COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 13 marzo 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
UMBERTO RANIERI

La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Famiano Crucianelli, sul rapporto Ahtisaari circa lo status finale del Kosovo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Famiano Crucianelli, sul rapporto Ahtisaari circa lo status finale del Kosovo.
Abbiamo già avuto modo, in diverse occasioni, di discutere tale questione in questa Commissione ed abbiamo peraltro già adottato una risoluzione in proposito, votata - mi pare - all'unanimità.
Do subito la parola al sottosegretario Crucianelli - che saluto e ringrazio - affinché svolga la sua relazione.

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. L'inviato speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ahtisaari, ha concluso sabato scorso a Vienna la tornata di consultazioni sul futuro status del Kosovo, che ha costituito l'ultima tappa di un percorso negoziale protrattosi per oltre un anno, che l'Italia ha ovviamente seguito da vicino.
L'impegno del nostro paese in questo delicato dossier va inquadrato nella nostra più ampia politica nei confronti dei Balcani occidentali che, anche se per brevissimi cenni, è opportuno richiamare. L'Italia ha contribuito ai progressi realizzati in questi ultimi anni verso la stabilizzazione della regione balcanica, operando in ambito sia bilaterale, sia multilaterale.
Sul piano multilaterale, svolgiamo una funzione di primo piano, in qualità di membri del Gruppo di contatto, uno strumento di lavoro, quest'ultimo, che si è dimostrato particolarmente efficace nell'affrontare i difficili problemi dell'area. L'impegno dell'Italia nei Balcani si manifesta in tutti i settori di attività, incluso il comparto militare della sicurezza, con il dispiegamento nell'area di vari contingenti, per un totale di 3.500 militari, dei quali circa 2.400 nel solo Kosovo. Siamo inoltre attivi nel sostenere lo sviluppo dei paesi della regione mediante importanti programmi di cooperazione, ed anche la presenza delle nostre imprese nel tessuto economico locale contribuisce allo sviluppo dell'area. L'interscambio con la regione vede l'Italia in posizione di vertice tra i partner commerciali.
Sul piano degli investimenti, si registra inoltre una costante intensificazione delle iniziative da parte dei nostri imprenditori privati. Nell'area balcanica l'Italia può pertanto considerarsi artefice di una politica a tutto campo, che ha prodotto i sui frutti in termini di stabilizzazione e sviluppo, a seguito della difficile stagione della crisi degli anni novanta.
L'Italia è un convinto sostenitore del processo di avvicinamento dei paesi dei Balcani all'Unione europea ed alla stessa


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Nato. I progressi verso la stabilizzazione della regione in questi ultimi anni, realizzati con il concorso di un efficace concerto internazionale, hanno tratto impulso anche dalle dinamiche di avvicinamento alle istituzioni europee ed euroatlantiche. Contiamo di sostenere una normalizzazione istituzionale e democratica dello sviluppo economico anche in Kosovo, avvalendoci dello strumento comunitario.
Come accennavo, il negoziato per il futuro status della provincia è ormai entrato in una fase avanzata: è una sfida difficile, che auspichiamo si riesca a condurre a termine. Siamo consapevoli, insieme ai nostri partner europei ed atlantici, dell'importanza di muovere dall'attuale fase transitoria di protettorato ONU - che si trascina ormai da quasi otto anni - verso un nuovo assetto che offra tutte le garanzie necessarie per una stabilità di lungo periodo e per la formazione di una società multietnica, su cui la comunità internazionale ha tanto investito a partire dal 1999.
L'Italia ritiene che tali obiettivi possano essere raggiunti se il processo negoziale in atto consentirà di elaborare una formula di compromesso che tenga conto delle esigenze della popolazione locale e delle istanze serbe.
Continueremo pertanto a sostenere l'azione di Ahtisaari nelle ultime fasi del suo esercizio e ci accorderemo a tal fine con le nostre controparti in sede multilaterale, a partire dal Gruppo di contatto.
Le consultazioni fra le parti, appena tenutesi a Vienna, non hanno fatto registrare scostamenti degni di nota rispetto alle posizioni tradizionali della contrapposizione: Pristina rivendica l'indipendenza, Belgrado non accetta la perdita della sovranità formale sulla sua provincia meridionale. La conclusione del lavoro di Ahtisaari dovrà pertanto essere seguita da una non meno rilevante fase di lavoro in Consiglio di sicurezza, in cui dovrebbe essere approvata una risoluzione che offra un solido fondamento giuridico al nuovo assetto del Kosovo.
Il documento di Ahtisaari prevede una serie di garanzie per le minoranze, in particolare per quella serba. L'impianto di fondo è teso a realizzare un modello originale, che l'inviato speciale qualifica come «indipendenza sotto supervisione internazionale». Tale bozza costituisce per l'Italia uno schema dettagliato, con proposte complessivamente ragionevoli, ancorché suscettibili di essere messe ulteriormente a punto od emendate.
L'Unione europea è destinata a svolgere un ruolo di primo piano nell'assetto tracciato da Ahtisaari: essa dovrà sostituire l'UNMIK nella gestione di delicati compiti amministrativi, quali la giustizia e la polizia. La NATO dovrà continuare ad assicurare l'ordine e la sicurezza interna mediante un suo contingente - che dovrà restare invariato -, in coordinamento con la presenza dell'Unione europea. L'Italia sostiene l'impegno dell'Unione europea: consideriamo prioritario attrezzare la presenza europea in Kosovo in termini di competenze e risorse, al fine di porre in essere misure idonee per garantire uno Stato di diritto e, in particolare, per realizzare un efficace sistema di contrasto delle attività del crimine organizzato transnazionale e dei traffici illeciti di origine balcanica, che incidono direttamente sulla sicurezza dell'Italia e dell'Europa.
Siamo inoltre convinti che occorrerà realizzare progressi sostanziali sul piano degli standard, intesi quali parametri di base relativi a sicurezza, libertà di movimento, garanzie per il ritorno degli sfollati, tutela dei luoghi sacri e del patrimonio religioso. In assenza di tali sviluppi positivi, vi sarà il rischio che l'entrata in vigore del nuovo status produca un esodo di serbi, che potrebbe determinare il fallimento della politica condotta in questi ultimi anni dalla comunità internazionale per costruire un Kosovo multietnico.
Come avevo accennato, l'Italia ritiene che debba essere compiuto ogni sforzo per individuare formule di compromesso tra le parti. Contiamo di offrire un contributo rilevante fino al varo definitivo del nuovo status, pertanto anche nella fase di redazione ed approvazione di una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza delle


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Nazioni Unite, organo al quale attualmente partecipiamo in qualità di membri non permanenti.
Occorrerà poi agire di concerto con i nostri alleati a Bruxelles, al fine di impostare in forma coordinata i rapporti tra i paesi membri dell'Unione europea, il Kosovo ed il nuovo status.
In quanto paese direttamente esposto alle dinamiche balcaniche, non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità nei confronti del Kosovo e della stessa Serbia: continueremo pertanto ad impegnare risorse umane e finanziarie al fine di raggiungere e sostenere un assetto stabile che contribuisca alla stabilizzazione della regione. Lavoreremo con gli altri partner di riferimento al fine di assicurare una transizione non traumatica verso il nuovo status del Kosovo. Daremo testimonianza di tale impegno attraverso la nostra costante azione in seno all'Unione europea, com'è stato nel caso delle relazione tra Unione europea e Serbia, a proposito delle quali abbiamo spinto fin dallo scorso mese di luglio per una ripresa del negoziato ASA. Questo obiettivo che ci siamo dati - che era ed è particolarmente caro ai serbi, all'autorità serba - appare oggi abbastanza praticabile.
Vorrei ricordare che all'inizio, l'estate scorsa, quando alla riunione degli affari generali dei ministri degli esteri a Bruxelles sollevammo la necessità della ripresa del negoziato con la Serbia, lo facemmo, ovviamente, ponendo precise condizioni, che peraltro gli stessi serbi hanno più volte non solo accettato, ma ammesso come essenziali. Lo stesso si fece già con la Croazia, quando il negoziato fu interrotto per la nota vicenda Mladic, e potè riaprirsi ed essere concluso solo onorando gli impegni presi dalle autorità serbe nei confronti del Tribunale dell'Aja.
Questa linea, che ha sempre trovato un ostacolo a Bruxelles, comincia in quest'ultima fase ad essere sufficientemente condivisa dagli altri paesi europei. Nell'ultimo incontro tenutosi a Bruxelles, non solo l'ipotesi di poter finalmente riaprire questo negoziato ha fatto dei passi avanti, ma si è parlato anche di definire una prospettiva europea per la Serbia che, qualora venissero rispettati le intese e gli accordi da essa sottoscritti, potrebbe essere paese candidato all'ingresso nell'Unione europea già nel 2008. Ho voluto parlarvene perché credo che l'indicazione di una prospettiva europea, sia con la ripresa del negoziato, sia con dei tempi abbastanza certi, sia un'iniziativa particolarmente importante anche per far uscire la Serbia da quell'isolamento nel quale si trovava e per molti versi continua a trovarsi.
A questo voglio aggiungere che si è aperta la discussione sul capitolo molto delicato riguardante i visti. Sapete che, come Italia - compatibilmente con l'Europa -, abbiamo promosso un'iniziativa per permettere ad alcune categorie di giovani studenti serbi di venire nel nostro paese. Questa iniziativa è riuscita ad affermarsi anche in Europa, dove si è aperto anche il capitoli dei visti, fino ad arrivare alla liberalizzazione. È una cosa molto importante, perché i serbi si trovano nella singolare situazione per cui, prima della caduta del muro, potevano circolare, ma da quando è crollata l'Unione Sovietica ed è scomparso lo Stato jugoslavo sono costretti a tutte le restrizioni. La possibilità di accedere ai visti è quindi molto importante, anche ai fini della rottura del suddetto isolamento e come messaggio al popolo serbo. Questo è il risultato di una nostra iniziativa.
In coda al mio intervento, vorrei aggiungere che ieri, per la terza volta, proprio perché siamo ormai in una fase stringente del negoziato sul Kosovo, sono stato a Belgrado. In quella circostanza ho incontrato Kostunica, Tadic e Dinkic (presidente del G17), i quali rappresentano i tre partiti che dovrebbero costruire il futuro governo serbo, presumibilmente entro marzo o comunque entro i primi di aprile.
È evidente che la discussione lì sviluppatasi ha ripetuto un tema abbastanza consueto: la contrapposizione tra la posizione espressa dalle autorità kosovare e quella espressa dai serbi ed una critica abbastanza aspra nei confronti di Ahtisaari e della sua relazione. Ho invitato a


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condividere quell'approccio più pragmatico che stiamo tentando di costruire: francamente, non vedo altra soluzione. Avere un approccio più pragmatico significa uscire dallo schema «indipendenza sì-indipendenza no» e cominciare ad affrontare i problemi nella loro concretezza. La situazione continua ad essere del tutto paralizzata, sul terreno formale; peraltro, comincio perlomeno ad individuare qualche elemento di speranza che si possa invece avviare un percorso per la costruzione di un compromesso - che oggi non c'è -, anche se non è nulla di più che una semplice intuizione.
La situazione è evidentemente molto difficile, così come difficili sono le sue possibili evoluzioni. Ne abbiamo già parlato altre volte: siamo assolutamente impegnati e determinati perché si arrivi ad un compromesso, perché sappiamo - diversamente da altri paesi che non hanno né la conoscenza, né, forse, l'attenzione necessaria - che il Kosovo può rappresentare l'inizio di una reazione a catena estremamente pericolosa.
Dobbiamo evitare che questo meccanismo si metta in moto, e per poterlo fare dobbiamo trovare un compromesso, il quale si può raggiunge attraverso la consapevolezza - che mi auguro cresca nelle autorità serbe - che non è pensabile il ripristino della sovranità sul Kosovo da parte della Serbia: esso non esiste più, se non formalmente e astrattamente. Deve essere contemporaneamente chiaro che vanno tutelati i diritti delle minoranze (a partire da quella serba nel Kosovo), e soprattutto che la forma che questo nuovo Stato dovrà assumere va discussa per intero, sul terreno sia dell'organizzazione interna, sia dei suoi rapporti con la Serbia, sia dei suoi diritti internazionali. Mi pare che questo sia l'unico terreno sul quale la discussione può, forse, portare ad una soluzione produttiva. Il rischio che possa attivarsi un meccanismo incontrollabile è altrimenti molto alto. Bisogna saperlo (noi lo sappiamo, tant'è che ce lo siamo detti più volte): il Kosovo può rappresentare la fine di un'epoca - ossia chiudere l'epoca drammatica che abbiamo alle nostre spalle - oppure l'inizio di una fase estremamente rischiosa di instabilità.

PRESIDENTE. Grazie, sottosegretario Crucianelli. Abbiamo tempo fino alle 15 per discutere. Le pongo subito una domanda su un aspetto che non ho inteso trattare (o forse non ho seguito bene): qual è la situazione per quanto riguarda i tempi?

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Per quanto riguarda i tempi, posso dire che a Vienna non si è svolto - come ripetono i serbi - nessun negoziato: com'è noto, non c'è stato un negoziato fra le parti. A questo punto, quindi, vi è l'apertura di una nuova discussione e di un nuovo negoziato presso il Consiglio di sicurezza. Tutto questo dovrebbe avvenire tra marzo e aprile, auspicabilmente, dopo la formazione del governo serbo: è evidente che questo passaggio deve coinvolgere un'autorità politica serba in grado di assumersi la responsabilità di una discussione così impegnativa.
I tempi che trascorreranno tra l'inizio della discussione e la sua conclusione non sono oggi definibili perché le variabili sono tante, e tra esse c'è anche la posizione molto chiara presa sin qui, anche se tardivamente, dalla Russia che, com'è noto, sostiene essere impraticabile qualsiasi risoluzione del Consiglio di sicurezza che non abbia ottenuto l'assenso dei serbi. Questo apre quindi un capitolo molto complicato anche per quanto riguarda il suo itinerario temporale.

TANA DE ZULUETA. Ringrazio il rappresentante del Governo per questo aggiornamento e anche per quello che traspare, e cioè il posizionamento dell'Italia rispetto a tale delicatissima questione. Con la Commissione esteri abbiamo svolto una missione a Belgrado ed a Pristina, dove questa incomunicabilità ci era già piuttosto evidente. Credo però che - mi sembra lo abbia detto Carl Bildt - ci sia una grande differenza fra un «no» morbido ed


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un «no» duro, da parte della Serbia. Il «no» della Serbia non è stato di quelli strillati e lascia forse spazio a quel percorso pragmatico che lei ci faceva intravedere.
Credo sia importante anche il sostegno che l'Italia dà all'ingresso della Serbia nell'Unione europea, anche se mi chiedo, rispetto a una scelta forse imminente - non lo so -, quale sarebbe l'atteggiamento del Governo italiano se ci fosse una dichiarazione di indipendenza unilaterale, cosa che viene ritenuta fortemente probabile dal mondo anglosassone. Mi chiedo anche, viste le differenze esistenti, riguardo a questo dossier, tra Gran Bretagna e Grecia, per esempio, per non parlare di noi, se sia possibile una linea comune europea sufficientemente condivisa da consentire all'Europa di essere realmente garante di un percorso in quell'area.

MARCO ZACCHERA. Innanzitutto, mi scuso, perché ho perso i primi cinque minuti della relazione. La mia domanda è questa: anche considerato che la settimana ventura una delegazione di questa Commissione si recherà in Croazia, come si comportano i paesi vicini? A parte i rapporti diretti tra Serbia e Kosovo, qual è la posizione delle altre ex repubbliche jugoslave, in particolare la Macedonia, ma anche la Bosnia, e così via? Come assistono a quel che sta avvenendo e qual è il loro atteggiamento?

SERGIO D'ELIA. Confesso di non aver letto il rapporto Ahtisaari. Ho ascoltato però la relazione del sottosegretario Crucianelli.
Vorrei anzitutto chiedere se la prospettiva di un'apertura del negoziato, nel 2008, per la candidatura della Serbia è soltanto un'ipotesi o se invece fa parte di una tabella di marcia che l'Unione europea si è data. Ripongo moltissima speranza in una soluzione pacifica e politica del problema del rapporto tra Kosovo e Serbia, fondata su una solida prospettiva di raccordo tra l'Unione europea e la Serbia, nei tempi previsti e con delle scadenze ben precise, che sfoci nell'adesione della Serbia - o in un'associazione o in un partenariato - all'Unione europea: credo sarebbe il vero antidoto ad ulteriori conflitti in quell'area.
Lei ha parlato di una transizione non traumatica verso l'indipendenza sotto supervisione internazionale. Ha detto esplicitamente che per i serbi non è pensabile tornare ad una sovranità assoluta sul Kosovo come quella precedente, e che una fortissima garanzia per i diritti delle minoranze potrebbe essere una condizione soddisfacente. Le chiedo se siano soltanto questi i punti che ci possono far parlare di transizione non traumatica o se lei ritenga necessari altri aspetti, per garantire il compromesso cui ha fatto riferimento.
Sempre che non ne abbia già parlato prima, considerato che sono arrivato dopo l'inizio della sua relazione, come giudica, infine, i risultati elettorali in Serbia, rispetto alla questione che stiamo affrontando: sono positivi, negativi o del tutto ininfluenti?

RAMON MANTOVANI. Grazie, presidente, e grazie al sottosegretario, che ci riferisce del lavoro del Governo in tempi che permettono un'interlocuzione vera.
Una risoluzione approvata all'unanimità impegna oggi il governo ad escludere qualsiasi soluzione non condivisa. Le è stato chiesto - reitero anch'io la domanda, specificandola - come reagirà negativamente il governo ad un'eventuale autoproclamazione dell'indipendenza da parte del Kosovo. È chiaro che quella non sarebbe una soluzione condivisa, perché farebbe precipitare la regione, non solo il Kosovo, in una nuova stagione di tensione, costituendo inoltre un precedente negativo anche per le altre identità nazional-etniche della regione. Specifico quindi la mia domanda in questo senso.
Mi interesserebbe però di più approfondire la questione dell'integrazione della Repubblica serba - e, in qualche modo, della provincia del Kosovo - nell'Unione europea. Non so quale possa essere la via da percorrere in merito, perché ancora non è chiaro quale sarà lo status della provincia del Kosovo. Premetto di non


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essere affezionato all'idea del nazionalismo serbo, né ad un'idea fanatica di autodeterminazione. In ogni caso, si apre un problema: non lo dico per motivi polemici, davvero, ma nella risoluzione in cui si fa richiamo ai diritti delle minoranze - nazionali, religiose, etniche - il riferimento è agli standard europei. Voi mi avete insegnato che tali standard non prevedono diritti per le minoranze nazionali, ma io penso invece che, non foss'altro che per la nostra tradizione, questi diritti siano implicitamente un patrimonio dell'Unione europea.
Mi interessa una sua opinione specifica su questo punto: in che cosa consistono questi diritti? Qual è la soglia minima sulla base della quale possiamo dire che essi sono rispettati? Parlo anche in questo caso in maniera esplicita: questo è un parametro di valutazione di portata generale, che si applica in questa situazione, così come in qualsiasi altra circostanza, perché i diritti non sono misurabili e pesabili a seconda delle relazioni diplomatiche che si hanno con un paese. Mi interessa quindi molto, davvero, che lei specifichi - per quanto può - a che cosa si fa riferimento concretamente quando si parla della tutela dei diritti della minoranza serba: qual è la soglia minima di rispetto dei diritti che l'Italia ritiene sufficiente?

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Spero di non tralasciare nessuna delle questioni poste. Se dovesse accadere, possono eventualmente essermi richiamate.
Se dovessimo arrivare ad una dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del Kosovo, evidentemente questo vorrebbe dire che vi è stato un fallimento radicale del negoziato. Non mi fascerei tuttavia la testa ancor prima di averla rotta. Come è infatti immaginabile, questo aprirebbe enormi problemi anche nei confronti dell'Europa, la quale, di fronte ad un fatto di questo tipo, rischia nuovamente una divisione simile a quella causata dall'approccio avuto - che si è rivelato, a mio parere, negativo (ma questa è un'opinione del tutto personale) - allorché si aprì la crisi della Repubblica socialista jugoslava, quando ogni paese percorse la propria strada.

RAMON MANTOVANI. Federale.

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Sì, federale.

RAMON MANTOVANI. Anche la minoranza albanese, relativamente alla Serbia!

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario per gli affari esteri. In questo senso, potremmo trovarci, quindi, nuovamente di fronte a quella situazione: l'Europa procederebbe in ordine sparso su una vicenda con un significato emblematico e dalla carica potenzialmente dirompente. Penso che il modo per ridurre l'effetto distruttivo che può avere una scelta di questo tipo - è un'opinione: mi auguro non si debba arrivare ad affrontare tale discussione - possa trovarsi solo se l'Europa riuscirà ad avere una posizione unitaria. C'è altrimenti il rischio molto alto che dal Kosovo si passi poi alla Macedonia, e dalla Macedonia alla Bosnia, o viceversa, attraverso un altro percorso.
Un'Europa che gestisca unitariamente questo processo - in una direzione o nell'altra - può garantirci di limitare i danni. Aspetterei però a discutere di una situazione nella quale si dovesse prendere atto di un fallimento del negoziato e ci si dovesse trovare dinnanzi alla scelta delle autorità kosovare di dichiarare unilateralmente l'indipendenza (scelta di fronte alla quale ogni paese dovrà poi decidere se riconoscere o meno il futuro Stato kosovaro): rinvierei questa discussione alla fase successiva, pur con la preoccupazione cui prima accennavo, e cioè che l'obiettivo, almeno dal mio punto di vista, è che l'Europa assuma una posizione omogenea, discuteremo poi di quale.
Questo mi porta alla seconda questione che proponeva l'onorevole De Zulueta: è possibile una linea comune europea? Devo dire che la fase della discussione avutasi


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nei mesi che abbiamo alle spalle è stata abbastanza controversa. In quest'ultima fase, da parte dei diversi paesi europei, abbiamo avuto una convergenza progressiva sulla nostra posizione - che io ritengo quella indiscutibilmente più avanzata -, al punto che nell'incontro del presidente Tadic con il commissario Olli Rehn si è potuto discutere sia della possibile riapertura del negoziato, sia della prospettiva europea per la Serbia.
È evidente - mi pare lo dicesse l'onorevole D'Elia - che non siamo di fronte ad un calendario vero e proprio, anche perché la Serbia deve intanto accettare le condizioni poste da Olli Rehn che, dal mio punto di vista, sono assolutamente sostenibili: si chiede che in alcuni posti di responsabilità, addetti ai problemi evocati dal Tribunale dell'Aja, ci siano persone garanti.
Sono questioni su cui mi pare che il presidente Tadic abbia dato ampie rassicurazioni; questo mi fa quindi pensare che, con il governo, si possa riaprire il negoziato. A quel punto, una volta risolto il problema Mladic, onorando quindi gli impegni presi con il Tribunale dell'Aja, si sarebbe risolto il terzo dei punti posti al governo che, tutti, si stanno definendo: al primo punto, c'è il problema del Kosovo e, al secondo punto, la questione dell'Europa e dell'approccio al destino europeo della Serbia. Ho quindi motivo di ritenere che, una volta costituitosi il governo, questo capitolo si possa finalmente risolvere. Potremo arrivare a stabilire un calendario vero e proprio: il 2008 è stato indicato come una data possibile.
In questo senso, mi pare di notare - per rispondere all'onorevole De Zulueta - che sia cresciuta la consapevolezza, nel corso di queste ultime settimane e mesi, della necessità assoluta di una linea comune europea sui punti che abbiamo sollevato nella prima fase. Non dico che allora la nostra posizione fosse isolata - diversi paesi ci hanno sostenuto -, ma conteneva certamente dei punti controversi, nell'ambito del Consiglio affari generali. Mi pare che oggi lo stesso Olli Rehn, che è un po' l'interprete dell'orientamento e del senso comune dei diversi paesi, rappresenti la nostra opinione nel modo più alto, proponendo cioè la ripresa del negoziato e, successivamente, la prospettiva certa di una Serbia nell'Unione europea.
Sarebbe importante - questo è il nostro impegno - che anche nel negoziato i paesi europei portassero la stessa posizione. Ciò che traspare - come giustamente è stato notato - dalle cose che ho detto, letto ed illustrato, è che noi riteniamo si debba lavorare per un compromesso, anche sulla base dell'ordine del giorno approvato dal Parlamento.
La relazione di Ahtisaari è un punto di partenza: noi l'abbiamo sostenuta, ma non la consideriamo intoccabile. Su questo vorremmo che anche altri paesi - a partire da Germania e Francia, per citare due con un loro peso - concordassero con noi sulla necessità di lavorare per trovare un compromesso. Su questo delicatissimo capitolo registro in maniera crescente una posizione unitaria dei paesi europei. Nelle prossime settimane verificheremo se anche a New York, nel Consiglio di sicurezza, queste posizioni possono diventare unitarie ed omogenee sul terreno più delicato del negoziato.
Per quanto riguarda le reazioni dei paesi vicini - lo chiedeva l'onorevole Zacchera -, esse sono di grande, grandissima preoccupazione. Ho visitato tutti questi paesi e non mi pare - lo dico in modo molto franco e non rituale - ci sia una doppiezza nelle loro posizioni: sono tutti preoccupati del fatto che si arrivi ad una soluzione, che si trovi un compromesso, anche se ovviamente alcuni paesi sono più esposti di altri. La Bosnia è sicuramente più esposta di quanto non sia la Croazia, benché i due paesi siano tra loro collegati. La Bosnia è però direttamente coinvolta perché, come è noto, le autorità della Repubblica Srpska hanno già detto più volte che il Kosovo potrebbe rappresentare l'inizio della loro secessione dalla Bosnia. La Macedonia si trova in una situazione simmetrica, perché la componente albanese (che è fuori, tra l'altro, dal governo macedone) potrebbe considerare la non


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realizzazione del Kosovo come paese e Stato indipendente come un motivo per aprire un contenzioso di analoga forza all'interno della Repubblica macedone.
Siamo quindi all'interno di un contesto in cui tutti i paesi - e gli stessi croati -, al di là delle storiche competizioni che possono esserci tra i diversi paesi di quell'area (quella storica tra serbi e croati, ad esempio), sono preoccupati: tutti hanno interesse a che vi sia una stabilità e temono si possa aprire di nuovo una situazione ingovernabile.
In tal senso, tutti questi paesi sono preoccupati, compresa l'Albania, che pure è indirettamente coinvolta, pur avendo sin qui mantenuto una posizione cauta ed avendo sempre fatto dichiarazioni di incoraggiamento verso una soluzione il più possibile non traumatica, anche se, evidentemente, le dichiarazioni del Governo albanese sono di pieno sostegno agli albanesi kosovari.
La percezione che siamo di fronte ad un passaggio molto rischioso è dunque molto alta: essa non si limita, per altro, all'area balcanica, ma si estende. Se si discute con le autorità georgiane emerge infatti chiaramente questo aspetto; c'è poi il capitolo dei conflitti congelati in Abkhazia, Ossezia, Nagorno-Karabakh, che non sono lontanissimi: sono nel Caucaso. Arriviamo poi alla Transnistria, oppure al sud della Crimea. Siamo in una situazione in cui una certa fase storica non si è ancora chiusa realmente: nel Kosovo è in corso una prova che può essere molto delicata. È pertanto importante che si lavori, tutti quanti, con grande senso di responsabilità, alla ricerca di un compromesso e per evitare che parta una fase ingovernabile. Una delle autorevolissime personalità che ho incontrato a Belgrado mi diceva ieri di fare attenzione, perché rischiamo di spegnere un incendio nella casa più piccola, che poi rischia di scoppiare nella casa più grande. Mi sono permesso di rispondere che il problema non è la casa più piccola o più grande, che il problema non è, cioè, la Serbia o il Kosovo: la casa che rischia di andare a fuoco è rappresentata da tutti i Balcani che, in quest'ottica, sono un condominio dove il fuoco si diffonderebbe rapidamente a tutti, indipendentemente dalla casa in cui dovesse scoppiare. Questa è la situazione.
Venendo alla questione posta dall'onorevole D'Elia in ordine alle elezioni in Serbia, la nostra valutazione in merito è sicuramente positiva, pur usando, naturalmente, una certa cautela. Le forze che si stanno preparando a costituire il nuovo governo hanno un'ispirazione democratica e non sono ipotecate dal nazionalismo o dall'estremismo nazionalistico, che pure è molto presente. Non dobbiamo però dimenticare che più di un terzo dei voti sono stati invece raccolti da forze dichiaratamente nazionalistiche. In questo senso, sono quindi state elezioni importanti e positive: in un contesto così difficile come quello di cui stiamo ragionando, le forze democratiche hanno ottenuto abbastanza voti, nonostante tutto, per permettere la costituzione di un governo democratico, che tutti speriamo possa aiutarci a risolvere i problemi che abbiamo dinanzi. Non è però un risultato stabile nel senso pieno del termine, e non a caso la fatica per costituire questo governo è diventata - ed è tuttora - molto grande.
Quali siano i punti di una transizione non traumatica è discorso molto complesso, oggetto esattamente del negoziato che si dovrà sviluppare. Credo non sia opportuno addentrarsi anche nei punti su cui dovrebbe svolgersi una discussione di alta sensibilità politica e istituzionale. Ripeto quello che ho già detto: le due linee guida sono, da una parte, l'impraticabilità di un ripristino dell'autorità, della sovranità serba sul Kosovo, dall'altra, una forma di indipendenza con caratteristiche del tutto originali. Tale questione chiama in causa la rappresentanza in sede ONU, la presenza di un esercito, la presenza degli organismi finanziari internazionali: sono tutti capitoli aperti, sui quali dovremo discutere, se si vorrà trovare un compromesso. Se avremo la possibilità di discutere di questi problemi (compresi i diritti delle minoranze a cui faceva riferimento


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l'onorevole Mantovani), vorrà dire che saremo usciti da una semplice contrapposizione.
La questione delle minoranze, per come si presenta in quest'area, è piuttosto anomala anche rispetto ad altre situazioni (che possiamo immaginare e su cui si può discutere). Basti pensare al nord della Serbia, alla Mitrovica e a quella zona nel suo complesso: è un'area dove vive una minoranza difficile, non interna ad un solo Stato, ma un po' sul confine. È una minoranza sulla quale i serbi investono e con la quale c'è uno scambio di tutto: è come se ci fosse una dipendenza territoriale, cui si accompagna un'altra dipendenza di tipo finanziario, economico e culturale. È un Giano, un bicefalo, quindi una situazione molto particolare quella su cui si basa la discussione delle minoranze in Kosovo. Non posso adesso dire quali siano i diritti in questione: sono quelli classici, che oggi non possiamo affrontare. Questo è esattamente uno dei punti su cui la discussione si dovrà sviluppare: quali sono i diritti che questa minoranza nel Kosovo deve o dovrebbe avere. I kosovari guardano questi diritti in un certo modo, mentre i serbi li vedono in tutt'altro modo.
In Serbia si trova anche la minoranza albanese, che costituisce un altro dei problemi che abbiamo dinnanzi. Come voi sapete - ma qui siamo soltanto a delle ipotesi di scuola - vi è chi sostiene che, a questo punto, la partizione sarebbe la cosa meno dolorosa, laddove si intende che la parte nord - Mitrovica, dove si trova solo la metà dei serbi del Kosovo - passi direttamente alla Serbia. Questo lascerebbe, peraltro, del tutto aperto il problema di altre aree con presenze serbe (l'altra metà dei serbi è distribuita in altre aree). Tale prospettiva, come qualcuno sostiene, aprirebbe un altro capitolo, rappresentato dagli albanesi che vivono nella Valle di Presheva, i quali a quel punto avanzerebbero delle pretese.
La situazione è quindi veramente molto complessa. Ad oggi, da parte degli albanesi della Valle di Presheva, non vi è stata una richiesta per ottenere pari condizioni rispetto a quelle che i serbi riservano alle minoranze del Kosovo. Per questo motivo, si tratta di una situazione della quale si potrà discutere con più precisione solo quando il negoziato si aprirà, essendo tutti i suoi termini sul tavolo.

PRESIDENTE. Non essendoci altre domande - riprenderemo il discorso quando avremo un quadro più chiaro della situazione -, nel ringraziare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri della disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,50.