COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI) - III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) - XIV (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 1a (AFFARI COSTITUZIONALI) - 3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) - 14a (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 4 ottobre 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XIV COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCA BIMBI

La seduta comincia alle 17,45.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di europarlamentari sul numero dei seggi del Parlamento europeo spettanti all'Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di europarlamentari sul numero dei seggi del Parlamento europeo spettanti all'Italia.
Si tratta di un'audizione delle Commissioni riunite affari costituzionali, affari esteri e politiche dell'Unione europea di Camera e Senato, cui sono stati invitati gli europarlamentari italiani. Ringraziamo in particolare gli onorevoli Ventre, Tajani, Romagnoli e Zani.
Rivolgo, inoltre, un ringraziamento ai due relatori del progetto di relazione, approvato martedì dalla Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo, Alain Lamassoure, che abbiamo avuto l'onore di ricevere in altre occasioni al Senato e alla Camera, e Adrian Severin.
I giornali italiani hanno accolto il risultato della votazione di martedì all'Europarlamento, sottolineando la velocità dello stesso nel diminuire il numero dei parlamentari, a differenza del Parlamento italiano. In realtà, noi abbiamo invitato i colleghi europarlamentari Alain Lamassoure e Adrian Severin, poiché abbiamo un atteggiamento molto critico, non sul criterio generale della proporzionalità degressiva, adottato per diminuire il numero dei parlamentari, ma su alcune motivazioni di tipo politico-istituzionale, anche in relazione allo sviluppo e alla futura approvazione del nuovo trattato rispetto a questo tema.
La Camera dei deputati, tra ieri e oggi, ha approvato due emendamenti di una più vasta proposta di legge costituzionale (testo unificato C. 553): il primo porta a 184-186 il numero dei senatori, mentre il secondo a 500, più 12, il numero dei deputati. In altri termini, nel giro di un giorno, dovremmo aver ridotto di 445 il numero dei rappresentanti eletti. Ne sto parlando in maniera ironica, perché noi non riteniamo che sia la numerosità delle cariche a cambiare la qualità della politica, anche se la diminuzione potrebbe comportare una maggiore efficacia e, di sicuro, una migliore forma di rappresentanza. Molti di noi, ad esempio, aspettavano da molti anni un Senato dei territori e un Senato federale.
Il Consiglio europeo del giugno 2007 ha invitato il Parlamento europeo a presentare, entro il mese di ottobre dello stesso anno, una proposta di decisione sulla sua futura composizione. Tale proposta dovrà fissare a 750 il numero massimo dei seggi del Parlamento europeo, con una soglia massima pari a 96 seggi ed una minima di 6 seggi per Stato membro, ripartiti in base al principio della proporzionalità degressiva, affinché anche i Paesi più piccoli abbiano una adeguata rappresentanza. Il 2


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ottobre 2007 la Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo ha approvato la relazione Lamassoure-Severin sulla proposta di modifica delle disposizioni del trattato sulla composizione del Parlamento europeo. La proposta di risoluzione, allegata alla relazione, dovrebbe essere sottoposta all'esame dell'Assemblea plenaria del Parlamento europeo in data 11 ottobre 2007, ossia la prossima settimana. La decisione finale dovrà essere adottata all'unanimità dal Consiglio europeo, sulla base della proposta del Parlamento.
Secondo la proposta di decisione, contenuta nella relazione approvata dalla Commissione affari costituzionali, all'Italia spetterebbero 72 seggi, senza variazioni rispetto a quanto previsto dal trattato, come modificato dall'atto di adesione di Bulgaria e Romania. Tuttavia, la proposta altera il principio, ormai consolidato, secondo cui in assenza di significative variazioni demografiche, ai tre Stati più popolosi dopo la Germania - vale a dire Gran Bretagna, Francia e Italia - è sempre attribuito lo stesso numero di seggi.
L'odierna audizione è rivolta ad approfondire questo tema che, non essendo di tipo contabile, implica considerazioni politiche più generali sulla conformazione dell'ordinamento comunitario, sul rapporto tra i diversi Stati nazionali e sulla definizione e la determinazione della rappresentanza (ovvero se la stessa debba basarsi sulla cittadinanza, sulla residenza o sul numero di elettori). È stata scelta una strada particolare, come vi spiegheranno i due relatori.
Per noi non è in discussione la validità del principio della proporzionalità degressiva, anzi riteniamo che corrisponda ad un principio di allargamento della democrazia il fatto di garantire una maggiore rappresentanza agli Stati più piccoli.
Do la parola ai due relatori, Alain Lamassoure e Adrian Severin.

ALAIN LAMASSOURE, Deputato europeo. Signor presidente, cari colleghi, mi scuso per la mia mancata conoscenza della lingua italiana. Per noi è un grande piacere ritrovarci a Roma: ogni occasione è valida per tornare nella città eterna.
Signor presidente, come lei ha ricordato, si tratta di un procedimento politico, e non giuridico, che ha indotto il Consiglio europeo, nello scorso mese di giugno, a invitare il Parlamento europeo a presentare delle proposte per modificare la composizione dello stesso Parlamento, applicando il futuro articolo 9A del trattato di riforma, che sostituisce il progetto di Costituzione europea.
In realtà, il Consiglio, di fronte ad un argomento così complesso - lo definirei quasi una patata bollente - ha preferito trasferire il problema al Parlamento, invitandolo ad avanzare senza indugio proposte, entro l'inizio del mese di ottobre, per consentire al Consiglio di esaminarle nel quadro dell'accordo politico finale - che auspichiamo sia davvero finale - sul progetto di trattato e su tutti gli elementi ad esso collegati, ivi inclusa la modifica della composizione del Parlamento europeo. Si prevede il raggiungimento di tale accordo finale nel corso del Consiglio che si svolgerà nei giorni 18 e 19 ottobre prossimi. Da ciò discende la necessità, per il Parlamento europeo, di procedere con grande rapidità, nonché la preoccupazione, per i due relatori, di formulare una proposta suscettibile di raccogliere un ampio consenso all'interno del Parlamento, oltre all'unanimità nel Consiglio.
Infatti, signor presidente, come lei ha ricordato, una delle innovazioni del nuovo trattato consiste nel fatto che ormai la composizione del Parlamento europeo non verrà fissata da una fonte di diritto primario, ossia dal trattato, ma da una fonte di diritto derivato. Dovrebbe trattarsi, quindi, di una decisione del Consiglio adottata all'unanimità, su iniziativa e con l'accordo del Parlamento europeo.
Potremmo quasi dire che l'attuale lavoro del Parlamento europeo anticipa la futura procedura giuridica. Attualmente ci troviamo in una fase di dinamica politica, dal momento che il trattato non è ancora vigente. Ebbene, per realizzare tale riforma nella composizione del Parlamento è necessaria la maggioranza del Parlamento


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stesso e il raggiungimento dell'unanimità al Consiglio. All'inizio dei nostri lavori, abbiamo incontrato la Presidenza portoghese che ci ha esortato a rispettare le scadenze previste.
Cosa prevede l'articolo 9A del futuro trattato? Tale articolo contiene una modifica della composizione del Parlamento in base ad alcuni parametri: un massimale di 750 deputati, che non può essere superato, a prescindere dal numero degli Stati membri; un tetto di 96 parlamentari per il Paese più popolato (oggi la Germania ne ha 99) ed una soglia minima di 6 parlamentari (attualmente Malta ne ha 5). In altre parole, è stabilita una quota massima e una minima.
Il mio collega vi parlerà della distinzione tra popolazione, residenti e cittadini, ma per il momento non consideriamo queste distinzioni: i cittadini dell'Unione saranno comunque rappresentati sulla base del criterio della proporzionalità degressiva.
Il trattato si ferma qui. Questo vuol dire che scompaiono gli scaglioni. Difatti, per quanto riguarda il Trattato di Roma, ad esempio, vi erano degli scaglioni, per il diritto di voto al Consiglio e per i seggi al Parlamento: si distinguevano i Paesi grandi, i medi, i medio-piccoli e i piccolissimi. Con la riunificazione della Germania si è avuto il «super-grande» Stato, e sono stati attribuiti a tutte le categorie gli stessi diritti di voto e lo stesso numero di seggi.
Al Consiglio tale sistema, con l'introduzione della doppia maggioranza, non esiste più e, a seguito dell'articolo 9A, non è previsto più neanche nel Parlamento europeo, dal momento che si terrà maggiormente conto della realtà demografica dei Paesi membri, secondo il criterio della proporzionalità degressiva.
Il Consiglio chiede, quindi, al Parlamento europeo di definire e dare sostanza a questo principio della proporzionalità degressiva, e quindi di proporre un metodo applicativo corredato di cifre.
Qual è la situazione di partenza? Attualmente, dal punto di vista giuridico, il numero dei deputati europei è pari a 736. Ribadisco questo aspetto, perché sulla stampa dei nostri Paesi, e forse anche su quella italiana, si parlò di una nostra proposta volta a ridurre il numero dei parlamentari europei. Questo non è vero. Il numero di 736 parlamentari è stato fissato nel 2005 al momento dell'adesione di Romania e Bulgaria e quell'atto è stato ratificato da tutti i Parlamenti, tra cui quello italiano. All'epoca i vari Parlamenti decisero di ridurre a 736 il numero di parlamentari europei, e in tal senso si è proceduto.
In ordine a questo aspetto abbiamo due novità. La prima è rappresentata dal progetto di trattato, che dovrebbe rapidamente entrare in vigore e che prevede un massimo di 96 parlamentari per il Paese più popoloso e un minimo di 6. La seconda novità riguarda il tetto numerico di 750. In altre parole, stiamo parlando di 16 seggi in più rispetto alla situazione attuale.
Ebbene, il collega Severin ed io ci siamo orientati verso il pieno utilizzo del tetto numerico di 750. Da un punto di vista giuridico non eravamo obbligati a farlo - avremmo potuto comunicare che era sufficiente il tetto di 730 - ma da un punto di vista politico non potevamo ignorare tale disposizione.
In secondo luogo, abbiamo evitato di proporre nuove modifiche per qualsivoglia Paese, rispetto al trattato in vigore e al tetto di 736, per raggiungere il quale in Italia era stato ridotto il numero dei parlamentari da 78 a 72. Noi non proponiamo riduzioni rispetto al riparto attuale. Applicando il principio della proporzionalità degressiva, i 16 seggi di riserva - corrispondenti allo scarto tra quanto previsto attualmente e il tetto di 750 - vengono distribuiti a favore dei Paesi non ben rappresentati.
Vi voglio comunicare la nostra definizione di «proporzionalità degressiva», accettata da tutti i colleghi del Parlamento europeo. Il termine «proporzionalità» sta a significare che un Paese più è popolato, tanti più deputati avrà; con la parola «degressiva» si intende che tale vantaggio si riduce man mano che aumenta la popolazione e che cambia, quindi, il numero


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di persone rappresentate da un parlamentare europeo: in un Paese popoloso tale numero sarà dunque superiore rispetto a quello di uno meno popoloso. Prendiamo il caso della Germania: dal momento che si tratta del Paese più popolato, un deputato tedesco deve rappresentare un numero maggiore di persone rispetto, ad esempio, ad un deputato francese. È questo che intendiamo quando parliamo di carattere degressivo.
Applicando questo quoziente alla situazione attuale, risulta che la proporzionalità degressiva non viene rispettata in sette o otto casi. Abbiamo, quindi, proposto di aumentare il numero di seggi per i Paesi che si ritrovano ad essere sottorappresentati, rispetto a tale definizione di proporzionalità degressiva. Vi riporto l'esempio più lampante: attualmente un deputato spagnolo rappresenta 875 mila persone, mentre un parlamentare tedesco ne rappresenta 832 mila. Potrete riscontrare questo dato prendendo visione delle tabelle all'interno del dossier. La Germania ha una popolazione doppia rispetto alla Spagna, quindi tale situazione è molto anomala ed è pregiudizievole per quest'ultima.
Il ripristino, quindi, di una vera proporzionalità degressiva necessitava di un nuovo riparto di quella riserva di seggi, alle condizioni che voi vedete riportate nella colonna destra della tabella: due in più per la Francia, quattro alla Spagna, due all'Austria e via dicendo.
Questo ragionamento discende da una applicazione quasi matematica, tranne nel caso della Polonia. Per questo Stato proponiamo un seggio in più perché, da un punto di vista politico, ci sembra difficile lasciarla al livello attuale. Assegniamo, invece, quattro seggi in più alla Spagna, cambiando la situazione iniziale, che prevedeva questi due Stati nell'ambito dello stesso scaglione. Questa è l'eccezione che conferma la regola, ma è chiaro che se ci saranno altre proposte per questo seggio - compatibili con la nostra definizione di proporzionalità degressiva - ovviamente saremo disponibili a prendere in considerazione eventuali emendamenti.
Da ultimo, siamo consapevoli del fatto che questo sistema, che dovrebbe poter essere oggetto di ampio consenso - speriamo raggiungendo l'unanimità del Consiglio - non è conforme ai criteri indicati dal trattato. La soluzione ideale sarebbe stata quella di trovare una formula matematica e dei criteri incontestabili, che consentissero di avere adeguamenti automatici rispetto all'evoluzione demografica, anche tenendo conto delle adesioni future. Difatti, ci sono già trattative in corso con la Croazia, la Macedonia, la Turchia e i Paesi balcanici. I tempi brevi che ci sono stati imposti non hanno consentito la ricerca di questa soluzione.
Siamo ben consapevoli dell'imperfezione della nostra proposta. Nel progetto di risoluzione abbiamo indicato che, una volta applicato questo sistema di riparto per la legislatura dal 2009 al 2014, sarebbe stato necessario poi approfondire sia la formula della proporzionalità degressiva che il criterio del rapporto con le persone rappresentate.
Noi intendiamo basarci sulla cifra dei residenti, gli unici dati noti in modo incontestabile - mentre il trattato parla di cittadini - affinché prima della legislatura del 2014 si possa mettere a punto un sistema definitivo, incontestabile e più perfezionato rispetto a quello attuale.

ADRIAN SEVERIN, Deputato europeo. Signor presidente, se me lo consente, parlerò in inglese, in modo da essere più rapido nell'esposizione.
Innanzitutto la ringrazio dell'invito. Sono già stato vostro ospite, ma è la prima volta che partecipo in questa veste. Sono molto lieto di essere qui con il collega Alain Lamassoure, per procedere a uno scambio di vedute su un tema di grande importanza. Si tratta di un tema centrale per questa riforma, così necessaria per l'Unione europea.
Siamo contenti di essere qui anche perché l'Italia rappresenta veramente un bastione dell'unità europea e un campione delle idee legate all'unità politica dell'Europa.


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Ci auguriamo di ricevere da parte vostra un grande sostegno per il nostro impegno europeo.
È con questo spirito che vorrei esprimere un monito contro le reazioni emotive. Spesso, quando si affrontano questi temi europei, si manifestano delle reazioni emotive, che sono poi difficili da superare quando, al momento di votare, si deve addivenire ad una decisione. Ora vorrei che i rappresentanti italiani, al momento della decisione, fossero liberi da posizioni che potrebbero essere state in qualche modo indotte in maniera erronea.
Vorrei enunciare i vincoli esistenti dal punto di vista giuridico. Ho la sensazione, infatti, che si stia riaprendo una discussione che già era stata conclusa con l'accordo anche dei rappresentanti italiani, Governo e Parlamento.
Difatti, il principio della proporzionalità degressiva non l'abbiamo inventato Lamassoure ed io, ma è stato stabilito e consolidato nell'ambito del trattato costituzionale (entrambi eravamo membri della convenzione europea). Tale principio è stato accettato, sulla base del consenso, nel mandato della CIG, così come in tutte le discussioni collegate alla elaborazione del trattato di riforma.
Dal momento in cui è stato accettato il principio della proporzionalità degressiva, non è stato più possibile mantenere gli scaglioni così come erano formulati, in quanto erano stati stabiliti su base politica. Non vale più il principio politico della rappresentanza paritetica, dal momento che si introduce quello di proporzionalità. La proporzionalità, nel momento in cui viene accettata, diventa un principio politico e, in sede di applicazione, un differente dato di realtà comporterà un diverso risultato. Non siamo noi a stabilire che il tetto di 750 debba rappresentare il numero totale: si tratta di una soglia già fissata dal mandato approvato dagli Stati membri.
La base di calcolo, ossia il numero di abitanti, è utilizzata da tutte le istituzioni europee, sin dal Trattato di Roma. Ebbene, ho la sensazione che alcune delle attuali prese di posizione siano volte a ritenere che si tratti di una nuova proposta formulata da Alain Lamassoure e me. Non è vero. Questi princìpi esistono e valgono da molto tempo, da quando fu concordata anche la doppia maggioranza al Consiglio. Come si potrebbe, quindi, accettare quel principio per il Consiglio e rifiutarlo per il Parlamento? È importante prendere atto di questo punto.
Noi non stiamo introducendo un nuovo dibattito, ma probabilmente ne stiamo riaprendo uno vecchio: in tal caso bisognerà procedervi nelle sedi opportune, per non trasferire qui uno dei difficili compiti già affrontati dalla CIG, mettendolo a repentaglio.
Si era ritenuto - per rispondere positivamente alle preoccupazioni o alle proposte dei colleghi italiani - di includere nelle nostre proposte una clausola di revisione che in seguito avrebbe, magari, riaperto vecchi dibattiti, ma che non avrebbe ostacolato l'avanzamento del nostro lavoro e della Conferenza intergovernativa.
Desidero richiamare la vostra attenzione su un'importante distinzione che dobbiamo operare tra la base della composizione e la rappresentatività del Parlamento. Ovviamente il Parlamento europeo rappresenta i cittadini europei, così come il Parlamento italiano quelli italiani. Quindi, coloro che voteranno i parlamentari saranno le persone investite di tale diritto in ciascun Stato membro. A questo punto, spetta ai singoli Stati membri definire ed individuare coloro che hanno il diritto di voto.
Nel Regno Unito anche gli immigrati senza la nazionalità britannica hanno il diritto di votare alle elezioni europee. In altri Paesi questo non accade. In un Paese dell'Unione europea hanno il diritto di votare tutti i cittadini di ogni Paese europeo, mentre in altri Paesi votano solo i cittadini appartenenti al Paese in oggetto. Questa è una materia demandata agli Stati membri: la rappresentatività del Parlamento europeo viene realizzata in questo modo.
Diverso è il discorso relativo al riparto dei mandati all'interno del Parlamento


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europeo. Qui noi potremmo adottare una base di calcolo o di riferimento diversa, poniamo: il numero dei chilometri quadri del territorio, oppure il PIL, o qualsiasi altra base che possa essere ritenuta idonea. Attualmente, la base di riferimento è rappresentata dal numero degli abitanti.
Ci possono essere idee diverse al riguardo, qualcuno ha suggerito di far riferimento al numero degli elettori. A questo punto, mi vengono in mente i minori che non hanno il diritto di voto: non dovremmo considerarli? In Italia, ad esempio, non tutti i cittadini hanno il diritto di voto, e questo aspetto, a mio parere, andrebbe tenuto presente.
C'è chi ha proposto, nell'ambito di un Paese, di considerare soltanto i cittadini, ma parlando di elezioni europee non sarebbe corretto. Qualcuno ha consigliato di considerare tutti i residenti, tutti gli abitanti. Molto probabilmente quest'ultima potrebbe rappresentare la realtà meglio quantificabile. Difatti, bisogna tener presente che vi sono persone con doppia, tripla cittadinanza: come potremmo contarle? I polacchi chiedono di tenere in considerazione, relativamente alla loro rappresentanza al Parlamento europeo, anche dei due milioni di polacchi residenti all'estero. Gli irlandesi ricordano che in Irlanda vi sono numerosi immigrati provenienti da altri Paesi europei e che questo numero aumenterà: chiedono, quindi, di tenere presenti le loro previsioni per il futuro, perché si tratta, in fondo, di un processo dinamico.
Naturalmente, tali grandezze dinamiche non ci consentono di avere un quadro preciso. Il numero degli abitanti, invece, rappresenta un dato molto importante, in quanto rispecchia la capacità di un certo Paese di offrire possibilità di vita alle persone, possibilità di lavorare o prelevare imposte. Si tiene conto, quindi, anche di una dimensione socio-economica. Vi possono essere moltissimi cittadini che lavorano o vivono all'estero e che pagano le tasse in altri Paesi.
Vorrei aggiungere che questo dibattito non rientra nel nostro rapporto. Mi piacerebbe riportarvi alcuni esempi di possibili interrogativi che potrebbero presentarsi e di opinioni che potrebbero confrontarsi, ma il nostro dibattito al Parlamento europeo non rappresenta né la sede né il momento opportuno per farlo.
Mi sono espresso in questi termini per sottolineare come l'idea di considerare il numero degli abitanti non sia così balzana e irragionevole. Noi non difendiamo ad oltranza quest'idea, ma si tratta del principio attualmente applicato da tutte le istituzioni europee. Lo possiamo applicare sulla base dei dati dell'Eurostat, ai quali ci stiamo riferendo in questo momento.
Il quadro giuridico è piuttosto vincolante e il margine di manovra dei relatori è estremamente circoscritto. Sicuramente in futuro si potrà anche discutere della base di riferimento. Come talvolta accade, ciò che sembra giusto ad un primo esame potrebbe rivelarsi non corretto in una fase di maggiore approfondimento.

PRESIDENTE. Do ora la parola agli europarlamentari, ai senatori o deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

MAURO ZANI, Deputato europeo. Signor presidente, abbiamo già avuto occasione di confrontarci con i relatori Alain Lamassoure e Adrian Severin, miei colleghi al Parlamento europeo. Mi scuso con loro se continuerò ad usare la stessa identica argomentazione, posto che loro continuano ad usare la stessa identica argomentazione avversa alla mia. Non posso esimermi da questo.
Partiamo da una base obiettiva di discussione: in Italia nessuno ha mai contestato il principio della proporzionalità degressiva, né lo abbiamo fatto noi nel Parlamento europeo.
Vorrei, inoltre, far notare che l'Italia dal 2004 ha sempre messo agli atti - vi ha provveduto di recente con una dichiarazione allegata agli ultimi lavori del Consiglio europeo - la propria perplessità, sottolineando la necessità di rivedere e di interpretare il concetto di popolazione, non per caso, ma perché sapevamo che saremmo arrivati a questo punto. Ho, dunque, esposto due dati obiettivi.


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Il principio di proporzionalità degressiva è assolutamente necessario e, nello stesso tempo, può essere applicato a diverse basi di dati, ad esempio prendendo in considerazione la popolazione o - come io suggerisco - i cittadini residenti, con tutte le difficoltà che conosco.
Io do atto ai relatori di aver intrapreso un'impresa particolarmente complicata e difficile, ma c'è un aspetto che non mi entra in testa (scusate il linguaggio poco formale): quando parliamo della ripartizione dei seggi nel Parlamento europeo, noi parliamo della formazione della rappresentanza politica. È di questo che stiamo parlando. Si tratta di un aspetto molto diverso dal funzionamento del Consiglio europeo, che rappresenta una istituzione altra e diversa. Io sono assolutamente convinto, ad esempio, che in sede di Consiglio europeo, nella grande Europa a 27, la realtà demografica debba avere un suo peso, perché significa, naturalmente, anche parlare di economia, cultura e di tantissimi altri aspetti, ma in una logica intergovernativa, tipica del Consiglio europeo.
Nel momento in cui io, invece, mi riferisco alla formazione della rappresentanza politica, debbo per forza riportarmi ad una base di dati altra e diversa, che ha una differente qualità. Da che mondo e mondo diciamo che ovunque la base è quella della cittadinanza, dal momento che sono i cittadini a godere dei diritti politici. Credo che, venendo meno ad un principio di questo genere, si indebolisca, per il futuro, il ruolo del Parlamento europeo.
Noi non stiamo discutendo di un seggio in più o in meno, come ben capirete. Tra l'altro, se lo facessimo, non saremmo neanche capiti dai nostri elettori in Italia (figurarsi!). Non stiamo affrontando questa discussione. Cerco - a questo punto, disperatamente - di attirare l'attenzione sul fatto che lo stesso articolo 9A del nuovo trattato di riforma in realtà prende in considerazione, e non per caso, i cittadini residenti e non la popolazione.
Quindi, stando all'articolo 9A del trattato, noi dovremmo essere vincolati a due obblighi: la proporzionalità degressiva e la cittadinanza. Si tratta di un problema. Difatti, nella proposta di compromesso che voi stessi avete avanzato, riconoscevate che, effettivamente, il tema della cittadinanza si pone e si deve rinviare ad un futuro indefinito, anche se noi non siamo d'accordo.
L'articolo 9A, una volta entrato in vigore il trattato, costituirà la base giuridica di riferimento. Ebbene, facciamo attenzione! Prendendo come riferimento la popolazione, potremmo anche incorrere in un vizio di illegittimità, impugnabile di fronte alla Corte di giustizia europea.
Ripeto, è difficile farmi comprendere il principio della popolazione in questi termini, mentre lo considero normale nell'ambito di una logica intergovernativa. Si tratta di due istituzioni differenti: perché il criterio della popolazione va bene per il Consiglio, ma non per il Parlamento? Perché sono due istituzioni completamente diverse. Il Parlamento è l'unica istituzione eletta direttamente dai cittadini. Voi, con questa proposta, rischiate di diminuirne la legittimità e la rappresentatività effettiva.
A questo punto, bisogna affrontare un ulteriore problema. È inutile nascondersi dietro una coltre di ipocrisia. Naturalmente, capisco benissimo il discorso che è stato fatto numerose volte - e concludo - secondo il quale la proporzionalità degressiva fa scomparire la vecchia logica degli scaglioni di Paesi. Io questo discorso lo comprendo benissimo, ma noto che alcuni scaglioni rimangono. Ormai conosco a memoria la tabella. So, ad esempio, che nel Parlamento europeo almeno cinque Paesi hanno 22 seggi, e credo che costituiscano uno scaglione.
Conosco la relativa obiezione a quanto ho appena riferito: la differenza tra questi Paesi è molto limitata, rispetto alla Francia, alla Gran Bretagna e all'Italia. Naturalmente, se seguiste il mio discorso sulla cittadinanza a voi non sfuggirebbe che il Paese più avvantaggiato sarebbe l'Italia e non gli altri due. Per non parlare, poi, degli aventi diritto al voto.
In altri termini, il discorso relativo agli scaglioni io lo accetto, però con un grano


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di sale - attenzione! - perché c'è anche un problema di transizione rispetto ad una realtà. A questo punto, il discorso non è più matematico, ma diventa politico, e non spetta a me farlo. Certamente sarà affrontato in Consiglio quando ci si renderà conto che per la prima volta, dal 1979 ad oggi, sta venendo meno la parità di rappresentanza politica nel Parlamento europeo tra Francia, Regno Unito ed Italia. Questo è un problema che, secondo me, potrebbe essere risolto, forse persino nell'ambito della proporzionalità degressiva.
Se voi proponete, ad esempio, un tetto numerico di 72 - è una proposta provocatoria - per Francia, Regno Unito e Italia vi accorgerete che bisognerà attribuire un numero maggiore di seggi, per esempio, alla Spagna. Tuttavia, non si arrecherebbe un vulnus a questo stato di fatto politico di parità, molto importante anche ai fini di un'ipotesi di governabilità di questa nuova grande Europa. Questo è il mio personale punto di vista.
A questo punto, desidero precisare, in modo particolare al mio collega Severin, che noi non siamo particolarmente emozionati da spinte nazionaliste. Questo è un Paese profondamente europeista, ma nonostante sia quello che partecipa molto più di tanti altri, concretamente, alla formazione della rappresentanza politica europea - noi votiamo al 73 per cento, il Regno Unito si aggirerà intorno al 30 per cento - si ha la sensazione che venga di fatto punito, in questo momento, nell'ambito di questa logica. Tutto ciò rappresenta un errore, anche in riferimento all'andamento del Consiglio europeo.
Noi vorremmo che il Consiglio europeo si concludesse al meglio, perché abbiamo bisogno di portare a casa, finalmente, un trattato di riforma, dopo aver perso quello di rango costituzionale. Certamente si tratta di una spina nel fianco per il Consiglio europeo. Nessuno sta chiedendo eventuali veti, ma certamente è necessaria l'unanimità, così come un clima sereno e più tranquillo, che attualmente manca.

LUCA ROMAGNOLI, Deputato europeo. Signor presidente, il collega Zani ha anticipato molti argomenti che avevo intenzione di affrontare. Per questo motivo, mi limiterò a brevi osservazioni. Volevo ricordare al collega Severin che non è possibile prendere a principio il fatto che in Gran Bretagna attribuiscono un diritto di voto anche a chi ancora non ha la cittadinanza.
Se prendiamo visione dei dati del 2004, noteremo che hanno votato in totale 17 milioni di persone, su una popolazione di aventi diritto di oltre 44 milioni. In Italia, dove gli aventi diritto sono circa 48 milioni e votano in 35 milioni, se noi dovessimo appellarci ad un criterio del genere dovremmo chiedere il riconoscimento di un numero maggiore di seggi rispetto alla Gran Bretagna, al di là della corretta osservazione esposta dal collega Zani, anche in riferimento alla partecipazione al lavoro delle istituzioni.
Sul concetto di proporzionalità degressiva siamo d'accordo. Difatti, non è il principio che discutiamo, ma l'applicazione nel momento stesso in cui non si considerano, ad esempio, gli italiani residenti all'estero. Non capisco perché dobbiamo considerare per la ripartizione dei seggi la popolazione così come rappresentata nella relazione dei colleghi e non gli italiani residenti all'estero, che sono numerosi e in possesso del passaporto italiano.
Voglio affrontare il discorso relativo agli scaglioni, e probabilmente sarò un po' più rigido rispetto al collega Zani. Gli scaglioni hanno senso, ma non si comprende per quale ragione il numero dei parlamentari attribuiti ad Estonia e a Malta - pur avendo la prima il triplo della popolazione della seconda - sia lo stesso. Sorge, dunque, il dubbio che si intenda mettere l'Italia in una posizione di difetto, e francamente non ne capisco la ragione.

ANDREA MANZELLA, Presidente della 14a Commissione del Senato. Signor presidente, anche a nome del Senato - come ha già la collega Bimbi per la Camera - esprimo la nostra gratitudine, da parlamentari


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a parlamentari, ai colleghi Lamassoure e Severin per la loro audizione e per lo sforzo culturale, politico ed intellettuale compiuto nello svolgere una relazione di questo tipo.
D'altra parte, uno dei fondamenti del nuovo ordinamento costituzionale europeo - dato che non si può usare il termine «costituzione» - è quello della cooperazione interparlamentare, ossia dello scambio tra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali. Procedura tanto più importante per un Parlamento come il nostro, che ha un particolare rapporto con il proprio Governo, un rapporto che può, addirittura, arrivare a quello che viene definito l'istituto della riserva d'Assemblea. In altre parole, il Parlamento nazionale, ad un certo punto, può bloccare il proprio Governo vietando la firma di un accordo - sto generalizzando - in virtù di una riserva d'Assemblea.
Vi è un particolare interesse da parte del Parlamento nazionale italiano nei confronti di questa audizione che - mi rivolgo anche alla collega Bimbi - in fondo non si riferisce ad una diminuzione di numero, ma ad un aumento. Il numero dei parlamentari, pari a 785, viene infatti ridotto rispetto al parametro dei 750, ma viene aumentato rispetto al parametro attualmente vigente, stabilito nel dicembre scorso, di 736.
Si verifica quella che il collega Lamassoure definirebbe in francese una cagnotte di quattordici deputati. Noi, in italiano, parleremmo di un «tesoretto» da distribuire. Questa è la situazione, quindi i nostri giornalisti possono stare tranquilli.
Vorrei avanzare due osservazioni. La prima ripercorre le vie intraprese dai colleghi Romagnoli e Zani. La domanda è la seguente: che cosa vi ha autorizzato - in senso buono, naturalmente - qual è la base giuridica secondo cui, ad un certo punto, avete cambiato il principio di cittadinanza con il principio di residenza? Voi siete dei giuristi molto più eminenti di me e sapete che questi giochi non si possono fare. Difatti, credo che il principio di cittadinanza sia stabilito in almeno quattro punti del trattato. I colleghi hanno ricordato l'articolo 9A, in cui si stabilisce che il Parlamento rappresenta i cittadini d'Europa. Ma vi è anche l'articolo 17, in cui si ritrova il fondamento stesso della cittadinanza europea nel punto in cui stabilisce che la stessa completa, ma non sostituisce la cittadinanza nazionale. Questa rimane il fulcro del diritto elettorale di ciascuno Stato europeo.
Ho avuto l'onore di partecipare - non ricordo se fosse presente anche il collega Lamassoure - alla Convenzione per la Carta dei diritti fondamentali europei. Questa, all'articolo 39, stabilisce il diritto di voto per il Parlamento europeo per ogni cittadino. Tenete presente che questa Carta dei diritti fondamentali europei - alla cui redazione ha partecipato anche il professor Rodotà - normalmente si riferisce all'intera popolazione dell'Unione. Mentre per i diritti fondamentali essa non fa distinzione fra cittadini e residenti, per il Parlamento europeo parla espressamente di «cittadini».
Ancora: nella dizione attuale del Trattato, all'articolo 189, si legge che il Parlamento europeo rappresenta i popoli europei. C'è una differenza enorme rispetto alle disposizioni del Consiglio che parlano di popolazione. Abbiamo un ospite francese, come l'onorevole Lamassoure, che può insegnare la differenza tra popolo e popolazione: il popolo è un concetto politico e giuridico, mentre la popolazione è un concetto demografico.
La mia domanda è la seguente: questo salto qualitativo, da un criterio all'altro, da che cosa è legittimato? Questa è la mia curiosità, che si aggiunge a quella dei colleghi. Nella vostra relazione ho trovato una risposta contingente, relativa all'avere fretta. Avete parlato di uno studio di fattibilità, di criteri di cittadinanza che non sono omologhi: al di là della vostra onestà intellettuale - che è fuori discussione - si tratta di risposte fattuali e contingenti.
Mi chiedo le ragioni di questa fretta. Voi, in base al protocollo di giugno, dovevate presentare uno studio entro il mese di ottobre, ma chi vi ha detto che il Consiglio del 20 ottobre dovrà approvare


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sia il trattato sia questo accordo sul Parlamento? Le elezioni del Parlamento europeo sono previste per il 2009.
La situazione non è come la nostra, poveri senatori, che da un momento all'altro possiamo essere «sciolti», con conseguente scioglimento delle assemblee.
Il Parlamento europeo resterà tranquillo fino al 2009: cosa impedisce lo svolgimento di questo studio di fattibilità, in grado di individuare criteri omogenei e attendibili sul principio insuperabile di cittadinanza? Non vi è infatti possibilità di superare questo principio.
Permettetemi un'ultima osservazione. Nel mese di dicembre del 2006 il Governo ha approvato una tabella che parla di una base numerica di 736, valida per la legislatura 2009-2014. Da questo punto di vista, non è riscontrabile una grande urgenza. Per noi andrebbe anche bene la suddetta base: i nostri elettori sarebbero contenti di questa ulteriore e drastica riduzione nel numero dei parlamentari.
Come ha precisato il collega Zani, non stiamo discutendo di un seggio in più o in meno. Vi è l'aspetto fondamentale di lesione del buon diritto. In latino credo si dica habent sua sidera lites, ossia ogni disputa può aver le sue stelle: ma credo che nessun tribunale europeo potrebbe giustificare il cambio di un criterio fondamentale.
Ho esaminato con attenzione i lavori della Commissione affari costituzionali, alla quale gli italiani sono particolarmente legati e affezionati, da Altiero Spinelli fino a Giorgio Napolitano. Ho notato che il criterio degli scaglioni è stato respinto per un solo voto. Nella sua saggezza, la Commissione affari costituzionali aveva insomma capito che si stava operando un vulnus: attraverso una logica d'épicier, «del droghiere», puramente aritmetica e contabile, non vedendo un criterio che - attenzione! - non è solo politico.
Il collega Romagnoli l'ha precisato poco fa. Noi il criterio degli scaglioni l'abbiamo introiettato nell'ordinamento costituzionale. Nel momento in cui stabiliamo che la soglia massima è pari a 96 e quella minima a 6, noi creiamo degli scaglioni. Difatti, se domani la Turchia - come io auspico e, forse, Lamassoure teme - entrerà nell'Unione europea, non potrà avere più di 96 deputati, e se la stessa cosa avverrà per un Paese ancora più piccolo di Malta, la Principauté de Monaco, quest'ultimo dovrà avere ugualmente 6 deputati. Si tratta, quindi, di un criterio di fasce. Per quale motivo si è abbandonato non solo il principio giuridico, ma anche quello del buon senso di rispettare questa logica di scaglioni e di fasce?
Sono questi i due interrogativi che rivolgo, con grande amicizia, ai nostri colleghi relatori.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor presidente, ho due domande da rivolgere. È stato detto che forse non è questo il momento per porre la questione della rappresentanza e del numero di rappresentanti per i singoli Stati. Sarei curioso di sapere, se non ora, quando lo sarà. A seguito della mia esperienza nei riguardi delle vicende europee, posso affermare che se si lascia passare un principio senza opporsi nel tempo opportuno, poi questo si consolida e diventa inamovibile. Ebbene, vorrei sapere quali sarebbero i luoghi ulteriori nei quali potremmo far valere le nostre buone ragioni, posto che le abbiamo.
La seconda questione riguarda il criterio adottato. Ricordo che, quando ero giovane, avevo un amico, il professor Martini - che sarebbe diventato un grande statistico, se non fosse morto giovane - il quale mi ha spiegato che dobbiamo sapere che cosa vogliamo contare, prima di farlo, e sulla base di quale principio noi definiamo l'aggregato che intendiamo contare. La seconda domanda è la seguente: l'aggregato elettorale del quale stiamo parlando, sulla base di quale principio lo definiamo?
Il presidente Manzella ha spiegato, da grande giurista quale egli è, che il principio di cittadinanza è ancorato nella Costituzione. Io vorrei compiere un passo ulteriore. Il principio di cittadinanza si lega alla idea di una appartenenza, di una identità: un'Europa che ha un'identità, ha


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una cittadinanza ed ha anche dei cittadini. È possibile che persone che non condividono quell'identità e quella cittadinanza vivano in mezzo a noi? Certamente, sulla base di un criterio di ospitalità. È sempre stato così.
Tuttavia, esiste una differenza. Il cittadino gode dei diritti politici: è un principio ancorato esplicitamente nella Costituzione. Posso usare questo termine o devo parlare di «trattati»? Diciamo che si tratta di trattati che speriamo divengano Costituzione, o quella che possiamo considerare la Costituzione materiale non ancora ufficializzata nell'Europa. Si tratta, comunque, di un principio di diritto comune europeo, dal momento che lo ritroviamo in tutte le legislazioni dei Paesi europei. Io non conosco la legislazione di un solo Paese europeo - ma non sono un grande giurista come l'onorevole Severin e il senatore Manzella - nella quale non sia prevista una differenza tra cittadinanza e residenza.
A questo punto, scatta un problema non solo giuridico, ma anche filosofico, legato alla idea di dignità umana e al principio di eguale rappresentanza. Tutti coloro i quali sono cittadini hanno diritto ad una eguale rappresentanza.
A me non piacciono molto gli scaglioni, anche se sono una deviazione che oramai abbiamo accettato. Non li metto in discussione sul piano giuridico, però in linea di principio ritengo che il luogo degli scaglioni, il luogo cioè dove far valere un principio che non è quello dell'uguale rappresentanza dei cittadini, dovrebbe essere il Consiglio europeo.
Nel Senato americano tutti gli Stati valgono allo stesso modo indipendentemente dalla popolazione. Questo è un principio federale fondamentale, ma nella Camera dei rappresentanti, la popolazione si divide per 435, negli Stati Uniti, e si decide qual è la circoscrizione che ha titolo per eleggere un rappresentante.
Viene applicato questo criterio nello schema che qui ci viene proposto? Mi sembra di no.
Non è un problema di nazionalismo, a me l'idea che l'Italia abbia 72 rappresentanti, mentre la Francia ne ha 73, non mi genera tutto questo soprassalto di orgoglio nazionale. L'idea, però, che il cittadino europeo italiano valga meno del cittadino europeo francese mi preoccupa e mi sembra una violazione di diritto fondamentale.
La base di riferimento, quindi, non può essere la residenza perché in questo modo si includerebbero anche i residenti non cittadini. Forse la base di riferimento può essere semplicemente la cittadinanza, ma di questo dobbiamo discutere.
È stato detto che ci sono molti milioni di italiani all'estero - nessuno sa dare un dato certo - e certo non pretendo che tutti siano inclusi nella determinazione della rappresentanza italiana e so bene che quelli di loro che risiedono in Paesi europei godono del diritto di voto presso i Paesi europei nei quali si trovano. Questo è il vero nocciolo della questione.
Il vero nocciolo della questione è l'idea di cittadinanza europea: prendere come base il cittadino ha senso solo se si prende come base il cittadino europeo.
Lo stesso discorso vale anche se si prende il cittadino europeo italiano, ma residente in Germania che vota in Germania e quindi viene a gravare sull'attribuzione di seggi fatta alla Germania o alla Francia o un altro Paese.
Questo è un criterio che ritengo ragionevole e accettabile. Non credo, invece, che sia ragionevole e accettabile un criterio che parte dalla semplice residenza. Il criterio della semplice residenza, infatti, fa in modo che un Paese, nel quale risiedono un numero di cittadini aventi diritti al voto inferiore o uguale a quello di un altro Paese, abbia una rappresentanza superiore perché gli viene attribuito - non si capisce sulla base di quale principio - una specie di diritto di rappresentanza per i residenti non cittadini di quel Paese.
C'è un precedente che potrebbe farci riflettere da molti punti di vista ed è quello del diritto elettorale degli Stati Uniti tra il 1787 e il 1865. In quel periodo i padroni votavano anche per gli schiavi e la rappresentanza degli Stati del sud veniva calcolata includendo gli schiavi. Essi,


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quindi, valevano per definire il numero dei rappresentanti dello Stato, ma poi non votavano.
Questo non mi sembra un buon precedente da riportare nel diritto europeo.
Vorrei capire perché non si sceglie il principio trasparente dei cittadini europei residenti nel territorio, qualunque sia la loro cittadinanza regionale, e si preferisce il principio inaccettabile che è quello della mera residenza.

RICCARDO VENTRE, Deputato europeo. Signor presidente, ringrazio i presidenti delle Commissioni riunite per aver promosso questo incontro che si sta rivelando estremamente proficuo.
I colleghi che mi hanno preceduto hanno sostanzialmente oggettivato le ragioni sia giuridiche che politiche del nostro dissenso. Rocco Buttiglione sosteneva che avere un rappresentante in più o in meno non suscita particolari emozioni negative, ma violare il principio della corretta rappresentanza non è corretto.
Credo che aggiungere considerazioni giuridiche dopo quelle del presidente Manzella sia di cattivo gusto perché egli ha dato una lezione a tutti noi, giuristi e non.
Le ragioni giuridiche, infatti, le abbiamo oggettivate in emendamenti che purtroppo sono stati rigettati dalla Commissione affari costituzionali. Li abbiamo ripresentati in Assemblea e speriamo, in quella sede, di poter avere migliore fortuna.
Credo che gli stessi relatori - do atto con piacere a Alain Lamassoure e Adrian Severin della loro correttezza - con la presentazione del tentativo di compromesso numero uno, superando i nostri emendamenti, abbiano riconosciuto che c'è una oggettiva, non dico difficoltà, ma addirittura impossibilità giuridica di addivenire ad una corretta base di calcolo della popolazione.
Tralascio, perché è già stato egregiamente analizzato, il problema della confusione tra una situazione di fatto, quella della residenza, con una situazione di diritto, quello della cittadinanza, che è l'unica che può essere messa a base di un calcolo corretto della rappresentanza.
Noi siamo in una città che è stata a capo di un impero, dove il concetto di cittadinanza era il motivo di orgoglio massimo per chiunque stesse nell'impero.
Vorrei fare una considerazione di carattere squisitamente politico per non giungere ad una eterogenesi dei fini in merito a quello che la Commissione affari costituzionali si propone con questo parere. Noi ci siamo detti, all'inizio della discussione, che eravamo orgogliosi che il Consiglio ci chiedesse questo parere, e che non potevamo declinare l'incarico dato che, da alcuni anni, il Parlamento europeo sta rivendicando un ruolo di comprimario nell'attività legislativa. Legittimamente il trattato costituzionale aveva esaltato questo ruolo.
Ebbene, noi rischiamo, con questo parere, di pervenire ad un fine esattamente opposto rispetto a quello che noi ci prefiguravamo. Immaginavamo di acquisire maggiore dignità, maggiore «importanza» e ora rischiamo di esprimere un parere che poi verrà capovolto dal Consiglio o dalla Corte di giustizia.
Da qui non si scappa. È un problema politico: il Consiglio, che richiede, come sapete, l'unanimità nelle sue decisioni, potrebbe non pervenire a conclusioni identiche alle nostre e la Corte di giustizia ha materiale enorme da esaminare. Credo, quindi, che sarebbe un po' triste nella vita del Parlamento europeo, in questo suo divenire, che la propria rappresentanza fosse decisa da altri e non da noi.
Stiamo molto attenti a questo aspetto. Il collega Buttiglione ci ha fatto ricordare ciò che avveniva negli Stati Uniti. La creazione dello Stato del Maine avvenne da una scissione dal Massachusetts proprio per evitare la stagnazione - prendiamo in prestito questo termine dal mondo dell'economia - tra gli Stati schiavisti e gli Stati non schiavisti. Erano 13 e 13, se non vado errato. Si immaginò, quindi, di creare una situazione differente per poter uscire da quella condizione. Quel Parlamento - che in via embrionale certamente non aveva la complessità, il progresso, l'evoluzione che abbiamo noi -


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trovò, in se stesso, la forza di raggiungere qualcosa di positivo per il suo divenire.
Cerchiamo di immaginare, di procrastinare, non di rinunciare, ma di cercare, con l'onestà che avete mostrato di avere in questo parere, di trovare una base di calcolo che sia rispondente alle effettive situazioni. Facciamo in modo che non sia soltanto un calcolo aritmetico, ma politico. Mi spiace nominare sempre il collega Buttiglione, in relazione alla necessità di capire che cosa stiamo calcolando, ma credo sia naturale che dopo una premessa si arrivi alle conclusioni. Il problema è che la premessa, in questo caso, è errata.
Mi appello, quindi, alla grandissima onestà dei due ottimi colleghi Lamassoure e Severin per soprassedere su questa vicenda. Capisco che è difficile immaginare di fare un passo indietro, ma credo che facendone uno indietro, ne faremo dieci in avanti.

ANTONELLO FALOMI. Signor presidente, spero che questa nostra importante discussione non venga letta, da un lato, con la lente deformante utilizzata nel dibattito che è in corso nel nostro Paese a proposito di costi della politica e della riduzione del numero dei parlamentari - peraltro, come ricordava il presidente Bimbi, la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati ha deliberato (poi comunque il processo dovrà andare avanti) una forte riduzione del numero dei parlamentari italiani - e dall'altro con un'altra lente deformante che è quella delle pulsioni nazionalistiche.
Di tutto si può parlare, infatti, come ricordava l'onorevole Zani, tranne del modo in cui l'Italia si pone nei confronti dell'Europa rispetto a cosiddette pulsioni nazionalistiche.
Sgombrato il campo da questi possibili pericoli - lo dico perché sugli organi di informazione questi pericoli sono già emersi e sono già stati rappresentati - mi sembra che ci siano due osservazioni critiche rispetto alle proposte che sono state avanzate dalla Commissione affari costituzionali che, in questa sede, i relatori Lamassoure e Severin hanno, con molta puntualità, illustrato e difeso.
La prima osservazione critica riguarda il venir meno di un principio - se si può così definire - di un elemento che è quello della parità dei seggi che tradizionalmente sono stati attribuiti alla Francia, all'Italia e alla Gran Bretagna. È una parità che è stata riconfermata all'atto di adesione della Romania e della Bulgaria. È un principio che penso - lo diceva anche il relatore Severin - sia il frutto di una scelta politica che deve essere difesa, una scelta politica che garantisce un certo equilibrio nel governo dell'Unione europea, che credo debba essere ribadito.
Qualcuno ha detto che questa scelta politica contraddice i vincoli giuridici, contraddice il principio della proporzionalità degressiva, contraddice il superamento della logica degli scaglioni. Tuttavia, in gioco ci sono tre seggi - Italia, Francia e Inghilterra -, non è in gioco chissà quale grandezza.
A me sembra che più che una logica rigidamente vincolata a princìpi giuridici, in questo caso, debba valere una logica di scelta politica.
A parte le osservazioni che si possono fare e che sono state fatte dal collega Manzella sui vincoli giuridici, sulla fondatezza e sull'interpretazione o meno dei vincoli giuridici, penso che in una situazione di questo genere debba prevalere il mantenimento di un elemento politico ed una scelta politica.
D'altra parte, credo che senza scelte politiche la Comunità europea non si sarebbe potuta costruire e non sarebbe potuta andare avanti. A mio avviso, contrapporre una scelta politica ad un vincolo giuridico discutibile non è atteggiamento saggio.
La seconda osservazione riguarda il riferimento alla popolazione residente e alla cittadinanza. Condivido tutte le considerazioni che sono state fatte a proposito della differenza sostanziale che c'è tra questi due concetti. Mi rendo conto anche delle molte contraddizioni che l'uso di un concetto rispetto all'altro possono determinare,


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ma qui deve soccorrere anche la scelta politica. Come sappiamo, anche quel criterio rigido che è stato individuato del superamento degli scaglioni in realtà non è pienamente applicato, perché comunque manteniamo elementi di scaglione per una serie di Stati. In qualche modo, quindi, è già contraddetto quel rigido riferimento ai vincoli giuridici.
Credo che il tempo per poter maturare una diversa scelta ci sia. Niente e nessuno ci obbliga a fare, nel giro di pochi giorni, una scelta che, invece, deve essere molto ben ponderata.
Dobbiamo cercare di trovare un quadro che, effettivamente, ci porti ad avere un consenso molto ampio in merito a questi aspetti.

MAURIZIO TURCO. Signor presidente, magari ci fossero in gioco, come diceva il collega Falomi, solo tre seggi! C'è in gioco qualcos'altro. A nostro avviso, quello che è stato detto dal professor Manzella ed anche dall'onorevole Buttiglione in termini di diritto è gravissimo.
Intanto, va ricordato che il testo del trattato che dovrà essere adottato e di cui parliamo è stato presentato al Parlamento europeo. Inoltre, è stato imposto al Parlamento europeo di esprimersi, in un «fazzoletto» di pochi giorni, senza alcun dibattito.
Come ci ha detto il collega Lamassoure, questo testo è stato fatto molto rapidamente.
Ha detto testualmente «molto rapidamente», e si vede. L'articolo 9A, infatti, è stato praticamente tagliato in due. Nell'articolo 9A ci sono tanti riferimenti normativi testuali, ma alla fine questo riferimento viene a mancare.
Manca la seconda parte che, come ricordava il professor Manzella, è quella fondamentale e fondante dell'Unione europea.
Si pone sotto il vincolo della Corte di giustizia la violazione del principio della proporzionalità degressiva, ma non quello della cittadinanza. Si è deciso, inoltre, di rigettare completamente, di rifiutare quello che è scritto nell'articolo 9A con delle contraddizioni. Per esempio, tra il punto 7 ed il punto 13 prima si dice che è insufficiente il concetto di cittadinanza nell'armonizzazione europea e poi si chiede di studiare la possibilità tecnica e politica per rimpiazzare la presa in conto del numero di abitanti con quello dei cittadini europei.
Se c'è questa necessità di studiare, credo che sia il caso di aspettare. Il tempo c'è, lo dite voi. Se è necessario studiare, studiate!
La cosa che mi pare più grave di tutta questa vicenda è che per l'ennesima volta il servizio giuridico del Parlamento europeo non ha avuto nulla da dire. Questo non è possibile!
Lo stesso servizio giuridico del Parlamento europeo ha fatto trascorrere i tempi nella causa che abbiamo intentato contro il Consiglio per la mancanza di trasparenza dei lavori del Consiglio stesso. Si sono costituite a nostro favore l'Olanda, la Svezia e la Finlandia; il Parlamento europeo voleva costituirsi, ma non ha fatto in tempo.
È un continuo di violazioni rispetto alle quali noi, non solo per quanto riguarda l'attività del Parlamento europeo, intendiamo in primo luogo avanzare una denuncia presso la Commissione europea.
Ecco perché oggi abbiamo la forza di dirvi che se il 10 ottobre sarà approvato questo testo dal Parlamento, l'11 ottobre in questa Camera verrà presentata una mozione con la quale chiediamo al Governo italiano di porre il veto. Questo non perché l'Italia perde un seggio o perché ci sono in gioco tre seggi, ma perché con questo testo voi violate quella che è la legalità.
Ovviamente questa è la nostra opinione, poi si vedrà.
Noi chiederemo al Governo di porre il veto e se il Governo riterrà di non doverlo porre, vi preannunciamo che comunque andremo alla Corte perché non possiamo più tollerare questo modo di procedere.


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GIUSEPPE VEGAS. Signor presidente, molto brevemente per non tornare su argomenti che sono già stati ampiamente dibattuti.
Mi soffermo rapidamente solo sulla questione del computo dei seggi riferiti alla cittadinanza, piuttosto che alla popolazione.
Non posso che concordare con quanto espresso dal Presidente Manzella circa il riferimento all'articolo 9A del trattato perché mi sembra che l'argomento testuale sia molto forte.
Vorrei fare riferimento anche ad una questione di diritto interno perché per la Costituzione italiana il fatto di essere elettori è legato al fatto di essere cittadini. Questo è abbastanza logico. La rappresentanza, infatti, è una frazione degli elettori, quindi i due fattori si legano inscindibilmente. La popolazione, invece, non è considerata sotto il profilo del diritto costituzionale italiano. Credo, quindi, che risulterebbe poco comprensibile al cittadino italiano e si rischierebbe di creare una distanza nel suo pensiero tra un sistema adottato e costituzionalizzato a livello di diritto interno e un sistema che verrebbe adottato per le elezioni europee.
Questo, a mio avviso, non sarebbe condivisibile. Mi stupisco che il nostro Governo in sede intergovernativa non abbia fatto presente questo principio e non l'abbia caldeggiato. È stato, a mio avviso, un po' negligente sotto questo aspetto.
Credo che questi motivi di diritto interno e questo valore costituzionale, al quale noi come italiani non possiamo rinunciare anche quando ci troviamo in sede internazionale, dovrebbero portare il nostro Paese ad agire in sede europea con tutte le forme possibili, compresa anche quella estrema dell'apposizione del veto, nel caso in cui si adottasse un principio che stravolge completamente i cardini del nostro diritto costituzionale e politico di rappresentanza.

PRESIDENTE. I relatori Lamassoure e Severin sono stati molto pazienti. Sapevano che ci sarebbero state delle perorazioni non emozionali, ma certo appassionate; saranno di sicuro altrettanto appassionati nella difesa dei loro punti di vista.
Do loro la parola per la replica.

ALAIN LAMASSOURE, Deputato europeo. Signor presidente, innanzitutto mi scuso perché non potrò trattenermi fino alla fine della seduta. Il collega Severin, invece, rimarrà con voi fino a domani.
Vorrei ringraziare tutti per l'alta qualità degli interventi. È sempre bello avere un dibattito di così alto tenore giuridico.
Comincerò fornendovi alcune risposte. Qualcuno ha chiesto il motivo della fretta di intervenire. Non è questione di fretta, ci è stato chiesto di fare delle proposte per gli inizi di ottobre.
È necessario un accordo unanime per il 18 ottobre. Il trattato, infatti, all'articolo 9A, stabilisce che la composizione del Parlamento europeo non dipenderà più dal trattato, bensì da un atto di diritto secondario che si baserà su una decisione all'unanimità del Consiglio in accordo con il Parlamento.
Bisogna, quindi, aspettare che il trattato venga ratificato da tutti i Paesi e che entri in vigore per poter avviare la procedura giuridica. Pertanto, se non avremo un accordo entro ottobre prossimo il sistema non potrà essere applicato nel mese di giugno 2009. Quindi l'urgenza di pervenire ad un accordo esiste.
Diversi colleghi hanno lamentato la scomparsa degli scaglioni. Non è una nostra proposta, ma è contenuta nel trattato che voi avete accettato. Non esiste più il concetto di scaglioni di Paesi neanche in seno al Consiglio dei Ministri.
L'articolo 9A non è stato ancora ratificato, ma il Parlamento italiano, nella sua saggezza certo superiore a quella del Parlamento francese, ha adottato il principio della proporzionalità degressiva dove non vi sono più scaglioni.
Un parlamentare non può essere diviso in due, tre o quattro. Il Belgio e la Repubblica ceca hanno dieci milioni di abitanti e lo stesso numero di parlamentari. Il trattato ha previsto un numero minimo di sei parlamentari, che è un numero alto. Cipro ha il doppio della


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popolazione di Malta, ma avrà lo stesso numero di parlamentari. Nessuno ha proposto di assegnare dodici deputati a Cipro per tener conto della differenza di popolazione con Malta.
Vorrei rassicurare il collega Buttiglione - sono molto lieto di avere avuto questa occasione di incontro - del fatto che i nostri risultati non danno un vantaggio alla Francia rispetto all'Italia.
Egli propone di considerare il criterio della cittadinanza, piuttosto che quello della residenza.
Il numero di elettori francesi è aumentato di quattro milioni in cinque anni. È stato un aumento determinato dall'aumento della natalità. La Francia è uno dei pochi Paesi europei a continuare ad avere un tasso di natalità elevato. Secondo le nostre proposte un deputato francese rappresenta più cittadini di un parlamentare italiano.
Un francese, infatti, rappresenta circa 850 mila persone, mentre un parlamentare italiano ne rappresenta circa 816 mila. Se si adottasse il principio della proporzionalità degressiva l'Italia sarebbe leggermente sovrarappresentata rispetto alla Francia, la Francia sarebbe sovrarappresentata rispetto alla Germania e tutti noi saremmo sottorappresentati rispetto alla Lituania o all'Irlanda.
La terza osservazione a cui vorrei rispondere è una preoccupazione espressa dai colleghi Zani e Turco. È stata ventilata la possibilità di far ricorso alla Corte, ma la nostra è una proposta politica. Il trattato, fino a quando non entrerà in vigore, non avrà valore legale. Si tratta, in questo momento, di una proposta politica. A questo punto il Consiglio o deciderà di seguire la nostra proposta e la introdurrà nel trattato - il problema della composizione del Parlamento europeo è stato incluso nei trattati passati e potrebbe nuovamente essere inserito - o deciderà di applicare il nuovo articolo 9, che farà discendere questa materia dal diritto secondario. In caso di diritto primario, naturalmente, la Corte di giustizia non avrà nulla da dire.
Sia il presidente Manzella che il collega Buttiglione, con grande finezza ed anche grande amicizia hanno espresso il loro rammarico rispetto al fatto che questo progetto sia contingente. In effetti, non stiamo legiferando per l'eternità e questo succede frequentemente in ambito politico.
In questi giorni celebriamo il cinquantesimo anniversario del primo satellite artificiale russo, lo Sputnik. A distanza di dieci anni da quel volo modesto, l'uomo mise piede sulla Luna. Il nostro è uno Sputnik e, come si suol dire, anche il viaggio più lungo comincia con un passo. Questa è la nostra modesta proposta.
Adesso passo al tema dei criteri riprendendo la formula suggerita dall'amico Buttiglione: prima di contare bisogna sapere che cosa si sta contando. Effettivamente - lo riconosco, è un fatto prosaico - non si tratta di un alto dibattito filosofico o giuridico, stiamo semplicemente contando il numero di residenti nei Paesi membri. È un numero che possiamo contare, grazie ai nostri istituti di statistica nazionale che possono passare i loro dati all'Eurostat.
I dati poi vengono verificati da Eurostat che effettua un controllo per eliminare la possibilità di frode. La pubblicazione Eurostat assume forza legale grazie alla decisione del Consiglio e alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea.
È sulla base di questi dati, con valore ufficiale ed effetto giuridico, che il Consiglio si è pronunciato nel giugno scorso dopo una trattativa pubblica in tema di applicazione della doppia maggioranza. Gli stessi dati vengono utilizzati nella valutazione della popolazione per la ripartizione dei seggi al Parlamento europeo.
Dato che dobbiamo scegliere un criterio, i residenti sono l'unico insieme che siamo in grado di contare. Noi, in quanto relatori - i colleghi possono correggermi se non sono d'accordo - non abbiamo nessuna posizione in via di principio. È vero che il trattato ha introdotto il concetto di Parlamento europeo che rappresenta i cittadini e siamo pronti a studiarne


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gli effetti. È un tema estremamente complicato, che solleva problemi di ordine giuridico e politico, problemi che potranno dar luogo a contrasti tra i vari Stati membri.
Nelle osservazioni che abbiamo sentito in questa sala, tra la posizione del collega Romagnoli e quella del collega Buttiglione, vi è una differenza di non poco conto. Da un lato, se ho capito bene, si vogliono contare i cittadini italiani dell'Unione europea considerandoli nel novero del numero italiano; dall'altra, invece, si vogliono considerare tutti i cittadini europei che risiedono in Italia. Sono due proposte diverse.
In alcuni Stati non c'è il fenomeno della migrazione, in altri la migrazione è di origine europea, in altri ancora è di origine non europea; altri Paesi, invece, sono soggetti ad un fenomeno di emigrazione. Quindi, ogni Stato avrà una posizione diversa.
Nel momento in cui i nostri tribunali si trovano a giudicare, in base al diritto e alla Costituzione, su di un tema nuovo e controverso, tendono ad interpretare sulla base dei lavori preparatori, rileggendo i resoconti dei dibattiti sia dell'Assemblea costituente che della Camera dei deputati. Certamente Giuliano Amato e il Presidente Romano Prodi ricordano bene il dibattito che ha introdotto la nozione di cittadinanza.
Il Parlamento rappresenta i popoli. Ora, il dibattito che la Convenzione sta affrontando su questo concetto è estremamente arduo e complesso. Alcuni membri della Convenzione affermano che i popoli sono un'entità diversa dagli Stati. Esistono dei popoli in Europa che non hanno uno Stato. Se è vero che il Parlamento rappresenta i popoli, dovrebbe rappresentare sia i popoli con lo Stato che i popoli senza Stato.
Vi sono movimenti indipendentisti in diversi Paesi come nei Paesi Baschi, in Catalogna e altre regioni che richiedono l'indipendenza perché vorrebbero essere rappresentati in seno al Parlamento europeo.
In sede di Convenzione, invece, si è affermato che il Parlamento rappresenta persone, individui e cittadini e questo ci porta ad una prima difficoltà. Non c'è mai stato un dibattito in seno alle istituzioni europee. Solo qui, nel Parlamento italiano, c'è stato un dibattito importante, difficile e appassionato. Bisogna darvi merito di aver avviato, oggi, un dibattito su che cosa è un cittadino, su che differenza c'è fra un cittadino europeo, un cittadino di un Paese europeo e un cittadino di un Paese terzo.
Si è fatto riferimento al tema degli schiavi in passato. Ebbene, il 90 per cento delle leggi europee, delle direttive approvate si applica all'insieme della popolazione residente in Europa, ivi compresi i cittadini di Paesi terzi. Penso alla Carta dei diritti fondamentali. Ben 107 articoli si applicano a tutte le persone che vivono negli Stati membri, soltanto tre, invece, si applicano ai soli cittadini dell'Unione europea. Questo ci riporta al primo punto. Chi è il cittadino che dobbiamo rappresentare?
Passo ad un altro tema, sollevato da uno dei parlamentari, che riguarda la rappresentanza in Parlamento e in Consiglio. Ammetto la mia difficoltà a capire perché non si possa utilizzare lo stesso criterio per rappresentare un Paese in Consiglio a titolo della doppia maggioranza e per l'attribuzione dei seggi al Parlamento europeo.
A mio avviso, o consideriamo solo i cittadini, e allora cerchiamo una definizione di cittadino che possa valere sia per il Consiglio che per il Parlamento europeo, oppure pensiamo che nei Paesi di questo mondo tutti sono soggetti di diritto. Una volta definito il criterio, esso dovrà valere sia in Consiglio che in Parlamento.
Ricordo che l'Italia è un Paese pioniere in questo settore. Nell'ottobre del 2004 presentò una riserva in Consiglio riguardo al fatto che il calcolo della popolazione non fosse considerato in Parlamento, ma solo in Consiglio. Ricordo che una decisione in materia fu presa quel giorno in Consiglio, a maggioranza qualificata.


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Il Governo italiano accettò la decisione, ma affermando che questo criterio non doveva costituire un precedente per la Costituzione.
Ora quindi, dovendo valutare la popolazione, si è posto il problema - come direbbe il collega Buttiglione - di come contarla.
Qual è la popolazione? È difficile trovare un motivo oggettivo per affermare che la popolazione rappresentata in Consiglio sia, in qualche modo, diversa da quella rappresentata in Parlamento. È un tema estremamente complesso.
Ancora più difficile è l'armonizzazione del concetto di cittadino anche da un punto di vista che potrebbe essere più semplice, ovvero quello dell'elettore, poiché oggi abbiamo in materia dei concetti molto diversi.
Il concetto di cittadino in Italia, Francia e Romania non è lo stesso concetto che esiste nel Regno Unito dove il cittadino è il suddito della Corona britannica. I residenti del Regno Unito hanno il diritto di voto, mentre i cittadini residenti all'estero no. Come sapete, questo non accade per esempio in Francia.
Tra i residenti del Regno Unito vi sono cittadini di 54 nazionalità diverse e tutti hanno diritto di voto alle elezioni, comprese quelle che si svolgono a Westminster, quelle del Parlamento europeo e i referendum. Abbiamo oggi, tra i colleghi del Parlamento europeo anche un cittadino dello Zambia che non è un cittadino britannico, ma che rappresenta il Regno Unito. In passato vi è stata anche una donna australiana che rappresentava sempre il Regno Unito senza esserne cittadina.
Se prendiamo un Paese come la Lettonia la situazione è del tutto contraria. Vi è un problema tra la Lettonia e l'Estonia ancora irrisolto, dove i cittadini che non hanno la cittadinanza non hanno diritto di voto. Abbiamo, inoltre, il problema dei russi che non sono più russi, ma non sono neanche ancora lettoni. È una situazione estremamente complessa.
Se guardiamo alle statistiche sui residenti controllati da Eurostat notiamo che c'è un accordo perché ciascuno possa avere il diritto di controllare i calcoli degli altri.
Nessuno ha mai contestato i dati pubblicati da Eurostat, ma per quanto riguarda la definizione di cittadino avente diritto di voto al Parlamento europeo, i trattati e la giurisprudenza della Corte di giustizia confermano il fatto che ciascuno Stato membro ha il diritto di definire la cittadinanza europea come ritiene e concederne quindi il diritto secondo il suo giudizio senza che altri abbiano il diritto di interferire.
Sollevo un'ultima difficoltà. Se dovessimo raggiungere un accordo sulla cittadinanza europea, dovremmo contare il Paese di origine o il Paese di residenza? Per esempio, tutti i cittadini polacchi ovunque risiedano dovrebbero essere tenuti nel conto polacco. Ebbene, ci sono 400 mila polacchi che vivono adesso in Irlanda e gli irlandesi vorrebbero contarli come irlandesi.
I 20 milioni di irlandesi che vivono negli Stati Uniti, se dovessimo accettare questo criterio, non dovrebbero forse essere considerati tra gli irlandesi? Questi problemi possono trovare una soluzione, ma nessuna soluzione può essere trovata in quindici giorni e forse neanche in quindici mesi. È un tema che richiede l'unanimità in seno del Consiglio dei ministri. Non possiamo rimanere nella situazione attuale.
È stato previsto, nella bozza di risoluzione all'articolo 7, in mancanza di una soluzione migliore - visto che, come direbbe il collega Buttiglione, l'unica cosa che sappiamo fare è contare - di utilizzare, così come ha fatto il Consiglio, i dati Eurostat. Si afferma inoltre all'articolo 13, contrariamente a quello che è stato detto dal collega Turco, che la revisione abbia inizio immediatamente dopo il 2009.
Chiediamo che la bozza di risoluzione venga mandata avanti allo scopo di studiare, in modo approfondito, la possibilità di sostituire il numero di abitanti stabilito da Eurostat con il numero di cittadini europei.


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Esprimiamo una posizione favorevole alle idee espresse da molti parlamentari italiani. Se questa formulazione non vi sembra soddisfacente possiamo ancora considerare di migliorarla, ma vi invito a valutare i vincoli che abbiamo avuto. A volte, in politica l'ottimo è nemico del bene. Abbiamo cercato, quindi, di trovare la migliore soluzione possibile.

PRESIDENTE. È la prima volta che sento un francese chiedere ad un italiano che cos'è un cittadino! Ho sempre pensato che noi italiani l'avessimo imparato dai francesi.

ALAIN LAMASSOURE, Deputato europeo. Signor presidente, ho già detto al Presidente Prodi che ciò di cui ha bisogno l'Europa oggi è un editto di Caracalla europeo.

ADRIAN SEVERIN, Deputato europeo. Signor presidente, cercherò di essere breve anche perché il collega Lamassoure ha risposto in maniera esauriente a quasi tutte le obiezioni e agli interrogativi posti.
Il senatore Manzella ha domandato chi ci ha permesso di sostituire il concetto di cittadinanza con quello di residenza. La risposta è semplice: questa sostituzione non è avvenuta perché, se leggete attentamente il testo, vedrete che non facciamo mai riferimento all'abitante, al residente. Parliamo soltanto di base demografica e facciamo riferimento unicamente al cittadino europeo.
Tutte le sue osservazioni sarebbero accettabili rimanendo all'interno dell'ambito nazionale. La cittadinanza europea, così come viene definita all'articolo 9A del trattato di riforma, non è ancora un concetto definito e certamente non corrisponde esattamente al concetto di cittadinanza nazionale. Il collega Lamassoure conosce bene il tema della cittadinanza nazionale. Abbiamo letto e studiato sugli stessi testi, diversamente dai nostri amici britannici. In questo caso, dobbiamo continuare la nostra analisi per definire il concetto di cittadinanza.
Per questo motivo la nostra impostazione è stata di ordine procedurale. Sicuramente è in gioco l'articolo 9A, ma abbiamo fatto riferimento all'Eurostat per poter avere un dato numerico su cui lavorare. Abbiamo avvisato tutti che i dati Eurostat si basano sul numero di residenti e non su altra base, quindi mai è stato sostituito il concetto. Al contrario, il concetto è stato mantenuto con il monito che il concetto, a livello di istituzioni europee, ha un significato diverso dal concetto di cittadinanza a livello nazionale.
Sono, quindi, d'accordo con il senatore Manzella nella sua affermazione, ma solo se rimaniamo all'interno del quadro nazionale. Se analizziamo il tutto in un quadro europeo, abbiamo ancora del lavoro da fare.
Vorrei ricordare al senatore, membro autorevole dell'Assemblea parlamentare, che il Consiglio d'Europa ha recentemente adottato una risoluzione riguardo al concetto di nazione.
Certamente, nel quadro di una organizzazione intergovernativa - e qui veniva esaminato il concetto di nazione a livello di Stato/nazione e non già a livello di Unione europea - quella relazione si è conclusa in modo non definitivo. Anche in quell'occasione si è affermata la necessità di continuare a lavorare per arrivare ad una comprensione uniforme del termine nei diversi Paesi.
Anche a livello di vocabolario non abbiamo ancora raggiunto una comprensione univoca nei diversi Paesi dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa, che è una organizzazione ancora più ampia. Lo ripeto, non c'è una definizione univoca: alcuni parlano di cittadinanza, altri di nazionalità, altri di sudditi del regno. Dobbiamo continuare a lavorare se vogliamo definire il concetto di cittadinanza europea a livello di istituzioni europee.
Passo all'osservazione del collega Buttiglione: dobbiamo sapere quello che vogliamo contare.
È vero, quando un principio passa, diventa inamovibile, ma questo principio è già passato ed è già entrato nel diritto consuetudinario dell'Unione europea. Infatti,


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come ha detto poco fa il collega Lamassoure, quando Eurostat o le altre istituzioni oggi parlano di cittadini lo fanno sulla base dei dati che riflettono il numero di abitanti, e non su un'altra base.
Il principio, quindi, esiste. Lei chiede di riaprire il dibattito su questo principio e credo che sia una richiesta pienamente giustificata e legittima.
Come sa Lamassoure, io stesso non ho nulla in contrario a questo dibattito. Questo dibattito, però, è cosa ben diversa da quello che abbiamo potuto fare lavorando sulla base che avevamo.
Un altro collega ha affermato che lavoriamo su nozioni correlate al Consiglio d'Europa e alla CIG. Vorrei attirare la vostra attenzione su una caratteristica particolare del Parlamento europeo che non è né Senato, né Camera dei rappresentanti o dei deputati, né Bundesrat, né Bundestag. Il Parlamento è le due cose al contempo e rappresenta sia gli Stati che i cittadini. È questa la natura particolare dell'Unione europea. So che questo forse non viene apprezzato, senatore Manzella, e neanche io lo apprezzo.
Avrei preferito, chiaramente, avere una Camera degli Stati e una Camera dei cittadini, ma per questo sarà necessario fare strada con la Costituzione, o con quella che un giorno verrà definita Costituzione. Il tema è complesso.
Per questo motivo, visto che il Parlamento europeo è allo stesso tempo Bundestag e Bundesrat, non possiamo applicare il sistema degli organi nazionali. Non possiamo redistribuire e attribuire decimali di parlamentari. Sebbene alcuni Stati differiscano per quantità di popolazione, hanno lo stesso numero di seggi, non perché si vuole procedere per scaglioni come risultato di una decisione politica, ma semplicemente perché, quando la differenza nel numero di abitanti è esigua, non si può fare a meno di accettare che questi Stati abbiano lo stesso numero di seggi nel Parlamento europeo.
È questo il motivo, non certo la volontà di mantenere il concetto di scaglione.
L'onorevole Rocco Buttiglione ha espresso un'opinione che condivido riguardo al concetto di cittadino europeo che risiede in un certo Stato come base di riferimento. In effetti, mi sembra un argomento ragionevole. Avrei delle riserve, invece, rispetto all'idea che tutti i cittadini di uno Stato, seppur residenti in altri Paesi, debbano essere conteggiati in capo allo Stato di cui sono cittadini. Mi sembra che sarebbe un criterio molto più nazionale, piuttosto che europeo; può andare bene per i parlamenti nazionali, ma qui parliamo di Parlamento europeo.
Il numero di abitanti è una realtà che merita piena considerazione. Si è parlato di identità: queste persone andranno a costituire l'identità di quella nazione cosmopolita che sarà, in futuro, la nazione europea.
Abbiamo considerato un'entità demografica che trascende il concetto nazionale, radicato nell'idea di cittadinanza nazionale. L'esempio degli Stati Uniti potrebbe essere interessante, ma con una differenza: oggi non parliamo di schiavi, ma parliamo di persone che ancora non hanno il diritto di voto per diversi motivi. Sono soggetti con diritti e doveri all'interno del contesto europeo. Essendo soggetti a diritti e obblighi nel contesto europeo potrebbero essere trattati non già come cittadini europei in senso pieno e totale, ma potrebbero essere considerati nel numero dei seggi che viene attribuito ad un Paese in seno al Parlamento europeo.
Questo dato riflette una realtà demografica che non è priva di conseguenze e significato per il Paese interessato.
Vi invito a riflettere su questi temi in aggiunta a ciò che ha affermato il collega Lamassoure. Ripeto che abbiamo seguito un principio e non abbiamo cambiato tutto quello che forse avremmo voluto modificare. È stato detto che l'ottimo è nemico del bene: e questo è il modo giusto per concludere questa riunione, che è stata espressione di grande saggezza.


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PRESIDENTE. Ringrazio tutti i partecipanti per la discussione appassionante. Ringrazio anche gli europarlamentari Pasqualina Napoletano e Jas Gawronski per la loro presenza. Noi italiani insisteremo sul nostro punto di vista. Tuttavia, mi sembra importante sottolineare che costruire l'Europa significa ripensare alle nostre categorie e che, nello stesso tempo, un'Europa che si apre al mondo è costretta anch'essa a ripensare alle proprie. Superato questo punto oscuro, avremo comunque da lavorare insieme.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 19,40.