COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 28 novembre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE UMBERTO RANIERI

La seduta comincia alle 10,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del viceministro degli affari esteri, Ugo Intini, sulla situazione in Medio Oriente.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del viceministro degli affari esteri, Ugo Intini, sulla situazione in Medio Oriente e sugli sviluppi della vicenda in Libano.
Il viceministro Intini è stato recentemente in Libano, per cui, su una questione così complessa e delicata, ci darà sicuramente informazioni utili per il nostro lavoro.
Do la parola al viceministro Intini.

UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Grazie, signor presidente. Una folla immensa - si parla di 500 mila persone, numero considerevole per un paese di 3 milioni 600 mila abitanti - ha partecipato, giovedì 23 novembre, ai funerali di Pierre Gemayel nella cattedrale di San Giorgio a Beirut. La vigilia era stata caratterizzata da un clima tesissimo, che aveva visto diverse migliaia di cristiani scendere nelle vie della città e minacciare, a tratti, di marciare sul palazzo presidenziale per chiedere le dimissioni del Presidente della Repubblica Lahoud.
La tensione è persino aumentata allorché si è diffusa la notizia, poi confermata, che ignoti avevano sparato dei colpi d'arma da fuoco contro le finestre dell'ufficio del ministro per gli affari parlamentari, Michel Pharaon, del blocco Hariri, senza tuttavia colpirlo.
In un apprezzabile segno di moderazione, la maggior parte dei leader politici libanesi ha condannato l'attentato e ha fatto appello alla calma e all'autocontrollo. In particolare, mi ha colpito il padre di Pierre Gemayel - al quale ho reso omaggio durante il funerale -, che ha seguito una linea di grande dignità e di grande moderazione.
Il Presidente Lahoud ha deciso di non partecipare alle esequie per evitare che la sua presenza apparisse provocatoria ai sostenitori di Gemayel e della coalizione anti-siriana. Michel Aoun - un cristiano membro dell'opposizione pro-siriana -, nel condividere la condanna dell'atto, ha preso posizione contro una possibile radicalizzazione del contrasto intercristiano.
Tempestivamente, sulla base delle risoluzioni n. 1644 del 2005 e n. 1686 del 2006, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, su richiesta del Primo ministro Siniora, ha accettato di offrire l'assistenza tecnica della Commissione indipendente di investigazione sull'omicidio Hariri per far luce anche su quello di Pierre Gemayel.
Subito dopo il funerale, ho avuto un lungo colloquio con il Primo ministro Siniora, che aveva appena ricevuto il ministro degli esteri francese. In effetti, gli unici presenti a livello politico erano i


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francesi e gli italiani, con il significato che questo comporta. Come mi ha spiegato, Siniora ha deciso di proseguire, anche in assenza dei ministri dimissionari, nell'intento di far approvare il progetto di costituzione del tribunale internazionale incaricato di giudicare i responsabili dell'assassinio di Hariri. Questo tribunale rappresenta per lui non soltanto la possibilità di ottenere giustizia per i crimini politici avvenuti nell'ultimo biennio, ma anche - considerazione interessante - una garanzia per il futuro, perché non si ripetano altri assassini, ossia per fermare, come lui ha detto, la killing machine, la roulette russa che è in corso in Libano.
Il progetto istitutivo del tribunale è stato quindi approvato dal Consiglio dei ministri (composto dai soli ministri dell'Alleanza del 14 marzo) nel tardo pomeriggio di sabato e trasmesso ieri, lunedì 27, come previsto dalla Costituzione, al Presidente della Repubblica per la controfirma. Secondo la Costituzione, il Capo dello Stato ha ora la possibilità di mantenere il progetto istitutivo per 15 giorni, trascorsi i quali, anche se non firmato, dovrà trasmetterlo al Parlamento, che potrà votarlo o respingerlo. Spetta peraltro al presidente dell'Assemblea nazionale, Nabih Berri, la decisione di fissare la data in cui il progetto istitutivo dovrà essere messo all'ordine del giorno. Si tratta, come si può immaginare, di un procedimento che richiede tempi piuttosto lunghi e, soprattutto, grandi incognite politiche.
Siniora appare disponibile ad impegnarsi per la creazione di un consenso nazionale, anche attraverso la partecipazione di membri dell'opposizione ad un nuovo Governo, ampliando, ad esempio, fino a 30 il numero dei ministri (un'eventualità di cui si parla oggi è quella di reintegrare i sei ministri dimissionari, Amal e Hezbollah, assegnare quattro nuovi dicasteri a rappresentanti del generale Aoun, cristiano filo-siriano, e altri due a personalità sciite indipendenti). Ciò che egli vuole evitare è, piuttosto, di divenire «ostaggio» dell'opposizione, che potrebbe bloccare l'attività dell'esecutivo attraverso la cosiddetta «minoranza di blocco» - composta da un terzo dei membri del Consiglio -, senza aver preliminarmente definito un chiaro programma del nuovo Governo.
Per il momento, il ricorso alle manifestazioni di piazza annunciate da tempo dal leader di Hezbollah, e volte a far cadere l'attuale Esecutivo, sembra rinviato. Anche grazie all'azione moderatrice svolta dal padre del ministro assassinato, l'ex Presidente della Repubblica, Amin Gemayel, che domenica ha incontrato una delegazione di Hezbollah venuta a porgere le condoglianze, sembra che si stia cercando un modo di ricomporre la crisi, senza voler giungere a soluzioni estreme.
Nel corso del colloquio con il Primo ministro Siniora, egli mi ha inoltre sottolineato l'esistenza di interferenze da parte di Siria e Iran in Libano, ed ha sollecitato il continuo appoggio dell'Italia e della comunità internazionale, anche attraverso la presenza di UNIFIL.
A Siniora è chiarissimo che la presenza italiana è di enorme importanza, essendo già stato raggiunto da UNIFIL un successo: la tregua, che al momento esiste e regge proprio perché ci sono le truppe internazionali. Inoltre, la presenza di UNIFIL è un'ancora alla quale si aggrappano tutti coloro - e si tratta, io credo, della stragrande maggioranza dei libanesi - che vogliono evitare una nuova guerra civile. Sostengo che si tratti della stragrande maggioranza perché il popolo libanese è stato vaccinato contro l'orrore della guerra civile.
Ho domandato espressamente a Siniora come valuta la possibilità di dialogo con Siria e Iran. Riguardo alla Siria, in particolare, egli ritiene che aperture dell'Unione europea siano importanti, ma che allo stesso tempo sia necessario dialogare con Damasco con una sola voce in Europa e sulla base di risposte positive e concludenti. In definitiva, bisogna verificare con i fatti la credibilità delle parole dell'interlocutore.
Siniora ha chiesto anche azioni di distensione da parte di Israele, a cominciare dalla cessazione dei sorvoli dello spazio aereo libanese e dalla soluzione della questione


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delle fattorie di Shebaa, tema per i libanesi molto importante, anche sul piano simbolico.
Ho avuto modo di ribadire a Siniora il convinto sostegno dell'Italia al popolo libanese, alla sovranità e alla stabilità del paese. Ho rilevato, inoltre, come la stabilizzazione del Libano, attraverso un forte impegno della comunità internazionale, sarebbe una «success story» che si ripercuoterebbe positivamente sulle dinamiche della regione mediorientale nel suo complesso. Anche per questo motivo, il Governo non farà venir meno l'impegno dell'Italia in tal senso, perché una positiva soluzione alla vicenda libanese può e deve rappresentare non un punto di arrivo, ma un punto di partenza per la soluzione degli altri problemi dell'area, innanzitutto quello palestinese e quello degli equilibri regionali.
L'ultima volta che ho avuto modo di vedere Siniora è stato all'Hotel Hilton di Roma, allorché ho accompagnato Prodi ad un incontro con il Primo ministro stesso, pochi giorni prima della guerra. Era presente il mondo bancario italiano ed arabo e tutti speravano in un grande rilancio degli investimenti e dell'economia libanese, affinché il Libano potesse ritornare ad essere quello che, tradizionalmente, è sempre stato: la Svizzera del Medio Oriente. Purtroppo, la guerra ha cancellato, almeno per il momento, queste speranze.
Ho ricordato quell'incontro a Siniora, il quale mi ha risposto che è avvenuto una vita fa. Si può, però, dire che in questa nuova vita la statura di Siniora, di fronte alla tragedia, sia cresciuta enormemente, come tutti assolutamente gli danno atto.
Fin qui la situazione per quanto riguarda il Libano. Vorrei aggiungere, se il presidente è d'accordo, qualche considerazione a proposito della Striscia di Gaza, dove le notizie sembrano essere positive, anziché negative.
Nel fine settimana è accaduto un fatto importante, che potrebbe dare nuovo slancio al processo di pace in Medio Oriente. Mi riferisco all'assenso dato dal Primo ministro israeliano Olmert all'offerta, rivoltagli sabato sera da Abu Mazen, di realizzare un comprehensive ceasefire a Gaza, in seguito al raggiungimento di un'intesa in tal senso tra le diverse fazioni palestinesi.
Israele si è pertanto impegnata a porre fine alle sue operazioni militari e a ritirare le sue forze dalla Striscia di Gaza. In una successiva dichiarazione, Olmert ha affermato che, una volta liberato il caporale Shalit, Israele è pronto a rilasciare numerosi detenuti palestinesi (compresi alcuni condannati a pene pesanti) e ha ribadito di essere pronto ad incontrare il presidente Abbas non appena sarà costituito un Governo palestinese che si impegnerà a rispettare i principi del Quartetto e ad attuare la road map.
Per altro verso, in un'inconsueta conferenza stampa, al termine del suo viaggio al Cairo, il capo dell'ufficio politico di Hamas, Khaled Meshaal, ha rivolto un appello ai principali attori della scena mediorientale, per invocare la costituzione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967, specificando che se questo obiettivo non sarà raggiunto entro sei mesi dalla formazione di questo Esecutivo, i palestinesi chiuderanno ogni dossier politico e ogni possibilità di dialogo e lanceranno la terza Intifada.
Per il momento, sembra consolidarsi l'ipotesi di una compagine che assegni ad Hamas nove ministeri oltre alla premiership, sei a Fatah, quattro a formazioni politiche minori e cinque a personalità indipendenti.
Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha accettato la nomina di Mohammed Shubair, ex rettore dell'università di Gaza, a Primo ministro del Governo di unità nazionale. I negoziati proseguono, ma resta ancora lontano il raggiungimento di un accordo sull'inclusione dei principi del Quartetto nel programma, vera chiave di volta per contribuire a rendere il nuovo Governo palestinese un interlocutore internazionale. In gioco vi è anche l'attribuzione di alcuni ministeri chiave, tra cui quello degli esteri, dell'interno e delle finanze.
L'accordo con il presidente Abbas sui termini della tregua e le successive aperture


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sulla questione del rilascio dei prigionieri costituiscono un'importante assunzione di responsabilità da parte del Primo ministro Olmert e non hanno mancato di suscitare critiche nella destra israeliana, la quale teme, in particolare, che il rallentamento della pressione militare possa offrire agli estremisti palestinesi il tempo per riorganizzare le forze e consolidare i propri arsenali.
Tra i partiti israeliani vi è un diffuso pessimismo sulle reali possibilità di riavviare un dialogo con la controparte palestinese, finché non emergerà un interlocutore pronto ad assumersi l'impegno di attuare concretamente una soluzione di pace. Ne sapremo di più, comunque, nei prossimi giorni. Tra poco incontrerò, infatti, il segretario generale del Ministero degli esteri israeliano e per il 13 dicembre è prevista la visita di Olmert a Roma. Il raggiungimento dell'intesa sul cessate il fuoco a Gaza con Abbas è un segnale importante di come in Olmert stia crescendo la consapevolezza che la soluzione del problema non può esaurirsi esclusivamente sul piano militare, ma è necessaria un'ampia intesa politica in cui possano riconoscersi le forze politiche palestinesi.
I margini di manovra di Olmert restano tuttavia stretti e, qualora la tregua non regga e ci sia la ripresa dei lanci di razzi Qassam, egli dovrebbe chiaramente reagire di conseguenza. In diverse occasioni abbiamo consigliato ai palestinesi di continuare le trattative per un Governo di unità nazionale, la cui piattaforma rifletta i principi del Quartetto. Solo un Esecutivo di questo genere potrebbe avere la possibilità di divenire un interlocutore della comunità internazionale, in vista del rilancio del processo di pace. È indispensabile, quindi, che i negoziati tra il presidente Abbas e il premier Haniyeh continuino e, soprattutto, che regga la tregua concordata.
In questo contesto, è sempre più urgente elaborare strategie internazionali coerenti, in grado di offrire un contributo efficace per riportare le parti al tavolo negoziale. L'iniziativa lanciata il 17 novembre a Gerona, in occasione del vertice franco-spagnolo, riflette la crescente preoccupazione della comunità internazionale e denota la volontà di favorire azioni che portino ad una pace duratura.
Tuttavia, ogni iniziativa europea deve essere un esercizio inclusivo. Per essere solido ed efficace, non può prescindere dal contributo di tutti i principali attori. Riteniamo che qualsiasi iniziativa europea debba essere discussa in un formato e con modalità suscettibili di ottenere subito risultati tangibili, efficaci, duraturi e condivisi, senza dimenticare che i protagonisti sulla scena sono numerosi e non si può agire senza una preventiva concertazione. Ieri ho incontrato il rappresentante del National security council, Abrams, con il quale ho parlato a lungo proprio di questo.
L'Unione europea può svolgere un ruolo prezioso all'interno del Quartetto ed assieme alle parti interessate dei paesi arabi, per favorire una soluzione stabile della crisi. Il Governo italiano, come è naturale, sta lavorando, all'interno dell'Unione europea, per elaborare strategie adeguate per fronteggiare i diversi scenari che possono verificarsi e che è difficile prevedere, in quanto possono evolvere nel meglio o nel peggio.

PRESIDENTE. Grazie, viceministro Intini. Do ora la parola ai deputati che intendano formulare domande o chiedere chiarimenti. Chiedo ai colleghi di contenere i propri interventi nei tempi tradizionali, circa cinque minuti.

MARCO ZACCHERA. Innanzitutto ringrazio il viceministro per la relazione puntuale che ci ha presentato, anche se obiettivamente non ha aggiunto molto rispetto a quello di cui eravamo già a conoscenza attraverso la stampa.
Intendo porre due questioni, in termini assolutamente costruttivi. Il viceministro ha parlato dell'importanza dei rapporti e di dialogare con una voce unica - come afferma anche Siniora - con la Siria, per quanto riguarda le pressioni sui rapporti tra quest'ultima e il Libano. Vorrei avere qualche notizia in più riguardo a questa


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voce unica europea. Esattamente, l'Europa che posizione sta assumendo nei confronti della Siria, anche in seguito a questi attentati?
La seconda domanda che vorrei rivolgere al viceministro è relativa ad Hezbollah. In pratica, è vero che il nostro contingente UNIFIL mantiene in questo momento lo status quo, ma l'impressione, stando anche alle notizie di stampa, è che si faccia anche «finta» di non vedere. In cambio di una formale tranquillità, si evita di controllare in modo accurato cosa stia facendo Hezbollah e, quindi, non sembra che ci sia un intervento di interdizione, o comunque di particolare controllo. Risulta che, in questo periodo, siano stati scoperti soltanto armamenti molto limitati.
Ciò che intendo chiederle è come si stia comportando in questi giorni Hezbollah in Libano e come è stato letto l'omicidio del ministro dell'industria cristiano Gemayel. A suo parere, questo omicidio può creare una condizione per cui Hezbollah venga considerato «bloccato» all'interno della situazione, o si sta, invece, di nuovo preparando un durissimo scontro all'interno del Governo libanese? Secondo lei, quindi, la possibilità che si verifichi la guerra civile - o comunque una guerra civile politica tra le diverse fazioni - è maggiormente imminente?
Prima ho appreso che non ci recheremo - è un peccato, ma mi rendo conto delle circostanze - in Libano, quindi sarebbe interessante avere ulteriori notizie da parte sua. Grazie.

SERGIO D'ELIA. Ringrazio il viceministro Intini per la relazione che oggi ci ha presentato sulla sua missione in Libano. Desidero porre una domanda molto precisa. Come il viceministro ha ricordato, il Governo libanese ha approvato il 25 novembre scorso - se non erro - l'istituzione del tribunale internazionale sull'assassinio dell'ex Primo ministro Rafik Hariri e, se non ricordo male, anche di altre 22 persone (della sua scorta o solo presenti sul luogo dell'attentato).
All'istituzione di questo tribunale - come lei ha sottolineato - si oppongono Hezbollah e il presidente filo-siriano Lahoud. Si è verificato un conseguente tentativo di far cadere il Governo Siniora, allo scopo di impedirgli di approvare l'istituzione del tribunale. Tentativo nel quale, a parer mio, si inserisce anche l'assassinio recente di Pierre Gemayel.
Nel recente vertice italo-francese, svoltosi a Lucca alcuni giorni fa, tra il Presidente Chirac e il Presidente Prodi, il Governo italiano, per bocca del Presidente del Consiglio, ha affermato la necessità di avviare un dialogo con la Siria, volto a trovare una soluzione politica della crisi libanese. In quell'occasione - almeno a partire dai resoconti della stampa - la posizione di Chirac sull'istituzione del tribunale internazionale sembrava molto più netta, o almeno meno sfumata di quella del Presidente Prodi, il quale paventava il rischio che questo tribunale potesse pregiudicare l'intenzione di avviare un dialogo con la Siria.
È mia intenzione chiedere a lei, in quanto rappresentante del Governo italiano, se non ritienga che esso debba esprimere il sostegno concreto all'entrata in funzione del tribunale internazionale sul caso Hariri, annunciando da subito un forte aiuto economico alla sua messa in opera.
Ricordo che è già stato stanziato il 50 per cento dei fondi per il funzionamento di questo tribunale, ma l'altro 50 per cento dipende da fondi che eventuali donatori possono mettere a disposizione. Vorrei sapere se il Governo italiano intenda impegnarsi nel reperimento e nella messa a disposizione dei fondi in questione, affinché il tribunale funzioni e operi il più presto possibile. Ritengo che la soluzione politica della crisi libanese non possa fare l'economia dell'accertamento della verità e della giustizia in Libano.

MARGHERITA BONIVER. Innanzitutto vorrei ringraziare il Governo che ha accolto la nostra richiesta di realizzare questo rapporto il più presto possibile, dopo l'assassinio di Pierre Gemayel; un episodio che ha rappresentato un ulteriore segnale di una crisi gravissima, che sta attanagliando


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ancora una volta quel disgraziato paese.
Ho ascoltato con molta attenzione e apprezzato il rapporto del viceministro Intini. Non ho, tuttavia, avuto modo di capire se la recente iniziativa assunta su richiesta di Chirac, quella di creare all'interno dell'Unione europea una sorta di trio di paesi di punta per quanto riguarda la perdurante crisi arabo-israeliana, sia finita - come mi auguro - su un binario morto. Dopo la telefonata del presidente francese c'era stata una sorta di adesione, in linea di principio, da parte di Palazzo Chigi, ma non mi sembra di aver ascoltato, in quell'occasione, il punto di vista della Farnesina, pure estremamente importante.
Volevo chiedere, quindi, rassicurazioni al viceministro su questo punto, dato che questa iniziativa ci aveva lasciati enormemente perplessi, non riuscendo a capirne la sostanza e la portata, salvo - ad una lettura forse superficiale - ottenere come risultato di dividere ulteriormente la già debole voce europea.
Riguardo alla necessità, come le ha chiesto il Primo ministro Siniora, che l'Europa parli con una sola voce a Damasco, non soltanto questa è un'opinione che condividiamo, ma pensiamo che sia assolutamente doveroso non dividerci. Ancora una volta, invece, ci è sembrato di avvertire - anche nel recente vertice di Lucca - diverse linee di politica estera per quel che riguarda il dialogo con entità statali particolarmente complicate. Penso, ad esempio, a quella siriana, che fa il bello e il cattivo tempo nel vicino Libano ormai ininterrottamente da trenta anni, ed è stata costretta a ritirarsi dopo l'assassinio di Hariri, con le conseguenze alle quali abbiamo assistito. In realtà, gli assassini politici sono continuati ininterrottamente e potrebbero addirittura intensificarsi - naturalmente ci auguriamo l'esatto contrario - proprio a ridosso della costituzione di questo tribunale internazionale e della pubblicazione del rapporto del giudice Serge Brammertz, che, se non erro, dovrebbe arrivare alla conclusione definitiva a gennaio, ma del quale si conosce già la sostanza. Il rapporto - questa è la sostanza - punta il dito contro Damasco.
Riguardo alla questione del cosiddetto dialogo con la Siria, vorremmo essere rassicurati sul fatto che non ci siano fughe in avanti o inutili velleitarismi. Nonostante si intuisca il tentativo - portato avanti e annunciato anche da Baker, dagli americani - di dividere la Siria dall'Iran, credo che la cautela e la necessità di parlare con una sola voce a livello europeo siano assolutamente preminenti su eventuali altre sensibilità e speranze.
Infine, desidero avere - se è possibile oggi oppure in una successiva sessione - una valutazione su quelle che dovranno necessariamente essere se non le nuove regole di ingaggio, quanto meno una sorta di nuova configurazione della presenza militare in UNIFIL 2, soprattutto in vista dell'assunzione del comando italiano, che avverrà tra qualche settimana. Grazie.

ALESSANDRO FORLANI. Anch'io ringrazio il viceministro per la sua puntuale esposizione. Apprezzo il ruolo che egli ha svolto, anche in occasione dei funerali del ministro Pierre Gemayel e, nella fase immediatamente successiva, di contatto e di stimolo nei confronti dei dirigenti libanesi. Credo che l'assassinio di Gemayel confermi una sensazione diffusa fra tutti noi già da diversi mesi. Mi riferisco all'impressione che esista una strategia di destabilizzazione che interviene ogni qualvolta non dico che si verifichi qualche passo in avanti nella soluzione delle crisi libanesi e medio orientali - questo sarebbe dire troppo -, ma che si profili qualche vaghissimo spiraglio di apertura e di progresso in queste sanguinose situazioni, che investono soprattutto tre aree: quella israeliano-palestinese, quella libanese e quella irachena. In questi paesi sono in atto i tre grandi conflitti dell'area mediorientale. Ogni qualvolta le idee da ambo le parti tendono in qualche modo a chiarirsi e a convergere, vediamo intervenire un fatto traumatico, che riporta i rispettivi processi di pace molto indietro.
Nei giorni immediatamente precedenti l'attentato mortale a Gemayel, avevamo


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visto, da parte europea e da parte americana - e questo segnala una certa differenza rispetto al passato -, una diversa considerazione dei rapporti con la Siria e con l'Iran. Alla logica dei paesi canaglia si sostituiva una sorta di consapevolezza, forse anche in virtù del nuovo dato politico seguito alle elezioni del Congresso negli Stati Uniti. Si cominciava a percepire la necessità di considerare questi due paesi come naturali e direi necessari interlocutori, al fine di uscire dal pantano che si è venuto a creare. Ricordo che c'era stato l'incontro tra James Baker e il ministro degli esteri siriano e ricordo, altresì, alcune dichiarazioni di Kissinger.
È ormai diffusa nell'establishment l'idea che sia imprescindibile, a dispetto di ogni prevenzione - legittima e forse anche fondata -, avviare il dialogo con Siria e Iran per tutte le questioni che ho citato, a partire da quella riguardante la guerra civile che si sta consumando in Iraq. A mia memoria, credo che si possa considerare tra le più violente e intense della storia, per numero di vittime e per quantità, ricorrenza quotidiana e dimensione degli attentati. Ormai alla componente sunnita - quella maggiormente destabilizzante fino a qualche tempo fa - si è aggiunta quella più estremista e radicale dell'etnia sciita, che è parte anch'essa a pieno titolo della guerriglia in corso. È uno scontro che impedisce ogni ripresa democratica e ogni possibilità di stabilizzazione delle nuove istituzioni di quel paese. Gli osservatori, soprattutto locali, denunciano il ruolo destabilizzante e incentivante dello scontro svolto da potenze regionali confinanti, e si può comprendere a quali si riferiscano.
Per quanto riguarda il Libano, cito i buoni rapporti di Hezbollah con Siria e Iran; per quanto riguarda la Palestina, i rapporti di Hamas con Iran. Ricordo che quest'estate, quando si stavano aprendo alcuni spiragli - ad esempio, il piano dei prigionieri -, si sono verificati la cattura degli ostaggi e l'uccisione degli otto soldati israeliani. La logica, a cui prima accennavo, è quella di stroncare sul nascere ogni possibilità di soluzione.
Di conseguenza, credo che questi due paesi - ci piaccia o no - siano interlocutori necessari e che l'unico modo per superare la strategia di destabilizzazione possa essere quello di continuare a trattare e negoziare sempre, a dispetto dei fatti traumatici che nel frattempo si verificano (come quest'ultimo attentato in Libano).
Ho notato, sempre con riferimento all'incontro di Lucca, una diversa strategia tra Italia e Francia rispetto all'idea della conferenza di pace. Se dobbiamo negoziare con due interlocutori difficili, come Siria e Iran, e con tutti gli altri attori presenti nell'area, penso che sia necessaria una conferenza di pace per l'area mediorientale - se n'è parlato anche per l'Afghanistan, ma questo potrebbe ritenersi un problema a sé stante - che investa in particolare i tre maggiori conflitti in atto e coinvolga tutti i soggetti interessati.
Ho ascoltato alcune valutazioni differenti tra Prodi e Chirac ed ho avuto l'impressione che il nostro Governo fosse più diffidente rispetto ad un'immediatezza di questa prospettiva. Ho riscontrato, inoltre, una differenza nell'atteggiamento verso la Siria, nei confronti della quale Chirac appare più chiuso e più intransigente. Poiché giustamente il Premier Siniora auspica un intervento dell'Unione europea che abbia una sola voce, come ricordava il viceministro, vorrei un chiarimento sulla posizione del nostro Governo, anche rispetto a quella europea, in riferimento ai conflitti, al rapporto con la Siria, alla conferenza per il Medio Oriente.

ALÌ RASHID KHALIL. Signor viceministro, anche noi apprezziamo le iniziative del Governo e il dinamismo mostrato negli ultimi mesi, che ha dato risultati positivi, a partire dall'iniziativa in Libano e dalla presenza delle forze multinazionali in quel paese. Tali forze hanno il compito preciso di stabilizzare il cessate il fuoco e di avviare il processo di pace in Medio Oriente.
Sono stati compiuti, in questo senso, passi notevoli. Oggi paesi importanti dell'Europa si muovono in questa direzione.


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Il fallimento della guerra americana in Iraq sta favorendo, anche all'interno dell'amministrazione e del mondo politico americano, una tendenza simile, che sta maturando con il tempo. Passi importanti sono avvenuti anche all'interno del mondo politico palestinese, con l'annuncio che a breve sarà formato un Governo di unità nazionale. Insomma, le condizioni sono mature per favorire questa tendenza e per chiedere a tutti di lavorare in questa direzione. Vorrei rinnovare il mio apprezzamento per lo sforzo del nostro Governo in questo senso.
Riguardo al ruolo delle forze multinazionali in Libano, è necessario che sia rispettato il compito che è stato loro assegnato e che le stesse siano tenute lontane dalle dinamiche interne alla società libanese. L'ultima manifestazione, che si è tenuta in occasione dei funerali di Pierre Gemayel, consegna - come anche le precedenti - l'immagine di un paese spaccato, diviso, che con molta difficoltà sta cercando una sua stabilità. Il ruolo della comunità internazionale deve essere quello di favorire questa unità e non la destabilizzazione.
All'interno del Libano agiscono le potenze regionali e parte di quelle internazionali non per favorire l'unità del paese, ma producendo una sua divisione e destabilizzazione. È necessario invertire questa tendenza. Il Governo di Siniora non rappresenta più la maggioranza della popolazione libanese e coloro che sono rimasti esclusi dal potere nei prossimi giorni e nelle prossime settimane inizieranno a mobilitarsi per equilibrare questa situazione e per dare al paese un Governo più rappresentativo. Anche nuove elezioni democratiche potrebbero assolvere questo compito.
Bisogna, dunque, astenersi da qualsiasi intervento negli affari interni di questo paese, perché esso potrebbe complicare ulteriormente la situazione, anziché aiutare la stabilità, come è avvenuto in altri momenti.
Finora, con grande responsabilità, tutte le forze politiche libanesi hanno manifestato una volontà ferma di non trascinare il paese verso una guerra civile. Quindi, il Governo italiano dovrebbe agire in questa direzione: tenere fuori le forze multinazionali da compiti che non sono stati loro assegnati e che non fanno parte di quello che ha previsto la risoluzione del Consiglio di sicurezza.
Qualsiasi iniziativa di queste forze in Libano deve essere assunta solo su indicazione del Governo e dell'esercito libanesi, non può essere autonoma. Considerate le politiche sbagliate seguite fino ad oggi in Iraq, in Libano, nei confronti della questione palestinese e nel rapporto verso Israele, sarebbe il momento di cambiare definitivamente politica e di agire in modo compatto, per favorire tutte le tendenze e le iniziative volte a ristabilire il diritto e la legalità internazionale e a raggiungere una soluzione politica.

DARIO RIVOLTA. Signor viceministro, come la maggior parte dei colleghi ho molto apprezzato le sue parole e il senso di equilibrio e di moderazione da cui sono state ispirate.
Mi rendo conto che, tra le altre cose, anche la pubblicità delle sedute non consente, forse, al Governo di esprimersi fino in fondo su alcuni aspetti più delicati. Mi permetterò allora io, non avendo incarichi di Governo, di esprimere alcune considerazioni, che corrispondono al mio pensiero, ma anche a quello di molti conoscitori della questione di cui si discute presenti in quest'aula.
La prima considerazione si richiama a quanto detto poco fa dal collega Forlani. Oggi in Medio Oriente ci sono tre crisi - Palestina, Libano e Iraq - legate tra di loro per diversi aspetti. Tali crisi hanno in comune un protagonista (ce ne sono anche altri, ma solo uno è comune a tutti e tre gli scenari) ed è l'Iran. Non è un segreto che Hezbollah riceva grande sostegno dall'Iran e che Hamas abbia ricevuto e continui a ricevere soldi e armi da questo stesso paese. È ovvio, altresì, che in Iraq esistano delle forze - non necessariamente della maggioranza e nemmeno di una


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confessione religiosa - che guardano a Teheran come ad un supporto o comunque ad un punto di contatto.
Con ciò non intendo affermare che l'Iran sia il protagonista assoluto degli eventi che si verificano in queste zone del mondo, ma sicuramente è uno dei principali. Qualora, per ipotesi, l'Iran negasse il proprio sostegno alle tre forze che, in questi scenari, maggiormente fanno affidamento su Teheran, probabilmente tutta la zona si depotenzierebbe nella sua pericolosità.
Proprio per questo motivo è evidente a tutti che la necessità dell'apertura di un dialogo su tutte e tre le questioni con l'Iran e con gli altri protagonisti, che mi permetto di definire minori, non è più eludibile. Credo che tutti siamo favorevolmente colpiti dal fatto che negli Stati Uniti le voci si levino sempre più in questa direzione; inoltre, le anticipazioni avute dal piano Baker sembrano confermare la necessità di una volontà - definita «aggressiva», per intendere protagonista - di dialogo da parte degli Stati Uniti con gli altri soggetti della zona.
Proprio perché è evidente che Iran e altri soggetti - non solamente e non necessariamente interni ai tre scenari di rischio - sono indispensabili per ottenere la pacificazione, purtroppo mi sento meno ottimista rispetto a quanto scaturiva dalle parole del viceministro in merito alla situazione attuale e alla possibilità di soluzione delle crisi in Libano e Palestina.
Per quanto riguarda il Libano, naturalmente ribadiamo la sovranità del Governo Siniora, che è rappresentativo della maggioranza dei libanesi, contrariamente a ciò che diceva il collega Raschid (francamente non so da dove prenda le sue informazioni o quali conoscenze abbia). Il Governo Siniora, che è democraticamente eletto e che, lo ripeto, continua ad essere rappresentativo della maggioranza dei libanesi, nella sua sovranità può anche decidere di tentare soluzioni politiche di allargamento. Vorrei, però, che fossimo tutti consci del fatto che, se non si disinnescano le mine che vengono dall'esterno, non può realizzarsi una pacificazione reale né può escludersi la possibilità che si creino le condizioni di una guerra civile.
Il collega Forlani faceva riferimento a diversi momenti in cui sembrava che i protagonisti locali delle varie crisi avessero raggiunto o stessero per raggiungere un accordo. Tutti abbiamo notato che proprio in quel momento si verificavano fatti violenti, indotti o involontari, che annullavano le possibilità di negoziazione.
Nonostante la disponibilità alla formazione di un Governo di unità nazionale, ventilato e oggi sembra - dalle sue parole - preso in seria considerazione dal Governo Siniora, non crediamo che questo possa costituire una reale panacea. Se è vero che nessuno vuole la guerra civile - d'altra parte mi pare che nella storia sia difficile trovare un soggetto interno ad un paese che abbia voluto una guerra civile -, è anche vero che essa può scoppiare quando scappa di mano la situazione ai protagonisti. Se è vero che nessuno la vuole, dunque, è allo stesso modo vero che alcuni soggetti esterni e interni al Libano hanno tutto l'interesse a mantenere alta la tensione, magari compiendo dei passi verso un presunto accordo possibile, ma senza completare il cammino fino in fondo. Non illudiamoci, quindi.
Per quanto riguarda la Palestina, è evidente che Hamas oggi appare messo all'angolo. È vero che l'embargo attuato dalla comunità internazionale e dall'Unione europea sta creando gravi difficoltà e che Hamas ha dato a mezze parole - le trattative sono ancora in corso, come lei ha sottolineato - la disponibilità a formare un Governo di unità nazionale. Tuttavia, nel caso in cui dovessero essere riconfermate le condizioni sine qua non poste da Hamas, ossia la tenuta del ministero degli interni e del ministero delle finanze, sarebbe evidente a tutti che la soluzione del Governo di unità nazionale è solo un escamotage per cercare di attirare l'attenzione sull'embargo, cercando contemporaneamente di tenere sotto controllo la situazione locale. Credo che l'Unione europea non potrebbe accettarlo.
Infine, una breve considerazione in merito all'Unione europea. Tutti auspichiamo


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che ci sia una voce unica a livello europeo; tuttavia, proprio in Medio Oriente, abbiamo visto come troppe volte protagonisti di una parte e dell'altra abbiano cercato di giocare la carta dell'Unione europea in contrapposizione alla carta di un altro protagonista della zona, anche se geograficamente molto lontano, gli Stati Uniti. A mio parere, dobbiamo stare molto attenti a non lasciarci attirare in un tranello, ossia che si invochi l'Unione europea solo come carta da giocare contro gli Stati Uniti.
Se siamo convinti - noi europei in primo luogo - che è necessario aprire un tavolo di negoziazione ad ampio raggio con Iran, Siria e gli altri protagonisti, dobbiamo anche essere consci che, soprattutto nel momento in cui tale tavolo viene aperto, non è conveniente, ai fini delle negoziazioni e della pacificazione dell'area, offrire a chi è seduto in parti diverse del tavolo una carta di divisione all'interno del gruppo degli alleati.
Noi siamo, comunque, alleati con gli Stati Uniti, che pure hanno gravi responsabilità, negli anni recenti, per alcune crisi che si sono accentuate. L'Unione europea, che ha avuto una voce discorde, deve trovarne oggi una concorde. Questa voce, tuttavia, per la convenienza della stessa Unione europea, per la soluzione dei conflitti e per la pace di tutto il mondo, non può staccarsi dai passi comuni che è necessario compiere con gli Stati Uniti.
Se divari o differenze ci saranno tra Europa e Stati Uniti, devono essere negoziati a due, in modo che ne scaturisca una linea compatta e non divisibile.

LEOLUCA ORLANDO. Signor viceministro, ancora una volta lei ha espresso puntualmente e con chiarezza la posizione del Governo italiano e la situazione in Medio Oriente, della quale non ha nascosto affatto la gravità. Ha fatto riferimento ad alcuni elementi che hanno portato a ipotizzare una strategia di destabilizzazione, normalmente collegata al ruolo di Siria e Iran.
Mi pare di poter elencare - la sua relazione è stata, da questo punto di vista, doverosamente cauta - alcuni elementi di ottimismo, anche se ottimismo e pessimismo rischiano di essere in qualunque momento smentiti o confermati da imprevedibili elementi destabilizzatori.
Citerò alcuni argomenti sui quali riflettere: la posizione assunta da Amin Gemayel, dopo l'uccisione del figlio Pierre, pone il Libano in una condizione completamente diversa rispetto a quella in cui si trovava in seguito all'omicidio di Hariri; l'incontro di Amin Gemayel con la delegazione di Hezbollah e la citazione delle condoglianze espresse; la circostanza che UNIFIL c'è e, come lei ha sottolineato, regge; la prospettiva di reintegro di Hezbollah e di inserzione anche di cristiani filosiriani nel Governo libanese; infine, la prospettiva di un Governo di unità in Palestina. Mi sembra che si tratti di elementi che possono portare a domandarsi se non sia in corso una revisione di posizione di Siria e di Iran rispetto alla situazione nel Medio Oriente.
Pongo la domanda sapendo che, in qualunque momento, possono intervenire elementi di destabilizzazione. Mi pare, tuttavia, che si possa affermare - senza ottimismo e senza pessimismo - che il percorso di normalità in Medio Oriente, se non si è realizzato, comunque non appare più bloccato come fino a qualche mese fa.
Mi permetto di sottolineare questi aspetti, non per chiederle di confermare o smentire quanto affermo, ma soltanto per comunicare la sensazione che ho tratto dalla sua informativa, così riassumibile: il processo in Medio Oriente non è bloccato. Credo che lo si possa affermare - fermi restando i rischi - anche alla luce degli incontri che lei ha avuto, da ultimo, con il National security council.

PRESIDENTE. Do la parola al viceministro per la replica.

UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Vorrei ringraziare i deputati per il loro interesse, che rappresenta per me un'occasione per approfondire ulteriormente.
L'onorevole Zacchera pone una serie di domande. Non ci dobbiamo nascondere


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dietro un dito, una gran parte degli osservatori libanesi attribuisce alla Siria la responsabilità sia dell'assassinio di Hariri, sia di quello di Gemayel. Tuttavia, nessuno avanza accuse in pubblico e questo fa riflettere sul fatto che sia pensiero comune che un'interlocuzione con la Siria è comunque necessaria.
L'onorevole Zacchera si domanda cosa facciano in questo momento i nostri soldati nel sud del Libano. Ho visitato il contingente italiano, ho incontrato il generale Gerometta che lo comanda, gli ufficiali del suo staff e il consigliere diplomatico presso il contingente militare, Cassini. Intanto, i nostri soldati fanno un grande lavoro per eliminare mine e bombe: ne hanno eliminate già mille i soli italiani. Il territorio è pieno di cluster bombs inesplose, pericolosissime, che impediscono la coltivazione dei campi. Inoltre, i nostri soldati assistono - dal punto di vista sanitario e sotto tutti i punti di vista - la popolazione civile e, naturalmente, pattugliano la zona, con il risultato che non circolano armi e la tregua regge. Andare a cercare le armi non è compito dell'UNIFIL, ma spetta, formalmente, al Governo libanese, e su questo punto concordo con l'onorevole Raschid.
Bisogna anche dire che la storia libanese è terribile e sanguinosa, ma è anche una storia di amnistie e di moderazione, per quanto riguarda il passato. Il generale Geagea, dopo 14 anni di carcere, è stato liberato per effetto di un'amnistia ed oggi è un dirigente politico rispettato in Libano, nonostante il suo terribile passato. Tutta la storia del paese è fatta di milizie che sono rientrate nella legalità dopo avvenimenti tremendi. Pensiamo alle milizie di Gemayel, la falange cristiana, e a quelle di Berri (Amal ha svolto un ruolo terribile nella guerra civile). Tuttavia, Gemayel e Berri oggi si trovano nello stesso Parlamento, convivono civilmente e hanno dimenticato il passato. Penso che anche per il futuro si possano avere sviluppi positivi di questo genere.
Vorrei dire all'onorevole D'Elia che noi appoggiamo certamente il tribunale internazionale. Peraltro, ho avuto occasione di rilasciare alcune interviste ai giornali locali che insistevano su questo punto. Per parte mia, ho ribadito con assoluta chiarezza che il Governo italiano appoggia senza riserve il tribunale internazionale, di cui sottolineo l'urgenza, proprio alla luce di quanto afferma Siniora: il tribunale non riguarda il passato, ma è una garanzia per il futuro, affinché non riprenda la killing machine degli assassini. Il tribunale, infatti, garantisce che non si possa uccidere impunemente. Certamente, dunque, insieme alla comunità internazionale, il Governo farà tutti gli sforzi affinché alle parole seguano i fatti, vale a dire i finanziamenti necessari.
Vorrei dire all'onorevole Boniver che l'iniziativa francese, spagnola e italiana nasce certamente dal fatto che questi tre paesi hanno una posizione di punta nel tentativo di portare la pace nel Mediterraneo, di fronte a casa propria. Questi paesi hanno un ruolo preminente nell'UNIFIL, perché sono i più impegnati e i più credibili nei confronti di tutti gli interlocutori. Tuttavia, come ho detto anche nella relazione introduttiva, è necessaria un'iniziativa inclusiva. Del resto, come si può pensare che si porti avanti un processo di pacificazione, un'iniziativa europea, senza la Gran Bretagna, la Germania, senza l'Unione europea come tale? A noi preme che l'Unione europea svolga un ruolo come tale.
Inoltre, come si può immaginare di ottenere dei risultati concreti senza l'apporto degli Stati Uniti? Concordo con l'onorevole Rivolta - ne ho parlato ieri con Abrams del National security council - quando dice che non si va da nessuna parte senza gli Stati Uniti, i quali, come è ben chiaro, hanno un peso decisivo nei rapporti con Israele.
L'onorevole Forlani ha descritto la continua tensione in Libano. Ci ricorda, per alcuni aspetti, la strategia della tensione che abbiamo vissuto in Italia negli anni Settanta. Gli effetti di questi attentati e di queste stragi sono quelli di destabilizzare continuamente il paese. E non è facile individuare i responsabili, dal momento che gli interessati sono tanti. Purtroppo, si


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usa dire che il Libano è un caso letterario a metà tra Shakespeare e Agatha Christie: Shakespeare per la tragedia delle famiglie, che hanno un destino terribile (si pensi a quella di Giumblat e a quella di Gemayel), e Agatha Christie perché l'assassino non si scopre con facilità. Spesso i ministri vengono uccisi uno dopo l'altro, come nella storia dei dieci poveri negretti: si tratta di una vicenda tragica, che non sappiamo quanto potrà durare.
È molto importante che oggi, in questo dibattito, sia emersa una concordanza di pensiero tra maggioranza e opposizione, che dà il segno di una politica estera comune su un punto importante, ossia sul fatto che bisogna dialogare con la Siria e con l'Iran. Noi - non intendo noi della maggioranza, ma anche voi dell'opposizione - lo diciamo da molto tempo, in quanto l'Italia ha un'idea unitaria riguardo a tale questione. Adesso anche Kissinger afferma - questo ci conforta perché il suo parere è autorevole - che bisogna dialogare con la Siria e con l'Iran, stando attenti naturalmente a non dividere l'Europa, in questo dialogo. Se ciò accade, si ottiene l'effetto opposto e si dialoga senza autorevolezza.
È sotto gli occhi di tutti - come hanno sottolineato Forlani e Rivolta - il peso dell'Iran, il quale ha tre carte da giocare: il peso su Hamas, quello su Hezbollah e quello enorme in Iraq, quest'ultimo dovuto purtroppo alla guerra decisa dagli americani. Per decenni si è bilanciato il peso di Iran e Iraq; una volta «liquidato» l'Iraq, il peso dell'Iran è andato alle stelle. Tuttavia, come sottolineava Forlani, dobbiamo trattare, a dispetto delle posizioni negative: male che vada non si conclude niente, ma trattare è assolutamente necessario.
Raschid ha ragione quando afferma che l'amministrazione americana sta decidendo qualcosa e, probabilmente, qualunque sia la decisione, non potrà che andare meglio. Aspettiamo con ansia, da troppo tempo, il processo per un Governo di unità nazionale in Palestina, ma sembra ormai in dirittura di arrivo. Condivido l'osservazione di Raschid riguardo al fatto che ci si debba astenere da interventi nelle questioni interne libanesi. L'autorevolezza nostra e dell'Europa nasce da una posizione che appare credibile per tutti, vale a dire una posizione neutrale.
Di certo noi apprezziamo Siniora; ragionevolmente pensiamo che la sua statura politica e la sua credibilità internazionale siano essenziali per la stabilizzazione del Libano. Tuttavia, se insistessimo pubblicamente nel dire questo e interferissimo nella vicenda politica libanese per appoggiare Siniora, gli faremmo del male. Infatti, egli verrebbe subito accusato di essere uno strumento di potenze esterne, e via dicendo. Dobbiamo sperare che Siniora continui a contribuire in modo decisivo alla stabilità del suo paese, ma non dobbiamo dare l'impressione di intrometterci nelle questioni interne, perché sarebbe persino controproducente per gli interessi di Siniora stesso.
Personalmente, onorevole Rivolta, non sono ottimista. Francamente non saprei cosa dire, sono della sua stessa opinione. Esiste una finestra di opportunità: siamo su un crinale, possiamo scivolare verso un disastro o verso un processo di pace. Certamente i libanesi sono vaccinati dalla guerra civile, ma mai nessuno, come lei diceva, ha deciso a tavolino di scatenare una guerra civile. La situazione può scappare di mano e, soprattutto, sono in tanti a lavorare contro la stabilizzazione del Libano, o perché hanno l'interesse storico e strategico che il Libano non sia un normale Stato sovrano o perché, in misura ancora maggiore, hanno una preoccupazione politica che è esattamente opposta alla nostra.
Il Libano può diventare veramente una grande success story, perché in questo paese si può dimostrare che sunniti, sciiti e cristiani possono convivere felicemente e che, così facendo, possono creare il primo passo per un accordo di pace con Israele. Sarebbe una success story pericolosissima per tutti i nostri nemici, per tutti quelli che vogliono gettare benzina sul fuoco del Medio Oriente. Per questo motivo, il Libano è il punto di partenza decisivo o del


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disastro o di un processo di pacificazione che, di cerchio in cerchio, comprende tutti.
L'onorevole Orlando sottolineava l'importanza della prudenza manifestata da tutte le forze politiche libanesi, il fatto che Gemayel si sia incontrato con serenità con Hezbollah e non abbia avanzato accuse (e tanto meno dobbiamo farlo noi), il fatto che la tregua regge e ci può essere - sembra che ci sia, come lo stesso parlamentare intervenuto afferma e spera - una revisione nella posizione della Siria e dell'Iran.
È necessario domandarsi che cosa possono volere questi due paesi, cercare di entrare nella loro testa, per capire se ci sono le condizioni per negoziare. Personalmente, ritengo che Siria e Iran vogliano la garanzia di non essere attaccati militarmente e che non si lavori ad un cambio di regime al loro interno. L'Iran, inoltre, chiede che sia riconosciuto il suo ruolo di potenza regionale, che non credo si faccia fatica a riconoscere, perché esiste e prenderne atto serve a poco; si tratta di riconoscere una realtà. Per quanto riguarda la Siria, credo che voglia il Golan e non penso che Israele sia fermamente indisponibile a cederlo. Tuttavia, a mio parere potrà cederlo solo dopo che in tutta la zona si sarà raggiunto un accordo definitivo, tale da garantire in modo totale la sicurezza di Israele. Mi riferisco a quello che giuridicamente viene definito accordo tombale; come punto finale, Israele potrebbe anche restituire il Golan.
Tuttavia - e questo è il grande problema del Medio Oriente - come si fa a raggiungere un accordo tombale se tutte le forze chiave, Iran compreso, non concordano? Se l'Iran si oppone, l'accordo tombale non si può realizzare. Questo è il puzzle del Medio Oriente, che tutti ormai conosciamo da decenni. Credo che sia molto importante che maggioranza e opposizione abbiano concordato, e concordino oggi, su un punto generale: con la prudenza necessaria, si deve discutere con tutti, anche con la Siria e con l'Iran.

PRESIDENTE. Ringrazio il viceministro Intini per il suo intervento. Torneremo a discutere su questa tormentata questione che è centrale nei lavori della Commissione.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 11,20.