COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 6 febbraio 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE UMBERTO RANIERI

La seduta comincia alle ore 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Gianni Vernetti, sulla situazione in Afghanistan, anche con riferimento all'iniziativa italiana per una conferenza internazionale.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Gianni Vernetti, sulla situazione in Afghanistan, anche con riferimento all'iniziativa italiana per una conferenza internazionale.
Di queste questioni abbiamo discusso in diverse occasioni e recentemente abbiamo approfondito la materia nel corso dell'audizione del rappresentante dell'Unione europea, Francesc Vendrell.
Do ora la parola al sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Gianni Vernetti.

GIANNI VERNETTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. La ringrazio, presidente. Ritengo che la storia di questi 5 anni di coinvolgimento civile e militare dell'Italia in Afghanistan sia ampiamente nota ai membri della Commissione. Mi limiterò, quindi, a fornire alcuni elementi di valutazione di questo impegno, per poi illustrare alla Commissione gli esiti delle recenti missioni in Afghanistan, quella del ministro, che risale a poco prima della fine del 2005, e le mie due recenti missioni - a Delhi, alla Conferenza regionale sulla ricostruzione in Afghanistan, e a Kabul nei primi giorni di gennaio - estremamente connesse alla verifica della disponibilità verso un'iniziativa politica internazionale da parte dell'Italia, da tradursi in una conferenza internazionale. Questo mi sembra l'elemento di qualificazione e di novità del nostro impegno politico in quel teatro.
Segnalerò quindi alcuni dati sulla nostra presenza, per poi svolgere alcune considerazioni sullo stato dell'arte delle riflessioni cui siamo giunti in queste settimane. L'impegno italiano in Afghanistan si svolge in un contesto pienamente multilaterale, sotto l'impulso, la guida e il coordinamento delle Nazione Unite. L'Italia partecipa alla missione civile, la UNAMA (United Nation Assistence Mission in Afghanistan), che oggi, in seguito alle risoluzioni in materia, ha pieno potere di coordinamento delle azioni di ricostruzione e di monitoraggio dell'intera situazione afghana.
Ritengo sia noto a tutti il ruolo dell'UNAMA - oggi guidata dal diplomatico tedesco Tom Koenigs - nell'attività di coordinamento e di implementazione degli interventi, non soltanto quindi di coordinamento dei donatori. La struttura del Joint coordination and monitoring board è nata a Londra con il compito di verificare le condizioni di sviluppo e di evoluzione della situazione afghana.
L'azione italiana e dell'intera comunità internazionale è stata diretta a un duplice obiettivo, sicurezza e sviluppo, aspetti strettamente correlati nel caso dell'Afghanistan, come nel caso di paesi nei quali si persegua l'attività di costruzione nazionale, di nation building. Ad essi aggiungerei


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un terzo obiettivo, la democrazia. È impossibile, infatti, attrarre investimenti e realizzare condizioni per lo sviluppo senza la sicurezza, così come è impossibile collaborare alla costruzione di solide strutture democratiche senza condizioni di vita accettabili e positive per lo sviluppo e, quindi, di adeguata sicurezza.
In questi anni l'impegno italiano è stato articolato su tutti questi fronti, basti citare nel 2004 l'impegno a sostegno delle elezioni presidenziali dopo l'approvazione della nuova Costituzione, oppure quello profuso per poter realizzare le elezioni parlamentari nel 2005.
Tra pochi giorni la Farnesina ospiterà una delegazione di parlamentari afghani, molti dei quali sono donne. Vi è una presenza molto attiva di donne parlamentari che hanno raggiunto il 28 per cento (il minimo fissato dalla Costituzione afghana era pari al 25 per cento).
Accanto all'attività di sostegno nella costruzione della nuova democrazia, si evidenzia l'iniziativa sul fronte della ricostruzione economica. In questi 5 anni, infatti, la comunità internazionale ha costruito 2.000 chilometri di nuove strade. L'80 per cento della popolazione in Afghanistan ha accesso all'assistenza medica di prima necessità e, mentre nel 2003 il 30 per cento delle 7.000 scuole afghane era stato completamente distrutto dalla guerra civile, oggi più di 4 milioni di studenti di entrambi i sessi sono iscritti in più di 9.000 scuole in tutto il paese e l'educazione è totalmente gratuita. Anche l'università di Kabul è stata riaperta a uomini e donne.
L'impegno civile italiano dal 2001 in poi è stato importante. Abbiamo stanziato 233 milioni di euro, a titolo di dono, erogati in questi 4 anni e mezzo di presenza italiana in Afghanistan. Le linee d'azione della cooperazione italiana allo sviluppo sono soprattutto concentrate sulle iniziative di sviluppo agricolo e rurale e di emergenza sanitaria, o su alcuni importanti progetti infrastrutturali, quali la strada Kabul-Bamyan che ci siamo assunti l'onere di realizzare con 40 milioni di euro.
Vanno annoverati inoltre i tanti progetti per il sostegno al Parlamento afghano e in particolare l'impegno e il coordinamento del cosiddetto lead della giustizia, che, nel gennaio del 2006, abbiamo assunto durante la conferenza di Londra che ha dato l'uogo all' «Afghanistan compact».
Recentemente, abbiamo cercato di potenziare e migliorare tale progetto giustizia con il coordinamento della nostra ambasciata a Kabul.
Il nostro intervento si è articolato lungo varie direttrici: la riforma della legislazione afghana, con un contributo alla stesura della nuova Costituzione, il nuovo codice di procedura penale provvisorio, il codice minorile, le iniziative per la qualità della vita nel sistema penitenziario del paese - ampiamente inferiore a qualunque standard internazionale, da ispirarsi invece al pieno rispetto dei diritti umani e dei minori - la ricostruzione e la ristrutturazione delle infrastrutture di giustizia. Da questo punto di vista, abbiamo fornito un contributo concreto non soltanto in termini di uffici del ministero, ma anche di tribunali, procure e carceri. A questo si aggiunga la formazione di 2.000 operatori della giustizia: giudici, procuratori, avvocati, operatori penitenziari.
Il nostro impegno è stato dunque significativo, ed ha accompagnato l'impegno militare con una forte presenza civile.
Ritengo inutile citare i dati riguardanti la presenza militare italiana, di cui siete pienamente a conoscenza. Abbiamo oggi circa 2.000 unità e si è conclusa l'operazione Enduring freedom.
Oggi, il nostro impegno militare è completamente inquadrato in ambito NATO-ISAF. Contribuiamo ad ISAF con attività di alto valore, non soltanto con la nostra presenza nella capitale, ma con la guida del Regional command west, ovvero del comando regionale NATO nell'ovest del paese, area cruciale per il confine con l'Iran, per le possibilità di stabilizzazione e per le grandi potenzialità di sviluppo. Si tratta di una zona che, secondo i dati delle Nazioni Unite, registra tassi di crescita superiori all'8 per cento annuo. Questa è un'economia da ricostruire, in cui però emergono piccoli segnali positivi.


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Al di là dell'attività militare - ben nota alla Commissione nel suo articolarsi in questi anni -, vorrei sottolineare due iniziative di successo recentemente avviate, che devono essere valutate per comprendere l'evoluzione della nostra presenza in Afghanistan. Mi riferisco alla formazione.
Con la Guardia di finanza è stato avviato un progetto di formazione degli operatori della polizia doganale di Herat. In questo caso potremmo fare di più e orientare il nostro impegno, perché una frontiera e un sistema doganale efficienti permettono a un paese di ottenere significativi introiti economici. La frontiera di Herat con l'Iran è una delle più importanti per l'interscambio commerciale. Oggi il controllo delle frontiere, in particolare per quanto riguarda il narcotraffico, è uno dei temi chiave per il possibile successo dell'esperienza afghana, e permette di svolgere quell'attività di prevenzione, controllo e monitoraggio di eventuali infiltrazioni di tipo terroristico.
Ritengo quindi che questa sia stata un'esperienza importante, come anche l'esperienza di formazione di carabinieri dell'esercito afghano e della polizia di Herat. Nel mio ultimo colloquio con il presidente Karzai, egli insisteva molto su come sia loro interesse strategico accelerare i tempi della ownership, ovvero del pieno ritorno alla titolarità afghana nella gestione del paese. Da questo punto di vista, mi è già capitato in diverse missioni di raccogliere richieste di incrementare l'attività di formazione della polizia, dell'esercito, delle strutture più importanti.
Non abbiamo l'obiettivo di restare in eterno in Afghanistan, bensì di creare quelle condizioni per poter restituire la piena titolarità del controllo del proprio territorio agli uomini e alle donne di quel paese.
Desidero inoltre sottolineare come recentemente siano state realizzate dal nostro esercito importanti attività di cooperazione civile e militare, in particolare nella zona centrale di Kabul, dove il VII reggimento Alpini di Belluno ha svolto, accanto alla tradizionale attività di pattugliamento, un'importante azione di tipo civile, per cui i nostri contingenti spendono circa 10 milioni di euro all'anno. Accanto al citato budget civile di 223 milioni di euro, infatti, una quota del bilancio della Difesa viene destinata ad attività di cooperazione civile ed è stimabile intorno ai 10 milioni di euro l'anno per le cosiddette attività CIMIC (civil-military cooperation). Nella valle di Musay, vicino Kabul, recentemente due nostri soldati sono rimasti vittime di un attentato a un convoglio con un ordigno improvvisato. Si tratta di una valle estremamente difficile, che durante l'occupazione russa non venne mai conquistata, caratterizzata da una forte presenza di attività talebana anche negli anni passati, in cui tuttavia i nostri soldati hanno saputo conquistarsi una forte fiducia da parte della popolazione, lavorando con i capi tribù e con i mullah, realizzando una forte attività di cooperazione civile e militare molto apprezzata dal Governo afghano, dalle Nazioni Unite e soprattutto dalla comunità internazionale.
Tale iniziativa è stata supportata anche da fondi privati, raccolti a Belluno e a Cuneo dalle associazioni nazionali alpini delle regioni di provenienza dei nostri reggimenti, grazie alla capacità di questi reparti di raccogliere fondi insieme ad autorità ed enti locali.
Un ospedale, un paio di ponti, 70 pozzi artesiani, una decina di migliaia di kit scolastici, forniture di assistenza medica testimoniano il successo della nostra azione civile ad opera dei militari.
L'Unione europea sta incrementando il proprio ruolo in Afghanistan. Recentemente, avete audito l'ambasciatore Vendrell che, oltre ad avere una personale, rilevante competenza sull'Afghanistan, testimonia concretamente il forte impegno dell'Unione europea, che è in crescita; l'Unione europea, infatti, si accinge a lanciare una missione PESD nel settore della polizia, con un contributo alla ricostruzione delle forze di polizia afghana equivalente a 160 ufficiali, che verranno inviati con il ruolo di formatori. Sarà una missione a guida tedesca, riguardo cui dovremo valutare un nostro eventuale contributo.


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Dobbiamo auspicare un aumento del coinvolgimento dell'Unione europea nell'interesse nostro e di quel paese, perché essa può integrarsi con i contingenti e con le iniziative nazionali, come positivamente riscontrato in alcuni casi nei Balcani, con una crescita costante del ruolo politico e talora militare dell'Unione europea.
Questa missione di polizia è per noi di estrema importanza, come anche le azioni regionali. L'India ha portato a 650 milioni di dollari il proprio contributo per la ricostruzione e lo sviluppo, e noi abbiamo l'interesse strategico di ampliare il coinvolgimento dei paesi della regione nella prospettiva di una stabilizzazione del paese, che potrà ritenersi attuata il giorno in cui verrà realizzato anche un meccanismo di sicurezza regionale.
Questo è il contesto di cui ho sottolineato i dati positivi, ma sarebbe erroneo non ricordare anche le significative difficoltà sul terreno. Oggi abbiamo risultati non positivi nel campo della lotta al narcotraffico, con un dibattito molto aperto e contraddittorio all'interno della comunità internazionale e tecniche di lotta al narcotraffico che non hanno ancora trovato una metodologia prevalente. Come sapete, c'è un dibattito da parte di alcune grandi ONG per quanto concerne l'eventuale acquisto legalizzato di una quota della morfina prodotta, proposta alla quale le Nazioni Unite sono fermamente contrarie, come emerge dall'ultimo rapporto redatto dagli uffici di Vienna, da parte della UNODC, l'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, contrario ad ogni forma di acquisto legale. In alcuni ambienti della comunità internazionale, tuttavia, quell'ipotesi trova credito e consenso.
Si stanno attuando esperimenti interessanti in alcune aree del paese, dove si è affermata un'azione combinata di tipo militare, con incentivi agli agricoltori e coltivazioni alternative, ma inevitabilmente anche qui i casi di successo usufruiscono delle infrastrutture del territorio - strade e acqua - che hanno garantito una condizione di sviluppo in grado di rendere sostenibile quell'agricoltura e hanno creato anche un mercato per un'agricoltura di sussistenza, che non trova sbocchi al di fuori della microarea in cui viene praticata.
Per quanto concerne la sicurezza, vi sono noti i rischi, i warning, le notizie relative ad una possibile offensiva di primavera dei gruppi terroristici talebani nel sud del paese. Ci si attende per la fine dell'inverno una ripresa di attività terroristiche nel sud del paese, valutate come possibili dal comando militare, dai nostri esperti e dall'intelligence, e quindi oggetto di particolare attenzione nei prossimi mesi.
Per quanto riguarda l'iniziativa politica internazionale, il Governo italiano è profondamente convinto, come anche il Parlamento, che l'impegno in Afghanistan sia fortemente multilaterale, concertato e concordato con le Nazioni Unite e con i nostri alleati dell'Unione europea, realizzato con il nostro principale strumento politico e militare che è la NATO. Riteniamo che tale impegno debba dare luogo ad una nuova, forte iniziativa politica internazionale, in grado di rafforzare l'impegno italiano e della comunità internazionale in Afghanistan.
Stiamo verificando con assiduità la possibilità di promuovere una conferenza internazionale di pace, che dovrebbe avere la capacità di fare progredire ulteriormente la conferenza di Londra del 2006, sul fronte sia della ricostruzione che dello sviluppo, perché un elemento negativo della vicenda afghana - esiste in proposito un apprezzabile studio che ho consultato recentemente - è rappresentato dalle poche risorse investite dai donatori.
Se confrontiamo il Kosovo o la Bosnia in termini di chilometri quadrati e di popolazione in rapporto all'Afghanistan, l'impegno economico della comunità internazionale si rivela di 1:9. C'è ancora grande spazio, dunque, per coinvolgere un maggior numero di donatori, come nel caso dell'India, da questo punto di vista in forte e molto positiva crescita, ma suscettibile di ulteriori miglioramenti.
Si propone dunque una conferenza internazionale con l'obiettivo di ottenere concreti e più forti impegni per la ricostruzione


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e lo sviluppo, per avviare un processo di stabilizzazione e di pacificazione. Oggi stiamo iniziando a raccogliere consensi su questa ipotesi, ma non siamo in grado di annunciare una conclusione dell'intenso lavoro diplomatico svolto in questi mesi.
Un piccolo risultato è stato raggiunto con l'accordo stipulato nel mese di gennaio tra Italia, Governo afghano e Nazioni Unite per promuovere a Roma nella prossima primavera, probabilmente nel mese di maggio, una grande conferenza internazionale sui temi della giustizia, della lotta al narcotraffico, della sicurezza e della costruzione nazionale, dell'institution building, quindi un primo momento di iniziativa politica internazionale su un settore in cui abbiamo un ruolo molto chiaro e sul quale è possibile intervenire maggiormente.
In base all'intesa raggiunta, la conferenza sarà promossa da tre soggetti - il Governo italiano, il Governo afghano e le Nazioni Unite - e vi parteciperanno tutti i paesi presenti sul territorio afghano, sia con contributi civili, che con contributi militari. Sarà questa l'occasione per realizzare su questi settori specifici - lo Stato di diritto, la rule of law, la giustizia - un salto di qualità per quanto riguarda la capacità di raccogliere risorse, di coordinare le azioni fra i donatori e di realizzare un piano d'azione in grado di implementare il Compact di Londra.
Forse proprio le parole di Vendrell, che ho potuto ascoltare in audizione presso la Commissione esteri del Senato, indicavano come questi fossero i settori storicamente difficili in ogni caso di costruzione di una nazione e di realizzazione di attività post-conflitto, ovvero il punto focale della ricostruzione di un paese, della sua capacità di riconciliarsi e di creare condizioni e regole condivise per andare avanti.
Ritengo quindi che questo primo risultato raggiunto con la conferenza internazionale di Roma nel mese di maggio, promossa da Italia, Afghanistan e Nazioni Unite, possa rappresentare un momento importante per permettere al nostro paese di realizzare una parte dell'azione politica internazionale necessaria per creare condizioni migliori nel paese.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano formulare domande o chiedere chiarimenti.

RAMON MANTOVANI. Credo di aspettarmi dal sottosegretario nella replica una disamina di tutti i temi che ha evitato di affrontare. Ci sono molte valutazioni e informazioni che sono da tenere nella massima considerazione, e il quadro prospettato mi è sembrato poco esaustivo.
In seguito alle elezioni di medio termine negli Stati Uniti, il Presidente del Consiglio e il ministro degli esteri hanno espresso giudizi precisi sull'andamento della situazione afghana, che, a confronto con quanto affermato dal sottosegretario, evidenziano un contrasto stridente. Non credo che da novembre ad oggi la situazione in Afghanistan si sia evoluta tanto da farla rappresentare come un quadro certamente problematico, ma tuttavia in via di avanzata soluzione. I giudizi sono stati precisi nell'indicare come la guerra non funzionasse, la situazione fosse peggiorata e fosse necessario cambiare strategia (sono parole del Presidente del Consiglio e del ministro degli esteri). Proprio in questo quadro, è stata prospettata la scelta italiana di lavorare alla realizzazione di una conferenza internazionale, con il coinvolgimento dei paesi dell'area, oltre che dei paesi membri del Consiglio di sicurezza.
La situazione oggi non sembra mutata, tanto da giustificare un cambiamento di posizione del Governo. Capisco che ci siano paesi contrari alla conferenza internazionale - almeno nei termini indicati dal Governo italiano -, ma è abbastanza stravagante, signor sottosegretario, che lei eviti di fare commenti sul fatto che sei ambasciatori si siano permessi di rivolgersi all'opinione pubblica italiana, per esercitare una sorta di pressione sul Governo italiano e per ingerirsi negli affari interni della nostra Repubblica. Questa lettera infatti riguardava esattamente ciò di cui stiamo discutendo.


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Qualcuno potrà diplomaticamente considerare questo fatto come un contrattempo, una caduta di stile, o semplicemente un fatto irrituale, che comunque nel linguaggio diplomatico ha un peso ben diverso rispetto a quello giornalistico. Ad ogni modo, questo è un fatto che muta il quadro politico, perché, se da una parte il Governo italiano ha espresso giudizi di una certa importanza e ha prospettato una conferenza internazionale, dall'altra l'amministrazione statunitense - e non solo -, nonostante il dibattito che democraticamente si svolge in ognuno dei paesi - molto più tranquillamente che non nel nostro, almeno in certi organi di stampa -, ha mutato posizione, chiedendo una cieca continuazione della logica di guerra per risolvere i problemi afghani. Queste sono le due novità intervenute, sulle quali il Governo deve esprimere una valutazione.
L'iniziativa dei sei ambasciatori - sicuramente non intrapresa con superficialità - sembra tesa a indurre, costringere, obbligare il Governo italiano a seguire senza troppi dubbi e perplessità una linea di gestione della questione afghana che ritengo totalmente sbagliata e fallimentare.
Lei, signor sottosegretario, invoca la questione della NATO. Storicamente e politicamente abbiamo una posizione diversa dalla sua e anche da quella di altri partiti di maggioranza rispetto alla NATO, ma sottolineo con chiarezza che non vogliamo che sia messa all'ordine del giorno l'appartenenza del nostro paese all'Alleanza atlantica. Se dipendesse da noi, lo si farebbe, ma siamo consapevoli di come ciò non sia all'ordine del giorno.
Allo stesso modo, non dobbiamo sposare pedissequamente e acriticamente la strategia che il Governo Bush vuole imporre alla NATO. La presenza della NATO nella gestione della missione ISAF in Afghanistan risponde non ad una necessità in loco di razionalizzazione e di rafforzamento dell'intervento militare, bensì a un'esigenza strategicamente indicata da alcuni paesi nell'Alleanza atlantica per fare di essa lo strumento attraverso il quale governare il mondo dal punto di vista militare.
È un punto di analisi che mi piacerebbe discutere più approfonditamente e che vorrei scevro dalle polemiche di basso livello esistenti nel nostro paese, perché, a giudicare da quanto si legge sui giornali, sembra che ci siano forze che chiedono al Governo di uscire dalla NATO e forze che stanno ancora combattendo, come i giapponesi, la guerra fredda. Questo non è vero.
C'è una strategia che vuole assegnare alla NATO un compito che non è proprio di un'alleanza difensiva quale ancora oggi essa è e che entra in contrasto dal punto di vista strategico con la piena assunzione della funzione di polizia internazionale che deve svolgere l'ONU.
Ora, signor sottosegretario, so che lei considera i dibattiti parlamentari e anche le votazioni in parlamento alla stregua di stimoli, perché abbiamo avuto modo di leggere queste sue dichiarazioni, però vorrei ricordarle che vi è una mozione votata dall'Assemblea che impegna il Governo italiano a procedere sulla questione degli oppiacei, qualsiasi sia la discussione in corso nella comunità internazionale, qualsiasi sia l'opinione dei Governi o anche degli alti rappresentanti delle Nazioni Unite.
Vorrei ricordarle che il nostro Parlamento ha impegnato il Governo, come membro non permanente del Consiglio di sicurezza, ad avanzare le proposte affinché le Nazioni Unite si dotino di una forza militare permanente alle loro dipendenze; tutti questi aspetti devono essere discussi anche relativamente alla funzione della NATO in Afghanistan, e alla funzione che il nostro Governo vuole assegnare a questa alleanza, perché una cosa è non mettere in discussione l'Alleanza, un'altra è condividere principi, proposte, tesi e strategie che non sono state discusse nella maggioranza, sottoposte al voto popolare, dibattute in Parlamento e neanche dall'Esecutivo.
Non riteniamo utile proporre un ritiro immediato ed unilaterale delle truppe, così come invece, nonostante le resistenze nel Governo, abbiamo fatto in l'Iraq. Siamo consapevoli di come il contesto sia diverso,


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di come l'Iraq sia diverso dall'Afghanistan, e tuttavia riteniamo che, nonostante l'irrisolto problema dei talebani, questo non ci possa far accettare acriticamente una strategia che dopo sei anni rischia di avere perfino dei rovesci militari importanti, come evidenziano i comandanti della NATO che gestiscono la missione ISAF.
Quando rileviamo l'esigenza di individuare strategicamente un disimpegno del nostro paese, non ci riferiamo affatto a un disimpegno sugli aiuti civili, umanitari e nemmeno di sostegno al Governo Karzai, bensì ad un'eventuale conferenza internazionale, anche non immediatamente di pace, sul modello di quanto lodevolmente realizzato per affrontare per tempo e in modo adeguato il conflitto israelo-libanese, come viatico anche per un'eventuale presenza militare a presidio del territorio afghano sotto le insegne e il comando delle Nazioni Unite e non sotto le insegne e il comando di paesi che prima hanno finanziato, foraggiato e aiutato i talebani, che unici ne hanno riconosciuto il Governo - perché, in tutta la comunità internazionale, solo il Governo degli Stati Uniti e il Governo del Pakistan avevano riconosciuto il Governo criminale dei talebani - e che poi si sono dedicati a bombardare, a fare stragi fra i civili come effetti collaterali, e che oggi pensano di poter essere ricostruttori del paese, accolti pacificamente dalla popolazione.
Ritengo che il Governo debba valutare profondamente le proprie azioni e promuovere una riflessione e un cambio di strategia, come avevano annunciato il Presidente del Consiglio e anche il ministro degli esteri.

PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Ringrazio il sottosegretario per essere venuto a conferire e sono lieta di avere qualche occasione di contatto con il Governo. Ci aspettiamo una legge delega sulla politica estera, in modo che non ci sia più discussione con il Parlamento e si vada avanti come usa procedere questo Governo; abbiamo leggi delega su questioni sensibili come la cooperazione allo sviluppo: c'è da aspettarsele anche sulla politica estera e sulle missioni di pace in generale. Non ci sorprenderebbe questa posizione. Mi scusi per la polemica, ma, come ha sentito, la nostra sensazione è ampiamente condivisa.
Lei afferma che non è possibile restare in eterno in Afghanistan e tutti lo auspichiamo, perché questo potrebbe rappresentare la soluzione del problema.
Lei ha sottolineato la formazione, qualche aspetto positivo e funzionante nella dilagante devastazione dell'Afghanistan; non ho difficoltà a credere che qualche ONG ottenga buoni risultati, nella marea di fallimenti anche delle ONG italiane in Afghanistan, e siamo lieti che venga a relazionarlo. Oggi però assistiamo ad una feroce recrudescenza delle formazioni talebane, che sono ormai notoriamente composite perché, accanto agli integralisti legati ad Al Qaeda, ci sono, ad esempio, i mercenari legati alla mafia russa e alla mafia cinese. In base a questo quadro su cui non mi dilungo, perché già perfettamente illustrato dall'onorevole Mantovani - nonostante le posizioni diametralmente opposte alle sue, condivido la sua analisi, pur giungendo a conclusioni diverse -, le pongo due domande. Vorrei sapere quale tipo di sviluppo intendiamo sostenere in un paese in cui il narcotraffico domina completamente l'economia, tanto da farne un'economia drogata nei suoi meccanismi vitali. Non raccontiamoci la storia della trasformazione, perché, avendo tutti lavorato in questo settore, l'abbiamo già vista fallire in Colombia, abbiamo verificato come purtroppo non funzioni e siano invece necessarie posizioni molto più forti e radicali. Vienna produce ogni anno rapporti che esprimono questa difficoltà e quindi dobbiamo seguire questa linea.
Quanto lei propone come sviluppo si pone a valle del nodo fondamentale del problema, che è il dominio dei narcotrafficanti, per cui, a qualunque sviluppo si tenda, si deve considerare come oggi si ponga a valle di questa situazione, che tutto trasforma, droga, inquina e sconvolge.
Continueremo a realizzare isole di piccoli risultati in questo oceano di devastazioni,


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ma non cambierà assolutamente nulla, né si può sperare che tanti piccoli buoni risultati si uniscano e coagulino, come in altre realtà è avvenuto - penso al fenomeno della desertificazione, dove in certe zone è avvenuto proprio questo -, in quanto non esisteva una variabile indipendente come il narcotraffico. Vorrei quindi chiedervi come intendiate seriamente proporre uno sviluppo a valle di questa situazione non risolta.
La seconda domanda riguarda la constatazione che una conferenza di pace seria e politica ci sia già stata e sia stata promossa dalle forze afghane riunite autonomamente intorno ad un tavolo da Karzai. A valle di questa conferenza c'è stata anche un'amnistia che, soprattutto, è stata la premessa per poter indire le elezioni. Quelle sono le conferenze di pace! Poi si possono organizzare tavoli di donatori; chiamandoli però con il loro nome, perché intorno ad un tavolo di pace oggi devono esserci i due antagonisti, ovvero il Governo legittimo afghano, sostenuto dalla NATO, e i talebani, Al Qaeda, la mafia russa e la mafia cinese. Mettiamo insieme intorno ad un tavolo tutti costoro e realizzeremo una vera conferenza di pace, altrimenti faremo altro.

IACOPO VENIER. Non so se il componente del Governo dell'Unione Sovietica riferendosi alla situazione dell'Afghanistan abbia fatto una descrizione altrettanto positiva di fronte a simili accadimenti. Il sottosegretario Vernetti mi scuserà, perché anche lui è solito fare battute, però quell'avventura militare è finita con un crollo. Se quindi non ci si rende conto dei problemi che si hanno di fronte, il rischio non è certo quello di contribuire ad una soluzione, ma di esporsi ad una sconfitta grave e devastante anche per i soggetti che si sono illusi di una soluzione che rivela i suoi limiti.
Dobbiamo considerare come l'intervento militare in Afghanistan, a cinque anni dal suo inizio, abbia fallito nel suo obiettivo. Non ha infatti portato alla stabilizzazione di quel paese, non ha diffuso diritti civili e politici, non ha costruito le condizioni per lo sviluppo. Questa è una constatazione grave, perché aborriamo la prospettiva di uno Stato talebano come era precedentemente, ma allo stesso tempo aborriamo la prospettiva di qualsiasi Stato in cui non esistano la sicurezza, il diritto, la civiltà giuridica.
Il sottosegretario ha evidenziato come il compito dell'Italia sia anche quello di instaurare un sistema giudiziario in Afghanistan. Pochi mesi fa abbiamo appreso la notizia che si sta reintroducendo la polizia morale, con il compito di perseguire la stampa libera e di riportare le donne a comportamenti consoni, nelle stesse forme con cui operavano i talebani. Lei ha citato la situazione nelle carceri afghane. Il modello Abu Ghraib fu sperimentato prima in Afghanistan e poi esportato in Iraq, tanto che la situazione delle carceri afghane è indescrivibile, come denunciano tutte le principali agenzie sui diritti umani.
La collega Paoletti Tangheroni ha citato il cambio di forma e di sostanza del nemico dichiarato, e vorrei chiederle chi stiamo combattendo, sottosegretario, chi sia il nostro nemico, perché abbattere un regime spaventoso come quello dei talebani - si possono discutere le forme - per colpire un'organizzazione che si dichiara terrorista non significa fare una guerra diffusa con armi pesanti contro una parte importante della popolazione afghana, provocando, solo nel 2006, oltre duemila morti. Vorrei sapere se sia possibile chiamare organizzazione terroristica questo tipo di nemico, che colpisce le truppe di occupazione, perché la popolazione le considera tali; se sia possibile considerare il punto di vista di chi è ritenuto dal nostro Governo un nemico, per comprendere come realizzare gli obiettivi dichiarati.
Si rileva come l'Afghanistan abbia realizzato un processo minimo di costruzione della propria democrazia, ma dovremmo considerare come dentro le istituzioni afghane ci siano i signori della guerra, ossia i peggiori personaggi che hanno scorazzato per l'Afghanistan in passato e continuano oggi, come ci siano ancora decine e decine di milizie che operano fuori da ogni controllo


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del Governo centrale e che però fanno parte delle forze che sostengono Karzai, e dovremmo individuare il nesso tra questi potentati locali e il narcotraffico.
I risultati nella lotta al narcotraffico sono stati scarsi. Questo fenomeno è esploso e oggi il 90 per cento dell'oppio mondiale viene prodotto in Afghanistan, invade il mercato mondiale, crea anche una nuova esplosione del fenomeno dell'eroina in tutto il mondo.
Prima di affrontare la discussione riguardante gli strumenti, bisogna considerare l'obiettivo, ed è questo che si sta perdendo di vista. Una volta stabilito l'obiettivo strategico, potremo individuare gli strumenti.
Quanto alla NATO, essa è uno strumento, ma non è uno strumento multilaterale nel quadro delle Nazioni Unite. Abbiamo opinioni diverse sul processo di legittimazione di quella missione, ma se il nostro paese vuole un coinvolgimento vero dell'intera area regionale nel processo di stabilizzazione dell'Afghanistan e un coinvolgimento dell'intera comunità internazionale, deve esigere che il sistema delle Nazioni Unite diriga realmente la missione afghana anche sul piano militare e non sia a farlo l'attuale alleanza, al cui interno una parte più aggressiva - e per me irresponsabile - chiede maggiore coinvolgimento nel settore pesantemente fallimentare dell'operazione militare.
Questo è quello che si sta perdendo. Lo stanno perdendo anche i nostri cittadini, la nostra nazione, come evidenziano i sondaggi, signor sottosegretario. Non è una questione di alcuni gruppi politici, ma è la percezione di un fallimento che progressivamente si avvicina, rispetto al quale esisterebbero possibilità di intervento e di correzione. Nell'ambito del rispetto dei vincoli internazionali, multilaterali, del sistema di alleanze, il nostro paese deve esprimere la propria opinione. Se poi questa non sarà accettata dal sistema di alleanze a cui partecipa, è legittimo riconoscere un vincolo superiore. Tuttavia, dobbiamo portare nei vertici internazionali la nostra opinione sulla questione dell'Afghanistan, evitando un'autocensura preventiva e definendo una strategia. Se non la volete chiamare exit strategy, definitela svolta.
Il problema consiste nel sottoporre di nuovo alla comunità internazionale l'obiettivo che ci poniamo per quell'area e le forze che intendiamo coinvolgere.
Quanto alla cooperazione internazionale - lei ha citato un elenco interessante che ci consente di avere maggiori elementi di valutazione -, essa deve essere scollegata da una missione militare percepita come missione di occupazione, altrimenti diventa strumentale alla guerra. Dobbiamo puntare sulla cooperazione civile, sviluppare la società civile afghana e, nello stesso tempo, liberarla da una relazione di dipendenza nei confronti di un intervento di cooperazione internazionale che si leghi ad un intervento militare spesso contrastato da larga parte della popolazione afghana.
Ritengo quindi che il Governo italiano debba affrontare il tema di una svolta profonda nella strategia per l'Afghanistan e per tutta l'area attraverso un coinvolgimento multilaterale della comunità internazionale.

ALESSANDRO FORLANI. Pur apprezzando l'ampio contributo che il sottosegretario ha portato oggi a queste nostre riflessioni sui delicati temi che investono l'Afghanistan, anche io nella relazione del rappresentante del Governo rilevo un quadro che mi appare riduttivo rispetto alla condizione da tutti percepita, anche da colleghi di posizioni politiche molto diverse dalle mie.
L'Afghanistan è ancora un paese in guerra, senatore Vernetti, e lo è da quasi 30 anni, dalla catena di colpi di Stato, dalla deposizione del vecchio sovrano che poi venne in Italia, dall'occupazione sovietica. Da allora, è un paese la cui popolazione civile ha sempre conosciuto guerra e devastazione ed è tuttora in guerra.
I media italiani lo rendono visibile a corrente alternata: altri scenari assorbono una maggiore attenzione, ma abbiamo come pericolo imminente, probabile, ipotizzabile nel futuro un'offensiva talebana


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che potrebbe concludersi con un ritorno al potere di questo movimento politico religioso.
Il regime talebano ospitava i campi di addestramento del terrorismo internazionale, la centrale terroristica che voleva destabilizzare il mondo, praticava pene capitali barbare, come il taglio della gola in pubblico, riduceva il ruolo della donna a meno di niente e operava un regime oppressivo, dispotico, oscurantista con possibili riflessi di destabilizzazione internazionale.
Oggi corriamo il rischio che, dopo campagne militari sanguinose, con risvolti anche su popolazioni civili - concordo con quanti lo sottolineavano -, si potrebbe vanificare questo sforzo della comunità internazionale ritornando alla condizione che si riscontrava in Afghanistan prima dell'11 settembre.
In queste condizioni, quindi, non è praticabile la scelta del ritiro da parte della comunità internazionale, non soltanto al fine di evitare questa svolta politica, che sarebbe drammatica per quel paese, ma anche per tutelare l'autorità che democraticamente è stata insediata.
Ritengo infatti che, se si ritirasse la comunità internazionale presente su quel territorio, il Governo Karzai durerebbe ancora pochi giorni.
Ci chiediamo dunque quale sia lo sbocco, la soluzione rispetto ad un quadro di questo tipo, se sia l'aumento dell'impegno militare da parte dei paesi già impegnati. Tutto questo genera preoccupazioni nella scena internazionale, in particolare ad un paese come il nostro che ha già seri problemi a garantire la proroga del proprio contingente presente nella missione ISAF. Ritengo che sarebbe difficile incrementare questa presenza, senza tuttavia ritirare quelli che ci sono.
L'impegno militare deve essere necessariamente affiancato da un impegno di cooperazione civile.
Concordo sulla proposta di una conferenza internazionale nel momento in cui i gravi problemi dell'Afghanistan non sono stati risolti da una presenza internazionale che ormai perdura da sei anni e si sono persino ricreate condizioni di pericolo e di destabilizzazione per quel paese, ma ritengo che la conferenza debba affrontare in particolare il problema della ricostruzione economica ed infrastrutturale del paese.
L'institution building, la tutela della sicurezza, il narcotraffico e la giustizia sono i quattro temi indicati dal Governo per la prossima conferenza di Roma, temi complementari che si integrano, essenziali per la rinascita del paese, ma che diventano superflui e marginali rispetto alla questione fondamentale della sopravvivenza economica di un paese da anni dilaniato da guerre civili ed esterne, da dittatura, oppressione, oscurantismo, che oggi manca delle potenzialità atte a consentirne l'autosufficienza economica.
Anche io ignoro, rispetto al tema del narcotraffico, se sia possibile e auspicabile la legalizzazione della commercializzazione dell'oppio a fini terapeutici. In alcuni paesi del mondo i malati terminali muoiono tormentati da grandi sofferenze per mancanza di morfina e quindi conosco le motivazioni di chi sostiene questa opzione. Ho recepito a volte reazioni molto dure da parte di interlocutori internazionali su queste tematiche, una contrarietà di ambienti americani e delle stesse Nazioni Unite, come ricordato dal sottosegretario. Probabilmente esiste un problema di controllo e il rischio che questo commercio cada in mani inappropriate.
Non sono in grado di prevedere le conseguenze, ma ritengo doveroso quantomeno considerare la riconversione delle produzioni agricole oggi concentrate in larga misura sull'oppio, individuando forme che consentano all'agricoltura locale di garantire la sopravvivenza del paese.
Questo è il tema essenziale e prioritario rispetto alla giustizia, alle istituzioni, ai meccanismi di democrazia interna, perché altrimenti, in assenza di una soluzione, ai meccanismi democratici da noi proposti verrà preferito il dominio dei signori della guerra, dei talebani, dei signori del narcotraffico, che propongono l'oppressione ma assicurano i mezzi di sussistenza.


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Quindi ritengo che la questione economica debba acquisire centralità ed essere essenziale in una conferenza che miri a sopperire a quanto non siamo stati in grado di garantire in questi anni.

SERGIO MATTARELLA. Vorrei solo ringraziare il sottosegretario Vernetti per la sua esposizione, che non mi è parsa minimizzante, come invece diversi colleghi hanno rilevato.
Avevamo chiesto al sottosegretario Vernetti di relazionarci sulla situazione in Afghanistan, con particolare riferimento all'iniziativa italiana per una conferenza internazionale sull'evoluzione della situazione in quel paese.
Su questo punto, vorrei avanzare una prima richiesta di chiarimento al Governo. Mi è parso infatti che il sottosegretario Vernetti ipotizzasse praticabili conferenze di settore piuttosto che una conferenza di carattere generale. Sono convinto che le conferenze di settore siano utili, particolarmente sul settore della giustizia affidato all'Italia, che sta procedendo con buoni risultati e discreta efficacia, a differenza di altri settori come quello della sicurezza e della lotta alla produzione di oppio, affidati invece a francesi e inglesi. Ma non credo che il sottosegretario intendesse proporre un abbandono o un rallentamento della richiesta di una conferenza internazionale.
Condivido che il sottosegretario abbia ricordato alcuni risultati raggiunti nella ricostruzione, pur percependone anche io, come diversi colleghi, lo scarto notevole rispetto alle esigenze esistenti. Essi devono infatti essere sottolineati perché costituiscono, anche in tale dimensione, la prova di come sia possibile procedere sulla strada dello sviluppo e della ricostruzione nel paese, naturalmente in un contesto di maggiore sicurezza e di maggiore impegno non soltanto militare.
Questo mi sembra l'obiettivo di una missione sotto l'egida delle Nazioni Unite e di carattere multilaterale. Essa deve avere quindi necessariamente - come il nostro Governo, come ricordato dal collega Mantovani, ha più volte sollecitato - due binari: quello militare per la sicurezza di base e quello dell'impegno civile per lo sviluppo e le ricostruzioni.
Non mi pare che il sottosegretario abbia evitato il riferimento ai dati negativi, anche se mi è parso che li desse per scontati avendo premesso come la Commissione conosca le condizioni in Afghanistan e sia attraversata, sia in maggioranza che in opposizione, da una forte consapevolezza degli aspetti profondamente negativi; mi riferisco al pauroso sviluppo delle coltivazioni e del traffico di stupefacenti, alla sicurezza del controllo del territorio, all'autorevolezza della sovranità esercitata dal Governo Karzai e agli errori spesso verificatisi nella conduzione militare, che hanno danneggiato il rapporto con la popolazione civile e ridotto il consenso per la missione.
Desidero sottolineare come i nostri militari non abbiano mai - né lì né altrove - commesso errori del genere. Le condizioni complessive della missione internazionale non permettono di ignorare lo stallo, le difficoltà, le riserve di valutazione, imponendo l'esigenza di una conferenza internazionale.
Come rilevato dalla collega Paoletti Tangheroni, si tratta di realizzare una conferenza non tra le parti in conflitto, ma tra coloro che nella comunità internazionale sono interessati allo sviluppo, alla stabilizzazione, all'effettiva indipendenza e sovranità dell'Afghanistan e alla sua ricostruzione preliminare.
Questo è indispensabile perché non si può fare a meno della missione militare per consentire ricostruzione e sviluppo, ma, se non si implementa fortemente questa parte civile di ricostruzione e sviluppo, la missione non può riuscire. Finora questo non si è verificato.
Ritengo necessario ricordarlo e che il nostro paese ne sia consapevole, non sottovalutando gli aspetti negativi, che sono profondi e allarmanti, come rilevato da colleghi di maggioranza e opposizione, e nella consapevolezza dell'esigenza di continuare l'impegno della missione, due


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aspetti dai quali non si rileva contraddizione, bensì una esatta percezione della complessità della questione.
Da ultimo, presidente, vorrei evitare che si chiedesse al senatore Vernetti di rispondere di un'iniziativa di alcuni ambasciatori, cui si riferiva il collega Mantovani, della quale avremo modi, tempi e sedi per dibattere. Non rilevo rispetto agli ambasciatori di questi paesi alcun affievolimento nei rapporti di alleanza, ma non c'è dubbio che si sia trattato di un'iniziativa singolarmente inopportuna.
Questo elemento, tuttavia, non deve attenuare la convinzione che occorra proseguire la missione, sviluppando sempre più la dimensione civile di impegno finanziario per la ricostruzione e lo sviluppo, senza cui quella militare - seppur necessaria - sarebbe inefficace. Grazie.

PRESIDENTE. Alle 15,30 è annunciato un voto in aula. Abbiamo ancora tre iscritti a parlare, quindi darei la parola per due minuti, per consentire poi al sottosegretario di replicare.

TANA DE ZULUETA. In agosto le Commissioni difesa di Camera e Senato hanno effettuato una visita in Afghanistan. In un incontro con i colleghi della Commissione difesa del Parlamento afghano, uno di questi ci ha riferito che la comunità internazionale era giunta in Afghanistan per combattere il terrorismo e la droga. Se entrambi questi fenomeni sono peggiorati, forse dobbiamo discutere di una reimpostazione dell'azione. In seguito, ho chiesto come si dica «comunità internazionale» in dari e mi hanno risposto: «gli stranieri che stanno da noi».
Ritengo che il sottosegretario Vernetti ci abbia dipinto un quadro roseo della nostra azione. Sono felice di sapere che abbiamo fatto qualcosa di buono nel campo dell'agricoltura, perché l'attuale ministro dell'agricoltura aveva invece rilevato in quell'occasione di incontro come questo settore fosse stato largamente disatteso nella cooperazione, pur essendo quello grazie al quale vive la maggioranza della popolazione afghana. Anche il rappresentante dell'IFAD lo ha confermato. Ma è soprattutto la giustizia ad essere in un cono d'ombra. Infatti, stiamo ridefinendo la nostra azione, proprio perché i risultati si erano rivelati deludenti. È stato pubblicato un ottimo articolo su il Sole 24 Ore, uscito dopo l'infelice episodio della condanna a morte del convertito cristiano.
Il mio timore, signor presidente, è che la comunità internazionale stia temporeggiando, perché non possiede una soluzione e perché in quel teatro si stanno dipanando degli scenari che hanno poco a che vedere con la soluzione a lungo termine dei problemi dell'Afghanistan e molto a che vedere con vari scenari di realpolitik, tra cui il problema della NATO.
Quando il segretario generale della NATO afferma che il problema dell'Afghanistan non si risolverà con le armi, dobbiamo chiederci se sia appropriato che la NATO sia il king player della ricostruzione dell'Afghanistan. Potremo sostenere un voto sulla missione in Afghanistan nel contesto di una politica che riconduca la nostra azione e quella della comunità internazionale nel paradigma del Libano. Il paradigma adottato in Afghanistan sta fallendo, dobbiamo prenderne atto e bisogna già individuare scenari alternativi. La conferenza internazionale faceva parte di questo paradigma.

SANDRA CIOFFI. Volevo ringraziare il sottosegretario Vernetti, perché ha ricordato i tre aspetti fondamentali della missione: la sicurezza, lo sviluppo e la democrazia.
In un paese devastato da tanti anni, si può constatare come sia già stato realizzato un percorso certamente accidentato e difficile. Non posso dimenticare ad esempio, da donna, come fosse prima l'Afghanistan e come invece sia adesso, con il 28 per cento di donne nel Parlamento - magari ne avessimo tante nel nostro Parlamento! -, nonché i 2.000 chilometri di strade. È tuttavia necessario considerare il rilevante problema del narcotraffico, e come esso renda estremamente difficile


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questo percorso. Bisogna quindi affiancare al nostro impegno militare un impegno di cooperazione economica.
Ritengo che una conferenza internazionale possa collaborare alla realizzazione del salto di qualità che tutti auspichiamo. Come Popolari-UDEUR, riteniamo che questo percorso debba essere continuato e, anzi, rafforzato. Grazie.

RAFFAELLO DE BRASI. Interpreto quello che è stato definito approccio roseo come un ottimismo della volontà del senatore Vernetti di fronte ad una complessità, in cui è difficile definire una svolta e una nuova strategia, come il dibattito ha ampiamente dimostrato.
La situazione è indubbiamente peggiorata, ma il problema è valutare l'eventuale intervento. Le due linee forti - quella che rileva un peggioramento tale da indurre al ritiro, l'altra che dal peggioramento viene indotta ad accentuare la dimensione militare - in Italia e in questo dibattito non sono state presenti, laddove invece tutti, sia pure con accenti diversi, sottolineano l'esigenza di fronteggiare questo peggioramento con un'iniziativa politica che abbia la capacità di incidere in una situazione molto difficile, ponendo al centro i temi della politica e dello sviluppo, ma anche della sicurezza.
È giusto, ad esempio, non ragionare in tema di conferenza internazionale di pace, ma è evidente la difficoltà di ipotizzare che il Pakistan o l'Iran possano rientrare in un ragionamento politico nuovo.
Per quanto riguarda i talebani, non si può generalizzare, ma il tema della sicurezza deve fronteggiare il problema dei talebani e dei signori della guerra. Sinora si riscontrano solo timide novità rispetto a come il movimento talebano possa porsi rispetto a questa situazione e al suo futuro. Ritengo quindi che sarebbe un grave errore scegliere un atteggiamento unilaterale, e che sia irrinunciabile una posizione di collegamento con l'ONU, la NATO e l'Europa e che contemporaneamente sia necessario nella maggioranza un programma di iniziativa politica che condensi questa auspicata svolta.
Spero che ci sia un'autonomia della maggioranza da questo punto di vista, per evitare ricadute negative per tutti.

PRESIDENTE. Do la parola al sottosegretario per la replica.

GIANNI VERNETTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Vorrei cominciare chiarendo quello che rischia di essere un tormentone nei rapporti tra me e l'onorevole Mantovani.

RAMON MANTOVANI. Tra lei e il Parlamento!

GIANNI VERNETTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Esatto. Sono pienamente consapevole e rispettoso delle prerogative costituzionali che vengono attribuite al Parlamento e la inviterei a non confondere una mia battuta a Radio Radicale, dopo un acceso dibattito sulla pena di morte in Commissione, con un'opinione consolidata. Se è stato così interpretato, me ne scuso, perché non era mia intenzione ritenere il ruolo del Parlamento come di stimolo, mentre nella nostra Costituzione tale ruolo è chiaramente definito come qualcosa di ben più profondo.
Desidero replicare ad alcune utili riflessioni emerse oggi in questa Commissione. Non ho citato la vicenda dei sei ambasciatori perché - permettetemi una battuta - condivido quanto hanno detto il Primo ministro e i ministri della difesa e degli esteri. Evidentemente è un fatto irrituale: gli ambasciatori devono parlare ai Governi, non all'opinione pubblica. Noi oggi siamo presenti in quel paese insieme a 36 alleati e non abbiamo bisogno che cinque o sei ci indichino cosa dobbiamo fare.
Il Parlamento e il Governo hanno espresso un indirizzo molto chiaro, approvando il decreto sul rifinanziamento delle missioni militari. È un indirizzo che contiene la conferma di impegno militare, un aumento dell'impegno civile e una rinnovata, forte volontà di azione politica internazionale e autonoma dell'Italia insieme ai nostri partners. Non ce n'era


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quindi bisogno. E mi pare che il giudizio già dato sia assolutamente esaustivo e condivisibile.
L'onorevole Venier parla di truppe di occupazione, ma le nostre non sono percepite come tali, giacché stanno svolgendo un'azione di forte impegno per la stabilizzazione di quel paese, hanno avuto ed avranno anche perdite e momenti di grande difficoltà e oggi godono del consenso e della stima della popolazione locale, nonché di un rapporto molto positivo con le forze di sicurezza afghane. Ritengo quindi che, in particolare per i nostri soldati, ci sia un giudizio fortemente positivo rispetto all'azione svolta sul terreno.
Per quanto concerne gli oppiacei ad uso medico, citavo la relazione delle Nazioni Unite, in particolare questo Survey sull'oppio del 2006, analisi - firmata da Antonio Maria Costa, direttore esecutivo dell'ufficio delle Nazioni Unite - implacabile, netta e preoccupata sullo stato dell'arte, che lascio alla Commissione, perché è un documento molto lucido come fotografia di una situazione estremamente complessa. Le Nazioni Unite sconsigliano quella procedura e la ritengono inapplicabile. Come Governo italiano, invece, stiamo cercando di verificare una sua concreta possibilità. Non sono oggi in grado di fornire dati conclusivi di questa valutazione, ma è naturale tener conto dell'opinione delle Nazioni Unite che per noi è fondamentale.
Oggi le Nazioni Unite hanno in Afghanistan un ruolo fondamentale di coordinamento e di leadership dell'azione politica. La stessa missione ISAF ha un grado di forte legittimazione delle Nazioni Unite con più di una risoluzione; il peso delle Nazioni Unite, delle sue agenzie e degli uffici UNAMA nelle attività di ricostruzione e di sviluppo corrisponde a un coordinamento assolutamente omnicomprensivo.
Onorevole Forlani, non credo sia concretamente praticabile un ritorno al potere dei talebani. Ritengo che si tratti di un'attività che è riduttivo definire terroristica, perché esistono azioni con tecniche di tipo terroristico e in alcune aree del paese si riscontra una sovrapposizione tra l'attività dei gruppi terroristici e la mobilitazione di alcune realtà tribali, che rendono difficile fornire una fotografia univoca. Non considero tuttavia possibile un ritorno al potere del talebani e comunque tutti i fenomeni di sollevamento e di azione militare contro le forze della coalizione sono molto contenuti e confinati in alcune aree precise del paese, oggi minoritarie nella geografia del territorio.
L'onorevole Mattarella chiedeva quanto siamo riusciti a concludere come accordo politico. C'è la realizzazione di una conferenza settoriale, certamente rilevante perché garantirà un ruolo all'Italia e andrà a toccare nodi importanti. Non abbiamo rinunciato all'idea che stiamo ancora perseguendo e riteniamo prioritaria nella nostra azione.
Quando il Governo auspica un rilancio dell'azione politica accanto alla conferma dell'impegno militare e all'incremento delle risorse per la cooperazione e per gli aiuti allo sviluppo, questo è esattamente il lavoro che stiamo svolgendo. Stiamo infatti verificando consensi e difficoltà, ma inevitabilmente una conferenza internazionale, per poter avere un senso, riunirà almeno l'Unione europea, le Nazioni Unite e i paesi donatori. Questo quadro di soggetti è fondamentale. Per realizzare questo, stiamo lavorando assiduamente in sede europea, nei forum multilaterali, perché lo consideriamo un traguardo non ancora raggiunto dal punto di vista politico.

PRESIDENTE. Grazie. Riprenderemo nei prossimi giorni la discussione sulle vicende afghane.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,30.