COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 13 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PINO PISICCHIO

La seduta comincia alle 8,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del ministro della giustizia, Clemente Mastella, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro della giustizia, Clemente Mastella, sulle linee programmatiche del suo dicastero iniziata il 28 giugno 2006 e continuata nella seduta del 5 luglio 2006.
Prima della replica del ministro, do la parola ai colleghi non ancora intervenuti per porre eventuali domande al ministro.

ALESSANDRO MARAN. Innanzitutto, esprimo una valutazione molto positiva sulla relazione del ministro Mastella, perché ha svolto una disamina seria ed onesta dei problemi della giustizia, sottolineando - anche con un certo fair play - il loro carattere annoso, sorvolando sui guasti arrecati dalle politiche seguite nell'ultimo quinquennio dal Governo di centrodestra. Sulla base degli elementi di riflessione offerti dal ministro Mastella alla Commissione è senz'altro possibile e, aggiungo, auspicabile aprire un confronto tra maggioranza e opposizione. È evidente, però, che tale collaborazione deve partire dal riconoscimento altrettanto franco e leale di ciò che divide il centrodestra e il centrosinistra, nonché del fatto che il Governo Prodi e la maggioranza parlamentare non possono certamente rinunciare a perseguire i propri obiettivi in materia di giustizia, obiettivi per i quali ci siamo battuti negli ultimi cinque anni e sui quali abbiamo assunto precisi impegni in campagna elettorale. Da qui - mi riferisco alle considerazioni del ministro Mastella in ordine alla legge n. 150 del 2005 e ai relativi decreti applicativi - emerge la necessità di un ripensamento della riforma, che consenta di distinguere quanto ci sia di inaccettabile (ovviamente a giudizio della nuova maggioranza) e quanto, invece, possa essere salvato con opportuni interventi correttivi. Condivido, del resto, le considerazioni del ministro Mastella nei riguardi di una deriva burocratica della regolamentazione dell'ordinamento giudiziario, la cui estraneità ai principi costituzionali è evidente. Ritengo che proprio da questa consapevolezza e dalla diversità dei ruoli si possa partire per giungere a soluzioni condivise, anche di ampio respiro, come avvenuto nella XIII legislatura, quando venne affrontata la riforma dell'articolo 111 della Costituzione. Il primo obiettivo da realizzare, a nostro parere, è quello di una giustizia efficace e tempestiva, aspetto sul quale nella relazione sono contenuti elementi che indicano la strada per interventi di particolare interesse.
Il punto di partenza è quello di rimettersi dalla parte del cittadino, cioè di ridare alla giurisdizione la sua effettività


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di regolatrice dei conflitti e di servizio essenziale, vale a dire rimettere al centro delle nostre preoccupazioni il cittadino e le sue libertà. Da questo punto di vista, non c'è dubbio che la riforma delle professioni debba essere reinserita nell'agenda politica. Di fronte all'esplosione numerica dell'avvocatura e alle difficoltà di mantenere una elevata qualità professionale, è ineludibile una riforma dell'ordinamento forense, che favorisca tanto la competizione quanto la tutela degli utenti. La questione della riforma della professione forense non può - né credo fosse questo l'obiettivo - essere risolta nel mero quadro del cosiddetto decreto Bersani, che ha appunto l'obiettivo di rendere più competitivi i servizi professionali. Non c'è dubbio che si debba tener conto della specifica funzione pubblica che caratterizza la professione forense. Perciò, fra i nostri primi atti come gruppo, abbiamo presentato un testo e sollecitato su questo la discussione, consapevoli del fatto che, per quel che riguarda i cittadini, l'esigenza di libertà è contagiosa e l'insofferenza ai vincoli è dilagante. Del documento di programmazione economico-finanziaria 2005-2007, presentato in Parlamento dal ministro Siniscalco, mi preme ricordare la novità che «gli interventi volti a promuovere la concorrenza - cito testualmente - quali le liberalizzazioni e la riforma delle professioni sono inscindibili dal programma di stabilizzazione della finanza pubblica». In questo senso, il decreto Bersani non è una rivoluzione. Come sottolineato dagli interventi dei colleghi la settimana scorsa, il decreto deve essere integrato, ma il cambiamento di ottica che esprime è certamente radicale - passatemi l'enfasi - e il Parlamento non è espropriato, ma sollecitato da questa iniziativa. Invito alla discussione del testo da noi presentato.
Condivido, infine, le considerazioni del ministro Mastella sui problemi del sistema penitenziario e sul loro aggravamento, che in gran parte derivano dalla pretesa di utilizzare il carcere come uno strumento per risolvere i problemi dell'immigrazione e della tossicodipendenza. A questo proposito, va ribadito che è necessario uscire da una logica meramente punitiva del carcere, che finisce per far perdere all'istituzione qualsiasi potenzialità rieducativa, anzi, per determinare una perversa natura criminogena. È in questo contesto che si sviluppa la discussione che abbiamo avviato, spero utilmente, sull'amnistia e sull'indulto.
Un'ultima considerazione riguarda il complesso delle intercettazioni. Su questo si è sviluppata una discussione nelle scorse settimane, per cui non torno sulla necessità di sanzionare in maniera più efficace l'illegittima pubblicazione da parte dei giornali, sulla necessità di agire prima di tutto per individuare i vari livelli di responsabilità dei pubblici ufficiali (aspetti indiscutibili). Desidero, invece, soffermarmi sull'entità della spesa, per sottolineare una condizione che è abnorme, e sulla quale, anche per quel che riguarda l'organizzazione di questo servizio, bisognerà intervenire.
Concludo, chiedendo al ministro Mastella, proprio perché quello della durata dei processi è uno dei punti cardine, di valutare l'opportunità di sottoporre alla Commissione una serie di misure per quel che riguarda le notificazioni, l'incompatibilità, le nullità, che possano costituire una sorta di pacchetto di intervento sulla durata dei processi.

STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. Ministro Mastella, un suo collega, il ministro Amato, ha sollevato il problema delle procure che passano le carte ai giornali, o addirittura forniscono le password dei computer. Lei ha subito affermato che i giornalisti vanno puniti: frustateli, ma qualcosa andrà fatto anche nei confronti di quei magistrati che passano tali informazioni! Il fatto grave, molto vicino allo Stato di polizia, è che l'Italia è stata invasa da un mare di intercettazioni telefoniche con modalità e quantità finora sconosciute. Sui giornali non sono finiti i soliti verbali, segno di un rapporto inaccettabile fra procure e stampa, ma direttamente le trascrizioni. La mia prima domanda, signor ministro, è se lei e il suo Governo siate in grado di rassicurare su


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quale sia la fonte di queste intercettazioni. In particolare, vorrei sapere se il Governo ha accertato l'esistenza di una rispondenza fra ciascuna intercettazione, in relazione sia al periodo cui si riferisce sia all'inchiesta alla quale si ascrive, e gli atti formali con la quale è stata disposta. Infatti, è capitato di leggere intercettazioni che, per materia e località, non solo non si riferiscono all'inchiesta di quel procuratore, ma neanche rientrano nella competenza di quella procura. Vorremmo dunque sapere chi, allora, abbia chiesto e autorizzato quella attività investigativa. Si è anche letto di intercettazioni durate anni. Ci chiediamo quali indagini abbiano avuto una così lunga durata, e con riferimento a quali reati.
È noto che il responsabile della sicurezza Pirelli, Giuliano Tavaroli, ha curato per Telecom Italia tutto il settore relativo alle intercettazioni. Ci riferiamo a sue libere dichiarazioni autopromozionali, rese ancora prima che fossero sollevati dubbi sul suo ruolo. Apprendiamo anche che Tavaroli si appoggiava ad una struttura privata, ordinando lavori per Telecom e pagando con fondi Pirelli. Questo risulterebbe dall'inchiesta in corso. Sappiamo che si tratta di un ex carabiniere, i cui ex colleghi, con i quali continuava a collaborare, gestivano società di investigazione e avevano ruoli di rilievo nei nostri servizi di informazione. Tavaroli non ha mai perso la fiducia del vertice delle due società, il che esclude la possibilità che abbia agito spontaneamente, violando le loro volontà. Ebbene, signor ministro, ci chiediamo se il Governo sia sicuro che non sia stato creato un giacimento, cui attingere per le inchieste che conducono a sequestro di materiali o per scelta o per volontà dei gestori del giacimento stesso.
Certo, colpisce quel che è capitato: è la pubblicazione di certe intercettazioni a procurare le indagini e non il risultato delle indagini a filtrare sui giornali. Questo è quello che accade. Quindi, si torna al primo quesito posto riguardante la fonte delle intercettazioni, le leggi che sono state violate e i protagonisti di quella violazione.
Passo ad un altro quesito. Nel corso delle indagini che hanno riguardato Consorte e Sacchetti, si è accertato, sempre da loro dichiarazioni, che hanno riscosso somme ingenti all'estero per il ruolo svolto nella faccenda Telecom Italia. Tali soldi sono solo una piccola parte della somma movimentata all'estero, cosa che è stata resa possibile dal fatto che la stessa Telecom, all'epoca di Colaninno e Gnutti, con l'appoggio di D'Alema e Bersani, era finita nelle mani di una cordata radicata all'estero con società lussemburghesi, a loro volta possedute da offshore. Nessuno, prima delle indagini, aveva mai immaginato che Consorte e Sacchetti potessero attingere a qualche tesoro. Ci interroghiamo su quanti altri abbiano potuto comportarsi allo stesso modo. Ipotizziamo, dunque, l'esistenza di una connessione tra i soldi movimentati all'estero da Tavaroli e i conti riferiti a quella transazione. È appena il caso di sottolineare che l'omissione dell'azione penale non è solo una mancanza a un dovere di ufficio, ma anche un modo per alimentare una realtà di possibili ricatti e illecite pressioni. Ai magistrati, che preparano il contenuto delle inchieste loro affidate, sarà bene ricordare la vicenda che coinvolse Achille Toro, pubblico ministero presso la procura di Roma, incaricato dell'indagine sulla scalata Antonveneta. Sempre attraverso le intercettazioni, si scoprì come egli comunicasse informazioni sensibili per Consorte ad un altro magistrato, amico dell'indagato. Dell'inchiesta, avviata su questo dalla procura di Perugia, non si è più saputo nulla. L'unica cosa nota è che oggi Achille Toro è capo di gabinetto del Ministero dei trasporti.

DANIELE FARINA. Ringrazio lei, signor presidente, e il ministro Mastella per il tempo che ci dedica. Comincerei con l'evidenziare il mio disaccordo con i colleghi che, nelle scorse settimane, hanno criticato le sue affermazioni nel corso della visita ad un carcere romano, relative alla necessità di operare rapidamente verso un provvedimento di amnistia e di indulto. Tali affermazioni sono criticabili


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soltanto laddove il Parlamento non sapesse trarre le conseguenze ed operare rapidamente anch'esso in questa direzione.
D'altronde le aspettative suscitate dalle sue dichiarazioni sono, in realtà, il prodotto precedente della passata legislatura e, se vogliamo, di quella ancora prima, e cioè di amnistie e di indulti annunciati, ma mai realizzati. Oggi, forse, siamo alla vigilia di un atto che viene perseguito da moltissimo tempo. La coda è diventata in qualche modo la testa. Oggi le carceri, nella drammatica situazione evidenziata dai dati, rappresentano il prodotto più evidente delle disfunzioni della giustizia, in questo caso della giustizia penale. La loro riforma è, ovviamente, uno dei punti di programma in questa legislatura, almeno per il gruppo di Rifondazione comunista. Nella sua relazione, lei ha anche evidenziato alcuni dei meccanismi strutturali che producono quella situazione carceraria. Mi riferisco, in particolar modo, alla legge «Bossi-Fini» del 2002, da lei citata, alla legge n. 49 del 2006 (la cosiddetta «Fini-Giovanardi») che ha riformato il testo unico sulle sostanze stupefacenti. Aggiungo - come lei stesso ha citato - la legge Cirielli nella parte relativa alla recidività.
Partire da queste leggi significa corrispondere ad un programma di Governo preciso, che noi sintetizziamo, quasi come uno slogan, nella necessità di ridurre il carico penale sulla società. L'idea di fondo, a cui speriamo di poter collaborare intensamente in questa legislatura, è che si possa avere un paradigma alternativo di gestione della giustizia e di rapporto fra paese, cittadini e sistema giudiziario. Questo, in virtù del fatto che riduzione del carico penale e sicurezza dei cittadini non sono grandezze antagonistiche. Quindi non è affatto vero, come invece sostiene il centrodestra, che più carcere e più detenzione significhino maggiore sicurezza per i cittadini. Forse è vero il contrario. Per arrivare ad un paradigma alternativo, ovviamente, occorre una manovra complessa.
Se posso avanzare una modesta critica alla sua relazione, credo venga poco sviluppato il tema fondamentale delle cosiddette misure alternative alla detenzione, trattato quasi esclusivamente nella parte dell'esposizione relativa alla riforma del codice penale, che avrà i suoi tempi (medi, ma non lunghissimi). Credo si debba partire dalla constatazione e dal dato di fatto che, laddove esiste una strutturazione di interventi alternativi al carcere, troviamo tassi di recidività che sono pari a un quarto rispetto ad altre situazioni. Dobbiamo partire dall'esperienza concreta per poter mettere mano, complessivamente, al tema della giustizia.
Non entro nello specifico sulla problematica relativa alla giustizia civile, ma riaffermo soltanto la nostra posizione per cui se, come sembra, come annunciato dai giornali e come in parte incardinato nel dibattito di questa relazione, andremo a proporre al Parlamento un provvedimento di indulto, siamo ben consci, però, che rimarrà nel nostro dibattito dei prossimi mesi anche la necessità di un provvedimento amnistiale. Questo avrebbe anche l'effetto preliminare di snellire l'enorme volume di procedimenti penali in corso, e di essere propedeutico ad altre e più incisive manovre.
Con tali brevissime dichiarazioni le pongo un'ultima domanda, per meglio operare proprio su questo terreno. Si tratta di un aspetto particolarmente urgente, giacché fra poche ore ridiscuteremo questa vicenda che tanta attenzione desta nel paese e reca il titolo di indulto: i dati resi disponibili dal Ministero e quelli distribuiti anche in Commissione giustizia sono assai aggregati. Siccome noi discuteremo anche di esclusioni dell'efficacia dell'indulto, sarebbe opportuno che tali dati - qualora esistano - più disaggregati, più dettagliati, venissero resi disponibili per svolgere con maggior efficacia il lavoro che ci apprestiamo a fare.

ALESSANDRO NACCARATO. Ho trovato molto lucida l'analisi fatta dal ministro Mastella sulla situazione difficile in cui versa il nostro sistema giudiziario e, in particolare, ho trovato molto efficace il riferimento alla riduzione di spesa del 40 per cento in sei anni. Come già sottolineato


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dal collega Maran, il ministro Mastella, con molto tatto, è riuscito a descrivere in modo preciso la situazione, senza necessariamente imputarla ad una responsabilità solo di natura politica, ma appunto provando a descrivere quanto accaduto in questi anni. Ritengo molto pertinente anche il riferimento a numerosi uffici giudiziari pressoché vicini ad una situazione di collasso, a causa di questa riduzione di spesa. Sono situazioni spesso poco note, che vengono evidenziate soltanto nei casi più drammatici. Per questo l'idea di avviare una politica di piano sul medio e lungo periodo mi pare sia la proposta più seria che il ministro Mastella potesse avanzare.
Da questo punto di vista, non si può che partire da un censimento analitico dei bisogni dei singoli uffici, come espresso dal ministro Mastella in modo serio e profondamente rispondente alla realtà. Credo che in questo lavoro di censimento, probabilmente, anche la Commissione potrà essere coinvolta e che ognuno potrà trovare spazio per offrire suggerimenti e consigli.
Il secondo riferimento che, dal punto di vista strategico, ho trovato molto convincente, riguarda il ritorno ad uno spirito di collaborazione tra ministro e Consiglio superiore della magistratura. Anche su questo mi pare che l'impostazione sia assolutamente condivisibile e giusta. La parte più interessante e più importante - punto su cui rivolgo una domanda al ministro Mastella - è in che modo intenda muoversi nell'immediato, dal momento che si evidenziava un problema urgente: quello dell'entrata in vigore della legge n. 150 e dei relativi decreti attuativi. Il ministro Mastella ha dato un giudizio (che condivido) critico su questa legge e su tale impianto legislativo, soprattutto perché vengono rimessi in discussione ruolo e funzioni dei magistrati, che rischiano di uscire indeboliti da simili provvedimenti e che di fatto sono equiparati a funzionari pubblici, con una forte burocratizzazione dello svolgimento delle loro funzioni. Ho colto riferimenti molto precisi al sistema dei concorsi interni, alla distinzione delle funzioni, alla disciplina delle procure, al rischio che l'obbligatorietà dell'azione penale venga in qualche modo messa in discussione.
Se questo è il giudizio, che condivido, dobbiamo capire come sia possibile intanto arginare alcuni dei danni che la legge n. 150 e i relativi decreti attuativi rischiano di introdurre immediatamente nel nostro ordinamento giudiziario. Ho constatato la consapevolezza di questa situazione: si è fatto riferimento a provvedimenti che devono in qualche modo invertire la rotta e all'istanza di modificare questo tipo di impostazione. Sarebbe utile avere elementi più precisi in proposito.
Un'ultima considerazione riguarda il riferimento alle intercettazioni. Mi pare anche un po' eccessivo addossare colpe al ministro Mastella, che è venuto quasi quindici giorni fa ed ha svolto una disamina molto precisa sullo stato del nostro sistema giudiziario, rilasciando affermazioni in questa sede che però rischiano ora di essere superate, in virtù di una serie di esigenze, anche di natura quotidiana. Uno di questi temi è proprio quello delle intercettazioni: mi auguro che - e su questo mi pare che il ministro Mastella sia stato molto preciso - non venga messo in discussione lo strumento delle intercettazioni come strumento di indagine. Ho trovato il ministro Mastella molto equilibrato anche su questo punto, che è uno dei rischi che la polemica politica quotidiana può introdurre in questo tipo di ragionamento. Infatti, di fronte ad alcuni fenomeni sempre più agguerriti di criminalità organizzata e di terrorismo, a me pare evidente - e il ministro Mastella lo ha ben presente - che proprio le intercettazioni restano uno strumento di indagine efficace e assolutamente necessario. Penso che su questo, probabilmente in maniera un po' più distaccata rispetto alla quotidianità, sia possibile ragionare con maggior calma.

FEDERICO PALOMBA. Signor ministro, ho trovato particolarmente importante e completa la sua relazione programmatica. Questo giudizio è tanto più


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significativo, in quanto conosciamo bene la situazione in cui lei ha trovato la giustizia e il Ministero, nel momento in cui ne ha assunto l'incarico. Soprattutto, mi ha colpito positivamente la correttezza dell'impianto costituzionale, ossia dei rapporti verso il Consiglio superiore della magistratura. Lei si è ritagliato, giustamente, il ruolo costituzionale di incaricato dell'organizzazione giudiziaria, che dialoga con gli altri poteri dello Stato, ma senza sovrapporsi ad essi. Ho trovato anche particolarmente corretto l'impianto costituzionale nei confronti della magistratura, sulla base del principio della divisione dei poteri. Per fortuna, quindi, speriamo di non dover riascoltare nei prossimi cinque anni, né dal Ministero, né dal Governo, affermazioni già sentite, valutazioni o persino attacchi infondati nei confronti dei magistrati, con il solo effetto di depotenziarne il controllo di legalità.
Qualcuno ha detto che bisogna chiudere un periodo di deresponsabilizzazione dei magistrati. Personalmente, credo invece che occorra chiudere un periodo di delegittimazione dei magistrati, il che non significa essere giustizialisti o condividere il principio per cui esiste un primato dei giudici sulla politica. Questo deve essere negato, ma il punto nodale è che non si può neanche affermare un primato della politica sui giudici. L'importante è che ognuno resti nel ruolo che la Costituzione attribuisce ad ogni potere dello Stato. Purtroppo, abbiamo assistito in passato ad un atteggiamento che si è anche tradotto in interventi inaccettabili o in provvedimenti normativi, che talora hanno banalizzato o adattato la regola, che hanno anche rischiato di burocratizzare la funzione giudiziaria, deprimendola a rango di funzionariato gerarchizzato. Questo in netto contrasto con l'articolo 101 della Costituzione, che vuole i giudici soggetti soltanto alla legge.
Pertanto, mi pare giusto che lei, signor ministro, abbia subito proposto un disegno di legge che sospende l'efficacia dei decreti delegati e attuativi, in attesa di una verifica sui punti in cui i decreti e la legge da cui promanano possano rappresentare dei vulnus ai principi dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura. Come si è detto e si deve ripetere, non si tratta di una furia distruttiva di tutto quello che è accaduto; anzi, probabilmente bisognerà salvare quanto possibile. Si tratta, invece, di avere il tempo per compiere un'analisi serena e per aggiustare alcuni punti maggiormente contrastanti con i principi costituzionali.
Non ho individuato, nella sua relazione, sia pure nella correttezza dell'impianto costituzionale, nessun appiattimento su nessuna lobby (neanche su quella dei magistrati), mentre ho apprezzato le riflessioni ponderate anche su temi delicati come quello delle intercettazioni. Nella sua relazione trovo conferma della necessità di questo atto istruttorio, ma anche una giusta preoccupazione soprattutto per i cittadini non coinvolti nel processo. Ho individuato anche delle preoccupazioni di ordine finanziario e di ordine economico, giacché le spese sono davvero molto forti.
Allora, le chiedo, signor ministro, se non sia possibile - fermo restando che si possa anche ricorrere ad un appalto privato - imporre un prezzo politico, cioè fissare un costo che sia accettabile. Il vincitore della gara, una volta consapevole del costo, lo accetterà.

CLEMENTE MASTELLA, Ministro della giustizia. Le società dichiarano che il prezzo è basso...

FEDERICO PALOMBA. Ministro, resista, perché non credo sia proprio così: riteniamo, invece, che il prezzo si possa abbassare ulteriormente.
Abbiamo trovato apprezzabile il richiamo alla volontà di collaborazione con l'avvocatura, che rappresenta una componente essenziale della funzione giudiziaria. Abbiamo constatato anche una preoccupazione per gli aspetti organizzativi della giustizia, che, forse, in passato sono stati ingiustamente trascurati, in quanto considerati soltanto aspetti materiali, mentre invece sono importanti perché attinenti alla conferma del rapporto di fiducia tra cittadini e giustizia. Se la giustizia non


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funziona, è più facile che i cittadini se ne disamorino; se la giustizia funziona, invece, in un ordinamento democratico come il nostro, il risultato è certamente importante.
Speriamo che lei, ministro, riesca veramente a mantenere fede all'impegno assunto dal Presidente Prodi, nelle dichiarazioni programmatiche, di dimezzare la pendenza. Non sappiamo come possa farcela; tuttavia, se il Parlamento potrà aiutarla, noi saremo totalmente a sua disposizione, anche laddove si dovessero aumentare gli organici dei magistrati, o dei funzionari. Credo che il Parlamento, valutando l'importanza strategica del settore della giustizia - come ho raccomandato al Presidente Prodi -, potrà e dovrà aumentare il relativo budget. Si dovrà, poi, pensare, forse, ad accorgimenti organizzativi, quali l'ufficio del giudice, ove il giudice sia affiancato da altri collaboratori, come avviene per i giudici della Corte costituzionale, affinché al magistrato resti affidato soltanto il compito interpretativo ed applicativo della legge, ma non gli altri ad esso connessi.
Noi pensiamo sia anche importante identificare uno standard di produttività dei magistrati. Riteniamo che, anche sotto questo profilo, al di là delle responsabilità disciplinari, sia necessario ottenere un impegno concreto dei magistrati, cominciando, in collegamento e in collaborazione con il Csm, a studiare dei criteri per valutarne la produttività. Forse, occorrerà anche rivedere la funzione dei capi degli uffici giudiziari: è possibile che il principio della temporaneità delle funzioni direttive sia insufficiente e debba essere sostituito con quello del giudizio sull'efficienza, mediante l'introduzione di obblighi programmatici, di rendiconti, nonché di criteri per arrivare anche all'eventuale rimozione dei capi inadeguati. Pensiamo, altresì, sempre in tema di funzionalità, che si possano studiare sistemi per far in modo che le motivazioni delle sentenze e delle ordinanze siano rese più snelle. Forse, sarà necessario superare il principio dell'autosufficienza dell'atto, in funzione di un principio diverso, secondo cui l'atto può essere succintamente motivato, anche per relationem rispetto alle risultanze processuali, senza bisogno che la sentenza sia ipertrofica.
Bisognerà ripercorrere il codice di procedura - procedo soltanto per accenni - per individuare ed eliminare gli adempimenti non strettamente necessari all'esercizio del giusto processo. Lei dovrà porre attenzione anche al problema delle citazioni e delle notificazioni, che attualmente costituiscono un ostacolo abbastanza importante per la celerità e la funzionalità. Esiste, altresì, il problema della revisione della geografia giudiziaria - lei lo ha già verificato -, per cui bisognerà impegnarsi affinché ci sia una più organica redistribuzione del carico di lavoro nella mappa giudiziaria italiana. Lei potrà anche trovarsi di fronte alla necessità di sopprimere qualche ufficio, azione che mai nessuno è riuscito a portare a compimento e sulla quale il cimento sarà davvero arduo.
Infine, desidero fare un accenno all'amnistia. L'Italia dei valori ha più volte manifestato il proprio punto di vista, di contrasto verso un provvedimento di amnistia che sia sganciato da una complessiva riforma ordinamentale, organizzativa e strutturale. Soltanto in quel caso, come è avvenuto in occasione dell'introduzione del nuovo codice di procedura penale, si potrebbe verificare la necessità di un parziale sgombero dei tavoli dei magistrati. Anche limitatamente all'indulto, verso il quale pare ci si orienti, abbiamo una posizione molto semplice. Non si tratta di voler mantenere la gente in prigione, ma intanto, pur senza avere veri problemi di sicurezza, siamo preoccupati di quelli che escono e poi magari rientrano. Noi pensiamo, piuttosto, che sia necessario agire sulla base di un principio di legalità: se la regole ci sono, vanno rispettate. L'inesorabilità dell'applicazione della pena è uno dei principi di serietà. La nostra proposta, invece, è che si promuova un intervento contestuale, non solo sul codice (avviando un processo che richiederà un po' di tempo), ma, subito, su alcune norme incriminatrici che danno i maggiori «gettiti». Mi scuso con tutti per la lunghezza del


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mio intervento, ma concluderò rapidamente. Da questo punto di vista, noi avremmo alcune proposte in tal senso. Sarebbe sufficiente un impegno complessivo, mentre si esamina l'indulto, ad analizzare contemporaneamente - non nello stesso testo, perché impossibile costituzionalmente - alcune disposizioni che incidano sia sulle norme incriminatrici (rendendole non più tali), sia su una serie di provvedimenti che costituiscono valide alternative alla detenzione.

GIANCARLO LAURINI. Signor ministro, grazie per essere ancora qui - è la terza volta in breve tempo, ottimo inizio di collaborazione con la Commissione giustizia - per poter esaminare con attenzione il suo programma, nel quale, con soddisfazione, ho visto il punto che riguarda la riforma delle professioni, ormai matura e certamente auspicata da tutti. Però, ho notato che in esso si inserisce con un intervento a gamba tesa - per usare un linguaggio calcistico, di moda in questo periodo - il decreto Bersani, con il suo riferimento alla parte delle professioni per quanto attiene a tariffe, società multidisciplinari. Tale riferimento non mi pare abbia copertura europea, come si vuol far credere. Non sto qui a ricordare le risoluzioni del Parlamento europeo, la sentenza Wouters e la sentenza Arduino, intervenute su vari aspetti, già ricordate e consultabili. Tra l'altro, sempre a livello europeo, rammento il rapporto della commissione ministeriale olandese Hammerstein - quindi di un paese, in cui, qualche anno fa, si è proceduto ad una liberalizzazione delle tariffe - che giunge ad una conclusione veramente interessante. Infatti, per quello che riguarda gli orari e i compensi professionali, si è assistito a un abbassamento del livello più elevato, quindi dei massimi di tariffa, evidentemente per il gioco della contrattazione sugli onorari con clienti particolarmente forti in grado di ottenere questo, a fronte, invece, di un innalzamento dei minimi tariffari applicati, a discapito della clientela più debole, che è la fascia medio-piccola dei clienti. Questi aspetti vanno esaminati: non si possono liquidare superficialmente con la decretazione di urgenza, che, inevitabilmente non può approfondirli con il necessario scrupolo. Né, del resto, dell'urgenza si intravedono i veri presupposti. Certo, è urgente la riforma delle professioni e il mondo delle professioni si augura che ci si arrivi con la massima rapidità. In proposito, però, esistono già progetti pendenti ripresentati in Parlamento, dai quali si può ripartire immediatamente, affinché lei, signor ministro, abbia la possibilità di condurre finalmente in porto questa riforma dopo tantissimi anni. Tra l'altro, questa riforma deve essere ricondotta nel suo corretto binario costituzionale, vale a dire nell'ambito del Ministero della giustizia, e anche, nella sua integrità e totalità, sul piano della correttezza politica, evitando di utilizzare strumenti non adatti. A tal proposito, basti ricordare l'effetto tariffe. Poiché ci sono settori di prestazioni professionali nei quali il compenso comprende anche contributi a segmenti della pubblica amministrazione (anche del suo stesso dicastero), nel momento in cui il compenso venisse rimesso alla libera contrattazione, come si farebbe a includervi quel settore di contribuzione alla pubblica amministrazione (come nel caso degli archivi notarili, per esempio, per citare l'ambito del Ministero di giustizia)? A questo punto, dobbiamo ricordarci l'articolo 81 della Costituzione. È della settimana scorsa una lettera del CNEL al Governo, in cui si ribadisce la disponibilità del CNEL a discutere i temi ampi, a 360 gradi, della riforma delle professioni. Chiedo, dunque, a lei, signor ministro se vi sia la possibilità, la volontà di evitare che vada a segno questo vulnus rappresentato dall'articolo 2 del decreto Bersani, rispetto al complessivo disegno di riforma delle professioni, che questa volta si può condurre veramente in porto, in una maniera condivisa. Occorre, infatti, ricostruire quel rapporto di collaborazione con le categorie professionali attualmente agitate da questa entrata a gamba tesa, inutile, intempestiva, fuori luogo. Sono ancora aperte tutte possibilità di intervenire in questo settore così importante


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della società italiana attraverso lo strumento più idoneo e più adeguato, cioè il disegno di legge, quindi stralciando questa parte dal decreto, con l'augurio che, entro la fine dell'anno, anche l'Italia abbia una riforma delle professioni.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Laurini, anche per l'autoriduzione e la misura.

GIULIA BONGIORNO. Credo sia impossibile fare una analisi completa di questo programma: qualsiasi considerazione avesse tale pretesa sarebbe superficiale e fuorviante. Avverto che la durata del mio intervento sarà inversamente proporzionale ai tempi della giustizia penale, quindi brevissimo.

CLEMENTE MASTELLA, Ministro della giustizia. Anche di quella civile...

GIULIA BONGIORNO. Preferisco trattare solo delle poche cose che conosco, quindi del penale, ministro. Quello che condivido assolutamente nella relazione è la priorità data al tema della durata dei processi. Credo che spesso si continui a parlare della durata e della lentezza, quasi come se ci si fosse ormai abituati a questo problema. La scorsa settimana mi è stato notificato un atto, che riguardava il processo di uno dei miei primi clienti. Ho iniziato a fare l'avvocato a Palermo, nel 1989: il fatto che mi arrivino notifiche per uno dei miei primi clienti è grave, dal momento che non ho iniziato ad avere clienti molto tardi. Detto questo, voglio precisare che la durata dei processi non è un problema che fa soffrire solo l'imputato, ma che, a mio parere, ha delle conseguenze dirette su tutto. Dico questo a ragion veduta, perché mi è capitato che alcuni clienti stranieri mi dicessero che, visto che in Italia la giustizia non funziona, preferivano addirittura non attivarsi in Italia. Il grande imprenditore straniero, che sa quanto gli sarebbe difficile farsi pagare da un debitore, preferisce non intraprendere alcuna iniziativa nel nostro paese, convinto che la giustizia non riuscirebbe a soddisfare le sue pretese in tempi brevi. Ormai, siamo arrivati al paradosso per cui, quando un cliente viene a trovarmi in studio, anziché chiedermi come andrà il processo, mi chiede in quanto tempo si prescrive il reato! Questo non significa, tuttavia, che si debbano cambiare i tempi della prescrizione, perché credo che la prescrizione abbia anche una sua moralità, che risiede nel fatto che un soggetto non può essere affidato per sempre alla giustizia. Dico soltanto che bisogna incidere sulla durata dei processi.
Stiamo attenti a una cosa: nel parlare di durata dei processi, a volte sento dire che a questo punto possiamo tagliare sulle nullità, tagliare sulle notifiche, tagliare qui o là. Ma attenzione, perché anche il plotone d'esecuzione è rapidissimo. La vera scommessa è proprio questa: ridurre la durata dei processi senza ridurre le garanzie dell'imputato, altrimenti sarebbe troppo facile. Se così fosse, ci limiteremmo a eliminare i gradi di giudizio, a sostenere che chi è indiziato debba andare a sentenza. Allora la scommessa, ministro, è questa: provare a ridurre i tempi dei processi senza ridurre le garanzie.
C'è, però, la variabile da lei citata, perché non è facile riuscirci senza denaro. Chiediamoci, dunque, quale possa essere la risorsa, ministro, che dobbiamo mettere tutti in campo. Ovviamente, per raggiungere l'obiettivo comune, occorrerà accantonare - e questo io lo farò e lo constaterete - le diverse ideologie partitiche per perseguire un obiettivo unico, per non arrivare in tribunale e trovare scritto «chiuso per fallimento». Non voglio più vedere i miei assistiti che a 23 anni iniziano un processo, ad esempio per bancarotta, e a 42 anni vanno in prigione, perché a quel punto chi va in prigione è una persona ormai diversa da quella che ha commesso il reato. Allora questo è un mio interesse, indipendentemente dalla mia appartenenza all'opposizione, e cercherò di contribuire nei limiti in cui potranno essere interessanti le mie idee. Rispetto, dunque, al problema della carenza dei mezzi economici, ciò che intendo dire è che la risorsa è una: l'intelligenza


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(non vedo altre soluzioni). Intelligenza significa mettere mano al codice di procedura penale e alla serie di norme allucinanti che esistono e che bisogna assolutamente modificare, perché, quando in un codice di procedura penale è previsto che il giudice possa rinviare il processo anche di otto mesi o un anno, non ha più senso parlare di immediatezza o di oralità. In effetti esiste la norma, che indica 10 giorni, ma è un termine ordinatorio. Mi si obietta che mancano i giudici: ebbene, in risposta a tale contestazione, esorto nuovamente ad usare l'intelligenza, per analizzare come i giudici possano essere aiutati! Non possiamo far proliferare i giudici, e allora - ancora una volta intelligenza - stabiliamo che gli avvocati, anziché da me o da altri, svolgano gli ultimi sei mesi di praticantato presso i giudici e aiutino e diventino coadiutori a costo zero. Questa è un'idea, una scintilla, che può venire dall'intelligenza, nella necessità di superare questi tipi di problemi.
Secondo spunto, che non posso evitare di citare. Per quanto riguarda le intercettazioni, non condivido assolutamente il fatto che si possa intervenire soltanto a valle. Ormai, soprattutto quest'anno, abbiamo assistito a intercettazioni ovunque, e tutti ne hanno parlato. Ma ritengo che sarebbe erroneo e fuorviante intervenire a valle solo sui giornalisti, perché non risolverebbe il problema: è necessario prevenire! Ci si chiederà in che modo si possa prevenire. I problemi non si esauriscono nella fase della pubblicazione, ma, nell'ambito delle intercettazioni, tre sono i momenti sui quali bisogna incidere: il momento in cui vengono disposte le intercettazioni telefoniche, il momento in cui vengono conservate e quello in cui vengono pubblicate. Lei deve incidere su questi tre momenti. Partiamo dal momento in cui vengono disposte. Quello che bisogna eliminare è il tipo di tecnica, che è una prassi. Sono amica di molti pubblici ministeri, ma le dico che la tecnica attualmente usata per le intercettazioni è la cosiddetta tecnica «a rete». Ciò significa che l'intercettazione, spesso, non è utilizzata come momento di ricerca della prova, ma come momento di ricerca della notitia criminis: si lancia una rete e si prende caso. Dobbiamo, invece, incidere a monte: l'intercettazione deve essere utilizzata solo nei casi previsti dalla legge, se ci sono gli indizi, e non a rete. Quindi proporrei di vietare le intercettazioni a rete. Aggiungo un secondo elemento. Recandovi in qualsiasi cancelleria o negli uffici della polizia giudiziaria, noterete dei faldoni buttati un po' ovunque con dentro intercettazioni, brogliacci e altro. Allora - secondo momento sul quale a mio parere bisogna incidere - occorre creare una sorta di procedimento come quello amministrativo, con un soggetto responsabile della conservazione delle intercettazioni. Deve essere una sorta di procedimento amministrativo, per cui, dal momento in cui l'intercettazione diventa un atto, essa deve essere tutelata. A questo punto, giungo addirittura a proporre l'introduzione di effettive forme di responsabilità, anche disciplinari, a carico di ogni soggetto responsabile di questo procedimento, dal primo all'ultimo livello: dal soggetto della cancelleria al magistrato. Alla fine di tale percorso, in accordo con lei, ministro, possiamo decidere di inasprire le pene per la pubblicazione, oppure - scelta per me ancora più intelligente - di trasformare la fattispecie di cui all'articolo 684 del codice penale da contravvenzione in delitto, così da incutere timore in questo tipo di reato. Ribadisco, però, che non dobbiamo intervenire a valle, ma a monte.

EDMONDO CIRIELLI. Signor ministro, onorevoli colleghi, cercherò di essere rapido, anche se, ovviamente, la relazione del ministro è stata molto lunga, e numerose sono le tematiche trattate. Non seguirò il canovaccio che mi ero predisposto, ma tratterò, in generale, gli aspetti più salienti. Mi consenta, intanto, una breve valutazione di carattere generale. Lei ha affrontato tutti i temi della giustizia, come è giusto che fosse, in maniera anche esaustiva. Credo, però, che noi tutti ci aspettassimo una maggiore determinazione nell'indicare le soluzioni ai problemi,


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nel senso che, oltre ad elencare in maniera analitica i problemi e le disfunzioni del sistema, ormai noti a tutti, ci saremmo aspettati che il guardasigilli entrasse profondamente nel merito.
Comunque, vi sono pure, nella relazione del ministro, alcuni aspetti positivi, prima fra i quali, sicuramente, l'idea complessiva che debba mutare il rapporto tra l'Esecutivo e il Csm, e in genere i magistrati. Dal punto di vista formale, senza entrare nel merito di ciò che ha provocato la disfunzione e il cortocircuito negli anni passati, ritengo questo un aspetto positivo nell'interesse delle istituzioni. Ritengo giusta anche la richiesta di riportare a trenta il numero dei componenti del Csm, ma mi sarei aspettato anche un intervento relativamente al sistema elettorale, introdotto nella scorsa legislatura, che ha penalizzato i singoli magistrati, ma ha finito con l'avvantaggiare le correnti maggiormente organizzate, a detrimento dell'autonomia complessiva dei giudici.
Assai carente, poi, mi consenta, signor ministro, è la valutazione delle risorse complessive. Lei effettivamente illustra la drammaticità della situazione, in ordine al problema carcerario, al personale dipendente, e alla carenza di organico (che di fatto non spiega come intenda risolvere). Certamente, da parte nostra non può attendersi sconti su quella che lei chiama «revisione della geografia giudiziaria». Non pensiamo che le risorse ulteriori possano essere tradotte in una riduzione, in un accorpamento del tribunale. Da questo punto di vista, le annuncio che noi condurremo una battaglia durissima per mantenere l'esistente, che riteniamo sia assolutamente il minimo necessario per far funzionare la macchina della giustizia.
Ritengo sia anche interessante ciò che ha affermato sul versante della cooperazione giudiziaria europea. Dobbiamo sicuramente ancora uniformare il nostro diritto, e probabilmente, nonostante l'Italia sia la culla del diritto, l'esasperazione ed i bizantinismi giuridici hanno provocato, in questi anni, le lungaggini dei processi e la crisi complessiva giudiziaria. Potremmo certo trarre benefici, se seguissimo l'esempio di maggior pragmatismo che ci viene dal resto dell'Unione europea, anche in seguito alla creazione di uno spazio comune di giustizia e di sicurezza.
Sicuramente, condividiamo la volontà (certo frutto di buona fede) della distruzione delle intercettazioni. Certo, ci saremmo aspettati, nei cinque anni passati, un'iniziativa analoga da parte del centrosinistra. Non vorremmo che questo mutato clima derivasse dal cambio della maggioranza.
Rispetto alla situazione penitenziaria, lei è stato forse frettoloso nell'affrontare un problema effettivo, relativo alla grave situazione carceraria. È vero che esiste un problema di sovraffollamento, è vero che in carcere manca un sistema reale di rieducazione, perché di fatto i detenuti non lavorano, o comunque è un fatto assolutamente marginale. Su questo ci saremmo aspettati un intervento chiaro del ministro, per illustrare come intenda risolvere il problema del rispetto del fine costituzionale della pena, e quindi del lavoro in carcere, questione che langue. Ci saremmo aspettati un intervento deciso per risolvere il problema degli extracomunitari. Come centrodestra, abbiamo avviato degli accordi con la Romania e l'Albania, e pensiamo che si debba continuare su questa strada, partendo da quei paesi dai quali proviene percentualmente la maggior parte dei detenuti.
Anche se non è di sua stretta competenza, ma sicuramente collegato ai temi dell'amnistia e dell'indulto da lei affrontati, ci saremmo aspettati qualcosa di più sul versante della sicurezza, soprattutto in merito alle riforme del sistema penale e processuale. Pensiamo che alcune valutazioni positive siano state espresse soprattutto in tema processuale, e condividiamo la necessità di rivedere il sistema delle impugnazioni, che effettivamente ha portato ad avere in Italia quasi cinque gradi di giudizio. Crediamo che questo appesantisca il processo e che si assista a una esasperazione del concetto della garanzia di difesa in Italia.
Forse, sarebbe necessario - e su questo mi rammarico del silenzio di persone che,


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solitamente, in questa Commissione, passano per essere più garantiste di me - affrontare sufficientemente il tema della carcerazione preventiva. Probabilmente, il vero problema della sicurezza della giustizia, che esiste in Italia dal punto di vista del garantismo, non riguarda tanto le garanzie processuali, quanto un abuso della carcerazione preventiva, che dovrebbe essere limitata assai più di quello che avviene adesso, in linea con il dettato costituzionale.
Di converso siamo preoccupati della sua valutazione sulla parte della cosiddetta ex Cirielli che riguarda la recidiva, perché è un contraltare esatto al garantismo che deve avvenire in sede processuale. D'altro canto, siamo sorpresi che né lei, né altro esponente del centrosinistra abbiate affrontato il tema della ex Cirielli in relazione alla parte relativa alla prescrizione. Dopo gli attacchi di questa nuova maggioranza alla riforma introdotta nella legge che portava il mio nome, con alcuni emendamenti voluti da Forza Italia (riforma da me non condivisa nella metodologia tecnica ma certo nella sostanza dei principi), dopo le critiche che l'hanno presentata come una delle norme più inique, una norma che avrebbe scardinato il processo e realizzato una amnistia mascherata, oggi mi sorprende questo silenzio. Mi sorprende non sentire più nominare, né dal centrosinistra, né dal ministro, questa parte relativa alla prescrizione nella ex Cirielli.
Nel complesso, signor ministro, ci aspettiamo un attacco più deciso ai problemi della giustizia da parte di un guardasigilli che, ovviamente, deve mantenere il suo dicastero per cinque anni. Naturalmente, non è il mio augurio, ma è evidente che chi si presenta all'inizio della legislatura propone un programma per tutta la legislatura, o almeno se lo auguri. Tengo a ribadire che ci aspettiamo soprattutto la tutela delle competenze del Governo nelle materie trattate. Come opposizione, ci batteremo perché la Commissione e l'Assemblea siano tutelate nel rispetto delle prerogative parlamentari. Non ho motivo di credere che il presidente della Commissione e gli altri colleghi della maggioranza non intendano comportarsi allo stesso modo. Certo, siamo preoccupati: quel che è stato fatto nei confronti di alcuni ordini professionali sicuramente lascia perplessi. Abbiamo apprezzato le sue dichiarazioni forti e dure a difesa delle prerogative ministeriali; ora ci aspettiamo che alle parole seguano i fatti negli elementi concreti di valutazione quando poi giungerà il momento di riportare la discussione in Assemblea.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Cirielli: come lei sa, tra l'altro, stiamo per mettere mano anche al provvedimento sugli ordini professionali.

ENRICO COSTA. Signor ministro, nelle sue comunicazioni e nelle sue linee programmatiche ha evidenziato l'obiettivo che lo Stato risponda tempestivamente ed efficacemente alla domanda di giustizia, in considerazione del fatto che la sfiducia del cittadino implica una minor domanda di giustizia. Collocare il cittadino al centro dell'attenzione del suo programma significa, quindi, anche porlo in condizione di domandare giustizia e stimolarlo in questo senso. Mi soffermerei, nel mio intervento, su un profilo specifico della sua relazione rubricato «Revisione della geografia giudiziaria», laddove viene evidenziato un criterio di efficienza di un tribunale parametrandolo al numero dei magistrati in organico. In sostanza, nella relazione, si afferma che il tribunale è efficiente laddove vi siano, in organico, almeno 14 magistrati: 5 nella sezione civile (più il presidente), 5 nella sezione penale (più il presidente) e 2 assegnati alla sezione gip-gup.
Ecco, mi sento quantomeno in dovere di aprire una riflessione - e chiederò anche al ministro di farlo - legata al fatto che moltissimi tribunali, soprattutto quelli piccoli (poi mi soffermerò sulla soluzione prospettata nella relazione), non rispettano detti parametri. Magari hanno in organico questo numero di giudici ma, chiaramente, vi sono molti posti vacanti che non consentono il raggiungimento di


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tali parametri. Vi sono tribunali che hanno addirittura in organico un numero assai più esiguo di giudici, ma che, alla luce delle statistiche e dei numeri riportati in numerosi studi, fanno registrare un concetto di efficienza - per ricollegarmi alle parole dell'onorevole Bongiorno - e risultati molto apprezzabili in termini di celerità e di definizione dei processi. Quindi, il termine di efficienza deve essere valutato sul campo e non ancorandosi a parametri astratti. Abbiamo una giustizia di prossimità - come si può chiamare quella dei piccoli tribunali -, che svolge in modo molto efficace il proprio lavoro, rispondendo alla domanda, appunto, di giustizia con una capillarizzazione molto forte sul territorio. Nel suo intervento, si evidenzia come la frammentazione sul territorio comporti un sovrautilizzo dei giudici onorari (ed è un dato reale), ma anche come queste figure costituiscano una risorsa cui riservare grande attenzione. Perciò, è importante evitare la provvisorietà legata alla figura del giudice onorario, in quanto essa non consente una preparazione, una programmazione di vita, una specializzazione in certi settori. Nel colloquio con il ministro ho compreso che lo studio che sta portando avanti, più che a giungere ad una soppressione o ad un accorpamento dei tribunali, mira a una maggiore collaborazione con gli enti locali, che possano in un certo senso sobbarcarsi alcune spese. Sarebbe molto utile arrivare a questo proprio nell'ottica di una celerità della giustizia e di una risposta alle domande dei cittadini.
Vi sono altri aspetti della relazione del ministro sui quali intendo soffermarmi. Si è parlato di utilizzo del decreto-legge - il collega Laurini lo ha citato come intervento «a gamba tesa» nei confronti dell'avvocatura e delle professioni - e si è forse verificato uno scavalcamento delle competenze del ministro attraverso il decreto-legge Bersani. Debbo dire che è mancata completamente la concertazione. La riforma, però, non è tutta da respingere: sicuramente sarà oggetto di un'ampia riflessione, che probabilmente avrebbe dovuto essere attuata in precedenza, attraverso una forma di concertazione. Ci troviamo in condizione di farlo oggi e sicuramente lo faremo in questa Commissione.
Per quanto concerne le tematiche dell'amnistia e dell'indulto, rilanciate in seguito alla visita del ministro al carcere di Regina Coeli, non possiamo svincolare questi aspetti dalla situazione carceraria. Nel 2005 - ho preso visione di alcuni dati - il 45 per cento dei passaggi in carcere ha riguardato cittadini stranieri. Chiedo quindi al ministro se intenda rapportarsi con il suo collega Ferrero, che mi sembra avere una concezione del rapporto con lo straniero piuttosto «estensiva». In seguito ai provvedimenti paventati dal ministro Ferrero, infatti, vi sarebbero evidentemente effetti anche in termini di giustizia.
Si parla di lavoro nelle carceri. Su una popolazione carceraria di 59-61 mila persone, 11 mila sono coloro che lavorano alle dipendenze dell'amministrazione carceraria, ma questa forma di impiego non rappresenta una rieducazione ai fini di un reinserimento nella società. Solo poco più di 2 mila persone, compresi i semiliberi, lavorano al servizio di ditte esterne. Questo, secondo me, è un aspetto sul quale lavorare, e che induce a nutrire qualche riserva su un provvedimento di clemenza disorganico rispetto ad altri.
Bisogna operare in un contesto più generale, che non si limiti a riordinare le carceri per un certo periodo e a tamponare semplicemente la situazione. Sono convinto che si possa dialogare, ma sarà anche necessario, almeno per quel che riguarda le competenze di questa Commissione, stipulare con il ministro una sorta di patto. Tale patto deve essere legato a un'attività di concertazione politica, in grado di evitare provvedimenti legislativi come quello che il suo collega Bersani ha posto in essere senza un'analisi preventiva, senza una preventiva concertazione con le forze politiche e le categorie.

BRUNO CESARIO. Anch'io mi attengo alla relazione del ministro e, come sottolineato dal nostro capogruppo Maran, rilevo finalmente serenità nell'ambiente. Inizia,


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dunque, un confronto privo di tensioni ed esorto l'onorevole Cirielli a concedere tempo al ministro per portare a compimento quanto scritto nella relazione. Non possiamo pensare di risolvere tutto questa mattina, oppure nelle audizioni precedenti, perché il ministro sta ascoltando, sta ricevendo delle indicazioni e dei suggerimenti, ma deve avere anche il tempo per poter operare. Non si può risolvere tutto in una giornata.
Abbiamo una situazione molto difficile e desidero segnalare la situazione spinosa, evidente, non solo nel settore della giustizia civile. Mi riferisco, in particolare, a tribunali di frontiera, o a situazioni dove esistono strutture enormi (come Napoli), nelle quali - come evidenzia anche la relazione - mancano persino i soldi per le fotocopie. Sono avvocato e in queste situazioni mi sono purtroppo trovato più volte. Abbiamo serie difficoltà, per cui, prima di fare opere e impianti di grossa portata, sarebbe meglio portare a regime l'esistente, evitando di progettare cattedrali infinite che non possono essere valorizzate per la loro dimensione. Chiediamo al ministro di affrontare anche delle questioni semplici. Più che pensare a grandi programmi, pensiamo a quello che è attualmente esistente: cerchiamo di far funzionare le cose e di motivare meglio - come è evidenziato nella relazione - gli operatori del settore, che, ricordo, non sono solo i dipendenti del Ministero. Colgo qui l'occasione per segnalare che attualmente nel settore della giustizia ci avvaliamo di molte ditte private che hanno le varie scadenze delle gare di appalto. Ebbene, in queste ditte, lavorano da anni migliaia di operatori che vengono sballottati da una ditta all'altra e spesso finiscono per perdere il posto di lavoro. Poiché queste persone svolgono un delicato lavoro di sicurezza e di trasparenza, noi chiediamo che vengano tutelate e siano poste in essere le condizioni di sicurezza del loro posto di lavoro, proprio in virtù del ruolo che svolgono e che impedisce un continuo cambiamento di operatori in un settore delicato, quale quello dei servizi informatici e simili. Questa è un'attenzione particolare che chiedo al ministro.
Vengo alla questione delle carceri, di cui si è discusso in Commissione. Personalmente ritengo che debba essere portata subito avanti, indipendentemente dall'indulto. Sottolineo, infatti, che l'indulto risolve una parte del problema, ma il problema vero rimane l'umanizzazione, ciò che accade in carcere. Un paese civile ha il dovere di caratterizzarsi assegnando una pena a chi ha sbagliato, ma concedendogli anche la possibilità di espiarla in maniera dignitosa.
Per quanto riguarda la tematica delle intercettazioni, ormai l'interesse a intervenire in materia è condiviso da tutti, quindi adoperiamoci affinché questo provvedimento arrivi ad essere discusso in Assemblea in maniera prioritaria e l'Italia smetta di sentirsi un paese sotto osservazione in materia di violazione della privacy, ma sia un paese libero. Inutile ricordarvi come molti si sentano preoccupati e sorvegliati. Noi siamo democratici e vogliamo che questo sistema nel nostro paese goda della tutela e delle regole che gli italiani meritano.
Infine, tutte le riforme vengono realizzate - come sottolineava il ministro - con le risorse. Per la parte che ci riguarda, in qualità di parlamentari del centrosinistra e dell'Ulivo, dobbiamo fare in modo che il ministro abbia la possibilità di usufruire di risorse maggiori, perché il tema della giustizia non è un tema secondario. Se il 90 per cento degli italiani è sfiduciato nei confronti di questo settore, se ci sono 2 milioni di processi pendenti, abbiamo il dovere di investire in questo settore. Dobbiamo cercare le risorse, ma allo stesso tempo dobbiamo fare in modo che tali risorse vengano spese bene. Siamo preoccupati quando constatiamo che 370 milioni di euro vengono utilizzati per le intercettazioni mentre mancano i fondi per pagare gli stenotipisti, o la carta per le fotocopie. Il ministro ha tracciato la strada giusta; la Commissione, per quanto ci riguarda, sosterrà queste iniziative. Diamogli il tempo di integrare quello che ha


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scritto con proposte più articolate e specifiche. Siamo certi che questa collaborazione reciproca darà frutti positivi.

PAOLO GAMBESCIA. Ringrazio il ministro per il tempo che ci sta dedicando e per la relazione. Ovviamente è impossibile cogliere tutti gli spunti presenti nella relazione, che sono numerosissimi. Centrerò, pertanto, l'attenzione su due aspetti in particolare. Il primo aspetto riguarda una considerazione, che viene solo marginalmente colta nei discorsi svolti intorno alla giustizia. La giustizia non è solo un servizio: farla funzionare significa dare una mano all'economia. L'onorevole Bongiorno ha dei clienti imprenditori che affermano di non investire nel nostro paese perché non sanno se eventuali debiti sarebbero loro pagati. Potremmo aggiungere che molti non investono in alcune zone d'Italia perché non sanno se la tutela che lo Stato assicura all'iniziativa economica sia tale da garantire il risultato. Questo aspetto, ovviamente, allarga il discorso: non si tratta solamente di un problema di giustizia tardiva, ma di un problema di prevenzione. Credo che in questa legislatura si debba rafforzare ed ampliare il rapporto tra il Ministero della giustizia e il Ministero dell'interno, perché quello che non si prevede prima, ricade poi e pesa sull'amministrazione della giustizia. Questo è un dato fondamentale.
A questo discorso è collegato il tema delle professioni. Ho ascoltato molte critiche al decreto Bersani. In questa Commissione c'è una proposta, che discuteremo, in merito alla riforma dell'accesso alle professioni. Ebbene, credo che sia un tema che il ministro Bersani ha fatto bene a porre, forse scavalcando il ministro Mastella (aspetto non decisivo, perché poi nella mediazione politica si trovano tutte le soluzioni). Al di là delle critiche, mi sembra però che siamo tutti d'accordo sulla necessità di affrontare questo tema, vedremo se in sede parlamentare, o con un'iniziativa del Governo. Se non lo affrontiamo, è inutile parlare, dal punto di vista della nostra competenza, di giustizia che deve funzionare, di ruolo degli avvocati, di snellimento delle procedure di accesso alle professioni, di adeguamento delle professioni a un mondo che cambia e ad una Europa che lo esige, a una condizione di sviluppo economico che impone di agire con celerità e competenza.
Il sottosegretario Scotti sa benissimo che il problema del rapporto fra la stampa e l'amministrazione della giustizia non mi preme certo solo a partire da oggi (in un momento in cui tutti se ne interessano). Già 25 anni fa, quando nessuno ne parlava, avevo previsto quello che sarebbe successo, in quanto la degenerazione è stata progressiva. Vede, ministro, io sono figlio di un avvocato e ho vissuto la mia infanzia e la mia gioventù in provincia. Nel paese dove ho studiato fino al liceo, i magistrati camminavano su un marciapiede diverso da quello sul quale camminavano gli avvocati. Gli avvocati salutavano i magistrati togliendosi il cappello da marciapiede a marciapiede. Non auspico certo un ritorno ai tempi nei quali non si poteva giocare nel giardino della casa del magistrato perché stava scrivendo le sentenze, ma voglio dire che deve essere evidente la divisione, non la separatezza, tra la delicata funzione del giudicare - personalmente, non sono diventato magistrato perché non mi sentivo e non mi sento in grado di giudicare - e quello che le sta intorno. In Italia, si è creato un circolo perverso che lei, ministro, spero insieme a noi, deve interrompere. Esistono magistrati che sono diventati noti, e qualche volta hanno fatto carriera, grazie a un rapporto privilegiato con i giornalisti, ed esistono giornalisti che hanno fatto carriera, e sono diventati noti, in virtù di un rapporto privilegiato con i magistrati. Questo è inaccettabile! Nei congressi dei magistrati, nelle periodiche riunioni degli ordini professionali dei giornalisti, l'ho ribadito più volte: bisogna interrompere questo circolo vizioso! L'uso delle intercettazioni è solo una manifestazione del problema, perché prima non c'erano le intercettazioni, o almeno non in questa misura e non divulgate - tornerò dopo sull'argomento -, ma c'erano gli atti giudiziari, c'erano i documenti sequestrati,


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c'erano i riassunti degli interrogatori. Non è possibile continuare in questo modo: i giornalisti devono fare i giornalisti, e reperire quante più notizie possibili, ma i magistrati devono fare i magistrati. Non penso neanche che si tratti di prevedere delle sanzioni, perché, per quanto riguarda i giornalisti, possono esserci motivi e risultati addirittura prevalenti al rischio sanzionatorio. Penso che sia proprio una questione di organizzazione degli uffici, di responsabilizzazione e di un atteggiamento - parlo da ex giornalista - che i giornalisti devono assumere per smettere di essere semplicemente «buche delle lettere». Bisogna riflettere, infatti, sull'opportunità di pubblicare una intercettazione che non si capisce quando sia stata fatta, né a cosa serva rispetto al processo, perché si ignora cosa ci fosse prima e cosa dopo. Questo non significa eliminare le intercettazioni, che, quando servono, devono essere fatte. Ma poi queste arrivano ai giornali - perché, sia chiaro, esse arrivano ai giornali, non vengono rubate dai giornalisti - e le si pubblica. Mi spiace dirlo, ma alcuni direttori si comportano veramente come se fossero buche delle lettere, senza valutare il contenuto dell'intercettazione, senza sapere se sia rilevante ai fini dell'ipotesi di reato, se riguardi veramente gli imputati. Il problema delle intercettazioni telefoniche riguarda il modo con cui in Italia si conducono le inchieste. Questa è la conseguenza di una stagione che ha travolto - ed è un discorso anche professionale - il modo classico e normale di condurre le inchieste, secondo il quale si individua un reato, si individua un possibile colpevole, si accerta se ha delle possibili responsabilità. L'onorevole Bongiorno parlava di indagini a rete, di intercettazioni a rete, ma il problema è un altro. Il problema è che oggi (per la verità da qualche decennio) le inchieste sono condotte in modo molto semplice (e non parlo soltanto delle inchieste di Tangentopoli o di quelle sulla grande criminalità). Persino se ascoltassi lei, signor ministro, troverei spunti per fare delle inchieste (in questo concordo con l'onorevole Bongiorno)! Dopodiché, un nome da lei pronunciato diventerebbe importante, e l'accertamento verrebbe compiuto seguendo la logica per cui la persona viene fermata e messa in prigione, in attesa che confermi qualcosa di quanto sentito nell'intercettazione telefonica. A quel punto, l'inchiesta sarebbe finita. È la prosecuzione della logica del pentito: si trattava, al massimo, di andare a cercare conferma di una cosa affermata dal pentito, al massimo - ribadisco - con le sentenze della Cassazione che è sufficiente siano incrociate. Ma le inchieste giudiziarie non si conducono in questo modo. Per fare le inchieste vere occorrono agenti di polizia giudiziaria che sappiano fare il loro mestiere, un diverso modo da parte dei magistrati di recepire il contenuto delle indagini, un rapporto con l'opinione pubblica non improntato sulla ricerca della notorietà. L'ho detto e lo ripeto: la maggioranza dei magistrati lavora bene. Ci sono, però, alcuni magistrati che ritengono che, se la loro foto compare sul giornale e il loro nome viene ripetuto dieci volte, diventano graditi, accettati dalla collettività come salvatori della patria.
Lei, ministro, ha un compito prioritario, secondo me: ricondurre alla dimensione corretta le attività degli inquirenti, dei giudicanti, della stampa. Bisogna ritornare ad essere più seri. Capisco che qualche volta, in questo paese, sia difficile essere seri, però bisogna essere tali, perché altrimenti questo processo finirà per travolgere tutto. In virtù del clima che si è instaurato, credo che, in questa Commissione, lei troverà veramente le condizioni adatte per stabilire un rapporto al fine di discutere (ciascuno secondo le proprie competenze) seriamente di questi e di altri aspetti, secondo me primari, anche per infondere nuovamente serenità nell'opinione pubblica rispetto all'amministrazione della giustizia.
La gente deve sapere che il giudice può sbagliare, ma che, se accade, lo fa in buona fede, e non dopo un percorso diverso da quello legato a una sana amministrazione della giustizia.

PRESIDENTE. Informo i colleghi che, a causa dei concomitanti lavori assembleari,


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non sarà possibile concludere l'audizione nel corso della giornata odierna. Ne dovremo rinviare il seguito alla settimana prossima, compatibilmente con gli impegni del ministro, che ringrazio ancora per la disponibilità.

CLEMENTE MASTELLA, Ministro della giustizia. Mi permetta di intervenire brevemente, presidente. Visto il clima, desidero annunciare sin da ora, proprio in Commissione, che al prossimo Consiglio dei ministri presenterò un disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche, giacché non ho intenzione di fermarmi. Lo affermo dopo le considerazioni espresse, in questa sede, da tutti i gruppi, fatto che avvalora la mia tesi.
Debbo anche chiedervi collaborazione, ricordandovi che si tratta, evidentemente, di un disegno di legge aperto, sul piano dell'apporto parlamentare, perché non ho la verità rivelata e in questa sede ho ascoltato cose di grande interesse. Visto il clima, per correttezza e in base a ciò che ho ascoltato, credo sia improcrastinabile presentare un disegno di legge al riguardo. Dopodiché, si deciderà di modulare l'intervento secondo determinati criteri, e spero che questa sia l'occasione di un confronto fruttuoso, visto il modo in cui state lavorando in altri campi.
Tenevo a precisare questo per ragioni di correttezza nei vostri confronti, con l'auspicio che la prossima settimana vi siano le condizioni per proseguire l'audizione - sarò chiamato, in quei giorni, ad onorare un impegno familiare di cui il presidente è a conoscenza - e concluderla con la mia replica.

PRESIDENTE. Nel ringraziare ancora il ministro per la disponibilità manifestata, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 10,10.