COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sull'Africa

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta antimeridiana di mercoledì 21 novembre 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI

La seduta comincia alle 9.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, di cui dispongo l'attivazione.
(Così rimane stabilito).

Audizione del viceministro degli affari esteri, Patrizia Sentinelli, sulle linee direttrici della politica italiana per l'Africa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, in sede di Comitato permanente sull'Africa, l'audizione ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, del viceministro degli affari esteri, Patrizia Sentinelli, sulle linee direttrici della politica italiana in Africa.
Naturalmente ci interessa sapere anche come le politiche di cooperazione del Governo italiano si collochino in un ambito più generale e, segnatamente, in quello europeo.

PATRIZIA SENTINELLI, Viceministro degli affari esteri. Grazie, presidente. Lascio sotto i miei occhi gli appunti tratteggiati per questa audizione, perché mi sembra utile fornirvi, anche se in maniera preliminare, un'informativa sulla riunione del Consiglio europeo dei ministri dello sviluppo svoltasi ieri e l'altro ieri a Bruxelles.
Gran parte dei lavori del Consiglio è stata incentrata attorno ai temi dell'Africa e mi pare dunque utile darvi un quadro della situazione, benché in maniera schematica. Qualora, poi, la Commissione - o lo stesso Comitato - voglia approfondire questi temi sono disponibile a tornare.
Nella riunione del Consiglio europeo per gli affari generali e le relazioni esterne (CAGRE) il Commissario Louis Michel ha posto all'attenzione di tutti i Ministri dello sviluppo un aspetto molto importante. Si è parlato, infatti, di un nuovo tipo di approccio, maggiormente dinamico, che dovrebbe assumere l'Europa - ed aggiungo, all'interno dell'Europa e in sintonia con gli altri membri dell'Unione europea, anche l'Italia - nell'interpretare i rapporti con l'Africa.
Come ho già segnalato nella precedente audizione, un aspetto particolarmente importante di questo nuovo orientamento è rappresentato dall'invito, rivolto a tutti gli Stati membri, ad assumere un approccio maggiormente politico verso il continente africano.
Questo, presidente, non certo perché l'aiuto pubblico allo sviluppo e gli interventi di cooperazione abbiano fatto il loro tempo. Anzi, dalla lettura dei dati sulla povertà, sull'estensione e sull'espansione delle pandemie o sulle altre difficoltà che ancora affliggono l'Africa - e forse, in alcuni casi, si accrescono, come per quanto riguarda i bassi livelli dei sistemi sanitari o educativi nazionali - siamo invitati a dire che dobbiamo continuare in questa direzione. Da questo punto di vista, quindi, non c'è alcuna sottovalutazione del tema.


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Per la cooperazione 2008-2010 anche l'Italia ha individuato l'area geografica dell'Africa subsahariana come la più rilevante per questi interventi.
Tuttavia l'invito ad assumere un approccio politico è stato formulato perché l'Africa è oggi un continente diverso da com'era in passato. Potremo forse tornare a ragionare, peraltro, per tentare di individuare quale sia stato l'elemento che, negli anni, ha portato all'impoverimento di gran parte di quel continente, ricco di per sé di risorse naturali, per limitarci a questo solo riferimento.
Come dicevo, dobbiamo sforzarci di comprendere che attualmente l'Africa deve essere considerata non solo unitariamente - posto che ci sono delle differenze fra l'Africa mediterranea e quella subsahariana - ma anche in modo dinamico se abbiamo riguardo alle relazioni sviluppate da tanti Paesi emergenti che, fino a qualche tempo fa, erano presenti solo marginalmente nel continente, mi riferisco in particolare all'India e alla Cina, nonché ad un gioco di interessi geopolitici presente con gli Stati Uniti.
L'Europa deve dunque assumere un atteggiamento molto più interessato e interessante verso questo continente, anche sotto questo profilo.
Ho voluto iniziare da questo tema per sottolineare che oggi tutti i partner politici dell'Africa, a partire dall'Europa, leggono i fenomeni di quel continente - o stanno provando a leggerli - in un modo diverso rispetto al passato. Credo che questo sia un aspetto molto importante derivante dalle seguenti considerazioni.
In primo luogo, si continua a chiamare il continente africano in questo modo nonostante sarebbe bene considerare che dentro all'unitarietà africana esistono delle differenze. Mi riferisco all'Africa mediterranea, ma penso anche ai 48 Paesi della stessa Africa subsahariana. Se per un verso questi Paesi costituiscono un corpo unitario, espresso anche dall'Unione africana nella sua rappresentanza, per un altro presentano differenze che si richiamano alle responsabilità nazionali dei diversi Governi.
È difficile parlare, ad esempio, di una realtà come quella dell'Angola - dove sono stata l'altro ieri - se si pensa a tale realtà come ad una questione di poco conto: stiamo infatti parlando di un Paese quattro volte più grande dell'Italia, solo a livello dimensionale, per non parlare della sua strategia e della sua collocazione geopolitica.
L'Africa va quindi considerata nella sua unitarietà, ma vanno valutate anche le diversità esistenti tra i suoi Paesi, sia i 48 dell'Africa subsahariana, sia quelli dell'Africa mediterranea.
Altro tema che evidenzia l'importanza di questo continente riguarda i processi che si stanno sviluppando dal punto di vista istituzionale e democratico. I Parlamenti - che interessano in modo particolare questo Comitato - sono sempre più dinamici ed ormai, in tanti luoghi, abbiamo una moltiplicazione di elezioni, che ci invitano, in qualità di esponenti del Governo, a prendere come punto di riferimento non solo i rappresentanti dei Governi, ma anche i rappresentanti eletti nelle diverse istituzioni nazionali e locali. Nel sottolineare, il dinamismo e la vivacità delle istituzioni locali non mi sfugge affatto il problema del necessario rafforzamento di queste istituzioni, dal punto di vista della capacity building e della governance. Al riguardo entra in gioco anche il concetto di cooperazione, che assume un'estensione più ampia: non si tratta di un mero aiuto pubblico allo sviluppo, ma di una relazione paritaria per la costruzione ed il rafforzamento, attraverso la partnership, delle loro istituzioni nazionali e locali, che pure già esistono.
Il secondo tema importante da leggere alla luce di questo nuovo dinamismo è la capacità, attraverso il rafforzamento dell'Unione africana, di avere una rappresentanza unitaria, sulla quale, fino a qualche tempo fa - questa è la mia impressione - pochi di noi scommettevano. Non sto dicendo che vada tutto bene: ci sono delle fragilità e delle difficoltà - anche nei rapporti tra i diversi Paesi - nel riconoscere


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questa rappresentanza unitaria, ma a me pare che questo sia un altro punto da considerare con attenzione.
Penso poi anche al percorso di costituzione e rafforzamento delle istituzioni interregionali, a partire dalla New Partnership for Africa's Development (NEPAD). Anche questo è un tema centrale se, pur nella pluralità dei Paesi, vogliamo assumere l'Africa come un continente unitariamente inteso, ma che allo stesso tempo chiama ad una partnership.
Il terzo punto importante è rappresentato dalla proposizione e dalla nuova collocazione di quella che potrebbe chiamarsi società civile, nel senso più ampio del termine, intendendo le associazioni dei sindacati, degli imprenditori, delle donne e del volontariato, i quali chiedono il rispetto e il riconoscimento dei loro percorsi.
In questo anno e mezzo di lavoro, in cui mi è capitato di svolgere missioni nel continente africano, sia dal lato più generalmente politico, sia dal lato della cooperazione - per le cose dette finora i due temi sono strettamente intrecciati - abbiamo sempre richiesto e ottenuto un confronto vivacissimo con le istituzioni, le figure e le organizzazioni della società civile, anche attraverso le nostre organizzazioni non governative che fungono da interfaccia, da elemento di mediazione con le realtà presenti sul territorio.
Ci sono alcuni esempi molto felici di interventi di cooperazione bilaterale realizzati attraverso un nostro contributo, ma molto spesso ci troviamo di fronte ad organizzazioni locali finanziate dall'Unione europea che riescono a divenire, con la loro presenza sul territorio, un elemento di vivacità.
Un altro tema che deve collocarsi nel quadro del nuovo rapporto con l'Africa riguarda quello che possiamo chiamare «problema energetico» o «conseguenze dei mutamenti climatici» e vale la pena di indicarlo come uno degli elementi, se non il principale, della relazione politica ed economica con questo continente.
Anche se immagino che già lo sappiate, considerato che non è un'informazione nuova, voglio ricordare che il prossimo vertice tra Unione africana e Unione europea, che si svolgerà a Lisbona, sarà incentrato proprio sul tema dei mutamenti climatici; la prossima conferenza delle parti, che si svolgerà a Bali a metà dicembre, è una ulteriore dimostrazione di come questo tema stia diventando centrale per tutte le relazioni economiche, anche se per il nostro discorso ci interessa l'Africa.
Ho voluto sottoporre anche questo aspetto, in modo schematico, alla vostra attenzione, poiché ieri e l'altro ieri si è svolta al proposito una grande discussione in seno al CAGRE a Bruxelles.
Gli interventi relativi ai mutamenti climatici e i rapporti esistenti tra i diversi Paesi membri dell'Europa e l'Africa non possono essere fondati contemporaneamente, da un lato, sull'aiuto pubblico per uscire dalla povertà e dalla marginalizzazione, e dall'altro, su un atteggiamento - ancora di tipo vessatorio e neocoloniale - di sfruttamento delle risorse, comprese quelle energetiche (mi riferisco, in particolare, al petrolio, che è la risorsa principale).
Rispetto a questo, si richiede un mutamento di attenzione nei confronti dello scambio di nuove tecnologie, di uno scambio - anche in termini di investimento, non solo di aiuto pubblico allo sviluppo - che passi attraverso nuove linee di cooperazione fondate sull'espansione delle energie rinnovabili, a partire dall'energia solare. Si tratta di un tema di notevole rilevanza che credo richieda anch'esso un'attenzione molto particolare.
In questo quadro di riconoscimento di una capacità autonoma dell'Africa - benché interrelata e integrata con il mondo intero - si colloca anche la necessità di sostenere, lo ripeto, non solo attraverso l'aiuto pubblico allo sviluppo, ma anche attraverso interventi più meditati, la capacità dei diversi Paesi dell'Africa di produrre e trasformare le materie prime e, poi, di commercializzarle e, quindi, di fare investimenti.
Vi fornirò, poi, un quadro sintetico dei dati elaborati dalla Società italiana di assicurazione per il commercio estero


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(SACE) in Africa che penso possano esservi utili al riguardo, ma ora mi interessa segnalare l'importanza di sostenere questa produzione autonoma locale, a partire dall'agricoltura. Ritorna così il tema centrale, discusso ieri: gli accordi di partenariato economico - gli Economic Partnership Agreements (EPA) - tra Europa ed Africa.
Per quanto riguarda, propriamente, la piattaforma agricoltura in Africa - se crede, presidente, posso girarvi la documentazione che ci è stata fornita - mi pare che siamo pervenuti a delle conclusioni molto utili e molto fruttuose: si è parlato di rispetto della produzione locale, di sostegno ai piccoli e medi produttori locali, di partecipazione alle decisioni da parte delle associazioni della rete dei produttori della filiera, insomma, della necessità di un'attenzione allo sviluppo di queste economie locali, che non sono solo marginalità.
Il termine «economia di sussistenza» utilizzato nel settore dell'agricoltura non significa dire «marginalità»; tuttavia, dobbiamo tenere presente che il 70 per cento della popolazione rurale in Africa vive con quei prodotti, della quale produzione si occupano soprattutto le donne (dall'ultima visita svolta in Mozambico, ad esempio, ricordo che questo vale per quanto riguarda l'allevamento del pollo, ma anche per tanti altri prodotti della terra). Infine, strettamente legato al tema dell'agricoltura è quello della commercializzazione.
In sintesi la questione EPA può essere riassunta in questo modo: si è arrivati, da parte dei Paesi membri, ad una consapevolezza quasi unitaria nel richiedere alla Commissione una valutazione molto attenta degli impatti che si avranno sulle economie locali.
A corredo del mio intervento, ho portato gli ordini del giorno e le mozioni che il Parlamento - Camera, Senato ed anche questa Commissione, lo ricordo in maniera precisa - ha votato, chiedendo al Governo l'impegno a mantenere alta l'attenzione nel valutare gli effetti di questa liberalizzazione, rispetto alla capacità di avere maggiore benessere e maggiore capacità di intrapresa.
Mi sembra che da questo punto di vista, come dicevo prima, ci sia una consapevolezza omogenea, il che vale a dire che gli accordi EPA la cui entrata in vigore è prevista per la fine di quest'anno, o al più tardi per gli inizi del 2008, non possono peggiorare la situazione esistente: occorrerà andare a verificare, Paese per Paese, qual è la situazione di quelli che firmeranno - penso ai Paesi dell'Africa, dei Carabi e del Pacifico (ACP), naturalmente - e degli altri che non firmeranno, perché la realtà è molto diversificata.
Questa consapevolezza della necessità di valutare strada facendo che cosa può avvenire con gli accordi, qualora dovessero essere firmati, ha fatto decidere di tenere una sessione straordinaria del Consiglio europeo dei ministri dello sviluppo a dicembre, ossia prima della scadenza dei termini dei negoziati, cosa che non era prevista nelle conclusioni definite in sede di lavori preparatori.
A mio parere, questo è un punto importante: è stata l'Italia a chiedere - e noi ci siamo adoperati molto in questo senso - di inserire, negli accordi che verranno siglati, la previsione secondo cui l'impatto di questi stessi accordi sulle economie locali sarà oggetto di monitoraggio continuo, con la partecipazione dei Parlamenti e della società civile.
Questo tema era stato portato dall'Italia già nella sessione di maggio, ma non era stato accolto. Questa era la nostra posizione e io dovetti fare mettere a verbale una dichiarazione dell'Italia, perché non vi era interesse a volerla cogliere. Adesso, invece, fa parte delle conclusioni del CAGRE, il che, a mio parere, è un risultato di grande rilevanza per quanto concerne il futuro.
Un altro aspetto importante di questo strumento è la sua flessibilità, vale a dire l'allargamento, già dall'inizio, del novero dei prodotti sensibili per i Paesi ACP e la previsione di un periodo di transizione che sia - stavo per usare l'espressione «la più lunga possibile», ma dico invece - la più


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utile possibile: può essere corta o lunga, a seconda delle esigenze che emergeranno, ma nessuno vuole mettere il cappio al collo dei Paesi ACP. Anche nel momento in cui si dovesse firmare, quindi, non si darebbe il via ad una liberalizzazione piena, completa e immediata da parte di tutti.
Altri Paesi, come Francia e Spagna, erano molto più interessati alla protezione di alcuni prodotti come le banane, che non allo sviluppo di questi Paesi, ma, insomma, il tema generale è stato l'altro: provare a seguire l'evoluzione degli accordi EPA individuando anche delle misure alternative qualora i Paesi ACP non firmassero; su questo c'è comunque attenzione, anche se con accenti diversi, da parte dei Paesi nordici, da parte nostra e della Germania.
Sappiamo anche che alcuni Paesi dell'Africa come il Camerun, il Ghana e la Nigeria non firmeranno. Si tratta di Paesi diversi tra loro perché, ad esempio, se parliamo della Nigeria pensiamo agli introiti del petrolio, mentre se parliamo del Camerun, pensiamo ad una situazione del tutto diversa e dobbiamo quindi tener conto anche di quali diversi pesi sono coinvolti in questo processo.
Quando si parla di un nuovo approccio all'Africa - e termino così quest'argomento - si pensa ad un approccio politico fatto di relazioni economiche e di cooperazione, basate su un rapporto di ownership e di partnership.
Altro punto importante che va detto riguarda il fatto che, nel corso delle audizioni, anche presso la vostra Commissione, e dei recenti incontri pubblici, ho definito - naturalmente a nome del Governo - il nuovo approccio della cooperazione come quell'approccio necessario a superare i termini «Paesi donatori» e «Paesi beneficiari», anche rivolgendoci all'Africa. Devo dire che ieri questo aspetto è stato segnalato di nuovo, da parte di tutti. Anche la Commissione europea, infatti, ha detto che bisogna andare verso un altro tipo di rapporto. Queste sono parole, naturalmente, cui deve seguire l'assunzione di impegni, di cui bisognerà poi verificare continuamente la concretizzazione e l'implementazione.
L'Africa è dunque un mosaico, un continente molto dinamico, con grandi problemi ancora aperti. Non parlo qui oggi dei problemi legati alla povertà o alla mancanza di acqua, che considero come uno sfondo conosciuto sul quale non occorre ritornare, mentre mi interessa ridefinire alcuni punti che possono costituire un contributo per un'analisi, anche da parte di questo Comitato, o per intraprendere iniziative nei confronti dei Parlamenti africani e del Parlamento panafricano, in merito ai conflitti ancora presenti in Africa.
L'Italia sta seguendo questi conflitti con attenzione; in particolare, ci stiamo dedicando, con responsabilità e impegni diversi, al Corno d'Africa, al Darfur, ma anche al Sudan nel suo complesso.
Per quanto riguarda la Somalia - in merito vi sono già state altre audizioni - abbiamo lavorato sin dall'inizio, e stiamo continuando a farlo, con una grande determinazione per affermare due princìpi che ci sembrano importanti: da un lato, arrivare alla riconciliazione senza l'uso dello strumento bellico facendo prevalere il negoziato; dall'altro, poiché sappiamo, però, di avere già di fronte un conflitto armato, fare emergere la capacità di contribuire alla sicurezza dell'area.
Sul primo punto, è nostro interesse che vi sia la riconciliazione ed il rafforzamento delle autorità transitorie che, comunque, rappresentano un Governo (rafforzarle non vuol dire invitarle a chiudersi nella situazione esistente, ma ad aprirsi ad un processo inclusivo, per arrivare alle elezioni al 2009). Mentre lo diciamo, sappiamo che sarà difficile, però questa è la road map che è stata pensata: apertura del processo ed elezioni. Il rafforzamento dell'autorità transitoria non significa rassegnarsi a pensare che il processo sia solo questo, «lisciare il pelo» a chi ora è presente - e quindi a Yusuf - dicendo che sta già facendo tutto il possibile: al contrario recentemente abbiamo invece mandato un telegramma - e siamo stati l'unico


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Paese europeo a farlo direttamente - a Yusuf, per incoraggiarlo a proseguire lungo la strada, da lui intrapresa, della riconciliazione e dell'apertura.
Segnalo il tema dell'apertura perché ci troviamo in una situazione in cui l'indicazione del nuovo premier, a meno che non venga fatta in queste ore, si avrà tra breve. Ci sono state le dimissioni del premier Gedi, richieste da Yusuf, ed è andata come doveva andare: noi avevamo sostenuto la necessità di un cambio.
Una modifica della Costituzione, avvenuta in Parlamento, ha introdotto una novità riguardo alle modalità per individuare i candidati premier, i quali non devono più essere solo membri del Parlamento: fintanto che questo era l'unica sede da cui attingere i candidati, si disponeva di un circolo ristretto, mentre, se parliamo di apertura, era necessario eliminare tale vincolo.
In base alle informazioni dell'incaricato speciale, sono tre i nomi dei possibili candidati; sembrano nomi affidabili, restiamo in attesa e non appena saremo in grado di farlo ve ne daremo immediata comunicazione.
L'apertura del processo può quindi essere rappresentata anche da questo nuovo passaggio, ma è necessario andare avanti, perché queste Istituzioni hanno bisogno di sostegno (ne abbiamo già avuto richiesta): non c'è uno Stato; c'è invece l'incapacità di gestire la situazione per come si è venuta a creare e accanto a questo ci sono anche il tema gravissimo della sicurezza, assolutamente aleatoria, e il tema della crisi umanitaria definita ancora più grave di quella del Darfur da parte di chiunque segua le vicende del Corno d'Africa e della Somalia.
Si tratta di una situazione umanitaria pesantissima, che provoca in continuazione morti anche tra i civili e la popolazione - giovane e anziana - non coinvolta direttamente nel conflitto, nonché la loro stessa fuga nel tentativo di trovare altrove qualche rifugio o qualche speranza di vita. C'è quindi una situazione umanitaria di grande criticità, caratterizzata da mancanza d'acqua, mancanza di cibo e problemi di sicurezza.
Noi stiamo lavorando, anche a livello del Consiglio di sicurezza, perché la presenza della Missione dell'Unione africana in Somalia (AMISOM) possa rafforzarsi ulteriormente, con un interessamento maggiore da parte dell'ONU e una migliore definizione della stessa forza ONU. Sul piano della sicurezza sono previste - o meglio erano previste, per essere più precisa - 8.000 unità di AMISOM, ma ancora non c'è la possibilità di svolgere una missione sotto l'egida ONU, cosa che sarebbe molto importante, considerato che a Mogadiscio sono ancora presenti forze militari etiopiche.
Qualora non si arrivasse ad un ruolo più esteso e più forte di AMISOM, è difficile dire all'Etiopia - come abbiamo fatto noi, criticando il suo intervento - di andare via, considerato che oggi il problema è irrisolvibile. Dobbiamo pertanto lavorare perché si arrivi ad un progressivo rafforzamento di AMISOM, anche con l'intervento dell'ONU, indirizzando il nostro aiuto, nel frattempo, alla risoluzione della crisi umanitaria.
Anche per quanto riguarda il Darfur la situazione è molto delicata. Da parte nostra è stato sempre dato un contributo umanitario - anche attraverso i decreti delle missioni - al Darfur e alle organizzazioni non governative, ma abbiamo affermato al tempo stesso che, dal punto di vista politico, il problema del Darfur non poteva essere disgiunto da quello del sud Sudan, ossia che il tema dell'implementazione dell'accordo per il sud Sudan era un punto nevralgico per la soluzione del problema nel suo complesso e, in modo particolare, del problema del Darfur.
Riguardo al Darfur, più specificatamente, abbiamo espresso una valutazione - sia pur controversa per alcuni aspetti - in un utile passaggio della conferenza che si è tenuta recentemente a Sirte, con l'intento di trovare una possibile intesa tra i diversi gruppi di ribelli e il Governo di Al-Bashir. Ho parlato di valutazione controversa, perché non tutti i ribelli erano


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presenti: qualcuno sostiene anzi che fossero molto pochi. A noi è parso di dover però valutare positivamente questo passaggio, che abbiamo visto come l'apertura di una nuova fase, anzitutto perché le responsabilità del conflitto - benché siano diverse e vadano diversamente pesate - sono da suddividere tra il Governo di Al-Bashir e i gruppi dei ribelli.
Questo non è un passaggio poco impegnativo, perché noi continuiamo a sostenere che il Governo di Al-Bashir debba fare la sua parte e ci sembra che la tregua - noi lo abbiamo esortato a mantenerla, anche quando è venuto a Roma - stia tenendo. Occorre però lavorare anche sull'altro fronte, quello cioè della riunificazione su una piattaforma comune anche delle richieste dei ribelli. Anche su questo ci sembra che ci sia stato un passo avanti.
Stiamo inoltre lavorando perché si possa procedere, con i principali partner del gruppo internazionale di contatto sul Sudan, verso l'iniziativa di una conferenza internazionale, a Roma, per il rilancio del processo di pace nord-sud. Non sono in grado di dirvi se questa nostra iniziativa sarà positivamente e favorevolmente portata a conclusione, ma posso dirvi che c'è un'attenzione generale a che si possa tenere a Roma.
Al momento si stanno delineando timidi segnali di ripresa del dialogo tra i due poli del Governo di unità nazionale di Khartoum e, in questo lasso di tempo, ci proponiamo proprio di sensibilizzare sulla nostra proposta sia il National Congress, sia il Sudan People's Liberation Movement/Army (SPLM/A). Verificheremo nei prossimi giorni se sarà possibile tenere questa conferenza all'inizio del prossimo anno.
Per concludere, per quanto riguarda il tema della pace e della sicurezza, su cui siamo impegnati in prima fila, privilegiando - lo ripeto - il tema del dialogo e del negoziato, abbiamo dato anche un contributo di 40 milioni di euro per l'Africa Peace Facility: un contributo che deve servire, affinché l'Italia, pur nell'ambito dell'Unione europea, possa essere percepita e vista come un partner di sostegno, anche economico, a livello bilaterale all'Unione africana e al processo di rafforzamento delle sue istituzioni e della pace.
Avevo detto prima che avrei illustrato brevemente il programma SACE per l'Africa: lo faccio riassumendolo sinteticamente. Recentemente abbiamo avuto un incontro, a livello tecnico, su questa iniziativa, nata nel 2005 con l'avvio di una fase derivante dal consolidamento democratico e dalla crescita economica nell'Africa subsahariana, favorita anche da progressi tangibili, compiuti sul fronte del debito estero.
L'ultimo viaggio che abbiamo fatto in Angola, come dicevo prima, avendo noi definito, anche con il club di Parigi, tutte le pendenze esistenti per quanto riguarda gli interessi e la moratoria, ci ha permesso di fare partire immediatamente un programma di negoziato triennale tra le parti per una ripresa del dialogo.
Questo avverrà anche attraverso la SACE, che ha confermato l'intenzione di aprire un ufficio di rappresentanza a Johannesburg, presso il locale ufficio ICE, che sarà competente per tutta l'area dell'Africa subsahariana. La SACE ci ha inoltre informato dell'avvio di una collaborazione con l'Agenzia panafricana di credito alle esportazioni African Trade Insurance Agency (ATI). I rappresentanti di SACE presenti all'incontro cui ho fatto riferimento hanno riconosciuto che la predisposizione di un plafond Paesi di entità troppo contenuta (10 milioni di euro) ha rappresentato un limite all'approvazione di nuove operazioni nell'area avendo impedito l'assicurazione di talune operazioni di ammontare superiore. L'intenzione di SACE è quindi di proporre al proprio CDA l'ampliamento del plafond Paesi e un maggiore riconoscimento, dal punto di vista quantitativo, dell'aumento dei volumi assicurati, con l'approvazione di nuovi impegni.
Se potrebbe essere utile avere a disposizione i dati relativi potrei lasciare direttamente oggi un appunto in merito in attesa di inviarvi successivamente l'insieme dei documenti.


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PRESIDENTE. Ringrazio il viceministro Sentinelli per questi dati ed anche per come ce li ha proposti, mettendoci cioè immediatamente a conoscenza degli incontri avuti, pur senza aver avuto il tempo di rielaborarne il contenuto.
Aprirei ora la discussione, riservandomi al termine di poter fare un intervento anch'io, qualora non fosse già stato detto tutto prima.

SERGIO D'ELIA. Signor presidente, ho molto apprezzato la relazione del viceministro Sentinelli, ma ancora di più ho apprezzato il fatto che la Commissione esteri abbia deciso di istituire un comitato sull'Africa, egregiamente da lei presieduto.
Non so se tale comitato fosse stato costituito anche in precedenza, tuttavia il fatto che la Commissione esteri se ne sia dotata mi sembra innovativo, perché ritengo che l'Africa - e la relazione del viceministro Sentinelli ce lo dimostra - sia un continente di importanza cruciale, non solo per quanto riguarda i destini dei molti Paesi che ne fanno parte, ma anche per quanto riguarda i nostri destini.
Vorrei condividere con voi solo alcune osservazioni e formulare quindi un paio di domande al viceministro Sentinelli.
Quel che accade in Africa ci riguarda molto direttamente. Penso, in particolare, all'impatto che i flussi migratori dalla sponda sud del Mediterraneo verso la sponda nord hanno sul nostro Paese, il quale è in una posizione di frontiera rispetto all'Africa.
Il nostro mare - lo sappiamo dalle cronache di tutti i giorni - è un mare dove si svolgono flussi migratori che, molto spesso, trovano direttamente approdo nel nostro Paese ed è anche un mare dove muoiono decine e decine di esseri umani: il Mediterraneo è, praticamente, un cimitero di persone che fuggono dalla miseria, dalla povertà e dai regimi dittatoriali!
Quello che avviene oggi in Africa, quello che facciamo per questo continente è quindi importante non soltanto per gli africani, ma anche per noi e per l'Europa.
Lei, viceministro Sentinelli, accennava a un nuovo tipo di approccio, a un modo diverso di interpretare, da parte dei Paesi europei, ciò che avviene nella realtà africana. Al riguardo vorrei fare una osservazione su un argomento di cui lei non ha parlato.
Credo che l'Europa abbia delle responsabilità enormi verso l'Africa: vi sarebbero molti punti da affrontare, ma mi riferisco soprattutto ad uno di essi, ossia alla politica agricola comune, la famosa PAC, quel sistema di sovvenzioni agli agricoltori europei...

GIANNI FARINA. Francesi e tedeschi...

SERGIO D'ELIA. Sì, soprattutto francesi e tedeschi, che costituisce un danno enorme alla possibilità di concorrenza e di ingresso nel nostro mercato dei prodotti agricoli africani, per i quali è praticamente impossibile giungere da noi perché non sono competitivi a causa del nostro sistema di sovvenzioni.
Sarebbe pertanto necessaria una politica ed un approccio diverso, nei confronti di tale questione, da parte dell'Europa. So che siamo una realtà europea, che abbiamo vincoli europei, ma credo che l'Italia debba davvero riaprire con forza, in sede europea, la questione della politica agricola comune e, soprattutto, del sistema di sovvenzioni, il quale costituisce la messa a morte della possibilità di sviluppo, sul fronte agricolo, del continente africano.
La parte più interessante della sua relazione, onorevole viceministro, ha riguardato i processi innovativi sul lato istituzionale e democratico, a livello nazionale, dei Paesi africani. C'è in quest'ambito un'evoluzione della stessa concezione di cooperazione allo sviluppo, la quale non si intende più solo in termini di aiuti economici e di rapporto tra chi dà e chi riceve gli aiuti.
In passato tali aiuti sono spesso stati alimento di regimi dittatoriali piuttosto che di sviluppo reale delle condizioni di vita della popolazione. Quando lei ha detto che oggi, in termini di cooperazione allo sviluppo, si deve intendere anche lo sviluppo istituzionale e lo sviluppo democratico, ha sottolineato come in molti Paesi


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del continente africano ci sia effettivamente un'evoluzione significativa in questo senso, per quanto riguarda i regimi e i sistemi politici. Ciò rappresenta una garanzia, considerato che non può esserci sviluppo economico se non ci sono libertà, Stato di diritto, affidabilità e governance; forse questo è l'aspetto più determinante se si vuole pensare all'Africa come a un continente in cui il passato - fatto di colpi di Stato, di guerre civili e di genocidi - rimanga tale, senza invadere l'orizzonte odierno.
Cito solo due casi, legati al Ruanda.
Noi, come associazione «Nessuno tocchi Caino» affiliata al Partito radicale, siamo stati oggetto di una polemica per il fatto di aver dedicato il premio abolizionista dell'anno al presidente Kagame. Non era certo un premio al suo passato o al passato del Ruanda, bensì un premio agli sforzi compiuti adesso e in proiezione futura dal Ruanda.
Mi ha poi fatto molto piacere sapere dalla collega Paoletti Tangheroni che in Portogallo, in una recente conferenza, il Senegal abbia deciso di dedicare un premio a Kagame, non per l'abolizione della pena di morte, ma per aver riformato le istituzioni del suo Paese e, soprattutto, per quella riforma costituita dal numero delle donne presenti nelle assemblee elettive - il Ruanda è infatti il Paese nel cui Parlamento c'è la percentuale forse più alta di donne, con oltre il 50 per cento - la quale rappresenta al riguardo una vera cartina di tornasole.
Rispetto a quella realtà, da questo punto di vista, l'Africa siamo noi, come Parlamento italiano e come istituzioni europee.
Vorrei fare infine un'ultima osservazione in merito all'altro aspetto della sua relazione, l'Unione africana.
Io sono dell'opinione che nelle stesse istituzioni europee ci sia un deficit democratico e credo che in Africa tale deficit sia ancora più forte, perché lì non c'è un Parlamento africano, anche se c'è l'Unione africana. A questo fatto si dovrebbe prestare molta attenzione, perché il rafforzamento della dimensione sovranazionale africana, laddove i singoli Paesi devolvano quote della propria sovranità a un'entità più alta, può costituire - come è successo per noi europei, al tempo della nascita della Comunità europea - l'antidoto all'esplosione di guerre fratricide, guerre civili o addirittura di genocidi.
Credo quindi che anche le istituzioni sovranazionali africane, e non solo quelle nazionali, debbano essere oggetto di cura e di attenzione da parte nostra, non solo come italiani, ma anche come europei.

SABINA SINISCALCHI. Ringrazio il viceministro per la ricca relazione in cui, peraltro, ha condensato il cambio di orientamento, attraverso questo nuovo tipo di approccio, da parte dell'Unione europea nei confronti del continente africano. Direi che questo è uno degli aspetti più interessanti se si guarda allo scenario delle relazioni internazionali.
Tale cambio, a mio parere, è determinato anche dalla circostanza che, per la prima volta dopo decenni, molti Paesi del continente africano hanno mostrato un tasso di crescita economica molto interessante. Anche la Commissione economica delle Nazioni unite per l'Africa (UNECA) ha riconosciuto questa novità nello scenario economico africano.
C'è però il rischio, come ha già ricordato il viceministro, che i nuovi accordi di partenariato economico non tengano conto degli impatti negativi che si possono avere sulle popolazioni, in particolare su quelle economicamente più deboli. Ci fa quindi estremamente piacere sapere che questa valutazione verrà messa in conto dalla Commissione europea.
Direi che possiamo riconoscere il merito di questo cambio di atteggiamento anche al nostro Governo ed a questo Parlamento che, come è stato già detto, ha votato degli ordini del giorno in materia.
La prima domanda che vorrei porre riguarda l'impatto dei nuovi accordi sulla cooperazione sud-sud, che è uno degli allarmi lanciati anche dalla società civile.
Forse questa costituisce una delle questioni che stanno alla base del rifiuto della Nigeria di firmare gli accordi i quali,


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imponendo l'abolizione delle preferenze generalizzate anche tra Paesi africani, rappresenterebbero un costo e un fattore di rallentamento nella cooperazione sud-sud, che è invece uno degli aspetti che sta contribuendo all'uscita dell'Africa dai tassi di sviluppo negativo.
Vorrei quindi capire se la Commissione intenda valutare anche questo aspetto, oltre a quello delle popolazioni più deboli.
La mia seconda domanda riguarda l'agenda del prossimo incontro di Lisbona. Vorrei sapere quali altri grandi temi verranno messi in agenda, oltre al tema dell'emergenza climatica e dei cambiamenti climatici.
In particolare vorrei conoscere se tra questi grandi temi ci sia la questione della corruzione, considerato che, proprio a causa della corruzione - di cui sono protagonisti sia i Governi e i soggetti economici corrotti del sud, sia i corruttori del nord del mondo - il continente africano nel suo insieme perde risorse pari al triplo di quelle che riceve sotto forma di aiuti allo sviluppo. Vorrei sapere, quindi, se la Commissione intende affrontare anche questo aspetto.

PRESIDENTE. Mi ha particolarmente colpito quello che il viceministro ha detto sui conflitti, perché credo che si debba prestare una attenzione speciale a questo problema.
Prima di tutto vorrei fare, però, una piccola premessa: siamo tutti orgogliosi che i nostri ordini del giorno siano stati accolti, a istanze così elevate, attraverso l'autorevolissimo tramite del viceministro. Ovviamente siamo molto orgogliosi perché, anche se non è stato facile ce l'abbiamo fatta, tutti insieme, trasversalmente, ottenendo buoni risultati.
Per quanto riguarda i conflitti, vorrei chiedere al viceministro se non si debba porre anche il problema della proposizione immediata di un allarme, ovvero della prevenzione dei conflitti, individuando le aree - ne citava una il collega D'Elia poco fa - dove esistono dei conflitti latenti oppure esistono conflitti che non sono latenti solo perché vi sono soggetti molto bravi a non farli emergere e tuttavia le loro premesse continuano certamente a permanere, così che rimane facile farli esplodere dall'esterno.
Occorre quindi sapere, molto semplicemente, che questa prevenzione va fatta intervenendo anche in quei Paesi dove sembra che non ci siano conflitti, ma dove tutti sanno che il rischio che essi esplodano è reale in quanto ci sono molte situazioni esplosive latenti che gli addetti ai lavori conoscono perfettamente.
Vorrei poi porre un'altra domanda che, per quanto impopolare, credo di dover fare comunque. Lei ha poco fa evidenziato come le ONG svolgano un ruolo di mediazione con le ONG locali. Ritengo che ormai dobbiamo trovare delle formule per evitare anche questa mediazione, perché noi conosciamo delle meravigliose ONG locali, che hanno bisogno di questa mediazione solo per motivi burocratici, considerato che il nostro Paese non può dare loro aiuto direttamente, se non in casi limitatissimi, ma deve passare attraverso un'istituzione europea. Questo è vero soprattutto per quanto riguarda l'Europa.
Quanto al tema della corruzione, presente in molti di quei Paesi, va detto che non tutti i cattivi sono nel nord del mondo, né tutti i buoni sono solo nel sud del mondo. Tuttavia nel sud del mondo, quando sono cattivi, lo sono sul serio.
Voglio dire, con molta serenità, che occorre stare con gli occhi molto aperti, evitando di fare ricadere le colpe dei corrotti del sud del mondo su coloro che, invece, in quella stessa parte del mondo, sono onesti e lavorano sul serio.
Credo quindi che dobbiamo sforzarci di trovare formule che privilegino la possibilità di utilizzare anche le ONG locali e - quasi sempre - le istituzioni locali. Se si afferma ciò in un consesso dove sono presenti le ONG, queste protesteranno veementemente (a me è successo).
Pertanto, occorre pensare seriamente a una riconversione di tutto il personale delle ONG in direzione dei due elementi che saranno sempre appannaggio dei donatori (anche se la logica non è più


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donatori/non donatori e, pertanto, sarebbe ormai più giusto parlare di finanziatori).
Mi riferisco alla pianificazione, anzitutto, che va fatta in modo congiunto, perché c'è la corruzione. Se si vogliono realizzare 400 pozzi, si deve realizzarli per le persone che hanno sete e non nel giardino del Ministro.
In secondo luogo, penso al monitoraggio e alla valutazione, che devono essere svolti in maniera serrata, poiché stiamo trattando dei soldi dei contribuenti o comunque di persone generose che non offrono i loro contributi invano, ma perché abbiano un effetto e una ricaduta.
Credo che se, con molta serenità, li inviteremo a riconvertirsi, considerato che sono e saranno loro i protagonisti sul lato operativo, si riuscirà forse a fare anche questo passaggio.

PATRIZIA SENTINELLI, Viceministro degli affari esteri. Rispondo brevemente alle domande, anche se tutte le questioni sollevate, a partire dall'intervento dell'onorevole D'Elia, meriterebbero - sono già da ora disponibile a continuare la discussione in un'altra audizione qualora questa non fosse sufficiente - approfondimenti molto seri, a partire da tutta la questione legata al rafforzamento delle istituzioni, che mi sembra di grande rilievo.
Personalmente sono convinta dell'importanza di arrivare a riconoscere la duplice rilevanza, in primo luogo, delle istituzioni decentrate, le quali comunque rappresentano, per quanto riguarda il continente africano, una lente nuova, proprio per il superamento dei conflitti interni ai clan o dei nuovi e vecchi conflitti etnici e, quindi, il rapporto con il municipio, con l'elezione rispetto alla comunità; in secondo luogo, il riconoscimento ed il rafforzamento di un'istituzione sopranazionale qual è l'Unione africana. Questo meriterebbe un'attenzione particolare, così come la questione dell'agricoltura, la quale anche è stata posta.
Mi riferisco, in particolare, alle sovvenzioni alle esportazioni: sussidi che, a mio parere, devono cadere, proprio per concretizzare l'idea di rapporto preferenziale con l'Africa in termini di partnership.
Per quanto riguarda l'aiuto aid for trade - accennato dall'onorevole Siniscalchi, in qualche misura, nelle conclusioni del suo intervento - abbiamo fatto emergere un aspetto importante che rivendico anche questo all'Italia.
Alla Commissione europea che, per invogliare e incentivare i Paesi alla firma di questi accordi, ha proposto di dare aiuti finanziari, aiuti pubblici allo sviluppo, abbiamo segnalato che bisogna prestare molta attenzione alla vicenda. Infatti se i fenomeni della liberalizzazione sono positivi, non dobbiamo pensare a forme di compensazione. I mali non si combattono con un aiuto in più. Gli aiuti allo sviluppo possono invece esser utili per il commercio interregionale e per le produzioni locali. Abbiamo quindi introdotto questa precisazione, che ci sembra un dato molto importante: siamo disponibili a lavorare anche per un aiuto aggiuntivo, sotto il capitolo aid for trade, ma a patto che sia for local trade, cioè a sostegno dei produttori locali, soprattutto di piccole e medie dimensioni, e per aiutare, mantenere e garantire lo sviluppo della cooperazione sud-sud.
Per quanto riguarda l'agenda di Lisbona - dove andranno i Primi Ministri - il tema principale è quello che ho dichiarato. Anche noi non conosciamo ancora in modo analitico tutta la documentazione.
Piuttosto che il tema della corruzione, però, viene posto - e a mio parere correttamente - il tema della governance, dunque della good governance, comprendendo dentro a questo tema anche quello della corruzione.
I due corni che prima mettevo in evidenza non vengono separati. Il rafforzamento delle istituzioni vuol dire trasparenza, vuol dire partecipazione della società civile e questo riguarda peraltro anche l'Europa e l'Italia: si tratta infatti del tema di come il rappresentante rende conto ai rappresentati e il governante ai governati, in poche parole del tema dei processi partecipativi e dell'inclusione anche


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nei meccanismi decisionali. Credo quindi che questo sia il tema specifico da tenere in considerazione.
Per quanto riguarda l'ultimo aspetto, quello delle ONG, come sapete ci stiamo impegnando nella riforma della cooperazione. Mi auguro che la discussione tornerà presto alla Camera, ma c'è uno sviluppo esattamente in quella direzione.
Tuttavia non va sottovalutato il ruolo di mediazione delle ONG in quanto serve proprio a farsi carico della vitalità e dell'esperienza positiva dell'Italia nei confronti dei partner, ma che non può costituire, invece, un meccanismi burocratico che impedisce lo sviluppo delle relazioni, anche di partenariato, con i Paesi terzi.

PRESIDENTE. Ringrazio il viceministro che prenotiamo fin d'ora per un incontro, a conclusione del vertice di Lisbona, per svolgere insieme ulteriori riflessioni.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10.