COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 28 novembre 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE UMBERTO RANIERI

La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del sottosegretario di Stato per gli Affari esteri, Gianni Vernetti, sugli esiti della Conferenza sul ruolo dell'Italia e la prospettiva europea in Asia centrale, svoltasi a Roma il 10 settembre 2007.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Gianni Vernetti, sugli esiti della Conferenza sul ruolo dell'Italia e la prospettiva europea in Asia centrale, svoltasi con successo a Roma il 10 settembre 2007.
Do la parola al sottosegretario Vernetti.

GIANNI VERNETTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Cercherò in circa quindici minuti di offrire una panoramica dell'azione politica e diplomatica dell'Italia nell'Asia centrale. In seguito, sarò a vostra disposizione per interloquire con eventuali osservazioni e richieste da parte dei commissari.
Vorrei, innanzitutto, fare una premessa per dare un inquadramento geografico: quando parliamo di Asia centrale, facciamo riferimento all'Asia centrale ex sovietica e, in particolare, ai cinque Paesi cosiddetti «stan», Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan, nei confronti dei quali il Governo ha deciso, affidandomene la delega, di realizzare una forte iniziativa diplomatica, a fronte di un ritardo della presenza italiana in questi Stati.
Dopo la caduta dell'Unione Sovietica, l'Italia ha aperto due rappresentanze diplomatiche nell'area: una a Tashkent, capitale dell'Uzbekistan, e l'altra ad Almaty, poi spostata ad Astana, capitale del Kazakistan. Con questi Paesi abbiamo realizzato uno stabile, anche se contenuto, interscambio economico e commerciale, fatta eccezione per il Kazakistan che, come sapete, è stato oggetto di un grande, strategico e, per alcuni versi, anche problematico investimento energetico. Mi riferisco all'impianto di Kashagan, sul quale l'ENI ha realizzato uno straordinario investimento economico, oggetto di una serie di negoziati, come è noto anche per le notizie ampiamente diffuse dagli organi di stampa. Qualora lo riteniate utile, posso fornire ulteriori informazioni sulle attuali relazioni fra l'Italia e il Kazakistan, nonché fra l'ENI e le rispettive controparti.
Vi ho illustrato il quadro della situazione delle relazioni fra l'Italia e i Paesi dell'Asia centrale. Un anno e mezzo fa, tuttavia, per vari motivi, abbiamo deciso di cambiare un po' il ritmo di marcia della presenza italiana in quest'area. La Conferenza del 10 settembre, alla quale faceva riferimento il presidente Ranieri e che ha ospitato i Ministri degli esteri di questi cinque Paesi, rappresenta a grandi linee la conclusione di questo primo anno di lavoro


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portato avanti con un nuovo passo. Da parte italiana, in quest'occasione abbiamo cercato di far partecipare, oltre al Governo e al Parlamento, anche alcuni importanti attori economici che possono guardare con attenzione a quest'area.
Il senso dell'azione diplomatica italiana muove da due considerazioni: la prima riguarda l'aspetto economico e commerciale, nella consapevolezza che la presenza italiana può essere molto maggiore rispetto a quella attuale. Questi Paesi hanno ereditato dall'Unione Sovietica una gestione poco attenta delle risorse energetiche, forse anche a causa dei limiti tecnologici di quel periodo storico. Pertanto, oggi rappresentano una grandissima opportunità dal punto di vista delle risorse naturali ed energetiche non ancora esplorate.
La seconda considerazione è, invece, puramente politica e geopolitica. Noi riteniamo che questi Stati possano rappresentare un interlocutore importante per l'Europa, per la loro connotazione di Paesi islamici moderati, nei confronti del mondo islamico e dell'organizzazione della Conferenza islamica. Inoltre, possono essere uno strumento utile per la stabilizzazione dell'Afghanistan. Tre di questi Paesi (Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan) confinano con l'Afghanistan - tormentato Paese di cui tutta la comunità internazionale si occupa da tanti anni - e hanno una forte interrelazione dal punto di vista delle affinità etniche, poiché grandi minoranze della popolazione dell'Afghanistan sono uzbeke, tagike e turcomanne. Questi tre Stati dunque hanno, potenzialmente, un ruolo politico molto attivo. Storicamente, all'epoca dell'Unione Sovietica, questi Paesi erano quasi privi di una propria identità e di un proprio protagonismo sulla scena politica, cui si aggiungeva il problema delle frontiere chiuse. Inoltre, il rapporto fra sovietici e afgani, dal 1979 in poi, fu fortemente compromesso dall'invasione militare. Oggi questi Paesi sono di fondamentale importanza sul fronte della lotta alla droga; l'Asia centrale, infatti, è zona di transito per uno dei principali flussi di droghe pesanti tra l'Asia e l'Europa.
Possiamo dire che l'azione italiana si colloca comunque all'interno di una più ampia e generale strategia europea nei confronti dell'Asia centrale. A mio avviso, l'elemento di maggiore successo che ha caratterizzato il semestre di Presidenza tedesca dell'Unione europea - ovvero quello conclusosi il 30 giugno, prima dell'attuale Presidenza portoghese - è stato, forse, la strategia dell'Unione europea in Asia centrale, preparata durante la Presidenza tedesca e adottata prima della sua conclusione, con l'allocazione di alcune risorse da parte dell'Unione europea - poco meno di un miliardo di euro - per garantire l'integrazione economica, lo sviluppo delle infrastrutture e l'avvicinamento fra le due aree geografiche.
Su ognuno di questi temi potremmo discutere a lungo; tuttavia, ritengo che si possa ridurre il discorso ai tre assi strategici della relazione fra Italia e Asia centrale. Innanzitutto, vi è l'asse economico-commerciale, sul quale le potenzialità di relazione sono enormi e ancora assolutamente inesplorate; per questo motivo, come dicevo, abbiamo grandi possibilità di sviluppo sul settore energetico, e non solo su quello fossile. Ad esempio, il Tagikistan e il Kirghizistan hanno enormi potenzialità idroelettriche che, per ora, sfruttano soltanto al 20 per cento. Sono Paesi con i quali potremmo sviluppare un interscambio molto importante sul fronte dei macchinari utensili dell'agroindustria. Ad esempio, l'Uzbekistan è un grande Paese agricolo, che ha ereditato dall'Unione Sovietica la monocoltura del cotone e che adesso ha interesse a diversificarsi; pertanto, possono esserci anche grandi opportunità di collaborazione.
Il secondo aspetto è quello della sicurezza internazionale, dove inserisco i temi dell'Afghanistan e della lotta alla droga. Tenete conto del fatto che questi cinque Paesi hanno realizzato varie forme di cooperazione con la NATO; sono tutti e cinque membri della Partnership for peace e ognuno di loro, a diversi gradi, ha


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iniziato a siglare gli IPP, gli Individual partnership program, ovvero i programmi di partnership individuale con la NATO. Questo rappresenta certamente un ulteriore elemento di collaborazione.
L'ultimo tema riguarda, più in generale, le relazioni politiche fra i nostri Paesi. I Paesi dell'Asia centrale hanno un diverso grado di sviluppo democratico, aspetto su cui vorrei soffermarmi. Come ricorderete, dopo la caduta dell'Unione Sovietica, alcuni di questi Paesi hanno sviluppato esperimenti di transizione democratica, con alterni successi. L'Uzbekistan, invece, è tuttora caratterizzato da un regime nel quale vengono negate le libertà fondamentali. In seguito alla violenta repressione di un moto popolare ad Andijan (sostanzialmente giustificata come azione di repressione di gruppi terroristici di matrice islamista, ma nella quale furono coinvolti, in realtà, centinaia di manifestanti civili), questo regime è sotto osservazione ed anche oggetto di alcune azioni molto concrete da parte dell'Unione europea e della comunità internazionale. L'Uzbekistan è, quindi, un Paese molto arretrato dal punto di vista dello sviluppo democratico, nel quale sono negati i diritti fondamentali.
In Kirghizistan, invece, Paese con una vivace democrazia parlamentare ma di forte instabilità, c'è stata recentemente la cosiddetta «rivoluzione dei tulipani», la «rivoluzione arancione» nella quale i movimenti democratici hanno indotto il Governo in carica a cedere il passo a nuove elezioni.
In Kazakistan si tengono elezioni libere e, tra i Paesi dell'area, è forse quello che in maggior misura, ha adottato un sistema di Stato di diritto e di democrazia parlamentare, per quanto il dirigismo e i poteri presidenziali siano ancora molto forti. Tuttavia, occorre tenere conto del fatto che il Kazakistan è, forse, anche il Paese che, fra tutti, con più decisione si è avviato verso un sistema di riforme democratiche. Al momento, l'Italia è orientata al sostegno della sua candidatura alla prossima presidenza dell'OSCE, nel biennio 2009-2011, eventualità che darebbe al Kazakistan l'opportunità di dimostrare l'evoluzione del proprio sistema democratico.
Concludo - riservandomi di intervenire successivamente - dicendo che tutti questi Paesi sono oggetto dell'intensa azione diplomatica di altri attori globali. Per citare alcune iniziative, ad esempio, il Giappone, durante la Presidenza Koizumi, ha promosso un Central Asia plus Japan dialog, dialogo politico tra Giappone e Asia centrale, e visitato alcune di queste capitali. La Cina e la Russia hanno promosso la Shanghai Cooperation Organization (SCO), che nasce come un foro di cooperazione economica, riunitosi per la prima volta a Shanghai, ma che nell'ambizione cinese dovrebbe diventare una sorta di OSCE orientale, una sorta di organizzazione sulla sicurezza e la cooperazione economica centrata su Cina e Russia. Di questa organizzazione internazionale fanno parte la Cina, la Russia e i cinque Paesi dell'Asia centrale ed essa rappresenta quindi un forte strumento di penetrazione geopolitica cinese.
La presenza americana in quei Paesi è stata rilevante soprattutto nella fase successiva all'indipendenza. Alcune basi militari americane, in seguito smantellate, sono state di supporto alle operazioni in Afghanistan e in Iraq, come, ad esempio, la base di Termez, in Uzbekistan; oggi è rimasta una piccola presenza militare americana nella base presso l'aeroporto di Manas, in Kirghizistan, di supporto alle residue attività di Enduring freedom. La presenza americana, invece, è molto intensa sul fronte della cooperazione economica ed energetica in Kazakistan.
Questo per dire che sono Paesi ancora alla ricerca di una loro identità geopolitica, oggi oggetto di numerose azioni, in alcuni casi anche di offensiva diplomatica; forse, la più vivace è proprio quella cinese, con l'iniziativa della Shanghai Cooperation Organization. Ciò rappresenta un motivo in più, per l'Europa, per essere presente in modo attivo.
Personalmente, ho guidato una missione nelle cinque capitali, nel maggio dello scorso anno, che seguiva la precedente


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missione del sottosegretario Boniver, nel 2003. Vi è stata una certa distanza fra le due missioni, e quindi una scarsa presenza delle delegazioni del Governo italiano; tuttavia, crediamo di avere colmato con il nostro lavoro questa lacuna. La missione del sottosegretario Boniver fu realizzata nel 2003, periodo durante il quale questi Paesi attraversavano una difficilissima transizione; dagli elementi di cui sono in possesso deduco che l'iniziativa sia stata positiva, anche se ad essa non furono dati seguiti in termini di relazioni politiche operative. Noi, invece, durante la conferenza del 10 settembre, abbiamo deciso di dare vita ad una sorta di dialogo strutturato fra Italia e Asia centrale, attraverso riunioni annuali sia in quell'area, sia in Italia, intensificando l'azione nei filoni prima descritti di relazione politica, economica e commerciale, oltre che sui temi della sicurezza.

PRESIDENTE. La ringrazio, sottosegretario.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

DARIO RIVOLTA. Prima di porre alcune domande al sottosegretario, vorrei fare una precisazione. Lei ha detto che l'unica base americana rimasta è in Kirghizistan. Le chiedo conferma di questa informazione perché, se non ricordo male, a me risulta essere in Tagikistan, e questo cambierebbe molte cose.

GIANNI VERNETTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. No, la base americana è in Kirghizistan.

DARIO RIVOLTA. La differenza fra Kirghizistan o Tagikistan avrebbe solo un'importanza di carattere geostrategico. Credo di ricordare che sia in Tagikistan, presso una delle ex basi russe presenti sul territorio.

GIANNI VERNETTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Posso dirlo con precisione, perché ho visitato entrambi i presìdi militari.

DARIO RIVOLTA. Allora ricordo male io.

GIANNI VERNETTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. L'unica presenza diretta di truppe americane è presso l'aeroporto di Manas, in Kirghizistan, che, sostanzialmente, è un po' come Francoforte: da un lato della pista c'è l'aeroporto civile, dall'altro l'aeroporto militare. Ci sono stati anche i nostri contingenti. I militari americani la usano come base logistica di supporto ad Enduring freedom, mentre alcuni reparti dell'esercito italiano sono stati presenti in quella base durante le operazioni post-2001 in Afghanistan. Inoltre, è utilizzata anche da altri Paesi europei.
In Tagikistan c'è la più grande base tedesca con funzioni logistiche, come può esserlo la base di Abu Dhabi per il nostro esercito. I tedeschi coordinano il Northeast regional command, quindi la zona a nord dell'Afghanistan. Il PRT (Provincial reconstruction team) è a guida tedesca e loro, quindi, usano il Tagikistan come base logistica. Lo posso assicurare.

DARIO RIVOLTA. La valenza della mia precisazione sta nel fatto che, geograficamente parlando, se non ricordo male, qualora la base fosse in Kirghizistan, per arrivare in Afghanistan gli americani dovrebbero sorvolare il territorio tagiko. Ciò significa che vi sarebbe un assenso tagiko - e quindi russo - allo svolgimento di tali operazioni. Questo ha un'importanza politica.
Passo ora alle domande. Lei ha parlato dell'accordo di Shanghai e ha detto che quella organizzazione dovrebbe essere una sorta di OSCE. Le chiedo se, piuttosto, non venga percepita, potenzialmente, come qualcosa di simile alla NATO. Può specificare meglio perché ritiene sia più assimilabile all'OSCE che alla NATO? Se non erro, è prevista anche una collaborazione militare all'interno dell'accordo di Shanghai, ed è chiaro che le valutazioni possono cambiare, a seconda che il punto di arrivo sia l'OSCE o la NATO.
Recentemente, si è svolto a Teheran un incontro dei Paesi rivieraschi del Mar


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Caspio. Lei è in grado, come rappresentante del Governo, di confermarci che, a seguito di questo incontro, tra le dichiarazioni pubbliche, il Kazakistan abbia annunciato di non ritenere affatto necessario lo studio per un'ipotesi di oleodotto o di gasdotto attraverso il Mar Caspio, visto che per le esigenze kazake sarebbero più che sufficienti i condotti che passano attraverso il territorio russo?
Le chiedo, inoltre, quale sia oggi il peso politico di Russia e Cina su questi singoli Paesi. Lei ha fatto giustamente cenno alla passata influenza americana, che è andata degradando; se non sbaglio, in contemporanea, c'è stato - per vari motivi che, se vuole, può approfondire - un riavvicinamento nei confronti della Russia, che va al di là del concetto della CSI (Comunità degli Stati indipendenti), nata tanti anni or sono.
Infine, lei ha parlato del Kazakistan come del Paese più avanzato sulla strada della democrazia. Capisco la sua importanza per l'Italia, dovuta a motivi strategici ed economici, e credo che, se paragonato agli altri Paesi dell'area, sia forse, come lei giustamente afferma, quello democraticamente più avanzato. Tuttavia, nonostante la simpatia che nutro per il Kazakistan - Paese di cui mi occupo anche come esponente di un consiglio di cooperazione -, non credo che lo si possa considerare un Paese democratico liberale. Pertanto, mi chiedo quanto il giudizio da lei espresso sulla sua democrazia sia importante nella volontà dell'Italia di supportarlo alla presidenza dell'OSCE e quanto, invece, lo siano altre comprensibilissime e apprezzabili motivazioni di carattere economico e geostrategico.

MARCO ZACCHERA. Mi trovo in difficoltà, perché volevo svolgere le stesse osservazioni formulate dall'onorevole Rivolta. Pertanto, mi associo a quanto da lui affermato.
Sono stato in Kazakistan come osservatore internazionale durante le elezioni di agosto e concordo pienamente con le considerazioni dell'onorevole Rivolta. Poi, se vogliamo, possiamo anche dire che ci fa comodo appoggiare il Kazakistan per la presidenza dell'OSCE; forse, è anche opportuno perché dobbiamo sempre sperare in positivo per il futuro. Il giorno dopo le elezioni, mentre stavamo partendo, Astana è praticamente stata bloccata dall'arrivo della delegazione cinese, composta da numerosissime «truppe» (in senso commerciale). Non c'era più uno spazio libero in tutta la capitale, perché arrivavano i cinesi!
Vorrei aggiungere, quindi, una domanda. Noi, adesso, terremo un dialogo strutturato con questi Paesi. Cosa vuol dire? Cosa vuol fare in concreto il nostro Governo? Mi piacerebbe saperlo.

TANA DE ZULUETA. Essendo stata anch'io osservatore elettorale in Kazakistan, penso che sia opportuno capirsi su ciò che intendiamo per democrazia parlamentare. Gli standard vigenti sono quelli dell'ODIHR (Office for democratic institutions and human rights) dell'OSCE e, in base ad essi, la democrazia c'è o non c'è. La situazione è estremamente problematica, da quel punto di vista, ma molto meno drammatica rispetto alle altre repubbliche dell'Asia centrale.
Non è solo l'Uzbekistan ad aver fatto una drammatica marcia indietro sul fronte della democrazia e, soprattutto, della tutela dei diritti umani. Ricordo che l'ambasciatore britannico in Uzbekistan si è dimesso perché riscontrava scarsa sensibilità, da parte del suo Governo, ai problemi da lui puntualmente sollevati in seguito a richieste di aiuto provenienti dall'opposizione democratica uzbeka. Stiamo parlando di un Paese in cui il leader dell'opposizione fu riconsegnato a casa bollito.
A mio avviso, per rispetto ai princìpi fondanti del nostro Paese, dell'Unione europea e dell'Organizzazione internazionale che ci accomuna, ovvero l'OSCE, di cui sono membri anche quelle Repubbliche, dobbiamo tenere presente, anche nell'azione diplomatica, che a questi princìpi non diamo un ruolo di risulta, ma li consideriamo parte integrante di ogni dialogo. Pertanto, dobbiamo ribadire che chi,


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in quei Paesi, corre rischi personali per sostenere la libertà di informazione o per avviare un'azione di opposizione democratica troverà ascolto e attenzione, e non fredda sordità, riconducibile a interessi esclusivamente di tipo commerciale.
Dobbiamo continuare a lavorare con chiarezza per sostenere questi princìpi, affinché l'organizzazione rimanga funzionale ed integra su questo fronte. La recente crisi dei rapporti fra l'ODIHR e il Governo russo è un colpo molto duro per quell'organizzazione, in quanto il meccanismo di controllo democratico funziona sulla base della reciprocità. Se uno dei partner si sottrae ad essa, il meccanismo non funziona più.
Ho inteso sottolineare tale aspetto della questione perché, dopo il petrolio del Kazakistan, è quello che richiama maggior attenzione da parte dei nostri cittadini, che guardano quei Paesi soprattutto da questo punto di vista, oltre che per la bellezza delle montagne del Kirghizistan. Sollecito inoltre il Governo a dare il dovuto sostegno ed attenzione alla democrazia e alla libertà di informazione.

SERGIO D'ELIA. Ascoltando la relazione del sottosegretario Vernetti, non mi è sembrato di riscontrare toni eccessivamente ottimistici per quanto riguarda gli standard di democrazia; anzi, egli ha descritto una situazione in cui l'unica eccezione riguarda il Kazakistan. A proposito di questo Paese, tuttavia, il sottosegretario ha giustamente notato che esiste comunque un potere presidenziale molto forte e che sono stati compiuti passi in avanti sul fronte delle riforme democratiche. Se non erro, queste sono state le sue parole; da qui a descrivere il Kazakistan come esempio di democrazia liberale ce ne passa, e ritengo che il sottosegretario si sia espresso molto chiaramente in tal senso.
Come diceva la collega De Zulueta, i diritti umani non devono essere un dato di risulta di altri interessi e di altre operazioni, soprattutto di quelle economiche e commerciali. Io non sono «fondamentalista» nei confronti di alcuna questione, nemmeno su quella dei diritti umani. Preferisco che si facciano dei passi in avanti, magari piccoli, ma nella direzione giusta, piuttosto che isolare, demonizzare, condannare e lasciar cristallizzare situazioni che, così facendo, produrrebbero poi effetti negativi sia nei rapporti internazionali, sia nella possibilità di procedere nella giusta direzione, ovvero verso la promozione e il maggior rispetto dei diritti umani.
Mi pare che questo sia il caso delle Repubbliche centroasiatiche, le quali sono strette come in una tenaglia fra la forte influenza della potenza economica cinese e l'ex impero sovietico, la Russia, oggi rappresentato senza soluzione di continuità dalla politica, dalla leadership e dal regime di Putin.
Mi chiedo - e chiedo al sottosegretario - quale possa essere, invece, l'attrazione europea nei confronti di questi cinque Paesi dell'Asia centrale, visto che infatti poli di attrazione in quei Paesi ce ne sono. Ritengo che il processo democratico in tali Paesi potrebbe anche essere aiutato dalla eventuale presidenza kazaka dell'OSCE, e reputo quindi giusto il sostegno, in tal senso, da parte del Governo italiano. Mi chiedo, tuttavia, se l'attrazione europea sia solo verso le potenzialità di un mercato o se riguardi anche l'adeguamento di quei Paesi agli standard europei. Questi Paesi dovranno scegliere se ritornare sotto l'influenza russa, con tutto ciò che questo significa. Immagino che in questo senso l'Europa possa attrarli non soltanto con il suo mercato; anche noi, tuttavia, abbiamo interessi nei loro confronti, perché subiamo in maniera evidente il ricatto energetico russo, che ci blocca e ci fa - in questo caso sì - abbassare il livello di attenzione rispetto a quello che sta succedendo nella Federazione russa. Mi chiedo se gli elementi della democrazia, della libertà e dei diritti umani, che l'Europa può rappresentare agli occhi di questi Paesi, possano costituire un polo d'attrazione.
Devo dire che l'esempio dell'abolizione della pena di morte è indicativo e positivo: tutti i Paesi delle Repubbliche centrali dell'ex Unione Sovietica hanno sponsorizzato


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o votato a favore nel recente voto a New York. Mi sembra un elemento indicativo, che mi fa ben sperare per le nostre relazioni con quei Paesi, e non solo con essi. Credo che il sottosegretario condivida questo giudizio.

SABINA SINISCALCHI. Mi associo alle questioni sollevate dai colleghi De Zulueta e D'Elia. Non ho dubbi, signor sottosegretario, sul fatto che lei abbia a cuore la questione dei diritti umani e della democrazia. Tuttavia, nella sua esposizione non ha riservato sufficiente spazio a questo aspetto, che sta particolarmente a cuore a lei come a noi.
La collega De Zulueta ricordava le atrocità che avvengono in Uzbekistan. Effettivamente, anch'io ritengo che in Kazakistan il livello di democrazia sia leggermente migliore e un po' più elevato rispetto alle altre Repubbliche dell'Asia centrale, se non altro perché esiste una società civile più viva, che si sta organizzando anche per denunciare o segnalare i problemi relativi alla tutela dell'ambiente e della salute delle popolazioni, laddove è forte l'attività di estrazione degli idrocarburi.
Desidero segnalarle, signor sottosegretario, che la settimana prossima sarà in Italia la rappresentante di una rete di associazioni e movimenti popolari del Kazakistan. Noi abbiamo ricevuto l'invito ad incontrarla in qualità di parlamentari, e mi chiedevo se anche lei avesse avuto segnalazione di questa presenza in qualità di rappresentante del Governo e, nel caso, se fosse interessato a incontrare questa donna, che viene a parlare del problema della violazione dei diritti ambientali e di quelli alla salute nel suo Paese.

CLAUDIO AZZOLINI. Il mio intervento è stato superato dalle questioni già sollevate dai colleghi. Pertanto, vorrei chiederle soltanto, facendo appello alla sua cortesia, un approfondimento su come il Governo intenda strutturare il dialogo di cui si è parlato.

PRESIDENTE. Do la parola al sottosegretario Vernetti per la replica.

GIANNI VERNETTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Mi scuso se nella parte introduttiva del mio discorso ho sorvolato su alcune questioni fondamentali, ma dovevo dare anche un'overview, cioè una panoramica molto generale, in quindici minuti.
In questa missione, mi sono occupato molto di diritti umani e, al di là dei documenti ufficiali, ho un'opinione personale, costruita sul campo, relativamente alla situazione in questi cinque Paesi. La illustro sinteticamente.
Nel corso di queste missioni, cerco, laddove possibile, di incontrare anche i leader o gli esponenti parlamentari dell'opposizione democratica, oppure esponenti della società civile nei regimi dittatoriali. Desidero fornirvi un quadro da questo punto di vista. Il Kazakistan è forse l'unico Paese, fra quelli di cui stiamo parlando, dove ho potuto incontrare un esponente di un partito politico, leader dell'opposizione, ovvero il piccolo partito democratico del Kazakistan. Non facciamo confusione con la mia appartenenza politica; si tratta solo di casualità, visto che esso è precedente all'iniziativa veltroniana! Ho incontrato questo deputato, leader del partito democratico del Kazakistan, nel corso di alcuni incontri formali.

MARCO ZACCHERA. È l'unico partito entrato in Parlamento?

GIANNI VERNETTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. È l'unico partito entrato in Parlamento, oltre a quello di regime. Mi fa piacere che qualcuno abbia notato che non ho descritto il Kazakistan come un modello di democrazia liberale, ma come un tentativo, nell'Asia centrale post-sovietica, di costruire un sistema bicamerale. Ho incontrato il presidente del Senato Tokayev, il quale, peraltro, ha partecipato pochi giorni fa al meeting sul dialogo interreligioso organizzato a Napoli dalla comunità di Sant'Egidio.
Durante la mia missione in Kazakistan, abbiamo approfondito molto il tema della pena di morte, ed abbiamo raggiunto intese di cooperazione strategica sulla sua


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abolizione. Non sottovaluterei il fatto che si tratta di Paesi islamici fortemente secolarizzati e che, nell'organizzazione della Conferenza islamica, sono gli unici ad aver aderito, compattamente per la propria area, all'iniziativa sulla pena di morte.
L'onorevole D'Elia era presente ed ha assistito ai lavori della III Commissione dell'Assemblea generale dell'ONU: gli argomenti dell'Iran, del Sudan, della Libia erano qualcosa di più che un'opposizione alla risoluzione sulla pena di morte. Questi Paesi ne danno un'assurda - per noi - giustificazione teologica, legandola alla storia, al Corano e a tradizioni millenarie. Nel mondo islamico, il tema della pena di morte è qualcosa di più che una scelta politica; non è come in America, dove in alcuni Stati vige la pena capitale - che noi condanniamo - e in altri no, senza che vi siano fondamenti di alcun tipo. Questa apertura è stata realizzata grazie all'azione italiana, nel senso che l'Italia ha il cento per cento del merito di aver coinvolto quei cinque Paesi nella campagna contro la pena di morte. Di ciò va riconosciuto il merito al nostro Paese in maniera totale.
Pertanto, oggi definirei il Kazakistan come un Paese presidenziale, con uno squilibrio di poteri a favore del presidente, ma dove è in corso un serio tentativo di costruire un percorso di democrazia parlamentare. Segnalo anche che il Kazakistan si fa promotore, a livello internazionale, di questa iniziativa sul dialogo interreligioso, secondo me molto importante. Il Kazakistan è davvero un Paese multiconfessionale, dove vivono una grandissima comunità ebraica, una grande comunità protestante e cattolica - quindi cristiana nelle sue varie espressioni - e una maggioranza islamica, fortemente secolarizzata, quindi moderata. Pertanto è, a mio avviso, un Paese verso il quale la politica del coinvolgimento, e qualche volta anche della critica costruttiva - sottolineo l'aggettivo «costruttivo» - è l'approccio giusto.
In Kirghizistan ho incontrato sia il presidente della Repubblica, Bakiyev, sia il suo principale oppositore, Kulov. Erano i due leader della rivoluzione dei tulipani che, una volta giunti al potere, hanno sviluppato una forte e vivace competizione fra loro. Non ho incontrato partiti, ad esempio, perché quel Paese è ancora in una fase pre-politica, dove i parlamentari vengono eletti su basi di collegio claniche e territoriali; tuttavia, il fatto stesso che sia possibile incontrare liberamente il capo dell'opposizione è già un indicatore.
In Uzbekistan, invece, dove vige uno dei regimi più chiusi del pianeta, ho potuto incontrare un'unica donna esponente della società civile, Tamara Chikunova, presidente dell'associazione «Madri contro la pena di morte e la tortura». È una nota oppositrice del regime ed è stata spesso ospitata dalla comunità di Sant'Egidio; almeno in una di queste occasioni, qui a Roma, ho potuto rivederla. Lei è la madre di un uomo detenuto nel braccio della morte di un carcere uzbeko, in attesa di esecuzione, ed esponente di una società civile repressa e oppressa, ma che esiste. Quindi, ho ritenuto, come esponente di un Governo occidentale in visita, di incontrarla formalmente.
Il Tagikistan, dove ho incontrato il presidente Rahmon, è un Paese che, come sapete, esce da una sanguinosissima guerra civile. È un regime presidenziale nel quale vige il libero mercato; esiste piena libertà economica, ma sostanzialmente gli standard di qualità e di libertà politica sono bassissimi.
Il Turkmenistan è un Paese che merita qualche considerazione in più. In Turkmenistan, caso abbastanza eccezionale, si viene accolti da una statua in oro dell'ex dittatore Niyazov, alta 12 metri, che si muove seguendo il corso del sole. Vi do anche questa notizia turistica perché non so quanti altri Paesi al mondo possono offrire altrettanto! Niyazov era il segretario generale del partito comunista turkmeno - ora è morto ed ho incontrato il suo successore - ed ha trasformato il Paese in un regime dittatoriale in cui esisteva un culto assurdo della personalità. Infatti, ci sono centinaia di sue statue sparse nel Paese; ne ho viste alcune e


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quella dorata alta 12 metri colpisce, perché è nella piazza centrale della capitale.
Il suo successore, Berdymukhamedov - che è un dentista -, ha dato fortissimi e concreti segnali di apertura verso l'Europa, verso la NATO, verso l'Occidente, anche sul fronte dei rapporti energetici. Oggi, il Turkmenistan si sta aprendo fortemente all'Europa, anche offrendosi come alternativa nella geopolitica degli oleodotti. Mentre il Kazakistan veicola la propria energia attraverso la rete russa, da dove giunge poi all'Europa, il Turkmenistan ha totalmente aperto alle compagnie e, in questi giorni, ha sottoposto 26 giacimenti a BID, ovvero a gare internazionali per gruppi stranieri, dando in questo modo la possibilità di costruire un'alternativa di approvvigionamento. Il Turkmenistan ha siglato un accordo di partnership individuale con la NATO, mentre noi abbiamo siglato un accordo militare per il transito via terra degli approvvigionamenti ai nostri soldati a Herat, i quali, dunque, giungono con convogli militari italiani attraverso questo Paese. Si tratta, quindi, di uno Stato che, pur ereditando questa incredibile situazione di dittatura estrema, perpetrata da un presidente con uno spropositato culto della personalità, si sta ponendo molto positivamente verso l'esterno.
Anche il Turkmenistan ha abolito la pena di morte, votando la risoluzione di qualche settimana fa in Commissione; nel corso della visita nel mese di maggio, aveva preso, per la prima volta, l'impegno - mai dichiarato prima - di sostenere l'azione italiana ed europea sulla pena di morte. Ritengo che questi avvenimenti siano successi attribuibili alla nostra recente azione diplomatica.
In merito alle considerazioni più generali, onorevole Rivolta, la SCO nasce all'inizio dall'ambizione cinese di dar vita proprio ad una sorta di contraltare orientale alla NATO; in realtà, la presenza di Russia e Cina - due storici competitor geopolitici - ha un po' bloccato quell'impostazione, anche se sono in corso manovre militari da parte della SCO. Ho visitato sia la sede in Cina, sia gli uffici regionali; in particolare, a Tashkent, dove si trova l'ufficio antiterrorismo della SCO, con il quale abbiamo alcuni rapporti. Oggi è diventato sostanzialmente un esercizio economico-commerciale, ovvero un veicolo di consolidamento della penetrazione economica cinese nell'area e un luogo nel quale la Russia tenta di recuperare le posizioni perdute. Non credo che, al momento, sia più di quanto da me descritto.
Questi Paesi sono certamente molto diffidenti nei confronti del nuovo protagonismo russo perché, sebbene Mosca sia il loro primo partner, in molti casi hanno dovuto subirne il dominio per settant'anni. Indubbiamente, hanno anche ottenuto dei vantaggi dagli storici investimenti dell'Unione Sovietica, che hanno sicuramente alleviato le condizioni di arretratezza dei primi vent'anni del dopoguerra. Tuttavia, soffrono di certo la presenza russa e rivendicano, anche con un certo orgoglio, l'autonomia.
Questo mi fa dire che oggi questi Paesi sono luoghi nei quali l'Italia e l'Unione europea possono essere presenti, perché vi sono uno spazio geopolitico nonché forte attenzione e interesse nei nostri confronti. Mi è stato chiesto, inoltre, come intenda intervenire concretamente il nostro Governo. Col termine «concretamente» si intende una diversificazione del rapporto economico-commerciale, ovvero non solo energia, ma tutta la vasta gamma, dall'edilizia ai macchinari. Col termine «concretamente» si intende un avvicinamento politico e un miglioramento delle condizioni dei diritti e del processo democratico, perché il rapporto con l'Unione europea significa anche questo: progetti concreti, messi in cantiere da Unione europea e Italia per la formazione dei parlamenti e del loro processo di evoluzione democratica. Queste sono le posizioni dei cinque Paesi riguardo alla Russia, la Cina e l'Europa.
Per quanto riguarda Teheran, non enfatizzerei troppo l'iniziativa iraniana dell'incontro dei Paesi del Mar Caspio. L'Iran oggi è in un crescente isolamento internazionale e quello è stato un tentativo di uscirne. Oggi, Teheran ha annunciato di


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voler organizzare un altro incontro fra i Paesi delusi dalla Conferenza di Annapolis. Questi, a mio avviso, possono addirittura essere segnali «positivi», perché denotano la crisi di un regime. Non enfatizzerei, pertanto, un incontro regionale che ha anche un senso politico-economico. Voi sapete che è in atto una grande disputa sul Mar Caspio, non risolta; si tratta di stabilire se considerarlo un mare o un lago, perché in base alla sua definizione e all'applicazione delle convenzioni internazionali cambiano completamente i confini. Per capirci, è in gioco, sullo status giuridico del Mar Caspio, la definizione di «chi può estrarre cosa», cioè fino a dove arriva la possibilità del Kazakistan o del Turkmenistan o dell'Iran di considerarlo casa propria, e quindi di poter vendere le concessioni per la ricerca petrolifera, l'estrazione e via dicendo. Peraltro, la Conferenza si è bloccata senza fare passi in avanti, perché la questione non è stata risolta dal momento che ognuno di questi Paesi cerca, giustamente, di ottenere i massimi vantaggi. Se non erro, il Kazakistan conferma di utilizzare il corridoio russo come veicolo principale.
Confermo di intravedere segnali interessanti dal Turkmenistan. Come sapete, esiste un progetto, fortemente sostenuto dall'Europa ma anche dagli Stati Uniti d'America, che si chiama TCP (Trans-caspian pipeline) e che riguarda l'oleodotto che dal Turkmenistan dovrebbe portare gas e petrolio in Azerbaijan, per poi collegarsi al Baku-Ceyhan, l'oleodotto e gasdotto che, a sua volta, dall'Azerbaijan va direttamente al porto turco di Ceyhan, nel Mediterraneo. È evidente che questa è una rotta alternativa alla Russia; tuttavia, penso che sia utile, per un Paese come il nostro, che considera la sicurezza e l'approvvigionamento energetico una priorità, avere una pluralità di forniture, di approvvigionamenti e di intese che permettano di non avere eccessivi condizionamenti geopolitici nelle proprie forniture energetiche. Credo che questo sia un motivo in più per lavorare seriamente in quei Paesi e per fare di loro una priorità.
Ritengo che il tema dei diritti, sollevato dall'onorevole De Zulueta, faccia parte della nostra politica estera. Al di là delle chiacchiere e delle parole, abbiamo una dimensione etica anche molto concreta. Stiamo cercando di mettere a punto, ad esempio, l'uso di alcune risorse della cooperazione allo sviluppo per esperimenti di cooperazione allo sviluppo della democrazia, cioè di predisporre, anche con risorse pubbliche, programmi di aiuto e di sostegno al multipartitismo, alla formazione di funzionari della pubblica amministrazione e dei parlamenti. È una componente, a mio avviso, fondamentale della cooperazione di un Paese come il nostro, che dello Stato di diritto fa uno dei pilastri della propria politica estera.
Rispondo all'onorevole Azzolini, il quale mi chiedeva come pensiamo di strutturare il nostro intervento. Noi abbiamo concluso la Conferenza con l'impegno di rivederci da lì a un anno. I seguiti di questo incontro sono molto operativi, perché dopo la Conferenza del 10 settembre c'è stata la missione di Prodi in Kazakistan e abbiamo promosso la costituzione di commissioni miste.
Durante la mia missione, ho firmato molti accordi, di cui alcuni prettamente politici; col Kirghizistan, il Turkmenistan e l'Uzbekistan abbiamo firmato protocolli di cooperazione fra i rispettivi Ministeri degli affari esteri, che sono sostanzialmente scambi a livello di direzione generale, di senior official, di alti dirigenti, ma anche scambi politici, consultazioni politiche permanenti, a turno nelle rispettive sedi e a più livelli (ministro, viceministro e via dicendo).
Col Tagikistan abbiamo firmato un accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnologica; stiamo mettendo a punto con l'Uzbekistan un accordo simile, nel quale è prevista anche la ricca presenza di università italiane. L'Uzbekistan è il Paese più interessante dal punto di vista storico e archeologico (Samarcanda, Bukhara, Khiva), e abbiamo una presenza di nostri dipartimenti anche in loco. Stiamo realizzando un'attività di cooperazione interuniversitaria tra alcuni politecnici italiani e


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il Kazakistan, per istituire una facoltà sull'ingegneria del gas e del petrolio, innanzitutto presso i Politecnici di Torino e di Milano. Pertanto, possiamo dire che i seguiti operativi di quella Conferenza sono molti e concreti.
Tra qualche giorno presiederò una riunione tra vari ministeri italiani sul tema del rapporto con l'Asia centrale, proprio per dare concretezza a questa azione diplomatica nuova e molto attiva. L'idea è quella di trasformare la Conferenza e questa nuova e attiva azione diplomatica, non tanto in un'organizzazione, quanto in uno strumento bilaterale - che potrebbe chiamarsi «dialogo fra Asia centrale e Italia» - in grado di dare presenza e continuità ai nostri rapporti. Sicuramente siamo membri fondamentali dell'Unione europea, ma tale dialogo ci risulta anche utile per una presenza bilaterale strutturata.
Nei prossimi mesi metteremo in cantiere un'iniziativa sul modello giapponese, quindi una sorta di Central Asia plus Italy dialog; non proprio una struttura, ma qualcosa che preveda un piccolo segretariato, obbligo di scambi e un sistema di relazioni consolidato e strutturato. Una volta all'anno, i sei ministri degli esteri si riuniranno, un anno in Italia, l'anno dopo in una delle altre cinque capitali, quindi all'interno di una forma strutturata di dialogo. Essendo una zona di grande libertà d'azione, noi riteniamo molto utile intervenire.

PRESIDENTE. La ringraziamo molto, sottosegretario, perché abbiamo trattato una delle questioni cruciali e strategiche del nostro tempo, quale le relazioni tra Europa, Italia e Asia centrale. Torneremo a discuterne.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.