernesse beni individuati, e segnatamente imprese, potrebbero ipotizzarsi dubbi con riferimento ai principi desumili dagli articoli 42 (sulla tutela del diritto di proprietà) e 43 (sul trasferimento coattivo di imprese) della Carta costituzionale, giacché il trasferimento dell'impresa che si verrebbe a realizzare potrebbe essere considerato non giustificato da motivi di interesse o dell'idea generale, in quanto non ricollegabile alla destinazione del bene, ma alla situazione soggettiva del suo titolare. In tale ultimo caso si verrebbe a colpire la titolarità del diritto di proprietà, privando il titolare della facoltà di disposizione reale dei beni.
È anche da considerare che l'obbligo di vendita affidato a terzi potrebbe non realizzare al meglio il valore o la trasformazione dei beni stessi e potrebbe quindi produrre effetti, pur se non voluti, di danno. Né a ciò potrebbe adeguatamente sopperire un controllo successivo sull'attività svolta dal trustee.
Mentre l'obbligo di dismissione di beni non fungibili imposto al trustee potrebbe essere considerato confliggente col diritto di proprietà, diversa valutazione potrebbe essere formulata ove l'affidamento di detti beni al trustee riguardasse solo la cieca gestione dei beni stessi senza obbligo di dismissioni.
Anche nel caso di cieca gestione sarebbero peraltro da considerare con attenzione, in via previsionale, scelte gestionali atte a produrre conseguenze per il patrimonio, quali il caso di partecipazione ad aumenti di capitale di società di cui il soggetto cedente sia socio rilevante.
Quanto alla responsabilità per la conduzione del blind trust da parte del trustee, occorre considerare che attualmente tale istituto, come noto, non è puntualmente regolato da una normativa nazionale. La legge n. 364 del 1989 ha infatti recepito nell'ordinamento nazionale la Convenzione dell'Aja del 1o luglio 1985 sul trust, per effetto della quale è possibile costituire trust in Italia che abbiano determinate caratteristiche, ma non è stata prevista una disciplina con norme di diritto italiano.
La costituzione del trust, dunque, comporta necessariamente la scelta, ad opera del costituente, di una normativa estera che regoli i rapporti giuridici conseguenti, anche per quel che riguarda il regime della responsabilità del trustee, sotto il vincolo di compatibilità con l'ordinamento italiano.
Si tratta, dunque, di un istituto del tutto atipico, in quanto regolato da norme di diritto straniero di volta in volta individuate, dal variabile contenuto dell'atto di costituzione, nonché dalle norme italiane che ne disciplinano taluni aspetti, come peraltro è nel testo della proposta di legge in esame.
Posto che ciò non consente di fare riferimento a norme puntuali del nostro


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ordinamento, è ragionevole ipotizzare che debbano comunque essere rispettate le regole generali derivanti dalla disciplina civilistica della gestione per conto altrui e del mandato. Si tratta, in estrema sintesi, del rispetto dei fondamentali canoni di tipo oggettivo di diligenza e correttezza, che caratterizzano l'adempimento contrattuale.
Di ciò sembra tenersi conto anche nella proposta di legge in cui si fa riferimento, tra l'altro, al necessario rispetto delle regole deontologiche e di diligenza professionale da parte del trustee. Occorre, in tale ottica, tenere presenti le specificità del blind trust, con la conseguente responsabilità, in capo al trustee, per la violazione dello specifico dovere aggiuntivo di riservatezza sulle informazioni relative al trust e ai beni che ne formano oggetto. Esso deve, infatti, assicurare e mantenere la massima riservatezza con chiunque circa la qualità dei beni del trust istituito dal titolare della carica di Governo e circa i beneficiari, nonché per le operazioni da esso stesso effettuate in conflitto di interessi.
Inoltre, come è previsto peraltro dall'articolo 8, comma 5, della proposta di legge, il trustee deve possedere precisi requisiti, tra i quali: la costituzione in forma di società di capitali, la non riconducibilità della società a persone fisiche e giuridiche legate al titolare della carica ovvero ai suoi prossimi congiunti, l'oggetto sociale comprendente lo svolgimento dell'attività di trustee, una consolidata esperienza in materia di trust.
Ai sensi del successivo comma 6, lettera c), il trustee deve altresì astenersi da qualsiasi operazione che possa risultare in conflitto di interessi con la sua attività di trustee del trust costituito dal titolare della carica di Governo, intendendo con ciò qualsiasi operazione che coinvolga interessi dello stesso trustee o enti o società facenti parte del gruppo societario a cui il trustee appartiene, ovvero un soggetto di cui ha la rappresentanza o che ha costituito un trust di cui è trustee.
Infine, con riguardo al profilo della responsabilità penale, ferma restando la possibilità di fare riferimento alle norme sanzionatorie di generale applicazione attualmente previste dal codice penale, con riferimento ad ipotesi più gravi di fraudolenta gestione del trustee, potrebbe essere valutata, in sede di redazione del disegno di legge, l'opportunità di prevedere specifiche fattispecie normative, stante la difficoltà di applicare quelle in atto presenti negli ordinamenti settoriali, ad esempio la contravvenzione della gestione infedele contenuta nel testo unico della finanza, posti i limiti in materia penale stabiliti in via costituzionale ad una applicazione analogica di fattispecie di reato.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Cardia.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ROBERTO ZACCARIA. Volevo rilevare come la maggior parte di questa relazione, di notevole interesse, riguardi fattispecie dell'ordinamento societario che non interessano quella che invece stiamo trattando, poi affrontata nella parte finale. Si rileva una connessione con un quesito di carattere generale, concernente altre ipotesi di carattere similare presenti nell'ordinamento, che però il presidente Cardia ha affrontato solo nell'ultima parte della sua relazione.
Vorrei evidenziare alcune questioni con riferimento ai profili di costituzionalità qui richiamati, che sembrerebbero limitare parte della portata dell'intervento normativo. Stiamo infatti realizzando un tipo di intervento nuovo che si deve inserire in una cornice, ma possiede sue specificità. Non si tratta dell'ordinario mercato mobiliare e di soggetti che operano in condizioni fisiologiche-patologiche, bensì di affrontare una questione concernente il rapporto tra chi svolge queste attività nel mercato generale e si accinge a ricoprire una carica di Governo.
Da questo punto di vista, ritengo quindi opinabile citare solo gli articoli 42 e 43 della Costituzione, invocabili da un soggetto che, operante nel mercato generale,


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sia limitato nella sua condizione per effetto di norme che dovessero disciplinare solo questo aspetto.
Dobbiamo invocare le norme che riguardano anche gli articoli 51, 54 e 65, relative a coloro che si accingono a ricoprire una funzione di Governo e che in questa prospettiva si trovano soggetti ad alcune disposizioni. L'articolo 51 recita: «Tutti i cittadini dell'uno e dall'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge». Nelle cariche elettive e negli uffici pubblici rientra certamente anche la materia delle cariche di Governo, perché il concetto sottinteso dalle parole «uffici pubblici» è molto ampio.
Il costituente indica chiaramente come i requisiti vengano stabiliti dalla legge. Non si tratta dunque di un soggetto che, operando nel mercato immobiliare, si imbatte improvvisamente in una limitazione, bensì di uno che, pur operando in quel mercato, desidera accedere anche a una di queste cariche e che deve rispettare i requisiti posti dal legislatore.
L'articolo 54 recita: «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica, osservarne la Costituzione e le leggi.» Come ci ha ricordato il presidente Violante, esiste una norma molto importante, pur se inconsueta e non molto osservata, secondo cui «i cittadini cui sono affidate le funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina d'onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge». Il concetto della disciplina d'onore può riverberarsi su questo aspetto.
Un'altra norma prevista dall'articolo 65 recita: «La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di deputato e senatore». Se la legge stabilisce i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di deputato e senatore, ancor più per il combinato disposto di tale norma il legislatore può introdurre previsioni che stabiliscano alcune incompatibilità.
Si può affrontare tale aspetto in modo molto preciso. Talune proposte auspicano l'incompatibilità secca, ovvero una norma che definisca incompatibile disporre di determinate attività patrimoniali o mobiliari e ricoprire cariche governative.
Questa incompatibilità secca può essere ritenuta un bilanciamento insufficiente tra l'esigenza che tutti possano accedere alle cariche pubbliche, anche governative, e le attività commerciali o industriali. Si propone dunque di introdurre l'istituto del blind trust, mutuandolo da esperienze in tal senso collaudate. Anziché l'incompatibilità secca, che la legge, secondo la nostra Costituzione, potrebbe porre per meglio bilanciare gli interessi costituzionali, il legislatore potrebbe ricorrere al blind trust ed evitare la scelta drastica tra il fare o il non fare, offrendo un'opportunità intermedia.
Ritengo quindi che limitare per motivi di incostituzionalità l'attuale intervento normativo solamente ai beni fungibili non consideri l'operazione di bilanciamento di interessi costituzionali che questa formula cerca di realizzare. È chiaro che essa non deve essere misurata rispetto ad un cittadino qualsiasi, cui si imponga di conferire ad un blind trust o ad una SIM, bensì a quello che intende ricoprire una carica di Governo. Ad esso non si chiede di scegliere tra il bianco e nero, ma gli si propone anche un percorso grigio. La misura quindi non può essere data dagli articoli 42 e 43, perché non si tratta di un cittadino comune, ma di uno che aspira a ricoprire una carica pubblica. Il blind trust ha dunque una funzione di bilanciamento e gli interessi costituzionali chiamati in causa non sono soltanto quelli degli articoli 42 o 43, ma anche quelli generali concernenti il buon funzionamento della Stato.
Ho apprezzato particolarmente due terzi della relazione, mentre dissento dalla parte finale, che ci riguarda. Del resto, con molto garbo il presidente Cardia aveva rilevato, come Consob, di effettuare valutazioni personali di natura costituzionale. Tuttavia, mi permetto di non essere del medesimo avviso.


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DONATO BRUNO. Ringrazio il presidente Cardia. Ritengo che l'onorevole Zaccaria sia fuori tema. Abbiamo invitato il presidente Cardia al fine di illuminare la nostra Commissione in riferimento al blind trust, argomento tanto usato da taluni membri.
Il merito principale dell'audizione è quello di aver dato totale contezza di come il blind trust non faccia parte della norma di recepimento della Convenzione dell'Aia. Il trust ne fa parte, ma non il blind trust, come il presidente Cardia ha giustamente sottolineato. Se quindi si opta per una proposta di legge che lo preveda, si confligge con il diritto internazionale, unico a poter regolare questo istituto. E non è materia di poco conto.
Ritengo pertinente sottolineare gli articoli 42 e 43 della Costituzione, perché abbiamo chiesto al Presidente Cardia cosa accada normalmente in un trust, che notoriamente tratta beni fungibili mobiliari, ovvero titoli, e non la proprietà, l'impresa individuale, la tabaccheria, la farmacia. Ha quindi sottolineato come non sia possibile utilizzare il trust per vendere, perché esso implica un soggetto che gestisce e una gestione basata esclusivamente sui beni mobiliari.
Questi sono i punti fermi su cui lavorare. Nulla vieta che il provvedimento sul conflitto di interessi possa passare attraverso la figura - insisto - del mandato fiduciario (i colleghi dell'UDC citano un altro tipo di situazione) che può anche comprendere i beni immobili e le attività dell'imprenditore, quindi l'impresa. Diverso è il caso in cui si vuole fare ricorso ad un trust, che comporta alcune limitazioni. Infatti, esiste una norma di recepimento - non una legge italiana che lo preveda - che impone una cornice estremamente limitata.
Il riferimento agli articoli 42 e 43 è molto pertinente, diverso da quello agli articoli 51, 54 e 65 che riguardano altre materie, l'ineleggibilità e l'incompatibilità. Si sta parlando di beni di un soggetto chiamato a svolgere una carica di Governo, che - questa è la vostra volontà - deve affidare a terzi la gestione degli stessi. È possibile farlo nel rispetto degli articoli 42 e 43; non vi sono fughe, nella maniera più assoluta.
Quindi, oltre a ribadire il ringraziamento, desidero evidenziare che questa relazione, nella parte iniziale ma soprattutto in quella finale, più vicina ai quesiti posti, serve a tranquillizzare questa Commissione sulla strada da perseguire. Se infatti seguissimo un percorso diverso, correremmo il rischio non risolvere il problema o di incorrere in conflitti di carattere costituzionale.

GRAZIELLA MASCIA. Desidero solo sottolineare la mia convergenza con le argomentazioni del collega Zaccaria. Poiché abbiamo affrontato questo tema anche nella scorsa legislatura, ricordo che la nostra proposta di legge sottolineava - in accordo con molti di coloro che partecipano al dibattito apertosi anche sulla stampa sulla disciplina del conflitto di interessi - l'opportunità di scegliere in modo netto, avanzando quindi il tema dell'incompatibilità in una vicenda così delicata.
Nella scorsa legislatura scegliemmo questa strada. Naturalmente si trattava della relazione di minoranza, ma gli argomenti ora sostenuti dal collega Donato Bruno - ovvero il contrasto della tesi dell'incompatibilità con gli articoli 42 e 43 - coincidono con quelli di allora.
Rimango convinta della necessità che gli interessi costituzionali trovino un loro bilanciamento, ma, ammesso che il principio di incompatibilità possa suscitare dubbi sugli articoli 42 e 43, ritengo che il blind trust sia il minimo bilanciamento possibile. Naturalmente continueremo ad essere divisi su questo, e tuttavia il tema è molto delicato ed importante.
Mi associo quindi alle argomentazioni svolte, ringraziando molto per la relazione che ci offre una serie di argomenti, di spunti e di contributi di cui tener conto.

GABRIELE BOSCETTO. Mi pare opportuno considerare, come già rilevato dal collega Bruno, come gli emendamenti dell'UDC e di Forza Italia suggeriscano due


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soluzioni diverse ma omologhe, per superare i problemi evidenziati dal presidente Cardia.
Affiderei pertanto alla sua riflessione la possibilità di scegliere la gestione fiduciaria o ancor meglio il mandato, con cui si giungerebbe a risultati compatibili sul piano costituzionale, senza rientrare nelle problematiche ben evidenziate dal presidente Cardia.

FRANCO RUSSO. Poiché condivido l'impianto delle rigorose argomentazioni svolte dall'onorevole Zaccaria, vorrei rivolgere una domanda al presidente Cardia, riferendomi all'ultima parte delle sue considerazioni.
Noi abbiamo il problema di non dissuadere attraverso l'incompatibilità determinate persone dal ricoprire l'incarico di Governo e quindi di non utilizzare il censo in modo opposto a quanto avvenuto nei secoli passati, vietando ai ricchi di accedere alle cariche medesime. Tuttavia, sappiamo come oggi il potere finanziario ed industriale incida pesantemente sulle condizioni di uguaglianza nell'accesso alle cariche di Governo e sulla possibilità di influenzare.
Pertanto, desidero chiedere al presidente Cardia: al di là dell'astensione, come possiamo garantire, nel momento in cui si deve intervenire in ambiti in cui si potrebbe favorire un interesse privato, che il Governo non favorisca un determinato rappresentante, un sottosegretario, un viceministro o un ministro, se non vengono trasformati i beni mobiliari o in generale il patrimonio? Lei rileva la positività della gestione cieca; tuttavia mi chiedo se non sia una contraddizione in termini affermare la validità della gestione cieca senza l'obbligo di dismissione. Mi chiedo infatti come si raggiunga la cecità, se persiste la riconoscibilità di una impresa. Se si trattasse solo di beni fungibili, l'argomento del conflitto di interesse sarebbe meno drammatico da risolvere, ma, poiché si tratta della gestione di determinate imprese - le autostrade, ad esempio -, mi chiedo come sia possibile raggiungere la cecità senza l'obbligo di trasformazione.
Naturalmente, le altre sue considerazioni, come la valorizzazione, dovranno essere affrontate dalla Commissione ma in tempi e con soluzioni ragionevoli.
La mia domanda riguarda il riferimento a un trust che deve essere cieco, ma fino ad un certo punto. Come suggeriva l'onorevole Boscetto, dunque, torniamo agli istituti già presenti nella nostra disciplina civilistica, senza compiere uno sforzo di bilanciamento tra i diversi valori costituzionali.

ANGELO PIAZZA. Ritengo che ci prema varare una legge efficace, che regga al vaglio successivo. A tale riguardo, dobbiamo rilevare con qualche preoccupazione le osservazioni del presidente Cardia sulla costituzionalità di alcune norme proposte. Nella sua relazione, infatti, si delinea una distinzione tra le varie ipotesi di trust, che indubbiamente richiedono una riflessione attenta per varare una legge efficace ed equa che regga anche al vaglio successivo.
Ritengo opportuno valutare questi temi come oggetto di una riflessione attenta, anche perché, come sostenuto dal collega Zaccaria, devono essere contemperate diverse norme costituzionali. Forse dalla relazione del presidente Cardia emerge anche un monito a individuare, tra le varie soluzioni legislative, quelle più coerenti con tutte le disposizioni costituzionali, compresi gli articoli 42 e 43.

PRESIDENTE. Permettetemi di precisare un concetto, prima di dare la parola al presidente Cardia per la replica, anche per recepire la sua opinione al riguardo.
Il blind trust non è diverso dai trust normali. La cecità riguarda il rapporto tra il conferente e il trustee, ovvero il fatto che il conferente non debba dare disposizioni e indicazioni di gestione, che il trustee non debba informare il conferente di quanto sta facendo e di come sta amministrando. Tra i poteri dell'amministratore rientra anche la facoltà di vendita, anche se è necessario valutare se essa debba essere un obbligo.
Questo dibattito si sviluppò durante la XIII legislatura, quando affrontammo questo


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tema e la Camera si espresse quasi unanimemente su una riforma del conflitto di interessi che prevedeva il blind trust. Il relatore era il collega Frattini, che, essendo profondamente preparato, sostenne con dovizia di argomenti la necessità del trust cieco, in quanto un trust ordinario non sarebbe servito a separare e a rendere non conoscibile dal titolare della carica di Governo la gestione dei propri beni.
Si può anche dissentire su questo punto, ma la cecità del trust non costituisce un'invenzione. Potrei anche richiamare alcuni passaggi della relazione dell'onorevole Frattini e del dibattito che si sviluppò in aula, durante il quale tutti convennero sulla necessità di un trust cieco.
Tenevo a ribadire questo aspetto per informare i colleghi e per sottolineare come non si tratti di un'invenzione e come non riguardi le modalità di esercizio del trust, bensì la cecità e il rapporto tra conferente e trustee.
Il problema relativo all'obbligo di vendita costituisce un altro capitolo su cui discutere, che però non rientra nella cecità. Ha ragione l'onorevole Russo a chiedersi dove sia la cecità, se non esiste l'obbligo di vendere, ma è anche vero che la cecità sta nell'impermeabilità della gestione, che può anche comprendere la vendita, qualora la si ritenga utile, senza però comportarla necessariamente. Ne parleremo nel pomeriggio disponendo dei dati concernenti i lavori preparatori del passato.
Do ora la parola al presidente Cardia per la replica.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Signor presidente, cercherò di rispondere ai quesiti, peraltro convergenti sul problema fondamentale del trust, del trustee e sulla compatibilità o incompatibilità con i princìpi costituzionali.
L'onorevole Zaccaria ha osservato come sia forse opportuno estendere la mia analisi personale agli articoli 51, 54 e 65 della Costituzione per esporre le mie considerazioni sull'argomento.
Sull'articolo 51 ho molto riflettuto, ma poi ho ritenuto che questo articolo avesse una valenza più politica che tecnica. L'accesso alle cariche pubbliche in posizione di uguaglianza è un argomento strettamente connesso non solo al disegno di legge in esame, ma anche al bilanciamento - che veniva segnalato come necessario - tra una posizione privata e una posizione pubblica.
Ho preferito non affrontare quel problema essenzialmente perché svolgo un'attività tecnica, per cui posso esprimere un'opinione personale, in quanto l'argomento non forma oggetto delle competenze della Consob. Confermo peraltro che mi sento onorato di essere stato chiamato a esporre in questa sede, ove ritengo più opportuno concentrare la mia attenzione sugli articoli 42 e 43.
Quindi sugli altri profili costituzionali, che mi vengono segnalati, mi limito a considerare che si possono individuare varie soluzioni, anche di tipo costituzionale. In Germania, ad esempio, esiste una incompatibilità assoluta, che, dal mio punto di vista non è ammissibile in Italia alla luce del principio costituzionale vigente. Se qualcuno volesse eventualmente optare per un'interpretazione ampia di tale principio costituzionale - interpretazione che non mi sentirei di condividere alla luce della normativa esistente - dovrebbe perseguirsi, quale scelta di valenza politica, una modifica della norma costituzionale in vigore.
Preferisco dunque richiamarmi agli articoli 42 e 43, nella convinzione che trattare di altri - che peraltro possono formare argomento di diverse valutazioni in questa sede - possa porre il tema di modifiche costituzionali. Ho preferito limitarmi a ciò di cui mi sento sicuro, collocandomi nell'ambito delle mie conoscenze personali, professionali e tecniche. Non si tratta di poca attenzione, bensì di una scelta. Ritengo quindi che quegli argomenti e quegli articoli possano essere trattati, senza però escludere la necessità di modifiche costituzionali.
Certamente si può effettuare un bilanciamento, però ritengo che la via dell'interpretazione


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sul piano del bilanciamento possa comportare una illegittimità costituzionale della normativa che poi potrebbe essere valutata nella sede competente. Al contrario, una modifica integrativa risolverebbe alla radice il problema. Non è questo però l'argomento sulla base dei quesiti rivoltimi.
Non so se con questo ho risposto anche all'onorevole Mascia, che si è dichiarata concorde con le argomentazioni dell'onorevole Zaccaria, ritenendo che il tema dell'incompatibilità sia una scelta netta. Su questo sono d'accordo: l'incompatibilità è una scelta netta, per cui è necessario seguire una linea dritta e sapere ciò a cui si deve rinunziare, qualora si intenda ricoprire una carica di Governo (o anche altre cariche), e ciò invece che si può legittimamente fare senza creare conflitti di interesse, che costituiscono un quid da evitare. Ciò vale per tutte le cariche e a maggior ragione per un capo di Governo il quale non deve essere sfiorato da questa possibilità, ma neppure dal dubbio.
L'onorevole Bruno evidenzia come l'ordinamento non preveda il blind trust e pertanto condivide che mi sia limitato ad affrontare gli articoli 42 e 43, aggiungendo che non si può utilizzare il trust per vendere.
Ritengo che questo sia stato il nocciolo del mio semplice intervento. Sono convinto che il trust possa essere utilizzato nel quadro della legislazione costituzionale vigente e che possa essere anche utilizzato il trust cieco. Tuttavia, esso deve avere contenuti chiari, che non possono essere mutuati da una normativa straniera, ma devono essere definiti normativamente. Ho espresso il mio pensiero affermando che, se ci si limita alla gestione, essa potrebbe essere anche cieca e rappresentare la condizione per mettere al riparo da conflitti il titolare della carica di Governo e contemporaneamente tutti gli altri, sia che si occupino del Governo, sia che siano cittadini comuni che partecipano alla vita del paese.
Ritengo che il trust cieco possa essere utilizzato, mantenendo quei limiti di assoluto distacco dall'influenza e dalla conoscenza del Presidente, del membro di Governo, o del cedente, ma che si debba evitare di imporre l'obbligo di vendita al trustee, perché esso mi appare configgere con i principi costituzionali.
La mia semplice opinione è che, se si arriva alla definizione del blind trust, la si debba contemplare senza l'obbligo di alienazione, di cui ho già esposto gli eventuali danni che a mio parere potrebbe arrecare. Ho anche rilevato come alcune previsioni possano essere introdotte nel disciplinare il passaggio dei beni dal concedente al trustee: penso alla partecipazione a nuovi aumenti di capitale, che garantirebbe al trustee la facoltà di agire su linee guida precostituite, o ad altre cautele o indicazioni. Inoltre, secondo le norme del nostro ordinamento, il trustee deve garantire oltre alla gestione corretta anche il riserbo assoluto.
L'onorevole Boscetto invita a meditare sulla gestione fiduciaria e sul mandato. Ritengo che questi aspetti si collochino forse ad un livello più basso di garanzia, non potendo soddisfare la volontà del legislatore, unanimemente condivisisa, di mettere in condizione chi svolge attività di Governo di non avere conflitti de interesse e di non essere neppure sfiorato da tale possibilità. La gestione fiduciaria e il mandato - più semplici perché già esistenti nel nostro ordinamento - sono ad un livello inferiore di garanzia rispetto a quella offerta da un blind trust, purché, ripeto, quest'ultimo abbia le limitazioni che ho ritenuto opportuno esporre.
L'onorevole Russo ha sollevato il problema di non impedire attraverso l'incompatibilità l'assunzione di cariche di Governo, segnalando però come il potere finanziario incida fortemente sulla tale attività. Questo certamente può accadere, ma da tale osservazione può trarsi una ulteriore considerazione. Ribadisco di non essere favorevole all'obbligo di alienazione, ma si tratta di una mia opinione personale. Potrebbe al riguardo valorizzarsi il tema dell'astensione perché nel momento in cui si costituisse un blind trust non comprendente l'obbligo di alienazione, ma con tutte le altre caratteristiche di garanzia,


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forse si potrebbe ipotizzare durante l'attività di Governo l'obbligo di astensione su attività che dovessero riguardare un settore individuabile. A quel punto, infatti, si potrebbe esercitare una certa influenza (qualcuno degli intervenuti ha citato l'esempio di Autostrade). Se quindi un soggetto avesse consegnato al trustee alcuni beni o un'impresa di dimensioni rilevanti nel settore citato, potrebbe essere prevista l'astensione, che peraltro esiste nel nostro ordinamento.
L'onorevole Piazza distingue tra varie ipotesi di trust che richiedono una particolare riflessione e auspica una legge efficace ed equa, tale da superare il vaglio successivo di costituzionalità e, quindi, spinge verso la ricerca di soluzioni più coerenti. Ritengo che questo sia unanimemente condivisibile.
Da tempo mi occupo del trust; tra l'altro, nello svolgimento di altre funzioni un giorno fui chiamato a svolgere una relazione sull'argomento presso la Commissione affari costituzionali. Da allora ho continuato ad interessarmi della materia.
Senza esprimere alcuna valutazione di contenuto politico, ritengo che la strada sia aperta. È necessario raggiungere un equilibrio individuando una soluzione che non violi i principi costituzionali - o comunque non presenti tale rischio - e contemporaneamente garantisca una posizione tale da escludere - anche sul piano della possibilità teorica - l'insorgenza di conflitti di interesse.
Ritengo che la strada indicata - sulla base del testo che ho esaminato ma anche di mie letture sulla materia - possa portare ad una soluzione.

PRESIDENTE. Nel rinnovare il nostro ringraziamento al presidente Cardia, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,50.