COMMISSIONI RIUNITE (II E IV)
II (GIUSTIZIA) E IV (DIFESA)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 15 gennaio 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA IV COMMISSIONE
ROBERTA PINOTTI

La seduta comincia alle 11,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, Gianfrancesco Siazzu, nell'ambito dell'esame della proposta di legge C. 2098 Pinotti, recante «Riforma del codice penale militare di pace».

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143 comma 2 del Regolamento, l'audizione del Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, Gianfrancesco Siazzu, nell'ambito dell'esame della proposta di legge C. 2098 Pinotti, recante «Riforma del codice penale militare di pace».
Saluto i componenti della Commissione difesa e quelli della Commissione giustizia, oggi nostri ospiti. Porgo inoltre i saluti al comandante dell'Arma dei carabinieri, generale Siazzu, anche a nome del presidente della II Commissione, Pisicchio, che si scusa per la sua assenza.
Il generale ha accolto il nostro invito per l'audizione e ci accingiamo ad ascoltarlo con attenzione ed interesse su un tema importante che le Commissioni difesa e giustizia, in sede congiunta, si apprestano a trattare, ovvero la riforma del codice penale militare di pace. Tale argomento è stato già preso in considerazione nel corso della scorsa legislatura senza che tale revisione giungesse ad esiti concreti. Sappiamo che vi è attesa da parte di chi opera nelle Forze armate e nel settore per la revisione di alcune questioni ritenute importanti che hanno ricadute concrete nel funzionamento e nella vita quotidiana dell'attività dell'Arma. Ovviamente, nell'adempiere al nostro compito di legislatori, vogliamo tenere presente tutti gli aspetti e capire tutte le eventuali ricadute che le proposte di modifica possono comportare.
Prima darle la parola, signor generale, porgo a lei e ai membri delle Commissioni gli auguri per la ripresa dei lavori.

GIANFRANCESCO SIAZZU, Comandante generale dell'Arma dei carabinieri. Ringrazio per la loro presenza gli onorevoli deputati e per gli auguri, non tanto rivolti a me, quanto alla mia istituzione, che ne ha bisogno in modo particolare per operare sempre al meglio. Mi è gradito, innanzitutto, rivolgere un cordiale saluto, a nome mio personale e di tutta l'Arma dei carabinieri, nonché esprimere il mio sentito ringraziamento per l'invito ricevuto e per l'opportunità offertami di fornire alcuni spunti di riflessione sull'oramai tanto attesa riforma del codice penale militare di pace.
Il mio intervento si articolerà in tre parti: inizialmente accennerò alla trasformazione dello strumento militare nel suo complesso; successivamente cercherò di sintetizzare le ragioni che stanno alla base di una revisione della legislazione penale militare, non più rinviabile; infine, mi soffermerò brevemente su alcuni aspetti


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peculiari del progetto di legge in esame, che reputo possano essere meritevoli di particolare considerazione e di un'eventuale approfondimento.
Con riferimento alla trasformazione dello strumento militare, ritengo opportuno innanzitutto sottolineare che le Forze armate dei nostri giorni sono composte da uomini e donne che possiedono un elevato livello di competenza e di specializzazione, che manifestano una forte motivazione sul piano professionale e che sono consapevoli dell'utilità sociale del proprio ruolo. In un contesto di radicale mutamento dello scenario della sicurezza, la società civile è sempre più attenta e vicina alla compagine militare. Ne è stata prova il grande attestato di solidarietà del popolo italiano in occasione dei diversi attentati subiti dai nostri militari impegnati nelle missioni di pace all'estero, tra cui voglio ricordare in particolare la strage di Nassiriya del novembre 2003 che ha colpito particolarmente al cuore l'Arma dei carabinieri.
Nel corso degli ultimi dieci anni siamo stati testimoni di profonde riforme strutturali, fra le quali la sospensione della leva obbligatoria e il passaggio al modello professionale. La rapida trasformazione dello strumento militare, però, non è stata sostenuta dagli indispensabili adeguamenti del contesto normativo di riferimento. Mi riferisco in particolare alla legislazione penale militare risalente al 1941. I disorganici e sporadici interventi modificativi del codice penale militare di pace e le numerose pronunce della Corte costituzionale, infatti, hanno inciso sulla coerenza unitaria che il codice aveva nell'originaria formulazione. Inoltre, il mutato scenario operativo, che prevede sempre più frequentemente l'impegno delle Forze armate in interventi militari al di fuori dei confini nazionali, in contesti nei quali il personale opera al limite del conflitto armato, ha confermato l'inadeguatezza della normativa vigente a rispondere alle nuove esigenze di impiego dei nostri militari. Mi riferisco, ad esempio, alle operazioni di gestione delle situazioni di crisi nelle quali l'Arma dei carabinieri è impegnata, com'è noto, in altre parti del Medio Oriente, dell'Africa e dell'Asia, in particolare con unità di notevole rilevanza, come le multinational specialized unit in Bosnia (recentemente trasformate in EGF, cioè unità formate da reparti delle gendarmerie italiana e francese) e le integrated police unit (IPU) in Kosovo.
Alla luce dello scenario, sinora brevemente delineato, emerge con chiarezza come la proposta di riforma della legislazione penale militare all'esame delle Commissioni centri l'obiettivo di una completa e definitiva archiviazione della vigente codificazione, sostituendola con un'agile legge speciale che trova fondamento nella peculiarità della compagine e dell'attività militare in una prospettiva di piena complementarietà ed accessorietà. La legge delega offre gli strumenti idonei ad armonizzare la normativa penale militare con lo spirito dell'ordinamento repubblicano, con i valori prevalenti nella cultura giuridica italiana e con i nuovi scenari geopolitici sviluppatisi sul piano internazionale. In tale ottica sono certamente da condividere, da un lato il superamento delle fattispecie criminose, non più rispondenti al criterio della sanzione penale come rimedio estremo, e dall'altro la necessità di calibrare in maniera più attenta le pene edittali previste per le singole figure di reato che il legislatore vorrà mantenere, se già esistenti, ovvero inserire, qualora non ancora previste.
In merito ai contenuti specifici della riforma, ritengo prioritario colmare l'attuale vuoto normativo concernente le operazioni internazionali. L'esperienza maturata ha infatti evidenziato che il vigente corpo normativo codicistico è sostanzialmente inadeguato a garantire, insieme al buon funzionamento delle Forze armate, la tutela delle libertà fondamentali costituzionali e la protezione dei diritti inviolabili dell'uomo, compresi quelli del cittadino militare, soprattutto nelle missioni internazionali che si collocano in una posizione intermedia tra lo stato di guerra e lo stato di pace. Tali situazioni comportano per il personale impiegato all'estero, da un lato il necessario rispetto delle regole internazionali sulle modalità dell'uso


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della forza militare e, dall'altro, un particolare impegno nell'osservare i propri doveri in contesti in cui prevalgono la delicatezza e la pericolosità delle missioni.
Un aspetto talvolta controverso riguarda la carenza di una disciplina organica concernente la repressione delle violazioni al diritto internazionale umanitario. Nella proposta di legge ho apprezzato in modo specifico l'attenzione riservata al rispetto delle garanzie e dei diritti del militare indagato, soprattutto in tema di libertà personale, e l'adeguamento ai precetti fondamentali delle convenzioni internazionali in materia di diritto umanitario bellico. Il progetto di riforma è pienamente in linea con gli standard internazionali richiesti in materia di rispetto dei diritti fondamentali da parte delle Forze armate e di polizia impiegate dall'estero. Mi riferisco in particolare al codice di condotta relativo agli aspetti politico-militari della sicurezza dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), al codice europeo di etica per la polizia del Consiglio d'Europa e al codice di condotta delle Nazioni Unite per le forze dell'ordine, che oggi costituiscono documenti di riferimento a livello internazionale per vigilare sul rispetto dei diritti umani nelle attività di polizia.
In tale contesto l'Arma dei carabinieri ha sviluppato, sia in Italia che all'estero, il perfezionamento delle procedure volte alla tutela dei cosiddetti soggetti deboli e dei loro diritti fondamentali, ritenendole parte integrante dell'azione di una moderna forza armata con compiti di polizia. In particolare sono stati adeguati i procedimenti d'azione per i militari dell'Arma nel servizio di istituto ed è stato costituito uno specifico modulo per i corsi della scuola ufficiali dei carabinieri in materia di tutela dei diritti umani. Sul piano internazionale, inoltre, l'Arma ha aderito a numerosi programmi cofinanziati dall'Unione europea o da altre organizzazioni internazionali per l'addestramento di forze di polizia estere sulla promozione dei diritti umani e sulla tutela delle vittime vulnerabili (lavoratori vittime dello sfruttamento sessuale, minori). In partenariato con la Guardia civile spagnola l'istituzione si è aggiudicata uno specifico progetto di gemellaggio, finalizzato alla formazione della gendarmeria della Turchia in materia di tutela dei diritti umani nelle attività di polizia. Abbiamo già un ufficiale distaccato in via stabile in Turchia appunto per avviare questi corsi, finalizzati alla formazione della gendarmeria turca.
Tornando alla riforma legislativa in argomento, desidero evidenziare che la normativa introduce nuovi e qualificanti princìpi indirizzati alla piena tutela della persona del militare. Tra questi elementi il nuovo codice penale militare di pace introduce la querela quale condizione di procedibilità per alcuni reati in analogia al codice penale ordinario, apprestando per la protezione dei diritti dei militari un'ulteriore tutela che affianca la già vigente richiesta di procedimento del comandante di corpo.
Non appare infatti più giustificato che per reati come percosse, ingiuria, minaccia non aggravata o lesioni personali lievissime si possa continuare a prescindere dall'atteggiamento della persona offesa ai fini della procedibilità, con evidente ostacolo all'effettivo riconoscimento dei diritti fondamentali della persona con status militare.
Come è correttamente individuato nei criteri direttivi della delega, i reati commessi contro un appartenente alle Forze armate non offendono solo ed esclusivamente gli interessi militari e quindi appare ragionevole che la perseguibilità di tali fattispecie criminose non sia affidata esclusivamente alla discrezionalità del comandante di corpo. A quest'ultimo continua ad essere legittimamente attribuito il potere di valutare la rilevanza degli interessi militari lesi dalla condotta delittuosa, mentre la stima dell'importanza degli interessi attinenti a beni propri della persona viene demandata con la querela all'autonoma e irrevocabile decisione della parte lesa di perseguire il colpevole.
Una particolare menzione merita il fenomeno del «nonnismo». Ritengo doveroso osservare preliminarmente che la riforma dello strumento militare, realizzata


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dal legislatore nel corso degli ultimi anni, ha già contribuito in modo significativo al miglioramento delle condizioni di vita nelle caserme e, in particolare, al sostanziale sradicamento di fenomeni patologici quale appunto il «nonnismo». Ciò non toglie che, anche a fronte del progressivo declino del fenomeno, sia da condividere la prospettata soluzione normativa di prevederne la punibilità con l'introduzione di una circostanza aggravante specifica dei reati contro la persona, senza caratterizzare la condotta criminosa come una nuova e autonoma fattispecie delittuosa. Alla ferma individuazione di strumenti repressivi del fenomeno, inoltre, dovrà continuare a corrispondere l'avvertita necessità di interventi di carattere preventivo quali quelli intrapresi dallo Stato maggiore della difesa e pienamente condivisi dal Comando generale dell'Arma, diretti a circoscrivere e debellare gli episodi di nonnismo attraverso l'adozione di iniziative finalizzate a fornire una sempre più ampia informazione sul fenomeno, ad intensificare le attività di controllo nelle strutture militari e ad assicurare una costante opera educativa da parte dei comandanti.
Posso affermare che nell'Arma dei carabinieri non si registra alcun caso di «nonnismo». Si tratta di un risultato conseguito con interventi che partono dalla coltivazione di una forte coscienza civica in quanti nelle scuole dell'Arma si apprestano alla carriera militare nei vari ruoli. Alla specifica azione formativa si associa da sempre la peculiarità del servizio prestato dal carabiniere informato al rigoroso rispetto e alla tutela dei diritti dei singoli. La recente introduzione della presenza femminile ha poi costituito stimolo per sottolineare ulteriormente i profili etici delle delicate funzioni attribuite ai nostri militari e delle stesse relazioni interne.
Signora presidente, onorevoli deputati, vorrei dedicare ora alcune riflessioni ad una tematica di particolare rilievo istituzionale per l'Arma. Come noto, la legge affida ai Carabinieri in via esclusiva le funzioni di polizia militare che si sostanziano in un insieme di compiti tesi ad assicurare il rispetto delle leggi, dei regolamenti e delle disposizioni dell'autorità militare nonché a garantire le condizioni generali di ordine e sicurezza delle Forze armate, sia sul territorio nazionale sia all'estero. L'Arma assolve tali compiti impiegando oltre 2.100 unità. Per l'estero in merito a queste funzioni vengono fatti anche dei corsi speciali prima dell'invio di unità di personale specificatamente dedicate alla particolare funzione per l'Esercito, la Marina e l'Aeronautica. A tali unità si affiancano tutti i reparti territoriali che, a richiesta o di iniziativa, offrono il loro contributo all'espletamento degli speciali compiti. In tale contesto assume particolare rilevanza l'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria militare, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 297 del 2000, riguardante le norme sul riordino dell'Arma dei carabinieri secondo le disposizioni e le dipendenze sancite nei codici penali militari.
L'attività di polizia giudiziaria militare viene svolta alle dirette dipendenze della competente autorità giudiziaria militare con il fine di acquisire cognizione dei reati militari, impedire che siano portati a ulteriori conseguenze, ricercare i colpevoli, assicurare le fonti di prova, raccogliere quant'altro possa servire all'applicazione della legge penale militare, eseguire misure restrittive della libertà personale e garantire l'assistenza ai dibattimenti nei tribunali militari. Al riguardo ritengo opportuno evidenziare che, a differenza delle funzioni di polizia militare, affidate in via esclusiva all'Arma dei carabinieri, quelle di polizia giudiziaria militare possono essere esercitate dall'istituzione, in concorso con altri soggetti indicati dall'articolo 301 del vigente codice penale militare di pace.
È infatti previsto che tali funzioni siano svolte dai comandanti di corpo, di distaccamento o di posto delle varie Forze armate, dagli ufficiali e sottufficiali dei Carabinieri nonché dagli altri ufficiali di polizia giudiziaria, individuati dal codice di procedura penale, comprendendo quindi il personale della Guardia di finanza e non escludendo le altre forze di


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polizia, attualmente civili e all'epoca militari, come la Polizia di Stato. È evidente che la ratio della norma, giustificata dall'applicazione della legge penale militare anche agli appartenenti «ai corpi civili militarmente ordinati» (articolo 10 del codice penale militare di pace), cioè al Corpo degli agenti di pubblica sicurezza, al Corpo degli agenti di custodia ed alla Milizia nazionale forestale, deve necessariamente ritenersi superata, a seguito della loro trasformazione in Forze di polizia ad ordinamento civile. Conseguentemente si dovrà prevedere l'esclusione delle funzioni di polizia giudiziaria militare in capo a personale non militare.
Sotto questo aspetto, tra i princìpi della delega, è opportuno che l'enunciato del n. 128) dell'articolo 2 della proposta di legge sia armonizzato con il decreto legislativo n. 297 del 2000, relativo alla legge di riordino dell'Arma, sostituendo la norma storicamente superata con una nuova disposizione che tenga conto esclusivamente delle funzioni di polizia giudiziaria militare riconosciute all'Arma dei carabinieri, ferme restando, ovviamente, le specifiche attribuzioni oggi riconosciute ai comandanti di corpo.
Altro aspetto che vorrei segnalare è l'assenza nel codice penale militare di pace vigente della figura dell'agente di polizia giudiziaria militare. Nell'ambito dell'ordinamento penale militare non viene contemplata (come nel codice di procedura penale ordinario) l'esistenza di quel soggetto che, sebbene con poteri limitati, concorre alle funzioni informative ed investigative, assicurando in ogni circostanza le fonti di prova. Mancando tale previsione, gli appuntati ed i carabinieri assolvono esclusivamente attività meramente esecutive, mentre svolgono i normali compiti di polizia giudiziaria qualora si configurino reati comuni autonomi o connessi con quelli militari. In sostanza, il carabiniere è agente di polizia giudiziaria per reati comuni, mentre non lo è per quelli militari. Si tratta a nostro avviso di un controsenso. Ritengo auspicabile, quindi, che possa essere introdotta nel procedimento penale militare la figura dell'agente di polizia giudiziaria militare, per consentire anche agli appuntati ed ai carabinieri l'esercizio delle medesime funzioni loro attribuite dalle norme di diritto processuale penale ordinario.
Sempre restando in argomento, nell'ambito dei compiti di prevenzione e di repressione di reati militari commessi in Italia e all'estero, l'Arma dei carabinieri registra una sostanziale riduzione delle attività nel campo della giurisdizione penale militare, da ricondurre, prioritariamente, al nuovo modello dello strumento militare conseguente alla sospensione della leva.
L'attuale realtà delle Forze armate italiane è caratterizzata, infatti, dall'esistenza di condizioni capaci di assicurare un elevatissimo rispetto della legalità, soprattutto se si tiene conto del qualificato livello di preparazione delle risorse umane, oggi maggiormente motivate dalla piena consapevolezza del proprio ruolo e dalla responsabile condivisione dei princìpi fondamentali che regolano la compagine militare. In particolare, dal 2005 ad oggi, l'Arma dei carabinieri ha perseguito circa 2.000 reati militari e, con la sospensione della leva obbligatoria (come era prevedibile), ha registrato la sostanziale anemizzazione di alcuni reati, come la diserzione, con un notevole decremento dei delitti di simulata e procurata infermità.
Vorrei dedicare l'ultima parte del mio intervento ad una rapida disamina di alcuni aspetti contenuti nel progetto di legge, che credo meritevoli di attenzione. L'articolo 52, comma 3, della Costituzione sancisce che l'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica. In tale quadro, il nuovo codice penale militare di pace prevede l'abrogazione delle fattispecie incriminatrici non più attuali, lambite da rilievi di incostituzionalità o tacitamente abrogate ovvero sprovviste di offensività sufficiente a giustificarne la rilevanza sul piano penale. Cito, fra tutte, la prevista abrogazione della fattispecie colposa del reato di danneggiamento di beni mobili militari, che trova più appropriata punibilità nella sede disciplinare, coerentemente con le


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previsioni del codice penale ordinario che punisce il delitto di danneggiamento solo a titolo di dolo. Peraltro, l'ipotizzata abolizione consentirebbe di rimuovere anche l'attuale incongruenza normativa, in base alla quale è oggi ammessa la punibilità a titolo di colpa del danneggiamento di cose mobili militari, mentre analoga imputazione non è prevista per il danneggiamento di oggetti d'armamento, a sua volta punito solo a titolo doloso. In sostanza, se un militare è coinvolto in incidente stradale, si può stabilire e verificare se ciò avvenga per colpa o per dolo della sua condotta. Invece, se danneggia un oggetto di armamento non può essere punito a meno che non si verifichi che il danno è stato commesso a titolo di dolo e non per colpa. Può capitare, ad esempio, che un'arma cada fortuitamente e che si rovini. In quel caso il militare responsabile non viene punito e tale eventualità si verifica soltanto se nel danneggiamento vi sia stato dolo. Non esiste quindi l'alternativa dell'ipotesi colposa.
In tale contesto, è essenziale prevedere che le condotte, oggi qualificate come illeciti penali, ma domani sottratte alla giustizia militare, vengano espressamente ricondotte alla sfera di tutela disciplinare, attraverso mirati interventi normativi, correttivi ed integrativi della legge n. 382 del 1978 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 545 del 1986 (regolamento di disciplina militare).
Un'ultima considerazione va fatta sulla proposta modifica del reato di disobbedienza, riguardo all'esclusione della punibilità del militare che, dopo aver dichiarato di non voler eseguire l'ordine impartito dal superiore, comunque lo esegue quando è stato confermato. In merito, ritengo che la disposizione non si armonizzi pienamente con il dovere assoluto di obbedienza, sancito dal regolamento di disciplina militare. Com'è noto, infatti, l'obbedienza (così recita l'articolo 5 del regolamento) consiste nell'esecuzione «pronta», oltre che rispettosa e leale, degli ordini attinenti al servizio e alla disciplina, in conformità al giuramento prestato. Il carattere vincolante dell'ordine, che costituisce l'essenza del sistema gerarchico militare, trova unica giusta eccezione nell'ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato, ovvero nel fatto che la sua esecuzione costituisca palesemente reato.
Il delitto in argomento deve, a mio avviso, essere rivolto alla rigorosa tutela del corretto funzionamento dell'apparato militare, facendo salvo il solo ed esclusivo caso in cui, ricorrendone il carattere intrinsecamente criminoso, nasce in capo al militare il diritto-dovere di opporvi rifiuto e di non eseguirlo. In tale quadro, sembra più opportuno circoscrivere la non punibilità del ritardo nell'esecuzione di un ordine alla sola circostanza prevista dall'articolo 25, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 545 del 1986 (regolamento di disciplina), in base alla quale il militare cui venga dato un ordine ritenuto non conforme alle norme in vigore - ferme restando le eccezioni sopra ricordate - ha il «dovere» di farlo presente a chi lo ha impartito dichiarando le ragioni, con spirito di leale e fattiva partecipazione, e provvedendo ad eseguirlo quando l'ordine viene confermato, se palesemente non si tratta di reato o rivolto contro le istituzioni.
Signora presidente, onorevoli deputati, concludo osservando che vi è grande attesa per l'emanazione del nuovo codice penale militare di pace. La riforma codicistica rappresenterà sicuramente uno strumento normativo innovativo, ordinato, coerente con i princìpi costituzionali e, in particolare, caratterizzato da una chiara e snella esposizione delle singole fattispecie, in modo da agevolare la comprensione degli elementi costitutivi dei reati ed esercitare, anche per questa ragione, una positiva funzione di prevenzione.
Ringrazio e resto a disposizione per eventuali chiarimenti.

PRESIDENTE. Sono io a ringraziarla per il giudizio complessivamente positivo dato sulla proposta di legge che stiamo discutendo. Ha anche sottolineato l'attesa per questo provvedimento; quindi la discussione in atto non sarà particolarmente


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seguita dai media, ma è comunque importante per chi concretamente vive questo tipo di realtà. Inoltre, la ringrazio per aver puntualizzato una serie di questioni su cui possiamo lavorare per migliorare complessivamente il testo.
Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ENRICO BUEMI. La ringrazio, generale, per l'esposizione e chiedo se sia possibile avere il testo scritto della sua relazione.
Vorrei porre la seguente domanda, che pure attiene indirettamente all'argomento in questione. Vorrei una sua valutazione sull'esigenza o meno di mantenere il magistrato militare in applicazione al codice penale militare di pace.

PRESIDENTE. Do la parola al generale Siazzu per la replica.

GIANFRANCESCO SIAZZU, Comandante generale dell'Arma dei carabinieri. Considero questa decisione di esclusivo carattere politico e pertanto non ritengo di esprimere giudizi in merito all'opportunità di tale mantenimento, visto che tra l'altro non sono un magistrato militare né un magistrato politico.

PRESIDENTE. Onorevole Buemi, eventualmente avremo modo di parlare con i magistrati della questione.
Ringrazio di nuovo il generale, rinnovando a lui e a tutta l'Arma gli auguri per un buon 2008 e per il loro lavoro. Per quanto ci riguarda, esprimo invece l'augurio di lavorare in modo solerte e rapido su questo testo, su cui mi pare di registrare una certa attesa e quindi sarebbe bene arrivare ad una conclusione.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta comincia alle 12,10.