COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 25 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
UMBERTO RANIERI

La seduta comincia alle 13,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Famiano Crucianelli, sulla situazione in Europa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2 del regolamento, l'audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Famiano Crucianelli, sulla situazione in Europa.
Do la parola al sottosegretario Crucianelli per lo svolgimento della sua relazione.

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor presidente, onorevoli deputati, nell'illustrare le linee programmatiche concernenti le aree geografiche e le tematiche di mia competenza, intendo dedicare particolare attenzione al dibattito relativo al futuro dell'Europa, al connesso tema dell'allargamento dell'Unione europea ed alle aree di crisi nel continente, segnatamente nella regione del Balcani e del Caucaso. La mia delega è particolarmente complessa, componendosi sia della parte relativa all'Europa comunitaria sia della parte bilaterale riguardante ben 54 paesi.
La perdita di velocità della spinta europeista, fenomeno peraltro ciclico nella storia - comunque di grande successo -, della costruzione europea va ascritto, forse per la prima volta, al contemporaneo affacciarsi di difficoltà tanto sull'azione dei diversi governi che su quello delle pubbliche opinioni. Difficoltà di azione a livello politico e cambiamento di percezione della popolazione che, oltretutto, appaiono trasversali rispetto ai vari schieramenti, risultando difficile marcare un chiaro confine, soprattutto tra i cittadini, tra «euroscettici» e «non».
Il Governo, com'è nel suo programma, ha fatto dell'opzione europeista uno dei punti fondamentali della sua strategia. D'altronde, tutti i fatti internazionali, anche di queste ore, sono la testimonianza di quanto sia essenziale una voce unica ed un protagonismo forte dell'Europa per affrontare e tentare di risolvere quelle crisi che peraltro esplodono solo a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste.
Le difficoltà del progetto europeo si compongono di non marginali elementi. Sarebbe molto lungo affrontarne i diversi e contraddittori aspetti. Schematicamente desidero ricordare come sul sentimento popolare dei cittadini europei abbia certamente pesato l'incapacità dell'Europa di far fronte alle difficoltà sociali ed economiche di questi anni e che all'euro non abbiano fatto seguito politiche chiamate ad affrontare in modo adeguato tali aspetti.
L'Europa è apparsa sempre più distante, tecnocratica, lontana dai problemi della gente comune e del mondo del lavoro. A questa percezione si sono intrecciate


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le numerose paure dei cittadini europei: paura per la propria sicurezza di fronte alla presenza e all'arrivo degli immigrati; paura e diffidenza dell'ampliamento dell'Unione europea a nuovi paesi; paura per un futuro fatto di precarietà e di incertezza; smarrimento di fronte all'aggressività delle nuove potenze commerciali ed economiche del continente asiatico.
L'Europa, in una parte della sua opinione pubblica, è stata vista e vissuta più che come soluzione come causa dei diversi problemi. Voglio anche aggiungere che una parte della classe dirigente europea, venendo meno alla sua funzione e alla sua responsabilità, preoccupandosi più del suo destino piuttosto che del futuro dei cittadini europei, ha riscoperto nuovi, inutili e dannosi egoismi nazionali, quando non è arrivata, addirittura, ad alimentare nuove e pericolose tendenza xenofobe.
Niente di più sbagliato: se non vogliamo, infatti, condannare i nostri paesi alla marginalità, alla decadenza e alla subalternità la sola via che ci resta è quella di un forte progetto europeo. Il rilancio dell'Europa è, quindi, una delle nostre missioni fondamentali. Tale rilancio passa attraverso due corsie della stessa strada. In primo luogo atti, scelte, programmi e progetti che possano ridare senso e concretezza al progetto europeo. È questa una delle importanti e condivisibili decisioni assunte dall'ultimo Consiglio europeo; è questo l'obiettivo centrale delle riunioni del Consiglio affari generali e relazioni esterne che si tengono a Bruxelles: vale a dire «l'Europa dei risultati».
La seconda corsia è la ripresa del percorso sul Trattato costituzionale. Con la Finlandia saranno 16 i paesi europei che hanno approvato il Trattato costituzionale; saranno 18 dopo l'ingresso più che probabile della Romania e della Bulgaria con il 1o gennaio 2007. Resteranno fuori 9 paesi, alcuni dei quali incerti o con governi dichiaratamente euroscettici o, anche, come Francia e Olanda ove il risultato referendario ha bocciato il Trattato costituzionale. La situazione è, quindi, complessa e di non facile soluzione, però la stragrande maggioranza, se non la totalità dei governi, conviene che entro le elezioni del 2009 il problema debba essere affrontato e risolto.
La nostra convinzione è che non sia pensabile un progetto europeo forte, un protagonismo strategico dell'Europa senza principi fondamentali comuni. Non si tratta come qualcuno maliziosamente insinua di costruire una sorta di «super-Stato» che annulli differenze ed entità nazionali (scelta non solo sbagliata, ma anche del tutto velleitaria), bensì di definire quei lineamenti fondamentali e quei valori comuni che sono la carta di identità e il principio attivo della nostra civiltà, della nostra democrazia, del nostro Stato di diritto e che necessariamente debbono rappresentare la premessa, la ragione di fondo di un progetto europeo forte.
Le vie per affrontare e risolvere questa decisiva questione possono essere molteplici. Certamente, occorre partire assumendo e ragionando su quella «massa critica» di idee, proposte e, anche, contestazioni che si sono avute sin qui sul Trattato istituzionale.
La Presidenza finlandese prima e, in modo via via più accelerato, la successiva Presidenza tedesca hanno il compito di organizzare i lavori e di produrre risultati su questo tema cruciale. Un serio contributo potrà inoltre venire dal Parlamento europeo. È del tutto evidente che le elezioni francesi rappresenteranno un passaggio fondamentale di questo processo. Per ora, nei numerosi incontri finora fin qui sostenuti con la Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo, nelle sedi europee comuni o negli incontri bilaterali, abbiamo da parte nostra avanzato le sollecitazioni che ho qui rappresentato. Pur non mancando ipotesi e suggestioni tecniche è, però, evidente che la principale questione da cui partire riveste natura tutt'altro che tecnica. L'obiettivo è di ricostruire un sentimento positivo dell'opinione pubblica europea nei confronti del progetto Europa.
Per questo, il Trattato costituzionale europeo e «l'Europa dei risultati» sono due corsie della stessa strada.


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Dal punto di vista operativo, e non solo, ci troviamo dunque di fronte ad una sfida che ci impone di recuperare, sul piano dell'azione governativa, coerenza e determinazione a quelle leadership che solo pochi mesi or sono avevano sottoscritto un Trattato costituzionale da esse stesse negoziato ed accettato. Verso le pubbliche opinioni, al contempo, occorre invece recuperare il senso di un progetto che le vicissitudini degli ultimi anni, compresa la crisi di crescita dell'Unione europea, hanno contribuito in parte ad appannare.
Il Governo italiano è fermamente intenzionato a contribuire a che la cosiddetta fase di riflessione non si trasformi in una paralisi. Tale pausa deve servire a noi tutti per rilanciare un progetto che riteniamo essenziale per il nostro futuro. Lo dovremo fare mettendo in campo tutta la nostra capacità, che deriva, tra l'altro, dal nostro status di paese fondatore, da un'opinione pubblica ancora fedele al progetto, da forze politiche che, in modo bipartisan, hanno sollecitamente ratificato il Trattato firmato a Roma nel 2004.
Il Consiglio europeo del 15-16 giugno scorso, nel confermare la validità del processo di ratifica del Trattato costituzionale, ha stabilito che la Presidenza tedesca presenti nel primo semestre del 2007 una relazione al Consiglio europeo basata su ampie consultazioni con gli Stati membri.
Tale relazione dovrà contenere una valutazione dell'andamento delle discussioni relative al Trattato costituzionale ed analizzare eventuali futuri sviluppi, tenuto conto anche del risultato negativo delle consultazioni referendarie sul Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi. In vista di tale relazione si è da parte nostra già offerta la disponibilità di un contributo convinto che offriremo nell'arco dell'attuale Presidenza di turno finlandese e di quella successiva, assicurata dalla Germania.
L'esito dell'esame da parte del Consiglio europeo rappresenterà la base per ulteriori decisioni sulle modalità per proseguire il processo di riforma, fermo restando che le iniziative necessarie a tal fine dovranno essere prese al più tardi nel secondo semestre del 2008, sotto la Presidenza francese.
In tale quadro, per l'Italia resta prioritario sostenere la coesione dei paesi che hanno già ratificato, in particolare di quelli like minded come Germania, Spagna e Belgio sottolineando, soprattutto in questa fase iniziale, la nostra comune indisponibilità all'ipotesi di «spacchettamento» del Trattato costituzionale. Questo per rispetto sia dei parlamenti nazionali che tale Trattato hanno già ratificato, che delle opinioni pubbliche in quei paesi, come Spagna e Lussemburgo, ove si sono tenuti referendum con esito positivo.
Inoltre, un'apertura ad ipotesi di revisione del Trattato costituzionale dissuaderebbe senza dubbio dal completare la ratifica quei paesi come la Finlandia che sono attualmente impegnati in tal senso.
Il dibattito su una possibile riapertura del negoziato costituzionale da articolare sulla base del Trattato firmato a Roma il 29 ottobre 2004 non potrà in ogni caso avere luogo prima del semestre di Presidenza tedesco, che coinciderà, tra l'altro, con le scadenze elettorali in Francia. Rimane imperativo adottare decisioni operative entro il 2009 quando avranno luogo le elezioni del Parlamento europeo e verrà nominata la prossima Commissione.
In questo percorso si inserisce la decisione dell'ultimo Consiglio europeo di adottare il 25 marzo 2007 a Berlino una dichiarazione politica dei leader dell'Unione europea, che illustri i valori e le ambizioni dell'Europa confermando l'impegno condiviso a produrre risultati percepibili dai cittadini per celebrare il cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma.
L'Italia, per parte sua, ha avviato la predisposizione, d'intesa con le istituzioni dell'Unione europea, di un largo ventaglio di iniziative per celebrare questo importante anniversario, che coincide anche con il centenario della nascita di Altiero Spinelli e con il ventennale del programma Erasmus. Il Presidente della Repubblica ha annunciato di voler ospitare presso il Palazzo del Quirinale una mostra di capolavori


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provenienti da tutti gli Stati membri, mentre il Governo ha intenzione di organizzare a Roma un evento interistituzionale di alto livello che preceda il Consiglio europeo straordinario del 27 marzo 2007 che si terrà a Berlino.
A quanto mi risulta, infine, il Parlamento italiano prevede, dal canto suo, di organizzare nella nostra capitale un incontro dei presidenti dei parlamenti dei 25 paesi membri e dei 2 candidati, nonché del Parlamento europeo.
Ma il nostro impegno concreto deve dispiegarsi da subito anche attraverso quell'Europa dei «progetti» e, soprattutto, dei «risultati», suscettibile di rafforzare il nostro sforzo comune di intensificare la collaborazione tra i governi e trasmettere ai cittadini il senso di un disegno complessivo. Per tale motivo intendo ora soffermarmi su tre direttrici di lavoro comune che da Bruxelles possono dare il senso di un impegno europeo concreto che nel frattempo prosegue, pur nella fase di impasse appena descritta.
In tema di politica energetica dell'Unione europea, ad esempio, permettetemi di tracciare gli ultimi sviluppi che si sono determinati in sede comunitaria, per poi passare ad una illustrazione delle posizioni del Governo. Il tema dell'energia, già incluso nelle priorità scaturite dal vertice informale dei capi di Stato e di Governo di Hampton Court nell'ottobre 2005, per il rilancio della competitività e della crescita in Europa nel quadro della rinnovata Strategia di Lisbona, è al centro dell'attenzione dell'Unione europea. In particolare, come sapete, il tema della sicurezza energetica ha acquistato ulteriore attualità ed urgenza dopo la recente crisi per l'approvvigionamento del gas naturale dalla Russia del gennaio scorso.
La consapevolezza dell'emergente vulnerabilità del continente, la sua crescente dipendenza dall'estero, la volatilità delle quotazioni del petrolio, le incognite ed i rischi di instabilità presso i principali fornitori, sono tutti fattori che stanno orientando l'Unione europea a convergere verso una politica energetica più coordinata e coesa al proprio interno ed al tempo stesso più incisiva nella sua proiezione esterna.
Il Consiglio europeo di giugno 2006 si è soffermato più in dettaglio sul rafforzamento della proiezione esterna della politica energetica dell'Unione europea ed ha approvato un rapporto, intitolato «Una politica esterna al servizio degli interessi energetici dell'Europa» - presentato congiuntamente dal Collegio dei commissari e dall'Alto rappresentante Solana -, che muove dalla premessa della crescente dipendenza dell'Unione da approvvigionamenti esterni provenienti da focolai di instabilità, nonché dalla sempre più frequente propensione dei principali fornitori ad utilizzare l'energia anche come uno strumento di pressione politica. L'obiettivo di fondo, conformemente alle decisioni del Consiglio europeo, è quello di puntare su di una politica energetica dell'Unione che abbia basi più coese ed incisive.
Il Consiglio europeo di giugno ha sottoscritto le priorità per una politica energetica esterna dell'Unione europea proposte dalla Commissione, suggerendo di recepirle nel piano di azione che dovrà essere approvato nel 2007 al Consiglio europeo di primavera, nel corso del mandato semestrale della Presidenza tedesca: dialogo con la Russia, espansione ai paesi vicini del mercato interno dell'Unione europea in materia di energia, miglior utilizzo della politica europea di vicinato per realizzare le politiche europee in materia energia; conclusione dei negoziati sul protocollo di transito della Carta dell'energia e ratifica di quest'ultima da parte di tutti i paesi firmatari; sostegno ai progetti infrastrutturali volti ad aprire nuove rotte di approvvigionamento per diversificare le importazioni di energia; integrazione degli obiettivi energetici dell'Unione europea nella politica commerciale, e, infine, inserimento del tema energia nel contesto delle relazioni dell'Unione europea con i principali paesi terzi in generale.
Il Governo dà pieno sostegno alle iniziative identificate dagli ultimi due Consigli europei in tema di politica energetica per l'Europa che ho appena descritto, che


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recepiscono i 6 settori chiave elencati nel libro verde presentato dalla Commissione: competitività e mercato interno dell'energia, diversificazione del mix energetico, solidarietà, sviluppo sostenibile, innovazione e tecnologia, politiche esterne.
Per l'Italia è inoltre fondamentale la diversificazione degli approvvigionamenti, in relazione sia alla molteplicità delle fonti di energia che alle diverse rotte di transito. Per tale motivo siamo in favore dello sviluppo di nuovi corridoi energetici attraverso la realizzazione dei progetti di nuovi gasdotti, ma soprattutto attraverso la realizzazione dei rigassificatori.
Nel quadro dell'«Europa dei progetti», è evidente che per il Governo italiano la realizzazione dei grandi assi infrastrutturali europei rappresenta una delle priorità principali. Le reti transeuropee sono un elemento molto importante per il completamento del mercato unico, per la realizzazione degli obiettivi della Strategia di Lisbona, per il perseguimento della coesione economica, sociale e territoriale.
Lo sono in particolar modo per l'Italia che, in considerazione della sua posizione geografica, potrebbe rischiare, in assenza di collegamenti adeguati con resto del continente, di non partecipare appieno ai benefici dell'integrazione dei mercati e della libera circolazione delle persone e delle merci.
Condividiamo, pertanto, l'aver a suo tempo inserito tra le priorità del Piano nazionale per la crescita e l'occupazione, redatto nel quadro della revisione della Strategia di Lisbona, l'adeguamento delle infrastrutture materiali ed immateriali.
Il Governo intende ora confermare questa priorità con il Rapporto sullo stato di attuazione del piano, che dovrà essere trasmesso alla Commissione entro il 15 ottobre, sottolineando in particolare gli stretti collegamenti tra la programmazione nazionale e quella comunitaria in tema di infrastrutture.
Siamo quindi determinati a favorire la realizzazione dei grandi progetti infrastrutturali concordati a livello europeo, fra cui in particolare quelli di nostro immediato interesse.
Tra i 30 progetti prioritari individuati della decisione 884/2004, che fissa i nuovi orientamenti per le TEN, vi sono quattro progetti di grande interesse per le nostre reti infrastrutturali: l'asse Lisbona-Lione-Torino-Trieste-Budapest-frontiera ucraina (il cosiddetto corridoio V), l'asse Berlino-Brennero-Palermo (corridoio I), l'asse Rotterdam-Genova (corridoio dei 2 mari) e le autostrade del mare.
Più nello specifico, per quanto riguarda la Torino-Lione, il Governo ha avuto occasione di confermare sia alla coordinatrice del corridoio V, l'ex commissaria Loyola De Palacio, che al ministro dei trasporti francese Perben, in incontri a Roma con il presidente Prodi e con i ministri Di Pietro e Bianchi, la volontà italiana di procedere con la realizzazione del progetto, ma con una metodologia condivisa, finalizzata a creare un clima di fiducia con le popolazioni e le amministrazioni locali della Val di Susa. Abbiamo inoltre concordato con la controparte francese di operare in stretto coordinamento per la richiesta del cofinanziamento alla Commissione, in vista dell'avvio dei lavori, previsto per il 2010.
Per quanto riguarda il confine orientale l'Italia attribuisce grande importanza alla realizzazione della tratta ferroviaria Trieste-Lubiana, anello di congiunzione fra la linea transpadana e il corridoio V verso i paesi di nuova adesione. In un recente incontro il ministro D'Alema e il ministro degli esteri sloveno Rupel hanno ribadito la comune volontà di realizzare la linea Trieste-Divaccia/Capodistria-Divaccia, sno do fondamentale per il collegamento con Lubiana e l'Europa centro-orientale.
In relazione al corridoio I, Italia e Austria attribuiscono grande importanza alla realizzazione del tunnel ferroviario del Brennero. Questo impegno è stato recentemente confermato nell'incontro a Vienna il 13 giugno tra il presidente Prodi e il primo ministro Schuessel. Il 30 giugno hanno avuto inizio i lavori per lo scavo di un primo tunnel. La vera e propria costruzione del traforo dovrebbe avere inizio nel 2007 e terminare nel 2015.


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Fra gli altri assi di collegamento strategici per il nostro paese vorrei ricordare il corridoio VIII, che collega l'Adriatico, tramite il porto di Durazzo, al Mar Nero passando per Tirana, Skopje e Sofia. Non è compreso nella lista dei 30 progetti prioritari perché interessa paesi che, a parte l'Italia, non sono membri dell'Unione. Il Gruppo ad alto livello per la Wider Europe for Transport, presieduto da Loyola De Palacio, ha tuttavia riconosciuto nel suo rapporto finale, presentato alla fine del 2005, l'importanza di questo corridoio come uno degli assi di collegamento principale nelle relazioni dell'Unione europea con i paesi vicini. Anche avvalendoci di queste conclusioni, siamo intenzionati, insieme agli altri paesi interessati (Bulgaria, Albania, Macedonia), con cui è stato firmato un Memorandum of Understanding nel 2002, a fare tutto il possibile per far avanzare il progetto.
Abbiamo parlato pochi giorni or sono anche con la massima dirigenza bulgara registrando una piena convergenza di vedute sul fatto che realizzazioni di questo genere rappresentano una risposta non solo sul piano economico bensì anche su quello della politica, in termini di stabilità regionale complessiva, e persino culturale.
La costruzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia rappresenta ormai una priorità costitutiva dell'Unione europea. L'Italia è pronta a fornire il suo contributo per favorire il rilancio complessivo dell'integrazione in tale ambito.
I cittadini chiedono all'Europa la garanzia di muoversi liberamente in condizioni di sicurezza e un accesso equo alla giustizia. Dobbiamo rispondere a queste aspettative con risultati concreti, sfruttando il significativo potenziale offerto dai trattati già esistenti.
Abbiamo innanzitutto intenzione di impegnarci per recuperare il terreno perduto nel settore della cooperazione giudiziaria penale, completando il recepimento degli strumenti legislativi adottati ed avviando un'approfondita riflessione in vista della revisione di metà percorso del Programma de L'Aia, che rappresenterà un momento importante di verifica dei risultati raggiunti, ma anche di dibattito sulle scelte future.
Prendiamo nota con interesse della proposta di trasferire alcuni aspetti della cooperazione di polizia e giudiziaria penale alla procedura legislativa comunitaria. L'Italia non mancherà di approfondire tale possibilità; tuttavia, non ci nascondiamo le difficoltà legate alla definizione della «clausola-passerella» e al suo funzionamento, in particolare la necessità di approvazione attraverso ratifica dei parlamenti nazionali.
Su un piano più generale siamo consapevoli che garantire ai cittadini un elevato livello di sicurezza presuppone un'adeguata attenzione per la dimensione esterna dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, dal momento che l'efficacia di molte delle politiche dell'Unione europea in tale settore dipende anche dalla cooperazione con i paesi partner situati all'esterno delle sue frontiere. Penso alla lotta contro il terrorismo, al contrasto dei traffici illeciti e, soprattutto, alla gestione dell'immigrazione.
Ancora nei miei recenti contatti con gli interlocutori balcanici (da ultimo in Montenegro) ho sottolineato l'imprescindibilità del rafforzamento di una tale collaborazione proprio al fine di dare credibilità a quella prospettiva europea che noi pure convintamente sosteniamo per quella regione.
Occorre, poi, sviluppare il dialogo e la cooperazione con i paesi di origine e di transito dei flussi migratori, nella consapevolezza delle comuni - sia pur differenziate - responsabilità di fronte a tale fenomeno, che rappresenta uno degli aspetti strutturali della globalizzazione.
L'Italia continua a ritenere pienamente valido quell'approccio globale, volto a gestire il fenomeno migratorio in tutti i suoi aspetti, approvato dal Consiglio europeo del dicembre 2005. È certamente essenziale proseguire il contrasto all'immigrazione clandestina - specie via mare - per rispondere alle preoccupazioni di sicurezza dei cittadini europei e salvare vite umane vittime di traffici criminali; ma


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occorre anche valorizzare i benefici legati alla migrazione economica e salvaguardare le esigenze di protezione internazionale.
In questo quadro, come sottolineato dal Consiglio europeo, i paesi dell'Africa e del Mediterraneo rivestono carattere prioritario. L'Unione Europea deve impegnarsi al fine di dare risposte adeguate alle aspettative di sviluppo di tali paesi.
Da una parte abbiamo, quindi, sostenuto con decisione l'iniziativa di una conferenza ministeriale Euromed, da svolgersi non appena le condizioni lo permetteranno. Dall'altra, peraltro, il Governo italiano ritiene, però, essenziale il coinvolgimento di tutti i paesi di origine e di transito dei flussi. Condividiamo, quindi, pienamente l'opportunità dello svolgimento a Tripoli di una conferenza Unione Europea-Africa, così come stabilito dalla dichiarazione finale della recente Conferenza di Rabat. Tale conferenza potrà consentire di affrontare in maniera comprensiva e coordinata le diverse problematiche immigratorie.
Siamo interessati a fornire un importante contributo alla preparazione della Conferenza di Tripoli ed a collaborare a tutte le iniziative che ne completano la preparazione.
È, poi, evidente che per poter sviluppare il dialogo e la cooperazione con tutti i paesi coinvolti dalle rotte migratorie occorre anche che l'Unione europea preveda i necessari stanziamenti di bilancio per i programmi migratori; è inoltre essenziale destinare le risorse disponibili verso le aree prioritarie (Africa e Mediterraneo) chiaramente già individuate dal Consiglio europeo.
L'attuale fase, in cui si stanno ridisegnando i nuovi strumenti per le relazioni esterne dell'Unione europea per i prossimi sette anni, rappresenta, quindi, la giusta occasione per attribuire al settore dell'immigrazione risorse finanziarie adeguate.
Signor presidente, onorevoli deputati, l'Italia proseguirà nella sua tradizionale politica di sostegno alle aspirazioni europee dei paesi dell'Europa sud-orientale. In tale quadro si rivelerà fondamentale il ruolo strategico della Turchia, vicina ad aree di forte instabilità quali Iraq ed Iran. Non abbiamo mancato di apprezzare, ogni volta che si siano manifestate, le varie iniziative da essa intraprese volte a favorire il dialogo fra culture e civiltà diverse, potendo Ankara contare su una propria struttura di Stato al tempo secolare e laico ma a stragrande maggioranza musulmana. Ma non abbiamo, allo stesso tempo e con eguale vigore, mancato di sottolineare la necessità che Ankara porti a compimento con rinnovato slancio il vasto programma di riforme interne in cui si è impegnata ed assicuri una capillare attuazione delle misure già adottate.
L'ingresso della Turchia nell'Unione Europea sarebbe uno straordinario evento; per molti versi uno storico risultato. Sarebbe un enorme contributo all'incontro e alla convivenza fra culture, civiltà, religioni che oggi in diverse parti del mondo si confrontano drammaticamente. Non sfugge, però, a nessuno quanto il percorso sia complesso e quanti siano i problemi aperti sul tavolo. Non mi riferisco solo all'irrisolto problema cipriota o all'apertura dei porti e aeroporti turchi ai greci-ciprioti, ma ai temi delle libertà democratiche e dei diritti che debbono essere garantiti alle minoranze interne e, evidentemente, in primo luogo a quella curda.
Consapevoli delle difficoltà che Ankara incontrerà nel suo cammino verso le istituzioni europee abbiamo rafforzato i rapporti sul piano bilaterale. Anche in tale ottica abbiamo fissato per il 7 e 8 novembre prossimi il Foro di dialogo italo-turco, preceduto nel mese di ottobre dal tavolo geografico, in occasione del quale verrà effettuata una vasta disamina dei principali temi di carattere politico, economico e culturale. Consideriamo con viva soddisfazione l'ampiezza, comunque, dei rapporti economici bilaterali e l'interesse degli investitori italiani per le opportunità offerte dal mercato turco.
Il percorso di integrazione della Turchia nell'Unione europea, che continuiamo a sostenere, dovrà avvenire nel rispetto delle condizioni già fissate e verrà attentamente monitorato dall'Unione europea.


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Nella fase attuale la Commissione sta analizzando la legislazione turca valutandone le compatibilità con il cosiddetto acquis comunitario, vale a dire l'insieme di norme che regolano l'Unione europea nei settori più diversi. Naturalmente, il cammino che Ankara deve ancora compiere, come dianzi accennavo, è lungo e irto di ostacoli da rimuovere, ma è grazie a questo percorso che il paese potrà maturare e trasformarsi in profondità, avvicinandosi progressivamente agli standard europei.
In questo contesto, e passando brevemente al più generale dibattito in corso a Bruxelles sui futuri allargamenti dell'Unione europea, intendiamo ribadire l'importanza che il processo venga proseguito senza tentennamenti. Nonostante la cattiva stampa di cui gode in alcuni paesi europei, l'ultimo allargamento dell'Unione europea rappresenta uno straordinario successo storico che ha permesso il superamento definitivo di una anacronistica divisione nel cuore dell'Europa.
In autunno, la Commissione presenterà un rapporto specifico, che sarà poi alla base delle discussioni del Consiglio europeo di dicembre, sulla «capacità di assorbimento» dell'Unione europea, concetto che alcune capitali intendono utilizzare per rallentare artificiosamente il processo di allargamento, specie per la Turchia e i paesi dei Balcani occidentali. Siamo pronti a discutere della questione, anzi, riteniamo che il dibattito dovrebbe allargarsi alla società civile ed ai cittadini europei nel loro insieme. Ma intendiamo, al tempo stesso, batterci perché l'Unione europea mantenga gli impegni presi con i paesi interessati, anzitutto nella regione balcanica, e ribadisca con forza la loro prospettiva europea.
Noi riteniamo che sarebbe un errore se, presa dalle sue riflessioni e dalle sue difficoltà, l'Unione europea decidesse di chiudersi: per intenderci, di ritardare l'adesione di Bulgaria e Romania, di sfumare in un tempo indeterminato la prospettiva europea per la Croazia, di cancellare l'Europa dall'orizzonte dei Balcani occidentali. In modo altrettanto chiaro, diciamo che i criteri che vengono richiesti per essere parte dell'Unione europea debbono essere rispettati; mi riferisco non solo al principio di mobilità, all'apertura dei mercati, ai parametri finanziari, ma in primo luogo alla piena affermazione dello Stato di diritto, al rispetto pieno delle minoranze e delle libertà democratiche.
La regione balcanica rimane per noi di importanza strategica. Essa continua nel suo percorso di graduale normalizzazione dopo il travaglio degli anni Novanta. L'Italia accompagna tale processo con la massima attenzione e impegno operando di concerto con i partner del gruppo di contatto e nell'ambito del coordinamento comunitario.
Occorre incoraggiare i paesi del sud-est del continente a proseguire con determinazione nel percorso di avvicinamento all'Unione europea, la sola che, in ultima analisi, può offrire un saldo ancoraggio alla stabilità dell'intera area e porre le basi per una definitiva soluzione degli annosi problemi della regione.
I risultati finora raggiunti da alcuni, come l'avvio dei negoziati per l'adesione della Croazia, il conseguimento dello status di paese candidato da parte della Macedonia e la firma dell'Accordo di stabilizzazione ed associazione da parte dell'Albania devono rappresentare uno stimolo per i restanti paesi come Serbia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro ad intensificare ulteriormente gli sforzi per proseguire nel processo di riforme interne già avviato.
Gli impegni assunti dall'Unione europea a Salonicco nel giugno del 2003 devono essere rispettati; essi, infatti, costituiscono il caposaldo della nostra politica verso i Balcani ed una componente essenziale della nostra visione di una Europa compiuta.
La dissoluzione dell'ex Jugoslavia sembra avviarsi ad un suo compimento con la recente indipendenza del Montenegro. L'Unione europea ha dimostrato in questa circostanza la propria maturità e la capacità acquistata nell'affrontare i problemi balcanici: il ruolo svolto nell'accompagnare


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questo processo si è rivelato decisivo al fine del conseguimento di un risultato non traumatico.
L'Italia ha anch'essa seguito tali dinamiche e si appresta ora ad instaurare relazioni intense e proficue con la Repubblica transadriatica. Solo pochi giorni or sono mi sono recato a Podgorica incontrando la dirigenza di quel paese. Abbiamo offerto sostegno e collaborazione. Abbiamo, però, chiesto da subito di collaborare con noi affinché il Mare Adriatico sia un «lago di interscambi economici e culturali» a carattere virtuoso. Seguiamo anche con attenzione il dialogo che si sta instaurando tra Podgorica e Belgrado per la definizione dei molti problemi che la fine dello Stato unitario serbo-montenegrino comporta.
La vicenda del Kossovo - ultimo tassello della progressiva trasformazione della ex Jugoslavia - sta entrando nella sua fase più delicata dopo oltre sette anni di amministrazione internazionale transitoria. Occorre ora definire uno status di lungo periodo che prevenga l'accumularsi delle tensioni latenti nelle popolazioni locali.
Tale traguardo non potrà essere pienamente conseguito senza tenere conto delle esigenze della Serbia e, pertanto, anche delle minoranze etniche presenti sul territorio, al fine di evitare pericolosi conflitti con potenziali effetti destabilizzanti per l'intera regione.
L'Italia resta impegnata in questo processo, operando sia in sede di concerto multilaterale, a partire dal Gruppo di contatto, dalle Nazioni Unite e dall'Unione europea, che sul piano bilaterale. Confidiamo nelle capacità dell'inviato speciale Ahtisaari di condurre a buon fine il negoziato in corso, al quale forniamo il nostro convinto sostegno.
L'Unione europea deve avere un ruolo visibile e attivo nel processo che porterà alla definizione dello status finale del Kossovo, non soltanto in ragione della sua influenza nell'area, ma anche in funzione della prospettiva europea della provincia e delle responsabilità che l'Unione europea dovrà assumere nel Kossovo post status, quando sarà chiamata a costituire la componente centrale della futura presenza civile internazionale.
Le responsabilità che attendono l'Unione europea in Kossovo rappresentano una sfida per contribuire al processo sullo status, per assicurare l'attuazione degli standard, per far progredire Pristina, ma anche Belgrado ed il resto della regione verso l'Unione europea. Una sfida a cui l'Italia intende contribuire fornendo idee, proposte e risoluzioni, compreso nei settori della polizia e dello Stato di diritto.
Siamo pienamente consapevoli del ruolo centrale di Belgrado per la stabilità dell'intera regione. Operiamo, pertanto, anche nelle sedi di dibattito multilaterale, oltre che in ambito Unione europea, affinché le tesi di Belgrado vengano comprese e valorizzate. Al tempo stesso, pur essendo consapevoli delle difficoltà che ancora esistono in materia di piena cooperazione col Tribunale penale de L'Aia, sosteniamo la necessità di mantenere ben visibile la prospettiva europea per Belgrado. È essenziale che da parte serba si mostri il pieno impegno a migliorare la cooperazione con L'Aia.
La presentazione di un piano d'azione è un passo nella giusta direzione, ma ad essa dovranno seguire gesti concreti per la sua attuazione. Siamo pronti a sostenere ogni iniziativa atta a rafforzare e rendere più tangibile la prospettiva europea per Belgrado. Siamo convinti che in questa fase il principale incentivo sia rappresentato dalla ripresa del negoziato per l'Accordo di stabilizzazione e di associazione. È in questo senso che occorre soprattutto lavorare.
Apro e chiudo rapidamente una parentesi. Questo rapporto con i Balcani occidentali ci vede necessariamente protagonisti, in una fase che sarà molto critica nei prossimi mesi, perché, come voi sapete, entro il 31 dicembre dovrà essere chiuso, secondo gli impegni previsti, tutto il capitolo che riguarda il Kossovo, sia quello relativo agli standard sia quello relativo allo status. È altrettanto evidente che siamo in una fase molto difficile: le posizioni sono molto distanti, se non addirittura


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contrapposte. Mi riferisco alle posizioni delle autorità kossovare e alle posizioni del Governo di Belgrado.
In questo contesto mi preme sottolineare e valorizzare anche l'opera che gli enti locali e le regioni italiane stanno compiendo. Lo dico perché in questo scambio fra l'Italia e l'insieme dell'area dei Balcani occidentali è forte l'iniziativa del Governo, ma questa iniziativa si può avvalere di una rete fittissima di progetti di cooperazione che vedono le nostre regioni e i nostri enti locali protagonisti.
Vorrei, infine, dedicare un cenno a parte alle nostre relazioni con la Croazia. Noi intendiamo proseguire il dialogo con Zagabria, di cui siamo il primo partner commerciale, per facilitare il suo percorso negoziale europeo. Per conseguire un obiettivo di tale portata ci aspettiamo che la Croazia faccia quanto necessario per garantire l'accesso al mercato immobiliare ai cittadini italiani, così come esso è assicurato a tutti i cittadini croati in Italia, ed individuare una soluzione soddisfacente alla questione dei beni degli esuli, in spirito costruttivo ed in una comune ottica europea.
La tutela e lo sviluppo della minoranza italiana autoctona in Croazia - come pure in Slovenia - sono seguiti con particolare interesse e impegno, al fine di assicurare ad essa, in collaborazione con le autorità dei due paesi, non solo il mantenimento delle tradizioni e dell'identità italiana, ma anche sostegno e prospettive sempre migliori per la propria realtà socio-economica. Analogo sostegno è assicurato alle associazioni che riuniscono gli esuli dell'Istria, del Quarnaro e della Dalmazia per preservarne il patrimonio culturale e il legame storico con le terre d'origine. Nel fare ciò sarà evidentemente nostra cura contribuire anche al recupero di quella costruttiva atmosfera che alcuni atteggiamenti del passato avevano senza dubbio deteriorato.
L'Italia - vengo all'ultimo punto - continuerà, inoltre, a fornire il proprio contributo, anche nel più ampio contesto dell'azione svolta dall'Unione europea, alla definitiva stabilizzazione delle aree di crisi in Europa orientale e nel Caucaso.
Sosteniamo in particolare una soluzione pacifica dei cosiddetti «conflitti congelati» che minacciano la stabilità della regione del Caucaso e della Moldova: il dialogo deve essere perseguito con spirito costruttivo e disponibilità al compromesso da tutte le parti coinvolte, con l'opportuna assistenza della comunità internazionale.
Auspichiamo, in particolare, un attivo coinvolgimento dell'Unione europea nella soluzione della crisi della Transnistria, attraverso la sua partecipazione al tavolo negoziale come membro e non più come semplice «osservatore».
Non dovrà andare perduta l'occasione offerta dalla «finestra di opportunità» che rimarrà aperta nel 2006 per la soluzione della crisi del Nagorno-Karabakh, anche in considerazione dei segnali positivi emersi sia da parte armena (disponibilità al ritiro da Kelbajar), sia da parte azera (disponibilità alla tenuta di un referendum), che vanno fortemente sostenuti ed incoraggiati.
Per il conflitto in Ossezia meridionale vediamo con una certa preoccupazione alcuni segnali di tensione che si sono registrati recentemente sia da parte georgiana che da parte russa. In linea con la dichiarazione formulata dalla Presidenza finlandese dell'Unione europea auspichiamo che tutte le parti in causa si astengano da atteggiamenti provocatori e da iniziative unilaterali, suscettibili di portare un pericoloso incremento della tensione che allontana la possibile soluzione del conflitto.
Siamo inoltre determinati a dare un contributo tangibile alla composizione del conflitto in Ossezia meridionale ed abbiamo recentemente annunciato un nostro stanziamento al Fondo OSCE per la riabilitazione economica della regione, con l'aspettativa di partecipare all'istituendo Steering Comittee per la gestione dei progetti.
Per quanto riguarda il conflitto in Abkhazia, i termini della sua soluzione appaiono più complessi rispetto all'Ossezia


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meridionale, anche se vanno salutati positivamente alcuni progressi significativi scaturiti dalla sessione di maggio scorso del Consiglio di coordinamento georgiano-abkhazo, che hanno portato alla presentazione da entrambe le parti di piani di pace per la soluzione del conflitto ed alla riattivazione di un formato negoziale da tempo congelato.
Voglio aggiungere, ritornando ai Balcani, che è del tutto evidente che una non soluzione della vicenda che riguarda il Kossovo rischia di aprire un processo che, a catena, può coinvolgere tutti quei conflitti che io ho chiamato «conflitti congelati». Dunque, intendo sottolineare nuovamente la delicatezza dei prossimi mesi in una realtà che non riguarda soltanto il Kossovo ma può interessare anche altri paesi.
Mi fermerei qui. Vi sarebbe una parte ulteriore, che mi riservo tuttavia di analizzare in un altro momento; mi sembra infatti che trattare l'intera materia sarebbe veramente insostenibile. L'altra parte riguarda le relazioni bilaterali con gli altri paesi che non ho richiamato all'interno di questa relazione.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor sottosegretario.
Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

DARIO RIVOLTA. Signor sottosegretario, la ringrazio per il suo intervento. Una buona parte di ciò che lei ha detto mi è stata chiara e la condivido. C'è qualche punto, invece, su cui mi permetto di chiederle delle delucidazioni, ponendole delle domande, e di esprimere punti di vista forse diversi da quelli che lei ha enunciato. Purtroppo, dovendo partecipare ad un'altra audizione, non ascolterò le risposte che lei darà alle mie domande, ma le leggerò nel resoconto stenografico.
In primo luogo, lei ha giustamente avviato il suo intervento parlando del processo di costruzione dell'Unione europea. Credo che quando parliamo di costruzione dell'Unione europea alludiamo non tanto, o non soltanto, all'aspetto economico, che fino ad un certo punto ha dimostrato di ben funzionare - solo negli ultimi tempi ha mostrato delle crepe che meritano riflessioni -, ma all'aspetto politico. Quando noi parliamo di Unione europea ci riferiamo alla necessità che essa sia un soggetto politico, con modalità costitutive che devono ancora essere definite, che non erano chiarite nemmeno nella Costituzione di cui lei ha parlato; tuttavia, è il soggetto politico quello che interessa e che è argomento delle mie parole.
Sulla Costituzione europea e sulla sua bocciatura attraverso i referendum inviterei lei, signor sottosegretario, e coloro che l'hanno aiutata a stendere la relazione, ma anche tutti noi parlamentari, a non guardare con superficialità, limitandosi ad osservare dall'esterno, il fatto che una grande maggioranza di alcuni paesi si sia espressa in maniera contraria. Non si è trattato, purtroppo, di un incidente, ma è stato il frutto di un'atmosfera che si è manifestata con una volontà di rigetto, di rifiuto; non ha riguardato solo la Costituzione, ma, ahimè, l'idea dell'Europa da un punto di vista in parte economico ma soprattutto politico.
Ciò è grave; non dobbiamo dimenticare che così è stato, perché questo è l'ostacolo che noi dobbiamo superare. Tutti sappiamo che la gente che ha votato «no» all'approvazione della Costituzione europea non ha letto, nella maggior parte dei casi, né tutta la Costituzione né gran parte di essa. Si è lasciata volontariamente, anche se spesso inconsciamente, trascinare dagli slogan che riguardavano alcuni punti di quel testo. Si è espressa votando «no» contro, genericamente parlando, un'idea di Europa.
Allora, è giusto politicamente decidere di continuare negli atti di ratifica, com'è stato fatto da parte di quegli Stati che ancora non avevano compiuto questo passo, ma, se non è stato un incidente, come io sto cercando di dimostrare - penso su questo di trovare il consenso di molti dei colleghi -, dobbiamo porci la


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domanda sul perché questo sentimento antieuropeo si è manifestato in alcuni paesi.
Inoltre, poiché a livello di organi della Commissione europea ci sono degli istituti che svolgono dei sondaggi sui sentimenti pro europei o sulla concezione di identità europea presso le popolazioni di tutti gli Stati membri, sarebbe opportuno guardare i risultati di questi sondaggi. Scopriremmo che anche un paese che si è sempre considerato eccezionalmente europeista come l'Italia ha visto aumentare il numero di coloro che, con un po' di disprezzo, si chiamano «euroscettici»; euroscettici tra cui io non mi iscrivo. Anzi, io mi iscrivo tra i sostenitori profondi della necessità assoluta, a medio-lungo termine, di un'unione politica europea. Proprio per questo motivo mi preoccupo di fronte all'opinione di chi pensa che la bocciatura della Costituzione sia stata solo un piccolo incidente di percorso.
Dove risiede la radice, o una delle radici, di questa bocciatura? Essa sta nel fatto che con un'operazione totalmente di vertice, senza preparazione e senza curarsi delle conseguenze, abbiamo realizzato quello che lei, signor sottosegretario, ha definito un «successo storico», vale a dire un allargamento indiscriminato a dieci paesi in un periodo di tempo ristretto.
Anch'io gioisco all'idea politica dell'allargamento a questi nuovi Stati. Gioisco perché l'Europa diventa a 25, quindi una realtà geografica più importante; gioisco dal punto di vista economico, entro certi limiti, perché per certi aspetti si allarga il mercato; gioisco perché mi rendo conto delle valenze storico-politiche, cui lei faceva cenno, che riguardano alcune di queste realtà.
Tuttavia, nello stesso tempo non posso disconoscere che l'adesione all'Unione europea in alcuni casi è stata del tutto utilitaristica e lontanissima da quel concetto di unità politica a cui credo molti di noi vorrebbero ispirarsi. Alcuni di questi Stati hanno aderito all'Unione europea per uno stretto utilitarismo monetario; altri vi hanno aderito come se fosse un'assicurazione contro l'eccessiva vicinanza di paesi terzi; altri ancora vi hanno aderito quasi perché ormai sembrava che si dovesse farlo, con la stessa leggerezza con cui alcuni Stati, pur tramite referendum, hanno approvato questa Costituzione, anch'essi probabilmente senza leggerla.
Non c'è nessuna intenzione critica nei confronti del contenuto della Costituzione. Se dovesse essere criticata, lo sarebbe perché rimane troppo superficiale sotto molti aspetti, perché non distingue esattamente le competenze tra Stati membri e vertici dell'Unione, perché crea un ministro degli esteri fittizio, il quale non farà altro che il portavoce non si sa bene di chi e con quale autorità. Le critiche a questa Costituzione, ovviamente da parte mia, non nascono certo perché è troppo impegnativa, ma perché, al limite, è troppo leggera. Questo, probabilmente, era l'unico testo che si poteva portare avanti in maniera comune.
Perché era l'unico testo? Questo è un altro aspetto interessante. Abbiamo dovuto constatare che tra coloro che maggiormente spingevano perché si facesse in fretta l'allargamento c'erano i nemici di quell'idea politica dell'Unione europea cui prima alludevo. Non guardiamo tanto lontano: anche vicino a noi c'era qualcuno di questi «nemici». Forse (lo ammetto), anche qualche componente della passata maggioranza può essere considerato nemico dell'idea di un'unione politica dell'Europa, così come qualche componente dell'attuale maggioranza, al di là delle dichiarazioni formali nelle quali tutti sono totalmente e sempre europeisti.
Allora, se la volontà di fare questo allargamento, da cui ormai non possiamo certo prescindere, e le modalità con cui è stato fatto hanno minato, nella sensibilità di molti, il sentimento dell'ineluttabilità e della necessità della costruzione di un'Europa politica, se così è stato, qual è la risposta? Io non l'ho sentita nelle sue parole.
Signor sottosegretario - glielo dico in estrema sintesi anche perché il concetto non è nuovo - secondo me l'unica risposta oggi percorribile per chi è veramente europeista sono le cooperazioni rafforzate.


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Non ci sono altre soluzioni; non ci si può porre solo il problema che nel 2009 arriveremo a fare la Costituzione europea. Se ci arriveremo o no non lo sappiamo; anche se ci arrivassimo non sapremmo come ci arriveremo. Prima del 2009 bisogna muoversi, perché nel frattempo l'Europa non muoia, perché nel frattempo l'Europa non depauperi ancora di più quello che è il suo sentimento. L'unica risposta, glielo ripeto, sono le cooperazioni rafforzate; non le ho sentite menzionare da lei.
Mi piacerebbe sapere se il Governo italiano ritiene che nella strada delle cooperazioni rafforzate si possa intravedere un futuro, almeno a breve o a medio termine, come stimolo anche per tutti gli altri paesi per la costruzione dell'Unione europea.
Pur comprendendone i motivi, non mi sono piaciuti i suoi auspici affinché nel gennaio del 2007 Romania e Bulgaria entrino nell'Unione europea. Io sono convinto che Romania e Bulgaria sono, a tutti gli effetti, paesi degni di essere, a tempo debito, membri dell'Unione europea. Fanno parte dell'Europa geograficamente, storicamente; in parte già ora economicamente e sotto molti aspetti anche culturalmente; purtroppo, però, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista culturale non sono ancora a tutti gli effetti paesi europei. L'ingresso nel gennaio 2007 di Romania e Bulgaria, in modo particolare della Romania, date le sue dimensioni e la sua realtà quotidiana, significherebbe un ulteriore attentato a quell'idea di costruzione della vera Europa che noi vogliamo. Mi dispiace dirlo.
Capisco che l'Italia debba comprensibilmente mostrare di essere tra i fautori dell'ingresso di Bulgaria e Romania per vari motivi geo-strategici. Io ho più a cuore il mio paese degli interessi a breve termine dell'Italia: poiché vedo gli interessi della mia patria a medio e lungo termine nell'Europa, ho a cuore gli interessi dell'Europa, di quella idea di Europa cui prima ho accennato, e ritengo che Bulgaria e Romania sarebbero, forse, la mazzata finale se entrassero troppo presto nell'Unione europea. Dobbiamo avere il coraggio di dire questa cosa. Almeno io che faccio il deputato, che non rappresento il Governo ho il coraggio di dirlo. Lei non può dirlo; anche qualora lo pensasse non potrebbe permettersi di dirlo. Per Bulgaria e Romania come per altri paesi europei che lo chiedono aspettiamo un attimo, non abbiamo fretta! Entreranno di certo, devono entrare, ma aspettiamo.
Non è solo nelle modalità della loro legislazione ma è nell'applicazione quotidiana di quelle modalità che si vede l'arretratezza, purtroppo, rispetto a ciò che deve essere lo standard e il modo di comportamento europeo. Non dimentichiamo che la Romania, tra l'altro - è un piccolo dettaglio, insignificante, non nasce da qui il mio dire -, manda, non in maniera organizzata evidentemente, le gang più agguerrite e più numerose nel nord dell'Italia; queste gang hanno sopravanzato persino quelle albanesi. Non mi pare che da parte del Governo rumeno provengano, nemmeno per questo problema, azioni o intenzioni di aiuto rispetto alla giusta necessità dell'Italia di proteggersi nei confronti di queste gang.
Lei, signor sottosegretario, ha parlato del corridoio V: sono totalmente d'accordo con le parole che lei ha utilizzato circa la necessità di questo progetto, necessità che non deve avere alibi: è una necessità assoluta. Qualora si ritardasse, come si sta facendo, il completamento del corridoio V, ciò finirebbe per determinare la distruzione del tessuto economico del nord Italia. L'intero tessuto economico - soprattutto piemontese e lombardo ma anche, in parte e con modalità diverse, veneto - soffre e rischia di morire; la città di Trieste, già moribonda, potrebbe essere ammazzata definitivamente dal continuo ritardo nella realizzazione del corridoio V. Non è la ferrovia Trieste-Lubiana che è determinante per far sopravvivere Trieste, ma l'autostrada che potrà condurre da Lione a Budapest. Cosa fa il Governo italiano nei confronti del Governo ungherese affinché si completi la rete autostradale? Cosa fa rispetto al Governo sloveno


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affinché si completi la rete ferroviaria che mette in connessione Trieste fino all'Ungheria?
Oggi dall'Ungheria la maggior parte degli operatori economici preferisce andare ad Amburgo o a Rotterdam, perché tutto il percorso autostradale da Budapest li mette in connessione con quelle città. Lo stesso dicasi per la ferrovia. È molto più facile arrivare a Vienna e da Vienna in qualunque altra parte del nord Europa, piuttosto che arrivare a Trieste o a Milano. Ci vogliono sedici ore di treno, una giornata intera di auto da Milano a Trieste. Se poi a questo si aggiunge che attorno a Milano ci sono ingorghi cronici a tutte le ore del giorno, per fare venti chilometri occorrono due ore di macchina nei picchi di traffico e, comunque, un'ora normalmente, il corridoio V dov'è?
I cittadini della Val di Susa hanno tutti i loro diritti ma quali sono, allora, i diritti degli altri milioni di cittadini della Valle Padana e del resto delle Alpi che, invece, hanno bisogno di sopravvivere? Solo la strada, ferroviaria e d'asfalto, può consentire loro di sopravvivere economicamente. Il corridoio V è strategico per l'Italia, dato che la culla dell'economia italiana è proprio la Valle Padana con tutti i dintorni. Per l'Italia quel corridoio è indispensabile, non è una scelta campata per aria; siamo in ritardo di vent'anni.
Sul Kossovo lei ha detto molto bene che, se non si risolve, la situazione è critica. Ma anche se si risolve in un certo modo la situazione è critica. Se si risolve con la certificazione dell'indipendenza del Kossovo a tutti gli effetti, a lei non sfugge, come non sfugge a tutti gli altri commissari, quali saranno le conseguenze sulla Macedonia, dove le tensioni separatiste o conflittuali etniche all'interno aumenteranno, nel breve o nel medio termine, non immediatamente; così come a lei non sfugge quello che accadrà nella Bosnia serba. È evidente che la Serbia non può continuamente essere umiliata. Lei ha parlato della centralità di questo paese: noi non possiamo dimenticare che la Serbia è lo Stato a noi più vicino.
E smettiamola di essere ipocriti sulla Croazia: la Croazia, al di là degli aspetti formali che non ha ancora adeguato, nella quotidianità umilia i cittadini di origine italiana. Provi a chiedere a qualcuno che vuole aprire una piccola attività economica in Croazia; provi a vedere quali sono le angherie di carattere burocratico che quotidianamente gli vengono sottoposte dal punto di vista fiscale, procedurale.
I croati non hanno fatto nulla per dimostrare la loro volontà di aderire all'Europa, adempiendo totalmente agli impegni, anche psicologici: devono farlo, non solo dal punto di vista legislativo e giuridico ma anche dal punto di vista della vita quotidiana. Con i serbi questi problemi non c'erano, non ci sarebbero stati, non ci saranno. La Croazia potrà entrare nell'Unione europea, perché anche la Croazia fa parte dell'Europa, ma prima dovrà dimostrare - non dobbiamo fare come abbiamo fatto con la Slovenia - di avere la vera volontà di considerare i cittadini italiani almeno pari agli altri, non certo di più.
Se non vogliamo umiliare la Serbia non precipitiamoci ad aprire le porte ad altri. Non c'è nessun motivo per cui la Serbia dovrebbe entrare in Europa dopo la Croazia; basta che l'aiutiamo. Forse, quando la Serbia entrerà in Europa tutte quelle tensioni che abbiamo visto - in Macedonia, in Kossovo, in Bosnia - potrebbero assumere tutta un'altra dimensione e diventare più facilmente superabili.
Chiedo scusa se sono stato troppo lungo.

RAMON MANTOVANI. Anch'io ringrazio il signor sottosegretario. Apprezzo molto la sua relazione perché non ha evitato alcuni nodi che sono in discussione non solo nel nostro paese ma in tutta l'Unione europea, non ha sorvolato su alcuni problemi e ha fornito alla Commissione un punto di vista fecondo che, a sua volta, provoca una discussione fra di noi. Penso che la provochi attivando quella dialettica fra Parlamento e Governo che è sempre auspicabile in una Repubblica parlamentare ma che, per troppo tempo,


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soprattutto in questa Commissione, nel recente passato, abbiamo visto completamente cancellare.
Per quanto riguarda il merito delle cose che sono state dette, condivido gran parte della descrizione del problema e la sua percezione. Siamo ormai abituati a discutere anche della temperatura, di quella reale e di quella percepita. Ecco: la percezione che hanno i popoli, non solo le opinioni pubbliche, che sono stati chiamati ad esprimersi sul processo di integrazione dell'Unione europea è una percezione venata da elementi negativi molto consistenti.
Se i cittadini percepiscono l'Unione europea come un mastodonte burocratico e tecnocratico non è perché sono male informati o perché sono stati deviati nelle loro percezioni da una cattiva stampa o da una cattiva propaganda, ma è semplicemente perché sono più intelligenti di molti parlamenti che fanno finta di non vedere questa realtà; banalmente è per questo. Capiscono che nell'Unione europea, in organismi che non sono stati eletti da nessuno, si prendono decisioni che modificano le legislazioni nazionali, che modificano la vita, le attività di impresa, i diritti sociali reali senza che questo possa essere messo in discussione in alcuna sede, giacché i parlamenti sono chiamati a ratificare decisioni ed accordi ormai già digeriti, sotto il ricatto «o tutto o nulla», sotto il ricatto perfino morale per cui se qualcuno si oppone ad un pezzettino della costruzione dell'Unione europea perché lo considera tecnocratico e sbagliato viene poi accusato di essere antieuropeista; parola che suona come un anatema. Io ne so qualcosa perché, sebbene noi ci consideriamo fortissimamente europeisti, spesso per il solo fatto di aver criticato alcuni aspetti, per esempio alcuni parametri economici del tutto arbitrari decisi per armonizzare le politiche economiche e monetarie, siamo stati immediatamente dichiarati da gran parte della stampa i vincitori del concorso degli antieuropeisti; ciò è avvenuto anche nelle discussioni in quest'aula.
Quello che lei ha detto sul futuro è certamente corretto dal punto di vista del Governo che si attiene ad un programma. Il programma parla del tentativo di ricostruire il processo costituzionale europeo esattamente nei termini che lei ha esposto, nel tentativo di arrivare al 2009 ad un'elezione del Parlamento europeo che possa esprimersi anche su un nuovo testo, su un nuovo trattato di natura costituzionale. Noi ci atterremo a questo percorso. Io le dico, però, che prevedo che questo percorso probabilmente fallirà, perché la spinta elitaria e tecnocratica che pensa di costituire una Costituzione fuori di un processo realmente democratico e realmente partecipato credo che incontrerà nuovamente molti ostacoli e molti problemi. Non li troverà in questo Parlamento, nell'iter che il Governo vorrà seguire per favorire il processo - lo dico perché non ho la presunzione di poter fare alcunché per impedire questo percorso, né c'è questa volontà -, ma proprio per i motivi che lei stesso indicava nel suo incipit, nel suo preambolo io penso che questo tentativo, questo colpo di coda della tecnocrazia europea fallirà.
Ci vogliono i tempi per costruire un sentire comune e per costruire una Costituzione che sia percepita e assunta come vincolante e sovranazionale da tutti i popoli d'Europa. Non è certo colpa nostra se si è molto insistito sulle politiche di liberalizzazione economica e di integrazione monetaria e per nulla sulle questioni che interessano molto di più i cittadini, che riguardano la coesione sociale, la crescita dei diritti, la crescita dell'accesso alla soddisfazione dei bisogni e delle domande sociali che l'Europa ha negato.
Ci sono voluti cinquant'anni per costruire l'attuale integrazione economica. Dall'alto si vuole costruire un popolo europeo sulla base delle decisioni prese da quattro signori nominati e non eletti da nessuno, senza alcun mandato per scrivere una Costituzione. Sarebbe stato meglio dire che nel 2009 si sarebbe proceduto all'elezione di un Parlamento europeo con il potere di redigere una Costituzione. Certo, questo sarebbe inaccettabile per i


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Governi, per il «re». Le Costituzioni sono nate da rivoluzioni e sono nate da processi di contrapposizione nei confronti di altri poteri che sono stati sconfitti. Qui siamo al paradosso storico che il «re» vuole nominare quelli che scrivono la Costituzione, fatta a sua immagine e somiglianza, e vuole che i popoli partecipino a questo processo da una parte entusiasticamente e dall'altra parte come comprimari. Per questo io penso che fallirà.
Tuttavia, se un passo sarà compiuto e darà dei frutti noi non lo negheremo, cercheremo di valorizzare anche il minimo germoglio democratico all'interno di questo processo, ma manteniamo ferme le nostre riserve e i nostri dubbi.
Ci sono molti problemi di cui lei ha parlato sui quali io non insisto, perché mi trovano completamente d'accordo. Ne sollevo alcuni che non sono contenuti, se non ho sentito male, nella sua relazione. Su altri, seppur velocemente, mi permetto di sottolineare alcuni aspetti che mi sembra vadano tenuti in considerazione.
Sulla questione del Balcani io penso che alcune cose dette dall'onorevole Rivolta siano indiscutibili, anche se oggi ho condiviso poco di ciò che egli ha esposto.
Sulla questione del Kossovo mi pare che si apra un problema molto grande. Si potrebbe riaccendere un'ulteriore destabilizzazione di quell'area giacché le missioni militari seguite alle guerre illegali che sono state condotte non hanno risolto i problemi, ma li hanno semplicemente cristallizzati. In Bosnia non abbiamo ciò che era stato detto; abbiamo, invece, ciò che è stato negoziato a Dayton, ossia una spartizione etnica del territorio ma nessuna integrazione, e nemmeno il ritorno delle persone che sono state cacciate dalla pulizia etnica che è stata compiuta da tutte e tre le componenti, croata, musulmana e soprattutto serba. In Kossovo c'è la questione dell'indipendenza e solo dopo aver affrontato questo problema si potrebbe attuare il tentativo dell'integrazione del Kossovo rispetto all'Albania, come dichiaratamente e irresponsabilmente è stato detto più volte da autorevoli ministri albanesi, che pensano alla grande Albania e che hanno, in questo modo, messo un'ipoteca su questo processo.
Faccio queste affermazioni solo per dire che, siccome in questi due paesi, e in più anche in Macedonia, noi insistiamo con le missioni militari, forse sarebbe giunto il momento di fare una vera riflessione sugli esiti, sul bilancio e sulle prospettive di queste missioni, non per metterle in discussione ma per verificare se siano utili e per far sì che lo diventino.
Sulla questione dell'allargamento non sono per nulla d'accordo con quanto è stato detto dall'onorevole Rivolta. Questa idea secondo la quale ci sarebbero degli interessi nazionali: bisognerebbe vedere quali sono veramente questi interessi e come si identificano; ho paura che i presunti interessi nazionali siano più gli interessi di una parte del mondo delle imprese, che, non ho difficoltà a dirlo, hanno saccheggiato la Romania e la Bulgaria. Molte imprese del nord-est hanno saccheggiato la Romania e la Bulgaria, e usano lì la manodopera esattamente come l'Unione europea non potrebbe mai permettere. Non fosse altro che per questo motivo io auspico che questi paesi entrino nell'Unione Europea. Del resto, è una decisione già presa, perché il negoziato è già chiuso fin dalla sua partenza, quindi non è nemmeno nelle facoltà del Governo italiano, qualora lo volesse, impedire l'ingresso. Ci tengo a dire che spero che gli interessi nazionali siano un po' più alti e un po' più seri di quelli di qualche imprenditore che è interessato a continuare a partecipare al saccheggio e alla schiavizzazione della manodopera di questi paesi.
C'è, poi, il problema della Turchia. Io la ringrazio, signor sottosegretario, per le parole che ha detto e le sottolineo. Quando lei parla della necessità che la Turchia riconosca l'esistenza delle minoranze, e tra queste quella curda, lei dice da una parte un'ovvietà, ma io la ringrazio perché lei, dall'altra parte, è il primo rappresentante di un Governo della Repubblica italiana che nomina la questione. Tutti hanno sempre fatto finta di non sapere che la


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Turchia ha riconosciuto l'esistenza di alcune minoranze nazionali ma non di quella curda.
Il riconoscimento dell'esistenza di una minoranza nazionale in un paese dell'Unione europea (Spagna, Italia, Francia) comporta il riconoscimento dei diritti di questa minoranza nazionale; in una certa dimensione, in una certa dose, in una certa proporzione comporta il riconoscimento dei diritti all'autogoverno - non all'autodeterminazione -, ad un certo grado di autonomia nella gestione delle proprie rappresentanze comunali, provinciali e magari anche regionali, come succede in Spagna con i baschi, con i catalani e con altri. In Turchia tutto questo non c'è, e per di più la questione curda è stata origine ed è tuttora causa di un conflitto armato.
Allora, se l'Unione europea e il Governo italiano non sono capaci di inserire questo punto nell'agenda della trattativa per l'ingresso in Europa della Turchia, che è una trattativa aperta, non già definita, rischiano di importare sul proprio territorio questo conflitto, o comunque rischiano di configurare un'Unione europea indifferente a diritti fondamentali che gridano vendetta nei confronti della stessa idea di un'Europa democratica. Quindi, la ringrazio e sicuramente non mancherò di tentare di far sì che questa Commissione assuma le sue iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative, per fornire indicazioni al Governo in modo tale che questa cosa venga codificata con un atto di indirizzo.
Ci sono molti altri problemi dei quali vorrei parlare, ma avrò sicuramente modo di farlo in futuro. Aggiungo solo due cose velocissime.
Ci sono alcune istituzioni, chiamiamole così, come Europol. Prima io ho parlato di tecnocrazia ma qui rasentiamo l'indicibile; meglio che non dica ciò che mi viene in mente. Europol è una polizia con poteri di indagine sottratta a qualsiasi controllo. Non c'è né una magistratura né un Governo né un Parlamento che abbia la facoltà di controllare che cosa questi signori fanno. Istituzionalmente è così, in quanto questa entità è nata da un trattato internazionale, i suoi agenti sono protetti da un'immunità che può essere revocata unicamente dal direttore generale di Europol. Qui siamo su di un punto molto delicato. Noi continueremo, come siamo stati sin dalla sua fondazione, ad essere avversi a questa pseudo istituzione. Non è che noi siamo contrari all'istituzione di una cooperazione, di un lavoro comune tra le polizie europee, assolutamente; siamo contrari a dei super poteri fuori del controllo di qualsiasi Stato e di qualsiasi Parlamento.
Infine, esprimo una considerazione di ordine generale. Nell'Unione europea l'Italia è sempre stata protagonista. Negli ultimi anni, diciamo eufemisticamente che non lo è stata molto e che quando ha avuto qualche profilo di protagonismo ha partecipato al tentativo di spaccare, rompere e distruggere l'Unione europea così com'era stata immaginata e costruita negli anni precedenti. Io, però, voglio preventivamente mettere in guardia il Governo dal riflesso condizionato di sposare acriticamente qualsiasi iniziativa l'Unione europea, intesa in modo generico, prenda.
Penso che sia necessario mantenere una dialettica tra l'essere impegnati in questo ambito sovranazionale, nel quale l'Italia cede quote di sovranità nazionale, e la propria capacità di iniziativa unilaterale. Unilaterale non significa contrapposto, ma significa avere un protagonismo in proprio. Significa che se l'Unione europea ha un processo di avvicinamento e di interlocuzione con un paese, qualsiasi esso sia, questo non implica il fatto non si possa contribuire a questo generale processo con dei rapporti bilaterali con quel paese, magari aprendo la pista in modo tale che l'Unione europea possa fare dei passi in avanti.
Non leghiamoci le mani attraverso un malinteso multilateralismo. Cerchiamo di mantenere la nostra capacità di iniziativa; la rotta, la linea di questa iniziativa non dovrà essere in contraddizione con la costruzione dell'Unione europea. Il non avere questa linea di iniziativa propria, anche unilaterale, non è segno di adeguamento


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a decisioni multilaterali, ma significa spesso semplicemente rimettersi ad altre iniziative unilaterali, di paesi importanti come l'Italia, quali la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e magari anche la Spagna.

LUCIANO PETTINARI. Prima di tutto, desidero esprimere compiacimento e soddisfazione per la relazione del sottosegretario. Anche a me è parsa completa, ma soprattutto realistica, capace di mettere in luce sulle questioni del processo europeo gli obiettivi ed anche le difficoltà.
Proprio nel merito di queste difficoltà e sulle possibilità di superarle vorrei brevemente esprimermi. Il sottosegretario, ripeto, molto realisticamente ha cercato di vedere le ragioni che hanno portato a un impasse, da un lato nell'approvazione della Costituzione, dall'altro nel processo più generale di unità europea.
Voglio ricordare che il sottosegretario Crucianelli ha parlato di incapacità europea di far fronte alle questioni sociali, di Europa lontana dai problemi dei cittadini europei, spesso vista non come soluzione ma come causa dei problemi stessi.
Già da soli questi aspetti potrebbero ampiamente spiegare perché ci sono delle difficoltà in molti paesi e perché, addirittura, in altri paesi c'è stata una contrarietà molto forte che ha portato alla bocciatura della Costituzione europea. Siccome io condivido la premessa posta dal sottosegretario , secondo cui per il Governo italiano l'opzione europeista è una scelta di fondo, credo che davvero ci sia la necessità - mi pare che anche questo sia stato detto esplicitamente dal sottosegretario - di ricostruire, ammettendo che ora non c'è un sentimento positivo dell'opinione pubblica verso il progetto Europa.
Il sottosegretario Crucianelli ha presentato alcune tappe di questo progetto; ha fatto riferimento all'impegno che il Governo italiano vuol profondere su alcuni terreni quali l'energia, le vie di comunicazione e la giustizia. Mi domando, e domando al sottosegretario, se riteniamo che questo tipo di impegno possa essere la base reale per ricostruire quel sentimento positivo. Temo che questo non sia sufficiente. Non credo che quel sentimento che è venuto meno in gran parte dell'opinione pubblica possa essere riproposto in positivo se ci limitiamo ad un impegno, pur necessario, sulle questioni indicate dal sottosegretario. Forse sarebbe necessario affrontare anche, a mio avviso, gli elementi più di fondo di quell'allontanamento da un sentimento positivo.
Se vogliamo evitare quello che il collega Mantovani prevede, cioè il fallimento del progetto illustrato - naturalmente io auspico che questo fallimento non si verifichi - bisogna dare la priorità a due temi fondamentali: il contributo che possiamo dare ad un ruolo politico dell'Europa, che non c'è stato, e l'impegno relativo alle questioni sociali.
Per quanto riguarda il ruolo politico occorre partire dal protagonismo dell'Europa nello scacchiere internazionale. Se guardiamo anche alla recente crisi di queste settimane, al conflitto in corso, che è molto vicino all'Europa, non possiamo dire che vi sia stato un protagonismo europeo; c'è stato un protagonismo di alcuni paesi europei. Io sono particolarmente fiero del fatto che il Governo italiano sia stato protagonista in questa crisi con delle proposte significative, con il vertice che sta per avere luogo. Tutti, credo, auspichiamo che possano esserci degli sbocchi positivi sino ad arrivare ad una tregua. Qualche spiraglio sembra intravedersi in queste ultime ore. La novità sarebbe se la tregua portasse a truppe di interposizione dell'Unione europea. Tuttavia, non c'è stato un protagonismo europeo ma da parte di alcuni paesi europei.
Se l'obiettivo è quello di sentirsi come opinione pubblica cittadini europei, si deve passare attraverso un diverso ruolo politico. Anch'io come l'onorevole Mantovani quando nel progetto politico sento ritornare continuamente, in un modo anche da indagare, il motivo dell'interesse nazionale, che deve venire prima, penso che non si riuscirà mai a costruire un progetto europeo. O noi riusciamo a portare avanti


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un'opzione in base alla quale l'interesse nazionale si colloca all'interno della scelta europea oppure non ce la si fa.
Dunque, il primo impegno, a mio avviso, deve essere quello di tentare di fare quel salto di qualità che sarebbe dovuto intervenire dopo la moneta unica, quando si diceva che si sarebbe passati dalla moneta all'economia e dall'economia alla politica. Non si è passati neanche all'economia figuriamoci se si poteva arrivare alla politica. Bisogna ripartire cercando di operare dei salti verso la politica. Il protagonismo nel contesto internazionale è il primo tema.
Il secondo tema, più di tanti altri argomenti specifici citati dal sottosegretario, è dato dalla questione sociale. Anche su questo terreno l'Europa è ferma a proposizioni di intenti. C'è stato un vertice a Lisbona, alcuni anni fa, il cui leit Motiv era la giusta e buona occupazione. Se si vota contro la Costituzione è perché non si è dato seguito ad aspetti, quali quello politico e quello sociale, che possono costituire elementi di traino. Ho ben chiaro che le questioni poste da Crucianelli sul tema dell'energia non sono in contrasto o lontane dalle problematiche sociali; lo stesso dicasi per le vie di comunicazione e per la giustizia. A mio avviso, però, l'impegno deve essere concentrato principalmente su questi aspetti: occorre dimostrare che può esserci un protagonismo politico e sociale dell'Europa. Il nostro Governo deve essere attivo in questo senso. Anche per questo sottolineavo in positivo il nostro ruolo nella crisi di questi giorni tra Israele e Libano.
Sul tema dell'allargamento ho molto apprezzato come il sottosegretario ha posto le questioni. Sottolineo anch'io il modo, che ho trovato molto positivo, con cui il Governo, attraverso le parole di Crucianelli, si rapporta alla questione della Turchia. Non costituiscono un elemento insignificante le questioni che accompagnano, nelle parole del sottosegretario, l'impegno per l'allargamento: mi riferisco alla serie di condizionamenti posti sui diritti, sulle questioni internazionali irrisolte, in quanto, per esempio, se non si risolve la questione con Cipro mi pare che l'eventuale allargamento porti ad un aggravamento.
Sottolineo la questione della Turchia perché credo che debba essere presa a modello di come l'Europa deve rapportarsi rispetto al suo allargamento e alla sua attività in generale. In passato spesso sono stati discutibili i parametri di costrizione sul terreno economico; bisogna che ci siano dei parametri sul terreno del rispetto dei diritti. Per quanto riguarda la Turchia il rispetto di questi parametri rappresenta l'unico elemento che potrebbe suscitare una posizione favorevole rispetto ad un'opinione molto scettica, almeno per quanto mi riguarda, proprio per la presenza di quei problemi che venivano indicati dallo stesso sottosegretario.

SABINA SINISCALCHI. Vista l'ora cercherò di essere concisa. Voglio ringraziare il sottosegretario per la sua importante relazione, che descrive con lucidità e compiutezza le grandi sfide che l'Europa è chiamata a raccogliere. Tra queste vorrei richiamare la sua attenzione, signor sottosegretario, su quella che, peraltro, viene ripresa in più passaggi del programma dell'Unione: mi riferisco all'importanza che l'Europa si comporti in maniera unitaria all'interno delle istituzioni internazionali. Solo in questo modo probabilmente raggiungeremo l'obiettivo del protagonismo politico internazionale dell'Europa e della riconquista della fiducia da parte dei cittadini europei. Il protagonismo che io auspico è quello che porti l'Europa a costruire nei fatti e nelle iniziative la pace e la stabilità economica nel mondo.
Detto questo, la pregherei di prendere in considerazione il fatto che nel prossimo settembre a Singapore si svolgerà la Conferenza unitaria annuale del Fondo monetario e della Banca mondiale. Se l'Europa in queste due istituzioni finanziarie internazionali si comportasse in maniera unitaria avrebbe il maggiore peso decisionale, perché la somma delle quote porterebbe al maggior peso ponderato. In quell'occasione, a Singapore, per la prima volta


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in agenda ci sarà la possibilità di un allargamento delle quote ad alcuni paesi del sud del mondo, quelli più forti economicamente, i cosiddetti paesi emergenti. Noi ci auguriamo che il Governo italiano sostenga questo allargamento e vada oltre, faccia di più. Al nostro Governo stanno a cuore le sorti del sud del mondo; pertanto ci auguriamo che proponga, in quella sede, un ampliamento delle quote anche ad altri paesi non considerati attualmente emergenti che, però, hanno buoni tassi di crescita economica, in particolare alcuni paesi africani.
L'ultima questione che vorrei sottoporre alla sua attenzione la evinco dalla relazione che il precedente Governo ha fatto al Parlamento e che noi abbiamo preso in considerazione semplicemente per un parere. In un passaggio di quella relazione, che peraltro ho ritenuto carente dal punto di vista della descrizione delle relazioni tra Europa e paesi in via di sviluppo - questo mio rilievo risulta dagli atti e mi auguro che nel documento relativo al 2006 si superi questa lacuna -, si dice che il Governo italiano frenerà, nell'ambito dell'accordo Everything but arms, la liberalizzazione rispetto all'ingresso dello zucchero, prevista in quell'accordo, che lega l'Unione europea ai paesi meno avanzati, molti dei quali sono produttori di zucchero. Il precedente Governo italiano intendeva limitare la liberalizzazione per tutelare i lavoratori e i produttori italiani di zucchero. Noi riteniamo, invece, che quella liberalizzazione si debba fare nella piena applicazione di quell'accordo, perché riguarda 600 milioni di persone che oggi vivono in condizioni di estrema povertà. Allora, anche in questo caso, dobbiamo dare dei segnali al mondo; la piena applicazione di quell'accordo, insieme a tante altre cose di cui avremo occasione di parlare, è un segnale.

PRESIDENTE. Non essendovi altri colleghi che desiderano intervenire, do la parola al sottosegretario Crucianelli per la replica.

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Sarò breve, anche se le questioni sollevate, come al solito quando si discute di problemi internazionali, hanno grandi implicazioni che meriterebbero ulteriori riflessioni. Avremo modo, comunque, di tornarci sopra.
Mi limito solo a qualche laconica risposta su alcuni problemi che sono stati sollevati. Mi dispiace che l'onorevole Rivolta sia andato via; forse non era presente quando ho affrontato in maniera analitica il processo che ha portato a quella che viene chiamata eufemisticamente «pausa di riflessione dell'Europa», cioè la crisi del progetto europeo. Io l'ho considerata, e così è stata recepita dagli altri colleghi che sono intervenuti, tutt'altro che un incidente. Essa nasce da un problema serissimo che si è aperto all'interno dell'opinione pubblica europea, quando un progetto europeo è stato interpretato, sviluppato e portato avanti in modo del tutto scisso e separato da quelli che erano la consapevolezza, il senso comune e i problemi dei cittadini europei. Non si tratta di un incidente: la crisi nasce da un punto critico.
Ho anche sostenuto che da lì bisogna ripartire. Sono assolutamente convinto, ci credo profondamente, che una soggettività europea forte è la condizione fondamentale - come peraltro verrà testimoniato anche nella giornata di domani, che rappresenterà un tentativo difficile, forse disperato nel contesto in cui interveniamo - per affrontare i grandi problemi che oggi scuotono il nostro pianeta. Sono assolutamente certo che quella è la via. Sono, però, altrettanto convinto che non si possa prescindere da quella massa critica che ha messo in crisi e in difficoltà quel tipo di progetto, che era fondamentalmente, a mio parere, tecnocratico per molti versi e troppo condizionato ed ipotecato da culture e da scelte di stampo monetaristico.
Quindi, si tratta non di abbandonare il progetto ma di partire da questa situazione. In questo senso credo che le cose che sono state dette dall'onorevole Pettinari rappresentino le risposte fondamentali.


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Dentro il ragionamento che io ho proposto, forse un po' freddo, in realtà ci sono questi processi.
Innanzitutto, c'è il processo politico. Non c'è dubbio che l'Europa, se vuole ridare ai suoi cittadini la percezione della sua utilità, deve innanzitutto avere una forte soggettività politica rispetto ai grandi problemi che oggi ci troviamo dinanzi. Se l'Europa va avanti in ordine sparso, se non addirittura contraddittorio o contrapposto di fronte alle questioni, è evidente che poi i cittadini europei hanno difficoltà ad identificarsi in un continente dal punto di vista politico.
Nell'ultima riunione degli affari generali, nella quale sostituivo il ministro che non poteva partecipare, nella colazione che vi è stata in questa discussione è intervenuto un ministro che, parlando proprio del Medio Oriente, ha detto che se ci fosse un'opinione comune dell'Europa il nostro peso nel Consiglio di sicurezza sarebbe enorme per il numero di paesi europei che vi sono rappresentati. Ho detto che mi pareva una cosa ottima, straordinaria, salvo il fatto che non moltissimo tempo fa ci si è divisi su una questione di portata enorme come la guerra in Iraq. Quindi, non si può discutere fra l'antipasto e il caffè di questo piccolo problema. Sarebbe importante che l'Europa si desse una sede in cui avviare una sessione dove riprendere l'insieme di questa discussione e fare un bilancio di quella che è stata la storia di questi ultimi anni, di cosa è stata la guerra, di quale eredità ci sta consegnando, di cos'è il Medio Oriente.
In un contesto di questo tipo, allora, le diffuse sensazioni, percezioni e affermazioni di una volontà forte di intervento politico avrebbero un fondamento. Nel momento in cui si è discusso del documento conclusivo sul Medio Oriente - un documento a mio parere discreto, buono anche dal punto di vista del messaggio politico che trasmetteva - tutti quanti dicevano che, a fronte delle contraddizioni che si erano aperte, non si poteva non avere una posizione e un documento comuni. Dunque, la percezione e la volontà ci sono. Il problema è che se questa volontà non si nutre di una capacità di superamento e di acquisizione di nuovi orizzonti politici sarà difficile avere questa soggettività politica. Credo che questa sia sicuramente una delle prime questioni.
Non ho inserito il tema per agilità di introduzione ma sono d'accordo che insieme allo sviluppo delle infrastrutture, della politica energetica, dell'altra decisiva questione che riguarda l'argomento dell'emigrazione - su cui si stanno facendo passi avanti - è molto importante la cosiddetta politica di coesione sociale. Se il presidente me lo permette, vorrei che fossero accluse al resoconto integrale due cartelle che avevo stralciato, che si inseriscono bene là dove, prima di parlare della Turchia, faccio riferimento agli obiettivi che bisogna perseguire in questa fase.
Con altrettanta franchezza dico che su questo capitolo, che anch'io ritengo fondamentale, delle politiche di coesione sociale, che portano dietro tanti altri discorsi sul diritto del lavoro e quant'altro, vi è una fortissima contraddizione a livello europeo. Vi è stato uno scontro molto duro con alcuni paesi che giocavano continuamente al ribasso sugli stanziamenti, sui finanziamenti, sulla quantità di PIL che bisognava impegnare. Io sono convinto che su questo terreno l'Italia debba sostenere una posizione netta, perché questo è uno dei terreni fondamentali se vogliamo far crescere nuovamente all'interno del senso comune europeo un affidamento al progetto dell'Europa.
Mi dispiace che l'onorevole Rivolta abbia interpretato la mia come una posizione di sufficienza rispetto ai fatti che sono accaduti e che hanno portato ad una crisi e ad una difficoltà del progetto europeo. Tutt'altra è la mia convinzione, tutt'altra è la mia idea; credo di averlo in qualche misura detto.
Non sono, invece, convinto, come ha sostenuto l'onorevole Rivolta, che ci sia stato il terrore dell'allargamento, che sia stato questo il problema che ha sconvolto i cittadini comuni. Probabilmente, dell'allargamento


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i cittadini europei sanno ben poco. In realtà, i cittadini europei hanno riflettuto sulla loro condizione materiale, sulla loro condizione sociale, sulle funzioni dell'Europa che avevano dinnanzi, non sull'Europa allargata, e da queste riflessioni sono nate, a mio parere, la crisi e le difficoltà.
Credo che, strumentalmente, sbagliando, alcuni governi utilizzano l'allargamento come alibi rispetto alle loro responsabilità; utilizzano l'assunto che l'allargamento è la causa della distrazione o del disinteresse dei cittadini europei rispetto all'Europa perché in realtà non vogliono affrontare le ragioni di fondo che stanno dietro a quello che è stato tutt'altro che un incidente.
Sulla questione dell'ingresso della Bulgaria e della Romania non ho altro da dire. Non è l'onorevole Rivolta o il Governo che decide se la Romania e la Bulgaria entreranno nel 2007 nell'Unione europea; per il 2008 l'ingresso è obbligato. Quindi, si tratta semplicemente di vedere se entreranno per il 2007 o per il 2008. Stiamo comunque parlando di valutazioni che devono fare altri; noi possiamo solamente fare degli auspici in un senso o nell'altro. Evidentemente, l'auspicio dell'onorevole Rivolta è che queste valutazioni portino ad una conclusione negativa rispetto alla prospettiva dell'ingresso nell'Unione europea dal 1o gennaio 2007 della Bulgaria e della Romania. Il commissario Franco Frattini, parlando della Bulgaria, dopo aver fatto un monitoraggio sui vari capitoli che devono essere rispettati, ha detto che questi punti venivano onorati dalla legislazione bulgara. Mi pare di capire che quello è l'unico criterio oggettivo che noi possiamo prendere in considerazione.
Mi scuso con i colleghi se non affronterò tutte le questioni che sono state sollevate, ma il tempo è quello che è.

PRESIDENTE. Avremo altre occasioni.

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Avremo altre occasioni per discutere. Assumo un impegno: dobbiamo tornare a parlare del capitolo del Kossovo e dei Balcani, ed avere una discussione separata, perché a mio parere su questo terreno si addensano nubi molto dense di grandine e non di acqua. Bisogna discuterne con serietà, senza schematismi, tenendo conto che siamo di fronte ad un passaggio molto serio, perché, come ho già detto all'inizio, i problemi non riguardano solo il Kossovo. La questione del Kossovo può aprire tanti altri capitoli nell'area dei Balcani e può portarci ad un momento critico.
Voglio rispondere alle sollecitazioni che venivano dall'onorevole Siniscalchi. Abbiamo già cominciato a ragionare con alcuni interlocutori sul tema cui lei faceva riferimento, che è molto serio. C'è una posizione comune europea all'interno degli organismi internazionali, non solo le Nazioni Unite ma anche il Fondo monetario o la Banca mondiale. Sarebbe un capitolo fondamentale per testimoniare che esiste una politica europea, che esiste l'Europa, essendo questi organismi internazionali le sedi in cui si prendono le decisioni e si operano le scelte che hanno un riflesso magari non sulla guerra o sul conflitto del momento ma sul destino di gran parte del nostro pianeta. È uno dei terreni fondamentali su cui l'Europa deve fare solidi passi avanti.
Vi sono poi le questioni poste dall'onorevole Mantovani sulla possibilità o meno di realizzare l'obiettivo di un nuovo trattato sulla Costituzione europea prima del 2009. Comprendo le forme di perplessità, di scetticismo e anche di realismo che emergono alla luce dell'esperienza di questi anni, ma credo francamente che il tentativo di un nuovo trattato costituzionale debba essere fatto molto seriamente. Il processo che seguirebbe a questo fallimento potrebbe essere veramente distruttivo per il futuro dell'Europa. Quindi, sulla scorta di questa preoccupazione, bisogna utilizzare tutta la saggezza e la sapienza di cui si dispone e analizzare con realismo i fatti,


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ma occorre dare una risposta perché le conseguenze potrebbero essere gravi.
Concludo il mio intervento, presidente, consegnando alla Commissione la nota integrativa sulla riforma della politica di coesione comunitaria, cui ho fatto riferimento nella replica.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Crucianelli per il suo intervento e per la nota depositata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,45.


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Riforma della Politica di coesione comunitaria per il periodo 2007-2013.

La dotazione finanziaria per la Politica di coesione 2007-2013 ha rappresentato uno dei principali terreni di scontro nel negoziato sulle Prospettive Finanziarie: la richiesta di sei Paesi (Germania, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Svezia, Austria) di contenere il bilancio a un livello non superiore all'1 per cento del PIL comunitario mirava in particolare a ridimensionare proprio la Politica di Coesione, seconda posta del bilancio comunitario dopo la Politica Agricola (su cui tuttavia era già stato concluso un accordo nel 2002 per stabilizzarne il livello fino al 2013). Questi Paesi contestavano la proposta della Commissione (341 miliardi, di cui 171 per l'UE-15 e 170 per l'UE-12, incluse Bulgaria e Romania), sostenendo in particolare l'esigenza di ridurre la dotazione per i vecchi Stati membri, per concentrare le risorse verso i più bisognosi (i Paesi di adesione). I Sei avevano fra l'altro tentato di convincere i Dieci nuovi Stati membri ad accettare l'1 per cento, sulla premessa che le riduzioni non avrebbero riguardato loro, ma i beneficiari dell'UE-15.
La Commissione, l'Italia e gli altri beneficiari si erano schierati a difesa della Politica di Coesione, considerandola non come una politica puramente redistributiva dai «ricchi» ai «poveri», ma al contrario un fattore in grado di contribuire al rilancio della competitività e della crescita ed alla realizzazione della Strategia di Lisbona. Ad avviso di tale gruppo di paesi il principio di solidarietà non poteva pertanto esser applicato selettivamente. Una penalizzazione delle Regioni in ritardo di sviluppo dei Quindici avrebbe rappresentato una conseguenza ingiusta e non accettabile dell'allargamento.
Sulla base di tale dibattito al Consiglio Europeo del dicembre 2005 è stato raggiunto un accordo che prevede, per la Politica di Coesione, 308 miliardi (di cui 157 mila per l'UE-12 e 151 per l'UE-15), con una riduzione (10 per cento) tutto sommato contenuta rispetto a quelle apportate ad altre rubriche di bilancio.
L'accordo prevede la concentrazione delle risorse sull'Obiettivo Convergenza (attuale Obiettivo 1), cioè a favore delle Regioni che presentano i maggiori divari di sviluppo (reddito pro capite inferiore al 75 per cento della media comunitaria), con l'82 per cento del totale (252 miliardi). L'Obiettivo Competitività Regionale e Occupazione (attuali Obiettivi 2 e 3), che riguarda le Regioni non contemplate dall'Obiettivo Convergenza ma con difficoltà strutturali, riceverà il 16 per cento dei fondi (48 miliardi). L'Obiettivo Cooperazione Territoriale (attuale Interreg), che mira al superamento dei confini economici nazionali tramite la cooperazione transfrontaliera, riceverà il 2,5 per cento (8 miliardi).
Sul piano delle regole, l'accordo prevede un regime più flessibile per i nuovi Stati membri, cosi da favorire la loro capacità di spesa (tassi più elevati di co-finanziamento comunitario, estensione della regola di disimpegno automatico dei fondi da 2 a 3 anni nel 2007-2010, eccetera) e prevede, solo per i vecchi membri, che una quota minima (almeno il 60 per cento) della loro spesa per la Politica di Coesione sia destinata agli obiettivi della Strategia di Lisbona.
Per quanto riguarda l'Italia, siamo riusciti a ottenere una dotazione di 25,7 miliardi (prezzi 2004), di cui 20,1 miliardi per le Regioni del Mezzogiorno. Si tratta di un risultato soddisfacente, se si tiene conto che la prima proposta negoziale della Presidenza lussemburghese (aprile 2005) prevedeva per noi 22 miliardi. È vero che la Commissione aveva originariamente proposto 28 miliardi per l'Italia, ma nel quadro di un livello di spesa totale molto più elevato, pari a 1025 miliardi. Questa ipotesi non era evidentemente più


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attuale con un tetto di spesa più basso (864 miliardi).
Per quanto concerne l'attuazione della Politica di Coesione, sono stati recentemente approvati dal Consiglio i nuovi regolamenti sui Fondi Strutturali (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, Fondo Sociale Europeo, Fondo di Coesione), che ora dovranno essere esaminati dal Parlamento Europeo. Accanto al mantenimento dei principi essenziali del sistema (pianificazione strategica, gestione decentrata e partenariato, valutazione sistematica), essi prevedono lo snellimento delle procedure e la semplificazione della gestione amministrativa. Fra le principali novità si prevede un documento strategico comunitario, approvato dal Consiglio su proposta della Commissione. Su tale base a loro volta gli Stati membri sono chiamati a predisporre un documento strategico nazionale, che dovrà fornire il quadro di riferimento per la programmazione operativa. Il Consiglio Europeo di primavera sarà chiamato ad effettuare ogni anno una verifica sullo stato di avanzamento dei programmi, alla luce degli obiettivi strategici indicati.
Sotto la guida del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e Coesione del Ministero dell'Economia e delle Finanze è ora in fase di avanzata definizione il Quadro Strategico Nazionale 2007-2013, predisposto con il coinvolgimento di tutti gli attori interessati (Amministrazioni centrali regionali e locali, parti economiche e sociali), che dovrà essere prossimamente sottoposto alla Commissione.