COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta pomeridiana di mercoledì 7 novembre 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE UMBERTO RANIERI

La seduta comincia alle 10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Famiano Crucianelli, sulla situazione al confine turco-iracheno.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Famiano Crucianelli, sulla situazione al confine turco-iracheno.
Ringrazio per la sua presenza il sottosegretario Crucianelli, cui do la parola.

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Le elezioni politiche del 22 luglio 2007, dopo cinque anni di governo, hanno conferito all'AKP un solido mandato per proseguire la sua azione alla guida del Paese.
Il partito di Erdogan - con il 46,8 per cento dei voti, ossia con un aumento del 12 per cento rispetto al 2002 - ha conseguito l'obiettivo, alla vigilia ritenuto molto difficile, di riottenere la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, nonostante l'ingresso nell'Assemblea di una terza formazione - i nazionalisti dell'NHP - accanto allo stesso AKP e all'opposizione laica del CHP.
La rappresentanza parlamentare uscita dal voto è completata dalla pattuglia di 23 deputati del partito curdo (DTP), eletti come indipendenti.
Altre formazioni minori hanno inoltre ottenuto seggi grazie alla defezione di singoli parlamentari dalle liste in cui erano stati eletti. La maggiore di questi è del partito di centrosinistra DSP, forte di 13 parlamentari.
L'AKP ha conseguito il citato lusinghiero risultato elettorale grazie ad una serie di fattori, i più importanti dei quali sono gli ottimi risultati economici, la mobilitazione del proprio elettorato di riferimento, il desiderio di stabilità politica e la mancanza di una credibile opposizione politica.
Sull'onda del successo elettorale, l'AKP si è ritrovato nella posizione ideale per sbloccare a proprio vantaggio lo stallo sulla elezione del nuovo Presidente della Repubblica, che aveva segnato pesantemente il periodo elettorale. Il Ministro degli esteri Gul, è stato quindi eletto come primo Capo dello Stato non appartenente all'establishment laico kemalista.
La tesi che interpreta il successo di Erdogan e dell'AKP come una vittoria dell'Islam politico contro i laici appare riduttiva e, in qualche misura, fuorviante. Il partito di maggioranza relativa raccoglie, infatti, anche il voto dei laici, nonché delle forze produttive e di larghi strati della popolazione.
Si è trattato di una rivoluzione svoltasi nel pieno rispetto delle regole costituzionali e democratiche e si è così aperta una fase nuova ed inedita della vita politica turca, i cui futuri sviluppi dipenderanno,


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in larga parte, dalla capacità del nuovo Esecutivo di misurarsi con la crisi in corso ai confini dell'Iraq e con i problemi di carattere interno.
Il programma presentato nel settembre scorso dal nuovo Governo è nel senso della continuità, sia in politica estera, dove la priorità rimane l'Unione europea, sia nella politica interna. Sotto quest'ultimo profilo, l'esecutivo Erdogan ha riaffermato la propria determinazione a proseguire la strada delle riforme, nell'interesse della modernizzazione e della democratizzazione del Paese.
Tale processo è formalmente svincolato - ma, al tempo stesso, profondamente connesso - dall'annunciata riforma costituzionale che prevede ulteriori ed incisive modifiche alla Costituzione del 1981. Il progetto di riforma costituzionale è di ampio respiro e, secondo le prime indicazioni, sembra voler incidere sulle fondamenta stesse dello Stato turco, ponendo al centro del sistema le libertà ed i diritti fondamentali dei cittadini.
L'impianto della nuova Costituzione dovrebbe infatti basarsi su principi fondamentali e sui diritti dei cittadini, da un lato, e sulla definizione dei poteri dello Stato, dall'altro. La nuova Costituzione sarà sottoposta al dibattito pubblico, che coinvolgerà le varie organizzazioni della società civile turca. Questo approfondimento richiederà tempo ed il testo della Costituzione verrà varato non prima della fine dell'anno.
La popolazione turca appoggia tale impostazione. Il referendum costituzionale del 21 ottobre sul pacchetto di riforme presentato dal Governo ed approvato dal Parlamento nella precedente legislatura, ha visto il voto favorevole del 69 per cento dell'elettorato, con un'elevatissima affluenza alle urne. Il processo costituzionale avrà un percorso non facile e verosimilmente sarà oggetto di confronto e, talora, di scontro, date le diverse anime della Turchia.
Venendo ora alla crisi alla frontiera con l'Iraq, va sottolineato che la recrudescenza degli attentati di matrice terroristica imputabili al PKK ha fatto registrare nel corso dell'anno almeno un centinaio di vittime tra militari e civili.
L'ultimo attentato che, secondo Ankara, ha visto lo sconfinamento in territorio turco di alcune centinaia di guerriglieri provenienti dai santuari iracheni è stato particolarmente sanguinoso, con numerosi soldati uccisi ed alcuni di essi presi in ostaggio.
Questo ha provocato la dura reazione dei vertici politici e militari del Paese, con estese manifestazioni popolari contro il terrorismo, in Turchia ed in alcune comunità turche all'estero. Tali emozioni costituiscono il principale collante per azioni di carattere militare, essendosi creato un cortocircuito tra violenza politica e reazione popolar-nazionale.
Tutto ciò ha alimentato una visione non sempre razionale dei problemi che, talora, vengono letti dalla classe politica e dalla popolazione turca in chiave di assedio al Paese.
Gli attentati sono avvenuti, per di più, in un periodo in cui in Turchia vi sono posizioni divergenti sulla questione curda. Il Governo, fin dal suo insediamento, si è espresso per una soluzione politica del problema: non è un caso che il neo-eletto Presidente della Repubblica Gul abbia voluto compiere la prima visita nel Paese nel sud-est anatolico.
In aggiunta, a favore di una soluzione politica del problema, sembra giocare l'ingresso in Parlamento di deputati indipendenti dell'etnia curda, legati al Partito DTP.
L'accordo di cooperazione con l'Iraq per il contrasto al terrorismo, firmato ad Ankara il 28 settembre, rappresenta il necessario complemento diplomatico, insieme con la pressante richiesta turca di avere l'appoggio americano contro i curdo-iracheni.
L'accordo con Baghdad, tuttavia, non sembra avere finora portato a cambiamenti significativi sulla questione della sicurezza, mentre i rapporti con Washington hanno registrato un significativo deterioramento.


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La grande Assemblea nazionale turca ha approvato, quasi all'unanimità, la mozione che autorizza il Governo a condurre azioni di contrasto oltre il confine. Tale mozione è stata presentata dalle stesse autorità turche come ulteriore strumento a disposizione del Governo per il contrasto al terrorismo di matrice curda e come monito agli USA ed alle stesse autorità irachene, tenuto conto dell'inefficienza dei vari meccanismi di consultazione e di cooperazione, sinora attivati in via trilaterale con gli USA e in via bilaterale con i soli iracheni.
Le reazioni turche si sono sostanziate in azioni di ritorsione quali bombardamenti aerei ed attacchi di commando, anche al fine di liberare gli otto militari presi in ostaggio, e in un aumento di truppe al confine con l'Iraq.
Nel caso del Kurdistan iracheno, l'impressione è che tali minacce possano rivelarsi non sufficienti.
Il Consiglio di sicurezza nazionale ha suggerito di prendere in esame sanzioni economiche mirate alla sola regione autonoma del Kurdistan, come la chiusura dei valichi di frontiera a vantaggio di quelli siriani, il taglio delle forniture energetiche, eccetera.
In tale contesto, l'Unione europea, le Nazioni Unite ed il Governo americano si sono espressi, anzitutto, a favore di una politica di restrainment ed hanno quindi espresso pieno supporto per gli sforzi di Ankara a perseguire metodi diplomatici - e non solo militari - per contrastare le attività terroristiche riconducibili al PKK e per risolvere politicamente i problemi della regione, a cominciare da quelli connessi con la questione curda.
Ankara è consapevole del fatto che, in questo momento, un'azione militare sarebbe non solo invisa agli europei ed agli americani, ma potenzialmente controproducente.
È interesse della Turchia non lasciarsi attirare in una escalation che potrebbe portare ad una reazione a catena, con conseguenze imprevedibili nell'intera regione. Viene in considerazione, in primo luogo - ma non solo - il difficile processo di stabilizzazione dell'Iraq: l'area curdo-irachena, al momento, è la sola relativamente calma in quel Paese.
L'opzione militare potrebbe, inoltre, vanificare il nuovo approccio alla questione curda, di cui abbiamo elementi nella strategia politica adottata da Erdogan, fra cui la già citata visita di Gul nel sud-est anatolico e l'ingresso di deputati indipendenti curdi in Parlamento. Vi sono però altri fattori come, ad esempio, il successo dell'AKP nel sud-est anatolico, a riprova del fatto che molti curdi vedono nell'attuale Governo un possibile interlocutore.
Ogni nuova politica in termini di diritti umani e culturali a favore dell'etnia curda - politica auspicata a più riprese da parte nostra, anche con l'autorevole intervento del Parlamento italiano, nonché per mezzo della risoluzione approvata quest'anno - rischierebbe, in definitiva, di essere compromessa.
Il conflitto tra Turchia e Kurdistan potrebbe inoltre trasformarsi in un conflitto inter-etnico turco. Le manifestazioni anti-PKK stanno infatti diventando manifestazioni anti-curde. L'appello alla calma lanciato, da ultimo, dalle autorità turche ha alla base la consapevolezza che il fine ultimo del PKK potrebbe proprio essere quello di ricompattare la galassia curda al di qua e al di là del confine di fronte al comune nemico turco.
L'attuale crisi politica potrebbe, d'altra parte, avere effetti sul cammino della Turchia verso l'Europa. L'ingresso nell'Unione europea continua ad essere l'obiettivo prioritario del Governo turco, sebbene certe difficoltà incontrate nel complesso processo di adesione abbiano creato scetticismo nell'opinione pubblica e nella classe dirigente turche.
Ne potrebbe, infine, risentire lo stesso processo riformistico in Turchia, alimentando così i dubbi e le incertezze che in questo momento caratterizzano l'atteggiamento di alcuni Paesi europei verso la Turchia.
L'Italia e l'Unione europea hanno espresso, in termini inequivocabili, la propria


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condanna contro il terrorismo, qualunque siano le sue motivazioni di carattere politico, ideologico e sociale.
Il 26 ottobre, il Presidente del Consiglio Prodi ha espresso al Primo ministro Erdogan la solidarietà ed il rammarico del Governo italiano per la morte dei militari turchi e, in tale occasione, ha reiterato la ferma condanna per le azioni terroristiche del PKK in territorio turco.
Il Presidente Prodi ha quindi espresso apprezzamento per il senso di responsabilità dimostrato dalle autorità turche nella gestione della delicata situazione venutasi a creare ai confini con l'Iraq, resistendo così alla trappola di trascinare il Paese in una pericolosa escalation militare.
Il Presidente del Consiglio, inoltre, ha mostrato piena comprensione per la difficile gestione di questi momenti di gravi difficoltà, esortando il Primo ministro Erdogan a mantenere questo atteggiamento di responsabilità per non destabilizzare ulteriormente la regione. Tale comportamento - ha sottolineato il Presidente Prodi - incontra un sincero apprezzamento in Europa, tra quanti auspicano un costante e progressivo avvicinamento tra Unione europea e Turchia.
Esistono tuttora ampi spazi per la diplomazia. Dopo la missione lampo del ministro degli esteri Babacan a Baghdad, si è avuta la visita ad Ankara di una delegazione irachena guidata dal ministro per la difesa, per colloqui riservati.
Il 1o novembre è stato ad Ankara il Segretario di Stato americano Rice, che poi ha proseguito i suoi colloqui il 2 e il 3 novembre con la riunione del secondo incontro allargato, a livello ministeriale, dei Paesi vicini all'Iraq.
Il 5 novembre il Primo ministro Erdogan è stato a Washington ed oggi, 7 novembre, sarà a Roma, dove avrà colloqui con il Capo dello Stato, con il Presidente del Consiglio, con i Presidenti di Camera e di Senato e con il Ministro degli esteri Massimo D'Alema.
I giorni che verranno rappresentano uno spazio diplomatico da non perdere. Alcuni segnali autorizzano un cauto ottimismo: il PKK ha infatti annunciato una tregua, i cui contorni e le cui finalità, tuttavia, vanno ben definiti; è essenziale che non si tratti di una pura manovra tattica (come avviene ogni anno all'inizio dell'inverno), mentre il Governo iracheno sembra determinato a dare un seguito concreto alle intese del 28 settembre.
Si registrano con estremo favore, quindi, le prese di posizione in tal senso del Presidente Talabani e del Primo ministro Maliki. Il Comitato tripartito dovrebbe riunirsi ad Istanbul in occasione della Conferenza ministeriale sull'Iraq: molto dipenderà, com'è evidente, dalle pressioni che gli Stati Uniti e l'intera comunità internazionale sapranno esercitare sulle autorità centrali e regionali dell'Iraq.
Si fa affidamento, infine, sulle autorità centrali irachene e su quelle regionali curde, affinché collaborino per fermare gli sconfinamenti in territorio turco. Il Governo di Baghdad deve dimostrare il proprio attaccamento alla stabilità regionale ed il miglior modo per combattere il terrorismo è rappresentato dalla cooperazione e dal coordinamento tra gli Stati della regione, in primo luogo tra Turchia ed Iraq. Occorre, in definitiva, che il Governo iracheno dia un seguito concreto e visibile alle intese del 28 settembre.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Crucianelli. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

GIANCARLO GIORGETTI. Mi sembra evidente che, in tutta la vicenda, il ruolo determinante sia giocato dagli Stati Uniti d'America, in particolare in virtù dei rapporti privilegiati e storicamente consolidati che hanno con la Turchia, che si sono oggi instaurati anche in Iraq con riferimento all'autonomia concessa ai curdi nel nord del Paese.
Vorrei porre una domanda ovvero stimolare una riflessione. Qualora questa crisi degenerasse, quanto questo potrebbe incidere anche sui futuri assetti dell'Iraq, ossia sulla talvolta richiamata possibilità che l'Iraq si possa «spacchettare» in tre


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distinte realtà statuali, con il riconoscimento di una entità sunnita, una sciita ed una curda al nord? In che misura questo scenario è fantascienza o fantapolitica e quanto può essere, in qualche modo, preventivato?

PIETRO MARCENARO. Il quadro che il sottosegretario Crucianelli ci ha fornito contiene anche gli orientamenti che il Governo italiano adotta per muoversi in questa difficile e delicata situazione ed è sostanzialmente condivisibile.
Ricordo solo che, all'indomani delle elezioni turche, si era aperta una forte speranza di una evoluzione positiva in Turchia, anche e soprattutto sulla questione curda. Questo era dovuto sia al fatto che l'elezione di 23 parlamentari indipendenti sembrava segnare la scelta di una via istituzionale, di una via politica, da parte delle rappresentanze politiche curde, sia al fatto - non va dimenticato - che, laddove, come ricordava il sottosegretario Crucianelli, il risultato elettorale ha consegnato ad Erdogan il 46 per cento ed oltre di voti nel Paese, nelle regioni curde Erdogan ha superato ovunque il 50 per cento e il suo è risultato essere il primo «partito curdo» della Turchia. Ciò può sembrare paradossale, ma questo è il dato emerso con forza da queste elezioni.
Siccome è ben noto che il punto maggiore di conflitto, per quanto riguarda la questione curda, è rappresentato dal rapporto coi militari ed è ben noto il rapporto che storicamente c'è stato in Turchia fra i militari e quella parte di gruppo dirigente che ebbe nel partito che andava all'opposizione il suo punto di riferimento principale, sembrava che tutte le condizioni si fossero aperte per un dialogo nuovo.
All'indomani delle elezioni turche qualcuno ha parlato addirittura di una nuova maggioranza costituzionale, nella quale Erdogan avrebbe potuto avvalersi anche dei voti dei 23 deputati indipendenti, eletti nelle regioni, sostanzialmente su mandato della Turchia.
Richiamo tutto questo perché si tratta di elementi di fondo, che mi paiono i punti da cui potrebbe ripartire una iniziativa politica.
L'onorevole Giorgetti ha ragione quando sottolinea il ruolo molto importante degli Stati Uniti in questa vicenda, che non solo ha radici storiche molto profonde e consolidate, ma che è ulteriormente accentuato dall'intreccio con la questione irachena, dove il ruolo diretto degli Stati Uniti è così evidente.
Pur condividendo queste cose e benché ci sia questo elemento storico di rapporto con gli Stati Uniti, non sottovaluterei il fatto che l'Europa può giocare un ruolo. Vi è infatti un intreccio tra i problemi in discussione e il rapporto fra Turchia ed Unione europea, che è un problema non risolto, ancora aperto.
Mi sembra di vedere che in questi ultimi mesi ed in queste ultime settimane c'è stato qualche movimento, da parte europea, in una direzione che evidenzia una disponibilità all'apertura ed anche all'accelerazione dei processi. Naturalmente sappiamo che in Europa i diversi Paesi hanno anche orientamenti e posizioni diverse, ma sottolineo che le considerazioni su questo punto molto importante dovrebbero, a mio parere, aiutare a costruire un'iniziativa politica che si può svolgere su diversi piani e che, naturalmente, ha oggi un punto di partenza indispensabile nell'affermazione di una linea di moderazione, dalla quale si deve poi muovere offrendo delle prospettive politiche.
L'Europa non è, ovviamente, l'unico soggetto coinvolto in questa vicenda, ma è uno dei soggetti che possono giocare un ruolo.

ALÌ RASHID KHALIL. Ringrazio il sottosegretario perché, anche grazie alle iniziative politiche del nostro Governo - tra le quali mi auguro venga presa in considerazione anche la risoluzione approvata dalla nostra Commissione rispetto alla questione curda - giochiamo un ruolo crescente in Medio Oriente. Devo però constatare che, sulla questione curda in


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particolare, non mi sembra che la nostra politica abbia segnalato momenti di grande attività, di ascolto e di incisività rispetto a una situazione molto delicata.
Oggi c'è il tentativo di ridurre la questione del popolo curdo facendola rientrare nell'ambito della lotta contro il terrorismo. Mi sembra che siamo invece tutti consapevoli di come la questione curda sia presente da molto tempo e riguardi il diritto, la storia, il diritto all'autodeterminazione di un popolo che solo in Turchia rappresenta certamente una minoranza, ma consistente, pari a quasi il 20 per cento della popolazione del Paese.
Tutti i tentativi di assimilazione e di contrasto militare contro i curdi, sia in Iraq, sia in Turchia, non hanno avuto fino ad oggi esiti positivi e non hanno risolto le questioni. Noi abbiamo segnalato un atteggiamento diverso da parte del Governo di Erdogan, iniziato proprio in una sua visita a Diyarbakir nel maggio del 2006, dove ammise per la prima volta l'esistenza di una questione curda.
A me sembra che si debba fare attenzione anche a quello che è diventato il PKK curdo, ossia al risultato di una serie di scelte negative prese negli ultimi anni, anche in questo caso a causa dell'impermeabilità, da parte del Governo turco, alle giuste rivendicazioni del popolo curdo rispetto alla lingua, alla storia, all'autogoverno, alla cultura.
Si è avuta una escalation, sia da parte del PKK, sia nella reazione esagerata da parte del Governo turco, che tende a dare una risposta soltanto militare a una questione così importante, che coinvolge l'Iran, la Siria e la Turchia - quasi 30 milioni di persone - con tutte le sue conseguenze sulla stabilità e sul processo di pacificazione della situazione irachena, che speriamo avrà esiti positivi.
Chiederei al Governo un ruolo più deciso, nell'ambito dell'Unione europea, rispetto ad una iniziativa politica dell'intera Europa che prenda in considerazione questi fatti; altrimenti le conseguenze saranno drammatiche per tutti questi Paesi.
Quanto agli ultimi atti, chiamiamoli così, di terrorismo, o atti militari, non si può chiedere ad un popolo di stare in silenzio quando i suoi diritti sono calpestati; in quel caso ci sarà una reazione, che spesso sarà anche controproducente, come accade quando si usa la lotta armata (su questo sono d'accordo). Non c'è però spazio per un'azione politica, diplomatica, che il popolo curdo ha in più di un'occasione manifestato la volontà di portare avanti, così come non c'è stato un sostegno internazionale a questa volontà e a questi atti.
Mi auguro che, in occasione della presenza del Governo turco in Italia, il nostro Governo riesca a trovare lo spazio per affermare la giustezza della rivendicazione dei diritti da parte del popolo curdo. Occorre incoraggiare il Governo turco a riprendere la sua iniziativa di pacificazione nazionale attraverso il riconoscimento di questi diritti; ad uscire da questa situazione in cui mi sembra che il Governo turco rappresenti l'ostaggio numero uno di alcune tendenze non razionali.
Non vorrei usare parole che possano essere interpretate come una incomprensione o una mancanza di rispetto del popolo curdo e della sua lotta, ma abbiamo visto negli ultimi giorni che anche la reazione della popolazione turca contro questi atti, contro queste operazioni militari da parte dei curdi nel sud della Turchia, ha assunto un carattere razzista. Sono numerose le violazioni commesse contro il popolo curdo, in diverse città della Turchia, per il semplice fatto che sono dei curdi.
Sarebbe quindi opportuno che il nostro Governo segnalasse questi importanti elementi al Governo turco, incoraggiandolo a riprendere la sua iniziativa nella direzione di una soluzione politica. Mi sembra che oggi esistano le condizioni per farlo, come ha dimostrato il risultato delle ultime elezioni in Turchia, da cui è emerso un forte consenso al partito di Erdogan ed alle formazioni curde che chiedono una soluzione politica al loro problema.

PRESIDENTE. Vorrei dire due parole su questa complessa questione, che torneremo ad esaminare rapidamente, considerato


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che è all'esame della Commissione una risoluzione la cui discussione, d'intesa col suo presentatore oggi assente, è stata rinviata ad altra seduta.
Penso che la questione politica di fondo consista nell'evitare - questo mi sembra il tema strategico - uno sbilanciamento della Turchia in direzioni diverse da quelle che noi abbiamo auspicato, vale a dire dal forte ancoraggio con l'Unione europea e da un rapporto costruttivo con gli stessi Stati Uniti.
Il vero problema di fondo, strategico, che è dinnanzi a noi, riguarda le conseguenze di un eventuale spostamento più ad Oriente - per usare una formula imprecisa - dell'asse della politica turca, che sarebbe rischioso. Questo è il vero problema che abbiamo dinanzi.
Un problema di questo tipo affonda le sue radici nel cambiamento del quadro di sicurezza regionale che si è sviluppato dopo la fine della guerra fredda, quando per la Turchia, nel mondo bipolare della grande contrapposizione, del grande confronto e conflitto, il problema era l'Unione sovietica, il suo storico antagonista.
In quel contesto, ossia nel quadro dell'Alleanza atlantica, del mondo diviso in due blocchi, la Turchia assolveva ad un certo compito, ma quel tessuto regionale di rapporti che aveva garantito anche la sua sicurezza si è indebolito ed è comunque stato messo in discussione dai cambiamenti intervenuti sulla scena globale.
La Turchia ha più volte cercato di rilanciare la propria partnership strategica con l'Unione europea e con gli Stati Uniti, ma con risultati che probabilmente sono stati considerati insoddisfacenti.
Parliamoci chiaro: la crisi nelle relazioni con gli Stati Uniti è una questione enorme. La Turchia è stato l'alleato storicamente più sicuro degli Stati Uniti e il contrasto è avvenuto su una questione di non poco conto, come l'intervento americano in Iraq.
Ci sono poi le difficoltà con l'Unione europea. Oggi solo il 26 per cento dell'opinione pubblica turca, da quanto si deduce da un ultimo sondaggio, guarda favorevolmente all'ingresso della Turchia nell'Unione. Si rovescia cioè la questione: ad un certo punto saranno i turchi a dire di non voler entrare. Le questioni, da questo punto di vista, sono molto delicate.
Non c'è dubbio, inoltre, che la Turchia ha recentemente instaurato relazioni più favorevoli con lo stesso Iran e con la Siria, tutti in funzione della preoccupazione suscitata dall'irredentismo e dal separatismo curdi.
Con questo voglio dire che bisogna recuperare un rapporto strategico con la Turchia ed evitare un suo sbilanciamento in un'altra direzione. Da questo punto di vista è fondamentale l'ancoraggio all'Europa. So che questa è materia di discussione e di valutazioni diverse anche tra di noi, nella politica italiana ed europea, ma il problema del rapporto con l'Unione europea resta cruciale e fondamentale. Se venisse meno un ancoraggio, che non può nemmeno essere fornito dagli Stati Uniti soltanto, sarà inevitabile uno spostamento di asse della politica turca.
Lo abbiamo visto, del resto: l'incontro a Washington di Erdogan pare abbia portato ad un superamento di incomprensioni, però il vero problema è il rapporto con l'Unione europea, da cui dipende la risoluzione della questione curda. Infatti, l'ancoraggio all'Europa e lo sviluppo positivo delle relazioni con l'Europa comportano una disponibilità delle classi dirigenti turche ad affrontare la questione curda in termini diversi rispetto alla soluzione di forza.
Questo è il punto: una Turchia che consolida le sue relazioni con l'Unione europea è un Paese che affronta diversamente la questione curda. Questo è un dato, perché se non facesse questo, non riuscirebbe a proseguire nel rapporto con l'Unione europea.
Ho fatto queste considerazioni per collocare in un contesto più generale la questione delle relazioni dell'Unione europea e dell'Italia con la Turchia.
La stessa vicenda curda, a cui noi teniamo e che non intendiamo sottovalutare - pur contrastando esplicitamente la scelta del ricorso alla violenza spietata e al terrorismo da parte del PKK - può essere


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affrontata diversamente se resta il rapporto con l'Unione europea; altrimenti perdiamo ogni possibilità di influenzare tutta la vicenda. Se la Turchia prende un'altra direzione, allora anche i margini per affrontare la questione curda si riducono e le conseguenze, a quel punto, possono essere rovinose.

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Ringrazio innanzitutto gli intervenuti per gli interventi che hanno svolto ed aggiungo solo poche parole, perché in fondo la discussione è stata molto articolata. Siamo di fronte a interrogativi inquietanti, che obiettivamente non possono però trovare una risposta risolutiva.
Sono convinto che, come è stato sottolineato, sulla frontiera turco-irachena si giochi una partita che potrebbe avere conseguenze impensabili. Si possono prospettare vari scenari, ma non c'è dubbio che, se si dovesse avere un intervento militare turco e se questo dovesse - come non è improbabile - accelerare un'ulteriore crisi dell'Iraq ed una sua precipitazione, che a sua volta si dovesse poi coniugare con la vicenda iraniana, noi entreremmo in un meccanismo dagli scenari assolutamente difficili da immaginare.
Questo si ricollega a quanto diceva poco fa il presidente Ranieri, perché non c'è dubbio che una iniziativa militare turca che dovesse agevolare la precipitazione della vicenda irachena e dovesse via via creare un nuovo fronte che andasse dalla Siria all'Iran, alla Turchia e quindi dislocasse la Turchia su un'altra frontiera, aprirebbe un altro scenario a livello di geopolitica planetaria, con conseguenze oggi difficili da ipotizzare.
Sono quindi assolutamente d'accordo quando si dice che il problema non è soltanto la dissoluzione di questa fragilissima entità irachena: avremmo l'inizio di una reazione a catena dalle conseguenze oggi non definibili, ma sicuramente estremamente preoccupanti. Per questo gli sforzi devono essere diretti ad impedire che ciò accada.
Voglio dire che l'Unione europea non è passiva in questo, non solo per le raccomandazioni che continua a fare - e che ancora oggi verranno fatte - al Presidente Erdogan, ma perché l'Unione europea (in questo senso sono d'accordo con quanto rilevava l'onorevole Marcenaro) ha aperto qualche spiraglio in più, rispetto a qualche mese fa, nei confronti della Turchia.
Voglio dire che la stessa Francia e lo stesso Presidente Sarkozy - anche se nell'ambito di una discussione faticosissima e dalle compensazioni ancora tutte quante da definire - non hanno però bloccato il processo di avvicinamento della Turchia all'Europa. Il problema vero è che noi, già da qualche mese, abbiamo ormai iniziato ad avere una reazione dell'opinione pubblica turca di forte distacco - non dico ostilità - rispetto all'Europa.
Devo dire che la classe dirigente al Governo continua a mantenere con fermezza questo obiettivo, ma che questo non corrisponde, in questo momento, al sentimento diffuso. Sono però assolutamente d'accordo - benché abbiamo opinioni diverse su questo, come diceva il presidente Ranieri - sul fatto che, se si venisse a rompere anche questo cordone ombelicale che può tenere insieme la Turchia e l'Europa, vedremmo probabilmente un processo molto più accelerato, anche con caratteristiche involutive, che sarebbero anch'esse molto preoccupanti.
D'altra parte si stanno delineando scenari che vanno in un'altra direzione: sentivo oggi che in Turchia si è aperta seriamente, questa volta, la discussione sulla possibilità di modificare l'articolo 301 del codice penale, il che aprirebbe un processo di riforme molto serio sulle questioni dello scontro, che si è sempre avuto, riguardante anche il genocidio armeno e via dicendo. Si tratta di quell'articolo che, in qualche misura, ha chiuso una serie di ipotesi di sviluppo di vere riforme democratiche.
Siamo in qualche misura ad un bivio, quindi, e se si dovesse arrivare ad una invasione o ad un intervento militare massiccio


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della Turchia nel Kurdistan iracheno, la situazione prenderebbe una piega molto, molto preoccupante.
Voglio dire all'onorevole Rashid che, purtroppo, come spesso accade, in questo contesto l'iniziativa del PKK sembra costruita anche per ostruire quel processo di riforme e quel dialogo che in Turchia si erano avviati. Non c'è dubbio, infatti, che il Governo Erdogan - che, con tutti i suoi limiti e tutte le sue contraddizioni, certo non casualmente ha avuto un consenso così grande nelle zone curde - ha aperto un canale per poter affrontare i nodi strategici della minoranza curda che sono aperti in Turchia.
Su questo terreno devo dire che noi, in questa Commissione, abbiamo fatto un atto politico significativo, cui è poi corrisposta una iniziativa anche nelle sedi europee.
Ho sempre detto con chiarezza, in ogni discussione sulle prospettive della Turchia, che la questione dei diritti della minoranza curda non sono meno importanti dei porti e degli aeroporti ciprioti. In effetti, su questo punto c'è un problema europeo, come emerse quando vi fu una famosa discussione, poiché l'Europa ha una resistenza ad affrontare il problema proprio in termini di minoranza curda, se non in termini di diritti dei cittadini turchi.
In Europa questo problema è aperto ma, per quanto ci riguarda, abbiamo cercato di sviluppare, compatibilmente con i contesti politici nei quali siamo stati, una iniziativa che intendesse sottolineare l'importanza dei diritti della minoranza curda e la necessità di affrontare e risolvere questo problema. Si tratta di uno degli aspetti - che abbiamo ritenuto e riteniamo importanti - della prospettiva che questo Governo ha aperto in Turchia. Questo è indiscutibile.
Penso che la prossima settimana avremo una ulteriore discussione su questo punto molto delicato; allora vi saranno stati anche i vari colloqui del Presidente Erdogan qui a Roma e avremo anche ulteriori elementi su cui poter ragionare.
Voglio ancora dire - e lo dico soltanto come battuta - che la questione del Kosovo, che dovremo affrontare nelle prossime settimane, ha una vaga assonanza anche con le cose di cui stiamo discutendo adesso, perché la questione dell'indipendenza del Kosovo apre scenari che non sono purtroppo limitati soltanto ai Balcani occidentali.
Penso che di ciò abbiamo tutti consapevolezza, così come del fatto che la situazione è tutt'altro che eccellente, ma credo che anche su questo torneremo a discutere a breve.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario per la sua partecipazione. Torneremo presto a discutere di questi argomenti.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,45.