COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 19 dicembre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE UMBERTO RANIERI

La seduta comincia alle 13,55.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del viceministro degli affari esteri, Ugo Intini, sugli istituti italiani di cultura all'estero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del viceministro degli affari esteri, Ugo Intini, sugli istituti italiani di cultura all'estero, tema particolarmente caro alla Commissione.
Do subito la parola al viceministro Intini per lo svolgimento della sua relazione.

UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. La promozione culturale italiana dispone di una struttura all'estero che le consente di operare in 108 paesi, quasi tutti quelli con i quali abbiamo rapporti di un certo rilievo.
La nostra rete è composta da 151 centri di responsabilità così ripartiti: 90 istituti di cultura situati in 60 paesi, che ricevono finanziamenti per il loro funzionamento e per la realizzazione di attività culturali; 48 ambasciate in altrettanti paesi, privi di istituti, che ricevono finanziamenti per realizzare direttamente attività culturali; 13 consolati che ricevono anch'essi finanziamenti per la promozione culturale.
Per dare un'idea dei rapporti di forza con altri paesi europei, possiamo notare che il numero dei nostri istituti è pari a circa il doppio di quelli spagnoli, alla metà dei tedeschi, a un terzo dei britannici, a un quarto dei francesi.
Istituti ed ambasciate compongono quella che possiamo definire la nostra «rete primaria», che riceve, come detto, finanziamenti diretti alla promozione culturale.
Ad essi si affianca una «rete secondaria» che svolge funzione di amplificazione e completamento delle iniziative promosse da istituti e ambasciate. Ne fanno parte 414 lettori presso università estere - 276 di ruolo, 138 assunti in loco -, 177 scuole e 115 sezioni italiane presso scuole estere, nonché circa 300 comitati Dante Alighieri.
Quanto alla distribuzione geografica dei nostri istituti di cultura, possiamo rilevare una buona densità in Europa (7 in Germania, 6 in Francia, 2 nei maggiori paesi europei, 1 in tutti i paesi del resto d'Europa); una buona copertura in Nord America (5 in USA e 3 in Canada); una discreta presenza in Mediterraneo, Medioriente e Sud America (1 istituto nella maggior parte dei paesi); una scarsa copertura in Asia e Oceania (9 istituti complessivamente), in Africa subsahariana (3 istituti) e nel sud-est asiatico (2 istituti); una pressoché totale assenza nei paesi del Golfo - e questo è un grave problema - e nelle Repubbliche ex-sovietiche.
Alcune carenze sono in parte compensate dall'attività promossa da ambasciate poste in paesi privi di istituti: 6 nelle Repubbliche ex-sovietiche, 3 nel Golfo e 3 nel sud-est asiatico.


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Il costo complessivo delle attività promosse dagli istituti e ambasciate nel 2006 è stato pari a circa 21,5 milioni di euro, così ripartiti: 19,5 milioni di euro per il funzionamento e l'attività degli istituti, 2 milioni di euro per attività promosse da ambasciate e consolati nei 48 paesi privi di istituti, nonché per progetti realizzati direttamente dalla Direzione generale per la promozione culturale, finalizzati a migliorare l'efficienza di quanto realizzato dalla rete.
I 21,5 milioni di euro prima indicati sono stati utilizzati dalla rete per produrre, sempre nel 2006, complessivamente 9.615 eventi (mostre, concerti, conferenze, promozione di moda e design, convegni, proiezioni cinematografiche e così via), distribuiti nei 108 paesi nei quali operiamo, con la seguente proporzione: 9.170 eventi nei 60 paesi dotati di istituti di cultura, 445 eventi nei 48 paesi privi di istituto.
Gli istituti di cultura hanno inoltre insegnato italiano, con corsi da loro direttamente promossi o gestiti, a circa 80 mila stranieri; un numero andato crescendo, nell'ultimo decennio, con una progressione davvero incoraggiante (più 38 per cento nel quinquennio 1995-2000 e più 68 per cento nel periodo 2000-2005).
I corsi di italiano sono inoltre, con le sponsorizzazioni, fonte dell'autofinanziamento degli istituti, che è passato nel decennio 1996-2005 da 7 a 14,5 milioni di euro. Il tasso di autofinanziamento medio, quindi, ha raggiunto la percentuale del 34 per cento rispetto al totale dei fondi sui quali gli istituti possono contare.
I risultati raggiunti nel 2006, sintetizzati nelle cifre fornite al punto precedente, non sono dunque trascurabili. Esistono però margini di miglioramento che si stanno esplorando.
La globalizzazione, la polverizzazione delle fonti di informazione causata da Internet e la diminuzione dei costi di trasporto hanno, d'altra parte, cambiato le modalità di accesso alla cultura. È di conseguenza necessario riorientare il ruolo svolto dalla Direzione generale per la promozione e la cooperazione culturale e dagli istituti di cultura, per renderli più adeguati alla realtà odierna e metterli in grado di meglio utilizzare nuovi strumenti e nuove opportunità.
La Direzione generale per la promozione culturale sta in effetti orientando l'azione di istituti e ambasciate verso iniziative capaci di produrre un impatto di maggiori dimensioni, con maggiore coinvolgimento dei mezzi di informazione locali, nonché più coerenti con altri obiettivi di politica estera.
Si sta accentuando il ruolo propositivo e di stimolo del centro nei confronti della rete, producendo eventi di alto livello destinati alla circuitazione tra più sedi, per beneficiare di economie di scala. Lo stesso obiettivo può essere perseguito con iniziative di minori dimensioni, ma riproducibili e destinabili ad una più ampia circuitazione (mostre leggere o modulari), ovvero con la produzione di materiale video, ad esempio con finalità didattico-promozionali della lingua italiana, destinato a distribuzione ancora più capillare e all'inserimento nella programmazione di canali televisivi esteri.
Altro utile strumento è fornito dai contenitori, o rassegne, nei quali stimoli e iniziative provenienti dal centro si combinano con la sensibilità di chi opera sul territorio. L'edizione 2006 della «Settimana della lingua italiana», significativo esempio di questi contenitori, ha prodotto risultati incoraggianti: oltre 1.300 eventi in 84 paesi, senza alcun finanziamento aggiuntivo.
Gli istituti di cultura, da parte loro, devono beneficiare della funzione più propositiva di questa Direzione generale e affiancare al loro ruolo tradizionale di produttori quello di distributori di eventi, che possono essere realizzati in modo più economico al centro. Devono uscire, inoltre, dalle «mura» dell'istituto ed esercitare un ruolo di facilitatori o promotori di iniziative, entrando in sinergia con attori presenti sul territorio: istituzioni locali, impresari, mezzi di informazione e via dicendo.
Le iniziative intraprese possono essere raggruppate in tre categorie. Innanzitutto,


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azioni mirate a migliorare il funzionamento e l'efficienza della promozione culturale nel suo complesso. Si stanno definendo criteri per il reclutamento del personale destinato a prestare servizio come addetto o direttore presso istituti italiani di cultura che privilegino candidati dotati di capacità manageriali, superando metodi di selezione basati sul nozionismo.
È stato avviato un esercizio, in consultazione con le organizzazioni sindacali, che prende le mosse da criteri analoghi a quelli indicati al punto precedente, per l'individuazione dei criteri per la designazione dei direttori degli istituti di cultura.
Sono state intraprese iniziative con i Ministeri dei beni culturali, istruzione, università, commercio estero ed ICE, per un più stretto coordinamento con altre amministrazioni statali e regionali. Si stanno effettuando sistematicamente riunioni con i direttori degli istituti italiani di cultura di varie aree geografiche, per promuovere un maggiore collegamento centro-periferia.
Sono state fornite istruzioni agli istituti italiani perché, tenendo conto delle indicazioni di carattere generale loro fornite (maggior impatto della promozione culturale e maggior coerenza con altri obiettivi di politica estera), mettano a punto con la locale ambasciata gli obiettivi strategici per la programmazione delle attività del 2007.
Si stanno mettendo a punto anche possibili collaborazioni con la RAI - RAI Trade, RAI Educational, RAI International, RAI-teche, RAI-fiction, eccetera - e con Cinecittà Holding e Filmitalia.
In secondo luogo, sono state svolte azioni più specificamente mirate a migliorare l'efficacia e l'impatto delle iniziative di promozione culturale. Si tratta di molte concrete iniziative avviate per dare applicazione al principio della circuitazione degli eventi, che consente di massimizzare i risultati riducendo i costi, sia stimolando l'autocoordinamento degli istituti che promuovendo dal centro eventi destinati ad una circuitazione. Tra questi ultimi, possiamo citare una mostra su Lucio Fontana (Stati Uniti e Canada), la mostra di arte contemporanea «Miti e archetipi nel mare della conoscenza» (Mediterraneo), la mostra «Torino Design», in cooperazione con la regione Piemonte (Asia), la mostra tratta dalla collezione Farnesina (Balcani e Sudamerica), vari eventi programmati nella rassegna «Primavera italiana» in Giappone (Asia e Oceania) e così via. Della più importante di queste iniziative parlerò al termine del mio intervento.
In analogia al metodo adottato su scala mondiale per l'organizzazione della «Settimana della lingua italiana» - indicazione di un tema che viene sviluppato in modo coerente, ma differenziato da ogni sede -, si sta lanciando il mese dedicato alle positive interazioni tra Italia e paesi a civiltà islamica del Mediterraneo e Medio Oriente. Questo avverrà nel novembre 2007.
È stato lanciato un progetto-pilota di evento modulare, comprendente tre componenti che possono essere assemblate o acquisite singolarmente da ogni istituto (DVD+conferenza+mostra «leggera»), che dovrebbe ottenere un impatto complessivo più che proporzionale rispetto all'impegno finanziario.
Si sta mettendo a punto un metodo di valutazione dell'impatto ottenuto da iniziative di promozione culturale basato su due parametri: calcolo del numero dei visitatori-spettatori e valutazione del risultato promozionale ottenuto tramite la stampa scritta e i media radiotelevisivi locali.
Tramite apposita gara, si sono abbattuti i costi di assicurazione per il trasporto all'estero di mostre del 36 per cento rispetto ad una precedente convenzione.
Inoltre, si ha cura di promuovere e favorire iniziative congiunte tra gli istituti di cultura e analoghe istituzioni di altri paesi dell'Unione europea.
In terzo luogo, sono state adottate iniziative di supporto alla diffusione della lingua italiana all'estero. Si stanno realizzando le azioni mirate ad incentivare la diffusione dell'italiano, che sono emerse da un dialogo costruttivo con gli istituti (riunioni d'area) e da un convegno promosso lo scorso giugno con l'università di


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Perugia. D'intesa con il Ministero dell'istruzione, si è esteso all'estero il sistema informatico INDIRE, che fornisce materiale e aggiornamento didattico ai docenti di italiano.
È stato avviato un progetto pilota per la diffusione nell'area arabofona (Mediterraneo e Medio Oriente) del testo per l'apprendimento dell'italiano «Amici del Mediterraneo» che, sulla base dei risultati che verranno ottenuti, potrà essere replicato in altre aree linguistiche.
Si stanno definendo, con il Ministero dell'università e con quello dell'istruzione, le modalità per la messa a punto di tale sistema unitario di certificazione e di conoscenza della lingua italiana. Si sta mettendo a punto con gli istituti un manuale di best practices per la definizione dei rapporti di lavoro con il personale docente.
Al fine di realizzare un'azione di promozione dell'italiano tramite apposite fiction televisive, è stata appena completata la sottotitolatura in italiano, spagnolo ed inglese del programma in venti puntate «La famiglia Montalcino». Sono già pervenute dichiarazioni di interesse da parte di canali televisivi di paesi del Centro e del Sudamerica e dei Balcani, per l'inserimento nella loro programmazione. Sono in corso sondaggi in Nordamerica, Cina ed India, che verranno estesi ad altre aree.
Per completare l'opera di riorientamento e rilancio della cooperazione culturale concretamente avviata negli ultimi mesi, ci si propone di muoversi in tre direzioni.
La prima è la riforma del quadro normativo. Vanno rimossi alcuni ostacoli o strozzature la cui esistenza si è riscontrata nell'avvio dell'opera di cui sopra e che richiedono interventi legislativi. Va ad esempio introdotto il principio dell'accreditamento multiplo degli istituti in più paesi, analogamente a quanto avviene per le rappresentanze diplomatiche. Va introdotta la figura dell'addetto culturale presso le rappresentanze diplomatiche, per consentirci di creare una rete di strutture leggere, meno costose degli istituti di cultura in aree nelle quali - come si dirà fra breve - dobbiamo rapidamente estendere la nostra presenza (Cina, sud-est asiatico, paesi del Golfo). Va valorizzata la rete degli addetti scientifici al fine della promozione della scienza e della tecnologia italiana, anche ricercando sinergie con l'attività degli istituti di cultura.
La Commissione nazionale per la promozione della cultura italiana va riformata per svolgere in maniera più incisiva e operativa il suo prezioso ruolo di raccordo con vari settori del sistema Italia. Va regolamentata la possibilità degli istituti di cultura di assumere personale docente in loco per l'insegnamento della lingua italiana.
Stiamo mettendo a punto, per questi e altri aspetti, precise proposte che siano in grado, secondo l'esperienza maturata nel corso degli ultimi mesi, di conferire alla macchina un ulteriore impulso in termini di maggiore efficienza.
La seconda direzione è la revisione della nostra rete di promozione culturale all'estero. Come hanno fatto e stanno facendo i nostri partner europei, dovremo ridurre la nostra presenza in alcune aree per espanderla in altre, prendendo decisioni magari dolorose, ma necessarie alla luce di mutati equilibri politico-economici.
Si tratta di decisioni dolorose, forse, perché la chiusura di un istituto comporta la perdita di una rete di posizioni acquisita nell'arco di decenni e il licenziamento di personale, mentre genera risparmi insufficienti ad aprire un'analoga struttura in altre aree geografiche per noi prioritarie. I costi in Asia e nel Golfo sono, infatti, quasi il doppio di quelli europei. Stiamo di conseguenza verificando la fattibilità tecnico-finanziaria di un'ipotesi di lavoro che preveda la chiusura di 5 istituti in Europa e l'apertura in altre aree di 7/8 strutture leggere - composte da un'unità a livello direttivo, un contrattista, una dotazione finanziaria per attività di promozione culturale - da collocare presso ambasciate o consolati generali. Per realizzare tale ipotesi è necessaria - come detto - una modifica normativa che consenta al personale


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della promozione culturale di prestare servizio presso rappresentanze diplomatico-consolari come addetto.
Le nuove strutture leggere possono svolgere un ruolo significativo, con un buon rapporto costi-benefici grazie ad un ruolo più attivo della Direzione generale per la promozione culturale, che metta a disposizione della rete strumenti a basso costo e ad elevato impatto (mostre itineranti, mostre leggere, materiale video, e via elencando).
La terza direzione riguarda gli aspetti finanziari. Le azioni di riorientamento della promozione culturale in corso e il progetto di revisione della nostra rete all'estero hanno come obiettivo un aumento di efficienza della macchina della quale fanno parte la Direzione generale e gli uffici all'estero. Esse vengono, pertanto, realizzate a costo zero, perseguendo in molti casi una riduzione dei costi. Un aumento anche contenuto delle risorse finanziarie consentirebbe, però, proprio perché si stanno facendo sforzi importanti e concreti per migliorare l'efficienza della macchina, risultati di grande impatto.
Particolarmente auspicabile è un incremento delle dotazioni del capitolo 2493, che oggi è soltanto di 2 milioni di euro, che risponde a tre esigenze: svolgere attività culturali in ben 48 paesi privi di istituti di cultura; svolgere dal centro un ruolo propositivo più accentuato nei confronti della rete; far funzionare le strutture leggere che dobbiamo aprire nelle aree nelle quali non siamo sufficientemente presenti, o non lo siamo del tutto.
Non va, d'altra parte, dimenticato che la promozione culturale, che costa allo Stato meno di 22 milioni di euro, dà un sostegno concreto alle nostre esportazioni che, nei soli paesi nei quali abbiamo istituti di cultura, ha raggiunto nel 2005 un valore complessivo di 272 miliardi di euro.
In conclusione, ritengo che occorrano idee innovative, concentrando l'attenzione su pochi punti. Il primo punto, quello assolutamente essenziale, è il seguente: dobbiamo realizzare delle economie di scala; dobbiamo passare, se così si può dire, da una fase artigianale ad una fase industriale; dobbiamo sempre più trasformare gli istituti di cultura da produttori in distributori di un prodotto che venga fornito in modo industriale dal centro, per moltiplicare i risultati e abbattere i costi.
A questo proposito, abbiamo messo in cantiere - fra pochi giorni arriveremo a concludere il processo di preparazione - quella che può essere definita una mostra itinerante. In sostanza, oggi prendiamo grandi iniziative (non tante, ma ne prendiamo), spendiamo per le stesse alcuni milioni di euro, ma dopo due, tre mesi, finita l'iniziativa finisce tutto; oppure prendiamo tante piccole iniziative - ciascuno dei nostri istituti fa qualche cosa -, ma spesso sono troppo piccole. E tutte queste iniziative, sia grandi che piccole, sono caduche, perché durano il tempo che dura una mostra.
Ebbene, abbiamo pensato di costruire una mostra che duri negli anni e che si moltiplichi per quattro. È una mostra che dura negli anni perché è concepita come un museo itinerante, stabile, dell'Italia, che illustra stabilmente l'immagine dell'Italia nel mondo, e si moltiplica per quattro perché se ne fa una per ogni continente e la si fa girare per il continente stesso. È possibile moltiplicarla per quattro perché in parte è composta da audiovisivi, che è facile moltiplicare senza spesa. Inoltre, la mostra è composta da opere d'arte e da reperti museali. Se si attua uno schema rigido e modulare, si può stabilire che, ad esempio, in una data collocazione della mostra ci deve essere un quadro che rappresenta la bellezza, una dama italiana del '500. Pertanto, se la mostra dura quattro anni, dobbiamo sapere che per ogni anno occorrono otto quadri, perché un museo li presta solo per sei mesi. Ovviamente noi abbiamo otto quadri di una dama del '500, quindi li facciamo ruotare.
La mostra si compone di una parte storica, che fa conoscere agli spettatori, specialmente in Asia o in continenti distanti, la storia dell'Italia, le epoche della nostra storia, l'Italia greca, romana, rinascimentale, e via di seguito. Vi è, poi, una


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parte tematica, che è la più innovativa. Partendo dai punti di eccellenza dell'Italia, ossia la meccanica, la moda e il design, la gastronomia, la nautica, si stanno costruendo dei percorsi tematici, dove c'è un punto di arrivo (ad esempio una Ferrari per la meccanica o Armani per la moda, e così via) e si ricostruisce come si è arrivati a questo punto.
Oggi il design o la moda italiana sono leader nel mondo perché alle spalle ci sono le dame dei mosaici di Pompei, poi quelle del Rinascimento italiano, le tessiture di Firenze del 1500, eccetera.
In questo modo si ricostruiscono dei percorsi che, attraverso la storia, portano al punto di arrivo. Nel suo itinerario, la mostra raggiungerà naturalmente innanzitutto Saragozza, Shanghai, quindi sarà utilizzata per la nostra presenza in queste grandi esposizioni.
Inoltre, la mostra può e deve diventare uno strumento per propagandare la candidatura di Milano all'esposizione del 2015. Questo può avvenire attraverso la mostra in sé e attraverso gli avvenimenti collaterali che si costruiscono intorno alla mostra nelle sue varie tappe.
Un'altra economia di scala, molto importante, è quella che esporrò di seguito. Diciamo la verità, l'Italia è famosa nel mondo per il calcio e la lirica: il calcio per i ragazzi e la lirica per le persone di un certo livello e cultura. Lasciando da parte per il momento il calcio, che è argomento più complesso, sulla lirica dobbiamo compiere un grande sforzo, anche qui secondo la logica dell'economia di scala.
Oggi succede che un teatro va all'estero per una tournée, in 15 giorni spende 5 milioni di euro, e tutto finisce lì. Cosa ben fatta, certamente da ripetere, ma è un'iniziativa abbastanza caduca. Noi possiamo tentare di produrre in modo centralizzato due prodotti: formazione e joint venture. Oggi sono in costruzione, nel mondo, grandi teatri a Muscat in Oman, Dubai, Pechino, Shanghai. Ebbene, in quei paesi costruiscono l'hardware, ma hanno necessità del software. In altre parole, non sanno come si mette in scena uno spettacolo. Noi, però, lo sappiamo. Questi paesi hanno bisogno di essere alfabetizzati dal punto di vista musicale e noi possiamo farlo. Dobbiamo fornire loro una possibilità di formazione in loco di cantanti, tecnici di scena, costumisti, maestranze, amministratori, insomma gente che sa far funzionare un teatro. Questo è il nostro primo obiettivo.
Il secondo elemento su cui dobbiamo puntare è la joint venture. Una tournée costa enormemente perché occorre spostare le masse: l'orchestra, il coro, e via dicendo. Tuttavia, in joint venture con questi paesi emergenti, possiamo organizzare degli spettacoli in franchising. Intendo dire che noi diamo a questi paesi - in franchising, appunto - il marchio di un nostro teatro di fama, forniamo loro il direttore d'orchestra, il regista, i due o tre cantanti più importanti, e le masse le procurano loro, naturalmente con la nostra collaborazione. In questo modo creiamo degli spettacoli in joint venture e una cooperazione in campo artistico che si porta dietro tutto quello che si può immaginare (penso a relazioni culturali che poi arrivano all'economia, com'è naturale).
Abbiamo messo al lavoro un'équipe, coordinata dal senatore Carlo Fontana, per tanti anni soprintendente della Scala. Spero che si giungerà a risultati concreti.
Altre iniziative sono in corso secondo la stessa logica, quella dell'economia di scala, della produzione non parcellizzata e a pioggia, non artigianale, ma industriale.
Penso che in questo modo si possa spendere enormemente di meno (anche perché seguendo questa via è facile trovare degli sponsor più interessati), ci si può addirittura guadagnare e non perdere.
Infine - perdonatemi per la lunghezza dell'esposizione - vorrei porre una domanda, che ha un significato culturale e di principio molto importante e alla quale è difficile dare una risposta superficiale. Credo, però, che sia giusto che il Parlamento discuta di questo e dia un indirizzo al Governo. La diffusione della cultura e dell'immagine italiana passa attraverso la diffusione della lingua italiana o no? Le due cose sono strettamente collegate o sono indipendenti? La risposta non è così


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semplice. Penso, per questo, che un approfondimento sia opportuno e che il vostro consiglio a tal proposito sia molto importante. Grazie.

PRESIDENTE. Passiamo alle domande dei colleghi.

FRANCO ADDOLORATO GIACINTO NARDUCCI. Ringrazio il viceministro per l'ampia e dettagliata esposizione su una materia che, a parere di tutti i parlamentari italiani eletti all'estero, ma credo anche di molti opinion leader del nostro paese, è fondamentale per il futuro dell'Italia. Certamente noi non abbiamo materie prime da esportare, ma abbiamo un patrimonio culturale enorme.
Ieri ho partecipato, presso l'istituto di cultura di Salonicco, a un incontro con un ex rappresentante del governo greco, ora prefetto della regione della Macedonia. In quella regione è stato costruito, nell'ultimo decennio, un rapporto fortissimo con l'Italia, anche con le autonomie locali, e - a detta del prefetto della Macedonia - la cultura italiana è la chiave di volta di un sistema economico di intrecci. Non per nulla l'Italia è il primo partner commerciale di quella parte della Grecia. Proprio grazie a questi buoni rapporti la società Impregilo costruirà la metropolitana di Salonicco.
Vorrei partire da questo esempio per dire che mi si sono drizzati i capelli quando il viceministro ha parlato di chiusure di istituti, che si sommano al discorso della chiusura della rete consolare. A mio avviso, a livello di gestione di processo, non c'è la percezione di cosa significhi per l'Italia questa ricchezza presente nel mondo. Non voglio negare che ci sia l'esigenza, in itinere, di aggiornare e di mettere a sistema gli interventi di un paese. Tuttavia, non capisco come si possa parlare di economie e non tener conto di quello che generano le nostre presenze nel mondo - da un punto di vista economico, non soltanto di relazioni -. Inorridisco quando si parla di chiusure, considerato che proprio a Salonicco francesi e tedeschi, ad esempio, hanno aperto altre scuole, inserendosi nel sistema dell'istruzione greca, così come avviene anche in altre parti del mondo.
Penso che l'Italia debba investire maggiormente proprio nella presenza degli istituti di cultura. C'è stato un processo lunghissimo, in cui si è tentato di riformare la legge - mi pare che nell'ultima legislatura non sia andata a buon fine -, ma credo che si debba veramente puntare sulla presenza qualificata degli istituti di cultura, sicuramente in un quadro razionale, sistematico e sistemico degli interventi. Ben vengano, quindi, le innovazioni che lei ha illustrato, che sicuramente sono molto interessanti. È evidente che non bisogna mai disperdere le risorse economiche, né le energie, ma bisogna inserirle in un quadro sistemico di interventi.
Non si può continuare a sostenere la necessità di economizzare, di chiudere qua e aprire là, come avviene per la rete consolare, senza mai prendere in considerazione cosa genera in termini di risorse questo sistema, che tra l'altro negli ultimi anni ha subito dei colpi pesanti. Sappiamo tutti che sono state chiuse tantissime sedi consolari e che siamo alla terza o alla quarta fase della ristrutturazione.
Se si parla di innovazione, probabilmente dovremmo analizzare qual è il modello francese, qual è il modello tedesco, chiederci se sia ancora opportuno che gli istituti di cultura dipendano dal Ministero degli affari esteri o se non si debba creare un'agenzia presso la Presidenza del Consiglio, con il compito preciso di valorizzare la presenza italiana nel mondo attraverso il nostro patrimonio culturale.
Rispetto alla domanda sulla lingua italiana, posta alla fine del suo intervento dal viceministro Intini, sappiamo tutti che le «Settimane della lingua italiana» sono nate quando, nel 2000 o nel 2001, una ricerca dell'Università di Siena e dell'Università di Roma (Tullio De Mauro e Massimo Vedovelli) rilevò che l'italiano rappresenta l'1 per cento rispetto alle lingue della popolazione mondiale, ma è la quarta o la quinta lingua nel mondo come domanda corsuale. Questa ricerca diede una svolta alle riflessioni e alle strategie,


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in termini di proposta culturale che l'Italia ha portato avanti all'estero, rafforzando questa consapevolezza dell'importanza della lingua italiana. Mi pare che i risultati diano ragione, visto che c'è stato un moltiplicarsi di iniziative. Se è vero che gli istituti di cultura comportano dei costi (sono necessari almeno un direttore e una segretaria), è altresì vero che essi generano risorse per le iniziative, tanto più grazie alla possibilità quasi manageriale assegnata dal legislatore ai direttori degli istituti di cultura.
L'istituto di cultura di Salonicco, ad esempio, riceve un contributo di 15 mila euro all'anno per la realizzazione delle iniziative, oltre alle spese per il personale. Se, dunque, esso realizza iniziative qualificate, che portano a risultati come quelli che ho descritto e che venivano confermati dalle autorità greche, evidentemente deve correre parecchio per generare le risorse necessarie per mettere in campo queste iniziative.
A mio avviso, è necessario riflettere bene sulla scelta di ridimensionare le nostre strutture all'estero - pur sotto la spinta di un'esigenza sicuramente legittima, come quella della finanza pubblica - ragionando seriamente su quello che produce questo sistema, che è molto di più.
Rispetto alle 55 mila richieste di insegnamento della lingua italiana del 2001, bisogna considerare che oggi 600 mila ragazzi italiani frequentano corsi di lingua e cultura italiana. Un capitale enorme.
Se non facciamo qualcosa, tra vent'anni avremo milioni di cittadini con il cognome italiano, ma che con l'Italia non hanno più nulla a che vedere. Personalmente mi batto da anni perché l'Italia punti di più su questo capitale, su questa sua risorsa fortissima, che produce. A Roma si sta celebrando il centenario della nascita di Luigi Montanarini, un pittore che ha prodotto molto anche in Svizzera. Nello stesso tempo, nel paese svizzero in cui ha vissuto, si sta aprendo una fondazione che ha un legame con il comune di Roma. Questo significa generare risorse e flussi turistici verso il nostro paese.
Se veramente intendiamo portare avanti una politica che sviluppi maggiormente delle risorse economiche, credo che si debba assolutamente puntare su una valorizzazione razionale, sistemica, degli istituti, ma senza propositi di chiusura.

DARIO RIVOLTA. Vorrei complimentarmi con il viceministro Intini per la sua esposizione ed esprimere il mio apprezzamento per la dimostrata volontà, da parte sua e della struttura che rappresenta, di non cadere in un immobilismo, ma di cercare soluzioni anche innovative, che possano valorizzare la presenza degli istituti italiani di cultura all'estero e, di fatto, attraverso il loro lavoro, puntare all'ottimizzazione dell'interesse nazionale.
Nell'esposizione del viceministro emerge l'idea di fondo di ottimizzare alcune delle risorse, unificando - seppure, mi sembra di aver capito, su uno schema di quattro proposte che possono essere diverse tra di loro, in base ai quattro continenti principali - una proposta culturale. Questa potrebbe essere un'ottima soluzione dal punto di vista economico. Evidentemente, bisognerebbe valutarla nel suo contenuto, volta per volta, per esprimere giudizi di valore sulla sua efficacia. L'unico rischio - ma del tutto teorico - che si può intravedere è che si finisca per proporre dei prodotti così standardizzati da non essere recepibili virtuosamente da parte delle singole realtà, diverse l'una dall'altra, in cui dovrebbero andarsi a locare. Tuttavia, questo è un quesito che pongo, non una contestazione di quanto affermato dal viceministro.
Per quanto riguarda l'eventualità che si debba o si possa procedere alla chiusura di alcuni uffici, per aprirne altri, pur comprendendo le valutazioni del collega Narducci, mi rendo conto che, viste le disponibilità finanziarie, diminuite da ogni finanziaria, assegnate al Ministero degli affari esteri, è difficile poter immaginare - non si fanno le nozze con i fichi secchi - di ottimizzare contemporaneamente in tutto il mondo le risorse, o addirittura, come sarebbe auspicabile, incrementarle. Mi rendo conto che può porsi il problema


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di dover ottimizzare, chiudendo qua per poter aprire là, ma solo giudicando caso per caso si può esprimere, da parte dei parlamentari, un punto di vista specifico e concreto.
Penso che tutti concordiamo nel ritenere che ogni scelta - sia quella in merito alle modalità dell'offerta del prodotto culturale, sia quella relativa al luogo dove questo prodotto culturale deve essere offerto - debba discendere da una valutazione realistica, sana e mi auguro sempre condivisa di quale sia l'interesse nazionale. L'interesse nazionale è contemporaneamente culturale, politico ed economico: il punto economico è un punto in un certo senso di partenza e di arrivo, essendo propedeutico anche alla valorizzazione degli altri aspetti, culturali e politici, dei quali è esso stesso conseguenza.
A proposito delle risorse disponibili, vorrei porre una questione che, a mio avviso, inconsciamente tutti i colleghi si sono posti. Ogni volta che ci si reca all'estero si constata che in tutte le ambasciate, in tutti gli uffici commerciali, in tutti gli uffici culturali di altri paesi - penso in modo particolare a Francia e Germania - sembrano non esserci carenze di risorse finanziarie, né tantomeno di personale. Le ambasciate di Gran Bretagna, Germania, Spagna, Francia, Stati Uniti, come anche quelle di altri paesi che nemmeno ci aspetteremmo (la Federazione Russa, ad esempio), sono sempre più munite di personale delle nostre ambasciate nello stesso paese. Così vale, a volte, per gli uffici commerciali e sempre per i punti di animazione culturale.
Ora, poiché si tratta in alcuni casi di paesi che hanno un prodotto nazionale lordo leggermente superiore al nostro, ma in qualche caso - vedi Spagna - anche inferiore al nostro, come fanno quei paesi ad ottimizzare il bilancio in modo da avere tutte quelle risorse da impegnare nella politica estera? Come mai noi non ci riusciamo? Forse ho una conoscenza dei bilanci troppo superficiale, ma mi chiedo perché noi dobbiamo sempre lottare con le ristrettezze quando si parla di presenze all'estero a vario titolo, mentre altri paesi, che in teoria potrebbero avere meno risorse delle nostre, sembrano invece non manifestare le stesse ristrettezze.
Qual è il colpo di magia, il trucco per riuscire ad ottenere un risultato analogo a quello degli altri paesi? Pongo la domanda in modo ingenuo, senza pretendere nulla dalla pur intelligente risposta che sicuramente darà il viceministro Intini.
Il collega Narducci proponeva di valutare se non sia il caso di creare addirittura un'agenzia per gli istituti italiani di cultura all'estero presso la Presidenza del Consiglio. Su questo proprio non potrei concordare, direi anzi il contrario: dal momento che anche la comunicazione della cultura italiana all'estero è parte della politica estera, ne è strumento ed ausilio, proprio presso il Ministero degli affari esteri vanno concentrate queste iniziative. Mi meraviglio, anzi, che ancora sussista in capo alla Presidenza del Consiglio la potestà di gestire i finanziamenti nei confronti degli organi di informazione in lingua italiana all'estero. Non capisco perché presso la Presidenza del Consiglio e non presso il Ministero degli affari esteri si debba decidere se finanziare o meno un giornale in lingua italiana.
Credo che questa competenza debba risiedere presso il Ministero degli affari esteri, perché la politica estera è una sola. Ugualmente - lo dico en passant - il problema del commercio estero deve tornare ad essere argomento di competenza di questa Commissione o, nel caso del Governo, del Ministero degli affari esteri. Non si può farlo dipendere da altre realtà, né tantomeno dal Ministero dell'industria o dalla Commissione attività produttive.
Infine, sulla lingua italiana avanzo un piccolo, modesto e umile suggerimento. Lei ha fatto bene a porre il tema se sia la lingua italiana a promuovere la cultura e l'arte italiana, o viceversa, oppure se sia uno scambio reciproco. Sicuramente i due termini non sono alternativi. È vero che la curiosità per la lingua italiana nasce molto frequentemente dal contatto, dall'incontro anche casuale con la cultura italiana nella forma artistica, musicale o visiva, o anche in forma di letteratura tradotta. È anche


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vero che attraverso la conoscenza della lingua italiana c'è una maggiore conoscenza dell'Italia, nonché una conseguenza economica, come ricordava il collega Narducci, per una maggiore disponibilità a guardare positivamente il prodotto che arriva dai frutti dell'economia italiana.
La promozione della lingua italiana e, in modo collaterale e dialettico, dell'arte, è indispensabile. Tuttavia, c'è un aspetto che non è stato menzionato nella relazione, che di solito si considera a parte, ed è la conoscenza diretta dell'Italia, che avviene attraverso la formazione in Italia di giovani di altri paesi; giovani che, studiando anche un solo semestre o un anno in Italia, qualunque tipo di materia, acquisiscono quella familiarità con il nostro paese che, anche senza volerlo, li porta nella maggior parte dei casi a guardare alla loro professione con un'ottica che in parte è italiana, a scegliere - quando si tratta di acquisire prodotti necessari nel settore in cui lavoreranno - un prodotto che abbia una provenienza italiana, proprio per quella familiarità che si è creata.
Questo aspetto, che viene considerato con attenzione dal ministro degli affari esteri, va inserito all'interno di quella grande operazione di diffusione della cultura che si realizza anche attraverso gli istituti italiani di cultura all'estero.

ALESSANDRO FORLANI. Credo che la relazione del viceministro abbia colto il vero problema che si pone oggi in questo settore. Ci sono due esigenze, apparentemente incompatibili, legate alle ristrettezze economiche, che caratterizzano in questo momento anche la situazione del Ministero degli affari esteri: da una parte, l'esigenza di risparmio, razionalizzazione e contenimento delle risorse a disposizione, dall'altra la necessità crescente di una maggiore incisività di queste strutture e di queste attività, nonché l'esigenza - alla luce della globalizzazione, che è anche globalizzazione della cultura, dell'informazione, delle conoscenze - di una maggiore capillarità e di più numerose strutture e presenze nel mondo, in più paesi rispetto al passato.
L'interesse nei confronti dell'Italia, in virtù della globalizzazione, cresce tra i paesi e i popoli che possono essere interessati ad accedere a queste conoscenze, a questa frequentazione del nostro patrimonio culturale.
Personalmente resto convinto del grande valore tanto della promozione della cultura italiana nel mondo, quanto dell'attività di cooperazione culturale. In questa fase, che evidenzia la crescita di diffidenze etniche e di contrapposizioni religiose e di civiltà (almeno in termini di tendenza), legate spesso a quel divario di condizioni economiche ben rappresentato questa mattina nella relazione del CESPI, credo che proprio il confronto culturale - inteso in termini costruttivi e paritetici, senza complessi di superiorità - sia uno degli antidoti a questi fenomeni di creazione di barriere e di sentimenti di ostilità, quando sia un confronto animato dall'intento di reciproca comprensione, di reciproca conoscenza, di crescita culturale comune, in cui ciascuno assume qualcosa della cultura dell'altro.
È facile rilevare - quando partecipiamo a missioni all'estero, quando incontriamo delegazioni di altri paesi - come la cultura italiana susciti molto interesse ormai in ogni parte del mondo, anche in paesi e continenti che non hanno particolari elementi di tradizione comune o di emigrazione italiana. Suscitano molto interesse il cinema, la letteratura, l'arte, la musica, l'opera lirica, la lingua italiana, anche quando non ci sia una particolare esigenza economica o professionale. La possibilità di accesso al nostro patrimonio culturale da parte di popolazioni di diversa cultura è spesso il presupposto - lo accennava anche l'onorevole Rivolta - di una maggiore simpatia, di una maggiore disponibilità a capire, di un atteggiamento collaborativo, di immedesimazione, che scoraggia i sentimenti ostili e che può anche favorire un maggiore sviluppo dei rapporti economici e commerciali.
Analogo discorso vale per la cooperazione culturale, che è un elemento che indubbiamente favorisce l'amicizia fra i popoli e scoraggia i razzismi, le diffidenze


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e gli antagonismi. Si tratta di attività che hanno alti costi, quindi condivido in pieno l'esigenza richiamata dal viceministro di economie di scala, di attività di carattere industriale, evitando gli sprechi, gli interventi a pioggia o interventi meramente simbolici, messi in atto magari per dimostrare che i pochi fondi a disposizione vengono utilizzati (a volte si tratta di interventi riduttivi ed inefficaci rispetto alle grandi finalità di questa attività). Credo che gli sforzi debbano essere concentrati, invece, su attività e iniziative che producano effetti incisivi, duraturi, che restino nell'immaginario, nella fantasia, nella cultura degli altri paesi e che trasmettano effettivamente qualcosa del nostro paese agli altri.
In questo senso, il programma che ci è stato annunciato, che penso si muova in questa direzione, deve essere incrementato e sviluppato, perché credo che questa resti una grande priorità per la nostra politica estera.

TANA DE ZULUETA. Ringrazio anch'io il viceministro Intini per l'esauriente relazione. Vorrei cominciare dalla fine del suo intervento, nella quale ci ha posto una domanda impegnativa sull'insegnamento della lingua italiana. Credo che lei avrà colto, da questa Commissione, un consenso sul fatto che l'insegnamento della lingua italiana dovrebbe essere una parte fondamentale della politica culturale italiana. Tuttavia, c'è un'interazione tra il godimento della cultura italiana, la conoscenza della lingua e la ricerca della cultura, che potenzialmente potrebbe dare frutti molto interessanti. Il problema che ci dobbiamo porre con molta serietà - e spero che lo si faccia con un'indagine anche impietosa - è se ci stiamo muovendo nel modo giusto.
Ci sono due tipi di domanda: una riguarda gli italiani emigrati e l'importanza di poter garantire l'accesso ad un insegnamento di qualità della lingua del paese di origine; l'altra, riassunta in modo molto efficace dal film danese Italian lessons, è la domanda degli adulti che si avvicinano alla cultura italiana. Queste due domande richiedono una risposta molto più articolata, più flessibile e più duttile di quella che ritengo abbiano ricevuto finora. Per il resto, seguirei il consiglio del collega Narducci, secondo il quale sarebbe importante guardare con più attenzione all'esperienza dei nostri maggiori partner europei, prendendo anche in considerazione l'idea di una riforma drastica.
Penso che il concetto di cultura che sta dietro allo schema che ci ha illustrato il viceministro sia vetusto. La produzione della cultura italiana non può essere una specie di gigantesco promo; personalmente non credo che la nozione di mostre «continentali» sia una risposta appropriata. Se i rappresentanti e i responsabili della politica culturale diventano interfacce che trasmettono un prodotto in patria, ma non hanno un'interlocuzione culturale - in senso diverso da quello del promo nazionale - con il paese in cui sono attivi, ritengo che i loro sforzi siano in larga misura destinati a fallire.
Può sembrare un giudizio un po' drastico, ma credo che certe esperienze in cui poter cogliere la domanda e trasformarla in una risposta interessante siano da guardare con attenzione. L'idea di un promo della moda o della storia italiana non è, secondo me, la mission della politica culturale; occorre una nozione di cultura un po' diversa, più legata ai nuovi linguaggi e a un modo di capire e di interpretare la realtà.
A volte noi dimentichiamo che le avanguardie nazionali nel campo accademico - penso all'archeologia - o nell'arte sono certo avanti negli anni, ma vi ricordo che l'autore teatrale vivente più rappresentato nel mondo è Dario Fo.

DARIO RIVOLTA. Eduardo De Filippo!

TANA DE ZULUETA. No, vivente. La vivacità della produzione culturale nazionale non può essere imbrigliata in un modello di trasmissione che sa di Stato centralizzato. Gli istituti di cultura devono essere angoli di sperimentazione e di libertà, altrimenti penso che perderanno la loro potenziale efficacia e sarà sufficiente


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un buon sito internet, con una spesa di gran lunga inferiore.

RAMON MANTOVANI. Anch'io ho ascoltato con vivissimo interesse la relazione del viceministro Intini che, nel suo incipit, ha fornito dei numeri che contrastano sia con quello che ha detto l'onorevole Rivolta, sia con quanto ho sostenuto io, anche questa mattina. Non so se ciò sia il frutto di un mio errore, al quale sono stato indotto da un'inchiesta empirica. Ogni volta che mi sono recato in un paese ed ho visitato la nostra ambasciata, mi sono sempre premurato di chiedere quanto personale vi fosse impiegato, specificatamente per le attività culturali. Non dobbiamo riferirci solo agli istituti italiani, ma anche agli addetti culturali delle ambasciate. Come dicevo, ho sempre riscontrato come la nostra rete diplomatica fosse la metà - un terzo, a volte anche meno - di quella di altri paesi, come la Francia, la Gran Bretagna e anche la Spagna.
Noi parliamo di istituti di cultura, ma è probabile che altri paesi siano organizzati diversamente, che abbiano organizzazioni di addetti culturali che dipendono da strutture più consistenti. Comunque sia, la mia sensazione è stata quella che vi ho descritto.
Ovviamente, se i dati che lei ha fornito fossero veri mi farebbe piacere, anche se smentiscono alcune mie affermazioni. Francamente, però, ne dubito. Ad ogni modo, se fosse possibile, richiederei un approfondimento su questi dati, in modo da poterli raffrontare con la realtà che ho detto.
Vengo ora alla seconda questione che intendo sollevare. Sono partigiano dell'idea - su questo non sono d'accordo con l'onorevole Rivolta, come il collega sa bene - che la politica estera del paese sia il risultato finale di un concerto di diverse attività, governative e non. Certo, c'è una specificità dell'attività diplomatica del paese, che è svolta dal Ministero degli affari esteri. Ma non si può valutare separatamente l'azione del ministro della difesa, del ministro o del viceministro - a seconda dei paesi - del commercio con l'estero, del ministro dell'industria o delle attività produttive e quella delle istituzioni locali, soprattutto se parliamo di Stati federali. L'Italia non lo è, ma ormai alcune nostre regioni tendono a viaggiare all'estero molto di più del Parlamento nazionale. Evidentemente in quel caso non vi sono molti vincoli, né di bilancio né di altra natura. Comunque, ho sempre pensato che la politica estera del paese fosse il risultato finale del concerto di queste attività e che alcuni aspetti specifici, come la cooperazione o la promozione della cultura, non si possano ridurre ad un mero strumento dell'azione diplomatica del nostro paese.
È logico che la promozione della cultura faccia capo al Ministero degli affari esteri e non a quello dei beni culturali, solo perché questa attività avviene all'estero? È logico, se siamo in un mondo globalizzato e non c'è una sola organizzazione internazionale che non veda la partecipazione diretta dei ministri competenti? È possibile che siamo chiamati a discutere della promozione della nostra cultura, che penso sia uno degli strumenti più efficaci per rendere l'Italia un paese «importante» e protagonista, in Commissione esteri? Questo è uno dei tipici casi, invece, nei quali si dovrebbe avere almeno una maggiore relazione con la Commissione cultura.
Signor viceministro, lei ha parlato della promozione dell'opera lirica, scendendo anche nel dettaglio. Esiste un comitato presieduto dal senatore Fontana, del quale mi fido ciecamente. Non lo dico per motivi di parte, ma perché ho apprezzato il suo lavoro come soprintendente della Scala. Tuttavia, da un lato vogliamo promuovere l'opera lirica - peraltro è uno dei motivi per cui l'Italia e la lingua italiana sono più conosciute e studiate -, e dall'altro negli ultimi anni abbiamo progressivamente e inesorabilmente tagliato i fondi agli enti lirici e ai teatri di tradizione lirica. Tali produzioni, per la qualità del prodotto, non possono stare sul mercato come potrebbe fare un canzonettista con tre chitarristi, che vende milioni di dischi o comunque può permettersi di far pagare a


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gente che assiste in piedi o seduta per terra al concerto un biglietto più costoso di uno di seconda fila di palchi in un teatro di tradizione italiano.
C'è qualcosa che non funziona. Da una parte, negli ultimi anni, e non solo con il Governo di centrodestra, si sono progressivamente tagliati i fondi. Dall'altra, ritengo di poter dire che vi sia un parallelismo tra politica e lirica: da un lato si criminalizzano i fischi, dall'altro chi subisce fischi tende a dire che sono il risultato di complotti, sia nella politica, sia nella lirica. Del resto, questo è successo alla Scala. Anche sulle star del mondo della lirica - personalmente ritengo che i cori e le orchestre siano a volte protagonisti quanto i cantanti - ci sarebbe da discutere.
Nel mondo si guarda alle produzioni dei nostri teatri attraverso la televisione, i canali specializzati satellitari, la produzione discografica. Le tournée possono essere incrementate se c'è un incremento di questa nostra produzione. Ho citato l'esempio della lirica perché sono un appassionato, ma sono sicuro che questo ragionamento si possa estendere a tanti altri argomenti.
Infine, lei ha posto una domanda alla quale è realmente difficile rispondere. Ad una prima valutazione risponderei con un no: la cultura, sebbene fortemente intrecciata con la lingua, non è principalmente il prodotto della lingua, tantomeno questo vale per la nostra cultura. Il diritto romano è un patrimonio culturale certamente non solo italiano, ma prevalentemente italiano, eppure deriva da una lingua morta. L'italiano è una lingua neolatina per eccellenza, ma lo sono anche il castigliano, il francese ed una serie infinita di altre lingue.
Certo, l'intreccio è molto forte. Dovendo rispondere alla sua domanda - capita di rado che un viceministro abbia la cortesia di rivolgere delle domande al Parlamento - dico no, ma specifico che la lingua continua ad essere molto importante. Non è l'architrave, non è il dato principale, ma è molto importante come strumento di approfondimento culturale. Forse è per questo che l'insegnamento della lingua italiana è così richiesto in molte parti del mondo. E non credo che questo avvenga per capire bene cosa dice Lucio Dalla nel suo ultimo disco - come capita invece ai nostri ragazzi, che sono incentivati a studiare l'inglese anche per comprendere meglio il linguaggio della produzione che loro consumano -, quanto per diversi ordini di studio.
Data questa risposta, che comunque resta personale - non è certamente frutto di un'elaborazione, ma è offerta sul tavolo di una discussione che per me è assolutamente aperta -, forse vale la pena di costruire un approfondimento (lo dico alla presidenza) su questi nodi politico-teorici che sono emersi da questa audizione.
La domanda rivolta dal viceministro potrebbe essere argomento di un nostro approfondimento, anche con un'indagine conoscitiva, non necessariamente istituzionalizzata. Sarebbe interessante, insieme alla Commissione cultura, costruire un iter che ci porti ad affrontare in modo organico questo tema, visto che nella scorsa legislatura, come l'onorevole Rivolta ricorderà, questo nodo si è tentato di affrontarlo e tutto è finito nelle sabbie mobili dell'attività della presidenza della Commissione esteri.

IACOPO VENIER. Signor viceministro Intini, svolgerò alcune considerazioni. La prima riguarda il giudizio, che traspariva dal suo intervento, sull'attività finora espletata dagli istituti italiani all'estero. Ognuno di noi ha esperienze e informazioni particolari, ed è il Ministero che ci deve fornire un quadro generale, ma credo che una valutazione sull'efficacia dell'azione svolta negli anni scorsi non debba limitarsi al dato numerico e alla capacità di produzione di eventi, bensì riguardare gli aspetti qualitativi. Inoltre, è necessaria una riflessione sulla gestione degli istituti di cultura italiana all'estero, considerato che si sono verificate situazioni piuttosto imbarazzanti per l'intero paese.
Credo che l'accenno che lei ha fatto all'integrazione tra l'attività di promozione culturale e l'allargamento della conoscenza


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del nostro paese, anche allo scopo di una promozione economica, andrebbe approfondito. La collega De Zulueta affermava - ed io sono d'accordo - che la valutazione dell'investimento culturale avviene a diversi livelli, con prospettive di lungo periodo, con promozioni meno legate alla contingenza e alla necessità di un immediato ritorno di carattere economico o di proiezione del paese sul terreno commerciale.
Abbiamo bisogno - lo ha detto il viceministro e questo mi pare un dato molto importante - di una riorganizzazione, di una diversa considerazione del circuito degli istituti. In particolare, questa idea di farne un circuito mi sembra abbastanza innovativa e significativa. Il problema è la qualità del prodotto che proponiamo, la scelta politica del tipo di prodotto da proporre e del prodotto attraverso il quale far conoscere la cultura italiana all'estero.
Credo che la riorganizzazione di questa rete, da parte del nostro Governo, come circuito, come strumento più efficace, sia da sostenere.
In questo quadro, la questione dei finanziamenti pone un doppio problema, che deve interessarci come Commissione affari esteri. Noi abbiamo un nodo che riguarda la nostra rete diplomatica - se ho ben capito, lei proponeva un maggior rapporto fra gli istituti culturali e la rete diplomatica - che deve essere sciolto. La nostra rete diplomatica, nel momento in cui abbiamo riconosciuto ai nostri connazionali all'estero di essere pienamente cittadini, è funzionale alla costruzione, anche attraverso gli istituti di cultura, di cittadinanze italiane all'estero? Essa sostiene, in primo luogo, la relazione con i nostri connazionali, che hanno diritti politici pieni e che oggi sono presenti con una loro rappresentanza diretta in Parlamento? Anche gli sforzi di razionalizzazione vanno in quella direzione oppure la nostra rete diplomatica ha, come lei indicava, delle esigenze di geopolitica, di investimento, che spesso sono in contraddizione con l'insediamento storico della nostra emigrazione? Gli istituti di cultura devono essere proiettati in primo luogo verso l'Asia, ossia nei luoghi nei quali, come lei ha detto, siamo più deboli?
Questo è un punto secondo me importante anche per capire quale tipo di lavoro devono svolgere gli istituti. Credo che, nel momento in cui abbiamo riconosciuto piena legittimità e partecipazione politica ai nostri connazionali all'estero, attraverso la cultura dobbiamo costruire cittadini italiani.
In questo senso, forse non è solo un problema, come diceva l'onorevole Mantovani, della Commissione esteri o del Ministero degli affari esteri, ma si tratta di un'integrazione di politiche che devono avere un governo ed obiettivi precisi a cui guardare.
Tuttavia, nell'articolazione della nostra rete diplomatica e consolare all'estero, forse i nostri problemi economici andrebbero affrontati anche in sede europea. È vero che noi siamo concorrenti sul piano della proposta culturale, e qualche volta dal punto di vista commerciale, con i nostri partner europei, spagnoli, tedeschi, inglesi, ma è anche vero che siamo fermi sul problema di come l'Unione Europea si debba proiettare nel mondo. In quel contesto forse ci potrebbe essere una razionalizzazione delle spese, per far sì che ogni singolo paese possa essere partecipe.
È chiaro che questo non è un tema che riguarda la discussione di oggi, ma se non lo inseriamo in un contesto europeo la nostra concorrenza sarà impossibile rispetto a dei giganti, che hanno maggiori possibilità economiche e di investimento, partendo da una situazione di finanza interna molto diversa dalla nostra.
Comunque, mi permetto di rilanciare la domanda, che a mio avviso non riguarda tanto il nesso tra lingua e cultura, ma l'obiettivo politico principale che ci poniamo. Se noi abbiamo come esigenza fondamentale quella di sostenere, con gli istituti di cultura, non solo l'attenzione di cittadini stranieri che chiedono cultura e lingua italiana, ma la costruzione di cittadinanza italiana nelle comunità dei nostri emigrati, è chiaro che dobbiamo pensare a maggiori investimenti. Se, invece,


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l'obiettivo è un altro, dobbiamo intraprendere un'altra direzione. Questa è una discussione pienamente politica, che ha a che fare anche con la discussione di bilancio, con la posizione al riguardo del Ministero degli affari esteri e con la direzione in cui lo stesso si muove.
Escluderei la scorciatoia di pensare che attraverso le sponsorizzazioni si possano risolvere problemi di questo tipo. So che nella legge finanziaria abbiamo introdotto questo principio perfino per le rappresentanze diplomatiche, ma trovo che sia veramente pericolosa - ci è stato segnalato anche dalle rappresentanze diplomatiche - l'idea che le nostre difficoltà di bilancio pubblico vengano superate attraverso le sponsorizzazioni. Questo potrebbe significare sminuire una caratteristica fondamentale dell'Italia, trasformando la proposta di una ricchissima cultura in promo di carattere commerciale.
Proporrei una maggiore attenzione a non aprire ulteriori varchi, anzi a ripensare anche a quello che abbiamo già inserito all'interno della legge finanziaria.

PRESIDENTE. Do ora la parola al viceministro per la replica.

UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Non sarà sicuramente l'ultima discussione che facciamo su questo tema, che non a caso ci appassiona: dietro la cultura viene tutto il resto, la politica, l'economia, l'export, gli investimenti, il turismo verso l'Italia, e quant'altro.
Sono state fatte molte osservazioni, ma io coglierò i temi centrali, che sono stati toccati quasi da tutti gli intervenuti. C'è preoccupazione per la chiusura che si prospetta di alcune sedi di istituti di cultura. Credo che si debba procedere con molta prudenza, sapendo che, soprattutto in Europa, c'è spesso una dislocazione vecchia. Oggi da una capitale europea si raggiunge qualunque città del territorio nazionale in due ore di treno veloce. Pertanto, si può organizzare dal centro una manifestazione in periferia, e allora forse è meglio chiudere un istituto in una sede europea periferica e aprirlo a Dubai, dove è impensabile che non esista un istituto di cultura italiana, o a Shanghai, e così via.
Questa è la logica, questa è la filosofia di fondo delle scelte prospettate, che comunque verranno attuate con molta prudenza per evidenti motivi. Tuttavia, sono del parere che si possano portare avanti.
La mostra itinerante, ovvero questa sorta di museo stabile che gira per i quattro continenti, non rappresenta certamente l'essenza di una politica culturale, ma è un'iniziativa utile. Inoltre, se oggi abbiamo bisogno di organizzare 20 mostre, quest'unica mostra costerà un ventesimo, ma avrà probabilmente un'audience 20 volte superiore. Penso che sia un investimento con un'economia di scala molto importante.
Nella parte descrittiva ho ricordato dei numeri, ma non l'ho fatto per trionfalismo, bensì per dare un'informazione e indicare che l'attività dei nostri istituti di cultura è vasta, ramificata in tutti i continenti e di tutto rispetto. Tuttavia, essa è un terzo di quello che sarebbe necessario.
Andando al nodo della questione, è di tutta evidenza che Spagna, Francia, Germania e Gran Bretagna, per indicare paesi simili al nostro, hanno più personale, maggiori risorse a disposizione e quant'altro. Temo che la spiegazione stia semplicemente nelle percentuali: la percentuale del bilancio dello Stato dedicata al nostro Ministero degli affari esteri è un terzo di quella di paesi simili al nostro. Questo è il nodo fondamentale. Noi tagliamo spesso le spese dove è più facile tagliarle, dimenticando che il Ministero degli affari esteri ha delle spese che corrispondono a investimenti che si trascinano dietro, con un effetto di moltiplicatore, la nostra economia e soprattutto l'attività culturale. Forse non si tiene abbastanza in considerazione questo aspetto, tanto che, da sempre, qualunque Governo - di centro, di destra o di sinistra - taglia dove è più facile tagliare, secondo me sbagliando.

RAMON MANTOVANI. Di sinistra non ce n'è mai stato nessuno!


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UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Abbiamo un concetto diverso di sinistra, ma è così.
Passo all'ultimo tema che è stato affrontato da tutti gli intervenuti. Personalmente sono per la centralità del Ministero degli affari esteri - e mi accorgo con preoccupazione che tale centralità viene erosa, o rischia di esserlo - sia per quanto riguarda l'attività economica, sia soprattutto per quanto riguarda la penetrazione culturale dell'Italia nel mondo. La mia idea non deriva tanto da una scelta di principio o ideologica, ma da un'osservazione banale, di buonsenso, che penso possa essere condivisa da tutti voi che, come me, avete esperienza di quello che accade per le nostre rappresentanze nel mondo. In generale, in qualunque nazione, noi abbiamo una tecnocrazia - la nostra diplomazia - abbastanza efficiente. Francamente, mi fiderei nel vedere coordinata da questa tecnocrazia l'attività di promozione culturale, economica e quant'altro, sapendo che ci affidiamo a persone che non commettono sciocchezze, che hanno una certa esperienza e affidabilità. Quella della diplomazia è una delle poche tecnocrazie che funzionano in Italia. Di conseguenza, credo che attribuendo a questa tecnocrazia un ruolo di guida e di coordinamento si aiuti la centralità del Ministero degli affari esteri, ma anche l'efficienza dei nostri interventi.
Sono stati introdotti tanti argomenti e tante sollecitazioni. È stato avviato anche un approfondimento sul tema che mi ero permesso di sollevare, quello della connessione tra l'insegnamento della lingua italiana e la promozione della cultura italiana all'estero. Sono temi che non possono esaurirsi certamente in una breve discussione, ma credo debbano essere approfonditi in successive riunioni.
A mio avviso, in pochi terreni come quello della promozione culturale è necessario un ruolo del Parlamento, e un ruolo bipartisan.

PRESIDENTE. Credo che occorrerà approfondire alcuni aspetti della questione che abbiamo esaminato nella seduta odierna. Oggi abbiamo tracciato un quadro d'insieme e svolto una prima discussione. Ritengo, altresì, che sia opportuno un raccordo con la VII Commissione, per proseguire il nostro approfondimento.
In questo modo, del resto, si procede normalmente e così si è proceduto anche nella precedente legislatura. Penso all'indagine conoscitiva che fu avviata in presenza di un disegno di legge in materia e, sebbene nulla andò in porto, fu portata avanti insieme alla VII Commissione.
Contatteremo i colleghi della Commissione cultura, per valutare le forme e le possibilità di procedere a questi approfondimenti, in vista anche di un indirizzo da definire, affinché il Governo ne tenga conto e uniformi la propria attività in questo settore a un indirizzo del Parlamento.
Nel ringraziare il viceministro Intini e i colleghi intervenuti, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,25.