COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di venerd́ 28 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE UMBERTO RANIERI

La seduta comincia alle ore 9,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vittorio Craxi, sull'ONU.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vittorio Craxi, sull'ONU.
Do, quindi, la parola al sottosegretario Vittorio Craxi per l'illustrazione della sua relazione sulle Nazioni Unite e sulle questioni connesse alla nostra iniziativa in quella sede.

VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Onorevoli deputati, stamani sono particolarmente lieto di intervenire in Commissione affari esteri per fornire gli ultimi aggiornamenti su una questione che riveste un interesse prioritario per il nostro paese e per tutte le forze politiche.
Naturalmente, l'attenzione riservata al tema della riforma delle Nazioni Unite a livello parlamentare è ben rispecchiata dall'intensa attività, anche conoscitiva, svolta nella scorsa legislatura - durante la quale mi onoro di essere stato membro di questa Commissione - e trova un'occasione di approfondimento con l'audizione di questa mattina.
Come sapete, negli ultimi mesi il processo di riforma delle Nazioni Unite, iniziato con il vertice del settembre 2005, ha avuto un percorso non sempre lineare; ha, tuttavia, consentito di dare attuazione ad alcune delle più significative decisioni concordate dai Capi di Stato e di Governo. Sono stati istituiti il nuovo Consiglio dei diritti umani e la Commissione per il consolidamento della pace; inoltre, si sono approvate prime misure di riforma nei criteri di gestione del Segretariato mentre sono in fase avanzata alcune innovazioni relative al funzionamento dell'Assemblea generale e del Consiglio economico e sociale ed è in fase di elaborazione, naturalmente non senza difficoltà, una strategia delle Nazioni Unite per la lotta al terrorismo. Come sapete, rimane aperta la questione, di cruciale importanza, relativa alla riforma del Consiglio di sicurezza, che non procede a passi spediti anche a causa di profonde divisioni nella membership.
Tali aspetti hanno costituito uno degli oggetti dei colloqui che il Segretario generale Kofi Annan ha avuto con il nostro Governo e con le massime autorità dello Stato lo scorso 12 luglio. Kofi Annan si è molto soffermato sulla questione della riforma, dei criteri di gestione del Segretariato e, soprattutto, sulle difficoltà del negoziato in vista della prossima Assemblea generale.
Ricapitolando, gli elementi di novità sui quali riferirò sono il Consiglio dei diritti umani, la Commissione per il consolidamento della pace ovvero la Peacebuilding Commission, la riforma del Consiglio economico


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e sociale, le operazioni di peacebuilding, la riforma del Segretariato e del management, la riforma del Consiglio di sicurezza. Su ciascuno di questi capitoli, una serie di considerazioni e di approfondimenti sono oggetto della breve relazione che vorrei svolgere; comincerò proprio dalle questioni relative al Consiglio dei diritti umani.
Ebbene, dando seguito alle decisioni del vertice ONU del settembre 2005, lo scorso marzo, è stato istituito il rinnovato Consiglio dei diritti umani; da parte italiana, si è annunciata la candidatura al Consiglio per il triennio 2007-2010, con elezioni nella primavera del 2007. La nostra candidatura è stata presentata assieme ad un'indicazione delle priorità per il nostro paese in questo settore: tra queste, vi sono certamente la promozione della democrazia e dello Stato di diritto, l'impegno per l'abolizione della pena di morte nel mondo, una particolare attenzione alla protezione dei diritti dei bambini e delle donne contro i fenomeni di violenza e di discriminazione, nonché la lotta di contrasto a razzismo e xenofobia. La sessione inaugurale dei lavori del Consiglio dei diritti umani, apertasi il 19 giugno scorso, si presta ad un doppio ordine di considerazioni: da un lato, va positivamente valutata l'adozione di importanti risoluzioni a carattere normativo; dall'altro, vi sono stati i primi concreti segnali della temuta rinnovata politicizzazione dell'organo. Su iniziativa del gruppo islamico, sono state approvate due risoluzioni - una sulla Palestina, l'altra sull'intolleranza razziale e religiosa - il cui contenuto è stato ritenuto anche dall'Unione europea fortemente sbilanciato. In vista della prossima sessione del Consiglio, appare necessario, quindi, per l'Europa attrezzarsi per operare nel nuovo non facile contesto, che richiederà fermezza di principi ma anche notevoli capacità di manovra diplomatica.
Per quanto riguarda la Commissione per il consolidamento della pace, si tratta, forse, dell'innovazione che ha goduto del maggiore consenso; il suo obiettivo principale è formulare raccomandazioni sulle strategie di ricostruzione e stabilizzazione a beneficio dei paesi che emergono dai conflitti. A settembre verranno subito trattati i primi due casi concreti, la Sierra Leone ed il Burundi.
L'Italia ha sostenuto sin dall'inizio l'istituzione di questo organo, ritenendo che le Nazioni Unite debbano essere al centro degli sforzi internazionali per la ricostruzione delle società sconvolte da conflitti armati. La Commissione per il consolidamento della pace dovrà svolgere una funzione di catalizzatore per dare coerenza alle attività delle varie agenzie, fondi e programmi che a volte risultano insufficientemente coordinati. Il cuore della Peacebuilding Commission è il suo comitato organizzativo, di cui l'Italia fa parte in quanto sesto contributore del sistema ONU nel triennio 2002-2004. La Commissione è, peraltro, assecondata da una struttura di supporto nell'ambito del Segretariato mentre un fondo per il peacebuilding, finanziato con contributi volontari, è stato istituito per sostenere con immediatezza attività di primaria importanza nell'ambito delle operazioni di pace. Segnalo, inoltre, che da parte nostra ci si è impegnati con i partner dell'Unione europea per assicurare una presenza effettiva dell'Unione in quanto tale nel seno della Commissione. Infatti, riteniamo che l'Unione europea abbia la capacità di svolgere un ruolo di primo piano nella Peacebuilding Commission in considerazione del suo ruolo di attore globale in materia di consolidamento della pace, sul piano politico e su quello dell'assistenza alla ricostruzione e allo sviluppo.
Per quanto riguarda la riforma del Consiglio economico e sociale (ECOSOC), il documento finale del vertice del settembre 2005 ha determinato il ruolo più incisivo di tale organo ed entro la fine del mese di agosto l'Assemblea generale dovrebbe concludere l'esame di un progetto di risoluzione che attui le decisioni dei Capi di Stato e di Governo. L'Italia, per parte sua, ha attribuito e attribuisce notevole importanza al rilancio dell'ECOSOC, che deve essere messo in condizione di svolgere un ruolo importante di coordinamento non soltanto nel quadro delle Nazioni


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Unite ma anche in rapporto alle istituzioni finanziarie internazionali, al settore privato e alla società civile. Valutiamo inoltre positivamente il legame che è stato stabilito tra l'ECOSOC e la nuova Commissione per il consolidamento della pace, nonché il contributo che l'ECOSOC può fornire per valutare le dimensioni di medio termine del post conflict peace building.
Potenzialmente, assai importante è anche il lavoro del panel di alte personalità voluto fortemente dal Segretario generale Kofi Annan; a tale riguardo, riteniamo altresì importante, per rafforzare la coerenza delle attività operative delle Nazioni Unite, utilizzare questo panel di alte personalità per coordinare il lavoro delle Nazioni Unite nei settori ambientali dello sviluppo e dell'assistenza umanitaria.
Come sapete, centrale è il ruolo delle operazioni di pace delle Nazioni Unite; si tratta di un'attività - quella del mantenimento della pace - nella quale si sono registrati notevoli progressi. Conseguentemente, si è posta anche la difficoltà di governare gli accresciuti impegni e le responsabilità scaturiti da tali progressi. Per tale ragione, le Nazioni Unite hanno avviato un processo di riforma e di rilancio dell'intero settore, proprio dopo le difficoltà insorte nei casi difficili e drammatici della Somalia, del Ruanda e della Bosnia all'inizio degli anni Novanta. Le operazioni di pace sono cresciute in termini sia di missioni (attualmente sono diciannove) sia di consistenza numerica di alcune di esse. Il mandato dei caschi blu è stato inoltre esteso in numerosi casi con l'assegnazione di funzioni di assistenza alle autorità locali per il rafforzamento delle strutture di governo e per il consolidamento del processo democratico, ivi inclusa la promozione dei diritti umani e dello Stato di diritto.
La partecipazione italiana alle attività di mantenimento della pace condotte sotto l'egida dell'ONU consiste nello spiegamento di circa 8 mila uomini, dei quali, peraltro, i caschi blu sono solo 105; è negli ultimi giorni assurto alle cronache il ferimento di un nostro militare in divisa ONU (caschi blu) nella difficile e drammatica crisi libanese. Tale partecipazione risponde alla doppia esigenza di alleviare le sofferenze delle popolazioni e di contenere i focolai di crisi evitando che essi si propaghino con possibili riflessi sulla nostra stessa sicurezza. La nostra partecipazione alle operazioni di pace è, inoltre, uno strumento indispensabile al mantenimento della nostra credibilità internazionale, consentendoci in molti casi di svolgere un ruolo più che commisurato al nostro posizionamento internazionale.
Abbiamo anche posto l'accento sulle attività, che queste missioni svolgono, di rafforzamento dello Stato di diritto, anche sotto il profilo del mantenimento della legalità, il che consente di valorizzare, per esempio, le nostre specifiche professionalità in tale settore. A tale riguardo, a Vicenza abbiamo istituito un importante centro di formazione, il COESPU - Center of excellence for stability police units -, con il compito di fornire unità sul modello dei Carabinieri, da impiegarsi in operazioni di pace. Ci siamo peraltro offerti di ospitare, a Brindisi, presso la più grande base logistica delle Nazioni Unite - per base logistica si intende sia quella di sostegno alle operazioni di pace sia quella di sostegno alla logistica per gli aiuti umanitari -, la costituenda Forza di polizia permanente delle Nazioni Unite (Standing police capacity o SPC), intesa ad assistere i paesi che escono da conflitti per costituire o consolidare le proprie forze dell'ordine secondo criteri democratici e nel rispetto dello Stato di diritto.
Per quanto riguarda il capitolo della riforma del Segretariato e del management delle Nazioni Unite, noi siamo convinti che il rilancio dell'ONU non possa essere effettivamente realizzato senza un adeguato rafforzamento del suo cervello ovverosia, appunto, del Segretariato. Di ciò si è parlato, come ho già riferito, in occasione della visita di Kofi Annan; personalmente, ho avuto modo di discuterne con l'Under secretary general dell'ONU, Burnham, in occasione di una sua recente missione a Roma.


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Il negoziato su tali aspetti si è rivelato difficile ed ha fatto emergere l'esistenza di due diverse visioni relative a come l'organizzazione debba essere governata: taluni, infatti, ritengono che vi debbano essere rigidi criteri di gestione manageriali mentre talaltri sono dell'avviso che ne debba comunque essere rispettato il carattere di associazione intergovernativa a natura politica. In sintesi, il dibattito emerso nei mesi scorsi ha evidenziato che i paesi occidentali attribuiscono un'alta priorità all'obiettivo di una maggiore efficienza del Segretariato mentre, invece, molti paesi in via di sviluppo - raggruppati nel cosiddetto G77 ed ex paesi aderenti al movimento dei «Non allineati» - temono che, dietro l'esercizio o il tentativo della riforma del management, si nasconda il tentativo di sottrarre i poteri all'Assemblea generale, violando, quindi, il concetto di ownership degli Stati membri.
In questo senso, l'Italia si è espressa in linea con le posizioni dell'Unione europea, adottando una posizione di mediazione tra le due scuole di pensiero atta a favorire il raggiungimento di un accordo in seno alla membership. D'altronde, noi pensiamo di aver recato un contributo decisivo, o comunque significativo, all'adozione, per consenso, delle prime importanti decisioni in materia da parte dell'Assemblea generale lo scorso 7 luglio.
Infine, onorevoli deputati, vorrei illustrare la nostra posizione sulla questione centrale (forse, la più importante) relativa alla riforma del Consiglio di sicurezza. A tale riguardo, suddividerò la mia esposizione in due parti, relative rispettivamente alle proposte che sono sul tavolo e alla nostra condotta in merito al processo di riforma in atto. Comincerò col chiarire che, nel luglio del 2005, l'Italia, in raccordo con il gruppo Uniting for consensus, da noi promosso nello stesso 2005, e con l'aiuto della Cina, contribuì a determinare l'insuccesso del tentativo del G4 (ovvero di Brasile, Germania, Giappone e India) di mettere ai voti la risoluzione che prevedeva l'istituzione di quattro nuovi seggi non permanenti e sei nuovi seggi permanenti privi del diritto di veto.
A gennaio, Brasile, Germania e India - il cosiddetto G3 - hanno depositato nuovamente il progetto di risoluzione, nel frattempo decaduto; il Giappone non si è unito all'iniziativa, pur dichiarando di continuare ad operare «nel quadro dell'alleanza G4», ed ha perseguito la ricerca di un accordo con gli Stati Uniti (che si erano originariamente opposti al G4) su opzioni di riforma centrate su un allargamento più limitato del Consiglio. Per Washington la composizione del consiglio non può infatti andare oltre i venti o ventuno membri, con «circa» due permanenti senza veto, tra cui il Giappone.
Anche l'Unione africana ha presentato a gennaio un progetto di risoluzione, che prevede: sei nuovi membri permanenti, di cui due africani, con diritto di veto e cinque nuovi membri non permanenti, di cui due africani. La proposta si differenzia da quella del G4 sul punto centrale dell'attribuzione del veto - aspetto su cui è sostanzialmente fallito l'accordo con il G4 lo scorso anno - e per la richiesta di un seggio non permanente aggiuntivo (cinque rispetto a quattro).
Da parte dell'Italia e dei paesi del movimento Uniting for consensus si è ribadita la perdurante validità della proposta avanzata nel luglio 2005: aumento di dieci nuovi seggi non permanenti, da gestire con larga autonomia da parte dei cinque gruppi regionali.
Di recente si sono registrati segnali di rinnovato attivismo del G3 e del Giappone. In vista del vertice dell'Unione africana svoltosi ai primi di luglio a Banjul, Brasile, Germania e India hanno proposto ai paesi africani una versione aggiornata del loro progetto, per facilitare una convergenza tra le rispettive proposte di riforma facendo valere l'apparente similitudine fra di esse. Tuttavia, a Banjul - dove l'argomento è stato trattato con minore intensità rispetto ai precedenti vertici - i leader africani hanno riaffermato la validità della posizione comune, non mostrandosi disponibili al compromesso con il G4, soprattutto sulla delicata questione del veto, anche se non sono mancati i tentativi di Nigeria, Sudafrica, Ghana, Senegal e altri


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di superare o modificare l'attuale posizione comune africana (il cosiddetto consensus di Ezulwini).
Il dibattito che si è svolto in Assemblea generale il 20 luglio non sembra avere introdotto modifiche sostanziali alla situazione.
Passando all'esame della sostanza della riforma del Consiglio di sicurezza, credo sia necessario anzitutto ribadire i principi fondamentali che hanno sinora ispirato la nostra azione in proposito, e che l'Italia non intende modificare. Ebbene, la posizione italiana si è sempre caratterizzata per la ferma contrarietà ad ogni ipotesi di allargamento del Consiglio che comporti l'aumento del numero dei membri permanenti. Tale impostazione risponde alla convinzione che l'aumento dei seggi permanenti non contribuirebbe ad accrescere né l'efficacia del Consiglio, né la sua rappresentatività, ma - al contrario - ne rafforzerebbe il carattere gerarchico, attribuendo ogni effettivo potere decisionale ad un numero assai limitato di Stati e determinando di conseguenza un ulteriore marginalizzazione dei membri non permanenti.
Al di là del danno diretto che una tale soluzione determinerebbe per i nostri interessi nazionali, riteniamo che assetti gerarchici della comunità internazionale, caratteristici di epoche passate, non rispondano alla complessità ed all'articolazione dell'attuale panorama delle relazioni internazionali. È per questo che ci siamo fatti sempre promotori di proposte di riforma centrate sulla periodica elezione dei nuovi membri del Consiglio, unico strumento per assicurare una loro effettiva responsabilizzazione nei confronti della membership.
Fatto salvo tale principio basilare, il nostro approccio è stato sempre flessibile e siamo stati disponibili a considerare e a promuovere formule che consentano presenze prolungate in Consiglio ai paesi con maggiore possibilità di contribuire alla pace e alla sicurezza, e che permettano di riequilibrare la presenza in Consiglio di sicurezza di aree geografiche attualmente sottorappresentate, come ad esempio l'Africa.
In secondo luogo, da parte italiana si è sempre sostenuta la necessità di un ruolo più attivo ed incisivo dell'Unione europea in Consiglio di sicurezza, nella prospettiva - non immediata ma alla quale tendere progressivamente - dell'istituzione di un seggio unico per l'Europa. Al costante impegno in seno all'Unione europea per far maturare le condizioni che rendano concretamente perseguibile il seggio comune, si è quindi affiancata l'azione volta a contrastare decisioni - quali sarebbero l'istituzione di nuovi seggi permanenti nazionali - che allontanerebbero, in maniera probabilmente definitiva, tale prospettiva.
In terzo luogo, abbiamo sempre sottolineato l'esigenza che qualsiasi decisione sulla riforma del Consiglio di sicurezza debba essere adottata con il più vasto consenso possibile. Ricordo che fu proprio l'Italia, nel 1998, a far approvare dall'Assemblea generale dell'ONU la risoluzione che prevede l'esplicito voto favorevole della maggioranza qualificata (i due terzi degli Stati membri) per qualsiasi decisione con riflessi sulla composizione del Consiglio di sicurezza.
È anche necessario sfatare il luogo comune secondo cui l'Italia si sarebbe in questi anni limitata ad un'azione di blocco tesa soltanto ad ostacolare la concessione di un seggio permanente ad alcuni Stati membri e, di conseguenza, ad impedire qualsiasi riforma del Consiglio di sicurezza. Ciò non riflette la situazione reale. L'Italia, nel quadro del movimento Uniting for consensus che abbiamo contribuito ad istituire a New York, svolge un'azione propositiva. Tale movimento (al quale, lo ricordo, partecipano influenti Stati membri quali Canada, Argentina, Messico, Colombia, Spagna, Pakistan, Corea del sud, Turchia, solo per citarne alcuni), al pari dei paesi del cosiddetto G4 (Brasile, Germania, Giappone, India) e dei paesi africani, ha presentato all'Assemblea generale - sotto forma di risoluzione - una sua proposta per l'allargamento del Consiglio di sicurezza, che prevede l'istituzione di


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dieci nuovi seggi non permanenti elettivi, da gestire con larga autonomia da parte dei cinque gruppi regionali.
Quali sono i principi ispiratori di questa proposta? Ne ricorderò i principali.
Anzitutto, la democraticità: i nuovi seggi sarebbero elettivi. Come già accennato, l'elezione periodica dei membri del Consiglio di sicurezza è l'unico strumento che può garantire la loro piena responsabilizzazione (accountability) nei confronti dell'intera membership. Non può viceversa ritenersi possibile che un unico voto sia sufficiente ad assicurare un'elezione a perpetuità, come prevedono le altre proposte.
Vi è poi la flessibilità: la nostra proposta prevede che i vari gruppi regionali abbiano la responsabilità di determinare i criteri di rotazione e di durata dei seggi a loro assegnati, con ciò garantendo la presa in conto dei molteplici interessi esistenti al loro interno. È importante notare come tale opzione consentirebbe anche, per quanto ci concerne, di rafforzare il ruolo dell'Unione europea in Consiglio di sicurezza.
Infine, vi è l'equità: la nostra proposta crea i presupposti affinché un maggior numero di Stati possa ruotare sui seggi allocati ad ogni gruppo regionale. L'attuale componente permanente - essendo irrealistico chiedere agli attuali membri permanenti di rinunciare alla loro posizione di vantaggio - dovrebbe essere considerata come un fatto storico incancellabile, ma anche irripetibile.
Alla luce di quanto ho appena detto, desidero sottolineare che la situazione di stallo che si è determinata è il frutto non tanto di una presunta azione bloccante svolta dall'Italia e dai suoi alleati, quanto dell'inconciliabilità delle posizioni in campo.
L'Italia ed il movimento Uniting for consensus non sono a favore dello status quo. Proprio la settimana scorsa, in occasione del dibattito svoltosi in Assemblea generale, abbiamo ribadito la disponibilità all'avvio di negoziati sulla base di formule che non aggravino le divisioni fra gli Stati membri, come quelle presentate dai paesi del G4, ma che possano favorire l'emergere di un ampio consenso e la presa in considerazione degli interessi di tutta la membership, e non di una parte soltanto.
Quanto alle prospettive d'azione, l'Italia sostiene con coerenza l'importanza di una cooperazione multilaterale centrata sul sistema delle Nazioni Unite, anche in vista dell'importante ruolo che saremo chiamati a svolgere nel prossimo biennio 2007-2008 quando l'Italia siederà nel Consiglio di sicurezza quale membro non permanente. È particolarmente importante che l'Italia mantenga la capacità di influire su scelte fondamentali per la comunità internazionale. Non è nostra intenzione limitarci ad occupare il seggio cui siamo stati eletti. Vogliamo dare un contributo di idee e di risorse ad una riforma che ha già incontrato molte difficoltà e che - questa è la nostra posizione da tempo - dovrà basarsi su una valorizzazione degli organismi regionali.
Non esistono facili soluzioni. È necessario trovare una sintesi tra l'esigenza di una maggiore rappresentatività, attraverso una più ampia partecipazione, e quella di un'azione più efficace del Consiglio di sicurezza. Tali obiettivi sono per noi conseguibili solo attraverso l'elezione periodica dei membri del Consiglio e la loro rotazione. Solo così l'Assemblea generale potrà esercitare un controllo - sia pure indiretto, attraverso il passaggio elettorale - e rafforzare la legittimità complessiva del Consiglio di sicurezza. Su queste premesse si fonda la proposta presentata dal movimento Uniting for consensus.
Va anche tenuto presente che il nostro progetto di riforma del Consiglio di sicurezza - che, come ho già riferito, prevede che i gruppi regionali abbiano la responsabilità di determinare i criteri di rotazione e di durata dei seggi a loro allocati - è idoneo a favorire la nostra azione per un profilo sempre più unitario dell'Unione europea in Consiglio di sicurezza, nella prospettiva di più lungo periodo di un seggio europeo. I membri dell'Unione europea che concorrono a tali seggi potrebbero infatti - rifacendosi all'articolo 19 dei Trattati - coordinare più strettamente la loro azione con gli altri partner e, con


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l'auspicata entrata in vigore del nuovo Trattato costitutivo, dare informalmente spazio al ministro degli esteri dell'Unione europea ed alla struttura che da lui dipende. Sono stati già avviati su questo punto contatti con la Germania, che a gennaio assumerà la Presidenza dell'Unione europea. Sono contatti che allargheremo ad altri paesi dell'Unione europea che siederanno in Consiglio con noi: oltre al Regno Unito e, beninteso, alla Francia, membri permanenti, anche al Belgio e alla Slovacchia. Ciò, in vista di un'azione congiunta per il rafforzamento della cooperazione a 25 che garantisca un innalzamento del profilo dell'Unione europea ed una maggiore incisività dell'azione comune delle Nazioni Unite, attraverso formule pragmatiche: a Bruxelles, maggiore coinvolgimento del COPS sui dossier in esame al Consiglio di sicurezza e da New York l'intensificazione delle consultazioni, in particolare nella fase di elaborazione delle decisioni; maggiore coordinamento tra i membri dell'Unione europea che sono anche membri del Consiglio.
Anche alla luce di quanto emerso dal dibattito del 20 luglio scorso in Assemblea generale, riteniamo necessario rilanciare la questione della riforma del Consiglio di sicurezza in modo più sistematico, ad ogni livello politico e non mancando di utilizzare tutti gli strumenti disponibili sul piano bilaterale. È questa un'azione che svolgiamo nel solco di una continuità: continueremo, pertanto, ad impegnarci in una strategia ad ampio raggio volta a consolidare le alleanze necessarie e a far valere le nostre tesi politiche. Proseguiremo i nostri contatti con tutta la membership dell'ONU per evidenziare i vantaggi delle formule di riforma del Consiglio di sicurezza da noi sostenute. Come sapete, la rete diplomatica su questo dossier mantiene da tempo inalterato il suo impegno quotidiano.
L'apporto che potrà essere fornito dalla vostra diplomazia parlamentare, dal vostro impegno parlamentare e dalle relazioni bilaterali che la stessa Commissione tesse con paesi membri sarà, e già è, di grande importanza; quindi, per tale ragione, il Ministero degli affari esteri è pronto a fornire il supporto necessario alle iniziative che il Parlamento riterrà opportuno adottare a sostegno della posizione italiana in merito alla riforma del Consiglio di sicurezza e, in generale, alla riforma delle Nazioni Unite.
È un'azione, quindi, a tutto campo che investe tutte le nostre istituzioni - non soltanto il Governo della nazione - e nella quale sarà necessario far valere la nostra capacità di operare in modo coordinato nella consapevolezza della dimensione degli interessi in gioco e nella prospettiva, che tutti condividiamo e che tutti dobbiamo condividere, di contribuire al reale rafforzamento delle Nazioni Unite e, in tal modo, alla difesa dei nostri interessi fondamentali.
Ringrazio la Commissione per l'attenzione prestata al mio intervento e resto, quindi, a disposizione per rispondere alle domande degli onorevoli deputati, anche in merito all'elezione del nuovo Segretario generale dell'ONU, tema che, invero, non ho affrontato nella mia esposizione; al riguardo, ricordo che le consultazioni per l'elezione sono state avviate in quest'ultima settimana.

PRESIDENTE. La ringrazio molto, sottosegretario, per la relazione testé esposta; apro, dunque, il dibattito dando la parola ai colleghi che desiderino intervenire.

TANA DE ZULUETA. Desidero anzitutto ringraziare il sottosegretario per l'illustrazione esaustiva dell'approccio del nostro Governo a questo dossier. Un approccio che, a mio avviso, rivela come l'Italia effettivamente stia operando nella convinzione che un rafforzamento delle Nazioni Unite corrisponda al suo interesse, e non solo ad un obiettivo ideale.
Ritengo anche opportuno che si punti sulla centralità di un maggiore ruolo dell'Unione europea a tutti livelli; anche ciò appare coerente con l'impostazione della nostra politica estera e, oserei aggiungere, con una significativa correzione di rotta.
Ritengo, altresì, che la riforma del Consiglio di sicurezza sia molto urgente,


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giusto appunto perché potrebbero essere assunte decisioni che noi non condividiamo. Però, in passato, tale tema è stato quasi esclusivo nel dibattito sul rafforzamento delle Nazioni Unite; si parlava quasi solo e soltanto del Consiglio di sicurezza. Mi sembra, invece, importante che ora si contestualizzi tale versante della riforma.
Mi sembra, altresì, importante la riforma dell'ECOSOC in quanto manifesta un'attenzione che in passato è mancata, salvo l'auspicio espresso tanto tempo fa, quando Ciampi ci rappresentava in quella sede. Ricevere al riguardo ulteriori elementi di conoscenza in una prossima occasione sarebbe interessante perché l'idea che ECOSOC possa diventare coordinatore dell'azione delle istituzioni finanziarie internazionali è forse ambiziosa ma è anche importante; un tale progetto si rinviene anche nella risoluzione del Parlamento europeo e, con ancora più forza, in una risoluzione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa di cui ero relatrice.
Non mi soffermo sul piano di azione illustrato a proposito della riforma del Consiglio di sicurezza perché condivido sia l'impostazione sia, soprattutto, i principi sui quali si basa la nostra iniziativa; principi che consistono nel dare realmente seguito alla raccomandazione di Kofi Annan ovvero far sì che il Consiglio di sicurezza sia più rappresentativo, democratico ed efficace. Non si può sostenere che le altre proposte assecondino realmente tale fine; sembrano, piuttosto, ritagliate sulla misura degli interessi nazionali.
Manca del tutto un aspetto sollevato con forza dal Parlamento europeo e che non concerne il ruolo del Governo ma il coinvolgimento dei parlamenti.
Su tale questione, ho idee alquanto diverse dal collega Mantovani che, pure, è molto in linea con l'approccio dell'Unione interparlamentare, cui è stato riconosciuto il ruolo quale interfaccia parlamentare delle Nazioni Unite. Tuttavia, personalmente, considero riduttiva l'impostazione che si è data a questo dialogo Nazioni Unite-parlamenti; più forte è, invece, tra le proposte, quella avanzata dal Parlamento europeo su un'Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite. Giova poco, invece, un coinvolgimento dei parlamenti che non diventi di per sé volano di democratizzazione dell'organizzazione. In tal senso, il ruolo giocato dall'Assemblea parlamentare dell'OSCE o dal Consiglio d'Europa, ad esempio, comporta meccanismi di verifica delle credenziali democratiche dei paesi partecipanti; in quei casi, dunque, lo strumento è potenzialmente molto forte. Invece, organismi che diventino un luogo in cui hanno voce delegazioni parlamentari le cui credenziali democratiche e i cui criteri di nomina non sono in alcun modo codificati, possono solo avere una funzione di pur interessante confronto ma non valorizzano quel ruolo di sindacato, ovvero di controllo e di vigilanza sull'organizzazione, che potenzialmente i parlamenti potrebbero e dovrebbero svolgere, peraltro anche esercitando un ruolo di tramite delle Nazioni Unite nei confronti della propria opinione pubblica; a tale ultimo riguardo, ritengo sia in corso un lavoro interessante che va in tal senso.
Saremmo infine interessati a conoscere gli orientamenti sulla scelta del nuovo Segretario generale.

SERGIO D'ELIA. Ringrazio davvero il sottosegretario per gli affari esteri Craxi per l'ampia e, devo aggiungere, anche molto precisa e documentata relazione, che ci consente di conoscere la situazione in cui si trova non soltanto il processo di riforma di alcuni importanti organismi delle Nazioni Unite ma anche l'attività del nostro paese e della nostra politica estera in relazione a questo tema cruciale dei rapporti internazionali.
Della sua relazione, sottosegretario Craxi, considererò, nel mio intervento, soltanto due punti.
Il primo, riguarda l'organo di recente istituzione, il Consiglio dei diritti umani, in relazione soprattutto al programma (da lei dettagliatamente esposto) che il nostro


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paese, avanzando la propria candidatura a farne parte a partire dalla primavera del 2007, ha presentato.
Il secondo punto verte invece sulla riforma del Consiglio di sicurezza. Lei, al riguardo, ha riferito che il nostro paese è impegnato in un'opera di mediazione; ma si è trattato, piuttosto, in questi anni, di un'opera soprattutto di contrasto opposta ad un tentativo di creare una situazione di fatto che, all'interno dell'Unione europea, privilegiasse il ruolo della Germania come nuovo membro permanente. Ricordo in proposito l'impegno dei nostri ambasciatori all'ONU a New York; ora, è ambasciatore Spatafora, ma già precedentemente Paolo Fulci fu un leone nella difesa degli interessi italiani proprio per evitare che si consumasse un errore gravissimo. Un errore con conseguenze negative non soltanto sul nostro paese ma proprio sulla politica estera dell'Unione europea, se si vuole che l'Unione europea abbia una voce unica in politica estera (voce che, come sappiamo, manca ancora adesso).
Circa l'abolizione della pena di morte, forse tutti i colleghi erano presenti in Assemblea ieri quando è stata approvata all'unanimità dalla Camera un'importantissima mozione che impegna il Governo italiano a portare alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite una proposta di risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali. Si tratta di un punto di politica estera che, se riuscissimo a conseguire nel giro di qualche mese, darebbe all'Italia un lustro ed un prestigio a mio avviso notevole e «storico». La convergenza straordinaria dei gruppi, sia di maggioranza sia di opposizione, fa ben sperare al riguardo e, soprattutto, si colloca nel solco di una tradizione. Perciò, su tale iniziativa davvero non vi è dissenso nel Parlamento né, a mio avviso, nel paese.
Quanto alla promozione della democrazia e dello Stato di diritto, lei sa, sottosegretario, che l'Italia fa parte di un nucleo ristretto di sedici paesi nell'ambito della Community of democracies; so che tale organismo, e le sue attività, non sono di sua stretta competenza e fanno, invece, capo ad un altro sottosegretario. Tuttavia, ritengo in proposito che tale ristretto nucleo di coordinamento di paesi democratici di cui l'Italia fa parte debba avere una voce unica nell'ambito delle Nazioni Unite - per le quali lei è, invece, competente -, anche su tutte le questioni cruciali che riguardano i lavori dell'Assemblea generale. Quindi, le chiederei se non sia opportuno che l'Italia avanzi la candidatura, ovviamente attraverso un coordinamento tra lei ed il sottosegretario competente, ad essere lo speaker, in Assemblea generale, di questa Community of democracies.
Per quanto riguarda la riforma del Consiglio di sicurezza, ritengo che l'Europa debba sciogliere un nodo cruciale riguardante il rapporto con gli altri paesi e le altre aree geografiche; mi riferisco alla politica estera europea che deve essere comune ed avere una voce unica. Evidentemente, la riforma del Consiglio di sicurezza dovrà tenere conto di un tale nodo che si pone con riferimento all'Unione europea. Al riguardo, la sua proposta di mediazione ed il lavoro che gli Affari esteri stanno svolgendo si collocano in una dimensione che diverge, però, alquanto dalla direzione testé indicata. La proposta, infatti, è di istituire dieci nuovi membri non permanenti, divisi in cinque aree geografiche, tra le quali, quindi, è ricompresa anche l'Europa con due membri che, a rotazione, faranno parte, per un biennio o un triennio, del Consiglio di sicurezza. Devo, però, riconoscere che la sua proposta sembra essere realistica: discutere oggi l'istituzione di un seggio unico dell'Unione europea perché l'Europa abbia una voce unica permanente con diritto di veto in seno al Consiglio di sicurezza significa fare i conti con Francia e Regno Unito, sicché una tale soluzione, in tempi brevi, sembra abbastanza irrealistica. In ogni caso, noi dobbiamo sollevare la questione all'interno dell'Unione europea.
Insomma, sarei favorevole ad una riforma del Consiglio di sicurezza che desse all'Europa un unico seggio permanente come espressione della politica estera comune europea ma, rendendomi conto che non è un'innovazione possibile in questi


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anni, ritengo che si debba almeno sollevare la questione con i partner europei.

SERGIO MATTARELLA. Ringrazio il sottosegretario Craxi per la sua esposizione e svolgo solo due considerazioni relativamente ad uno dei tanti versanti contemplati dalla riforma delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza.
A me non sfuggono le difficoltà ed i problemi che la realtà presenta, ma non sfugge neppure che una riforma dello statuto delle Nazioni Unite si realizza ogni cinquanta anni: dopo quella in corso, sempre che si riesca ad approvarla, passeranno decenni per vararne un'altra. Dunque, anche temi che appaiono irrealistici vanno, a mio avviso, posti con forza.
Peraltro, il seggio unico dell'Unione europea non confligge con l'esistenza di quelli della Gran Bretagna e della Francia; nella storia delle Nazioni Unite, infatti, già esistono precedenti di seggi assegnati a paesi che facevano parte di altre organizzazioni statuali: basti pensare all'Ucraina e ad altri paesi che erano presenti nelle Nazioni Unite (anche se non nel Consiglio di sicurezza) pur facendo parte della federazione dell'Unione sovietica. Dunque, una tale proposta non confligge nell'immediato con l'esistenza di quei seggi, ma pone piuttosto l'esigenza di una presenza unitaria dell'Unione, che poi potrà essere modulata nel corso del tempo, con soluzioni adottate provvisoriamente e transitoriamente, nonché con formule che siano sostitutive e, del seggio unico, rappresentino un surrogato. Ma il tema va comunque posto con molta forza, al di là del timore di essere privi di senso della realtà; proprio il senso della realtà, infatti, suggerisce che questo è il tempo di porre il tema e che non ve ne sarà un altro.
Aggiungo sul seggio europeo che, quando, nell'agosto 2004, questa Commissione si riunì d'urgenza insieme a quella omologa del Senato perché sembrava imminente il rapporto del panel dell'ONU sulla riforma, il ministro degli affari esteri di allora, Frattini, definì la proposta che noi allora avanzammo sul seggio unico dell'Unione europea come assolutamente utopistica, salvo assumerla, dopo due mesi, come la proposta italiana. Ciò rivela che non vi è un'altra proposta possibile; infatti, non ci si può porre in contrapposizione con altri paesi dell'Unione. O si assume in positivo una proposta che non è una fuga in avanti ma rappresenta una prospettiva seria, politica, storica per l'Europa; oppure, non vi è una posizione alternativa a quella tenuta da quei paesi che cercano di ottenere un seggio permanente in Consiglio di sicurezza perché economicamente e politicamente di particolare rilievo e forza come la Germania.
L'altro tema è il diritto di veto; anche a tale riguardo, non mi sfugge il profilo del realismo e della storia; so bene che è impensabile che tale istituto venga soppresso. Però, è chiaro che le Nazioni Unite hanno oggi, nel momento in cui affrontano la loro riforma - e ribadisco che se ne affronterà una nuova tra chissà quanti decenni -, tali alternative: o mantenere il diritto di veto così come è oggi strutturato, con i cinque membri permanenti in seno al Consiglio di sicurezza, o estenderlo ad altri membri ovvero affrontare la questione del suo superamento, che è una delle scelte essenziali per dare alle Nazioni Unite una prospettiva reale di confronto internazionale efficiente ed effettivo che le configuri, se non come un governo internazionale, almeno come una sede che decide con efficacia sulla scena internazionale.
Affrontare il tema del superamento del diritto di veto non significa tendere alla sua immediata scomparsa; significa, invece, fare sedimentare la questione nel dibattito interno alle Nazioni Unite. Le alternative sono quindi le seguenti: mantenere tacitamente - quindi, avallandola nuovamente - l'attuale condizione di cinque paesi che dispongono del diritto di veto; estendere tale diritto, più o meno attenuato, ad altri paesi; infine, porre le basi quanto meno di un confronto teso al suo superamento. In tale situazione, ritengo che il nostro paese non possa non farsi portavoce di tale terza ipotesi, che va


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nella direzione di una riforma realmente efficiente delle strutture e della capacità decisionale delle Nazioni Unite.

IACOPO VENIER. Anch'io ringrazio il sottosegretario per la relazione, che mi consente di sviluppare un ragionamento e di rivolgere talune domande.
Noi abbiamo alle spalle, forse, la più importante crisi delle Nazioni Unite dalla loro fondazione; una crisi che è coincisa con la decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di non avallare l'invasione statunitense dell'Iraq. A mio avviso, stiamo attraversando un momento delicatissimo; ricordo che allora l'amministrazione statunitense addirittura usò toni tali da far apparire superato il sistema delle Nazioni Unite e, complessivamente, ogni foro multilaterale.
Ritengo faccia bene il nostro Governo, in questo momento delicato di discussione internazionale e diplomatica, ad investire sul processo di riforma; faremmo bene anche noi, tuttavia, discutendo sulle Nazioni Unite, a dismettere quell'atteggiamento ipocrita col quale mascheriamo la realtà dei fatti, ovvero che tale dibattito nasconde un'enorme discussione sulla ridefinizione dei rapporti di forza geopolitici a livello planetario.
Personalmente, ritengo non vi sia alternativa, nel medio e nel lungo periodo, ad una riforma del sistema delle Nazioni Unite basata sul nuovo bilanciamento dei rapporti di forza a livello globale fondato sull'integrazione regionale; credo, peraltro, che tali siano anche l'indicazione e l'indirizzo di lavoro provenuti dall'impegno del Governo italiano.
È ovvio che in questo quadro il compito storico dell'Italia è di contribuire a che l'Unione europea sia uno degli attori fondamentali di questa nuova partnership e a che, come ho dianzi chiarito, si imponga un nuovo sistema di bilanciamento delle forze tale da portare ad una ridefinizione del diritto internazionale. Infatti, uno degli elementi di crisi della credibilità internazionale del sistema delle Nazioni Unite è legato anche, come ha precisato l'onorevole Mattarella, alla presenza del diritto di veto in seno al Consiglio di sicurezza. Un esempio ne è, per così dire, il doppio standard che si segue nell'applicazione delle risoluzioni per il ripristino ed il mantenimento della legalità internazionale e nell'attenzione per gli elementi di crisi che si producono a livello globale. Abbiamo, infatti, assistito alla performance del Segretario di Stato americano nell'ambito dello stesso Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite quando ha voluto controbattere le osservazioni degli osservatori sul campo in Iraq proprio con riferimento alle armi di distruzione di massa; ricordo che poi quella performance si dimostrò del tutto non basata sulla realtà. Ma anche in queste ore la possibilità del sistema delle Nazioni Unite di intervenire con un'azione di censura e di condanna di iniziative militari gravissime - mi riferisco alla crisi internazionale di gravissima portata sorta in Libano e a Gaza - viene bloccata dalla presenza del diritto di veto in capo ad alcuni paesi membri del Consiglio di sicurezza. Per tale motivo, ritengo si debba agire - come ha poc'anzi sottolineato il sottosegretario - con tutti gli strumenti diplomatici, intervenendo anche sul processo di riforma delle Nazioni Unite al fine di «spingere» verso una rappresentanza delle grandi aree geografiche in corso di integrazione regionale.
A tale riguardo, abbiamo potuto audire il sottosegretario Crucianelli su quanto sta accadendo in Europa e, prima ancora, il sottosegretario Di Santo su quanto avviene in America latina; acquisiremo anche notizie su cosa sta avvenendo in Asia, e via dicendo. Su ciò dovremo senz'altro lavorare ma, come ha detto l'onorevole Mattarella, dobbiamo anche responsabilmente porre il tema della assegnazione di un seggio permanente all'Unione europea. Si tratta infatti dell'unica prospettiva storicamente fondata che il nostro paese ha di esercitare un ruolo ed una funzione a livello internazionale nell'ambito del sistema europeo.
Per quanto riguarda la pena di morte, anch'io apprezzo l'impegno manifestato; ieri, infatti, abbiamo approvato tutti insieme


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un'importante mozione in Assemblea. Sarebbe peraltro gravissimo se un tale tema fosse utilizzato politicamente; si tratta, infatti, di una questione di carattere generale la cui interpretazione non deve essere strumentale ed il cui valore non deve essere amplificato a seconda dei casi sorti nella pratica. Su tale tema, per l'appunto, non devono esserci standard diversi; la pena di morte è odiosa e inaccettabile a qualunque caso venga applicata.
Infine, rivolgerei al sottosegretario una domanda su una mozione parlamentare approvata dalla Camera dei deputati in relazione alle missioni italiane all'estero, molte delle quali si collocano nell'ambito delle Nazioni Unite; peraltro, la risposta, al riguardo, è già parzialmente contenuta nella sua relazione introduttiva. Ebbene, quella mozione sancisce l'impegno dell'Italia a «spingere» per la costituzione di quello strumento militare e di quella forza di sicurezza delle Nazioni Unite che mai fino in fondo sono stati realizzati. Si tratta, invece, a nostro avviso, e secondo la logica della stessa mozione, di mezzi fondamentali per assicurare una capacità di intervento, nel peace keeping o nel peace enforcing, in posizione di terzietà rispetto alle situazioni sul terreno e tale da superare definitivamente quella fase delle Coalitions of willings o delle alleanze non solo senza mandato ma addirittura senza alcun tipo di rapporto con la legalità internazionale che abbiamo sperimentato nel recente passato. Una fase che ha rappresentato, come ho sostenuto all'inizio del mio intervento, un momento di crisi tale che poteva portare - e forse ancora il pericolo non è del tutto superato - proprio ad una implosione dell'intero sistema delle Nazioni Unite.
Oggi, è in corso una riflessione internazionale che riapre una prospettiva di rifondazione del sistema; personalmente, ritengo che tale rifondazione possa originarsi solo dalla riorganizzazione delle aree regionali mondiali e dalla formalizzazione di un nuovo equilibrio, anche nel quadro del Consiglio di sicurezza delle stesse Nazioni Unite.

SABINA SINISCALCHI. Mi associo al ringraziamento già rivolto dai colleghi al sottosegretario Craxi per l'esposizione svolta, che ci conferma la volontà del Governo di tendere ad una partecipazione sempre più convinta e tenace all'interno delle Nazioni Unite; è bene, peraltro, ricordare che si tratta dell'unica organizzazione universale esistente, un luogo dove sono rappresentati tutti paesi del mondo. Ciò premesso, ritengo che tale rafforzamento della nostra partecipazione passi attraverso quei settori che il sottosegretario, con grande lucidità, ci ha illustrato, vale a dire la costituzione di nuovi organi come il Consiglio dei diritti umani, la Commissione per il consolidamento della pace, la riforma dell'ECOSOC. Quest'ultima, già richiamata dalla collega De Zulueta, è assai importante in quanto molto spesso tale organo è entrato in impasse anche per la mancanza di coordinamento con le altre istituzioni finanziarie internazionali (ad esempio, sulla questione dell'indebitamento dei paesi in via di sviluppo). Ovviamente, come è stato da più parti ricordato, detto rafforzamento passa anche attraverso una riforma del Consiglio di sicurezza che assicuri maggiore rappresentanza e democraticità a questo organo e passa altresì, infine, attraverso la riforma del Segretariato.
Le chiederei, signor sottosegretario, di soffermarsi su tale ultimo aspetto che mi interessa particolarmente; al riguardo, lei osservava che esistono visioni diverse di questa riforma. Mi risulta in proposito che la proposta del Segretario generale Kofi Annan - che, se non ricordo male, era titolata In larger freedom - ancora non sia stata presa veramente in considerazione; osservo peraltro che la riforma del Segretariato passa, sì, attraverso una maggiore efficienza ed un argine posto ai gravi episodi di corruzione già verificatisi, ma deve anche mantenere tale organo come luogo, per l'appunto, di confronto e di rappresentanza politica forte. La riforma del Segretariato non può prescindere, dunque, dalla questione delle risorse finanziarie delle Nazioni Unite, che sappiamo rappresentano un nodo: un nodo che vede


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alcuni paesi, debitori nei confronti dell'ONU, non rispettare i propri impegni nei confronti dell'organizzazione. Quindi, la pregherei se dedicasse un po' di tempo su questo aspetto particolare.

LUCIANO PETTINARI. Voglio anch'io ringraziare il sottosegretario Craxi per l'utilissima relazione, che mi è parsa molto documentata, precisa e - quanto più mi interessa sottolineare - politicamente rilevante. Mi è parso, infatti, di capire che sia convinzione del sottosegretario - e, ciò che più conta, intenzione del Governo - che l'Italia, dopo una lunga parentesi, debba impegnarsi nella direzione di una rinnovata centralità dell'ONU. Si tratta, invero, di un impegno non piccolo considerato che il ruolo dell'ONU, in questa ultima fase storica, è stato, per così dire, alquanto marginalizzato. Per un certo periodo, addirittura si è guardato all'ONU come all'istituzione che doveva più o meno autorizzare, e più o meno «coprire», l'intervento militare; era questo allora il tipo di dibattito in corso.
Mi pare che, ora, invece, i riferimenti precisi fatti ad istituzioni come il Consiglio dei diritti umani e la Commissione per il consolidamento della pace ripropongano una iniziativa complessiva importante di tale organizzazione.
Ciò sottolineato, ritengo bisognerebbe affrontare un tema che è sullo sfondo di tutto questo dibattito e che si riferisce all'efficacia che tale processo potrà dispiegare su questi terreni portando ad una rinnovata autorevolezza dell'ONU, autorevolezza a mio avviso ormai venuta meno: basti considerare, sul terreno politico generale, che da anni alcuni paesi - e non dipende solo dal diritto di veto - possono «bellamente» trascurare di dare applicazione alle risoluzioni dell'ONU. Sono diversi, ne cito uno tra tanti perché è di attualità: Israele mi pare abbia battuto il record mondiale nell'attività di, per così dire, «cestinare» le risoluzioni dell'ONU. Abbiamo avuto, invece, taluni altri paesi che, in virtù forse di una risoluzione dell'ONU, sono stati oggetto di intervento militare; ciò è un segno di un'autorevolezza relativa.
Ovviamente, a fronte all'impegno rinnovato su certi terreni e dell'interrogativo sulla relativa efficacia, è chiaro che si discuta - come ha fatto il sottosegretario - delle necessarie riforme. Al riguardo, a mo' di sollecitazione da rivolgere al sottosegretario per la replica, vorrei riprendere alcune considerazioni svolte poc'anzi dalla collega Siniscalchi. Ebbene, mi pare che sul terreno più rilevante del processo riforma, che anch'io penso sia costituito dal Segretariato e dal Consiglio di sicurezza, occorra tracciare - e mi rivolgo anche, appunto, al sottosegretario - un quadro realistico di quanto può essere compiuto. Ciò anche con riferimento alla questione del seggio europeo. Figuriamoci! Anch'io infatti penso che sarebbe la migliore soluzione auspicabile e che sicuramente l'Italia debba porla sul tappeto. È vero, come osservava Mattarella, che non si porrebbe un conflitto con i seggi presenti; ma vi sarebbe certamente il conflitto nel suo significato politico nel senso che altro è proporre il seggio unico come espressione di una politica estera dell'Unione europea e altro ancora è aggiungere un seggio dell'Unione - pur in virtù di una motivazione pregevolissima - alla presenza di altri due seggi europei già esistenti in seno al Consiglio. Quindi, anche a tale riguardo, qual è l'obiettivo che realisticamente si può perseguire in questa direzione? Certo, non si deve mettere sullo sfondo la posizione giusta! Anch'io al riguardo, come sosteneva il collega D'Elia, trovo sia realistico il bilanciamento regionale proposto dal sottosegretario, un allargamento del Consiglio che tenga conto di ciò. In che misura ciò sia realistico, è da verificare.
Svolgerò infine alcune ultime considerazioni, a mo' di flash, in vista della replica. Anch'io chiederei, se fosse possibile, un chiarimento sulle risorse finanziarie. Non si tratta solo della questione relativa al mancato assolvimento di taluni impegni finanziari; vi sono le implicazioni che ne scaturiscono perché si produce poi,


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rispetto alla situazione delle risorse finanziarie, un condizionamento politico per le Nazioni Unite.
Siccome, infine, il sottosegretario Craxi aveva fatto riferimento ai criteri e alle consultazioni per la scelta del nuovo segretario dell'ONU, chiederei se in tal senso può fornire elementi utili alla nostra riflessione. Mi unisco anch'io pertanto a chi aveva chiesto delucidazioni in tal senso.

SANDRA CIOFFI. Ringrazio il sottosegretario perché, dopo la chiara esposizione sulla situazione attuale, ancora una volta ci rendiamo conto di come il nostro paese - ed il Governo in collaborazione con il Parlamento - in questo momento stia veramente perseguendo una politica estera per ottenere all'Italia un ruolo molto importante nell'ambito europeo. Proprio per questo, dato che la riforma dell'ONU è un tema nodale, al quale certamente noi dobbiamo portare un nostro forte contributo, auspico - e anzi invito il sottosegretario a riflettere in tal senso - che prossimamente sia possibile prevedere un'altra audizione, in modo che la Commissione possa svolgere una nuova riflessione nel merito anche avanzando opportune proposte.
In questa fase vorrei svolgere qualche riflessione su quanto è stato riferito: una questione importante è certamente il diritto di veto. Si tratta di un tema da affrontare proprio per l'immobilismo che certe volte il diritto di veto genera; un immobilismo che nel passato ha indebolito l'ONU. Crediamo tutti nella forza che deve avere l'ONU ma è sotto gli occhi di tutti che nell'ultimo periodo tale organizzazione non ha potuto esplicare pienamente le sue funzioni. Proprio l'altro giorno ho appreso da un'agenzia di stampa una notizia che mi ha colpito; la risoluzione n. 1559 del 2 settembre 2004, che riguarda Libano ed Israele, concludeva con un ultimo punto nel quale, dopo aver ricordato la necessità della pacificazione, si incaricava il Segretario generale dell'ONU di presentare un rapporto entro trenta giorni sul modo in cui le parti avrebbero dovuto attuare la risoluzione ciò conferma quindi, che la debolezza dell'ONU molte volte non procura gli effetti che tutti noi spereremmo che avesse.
Un'altra mia considerazione è la seguente: in realtà, a proposito dei seggi permanenti, bisogna puntare ad ottenere, come diceva pure l'amico D'Elia, un seggio permanente per l'Europa. Ciò proprio per la maniera nella quale noi intendiamo adesso anche la nostra politica estera: un'Italia forte in Europa ed un'Europa forte nei rapporti multilaterali.
Volevo svolgere una riflessione anche sulla giornata di ieri; si parlava prima della questione della pena di morte. Ebbene, ieri abbiamo dato un grande segnale in questo Parlamento; devo al riguardo ringraziare il deputato D'Elia che ha portato avanti questa battaglia. Ma abbiamo dato tutti un grande segnale votando all'unanimità un atto che certamente ci distingue. Ciò deve indurci a proseguire questa battaglia non solo in ambito europeo ma anche nel contesto ONU. Ritengo che proprio un rapporto costante del Governo con il Parlamento e la costruzione, da parte del Parlamento, di rapporti bilaterali che rafforzino la nostra politica estera, possano essere una strada che potrà dare sempre più forza al nostro paese.

PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Intervengo molto brevemente. Intanto, nel ringraziare il sottosegretario Craxi, mi scuso per il ritardo; ho tuttavia avuto modo di leggere la relazione che ci hanno consegnato gli uffici. Spero che essa sia abbastanza in linea con quanto ella, poi, anche parlando a braccio, ha esposto. Se così non fosse, mi scuso anticipatamente, sottosegretario.
Concordo sostanzialmente con quanto osservato da chi mi ha preceduto; credo, in particolare, che per quanto riguarda il Consiglio di sicurezza la mia posizione sia un po' più vicina a quella esposta da Mattarella. Peraltro, si deve prendere comunque atto di una situazione: la crisi di credibilità dell'ONU dipende da una serie di gravissimi errori commessi le cui conseguenze sono state «pagate» dalle popolazioni. Ne fa cenno nella sua relazione


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anche il sottosegretario Craxi; in Somalia, ad esempio, l'intervento dell'ONU è stato una catastrofe; tralascio il caso del Rwanda dove caschi blu, semplicemente con degli scacciacani, avrebbero potuto evitare il massacro di un milione di persone. Quindi, esiste questa realtà cui dobbiamo molto serenamente pensare quando discutiamo della riforma dell'ONU, e vi è pertanto una crisi di credibilità seguita a clamorosi errori. Bisogna procedere prendendone atto e sapendo, come bene osservava Siniscalchi, che si tratta dell'unico organismo globale nell'epoca della globalizzazione. Quindi, non vi è un'alternativa all'ONU.
Si parla di globalizzazione e l'ONU è, in effetti, l'unico organismo globale. Deve però esservi la responsabilità, questa volta assolutamente condivisa, di una presa d'atto degli errori, se si vuole progredire. Altrimenti, come spesso avviene, si ricorrerà all'ONU quasi come ad una «foglia di fico» per uscire da una situazione difficile. Si istituisce una commissione, si chiama a farne parte un rappresentante dell'ONU e si va avanti, un po' come succede nella cooperazione: Siniscalchi lo sa, si «prende in prestito» dall'accademia un professore universitario il quale, in ipotesi, non ha mai messo piede in Africa, e gli si affida un compito. Neppure questo deve accadere.
Credo che si debba affrontare un'altra questione già citata nel dibattito, quella delle risorse: a tale riguardo, bisogna davvero andare a fondo. Ho guardato con attenzione la interessante relazione che lei ha svolto; è abbastanza ampia ma non del tutto esaustiva perché non affronta questo grande problema derivante anche da un meccanismo organizzativo dell'ONU che è dovuto alla natura stessa dell'organizzazione. Infatti, si impone che ad un paese corrisponda un voto sicché si deve decidere per consenso; questo ha determinato un «metastatico» sviluppo di varie agenzie dell'ONU, talvolta inutili, talvolta sicuramente pletoriche, talaltra addirittura pleonastiche.
Ritengo si debba avere il coraggio anche di incidere su tale versante, se è vero, com'è vero, che occorrono risorse per sostenere questo organismo che - lo ribadisco - è l'unico di carattere universale. Oltre a questo, a mio avviso, bisogna impegnarsi per allocare diversamente le risorse, trovare dei meccanismi che impediscano la naturale «metastasi» per la captatio benevolentiae, in fondo scontata, dei paesi che poi dovranno esprimere il voto. Qualcosa in tal senso è stato fatto. L'onorevole De Zulueta, presentando quella bella relazione al Consiglio d'Europa, ha senz'altro avuto modo di leggere tutti i documenti prodotti da chi ha proposto una riforma dell'ONU. Penso ad esempio all'idea di riorganizzare l'ONU secondo grandi criteri ed assi portanti (ad esempio, i diritti umani) provvedendo anche ad un riordino coraggioso di tutte le agenzie esistenti che, a volte, sono doppioni l'una dell'altra, con finalità che si incrociano e che provocano confusione sul piano operativo. Ritengo che anche su tale versante l'Italia dovrebbe veramente dare un contributo.

PRESIDENTE. Nessun altro collega desiderando intervenire, do la parola al sottosegretario Craxi per la replica e per le considerazioni conclusive.

VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Vorrei anzitutto ringraziare i colleghi e gli onorevoli deputati; l'audizione di questa mattina riguarda in generale un tema, quello delle Nazioni Unite, che, come dice la parola stessa, è vasto e complesso, nonché, per certi aspetti, delicato. Esso, nell'attuale fase, investe interessi diffusi, solleva difficoltà più generali e, nel contempo, fa emergere una volontà che il nostro paese non fa altro che confermare: la volontà di rafforzare la propria presenza all'interno delle Nazioni Unite con la consapevolezza che il quadro multilaterale, la visione globale delle questioni riguardanti il mondo in cui noi viviamo trovano nell'Organizzazione delle nazioni unite un riferimento essenziale. Senza le Nazioni Unite, oggettivamente, a sessant'anni di distanza dalla loro nascita, ci ritroveremmo


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in sistemi di organizzazioni probabilmente regionali-continentali che non avrebbero la stessa capacità di svolgere una funzione così alta su tante questioni e su temi fondamentali.
Nella relazione, oltre ad illustrare sul piano strettamente pragmatico le questioni che sono sul tappeto in vista dell'Assemblea generale del 22 settembre, ho cercato soprattutto - e, almeno considerato il risultato del dibattito, in parte ci sono riuscito - di sollecitare una inevitabile e necessaria (uso un brutto termine) sinergia tra il Parlamento e l'azione di Governo in funzione della nostra azione politica, oggi per il Consiglio di sicurezza ma domani certamente su questioni legate ai diritti umani o alla peace building o ad operazioni di mantenimento della pace. Insomma, i parlamenti, come giustamente notava l'onorevole De Zulueta, hanno e debbono avere una loro funzione all'interno dei sistemi degli organismi multilaterali. La stessa Commissione, per sua natura, deve e può svolgere un ruolo di assoluta importanza, o a sostegno delle azioni governative, quando queste siano condivise nella loro totalità - la politica del consenso anche su questo -, o, più in generale, per sostenere una politica italiana nei confronti delle organizzazioni delle Nazioni Unite, organizzazioni che hanno nell'Italia un protagonista essenziale.
Mi riaggancio ora alle ultime considerazioni svolte dall'onorevole Paoletti Tangheroni. Naturalmente, la ringrazio in quanto le sue scuse per il ritardo in parte compensano la sua richiesta delle mie dimissioni: siamo a buon punto!
Tuttavia, il contributo che noi diamo alle agenzie delle Nazioni Unite è fondamentale, in termini di risorse, di funzionari, di uomini che «rischiano» per la pace. Quindi, sostanzialmente, il nostro paese ha un ruolo che è sottolineato ed è stato evidenziato nell'ultima visita di Kofi Annan. Vi sono anche circostanze che molti italiani ignorano; siamo, per esempio, sede di agenzie ONU rappresentative, fondamentali, importanti. Non parlo soltanto della FAO, che comunque è una grande agenzia internazionale dell'ONU; penso anche allo Staff college di Torino e, come ho detto dianzi, alla sede di logistica di Brindisi. Nel futuro, mi auguro e auspico che l'Italia sia sede permanente di agenzie ONU e di un sistema di agenzie che riguardino l'ONU, per esempio in materia di disarmo o in materia di aiuti ai rifugiati.
Onorevole Paoletti Tangheroni, lei diceva che vi sono troppe agenzie. Ebbene, in parte concordo: vi è una certa proliferazione di sistemi onusiani che hanno finalità e obiettivi che probabilmente si elidono o finiscono per ostacolarsi a vicenda determinando conflitti di competenza. Devo dire che il Governo che ci ha preceduto ha recato un contributo, per così dire, essenziale alla difficoltà di queste agenzie e l'azione che ha svolto non pagando il contributo è stata tale per cui abbiamo dato un segnale evidente di quanto alcune agenzie dell'ONU fossero in cima ai nostri pensieri. Tralascio peraltro di ricordare i contributi volontari che sono stati negati su programmi fondamentali per la vita delle Nazioni Unite e fondamentali, in generale, nella lotta contro l'AIDS.
Detto ciò, è vero che le ristrettezze e la scarsità di risorse impongono anche a questo Governo, se non di rivedere il sistema delle sue relazioni con le Nazioni Unite o di contenere il suo sforzo, certamente di dare un contributo sulla base delle proprie capacità economiche. Nonostante ciò, siamo dei buoni contributori nei riguardi delle Nazioni Unite, il che rappresenta un elemento assolutamente importante per l'Italia, anzi, uno degli elementi di cui, a mio avviso, questo paese deve andare fiero. Sottolineo tale circostanza, non avendolo fatto nell'insieme dei temi trattati nella relazione.
Onorevoli deputati, vi ringrazio e voglio rispondere brevemente alle vostre domande, sollecitato anche dalle vostre riflessioni, svolte con passione, intelligenza, rigore e anche, naturalmente, cercando di sostenere l'azione più generale del nostro Governo.


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Comincio da una notazione importante, ma anche frivola - poi specificherò il perché - sull'elezione del Segretario generale. I candidati che si fanno avanti sono attualmente di area asiatica: la nota frivola è che non riuscirò a pronunciare correttamente i nomi di costoro. Ebbene, si è candidato Ban Ki-moon, della Corea del sud; Shashi Tharoor, indiano, che probabilmente conoscerete; Surakiart Sathirathai, tailandese; Jayantha Dhanapala, dello Sri Lanka.

PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Scusi, sono tutti maschi?

VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Credo che Shashi Tharoor sia una donna.
Il sistema di elezione del Segretario generale dell'ONU può invero destare qualche perplessità per quanto riguarda le primarie in cui nessuno in realtà vota. Vi sono infatti tre alternative: incoraggiare il candidato, scoraggiarlo o non esprimere nessuna opinione. È vero che si tratta di un «sì», di un «no» e di un'astensione; però si è nel campo dell'incoraggiamento a presentare la propria candidatura. Ebbene, in questo caso sono state avviate sul piano informale delle consultazioni che hanno appunto come perimetro questo sistema di votazione. Questa è la risposta alla domanda che mi poneva l'onorevole De Zulueta.
Ringrazio l'onorevole D'Elia per aver sottolineato l'importanza del nostro impegno in funzione e in direzione dei diritti umani. Il Governo esprime altresì - peraltro, l'ha già fatto il sottosegretario Vernetti - la propria felicitazione per la mozione che la Camera ha approvato ieri in ordine alla posizione italiana, che deve tenere conto - e lo sottolineo ancora - di quella assunta all'interno dell'Unione europea per rafforzare la richiesta di una moratoria sulla pena di morte. Perciò, non si tratta di differenziare la propria posizione politica nazionale ma al contrario di rafforzare una posizione comune continentale sul tema della pena di morte.
L'onorevole D'Elia mi domandava della candidatura al Consiglio dei diritti umani. Ebbene, l'Italia presenta la sua candidatura: non è detto, ovviamente, che essa abbia successo. Tuttavia, siamo pronti a presentare una candidatura forte per rafforzare il nostro impegno in direzione e in funzione della difesa e della promozione dei diritti umani nel mondo.
È suggestiva, naturalmente, la posizione dell'onorevole Mattarella ma credo che allo stato sia impraticabile; il diritto di veto fa parte di una prassi consolidata ed è difficile che si possa giungere ad una sua rimozione.
Analogo discorso vale per la questione del seggio europeo: non è che l'Italia non abbia posto tale posizione come orizzonte nel cui perimetro dirigersi; la verità è che l'Italia ha dovuto fare fronte - l'avete ricordato voi stessi - ad una offensiva di carattere politico da parte di paesi membri dello stesso continente che hanno cercato di farsi spazio per ottenere un riconoscimento che risponde ad una logica politica e non soltanto ad una volontà opportunistica occasionale ed incidentale. Vi è una ragione storica e politica per cui la Germania cerca, insieme al Giappone, un riconoscimento politico definibile e collocabile nell'ambito della riforma del Consiglio di sicurezza. Tutti questi elementi, naturalmente, hanno una loro logica che afferisce, però, alla politica nazionale mentre confligge con gli orientamenti e gli impegni che, assunti in seno al Consiglio e al Parlamento europeo, sono peraltro anche consacrati nelle determinazioni della Carta costituzionale europea. Carta che prevedeva, di fatto, di procedere verso un'unica direzione in tema di politica estera e, quindi, anche in tema di riforma del Consiglio di sicurezza.
Quanto ovviamente sempre terremo sempre presente è che si deve impedire che la vicenda assuma il carattere di una baruffa bilaterale; al contrario, nel nuovo negoziato sulla riforma, se possibile, si dovrà anche contenere questa opportunità e questa disponibilità. D'altronde, noi saremo nel Consiglio di sicurezza insieme ad altri paesi dell'Unione europea membri non permanenti. A ottobre siederemo in Consiglio insieme ai Belgi e agli Slovacchi


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e cercheremo, attraverso la nuova Presidenza di turno europea, di promuovere, anche in seno alla riforma del Consiglio di sicurezza, una posizione comune dell'Europa.
Ho illustrato, onorevole Venier, quali passi possano essere mossi verso una forza multinazionale che assuma il carattere di un vero e proprio esercito. Va però precisato che esso deve essere, come é nelle finalità e negli orientamenti ONU, commisurato alle attività che le missioni di pace devono svolgere; attività che sono appunto di stabilità territoriale e di vero e proprio controllo operativo di polizia. Ritengo peraltro che tale forza di polizia permanente, armata naturalmente nella maniera più avanzata possibile rispetto alle concrete necessità, certamente dotata di potenzialità diverse e di ingaggi diversi, sia uno degli obiettivi sui quali realisticamente si può e si deve lavorare. È difficile oggi ritenere che missioni di mantenimento della pace possano essere basate soltanto sulla forza delle Nazioni Unite; ritengo che ciò, per quanto auspicabile e desiderabile, sia anche, allo stato, assolutamente utopistico. Per questo si fa riferimento alle forze militari che sono in campo e che lavorano per il mantenimento o il consolidamento della pace all'interno di un sistema di alleanze; alleanze che, nel caso della NATO, pur avendo un carattere difensivo, hanno tuttavia cooperato in missioni di stabilizzazione e di pacificazione.
Vengo ora alla vexata quaestio della riforma. Ebbene, è vero che si pone un problema legato alla crisi politica e interna delle istituzioni delle Nazioni Unite cui, certamente, ha contribuito anche la scarsità dei controlli rispetto alla capacità e alla grandezza della spesa. Quindi, sono subentrati anche fatti di corruzione o semplicemente, come mi ha riferito il sottosegretario generale Burnham, di cattiva gestione finanziaria. Tra l'altro, alcune inchieste hanno riguardato anche personalità del nostro paese che, in un periodo determinato, avevano cooperato con le Nazioni Unite. Si tocca però così il cuore della riforma. Da una parte, vi è una ragione politica: l'indebolimento, come si è detto, delle Nazioni Unite; dall'altra, l'incapacità della stessa struttura di riformarsi. Vi è quindi una difficoltà endogena cui questo Segretariato generale sta facendo fronte; è pronta, infatti, per l'Assemblea generale, una riforma strutturale che ottimizzerà le risorse e definirà sul piano operativo una nuova funzione delle Nazioni Unite.
Sono aumentati talmente tanto i paesi aderenti all'ONU rispetto all'anno di nascita che ciò ha provocato comunque uno squilibrio nella gestione nonché la proliferazione, naturalmente, di agenzie e di burocrazie che non sempre si sono dimostrate efficienti. D'altronde, nel caso delle Nazioni Unite, va osservato: chi controlla i controllori? Invero, proprio le Nazioni Unite dovrebbero controllare se stesse. Quindi, si pone un problema di management che è, alla fine, il cuore della riforma dell'amministrazione delle Nazioni Unite. Riforma cui dunque i paesi membri possono recare solo un contributo abbastanza relativo.
Ringrazio molto la Commissione dell'attenzione prestatami e per avere condiviso parte della mia relazione.

PRESIDENTE. A mia volta, ringrazio ancora il sottosegretario e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 11,15.