COMMISSIONI RIUNITE
II (GIUSTIZIA) E XII (AFFARI SOCIALI)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 20 febbraio 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA II COMMISSIONE PINO PISICCHIO

La seduta comincia alle 13,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Governo sull'intervento delle forze dell'ordine presso il Policlinico «Federico II» di Napoli in relazione all'applicazione della legge n. 194 del 1978.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni del Governo sull'intervento delle forze dell'ordine presso il Policlinico «Federico II» di Napoli in relazione all'applicazione della legge n. 194 del 1978.
Do la parola al Ministro della giustizia.

LUIGI SCOTTI, Ministro della giustizia. Signor presidente, la vicenda avvenuta a Napoli, sia per il contesto in cui si è realizzata, sia per le ulteriori conseguenze pregiudizievoli e il notevole rilievo mediatico assunto dai fatti, mi ha indotto a richiedere urgenti informazioni al fine di acclarare cosa fosse in realtà accaduto.
Non vi è dubbio, infatti, che l'attività della magistratura e delle forze dell'ordine, nel garantire la sicurezza individuale e prevenire e accertare la commissione dei reati, non possono essere disgiunte dalla primaria necessità di garantire i diritti delle persone coinvolte e la loro dignità. Tutela che deve essere ancora più attenta quando i fatti vengano a verificarsi in situazioni di profondo dramma personale, come non può non essere la scelta della interruzione della gravidanza, momento nel quale dovrebbe essere approntato il massimo sforzo per assistere e prevenire traumi ulteriori a persone già psicologicamente così provate.
Tale garanzia non può che essere ottenuta attraverso l'esercizio delle rispettive funzioni da parte di tutti gli operatori sulla base della massima professionalità, vale a dire facendo propri tutti quei requisiti di diligenza necessari al fine di prevenire che le modalità concrete e le azioni poste in essere possano comunque arrecare pregiudizio.
L'esposizione che mi accingo a fare è la risultante degli accertamenti urgenti che sono stati svolti su mia richiesta.
Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dalla procura generale della Repubblica di Napoli, la vicenda ha avuto origine da una telefonata anonima, giunta intorno alle ore 19 dell'11 febbraio 2008 alla sala operativa dei Carabinieri. Attraverso questa telefonata, si informava che, nel nuovo Policlinico, al secondo piano, stanza 207, era ricoverata una paziente che si era chiusa nel bagno del reparto, volendo partorire e, consumando, in questo modo, un infanticidio. Era questo il contenuto della telefonata.
L'operatore della sala operativa dei Carabinieri, dopo aver individuato l'utenza del telefono che aveva chiamato, ha smistato la chiamata alla sala operativa della questura di Napoli per competenza. A sua


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volta, la sala operativa ha dato la direttiva di intervenire presso il Policlinico ad agenti di due diverse pattuglie, una in borghese e una in divisa. Gli agenti sono entrati nel padiglione di ostetricia; due agenti in borghese sono saliti al secondo piano e hanno trovato la stanza 207 con la porta aperta; nella stanza, in cui vi era un'altra signora in attesa di partorire, anche la porta del bagno risultava aperta (quindi, due poliziotti in divisa sono rimasti giù e due poliziotti in borghese sono saliti nella stanza 207).
Gli agenti avevano chiesto informazioni all'infermiera, la quale aveva riferito che la Silvestri, cioè la signora di cui ci stiamo occupando, che aveva assunto farmaci secondo la prescrizione medica, aveva emesso il feto nel bagno dove si era recata per un bisogno fisiologico ed era stata portata in sala parto per essere sottoposta a raschiamento.
Il vice ispettore Lucia Santoro (uno dei due agenti in borghese, infatti, era una donna) è intervenuta, parlando con il medico del reparto, dottor Guida, e apprendendo che la paziente era stata ricoverata per essere sottoposta a una interruzione della gravidanza, ricorrendone le condizioni di legge, e che tale interruzione si era verificata secondo le modalità previste e, quindi, determinate e volute dai medici secondo il protocollo del caso.
Il vice ispettore, avendo compreso che non vi era stato nessun infanticidio e che la interruzione della gravidanza era stata portata a termine nel rispetto della legge - dice sempre la procura generale di Napoli - aveva contattato il sostituto procuratore di turno della procura della Repubblica, dottor Vittorio Russo, il quale le aveva chiesto di verbalizzare i soggetti informati dei fatti, di sentire la paziente, di acquisire copia della cartella clinica e di procedere al sequestro del feto.
Successivamente, per lo svolgimento di tali attività, l'organo operante aveva richiesto l'assistenza di altri tre agenti. In totale, quindi, abbiamo due agenti, più altri due, più altri tre. L'organo operante aveva però provveduto a sentire personalmente la paziente, che era nel frattempo tornata dalla sala operatoria, realizzando - dice la relazione - un colloquio pacato, al quale avevano assistito la madre della signora e un'altra paziente che si trovava ricoverata nella stessa stanza, come ho già detto, in attesa di partorire, assistita dalla sorella.
Al termine, l'ispettrice aveva provveduto a contattare di nuovo il dottor Russo, il sostituto di turno, comunicandogli che non era emerso nessun indizio di reato a carico di alcuno.
Nella relazione pervenuta alla prefettura di Napoli, i fatti, seppure esposti in modo analogo, contengono alcune difformità. In particolare, viene precisato che, al momento dell'intervento nel reparto di ostetricia, gli agenti intervenuti erano a conoscenza del solo letto relativo alla paziente, mentre il nome della stessa era stato individuato attraverso le informazioni fornite all'ospedale dal personale dell'ospedale stesso. Si rileva, dunque, una prima asimmetria informativa.
La identificazione del soggetto che aveva telefonato alla centrale operativa dei Carabinieri era avvenuta solo dopo che la paziente aveva fatto rientro nella stanza e che il medico di guardia aveva già confermato la regolarità dell'attività medica posta in essere. Il dottor Russo era stato contattato da altro personale della Polizia, nel frattempo intervenuto. In altre parole, si rileva l'intervento di varie pattuglie - non spiegabile adeguatamente in relazione ad un fatto che, sia pure descritto in maniera allarmistica, non avrebbe poi richiesto la partecipazione di così numerose forze di polizia - portando così a sette il numero degli agenti presenti nel padiglione di ostetricia nel corso dell'intervento. Reso edotto sui fatti, il dottor Russo aveva disposto che venissero compiuti gli accertamenti necessari, attraverso l'acquisizione delle dichiarazioni delle persone presenti, del personale sanitario e della cartella clinica, e il sequestro del feto. Sulla base di tali indicazioni, era stata escussa anche la paziente nonché sua madre. Tale è il rapporto proveniente dal Ministero dell'interno.
Dagli atti inviati in allegato al rapporto alla procura generale di Napoli emergono,


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tuttavia, altre divergenze rispetto alla ricostruzione dei fatti fornita da diversi soggetti della Polizia di Stato che erano intervenuti e ulteriori difformità - sia pure piccole divergenze, anomalie descrittive - emergono dalle dichiarazioni rilasciate dal dottor Russo.
In particolare, per quanto riguarda il contenuto della telefonata pervenuta alla centrale operativa, l'agente Nasillo, che era di turno, ha dichiarato di aver contattato tale De Vivo, dipendente dell'ospedale e titolare del numero telefonico dal quale era partita la prima telefonata e che questi aveva negato di aver parlato di infanticidio nel corso della prima conversazione, ma di essersi limitato a riferire il fatto che: «Una povera donna era stata abbandonata da tutti e partoriva da sola nella sala bagno».
Quindi esiste una grossa difformità tra la dichiarazione resa dal signore che ha preso l'iniziativa, suscitando un bel po' di pandemonio, così come raccolta in prima battuta dalla sala operativa, e, invece, le dichiarazioni che lo stesso successivamente fa. Infatti egli sposta, per così dire, l'attenzione non più su un preteso reato di infanticidio, bensì su una cattiva assistenza prestata a una signora, a una donna lasciata sola nel momento in cui era presa dalle doglie per l'aborto.
La stessa teste ha riferito che, nel corso della conversazione, il De Vivo aveva precisato che se si fossero affrettati, avrebbero trovato la donna ancora chiusa nel bagno. Tale circostanza, che modificava sostanzialmente quanto in un primo momento comunicato al personale inviato presso il nosocomio, era stata comunicata immediatamente all'agente Fioretti, cioè, all'altro agente in borghese che era entrato nel reparto insieme alla vice ispettrice Saturno. La stessa Nasillo ha inoltre evidenziato che il De Vivo, in successive dichiarazioni, avrebbe smentito quanto riferito nelle due precedenti telefonate.
Non si capisce bene se questo soggetto che telefona voglia essere protagonista, se abbia rilasciato dichiarazioni in eccesso per poi tornare indietro e quant'altro. La circostanza che non si trattasse di un'ipotesi di infanticidio risulta anche da quanto dichiarato al dottor Russo, il quale ha precisato che, a seguito della chiamata del vice ispettore Saturno, alle ore 20,30, si era limitato a chiedere di acquisire informazioni e copia della cartella clinica.
Si rileva una certa divergenza, giacché nella dichiarazione dell'ispettrice il dottor Russo avrebbe disposto di interrogare la paziente e le persone presenti, nonché il sequestro del feto, mentre il sostituto di turno dice di avere disposto l'acquisizione di informazioni, piuttosto genericamente, nonché l'acquisizione di copia della cartella clinica. Si tratta, quindi, di una posizione ridotta rispetto a quella che si attribuisce al dottor Russo da parte, invece, dell'ispettrice di polizia.
Nella relazione del 18 febbraio del 2008, lo stesso dottor Russo aveva precisato che anche la messa a disposizione del feto per successivi accertamenti medico-legali era stata - aggiunge poi - concordata con la vice ispettrice Saturno.
Sono state confermate anche le circostanze che due agenti in divisa erano rimasti sul pianerottolo antistante l'ingresso del reparto, che due agenti in borghese erano entrati nel reparto e che tre ulteriori appartenenti alla Polizia di Stato erano stati chiamati per procedere alla acquisizione di informazioni dietro richiesta del dottor Russo, tutti chiamati ad intervenire in relazione ad un fatto in cui, fin dall'inizio, non apparivano, almeno prima facie, essere presenti elementi sufficientemente univoci per l'integrazione di una fattispecie di reato.
Fra l'altro, aggiungo, che ove questa fosse apparsa di un minimo di consistenza, allora non si poteva interrogare l'interessata, perché la si sarebbe dovuta avvertire che aveva diritto ad essere assistita da un difensore. Per di più, quanto alla madre, non la si poteva interrogare, negli stessi termini, senza avvertirla della facoltà di astenersi dal testimoniare.
Ad ogni modo, è chiaro che anche la mancata applicazione di queste disposizioni convince che, fin dall'inizio, tutti si sono resi conto che non sussisteva alcuna ipotesi di reato: né infanticidio, né procurato aborto.


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È emerso, peraltro, che al momento del primo intervento, il medico di guardia aveva espresso le proprie rimostranze in ordine all'intervento stesso e alla richiesta di accesso alla cartella clinica, circostanza per la quale sarebbe stato contattato il dottor Russo per le necessarie autorizzazioni. Ovviamente, il medico non si è semplicemente rifiutato di fornire la cartella clinica, bensì ha chiesto che ciò gli fosse ordinato direttamente dal sostituto di turno o, quantomeno, che gli venisse mostrata l'autorizzazione di quest'ultimo. Ciò fatto, non c'era stata poi alcuna difficoltà a consegnare la cartella, dal momento che alla paziente era stata somministrata, sostanzialmente, una sostanza che avrebbe determinato le doglie; si era poi determinato un processo - forse piuttosto rapido - di espulsione del feto e quest'ultima era avvenuta, piuttosto che in camera operatoria, nel bagno dove la signora si era recata per un bisogno fisiologico.
Rilevo comunque l'inesistenza, al momento, di una ricostruzione completa, in cui i fatti appaiano come elementi univocamente accertati. Alcune discordanze che appaiono dalle singole deposizioni, qualche preoccupazione ulteriore, non tanto di carattere giudiziario, quanto relativamente al rispetto della privacy in casi del genere, mi spingono ad un supplemento di accertamenti, per lo svolgimento dei quali ho già provveduto a conferire la relativa delega. Infatti, nella presente nota - lo dico per i giornalisti che l'avranno a disposizione - è scritto che mi appresto a conferire una delega all'ispettorato generale del Ministero - ho già provveduto stamattina - affinché, attraverso un riesame globale della situazione nonché, per quanto necessario, con l'ascolto delle persone protagoniste volontarie o involontarie di questa vicenda, si faccia chiarezza assoluta sull'intero contesto.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Turco.

LIVIA TURCO, Ministro della salute. Signor presidente, è con molto disagio che mi accingo a svolgere questa relazione al Parlamento. Devo riferire se, in una determinata circostanza, vi sia stata una corretta applicazione di una legge dello Stato, ma questa circostanza coinvolge la sfera più intima di una persona, una persona nella sua unica e indistinta dignità.
Una persona, sempre, dovunque e comunque, merita rispetto. Una donna che affronta, di fronte al tribunale della sua coscienza, la scelta di abortire, merita rispetto. Questa scelta è la constatazione di un'impossibilità, è l'esperienza di una costrizione, è il dolore di una rinuncia. Nessuno, più di colei che la vive, conosce la potenzialità di vita contenuta in quella rinuncia, in quella impossibilità, in quella costrizione. Dramma e scacco, così le donne hanno sempre parlato e parlano di aborto, mai di diritto. Non si può chiamare diritto ciò che è impossibilità, rinuncia, costrizione.
Per questo Silvana Silvestri merita rispetto e silenzio. Per questo ho sentito il dovere, prima di parlare di lei in questa sede, di chiamarla e di ascoltarla e di dirle che avrei parlato di lei e di dire a voi, in questa sede, il suo turbamento, la sua angoscia, la sua solitudine, il suo bisogno di silenzio.
Ora racconto i fatti che sono stati accertati. Il 18 febbraio scorso si è svolta un'ispezione, da me istruita, presso l'azienda ospedaliera universitaria «Federico II di Napoli», al fine di acquisire elementi informativi circostanziati relativamente all'episodio di cui stiamo discutendo. Gli ispettori del Ministero della salute hanno incontrato, tra gli altri, il direttore generale, il direttore sanitario, il direttore del dipartimento di ostetricia e ginecologia, il direttore dell'Istituto di medicina legale, il responsabile del servizio interruzioni volontarie di gravidanza e hanno acquisito, oltre alla cartella clinica, il verbale redatto dalla commissione d'inchiesta istituita dall'azienda.
È stato quindi effettuato un sopralluogo, sia del reparto di degenza dell'ostetricia, sia del servizio interruzioni volontarie di gravidanza. A seguito dell'incontro


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e dell'esame della documentazione messa a disposizione, si sono potuti evidenziare i seguenti elementi: la signora Silvana Silvestri, 39 anni, si ricovera presso la struttura il giorno 8 febbraio 2008, al fine di effettuare una interruzione volontaria di gravidanza nel secondo trimestre di gestazione. Precedentemente, il 18 gennaio, risulta che la signora abbia effettuato una amniocentesi presso l'azienda ospedaliera San Giuseppe Moscati di Avellino, dalla quale si evidenzia che il prodotto del concepimento è affetto da sindrome di Klinefelter, come certificato dal laboratorio di citogenetica della stessa struttura in data 31 gennaio 2008.
A seguito della risposta dell'amniocentesi, in data 4 febbraio, la paziente si reca presso il servizio interruzione volontaria di gravidanza del dipartimento di ginecologia e ostetricia per prenotare l'interruzione di gravidanza (Registro prenotazione IVG, secondo trimestre, n. 2308). Nella stessa data si sottopone al colloquio preliminare con l'assistente sociale e il medico responsabile del servizio di IVG (interruzione volontaria di gravidanza). Il 5 febbraio, la paziente effettua consulenza genetica presso la struttura complessa di genetica medica dell'ospedale Caldarelli, dalla quale risulta specificato che la sindrome di Klinefelter: «...comporta invariabilmente una grave compromissione della funzione testicolare, sia ormonale che spermatogenetica. In genere non è presente ritardo psicomotorio ma, in alcuni casi, il quoziente intellettivo può essere al limite inferiore di normalità e possono essere presenti disturbi comportamentali». Nella stessa data, la paziente si sottopone alle indagini propedeutiche all'IVG presso l'Azienda ospedaliera universitaria «Federico II» di Napoli. Il 7 febbraio, la paziente effettua l'ecografia di controllo per la datazione dell'epoca di gestazione e la consulenza psichiatrica che certifica che il prosieguo della gravidanza determina un grave rischio per la salute mentale della donna e che pertanto persistono le condizioni previste dall'articolo 6 della legge n. 194, dopo i 90 giorni di gravidanza.
Nella stessa data, il servizio interruzione volontaria di gravidanza rilascia certificazione attestante la richiesta di IVG alla ventunesima settimana e la sussistenza delle circostanze previste dall'articolo 6 della legge n. 194. Come ho già ricordato, la signora viene ricoverata il giorno 8 febbraio presso il dipartimento clinico di ginecologia e ostetricia e fisiopatologia della riproduzione umana. In cartella risulta sottoscritto il consenso informato sulle modalità di effettuazione e sui rischi dell'IVG nel secondo trimestre. Nella stessa giornata viene iniziato, presso il servizio IVG il trattamento con prostaglandine, il Cervadil, per via vaginale, al fine di indurre il parto abortivo. L'induzione farmacologica, proseguita fino alle 20,30 (cinque somministrazioni), non dà esito positivo e, poiché dalle visite mediche effettuate, non è riscontrata progressione del travaglio, viene interrotta. Su richiesta della paziente e in considerazione del miglioramento della sintomatologia dolorosa, la stessa viene portata nel reparto di degenza ordinaria di ostetricia.
A questo punto, come tra l'altro previsto dai protocolli internazionali, viene interrotta l'induzione farmacologica abortiva e la paziente viene tenuta in osservazione. Il giorno 11 febbraio, viene ripreso il trattamento farmacologico.
Alle 12, un controllo ecografico accerta l'attività cardiaca fetale assente e, quindi, la morte fetale.
Alle ore 13,40, la signora giunge in sala parto, inviata dal servizio IVG dove, per la comparsa di vivo dolore, rifiuta il prosieguo della terapia induttiva.
Alle ore 15,15, visto il miglioramento della sintomatologia dolorosa, la paziente chiede di rientrare in reparto, dove, alle ore 16,15, visitata, presenta «collo retroposto, conservato, pervio alla punta del dito».
Alle ore 17,45, ad una visita medica risulta una situazione di travaglio in corso. Il medico che ha effettuato la visita dichiara di aver allertato la sala operatoria e richiesto il personale sociosanitario per


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il trasporto della paziente, al quale l'affida, essendo chiamato da un'altra paziente del reparto.
Dalle dichiarazioni raccolte risulta che la signora chiede di poter andare in bagno, presente nella sua stanza, dove, alle ore 17,50, espelle spontaneamente il feto morto. L'infermiera del reparto presta le cure del caso - clampaggio del cordone ombelicale - e chiama la sala operatoria per comunicare quanto accaduto. La signora viene, quindi, portata in sala operatoria.
Attesi quaranta minuti per il secondamento fisiologico, si procede, previa anestesia generale, alla estrazione della placenta e a successiva revisione cavitaria strumentale.
Alle ore 19,10, la paziente viene trasferita presso il reparto di degenza, dov'era già ad attenderla un'agente di sesso femminile in abiti borghesi che si qualificava come ispettore di polizia.
Il decorso IVG è stato normale, con dimissioni in data 12 febbraio 2008.
In conclusione, dall'ispezione effettuata dal Ministero della salute, che è stata effettuata con grande cura - di ciò, doverosamente ringrazio - risultano confermati: la presenza della sindrome di Klinefelter diagnosticata a seguito di amniocentesi; l'aver effettuato il colloquio con l'assistente sociale e il ginecologo (4 febbraio); la consulenza genetica (5 febbraio); l'esame ecografico per la datazione della gravidanza e la consulenza psichiatrica (7 febbraio); la richiesta di interruzione volontaria di gravidanza, accertata dai sanitari, alla ventunesima settimana di gestazione; il grave rischio per la salute mentale della donna e la sussistenza delle condizioni previste dalla legge n. 194 dopo i primi 90 giorni di gravidanza.
Pertanto, dai colloqui intercorsi con gli operatori sanitari e i responsabili delle strutture coinvolte nonché dall'esame della documentazione prodotta, si ravvisa che la procedura seguita dai sanitari delle strutture in cui è avvenuta l'interruzione di gravidanza e i comportamenti degli stessi sono conformi alla legge in vigore. Quanto emerso dall'ispezione conferma quanto già evidenziatosi all'indomani dell'accaduto.
Dopo aver riferito sull'ispezione, vorrei passare, se mi consentite, a una considerazione finale. Penso sia giunto il momento di riacquisire serenità e capacità di dialogo attorno ad un tema così drammatico e delicato come l'aborto, per una piena e migliore applicazione della legge n. 194.
Una serenità e un dialogo per la piena applicazione della legge e credo anche - lo dico dopo aver ascoltato questa donna - per costruire una sfida più impegnativa, che va oltre una legge, cioè quella di costruire una società accogliente nei confronti della maternità e della paternità, una società accogliente nei confronti della vita umana, che ci impegni tutti, donne e uomini, politica e istituzioni.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ELISABETTA RAMPI. Signor presidente, ringrazio il Ministro della giustizia e il Ministro della salute per le informazioni dettagliate e precise, per l'impegno a un supplemento di accertamenti e per la puntuale relazione sull'attuazione della legge n. 194.
Ritengo tuttavia che, alla discussione odierna, occorra fare una premessa doverosa. La legge n. 194 è una legge giusta e saggia e grazie ad essa è stata sostanzialmente sconfitta, nel nostro Paese, la piaga dell'aborto clandestino. Il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza, negli ultimi anni, è diminuito e la società ha compiuto grandi passi avanti grazie alla promozione di un maggiore e più efficace ricorso ai metodi di procreazione cosciente e responsabile.
Ciò che è successo al Policlinico «Federico II» di Napoli è inaccettabile: è frutto di toni esasperati, di parole che pesano come macigni, di anatemi lanciati contro le donne e di un clima di tensione creato ad arte, in questi ultimi tempi, da fondamentalismi che stanno avvelenando il vivere civile, mettendo in discussione i diritti e la dignità.


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La violenza sulle donne assume varie forme nel nostro Paese, nella nostra società: da quella fisica - che ha raggiunto livelli intollerabili di allarme sociale, come si può evincere anche dal rapporto del Ministro dell'interno e dai turpi fatti di cronaca quotidiana - a quella psicologica, economica, sociale e politica.
Quanto accaduto ad una donna appena uscita dalla sala operatoria, ancora intontita dalla anestesia a seguito di aborto terapeutico, si configura come un intervento lesivo della dignità della persona, della privacy, dei più elementari diritti umani.
Probabilmente, nel caso in questione tutto è iniziato, come ci dice il Ministro Scotti, da un eccesso di protagonismo, o da una ripicca di un dipendente scontento nei confronti della propria struttura ospedaliera.
Ma al di là delle inchieste in corso e delle responsabilità individuali, vorrei sottolineare che, in un altro periodo, più sereno per il Paese e di maggiore coesione, tale episodio non sarebbe potuto accadere. La telefonata non avrebbe creato l'allarme che ha creato tra gli agenti delle forze di Polizia e, conseguentemente, non ci sarebbero stati riflessi concreti, né tantomeno un'azione invasiva, come quella perpetrata ai danni di una persona sofferente e indifesa. Si è addirittura utilizzato il termine «feticidio» e penso che anche su questo aspetto occorra riflettere.
Tutti coloro che utilizzano strumentalmente il corpo delle donne per fini propagandistici sono i veri responsabili di un'azione senza senso, ma violenta e pericolosa per ciò che ha generato e per ciò che avrebbe potuto ingenerare.
Nell'esprimere piena solidarietà alla signora in questione, alla signora Silvana, desidero manifestare una forte indignazione per un episodio che non dovrà più accadere.
Penso che occorra riportare il dibattito su tutti i temi definiti «eticamente sensibili» al loro giusto livello, che è quello del dialogo, del rispetto, del confronto, dell'umiltà e anche del riconoscimento dei limiti della politica, non certo quello dell'esasperazione.
La legge n. 194 afferma un grande principio di responsabilità e ha ottenuto ottimi risultati. Potrebbe ottenerne ancora di migliori, se applicata, come dice il Ministro Turco, nella sua interezza.
Penso soprattutto al ruolo dei consultori, che necessitano di essere potenziati e riqualificati nonché a politiche volte alla prevenzione, alla promozione e alla tutela della salute delle donne, come si evince anche dalla relazione sull'attuazione della legge presentata dal Ministro della salute, che ha lavorato bene in questi anni proprio nella direzione indicata.
Ebbene, la maternità deve essere tutelata in modo migliore. Una seria politica della natalità si può attuare aiutando e sostenendo le donne, adottando strumenti economici e sociali adeguati, con politiche attente ai bisogni reali delle persone e delle famiglie.
La bassa natalità del nostro Paese non è dovuta certo al numero degli aborti, piuttosto a carenze strutturali, a politiche sociali per troppi anni inesistenti, ignorate da un sistema che ha preferito scaricare sulle donne il peso della propria inefficienza e che ha preferito, ad esempio, delegare alle donne tutto il lavoro di cura.
Ricordiamo che l'occupazione femminile in Italia è tra le più basse d'Europa e che, dopo il primo figlio, molte donne sono costrette a licenziarsi. Siamo ancora ben lontani dagli obiettivi di Lisbona.
La maternità va sicuramente tutelata al meglio. Come ha detto in conclusione il Ministro Turco, occorre veramente costruire una società accogliente nei confronti della vita umana. Molto si deve ancora fare, molto si è cominciato a fare in questi anni. È importante ciò che è stato fatto, ma ciò che si è iniziato va rilanciato, per ridare speranza al nostro futuro.

PRESIDENTE. Colleghi, poiché vi sono diversi iscritti a parlare, vi invito a prestare attenzione alla durata degli interventi.


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LALLA TRUPIA. Signor presidente, vorrei ringraziare in particolare il Ministro della salute e il Ministro della giustizia per aver riferito con chiarezza e per essere intervenuti con tempestività e serietà su un caso, quello della signora Silvana, che rappresenta un'umiliazione e uno scacco. Non dovrà più ripetersi, non solo per tutte le donne di questo Paese, ma anche per tutto un Paese che nutre l'ambizione di chiamarsi civile.
È vero, tuttavia, che un fatto come questo è potuto accadere in questi ultimi tempi in quanto rappresenta il frutto avvelenato di un clima di contrapposizione cieca, in cui alcuni soggetti in campo sembrano essere interessati non tanto all'obiettivo che tutti dovremmo avere, vale a dire quello di rendere meno doloroso e più sicuro un atto così difficile come quello dell'aborto, quanto piuttosto quello di criminalizzare le donne o comunque di sottrarre loro forse l'unico scettro (purtroppo molto doloroso): poter agire sul proprio corpo, in ultima istanza, operando una scelta così difficile di responsabilità e di libertà.
Ricordo ciò, in quanto non si può non sottolineare che il nostro è davvero un Paese molto singolare. Un Paese in cui grandi riforme, civili e moderne - soprattutto sui temi che hanno implicanze etiche, ma anche sui diritti civili - che in gran parte d'Europa sono state già realizzate vengono bloccate da contrapposizioni di carattere ideologico e di principio. Ciò mette a rischio il nostro Paese di trovarsi in coda su questi temi. Al contrario - la legge n. 194 è, a mio giudizio, emblematica al riguardo - dovremmo preoccuparci tutti di contrapporci meno ideologicamente e di affrontare molto laicamente le questioni, trovando delle soluzioni.
La legge n. 194 è un emblema, poiché rappresenta l'esempio di quanto e come le classi dirigenti del Paese, aventi convinzioni religiose e politiche diverse, abbiano tuttavia avuto la lungimiranza di ascoltarsi e di mettere in primo piano il bene generale delle persone, anziché gli interessi precostituiti e di bottega.
La legge n. 194, che è stato possibile approvare in quell'epoca, in quel Parlamento, e che è stata confermata da un referendum popolare, a larghissima maggioranza, ci ha dimostrato che, comunque, la società di questo Paese è più avanti delle classi dirigenti su questi temi, forse perché il buonsenso e la vita pratica agiscono più nella prima che nelle seconde.
Ebbene, la legge n. 194 ciclicamente viene messa in discussione alla radice.
Si chiedono, ripetutamente (come è accaduto nel 2005), commissioni d'indagine o d'inchiesta. In realtà, tutti dicono che non vogliono cancellarla, anche perché i dati sono chiarissimi, di relazione in relazione, in tutti questi anni. Si deduce chiaramente - i dati non sono interpretabili - che gli aborti si sono dimezzati, che si è non dico cancellata, ma perlomeno combattuta la vergogna e il dolore della clandestinità delle donne nell'aborto e, in definitiva, che questa è una buona legge.
Le inchieste che si sono condotte continuano a dire che questa è una buona legge, e lo è - questo aspetto lo voglio sottolineare - per un particolare aspetto, che è il punto di forza e di equilibrio della legge n. 194, quello su cui davvero quelle classi dirigenti lungimiranti, credenti e non credenti, hanno fatto un accordo importante, lasciandoci una legge forse fra le migliori d'Europa. Tale punto di equilibrio e di forza è uno solo: è stato consegnato il dramma, la responsabilità e la scelta difficile dell'aborto nelle mani più sicure. Si tratta di una scelta della legge: le mani più sicure sono quelle delle donne.
Continuo a pensare che la grandezza di questa legge, il fatto per cui funziona, per cui diminuiscono gli aborti è principalmente questo: l'autodeterminazione della donna. La donna che compie una scelta drammatica, sapendo di non esercitare mai un diritto, bensì di operare una scelta in ultima istanza difficile, sul proprio corpo, su se stessa, sulla propria vita.
Si tratta di una scelta talmente consapevole e forte, che è folle pensare che esistano donne che vorrebbero farla a


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cuor leggero, perché sono disinvolte o perché non hanno principi. Si tratta di una scelta importante e di responsabilità, oltre che di libertà.
Mi domando il motivo di questo attacco ciclico alla legge n. 194, non potendo confutare i dati e premettendo che non la si vuole toccare. Assistiamo alla proposta di questi giorni. Come sempre, viene da un maschio. Vorrei segnalare che sono sempre dei maschi che si pongono a capo di queste campagne, in nome di grandi principi. Sono maschi!
La mia impressione è che quello che si vuole intaccare di questa legge sia proprio il cuore, vale a dire il principio della scelta e della libertà delle donne. La moratoria è questo! Solo chi è un maschio e neanche tra i migliori - sotto questo punto di vista e non personalmente, per carità - può pensare che un atto di aborto doloroso sia paragonabile alla pena di morte, sia un assassinio e che, conseguentemente, le donne siano delle criminali. Il punto culturale è questo.
Se si vuole, invece, realmente migliorare la legge n. 194, la relazione del Ministro della salute, sulla base dei dati, ci dice già cosa possiamo fare. Vediamo già che la legge n. 194 funziona laddove è applicata efficacemente, dove funziona la prevenzione, dove esistono i servizi, dove, cioè, si mettono risorse in campo. Se vogliamo migliorarla, siamo pronti. A questo dovrebbe servire il Parlamento.
I punti critici della legge sono semplici. Occorre far sì che i consultori familiari, diminuiti negli ultimi anni e diventati, purtroppo, ambulatori ginecologici (spesso, inoltre, con poche risorse), diventino un investimento, in questo Paese, per fare informazione ed educazione sessuale, perché ci sia la contraccezione, per prevenire e anche per consigliare e ascoltare.
In secondo luogo, nel nostro Paese ad abortire ancora troppo sono soprattutto le donne immigrate. Ebbene, investiamo anche in questo ambito.
Se vogliamo davvero migliorare la legge n. 194, prendiamo questi provvedimenti e renderemo il nostro Paese civile. Basta solo il buonsenso: le crociate, in un Paese moderno, portano solo indietro.
Mi sento di rivolgere un appello: che l'esempio doloroso - che non si ripeta più - della signora Silvana ci porti a dire finalmente basta all'ipocrisia di rifiutare sia l'aborto che la contraccezione. Non rimarrebbe che la castità! Anche per quest'ultima si tratta di una libera scelta - che io rispetto - ma non rappresenta l'opzione della maggioranza della popolazione italiana.
Abbiamo bisogno di classi dirigenti dotate di solidi principi, ma anche autonome nell'esercizio del principio sovrano e laico nel Parlamento italiano.

PRESIDENTE. Devo pregarvi di contenere in cinque minuti i vostri interventi.

SALVATORE MAZZARACCHIO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SALVATORE MAZZARACCHIO. Signor presidente, desidererei sapere se sia aperta una discussione sulla legge n. 194.

PRESIDENTE. La discussione verte sulle comunicazioni del Governo.

SALVATORE MAZZARACCHIO. Ebbene, pregherei che ci si attenesse a un fatto specifico, relazionato dai due Ministri.

PRESIDENTE. Onorevole Mazzaracchio, colgo la sua indicazione. Purtuttavia lei ha maturato un'esperienza in questo Parlamento - seppur non lunghissima, in questi diciotto mesi - tale da aver ben compreso come vi sia, o vi possa essere, una connessione inevitabile.

SALVATORE MAZZARACCHIO. La ringrazio, signor presidente.

DONATELLA PORETTI. Signor presidente, credo sia inevitabile parlare della legge n. 194 in questa situazione. Ritengo


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che lo rendano davvero inevitabile i due interventi svolti dal Ministro Turco e dal Ministro Scotti.
Mi preme ringraziare i due ministri per averci fornito questi resoconti e racconti, così crudi e così impressionanti, sulla vicenda. Li ringrazio proprio a nome del gruppo dei Radicali, anche perché avevamo presentato un'interrogazione sui fatti - seppure a Camere sciolte, è possibile farlo - chiedendo a ciascun Ministero per suo conto (quello della salute e quello della giustizia) di fare chiarezza su questa vicenda. Avremmo ritenuto utile audire anche il Ministro dell'interno, visto l'intervento delle forze di Polizia.
È inutile ripetere che, se è avvenuto un episodio del genere, esso è frutto esclusivamente di un clima terrorista che si è prodotto in questo ultimo periodo nei confronti delle donne «assassine» nonché di una campagna falsamente buonista contro l'aborto. Definisco «falsamente buonista» tale campagna perché nessuno, qui, è per l'aborto. Qualcuno, eventualmente, è solo per una legge che disciplini e regolamenti un fenomeno che, altrimenti, sarebbe relegato nella clandestinità. Lo era da noi, prima della legge n. 194, e lo è ancora oggi in altri Paesi dove non è prevista una legge che regolamenti l'aborto.
È chiaro, quindi, che della legge in qualche modo bisogna parlare. Il Ministro della salute ha, oggi, parzialmente accennato ad alcuni interventi che sarebbe utile mettere in opera per una piena applicazione della legge n. 194. Abbiamo letto la nota, diffusa dal Ministro lo scorso 15 febbraio, volta al raggiungimento di un'intesa, per la piena applicazione, nell'ambito della Conferenza Stato-regioni.
Se la linea di principio va nella giusta direzione - credo che chiunque dei presenti la condivida - ovverosia verso una procreazione cosciente e responsabile, nella pratica credo che sia utile quantomeno far rilevare due punti che - ci permettiamo di segnalarlo - rischierebbero di far ottenere un risultato esattamente opposto.
Il primo punto è quello relativo alla presenza di un medico non obiettore per distretto sanitario; il secondo punto è quello della prescrivibilità della ricetta della «pillola del giorno dopo» nei consultori e nei pronto soccorso.
Nel primo caso - un non obiettore per distretto - si certificherebbe l'assoluta impossibilità di avere tempi certi e, quindi, anche di applicare la legge sull'interruzione di gravidanza. Si certificherebbe una situazione peggiore dell'attuale e si porterebbe anche a oltrepassare il limite delle ventuno settimane e a dover ricorrere, per la scadenza dei termini, ad aborti terapeutici.
L'unico modo che riterrei davvero utile per intervenire, nel rispetto della legge e senza nessuna modifica, sarebbe quello di garantire che almeno il 50 per cento del personale medico infermieristico sia non obiettore.
Per quanto riguarda la prescrivibilità della «pillola del giorno dopo» nei pronto soccorso e nei consultori, essa equivale a una sanatoria del pregresso, per i casi in cui la prescrivibilità non è stata applicata. Essa equivale anche a porre una pesante ipoteca per il futuro, nei casi in cui non si raggiunga l'intesa. Non si può fare obiezione di coscienza per la prescrizione di un farmaco d'emergenza e, quindi, neppure di un contraccettivo d'emergenza.
La legge n. 194 disciplina l'obiezione di coscienza per l'interruzione di gravidanza. C'era un'altra legge, in Italia, che disciplinava l'obiezione di coscienza ed era quella sulla leva, sul servizio militare e, però...

PRESIDENTE. Onorevole, i suoi cinque minuti sono stati superati. Vogliamo anche ascoltare, e credo lo vogliate anche voi, le repliche dei Ministri.

DONATELLA PORETTI. Signor presidente, arriverò alla conclusione rapidamente. Credo che l'unico intervento sulla «pillola del giorno dopo» sia quello di abolire l'obbligo di ricetta. Nulla di scandaloso, quindi.
Vorrei concludere con una sollecitazione al Ministro. La relazione annuale


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sulla legge n. 194 deve essere, per legge, depositata e consegnata al Parlamento entro febbraio. Ebbene, in un suo comunicato lei ha dichiarato che non sarà possibile farlo prima di giugno o luglio perché, per prassi, i dati non si possono raccogliere prima. In altre parole, si sta dicendo che le istituzioni e il Ministero della salute stanno violando, per prime, quella legge che deve trovare una piena applicazione. Quella relazione è importante anche perché dà modo al Parlamento, se è il caso, di intervenire. Credo sia il caso, quindi, che il Ministro presenti quella relazione - che riporta dati inattendibili, falsi e falsati, sull'obiezione di coscienza dei medici - quando è ancora in carica, evitando di rimandarla al prossimo Governo.
Esattamente la stessa cosa sta avvenendo - un'altra disattenzione - per un'altra legge che il Ministro non sta applicando. Si tratta della legge n. 40, che prevedeva l'emanazione delle linee guida entro l'agosto dello scorso anno, in relazione alla quale il Ministro non ha provveduto.
Questo è veramente uno strano Paese.

DOMENICO DI VIRGILIO. Signor presidente, mi atterrò scrupolosamente agli eventi relativi ai fatti di Napoli. Innanzitutto devo dichiarare che si è trattato di un evento squallido e mortificante per tutti, specialmente per la donna. L'aborto, lo sappiamo, è sempre un dramma, qui però lo si è voluto trasformare, anzi lo si è trasformato, in psicodramma, in evento mediatico, in una spettacolarizzazione assolutamente mortificante per tutti.
La ricostruzione dell'episodio da parte dei due Ministri - mi scusino, ma dirò chiaramente il perché - mi sembra lacunosa.
Il Ministro Scotti sente l'esigenza - da noi condividisa - di un approfondimento di indagini. Quindi, egli giudica la ricostruzione lacunosa, seppur non colpevolmente tale.
Il Ministro della salute ci ha riferito molti fatti concreti, ma, ad esempio, non ci ha detto - probabilmente non l'ha volutamente omesso - qual è stata la motivazione per l'aborto. Io domando se sia stato il colloquio con lo psichiatra, per cui è stato certificato che si sarebbe verificato un danno particolare per la salute mentale della donna; oppure se sia stato il problema della sindrome di Klinefelter accertato con l'amniocentesi; oppure ancora se sia stato quest'ultimo a provocare l'indicazione dello psichiatra.
In quest'ultimo caso, evidentemente, è lacunosa anche l'informazione. Lei sa, signor Ministro, che la sindrome di Klinefelter è frequentissima: almeno un maschio su mille nasce affetto da tale sindrome, che non provoca un'alterazione della qualità della vita. Essa può provocare, ma nessuna ecografia o indagine cromosomica lo mette in evidenza, un ipogonadismo, un ritardo mentale, una riduzione del quoziente intellettivo o una ginecomastia. Non entro nei particolari, ma certamente è un'offesa praticare un aborto per una sindrome di Klinefelter, anche se nel rispetto della legge, quando esistono in Italia decine di migliaia di persone che soffrono di sindrome di Klinefelter e che l'accettano. Sono sorte associazioni familiari - ce ne è una proprio a Napoli - che difendono questa situazione.
Mi domando se, nel colloquio che è avvenuto con la signora che ha subito questo evento drammatico - condividiamo quanto detto sulla drammaticità e sulla mancanza di tutela della dignità di questa donna - sia stato detto chiaramente che cosa significhi la sindrome di Klinefelter. Tutto dipende, infatti, da come viene presentato l'evento.
È chiaro che se la donna è stata «terrorizzata», dicendole che questa sindrome avrebbe provocato la fine del mondo, questo può aver provocato nella donna una situazione psichica tale da far verificare le condizioni riferite. Tuttavia mi domando e domando al Ministro se tutto ciò sia stato accertato, quale sia stato il contenuto del colloquio, se il colloquio sia stato compiuto in maniera corretta, chiara ed equilibrata. Nessuno di noi ha il diritto, credo, di giudicare l'atto in se


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stesso; tuttavia mi pare ovvio che per fare chiarezza occorra andare fino in fondo a tutte le verifiche di cui ci è stato riferito, non solo di tipo giudiziario, ma anche clinico.
Oggi non stiamo discutendo sulla legge n. 194, che abbiamo dichiarato e dichiariamo essere una legge da applicare integralmente. Anche lei, signor Ministro, nell'accordo - o presunto tale - della Conferenza Stato-regioni, punta molto sulla prevenzione e sui consultori.
Ebbene, la legge prevede aspetti di tutela della gravidanza in capo ai consultori (che in Italia sono carenti, anche se non so a chi siano attribuibili le colpe della condizione attuale), per cui questa fase è indispensabile, indipendentemente dal giudizio che si può dare sull'intervento richiesto dalla donna. Se i consultori svolgono un ruolo di chiarificazione, così deve avvenire. Pertanto, la proposta alla Conferenza Stato-regioni di una applicazione totale della legge va nella giusta direzione e mi sembra rappresenti l'aspetto più qualificante di tutto il problema.
Concludendo, vogliamo conoscere assolutamente, in primo luogo, gli aspetti ulteriori che scaturiranno dall'indagine supplementare ordinata dal Ministro Scotti, e, in secondo luogo, vogliamo sapere se tutta la vicenda si sia svolta in modo corretto e chiaro. Vogliamo sapere se alla donna siano stati forniti elementi sufficienti per poter poi giudicare se procedere, o meno, all'interruzione di gravidanza.

KATIA ZANOTTI. Signor presidente, mi hanno preceduto le colleghe Trupia, Rampi, Poretti e quindi voglio aggiungere solo poche cose.
Ringrazio il Ministro Scotti e il Ministro Turco perché, a differenza di quel che pensa l'onorevole Di Virgilio, io credo che più di questo, anche con il supplemento già annunciato dal Ministro Scotti, non fosse possibile dire. Credo che sia assolutamente incongruo, magari impossibile, stabilire cosa abbia detto lo psicologo, se abbia detto che questa sindrome colpisce uno su mille e quant'altro.
Lo psicologo, il medico o chiunque altro possono dire di tutto ma, alla fine, chi decide è la donna che porta in grembo quel feto. Può piacere o meno: chiunque può dire di tutto, ma l'ultima decisione spetta a quella donna...

DOMENICO DI VIRGILIO. Scusi, onorevole, non chiunque può dire di tutto. Il medico deve dire quello che scientificamente è dimostrato, non può inventare!

KATIA ZANOTTI. Va bene, ci siamo capiti. Comunque, anche se il medico dice quello che scientificamente è dimostrato, l'ultima decisione - piaccia o non piaccia - spetta alla donna. La legge glielo riconosce. Qualcuno vuole svuotare la legge, ritenendo che un tale svuotamento realizzi un attacco all'autodeterminazione delle donne. Penso che abbiano fatto bene le donne italiane, indignate, a scendere in piazza dopo l'episodio del Policlinico di Napoli. Hanno fatto bene e faranno degli «8 marzo» a difesa della propria autodeterminazione.
Sia chiaro: non è una questione di diritto per le donne. Al contrario, si tratta di una extrema ratio. Aggiungo, però, che questa è una legge buona e le donne italiane lo sanno: l'hanno difesa con il referendum e la difendono oggi. Lo sanno anche coloro che questa legge pensano di dover svuotare come ho detto.
Pongo rapidamente alcune questioni. Penso, appunto, che vada riconosciuta la responsabilità primaria delle donne in quanto soggetti morali e responsabili. Nessuna pensa di ricorrere a un'interruzione di gravidanza con leggerezza o assumendola addirittura come metodo contraccettivo. È stata assunta l'idea della moratoria, molto rapidamente, anche dal Papa. Lo considero un errore, poiché se esiste un problema di controllo delle nascite, la moratoria si chiede ai Paesi che usano l'interruzione di gravidanza come metodo di selezione delle nascite. Si tratta di un altro fenomeno, che non riguarda la legge italiana.
Sulla legge italiana, con i colleghi di Commissione della precedente legislatura,


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abbiamo persino svolto un'indagine conoscitiva approfondita. Era presidente l'onorevole Palumbo e lui sa che quel teorema precostituito, il quale faceva supporre che i consultori fossero degli «abortifici», nel corso di tutte le audizioni è stato assolutamente smentito. I colleghi lo sanno.
Aggiungo, però, che esiste un problema per quanto riguarda i consultori, che sono disomogenei. Le donne, spesso, subiscono trattamenti troppo burocratizzati, mentre avrebbero bisogno di un servizio a cui rivolgersi con fiducia, rispettoso delle loro scelte, esigenze, bisogni nonché della loro privacy.
Esiste il tema dei consultori - che non sono «abortifici» - ed esistono novità che hanno riguardato l'applicazione della legge. Ad esempio credo, Ministro Turco, che fra poco sarà commercializzata la RU486. Non si tratta più di sperimentazione, poiché in tutto il mondo è abbondantemente sperimentata. Sono una di quelle che pensano che saranno le donne a decidere fra aborto chirurgico ed RU486 (in ospedale, naturalmente).
Esiste un'altra questione oggi problematica, che riguarda l'applicazione piena della legge. Mi riferisco al numero degli obiettori di coscienza.
Si tratta di un problema perché, naturalmente, la legge prevede il sacrosanto e legittimo riconoscimento dell'obiezione di coscienza (anche se trovo immorale la proposta di obiezione di coscienza sulla pillola del giorno dopo, riguardante i farmacisti, che fa seguito ai numerosi e reiterati attacchi all'autonomia delle donne). Quello dell'obiezione di coscienza - il cui dato secondo l'Istituto superiore di sanità si aggira attorno al 60 per cento - rappresenta un problema per quanto riguarda, fra l'altro, la piena applicazione della legge. Quest'ultima, infatti, ha bisogno non soltanto di misure di prevenzione e sostegno (soprattutto per le donne immigrate), ma anche di medici che pratichino l'interruzione volontaria di gravidanza, così da non avere le file di attesa quando ci si reca in ospedale. Si tratta di un problema che riguarda, appunto, la piena applicazione della legge. Non ho tempo per aggiungere altro: penso che i consultori vadano distribuiti su tutto il territorio e che, soprattutto, dentro i consultori, debba essere assolutamente vietata qualsiasi pratica di dissuasione delle donne rispetto alla interruzione volontaria di gravidanza.

SALVATORE MAZZARACCHIO. Signor presidente, ci troviamo in questa sede perché l'episodio ha creato nel Paese uno stato d'allarme. Si è allarmato per primo il Ministro della salute, non conoscendo ancora, ovviamente, i fatti nei particolari, la quale ha dichiarato alla stampa: «Qui, probabilmente, ci troviamo di fronte alla caccia alle streghe!». Chiedo conferma al signor Ministro, ma è riportato da tutti i giornali.
Ciò è accaduto perché era intervenuta la polizia e, quindi, l'opinione pubblica era quasi portata a pensare che esistesse una sorta di polizia segreta incaricata di seguire coloro che richiedevano di abortire.
Finalmente, oggi si fa luce sull'evento: la polizia è intervenuta perché chiamata da un anonimo - in un primo tempo, ma adesso non è più tale - e pertanto ha fatto bene ad intervenire. Non c'entra per nulla la legge n. 194! Ci troviamo di fronte ad un caso di malasanità: una donna arriva in un ospedale e, dopo essere stata in sala degenza al quarto piano, viene portata in sala parto al secondo piano; viene quindi fatta risalire in sala degenza e successivamente fatta tornare nuovamente in sala parto, per somministrarle le terapie del caso, in relazione alle quali la signora rifiuta un'ulteriore somministrazione. Sta di fatto che, da quello che appare chiaramente (salvo approfondimenti dell'indagine, anche da parte del Ministro della giustizia), questa donna si trova praticamente a partorire in un bagno, senza la presenza di un medico. Sappiamo, fino ad oggi, che erano presenti un'infermiera e un portantino, i quali sono intervenuti ad aiutarla, ma si tratta di episodi ancora tutti da approfondire. Fino ad oggi le cognizioni acquisite dal pubblico ministero e che ci sono state riferite dal Ministro - che si riserva di fare ulteriori indagini, ma


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questi sono i fatti finora accertati - indicano un caso di malasanità. Possiamo domandarci perché si sia verificato. La verità è che risulta che la sala che doveva essere aperta era, in realtà, chiusa. I medici non c'erano e sono intervenuti gli infermieri. Questo è il fatto, l'episodio da condannare come si vuole, ma che non ha nulla a che vedere con la discussione sulla legge n. 194, che noi non vogliamo riaprire. Se poi qualcuno vuole riaprire il discorso sulla legge, in qualunque momento possiamo farlo, ma non è questo l'oggetto della seduta odierna.
Ringrazio i Ministri per aver fatto luce e per aver portato una certa serenità su un episodio doloroso, che però è ascrivibile alla malasanità e non investe la legge n. 194, un episodio che non giustifica l'allarme che ha percorso l'opinione pubblica, al punto che le donne sono scese in piazza - prese un po' dall'isterismo del momento - e hanno fatto un po' di chiasso. Questa è la sacrosanta verità (Commenti).
Adesso, conosciuti e riportati i fatti nella loro giusta dimensione, credo che possiamo calmarci, ovviamente senza ignorare che il problema esiste. Se si fosse atteso un momento, concedendo al Ministro la possibilità di compiere gli opportuni accertamenti, certamente questi allarmi non ci sarebbero stati, o sarebbero stati ridimensionati.
Ringrazio il Ministro per aver portato un po' più di serenità in questo episodio, pur doloroso per tutti.

DANIELA DIOGUARDI. Signor presidente, ringrazio la Ministra Turco e il Ministro Scotti per la puntualità delle relazioni, nonché - questo riguarda soprattutto la ministra Turco - per il coinvolgimento umano con cui ha letto la sua relazione.
Penso che l'onorevole Mazzaracchio dovrebbe chiedere scusa alle donne italiane, per avere detto che sono isteriche e credo che le cittadine e i cittadini italiani, da parlamentari...

SALVATORE MAZZARACCHIO. Le interessa una risposta?

DANIELA DIOGUARDI. Non mi interessa la riposta, onorevole Mazzaracchio, perché è stato abbastanza chiaro e perché anche lei ha proseguito, purtroppo, nel fiume di parole a vanvera che in Italia spesso si spendono su questioni...

PRESIDENTE. La prego, onorevole Dioguardi, cerchiamo di non accendere polemiche.

DANIELA DIOGUARDI. Stavo andando oltre. Proprio l'onorevole Mazzaracchio ha detto che non bisogna parlare di legge n. 194. Ebbene, ha ragione. Purtroppo siamo costrette a riparlare sempre della stessa questione - lo dicevano già le colleghe, quindi non ci ritorno - da anni, da quando, nel 1981, si è svolto un referendum in cui la legge, voglio ricordarlo e sottolinearlo, è stata confermata con più del 60 per cento dei voti.
Da allora, purtroppo, è avvenuto un ininterrotto attacco alla legge.
Inoltre voglio aggiungere - sempre parole di verità - che ho l'impressione che non si attacchi l'aborto. Se fosse stato così, infatti, questa attenzione e questo attacco sarebbero stati portati anche prima, quando si praticava l'aborto clandestino e le donne, in particolare quelle povere, spesso, purtroppo, morivano per le condizioni in cui erano costrette ad abortire. Guarda caso, allora nessuno si interessava del tema, né aveva creato movimenti per la vita. L'ipocrisia e la strumentalizzazione, purtroppo, su questi argomenti delicati sono profonde!
Invito a riflettere questi signori, soprattutto maschi - lo dicevano già le colleghe - che, purtroppo, godono della complicità di alcune donne. Dico purtroppo, perché se non fosse così, il problema dell'autodeterminazione, della libertà femminile sarebbe già un fatto assodato. Invece è continuamente sotto attacco, anche perché alcune donne sono ancora complici della parola maschile (Commenti del deputato Conti). Ciò che dà fastidio è il principio dell'autodeterminazione, un principio che rientra, tra l'altro, nelle cose naturali, a meno che non si voglia intervenire in


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maniera coercitiva nei confronti delle donne.
Noi donne lo sappiamo che è stato sempre così. Di fatto, sono le donne a decidere. Non sono delle pazze! Non sono delle criminali! Per fortuna, sono passati più di cinque secoli dal Concilio di Trento, e le donne hanno un'anima e sanno decidere consapevolmente e responsabilmente - non hanno mai compiuto stragi, come invece avviene spesso, purtroppo, per mano degli uomini - anche se gli operatori non sono all'altezza di fornire le informazioni adeguate.
Non sto inventando assolutamente nulla. Quello che è successo a Napoli rappresenta un episodio di inciviltà che non deve più avvenire in un Paese come il nostro, pieno di gravi problemi.
È paradossale che proprio a Napoli, dove c'è la camorra, dove esistono problemi enormi, ben tre pattuglie - vengo a sapere stamattina - vanno in un ospedale per interrogare una donna, di cui oggi parliamo, non rispettandone la riservatezza.
Sanno bene i medici e ginecologi che, in questo momento, la riservatezza è ancora più importante, mentre in questo caso è diventata oggetto di discussione. Chiedo profondamente scusa a questa donna per la situazione in cui ci troviamo.
Si può fare tanto, su questo sono d'accordo. Avete sempre sentito i miei interventi. Noi parlamentari abbiamo il dovere di creare e di fare in modo che ci siano davvero le condizioni perché le giovani donne abbiano oggi la possibilità di scegliere liberamente se essere o non essere madri. Purtroppo, non è ancora così. Su questo sono d'accordo. L'ho detto mille volte e l'ho ripetuto.
Concludendo, mi rivolgo soprattutto ai colleghi maschi: sono convinta che se in Parlamento ci fossero più donne, forse oggi avremmo davvero condizioni di maggiore libertà per le donne stesse. Invece, abbiamo ancora un Parlamento prevalentemente maschile, un potere prevalentemente in mano agli uomini.
Tra breve si terranno le elezioni. Sfido tutti i partiti a mettere in liste numerose donne e a fare in modo che, nel prossimo Parlamento, possano davvero legiferare in favore del mondo femminile italiano.

PAOLA BALDUCCI. Signor presidente, vorrei cercare di riprendere questo tema, così doloroso.
Ringrazio entrambi i Ministri, in particolar modo il Ministro Turco. Tutte le vicende che ci hanno accompagnato in quest'anno e mezzo sono state legate a temi di malasanità. Si tratta di un argomento drammatico che il Ministro ha descritto, prima che attraverso i fatti, con il cuore. Di questo non possiamo che esserle grati e grate.
Faccio mie tutte le osservazioni svolte in maniera molto chiara e incisiva dalle colleghe Zanotti, Trupia e Rampi, che hanno parlato della legge n. 194.
Tuttavia, vorrei aggiungere un tema in più, che riguarda il Ministro della giustizia, ma anche il Ministro dell'interno, la cui presenza sarebbe stata forse opportuna.
La dinamica dei fatti spaventa: ci troviamo oggi a parlare non solo di aborto, ma soprattutto di una donna che ha subìto la contemporanea violazione di una serie di diritti fondamentali.
In primo luogo mi riferisco al diritto alla privacy, alla riservatezza. Oggi conosciamo nome, cognome, indirizzo, perfino il nome della mamma di questa donna, che ha compiuto una scelta drammatica e dolorosa. Ribadisco le frasi del Ministro Turco: quando parliamo di aborto, non si parla di diritti, bensì di drammi delle donne.
Per questa donna, oltre al trauma di una scelta difficilissima, oltre alla violazione della privacy, si è aggiunto anche l'intervento della polizia giudiziaria quasi si trattasse dell'arresto di un pericoloso mafioso.
Mi sento perciò di esprimere la massima solidarietà a questa donna così duramente colpita nella propria intimità, in un momento tanto drammatico e doloroso. Pensiamo ancora una volta alla incredibile sequenza di eventi: la scelta di un aborto (che è stato, nei fatti, anche difficile da


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realizzare); l'intervento improvviso della polizia; l'interrogatorio della donna appena uscita dal bagno; l'interrogatorio della mamma. Il tutto, a quanto sembra, senza la perfetta osservanza delle elementari regole procedurali.
Non solo le frasi del Ministro Turco, che è intervenuta immediatamente, ma anche quelle del Ministro della giustizia (le frasi, i silenzi e la richiesta di una nuova verifica di quello che è avvenuto) ci fanno molto pensare.
Forse non viviamo più in uno Stato che rispetta compiutamente i diritti inviolabili della persona umana, se è vero che l'intervento della polizia è avvenuto a seguito di una notizia anonima! Chi si occupa di procedura penale e di processi sa che la denuncia anonima non può costituire una notizia di reato. Almeno si poteva chiamare il pubblico ministero e chiedere più dettagliate informazioni! Invece, si fanno arrivare le pattuglie della polizia con il rischio di violare palesemente i diritti della paziente.
In conclusione, ci si dovrebbe seriamente domandare come mai in questo Paese la soglia di civiltà stia diventando sempre più bassa e i diritti garantiti, come quello alla privacy, possano essere violati così facilmente.

GIACOMO BAIAMONTE. Signor presidente, non voglio fare della demagogia, né sfruttare questa occasione per parlare della legge n. 194, che è al di fuori dell'argomento in discussione. A questa, infatti, io non accennerò affatto.
Vorrei rivolgere il mio plauso al Ministro della salute, per il suo lavoro. Al di là delle argomentazioni del collega Di Virgilio sul consenso informato (se il medico ha informato, secondo scienza e coscienza, sulla sindrome di Klinefelter, come è suo dovere), saranno gli accertamenti giudiziari a fare chiarezza.
Desidero, invece, rivolgermi al Ministro della giustizia per chiedere quali saranno i provvedimenti nei confronti di questo sconosciuto magistrato, di questo individuo che - poi si è saputo - ha preso l'iniziativa nei riguardi di un problema prettamente sanitario.
In secondo luogo, vorrei chiedere quali provvedimenti si prenderanno nei riguardi della polizia, che arriva in una struttura pubblica e, invece di rivolgersi alle autorità della struttura, va direttamente in corsia ad interrogare questa donna per verificare quali fossero le situazioni.
In questo Paese, signor ministro, veramente la giustizia non funziona più e ciò mi dà la forza per accusarla, ad esempio, per il caso di pedofilia accaduto ad Agrigento, dove, a un tizio che aveva violentato tre bambine, si è consentito, scarcerandolo, di violentarne un'altra ancora!
Signor ministro, cerchiamo di riportare questa giustizia sui giusti valori, altrimenti i cittadini non saranno più tranquilli.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor presidente, sarò sintetica nell'esporre le poche cose che ho da dire. Mi sono sentita male anche io, signor ministro, quando lei leggeva. Ho visto che tremava ed era commossa e anche io mi sono messa a tremare e mi sono commossa insieme a lei. Non dimenticherò facilmente un racconto così drammatico, così terrificante, così crudo, così duro.
Sono d'accordo con lei quando afferma che questa persona merita rispetto. Mi associo a questa sua considerazione. Faccio comunque notare che - questa è una notazione a margine, di poco conto - la privacy non la stiamo violando noi, qui, ora, ma che è stata violata là, da qualcuno che ha voluto armare questa enorme bagarre.
Il fatto, che è grave e negativo, va certamente indagato fino in fondo, tuttavia si poteva anche risparmiare un «tam-tam mediatico» così terrificante che ha violato - là e in quel momento - la privacy di quella donna. Pertanto, deve essere stigmatizzata anche la stampa, assieme a coloro che si sono attaccati al telefono e hanno chiamato i giornalisti. Dobbiamo dirlo in queste aule, perché quanto accaduto poteva rimanere una questione riservata, per quanto negativa, discutibile e da


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indagare, chiusa in un ufficio del Ministero della salute e del Ministero della giustizia, senza che nessuno venisse a sapere qualcosa.

LIVIA TURCO, Ministro della salute. Io ho letto le agenzie!

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Sto dicendo che qualcuno ha fatto battere le agenzie, le quali hanno proseguito il tam-tam. Viviamo in una realtà con cui dobbiamo fare i conti e che io, in questo caso, stigmatizzo pesantemente.
Rispetto al diritto alla privacy, tutti dobbiamo in qualche modo essere responsabili del mondo in cui viviamo e in cui spesso rimbalzano notizie che non dovrebbero diffondersi.
Noto inoltre che c'è un abisso, signor ministro - lo dico sapendo che queste parole vengono registrate e ne sono contenta, perché rimarranno, spero, a futura memoria per coloro che siederanno in questi banchi dopo le elezioni - tra quello che è stato detto da lei e quello che è stato dichiarato dalle colleghe in quest'aula. C'è un abisso di atteggiamento e di approccio rispetto a come si può raccontare, vivere e reagire di fronte ad un episodio come questo. Lei lo ha raccontato commossa e anche io mi associo. Ha detto che c'era una persona coinvolta, ma questa volta la correggo: le persone coinvolte erano due, perché c'era anche un bambino. Anche questo dobbiamo dire, in queste aule. Non era una persona coinvolta, bensì due.
Queste due persone hanno pagato pesantemente, anche se in maniera diversa.
Non si può neanche parlare - la correggo e mi permetto di sottolinearlo - di «prodotto del concepimento»: è un linguaggio tecnico, freddo, molto ministeriale. Mi permetto di dire, senza suscitare le ire di nessuno - spero - che si trattava di un bambino. Era un figlio!
Chiamiamo le cose con il loro nome, perché è più giusto, più corretto e perché ci mette davanti a situazioni e verità amare, che forse sono scomode e non vogliamo conoscerle. Ad ogni modo, quello era un bambino!
Tuttavia, da questo linguaggio così arido, lei è arrivata a una conclusione che mi trova perfettamente d'accordo. Occorre riacquistare serenità, capacità di dialogo, piena applicazione della legge n. 194 - a partire dai primi sette articoli, aggiungo io, che sono stati totalmente disattesi in questi anni - e occorre sollecitare gli uomini, le donne e tutte le istituzioni, ossia le famiglie e via dicendo, ad una maggiore accoglienza del bambino che deve nascere.
Da questo punto di vista, mi sento di sottoscrivere completamente la sua dichiarazione.
Voglio poi rispondere velocemente alle colleghe che si sono tanto infervorate, poiché il mio parere vale quanto il loro. Ebbene, questa legge n. 194 non è né giusta, né saggia.
Si tratta di una legge che non ha fatto diminuire gli aborti, poiché, con tutto quello che è successo in trent'anni - la legge n. 194 non è stata mai modificata - nulla è stato fatto sul fronte della prevenzione e nessuno può sostenere che 100 mila aborti in meno siano merito della legge n. 194, altrimenti questo dato comparirebbe nelle relazioni che il Ministro ogni anno deve presentare riguardo all'applicazione di questa legge.
Se non lo dice, se non può ascrivere il risultato di 100 mila aborti in meno come merito della prevenzione è perché la prevenzione non c'è stata; non è stata fatta, mentre dovrebbe esserlo, come giustamente ha ricordato il Ministro. Quindi, questi sono meriti che la legge n. 194 non ha.
Ritengo che bisogni certamente aiutare i consultori e lavorare in questa direzione. Al contrario, mi sembra molto discutibile l'autodeterminazione della donna, perché penso che sia ora di dire che si decide in due. Non è vero che la donna deve essere sola e abbandonata davanti a decisioni così grandi.
Inoltre, sono convinta che quando entrerà in commercio la RU486, le donne dovranno essere correttamente informate - perché non lo sono - dei rischi che essa comporta. Il farmaco ha provocato (si tratta di dati scientifici) 15 morti in questi


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anni di sperimentazione. Oltre a ciò, occorre far presente che i dati relativi alla morte data dall'interruzione chimica di gravidanza è dieci volte maggiore rispetto a quella data dall'interruzione chirurgica di gravidanza. Diciamolo alle donne!

MARILENA SAMPERI. Signor presidente, anche io ringrazio i Ministri per l'attenta ricostruzione dei fatti che ci hanno fornito. Spesso dimentichiamo che la legge n. 194, di cui oggi si sta di nuovo parlando, purtroppo, non è solo la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza, ma soprattutto è la legge dei consultori, dell'informazione, dell'educazione sessuale, della promozione della procreazione responsabile e della prevenzione. Migliorare l'applicazione di questa legge e rendere più qualificato il servizio dei consultori è sicuramente necessario. Di questo dobbiamo parlare, non di una modifica della legge n. 194.
Il tentativo di collegare la moratoria sulla pena di morte, che è una grande conquista di civiltà, con la proposta di moratoria sull'aborto che vorrebbe, invece, cancellare una storia di lotte e di conquiste è un tentativo squallido e capzioso di mettere sullo stesso piano fatti di natura completamente diversa.
Proprio questo clima culturale, che da qualche tempo serpeggia, fa sì che il dibattito di oggi non possa limitarsi a una fredda e semplice ricostruzione della dinamica dei fatti. Di fronte a questo clima, nonostante a questo ultimo evento non siano seguite manifestazioni, né difese di un percorso che attraverso decenni di lotte ha portato al riconoscimento di una serie di diritti civili (proprio perché sembrava quasi un tentativo inoffensivo di archeologia civile e politica), le donne sono rimaste quasi perplesse e incredule rispetto ad un attacco che si pensava oramai non più proponibile.
La mobilitazione delle donne dell'UDI dimostra che non si può più assistere in silenzio a una recrudescenza di fondamentalismi su temi eticamente sensibili e difficili, come quelli della vita e della morte, che invece hanno bisogno di capacità di ascolto, di serenità e di rispetto profondo.
Con i fatti di Napoli sono state colpite la responsabilità della donna e la sua dignità; è stata fatta violenza a un travaglio che solo chi si è trovato di fronte a scelte così drammatiche può capire sino in fondo. Gli altri possono solo sommessamente riflettere, pensare e stare ad ascoltare.

LUIGI CANCRINI. Signor presidente, ringrazio i Ministri per le relazioni che mi sono sembrate estremamente puntuali, precise e chiare. Vorrei suggerire se, dall'evidenza che scaturisce dalle relazioni - riprendendo una frase pronunciata dall'onorevole Trupia -, si possa riflettere su come migliorare il funzionamento di una legge, che io continuo a ritenere saggia e giusta.
Al riguardo, mi vorrei soffermare su un punto della relazione svolta dal ministro Turco, che riporta i passaggi dei colloqui di questa donna, nel brevissimo tempo che intercorre tra la diagnosi all'amniocentesi e la sua decisione, che deve essere presa in poco tempo. Sono nominate figure professionali: l'assistente sociale, il ginecologo e lo psichiatra. Ebbene, io mi chiedo se queste siano le figure professionali più giuste. Al tempo in cui discutevamo del consultorio, ci eravamo chiesti se una presenza psicologica fosse importante, in quanto quello che la donna vive, nel momento in cui le si annuncia che il suo bambino porta con sé una malattia genetica, è sicuramente un trauma psichico importante. Ritengo che l'elaborazione di questo trauma - costretto, tra l'altro, dai tempi brevi in cui la donna deve prendere la sua decisione - dovrebbe essere accompagnato. Infatti, apprendere che il proprio bambino è malato e che si deve assumere una decisione, rappresenta un trauma psichico forte che necessita appunto di essere accompagnato. Nei consultori avevamo previsto la figura dello psicologo, quando c'erano le leggi che parlavano di questo.
Il collega Di Virgilio ha parlato di un altro aspetto, secondo me, importante: mi chiedo se siamo proprio sicuri - lo dico non per criticare come sono andate le


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cose, bensì pensando al futuro - che le informazioni sulla sindrome di Klinefelter le possa fornire veramente il ginecologo? Su questo punto nutro qualche dubbio.
Allo stesso modo, considero la visita psichiatrica in un solo colloquio come qualcosa di abbastanza formale e non sostanziale. Vorrei precisare alla collega Zanotti che è vero che, oltre il terzo mese di gravidanza, la determinazione fondamentale è quella della donna, però occorre anche una motivazione. E, nel caso specifico, la motivazione viene fornita dalla certificazione di uno psichiatra. Ebbene, proprio sul piano professionale, avverto una difficoltà su questo aspetto.
Nel totale rispetto, la legge va però attuata sul serio, tenendo conto di tutti quei passaggi di informazione e di ascolto della sofferenza di una persona che riceve un trauma e che permettono a quest'ultima di arrivare alla decisione più libera possibile. Ritengo che dovremmo impegnarci in questa direzione.
Ho avvertito la tristezza del Ministro mentre raccontava l'accaduto e l'ho condivisa. Mi sono anche chiesto cosa io avrei voluto, se una persona a me cara si fosse trovata in quella situazione. La mia risposta è stata la seguente: un'informazione più sicura, più corretta, più documentata, nonché un sostegno e un ascolto.
Un'altra questione che mi ha colpito molto è la discrepanza fra le dichiarazioni dell'ispettrice di polizia e quelle del magistrato, che la relazione del ministro Scotti ha evidenziato.
Questo, forse, è un aspetto che andrebbe chiarito. Il magistrato dà un ordine sul sequestro del feto e sugli accertamenti che devono essere fatti che, sicuramente, rispetto all'ispettrice di polizia che è lì, sono abbastanza sconvolgenti. Sicuramente verranno fatti tutti gli accertamenti necessari, ma c'è da riflettere molto su questi passaggi. Se veramente il magistrato aveva in mente l'idea di un reato che si era commesso - o che si stava commettendo - credo che i comportamenti non potevano essere questi. Ancora meno dovevano esserlo, se non c'era pensiero di reato. Mi sembra che, dalla relazione, emerga un comportamento quantomeno superficiale, ma anche abbastanza difficile da accettare.

CHIARA MORONI. Signor presidente, vorrei ringraziare in modo non formale il Ministro della giustizia e il Ministro della salute per le loro relazioni puntuali e altrettanto sconvolgenti, soprattutto sul piano umano. Sono personalmente sconcertata da quello che è successo a Napoli, perché la sequenza dei fatti profila - come hanno detto molti colleghi - se non un abuso, certamente un comportamento discutibile da parte della magistratura. È chiaro che a tutti noi viene da dire - come prima osservazione - che si è mobilitato un esercito: tre pattuglie, sulla base di una delazione anonima. Perdonatemi se lo dico anch'io, ma l'immagine è quella di una «caccia alle streghe».
Non può non nascere la considerazione che questo atteggiamento aggressivo, superficiale e discutibile sia anche il frutto del clima di discussione e di contrapposizione - mi richiamo a quanto detto dal ministro Turco - e non di dialogo, rispetto al tema dell'aborto e della libera scelta su una situazione così drammatica. È chiaro che proviene da questo.
Voglio riprendere quanto detto dal ministro Turco, in merito al rispetto della dignità delle persone. Già il fatto che stiamo discutendo in un'aula parlamentare di una vicenda così privata, così intima e così drammatica, lede profondamente la dignità di questa signora. Ciò non dovrebbe accadere, poiché il fatto che noi ne discutiamo è conseguenza di una serie di eventi che, invece, non avrebbero dovuto svilupparsi.
Non entro nel dettaglio di tutte le cose che si potrebbero dire, rispetto alla sequenza dei fatti, alla presenza di un vice ispettore che accoglie una donna che ha vissuto il dramma e il trauma di un'interruzione volontaria di gravidanza (peraltro avvenuta in quei termini) ed è la prima persona che vede quando ritorna in camera. È inaccettabile una situazione di questo genere e, chiaramente, si configura quantomeno un comportamento discutibile.


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Non parliamo, poi, dell'interrogatorio e del sequestro del feto.
Voglio però svolgere alcune brevi osservazioni.
Per quanto riguarda l'applicazione della legge n. 194, sicuramente condivido l'idea che vada applicata integralmente. Tuttavia, a molti anni dall'approvazione, facciamolo senza ipocrisie.
Onestamente rimango sconcertata quando sento dire da un collega, ma anche da un amico, che bisogna mettere in discussione il colloquio psicologico o che bisogna accertare il contenuto di tale colloquio. Se questo vale in tutti i casi di interruzione volontaria di gravidanza terapeutica, mi chiedo dove vada a finire la privacy, il rapporto medico-paziente. Si tratta di una discussione impegnativa, che cercherò di abbreviare, limitandomi a dire solo alcune cose essenziali.
Mi chiedo chi abbia titolo e grado per valutare la qualità, l'efficienza e l'efficacia delle informazioni fornite nel colloquio psicologico e persino del rapporto medico-paziente che si instaura tra la donna, lo psichiatra e il ginecologo. Credo che ciò rappresenti - in modo assoluto - un'invasione che la politica, il legislatore e le istituzioni non possono neanche pensare di permettersi.
Sento parlare di dover decidere in due, il che comporta il coinvolgimento dell'uomo nella decisione di interruzione di gravidanza. Rimango ferma su un principio: il legislatore deve garantire che tutte le persone possano esercitare il proprio diritto di libertà. Quindi, non credo che possiamo permetterci di pensare di entrare con un provvedimento legislativo (ma nemmeno con un giudizio) all'interno delle dinamiche di coppia. Io sono allibita! Lo dice una donna che appartiene a una generazione che non ha combattuto le battaglie per la conquista di libertà e di autonomia delle donne rispetto all'interruzione di gravidanza, ma che è drammaticamente preoccupata per come si sta svolgendo in questo Paese il dibattito attorno a questo tema, per come si respiri un clima da «caccia alle streghe», per come la moratoria sulla pena di morte possa anche lontanamente venire accomunata a una moratoria sull'aborto.
Certamente, l'applicazione della legge n. 194 deve essere integrale, soprattutto per quel che concerne la prevenzione. Ma prevenzione significa garantire la libertà di scelta della donna e della coppia, nella misura in cui decideranno di assumere questa decisione insieme o nella misura in cui la donna deciderà di prenderla da sola; nella misura in cui la libertà deve essere garantita dal fatto che non possano esserci condizionamenti esterni di tipo sociale ed economico o assenza di supporti che, invece, il legislatore deve assicurare alla donna, garantendo, comunque, la sua libera autodeterminazione nella scelta.
Credo che questo sia il nostro dovere e che il dibattito non possa essere più ricondotto né alla dinamica di laici contrapposti ai cattolici, né alla dinamica di rivendicazione di genere.
Credo che il tema sia quello di supportare anche e, soprattutto per quello che ci compete con strumenti legislativi, la donna perché la scelta sia veramente libera. Non c'è rispetto della dignità senza rispetto della libertà di ognuno.

EMANUELE SANNA. Signor presidente, le conseguenze devastanti, di carattere personale, subite da quella cittadina italiana vittima di questo allarmante episodio - che io definisco, signor Ministro, non di malasanità, bensì di malagiustizia - non sono purtroppo rimediabili. Quindi, condivido le parole e i propositi molto seri e molto chiari del Ministro della salute: rispetto, solidarietà e silenzio. Tuttavia, anche il silenzio e il rispetto non devono in alcun modo trasformarsi in indifferenza o inerzia davanti ad un episodio così inquietante - e anche così feroce - nei confronti di una donna che ha affrontato la dolorosa esperienza dell'interruzione della gravidanza dopo una diagnosi prenatale che ha accertato una patologia fetale, potenzialmente molto seria, ma non inevitabilmente molto pesante, come sappiamo.


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Il silenzio, purtroppo, è ormai un auspicio velleitario poiché il dramma di quella donna, di cui non voglio più pronunciare il nome, è stato ormai gridato nelle forme più dirompenti, come hanno ricordato tanti colleghi e colleghe, è arrivato all'emotività e alla curiosità, spesso moralistica, alle orecchie (ma forse non alle coscienze) di tutti gli italiani, grazie alla improvvida iniziativa, signor Ministro, dell'autorità, che ha disposto quell'intempestivo e spietato interrogatorio in corsia. La scelta intima e sofferta di questa cittadina italiana è pertanto diventata, purtroppo, una notizia da prima pagina, un caso da sezionare nei media e persino, temo, nell'incipiente campagna elettorale.
Se il silenzio è ormai una sterile recriminazione, sono invece più interessato a capire, signor Ministro della giustizia, quali iniziative concrete il Governo in carica intenda assumere per sanzionare il responsabile di questa intollerabile violazione dei diritti e della dignità di una cittadina italiana e di una paziente ricoverata in un presidio del Servizio sanitario nazionale.
Al Ministro della salute vorrei infine dire che dobbiamo riflettere, anche sulla base di questa dolorosa vicenda, sui percorsi umani, psicologici e clinici che portano le donne e le mamme italiane o in sala parto, o in una sala per interrompere la gravidanza. Dobbiamo, come dicevano prima altri colleghi, in particolare il collega Luigi Cancrini, riflettere sull'adeguatezza dell'assistenza non solo medica, ma soprattutto sociale e psicologica durante tutto il percorso che porta alla nascita.
Ritengo che potenziare e specializzare l'intervento del Servizio sanitario nazionale in tutto il «percorso nascita», dalla fase del concepimento fino al parto, sia un obiettivo assolutamente irrinunciabile. Infatti, si abusa di visite ginecologiche, di esami, di ecografie e si trascura, purtroppo, un'assistenza sociale e psicologica degna di un Paese civile per promuovere seriamente la maternità, la procreazione e la natalità, insieme alla piena salute materna e infantile nel nostro Paese.

GIUSEPPE PALUMBO. Signor presidente, intervengo in quanto qualcuno mi ha citato in causa per l'indagine conoscitiva che abbiamo svolto nella passata legislatura sull'approvazione della legge n. 194 e che ha portato alle conclusioni già ricordate. Però, non tanto per un problema di difesa del collega di Napoli, vorrei precisare che il caso in esame non è configurabile come un caso di malasanità. Sono in disaccordo con il collega Mazzaracchio: se i tempi sono stati quelli che il Ministro ha riportato, il problema dell'espulsione del feto poteva avvenire in bagno o anche nel letto della paziente mentre era nella sua stanza. Chi ha tanti anni di pratica sa che, con l'uso di questi farmaci e quant'altro, queste cose possono capitare.
Anch'io sono d'accordo, invece, con quanto affermato da alcuni colleghi e, in ultimo, dall'onorevole Sanna: non si comprende un simile spiegamento di forze.
Vorrei raccontare un fatto accaduto a me personalmente. Assistevo una donna in sala parto; si trattava di un parto abbastanza lungo e difficoltoso e la madre chiamò i carabinieri perché, a suo avviso, io stavo ammazzando sua figlia, visto che le praticavo il cesareo. I carabinieri vennero e andarono via subito, chiedendo scusa e il problema si risolse lì. Nel frattempo il bambino è nato regolarmente. Nel caso in esame, invece, qualcuno ha sbagliato, esagerando nel portare avanti la situazione. Se, dopo i primi accertamenti, i poliziotti intervenuti avessero telefonato al ministero e avessero riferito di non avere trovato niente di irregolare, probabilmente il discorso si sarebbe chiuso lì e nei confronti di questa paziente non ci sarebbe stata alcuna violazione di privacy, o altro.
Riguardo poi alle giuste correzioni da apportare alla legge n. 194, penso che quanto accaduto possa costituire uno spunto di discussione e di successivi miglioramenti.

SANDRA CIOFFI. Signor presidente, volevo ringraziare il Ministro della salute Livia Turco, che ha raccontato il grande


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dramma di questa signora. Siamo donne e ci rendiamo conto di che cosa tutto ciò possa significare, ma penso anche al piccolo che è stato trovato (non lo chiamerei feto, l'idea è veramente raccapricciante).
Vorrei anche ringraziare il Ministro della giustizia Scotti per come ha affrontato questo episodio che, purtroppo, oggettivamente non ha dato una bella immagine della mia città.
Devo dire che, certamente, non è stata rispettata la persona. Sulla privacy sono d'accordo con quanto detto dalla collega Balducci precedentemente. Mi meraviglia molto, per esempio, il fatto che quando si parla di rivelare i nomi di chi è stato condannato per reati di pedofilia - ne parlavo ieri con il ministro Scotti - sorge un problema di difesa della privacy, mentre in questo caso, quando si colpisce drammaticamente una donna nella maniera descritta, la privacy non vale più. Tutto ciò dovrebbe farci riflettere.
Dalla questione dei fatti di Napoli vorrei passare al discorso sulla legge n. 194, sulle cui modalità di applicazione bisogna certamente capire qualcosa in più.
Mi hanno molto colpito le precedenti affermazioni dei colleghi Di Virgilio e Cancrini - che appartengono a due opposti schieramenti - e in realtà ho sempre pensato e tuttora penso che, forse, bisognerebbe approfondire e rilanciare in maniera forte il ruolo del consultorio, che dovrebbe essere inteso come momento di informazione, come struttura che deve stare più vicino alla donna, anche dal punto di vista psicologico, evitando che diventi solamente un momento di una fredda certificazione burocratica.
Quindi occorrono una maggiore riorganizzazione, maggiori risorse, maggiore formazione e magari nuove figure professionali per i consultori.
Qui sono presenti deputati di tutti i partiti, perché allora non pensare, per la prossima legislatura, a un impegno forte per verificare e monitorare il funzionamento della legge n. 194, monitorando anche il ruolo svolto dai consultori, alla luce di nuovi episodi accaduti e considerando che il mondo cambia (si veda il tema delle donne extracomunitarie, si vedano i dati secondo cui gli aborti, per le donne extracomunitarie, sono aumentati moltissimo; si veda anche il problema delle ragazze giovanissime che hanno bisogno di un maggiore aiuto, una maggiore attenzione e una maggiore cultura della vita)?
Appartengo a una generazione di donne che hanno combattuto alcune battaglie, ma quante di loro - in un periodo in cui non esisteva una vera cultura della vita - sono rimaste talvolta drammaticamente colpite in quanto non hanno potuto scegliere con serenità, in quanto non hanno avuto un aiuto e un sostegno sufficienti? Dobbiamo tenere conto di questo, sia come politici sia come donne e uomini. Nella prossima legislatura deve svilupparsi un impegno per i diritti della persona, delle donne, della vita e dei bambini; e quello di Napoli era un bambino!

GIULIO CONTI. Signor presidente, ho ascoltato l'appello finale del Ministro Turco, che ha concluso con le parole: «piena accoglienza della legge n. 194».
Sono completamente d'accordo su questo, anzi vorrei chiarire un argomento della battaglia di questi giorni e che sta inasprendo questo tema: sono nettamente contrario alla moratoria richiesta da qualcuno. Tuttavia, avrei gradito che lei, signor Ministro, avesse letto le dichiarazioni di voto che hanno concluso l'inchiesta dell'ultimo mese della passata legislatura del Governo di centro destra, con le dichiarazioni di voto di tutti i partiti. Un documento unitario firmato da tutti. Non credevo che il dibattito di oggi sarebbe stato l'occasione per riaprire un problema in termini di violenza politica e anche di grande demagogia, come invece è accaduto, avendo ascoltato temi di femminismo acceso, sebbene non siamo più nel '68. Mi sembra che la lettura del documento sarebbe stato un modo per svelenire il clima e non aumentare la polemica su questo argomento.
Il Ministro ha svolto molto bene la sua relazione, ma questo è suo dovere; non credo che costituisca un'eccezione il fatto


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che un ministro venga in questa Commissione e faccia una buona relazione su un episodio del genere.
Ho anche apprezzato l'impegno del Ministro della giustizia a non ritenere l'indagine conclusa: vuole ulteriori accertamenti, che ha ordinato questa mattina. Quindi, qualcosa è successo, oppure non è successo. Bisogna chiarire questo punto, siamo d'accordo.
Non credo di essere in linea con quanto detto poco fa e cioè che non si tratta anche un caso di malasanità. Infatti, credo che si tratti comunque di un caso di malasanità, perché la legge n. 194, la legge sui consultori e quant'altro, non prevede affatto che una donna debba partorire in un bagno da sola. Se quello in esame non è un caso di malasanità, vorrei tanto sapere che cosa si intenda per «malasanità». Difficilmente riesco a pensare ad un caso peggiore, salvo quello del bambino «tritato» che è stato trovato in una discarica, pochi giorni fa.
Attribuirei il giusto peso a ciascun elemento, signor Ministro: che si svolgano accertamenti, mi sembra sia giusto; che la polizia si rechi in forze sul luogo del tragico fatto, invece di pensare a svuotare dall'immondizia la città di Napoli, mi sembra invece uno degli aspetti che devono far riflettere.
Conosco da molto tempo la passione e la fede politica dell'onorevole Zanotti, che accetto, ma certamente non posso condividere la sua affermazione che l'autodeterminazione della donna deve essere indiscriminata. Mi pare che questo sia contrario alla legge n. 194, oltre che nettamente contrario alla legge sui consultori. Se esistesse l'indiscriminata autodeterminazione della donna in tema di aborto, vorrei sapere a cosa servirebbero i consultori. Quale tipo di consulto potrebbero offrire a una donna che ha deciso e che può decidere tutto, anche di abortire dopo due mesi, tre mesi o di sostituire la pillola anticoncezionale con l'aborto, come accade tante volte alle ragazzine? Sono stato medico di base ed è capitato a me, come credo sia capitato a tutti i colleghi medici che sono qui dentro.
Quindi, condannando l'episodio avvenuto, ribadisco che non mi sembra corretto ritenere che questo sia un caso di buona sanità.
Vorrei anche fare presente alle colleghe di sinistra che abbiamo un Governo di sinistra con un Ministro della salute e un Ministro della giustizia entrambi di sinistra o di estrema sinistra, così come è di sinistra l'assessore alla sanità della regione Campania dove è accaduto il fatto. Queste cose accadono negli ospedali che costui amministra. Credo di essere autorizzato a restituire la polemica che le colleghe hanno sollevato. Troviamo un giusto spazio sia per la polemica che per la vicenda.
Chiudo aggiungendo una notazione alla richiesta avanzata poco fa da parte della collega Sandra Cioffi: le inchieste, legislatura per legislatura, su questo tema e su questa legge si sono sempre svolte. Ogni volta è stata condotta un'inchiesta sulla legge n. 194. Sono deputato dal 1992 e ho sempre assistito a simili inchieste, in ogni legislatura. È accaduto sempre e sia i Governi di centrodestra, sia i Governi di centrosinistra hanno lasciato la legge così com'era. Quindi, non vi scandalizzate per quello che sta accadendo in questi giorni!
L'atto di buona volontà e di serietà politica è quello di partire da capo, con altri intenti e con la volontà di non fare demagogia.

ELISABETTA GARDINI. Signor presidente, mi associo ai colleghi nel ringraziare i ministri che abbiamo ascoltato. Il Ministro Scotti mi perdonerà se, anch'io, ringrazio in particolar modo il Ministro della salute. Credo che questi temi, che lo si voglia o no, abbiano coinvolto in modo diretto e personale soprattutto noi donne. Abbiamo visto la partecipazione personale del Ministro e credo che l'abbiamo vissuta con lei, come hanno giustamente sottolineato l'onorevole Santolini e altre colleghe. Vi ringrazio anche per i toni così pacati e mi dispiace che, nel corso del dibattito, questi toni non siano stati mantenuti.
Dovremmo lasciare alle spalle una stagione politica dai toni aspri e dagli scontri


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violenti, che non hanno aiutato - lo abbiamo visto - a risolvere i problemi del Paese. Abbiamo bisogno di dialogo, di svolgere approfondimenti e di confrontarci, anche da posizioni diverse. Infatti, io posso uscire da un confronto rafforzata nel mio convincimento o indebolita, ma comunque arricchita. Anche una posizione molto distante dalla mia può aiutarmi a comprendere meglio la mia posizione, a crederci di più o a crederci di meno. Mi auguro che nel prosieguo sapremo mantenere questo tono e non ascoltare chi vorrebbe trascinarci in polemiche strumentali, di cui non abbiamo bisogno.
Non voglio entrare, pertanto, in tutta quella strumentalizzazione che è stata fatta, in cui si è parlato di ogni cosa: della legge n. 194, che nessuno vuole abolire; della moratoria (si può essere d'accordo o meno, ma è stato chiarito benissimo cosa si intende). Dico chiaramente che non voglio essere strumentalizzata come donna! Rispetto le donne che sono andate in piazza, ma non mi sento rappresentata da loro e, come me, penso anche tante altre donne.
Questo voler essere, in quanto donna, esaustiva della posizione di tutte le donne, credo sia una presunzione che dobbiamo abbandonare, perché non corrisponde alla realtà.
Io non mi riconosco in quelle posizioni: le rispetto, ma voglio che sia rispettata anche una mia posizione diversa e non voglio essere dichiarata complice dei maschi. Sono affermazioni che non capisco. Tra l'altro, «complice» è una parola che, per se stessa, non mi piace.
Credo che questa vicenda abbia fatto emergere ancora una volta un problema che abbiamo già evidenziato qui in Commissione affari sociali: mi pare che l'authority della privacy (ma, forse, mi è sfuggito) non abbia detto niente su questo caso. Credo che sia fondamentale garantire nel nostro Paese la necessaria privacy. Così tante cose verranno accertate meglio e saremo in grado di prendere provvedimenti nel merito (di malagiustizia e di malasanità). Sicuramente c'è un dato chiaro: è avvenuta una grave violazione della privacy di questa donna, inconcepibile nel Regno Unito o anche in altri Paesi. Esistono vari livelli a cui poteva essere stoppata l'invadenza che ha portato a comunicare nome, cognome e indirizzo di questa signora.
Ci siamo trovati, varie volte, a confrontarci con un'autorità sulla privacy che non riesce a tutelare la privacy in questo caso come in tanti altri (ad esempio nel caso delle intercettazioni) e allo stesso tempo costituisce un inciampo, come nel caso della fecondazione assistita, poiché non ci permette di raccogliere i dati in modo efficace per poter poi eseguire un'analisi reale e fornire risposte concrete.
Lo stesso inciampo l'abbiamo verificato nelle altre audizioni informali che abbiamo fatto, ad esempio sull'accesso degli immigrati al servizio sanitario. Ci scontriamo con questo garante, che garantisce dove avremo bisogno di sapere, pur tutelando la privacy personale, mentre altrove si verificano queste violazioni palesi di diritti.
Credo che questa donna abbia subito la peggiore delle violenze allorquando è finita su tutti i giornali e il suo dramma è stato condiviso e a volte è diventato anche una bandiera. Credo che tutto ciò non si debba ripetere mai più.
D'altro canto, non credo debba essere un tabù l'approfondimento e la discussione su quelle che sono le modalità degli aiuti che forniamo. Sono assolutamente d'accordo con quanto detto dall'onorevole Cancrini piuttosto che dall'onorevole Sanna: non dobbiamo entrare nel merito di quel colloquio, ma dobbiamo chiederci come potere aiutare la donna che si trova in solitudine. Non ho risposte pronte in tasca: dico solo che oggi, quando una donna deve decidere, è drammaticamente sola. Lo abbiamo notato anche nelle parole: stranamente, si usa il «burocratese» per essere delicati. L'accoglienza della donna porta a parlare di figlio, di bambino, mentre la non accoglienza ci porta a parlare di prodotto del concepimento, di feto. Andando alla radice della questione, tutti ricordiamo il libro Lettera ad un bambino mai nato. Credo che quelli ivi


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contenuti siano alla fine, qualunque posizione si abbia, i temi con i quali ci andiamo a confrontare.
Su questa base, abbiamo molto lavoro da svolgere, ma senza tabù, bandiere o preconcetti. Il lavoro, allora, sarà fruttuoso e potremo dare risposte per assicurare l'accoglienza e il dialogo e per fornire risposte concrete.
Ribadisco, comunque, che quello dell'Authority rappresenta un problema grande.

ENRICO BUEMI. Signor presidente, non trovo opportuno e neppure utile affrontare una discussione sulla legge n. 194 partendo dalla vicenda di Napoli perché l'importanza dell'argomento sulle procedure di interruzione della gravidanza ha bisogno di una discussione che prescinda da questa vicenda. Personalmente, ritengo che la legge mantenga tutta la sua validità, ma ognuno ha le proprie opinioni sulla questione.
Mi sembra, invece, che la questione di Napoli metta in risalto due aspetti.
In primo luogo, abbiamo un sistema giudiziario repressivo che non funziona, in quanto è evidente che esso mantiene sensibilità e attenzione verso coloro che possono rappresentare un elemento di contrapposizione forte (dai potenti della politica, a quelli della criminalità o dell'economia) mentre, rispetto a chi non ha potere (donne in gravidanza, immigrati, semplici cittadini o anche semplici politici meno potenti), il «tritacarne» dell'assenza di qualità professionali rispettose dei principi costituzionali commette i misfatti più gravi.
Nel caso in esame, sicuramente, questo elemento è presente. Apprezzo il Ministro della giustizia quando dichiara che la questione non è ancora chiusa e che occorre un approfondimento. Personalmente ritengo che ci sia stata una responsabilità dell'autorità che ha disposto e anche dell'autorità che ha agito, in quanto si sono evidenziati almeno due livelli di forte carenza professionale.
Il magistrato, infatti, non poteva non sapere l'effetto della disposizione di inviare sul posto la polizia e i poliziotti che sono intervenuti, ovvero i dirigenti che hanno disposto l'intervento, dovevano avere, di fronte a una problematica di questo genere, quella sensibilità che invece è mancata.
Detto questo, mi pare che quella vicenda sia anche la conseguenza di un clima politico, di un confronto politico sulla questione di cui parlavo prima, alimentato in questi mesi con una forte connotazione strumentale. I problemi dell'aborto non sono nuovi, ma fanno parte di un dibattito politico che si trascina negli anni e che ha avuto una recrudescenza a fronte di prese di posizione di certe autorità extra politiche che, giustamente, svolgono la propria funzione, ma che hanno una diretta influenza su quello che accade nella politica e, conseguentemente, in coloro che agiscono «in nome e per conto».
Penso che nella vicenda di Napoli ci sia anche questo: qualcuno ha voluto essere «più realista del re». La vicenda è anche figlia di un altro vizio della nostra fase storica: il vizio del protagonismo. Non esiste più un'operazione di polizia che non abbia giornalisti, conferenza stampa e tavoli su cui vengono allineati gli oggetti più stupidi, solo a scopo dimostrativo. Qualche volta mi sembra di vedere quello che succede in alcuni paesi del Centro America, dove i poteri sono collusi con i produttori e i trafficanti della droga e tuttavia si tengono le conferenze stampa con i tavoli pieni di droga che è stata sequestrata. Il meccanismo è lo stesso.
C'è bisogno di riportare gli equilibri al loro posto: non è possibile che ogni vicenda che riguarda i cittadini diventi in maniera così massiccia un elemento di scontro politico, di propaganda politica, di vicende che hanno non solo l'obiettivo di rimuovere il problema, ma anche quello di provocare effetti collaterali, sui quali certe vicende possono essere giocate. Ormai si gioca tutto sul piano del marketing politico. Non è possibile che un Paese sia gestito, dai massimi livelli ai livelli più bassi, in questa maniera. Il maresciallo dei


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carabinieri della più piccola stazione oggi agisce in questo modo, come pure i magistrati.
Io stesso posso dare una testimonianza diretta di ciò, perché mi è capitato che, mentre parlavo con un magistrato, costui intratteneva rapporti con i giornalisti. Non è possibile tutto questo!
Questa vicenda mette in risalto la crisi del nostro sistema giudiziario e questa non è una novità. Essa, però, introduce elementi di nuova barbarie sulla persona: i diritti dell'individuo, sia esso colpevole o innocente, sia esso vittima o carnefice, ormai non interessano più a nessuno, se non per organizzare l'ennesima campagna di strumentalizzazione politica.
Sono d'accordo che l'Autorità sui diritti della privacy dovrebbe occuparsi maggiormente di questi aspetti e meno di alcuni burocratismi. Tuttavia, ci sarebbe anche bisogno che le altre authority rispondessero effettivamente ai principi per cui sono state costituite e mi riferisco a tutti i garanti: della concorrenza, dell'informazione e del pluralismo televisivo.

LUCIA CODURELLI. Signor presidente, ringrazio i Ministri per questa audizione su un tema così delicato e amarissimo - come ha evidenziato, nella sua esposizione, il Ministro della salute - che credo abbia toccato tutti noi.
Mi rivolgo però in particolar modo al Ministro della giustizia. Mi è rimasta un'amarezza di fondo: se, da una parte, lei ha affermato che occorre un ulteriore supplemento di indagine per accertamenti mi sarei aspettata, in qualche modo, anche che fosse avvenuta - e mi auguro che lo sia a breve - l'individuazione e la punizione di chi ha avuto responsabilità precise rispetto a questo caso. Tanti colleghi che sono intervenuti prima hanno evidenziato - non voglio ripetermi - che non si è mai verificato un fatto così grave, a questo livello e in questo modo, non rispettando minimamente un diritto di privacy, anche in considerazione del luogo in cui il fatto si è verificato.
Dunque, mi auguro che in tempi brevi ci sia una risposta, proprio per questa donna, ma anche perché non accada più una cosa del genere. Tutto ciò mi ha lasciato un'amarezza dentro.
In secondo luogo, voglio chiarire che le donne hanno espresso solidarietà e non isterismo. Respingo appieno quanto è stato detto, perché lo reputo vergognoso. Non capire quanto è avvenuto in quel luogo a quella donna, credo che dimostri un'insensibilità che non riesco a definire. Mi sento di respingere in toto le affermazioni in questo senso.
Ringrazio il Ministro Turco per aver concluso, dopo un'esposizione così dura rispetto a quanto è avvenuto, sottolineando quello che occorre fare, in fretta, rispetto a tutti i luoghi e a tutte le responsabilità, partendo da tutte le regioni, ai fini dell'applicazione della legge n. 194.
Sono convinta, come hanno già detto altri, che l'argomento della legge vada di pari passo con l'argomento, così duro, di quanto avvenuto a Napoli. Sono convinta che, chi ha agito, lo ha fatto in quel modo perché è stato oscurato da quanto sta avvenendo e dal clima che si è creato in questo Paese. È stato già detto, ma lo ribadisco: credo che qualcuno non sia stato lucido e rispettoso, nelle azioni che doveva svolgere.
Ciò dimostra che il clima che oggi viviamo non è dei più sereni: mi auguro che durante la campagna elettorale non si cavalchi assolutamente questo modo di fare.
Ringrazio la deputata Moroni e la collega Gardini, ma credo che qualcuno, questo clima, lo abbia creato ad arte e continui ad andare avanti nello stesso senso. È un tentativo che si deve respingere a tutti i livelli, se non si vuole che la situazione si aggravi. Probabilmente qualcuno, non lucido in quel momento, ha agito secondo una sua posizione che ha ritenuto di dover affermare, invece di svolgere il lavoro per cui è chiamato, a difesa di tutti i cittadini e le cittadine.
Rispetto ai consultori e alla piena applicazione della legge n. 194, credo che ci sia molto da fare. Condivido quanto affermato dal collega Cancrini, dalle colleghe


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prima e dal collega Sanna, poiché anche in regioni come la mia, i consultori, che ci sono sempre stati e hanno funzionato in passato - dico questo perché li abbiamo sempre costantemente monitorati -, sono stati svuotati, sono diventati ambulatori: non c'è più il lavoro di equipe per supportare le donne e accompagnarle, rispetto alla prevenzione e al parto, ma anche nella fase successiva. Non possiamo infatti pensare che il solo partorire esaurisca la questione. Ricordo per le battaglie che ho fatto assieme a tante donne, che il discorso riguardava tutto l'accompagnamento, ma soprattutto il «dopo».
Dunque, dobbiamo fare tanto e l'investimento più importante è rappresentato dai consultori: è questa la vera sfida per il futuro e per l'applicazione piena della legge n. 194.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XII COMMISSIONE MIMMO LUCÀ

PRESIDENTE. Do la parola ai Ministri per la replica.

LIVIA TURCO, Ministro della salute. Signor presidente, credo solo di dover ringraziare e raccogliere i suggerimenti, che penso possano essere utili per tutti. Mi scuso per il linguaggio burocratico, ma - come è stato sottolineato - si trattava di una forma di rispetto, per non interferire.
Ribadisco l'importanza che ci sia un clima di dialogo e di confronto e penso che esso abbia come presupposto anche il riconoscimento di ciò che le donne sono e fanno. Credo che questo non sia veterofemminismo. Credo che l'attenzione - penso anche a qualcosa che non c'entra con l'oggi, cioè a tutte le forme di banalizzazione e mercificazione del corpo femminile - il rispetto e il riconoscimento nei confronti di quello che le donne sono e fanno nella nostra società, siano importanti, anzi fondamentali per promuovere una società più accogliente, un'attenzione alla vita, così come penso sia importante (come è stato detto qui) promuovere il più possibile il sostegno alla maternità e alla paternità, umanizzando i percorsi.
Io non so, onorevole Di Virgilio, se ho dato conto di quanto sia stato importante il colloquio che ho avuto direttamente. L'elemento cruciale non è l'accertamento della patologia - d'altra parte, pur nel linguaggio burocratico, viene detto che la patologia non necessariamente è così invalidante - bensì le condizioni di quella donna. Non voglio riferire in proposito, perché esiste un riserbo, ma bisognerebbe chiedersi se quella donna ha una famiglia, se è sola, se abbia avuto un ruolo importante il fatto di essere sola di fronte ad una maternità e quant'altro. Non credo ci sia bisogno di un ulteriore approfondimento del colloquio, o di altri diversi approfondimenti, seppure è stato detto - in linguaggio burocratico - che un conto è l'accertamento della patologia e altra cosa è la valutazione della situazione complessiva in cui questa signora si trovava.
Sicuramente esiste un aspetto che riguarda l'accompagnamento, il sostegno psicologico, l'umanizzazione dei percorsi e ciò rinvia alla piena applicazione della legge.
Concludo raccogliendo quanto avete detto e auspicando che vi siano dialogo e confronto. Faccio solo riferimento ad alcuni provvedimenti che stiamo concludendo, poiché si è interrotto un lavoro che stava arrivando ad alcuni risultati, anche se stiamo comunque lavorando in questo periodo per riuscire a portarlo ugualmente a conclusione.
La relazione al Parlamento si fa con i dati dell'Istituto superiore di sanità. Sono sempre stata puntuale nella presentazione della relazione e non posso che ribadire quanto ho già detto: la relazione al Parlamento si fa quando sono disponibili i dati dell'Istituto superiore di sanità, poiché è quella l'istituzione pubblica che definisce e monitora costantemente l'applicazione delle leggi.
Quello che stiamo concludendo è l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, che andranno alla prossima Conferenza Stato-regioni e che mi sembra


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molto importante, perché amplia i livelli essenziali di assistenza per la tutela materno infantile. Sono felice di poter dire che è confermata quella analgesia epidurale, che non è in applicazione della legge n. 194, ma comunque è a tutela della maternità e per la quale ci eravamo impegnati.
Le regioni, inoltre, stanno presentando i progetti per il potenziamento dei consultori che era previsto nella precedente legge finanziaria, proprio nella direzione che qui è stata auspicata di potenziamento dell'aspetto più relazionale dei consultori, con un atto di intesa che abbiamo stipulato con il Ministro della famiglia, utilizzando risorse della precedente legge finanziaria. Le regioni stanno anche presentando i progetti per quanto riguarda l'utilizzo di parte del fondo sanitario nazionale, finalizzato ai cosiddetti obiettivi di piano. Voi ricordate che avevamo stanziato risorse per il potenziamento del progetto materno infantile: siamo arrivati alla conclusione anche di questo.
Si è avviata l'attività del Centro nazionale per la salute degli emigranti per il contrasto delle malattie della povertà con un programma nei confronti della salute delle donne immigrate. Anche se su questo tema dobbiamo dare degli indirizzi poiché le politiche dei servizi sono regionali. Il centro, oltre a promuovere momenti di formazione, insieme alle associazioni rivolte alle donne migranti, promuove azioni di indirizzo nei confronti delle regioni stesse.
Non ultimo, cito l'atto di intesa Stato-regioni per la piena applicazione della legge n. 194 e per la tutela sociale della maternità, un atto molto importante, perché è frutto del lavoro che abbiamo svolto insieme alle regioni e affronta (come dicevo, le politiche sono regionali e quindi è importante che ci sia un atto di indirizzo) i temi della piena applicazione della normativa in tema di maternità.

LUIGI SCOTTI, Ministro delle giustizia. Signor presidente, il taglio della mia relazione è stato volontariamente formale, burocratico e neutrale, perché ho rispetto per l'autonomia delle donne e quindi non posso tentare di comprendere quanto dramma e quanta difficoltà ci sia nel prendere decisioni come quella a cui si riferisce la vicenda. Non posso che inchinarmi a questa sofferenza.
Inoltre, Napoli è la mia città, conosco il contesto nel quale si sono verificati i fatti, la solitudine e le preoccupazioni affrontate dalla signora di cui parliamo per gestire il futuro per un figlio, con probabili menomazioni gravi.
Da ex magistrato, dunque, mi sono mantenuto agli aspetti formali, ma ripeto tutto il mio disagio nel considerare come sottofondo la drammaticità di questa situazione.
Prendo le mosse dall'ultimo intervento. Ho detto che vogliamo approfondire ulteriormente la vicenda perché ci sono delle discrasie. Dico qualcosa in più: sarebbe facile affermare che la colpa è della poliziotta che incautamente, benché donna, si è presentata e ha compiuto un'indagine eccessiva. Oppure sarebbe facile dire che la colpa è della polizia che si presenta con sette persone, o ancora che la colpa è del sostituto che, anziché dare un indirizzo preciso specificando le azioni da compiere, ha detto di recarsi all'ospedale per verificare. Voglio mettere insieme gli elementi, in un puzzle completo, in modo da evitare le sfasature e vedere se effettivamente siano avvenute negligenze e superficialità iniziali. Sicuramente c'è stato dello stupido protagonismo da parte di qualcuno che poi ha rinnegato la prima telefonata che, forse, ha ritenuto di fare per il clima in cui vive o per il clima che obiettivamente si è creato - ma questa valutazione non mi compete -. Costui ha prima parlato di una telefonata in cui avrebbe detto che era in atto un infanticidio; in una seconda versione, invece, ha sostenuto di aver denunciato che era in corso un fatto di malasanità: una povera donna era stata abbandonata a se stessa e nessuno la assisteva. Questo aspetto è fondamentale.
Di fronte ad alcune sfasature e ad alcune contraddizioni, non voglio dare la colpa pregiudizialmente a nessuno, bensì voglio ricostruire i fatti nella loro effettività,


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nella loro precisione, avvalendomi del servizio di indagine e di valutazione dell'ispettorato, in modo da avere piena consapevolezza dell'esistenza di responsabilità, il cui accertamento mi compete direttamente.
La violazione che si è già accertata, di cui siamo tutti consapevoli, è quella relativa alla privacy. Chi conosce il testo unico sulla privacy, sa che i dati di cui ci occupiamo sono dati sensibili che non possono essere manifestati, se non per determinate ragioni. Si tratta di dati che in verità possono essere conosciuti a livello giudiziario, ma solo quando sussista effettivamente una azione penale in corso e non già in conseguenza di un sospetto o di una denunzia anonima. Quindi, questo è un fatto rilevante che, purtroppo, riporta alla mia prima annotazione: la signora di cui parliamo è stata esposta, anche nella sua vicenda personale, a una conoscibilità collettiva che non è soltanto quella responsabile del Parlamento e del Governo, ma è quella generale, con tutte le annotazioni e, talvolta, anche le considerazioni sbagliate che possono seguire. A tutto ciò essa è stata esposta, senza neppure poter dire la sua, se non in termini di dolore, che ha bene espresso al ministro Turco, che ha avuto la grande sensibilità di chiamarla.

DOMENICO DI VIRGILIO. Signor presidente, intervengo solo per dire che io mi sono basato esclusivamente su quanto riportato circa il fatto di Napoli; non avrei mai chiesto la violazione della privacy. Il colloquio tra medico e paziente va rispettato, ma qui l'evento è diventato pubblico. Siccome la richiesta della signora, rispettabilissima, era stata avanzata sulla base del danno psichico derivante da una malformazione, chiedo se nel colloquio ciò sia stato manifestato chiaramente. Il Ministro Scotti parla adesso di menomazione o malformazione grave, ma non so in base a quali elementi lo affermi dato che la sindrome di Klinefelter può non essere grave.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti e dichiaro concluse le comunicazioni del Governo.

La seduta termina alle 16,10.