COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) - XIV (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) - 14a (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 13 dicembre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XIV COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCA BIMBI

La seduta comincia alle 14,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Comunicazioni del Governo sul Consiglio europeo del 14-15 dicembre 2006.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni del Governo sul Consiglio europeo del 14-15 dicembre 2006. Avverto che le comunicazioni di oggi sono rese anche ai fini dell'articolo 3, comma 5, della legge n. 11 del 4 febbraio 2005.
Le comunicazioni del Governo intervengono in una fase importante, che coincide con la fine del semestre finlandese, di cambiamenti e di scenari rilevanti per l'Europa come per la politica estera del nostro paese.
Do la parola al sottosegretario di Stato Famiano Crucianelli, in rappresentanza del Governo.

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario per gli affari esteri. Signori presidenti, onorevoli colleghi, il Consiglio europeo che si apre domani a Bruxelles si concentrerà su quattro grandi temi: l'allargamento; le tematiche di giustizia, libertà e sicurezza, con particolare riferimento alle questioni migratorie; l'innovazione, l'energia e i cambiamenti climatici; le principali questioni dell'attualità internazionale.
Il vertice si svolge a sei mesi dal Consiglio europeo di giugno, che aveva deciso di adottare un duplice approccio: da un lato, si vogliono sfruttare le possibilità offerte dai trattati esistenti per produrre risultati attesi dai cittadini (Europa dei progetti e dei risultati, come si è ripetuto più volte); dall'altro, è stato delineato un percorso che, sia pure con alcune ambiguità di linguaggio, dovrebbe permettere di individuare i termini per definire la questione costituzionale.
Per quanto riguarda l'Europa dei risultati, il vertice informale dei Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea, svoltosi a Lahti il 20 ottobre scorso, ha fatto registrare dei progressi nei settori dell'innovazione, della politica energetica europea e della politica dell'immigrazione. Questi stessi temi saranno quindi oggetto di discussione al Consiglio europeo, assieme alle principali questioni di rilevanza internazionale e alla strategia di allargamento.
Futuro dell'Europa: per quanto riguarda la questione costituzionale, la presidenza finlandese riferirà ai Capi di Stato e di Governo sulle consultazioni bilaterali avute negli scorsi mesi con gli Stati membri, in vista delle decisioni che dovranno essere prese sotto la presidenza tedesca.
Non è questo il momento di nuove decisioni operative sulla procedura da seguire per il rilancio del processo costituzionale, in quanto queste sono state affidate dal Consiglio europeo del giugno scorso alla prossima presidenza tedesca, la quale dovrà presentare un rapporto nel giugno 2007.


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Riteniamo importante che il vertice ricordi anche la decisione dell'Unione di adottare una dichiarazione politica solenne, il 25 marzo prossimo, per riaffermare i valori e le ambizioni del processo di integrazione europea. Dal Consiglio europeo dovrebbe quindi uscire un messaggio circa la comune volontà di rilanciare il processo di riforma istituzionale.
Allargamento: i Capi di Stato e di Governo discuteranno della strategia dell'allargamento, con particolare riguardo alla capacità dell'Unione europea di integrare i nuovi Stati membri. Le conclusioni faranno anche stato della specifica situazione del processo di adesione della Turchia e della Croazia, nonché della prospettiva europea dei paesi dei Balcani occidentali, siano essi candidati o candidati potenziali all'adesione all'Unione.
Al Consiglio affari generali e relazioni esterne dell'11 dicembre è stato raggiunto un compromesso sul negoziato di adesione della Turchia e sulla questione di Cipro, a conclusione di un dibattito complesso e difficile. Il Consiglio era infatti chiamato ad un delicato esercizio, quello di trarre, sulla base delle raccomandazioni della Commissione del 29 novembre scorso, le inevitabili conseguenze sul piano del negoziato di adesione, a seguito delle inadempienze turche per quanto riguarda il protocollo addizionale di Ankara, e, al tempo stesso, evitare uno scenario di crisi nei rapporti tra Turchia e Unione. Occorreva, in sintesi, far sì che l'inevitabile rallentamento del processo di adesione non si trasformasse in una paralisi del negoziato.
Il messaggio emerso dal Consiglio ci sembra chiaro e fermo, ma anche opportunamente bilanciato per tenere conto dei complessi elementi della questione. A ciò ha contribuito in maniera determinante l'azione svolta dall'Italia, insieme ad altre delegazioni, con il sostegno della presidenza e della Commissione.
Le conclusioni del Consiglio riprendono nella sostanza le proposte della Commissione e si articolano in tre documenti: un testo di conclusione sulla Turchia e gli altri paesi candidati, che sarà ripreso dal Consiglio europeo; una dichiarazione della presidenza sugli sforzi per una soluzione complessiva della questione di Cipro, sotto l'egida delle Nazioni Unite; le conclusioni del Consiglio sull'attuazione delle conclusioni del Consiglio dell'aprile 2004, concernenti lo sviluppo economico della comunità turco-cipriota. Come aveva chiesto anche l'Italia, sono stati così affrontati tutti gli elementi della complessa questione.
Per quanto riguarda il processo di adesione della Turchia, il Consiglio ha innanzitutto lanciato, come era inevitabile, un segnale deciso ad Ankara, circa l'esigenza di dare adempimento ai suoi obblighi, nel quadro del protocollo di Ankara. Tale segnale si traduce nel congelamento di otto capitoli del negoziato di adesione e nella non chiusura degli altri capitoli fino a quando la Turchia non rispetterà i suoi obblighi verso l'Unione.
Tuttavia, come aveva chiesto anche l'Italia, non è stata prevista una clausola di rendez-vous: non è stata cioè indicata una scadenza per adempimenti turchi. Pertanto, nel momento in cui la Commissione dovesse confermare il rispetto, da parte della Turchia, degli impegni assunti, il negoziato potrà riprendere nella sua interezza, senza ulteriori adempimenti da parte del Consiglio.
Il Consiglio ha invitato la Commissione a fare stato dei progressi compiuti dalla Turchia nei prossimi rapporti annuali sull'allargamento, ad iniziare da quello che verrà presentato nell'autunno 2007, ed ha auspicato di poter verificare rapidi progressi su tali questioni.
Il punto politico essenziale è quindi che l'auspicato pieno rilancio del processo negoziale con la Turchia avverrà non appena le condizioni lo consentiranno. Il negoziato di adesione, anche se rallentato e amputato temporaneamente di alcuni capitoli, continua quindi in conformità con il quadro negoziale.
Già nei prossimi giorni dovrebbe essere possibile portare avanti il processo di screening, propedeutico all'eventuale apertura


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dei capitoli negoziali che non sono stati congelati, e che era stato bloccato negli ultimi mesi.
L'Italia resta pienamente convinta dell'importanza politica di continuare il negoziato di adesione, che rappresenta un interesse strategico per l'Unione europea ed uno stimolo essenziale per Ankara a consolidare le riforme già avviate e adempiere a tutte le condizioni - comprese quelle più rigorose - per l'adesione.
L'Unione dovrà perseguire con coerenza e continuità la politica della porta aperta. Dobbiamo essere fermi nel richiedere che le riforme turche avanzino con decisione; al tempo stesso, bisogna respingere ogni ripensamento sulla prospettiva di adesione della Turchia, che potrebbe diffondere sempre di più la percezione che l'Unione voglia chiudersi in sé stessa, contribuendo ad acuire le differenze esistenti fra occidente e mondo islamico.
Altro aspetto importante del compromesso raggiunto lunedì scorso dal Consiglio è il richiamo agli impegni assunti nel 2004 dall'Unione per porre fine all'isolamento della comunità turco-cipriota, che prevedono, fra l'altro, l'adozione di un progetto di regolamento sul commercio diretto con Cipro nord.
Il Consiglio ha raggiunto un accordo politico per l'adozione, nei prossimi giorni, di un documento su questo tema. Viene così ribadito il nesso fra il rispetto degli obblighi giuridici assunti dalla Turchia con il protocollo di Ankara e l'impegno politico dell'Unione a porre fine all'isolamento di Cipro nord, che era stato, nelle settimane scorse, alla base del tentativo di mediazione portato avanti dalla presidenza finlandese.
Siamo infatti convinti che l'approccio che era alla base di tale tentativo di mediazione rimanga quello giusto. È nell'interesse dell'Unione continuare a favorire un compromesso sulla questione di Cipro, basato su concessioni reciproche che consentano, da un lato, l'attuazione del protocollo di Ankara e, dall'altro, il rispetto da parte dell'Unione dell'impegno politico assunto a suo tempo di porre fine all'isolamento di Cipro nord, con la conseguente adozione del regolamento sul commercio diretto.
A completamento di questo quadro, la presidenza finlandese ha pubblicato una dichiarazione con cui sostiene pienamente gli sforzi del Segretariato generale delle Nazioni Unite, per riprendere i negoziati destinati a trovare una soluzione globale della questione di Cipro. È necessario che i lavori preparatori riprendano al più presto e che le due comunità collaborino pienamente con la missione di buoni uffici del Segretario generale.
L'Italia ha altresì incoraggiato la presidenza a valorizzare e ad approfondire le proposte avanzate dalla Turchia nei giorni scorsi, che riguardano l'apertura di un porto e di un aeroporto al commercio diretto con Cipro, che potrebbero rappresentare un elemento importante per rilanciare il tentativo di mediazione che si era concluso a fine novembre senza giungere a dei risultati.
L'accordo sulla Turchia raggiunto dal Consiglio dovrebbe consentire al vertice di domani di concentrarsi sulla strategia generale dell'allargamento, con l'adozione di quello che viene chiamato un renewed consensus on enlargement, sulla base del rapporto presentato dalla Commissione l'8 novembre scorso, dedicato alla capacità di integrazione dell'Unione.
L'impostazione della Commissione è sostanzialmente condivisa da parte italiana. L'Unione dovrà gestire con rigore i futuri passi del processo di allargamento, sulla base di un approccio strategico di lungo periodo fondato sulle tre linee-guida del consolidamento, della condizionalità e della comunicazione.
La capacità di integrazione dell'Unione - termine che preferiamo a quello di assorbimento - viene posta al centro della strategia per l'allargamento e attorno ad essa si intende costruire un nuovo consenso europeo. La capacità di integrazione è un concetto fattuale e non geografico. L'Unione europea è infatti, prima di tutto, una comunità di valori. Non si tratta nemmeno di un concetto del tutto nuovo, in quanto è stato presente già nei precedenti


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allagamenti dell'Unione. La capacità di integrazione viene determinata, da un lato, dalla capacità dell'Unione europea di mantenere e rafforzare il processo di integrazione, e dall'altro dal rigoroso rispetto delle condizionalità e, quindi, dalla garanzia che i candidati siano in grado di assumere pienamente gli obblighi derivanti dall'adesione.
Sotto il primo aspetto, sono rilevanti le istituzioni. L'Unione europea deve dotarsi di un nuovo assetto istituzionale prima di poter accogliere nuovi Stati membri. Per le politiche, occorre valutare l'impatto dei futuri allagamenti, con particolare riferimento all'impatto sulla PAC e sui fondi strutturali e il bilancio.
Altrettanto importante è il secondo aspetto, la condizionalità. In futuro sarà necessario proseguire l'esame rigoroso del rispetto dei criteri di adesione.
La strategia dell'allargamento deve, comunque, continuare ad essere basata sui criteri politici ed economici stabiliti dal Consiglio europeo di Copenhagen del 1993. Pertanto, la capacità di integrazione rappresenta un elemento importante, ma non deve diventare un'ulteriore condizione per i futuri allargamenti.
Occorre rimanere coerenti con quello che è stato sinora lo sviluppo della costruzione europea, che ha saputo coniugare, nella sua storia, la capacità di espandersi con l'approfondimento della sua dimensione istituzionale e politica.
Auspichiamo, quindi, che il Consiglio europeo confermi l'impostazione strategica della politica dell'allargamento - aperta, ma al tempo stesso rigorosa -, ribadisca che la capacità di integrazione rappresenta un elemento importante, ma non condizionale, e quindi confermi in maniera chiara la concreta prospettiva europea per la Croazia, la Turchia e i paesi dei Balcani occidentali.
Nel contesto del dibattito sull'allargamento, l'Italia intende avviare al vertice una seria riflessione sulla realizzazione della prospettiva europea per i Balcani occidentali e, in particolare, sulla relazione con la Serbia. Riteniamo essenziale garantire che, attraverso una chiara prospettiva europea, i paesi dei Balcani occidentali possano consolidare i progressi sulla via delle riforme attuati negli ultimi anni. Ciò è possibile solo se l'Europa dimostrerà con i fatti che intende rispettare gli impegni assunti al vertice di Salonicco del 2003.
A questo proposito, il presidente Prodi ha inviato, nei giorni scorsi, una lettera ai suoi omologhi europei per illustrare il nostro approccio. Egli intende discuterne al Consiglio europeo, in vista di un'iniziativa politica forte sulla regione. Per tradizione politica, collocazione geografica e affinità culturali, l'Europa guarda ai Balcani con attenzione prioritaria.
L'Unione europea è impegnata in ogni comparto per sostenere il consolidamento delle istituzioni democratiche e la transizione verso sistemi economici di libero mercato. La realizzazione di un assetto equilibrato della regione costituisce un elemento essenziale di un più ampio disegno di stabilizzazione complessiva del continente, e l'Italia è in prima fila nel sostenere questo impegno.
Dobbiamo ricordare che l'ancoraggio definitivo dei paesi balcanici all'Unione europea non è solo nel loro interesse, ma anche nel nostro. È bene, quindi, aiutare le autorità di questi paesi a rimanere impegnati nell'attuazione dell'agenda europea.
Per mantenere viva la prospettiva europea dei Balcani è necessario che l'Europa dimostri con i fatti di tenere fede agli impegni assunti. In sostanza, si tratta di fornire incentivi concreti e di ribadire che le porte dell'Unione europea rimangono aperte per quei paesi che rispettino le condizionalità previste dai criteri di Copenhagen e dal processo di stabilizzazione e di associazione.
Area di libertà, sicurezza e giustizia: la costruzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia rappresenta ormai una priorità dell'Unione europea. L'Italia favorisce una prospettiva europea in tali settori ed è pronta a fornire il suo contributo.
Il Consiglio europeo si occuperà in particolare di tre aspetti: la revisione del


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programma dell'Aja, l'immigrazione e l'allargamento dell'area Schengen ai nuovi Stati membri.
Il dibattito sulla revisione del programma dell'Aja, che stabilisce le linee principali dell'azione europea nel settore giustizia e affari interni per il periodo 2004-2009, si è incentrato in quest'ultimo semestre sulla possibilità di migliorare il processo decisionale sulla cooperazione giudiziaria e penale e di polizia, promuovendo l'adozione del cosiddetto metodo comunitario in tale settore. Ciò implicherebbe un sistema di voto in Consiglio basato sulla maggioranza qualificata, anziché sull'unanimità, e maggiori competenze del Parlamento europeo e della Corte di giustizia.
Sono, tuttavia, emerse notevoli resistenze da parte di vari Stati membri, secondo i quali l'opera di rafforzamento della cooperazione operativa in tale settore deve proseguire, per il momento, nel quadro degli attuali meccanismi decisionali. Da parte italiana, pur condividendo la necessità di snellire le procedure dell'Unione per raggiungere più efficaci risultati in materia, riteniamo comunque opportuna un'opera di consolidamento del consenso comunitario su tale decisivo argomento, tenendo presente, allo stesso tempo, che l'obiettivo principale - anche in questo settore - deve restare quello di preservare i contenuti del Trattato costituzionale, che offre soluzioni univoche e coerenti sull'insieme del processo di integrazione. Per tale motivo consideriamo auspicabile un ulteriore approfondimento in sede europea, in un quadro generale che veda ben presenti anche le prospettive aperte dal Trattato costituzionale.
L'immigrazione sarà uno dei temi principali dell'agenda del Consiglio europeo. Infatti le dimensioni assunte di recente dal fenomeno, anche a seguito delle ripetute emergenze del Mediterraneo, hanno dimostrato che si tratta di un problema europeo, verso il quale l'Unione deve agire con determinazione e compattezza, per poter passare dall'emergenza alla gestione, dalle conseguenze alle cause.
Si tratta di temi che nel settembre scorso abbiamo fatto oggetto di una lettera congiunta alla Presidenza e alla Commissione, di cui l'Italia aveva assunto l'iniziativa, da parte dei Capi di Stato e di Governo degli otto paesi mediterranei dell'Unione. Auspichiamo, quindi, che il vertice registri la necessità di un salto di qualità sull'immigrazione, varando ulteriori iniziative, nel quadro dell'approccio globale alla gestione delle migrazioni, sul fronte dell'integrazione dell'immigrazione sia legale sia illegale, all'insegna della cooperazione con gli Stati terzi e della solidarietà intra-europea.
Di fronte all'estendersi del fenomeno migratorio, l'Europa non può chiudersi su se stessa; deve piuttosto conciliare sicurezza e sviluppo, in un quadro che tenga conto degli interessi dei paesi di origine e destino, nonché della dignità dei migranti. Di qui la necessità, secondo il Governo, di elaborare una specifica politica di gestione dell'immigrazione legale, che riduca le ragioni stesse dei flussi clandestini, di rilanciare il dialogo interculturale nei processi di integrazione, di assicurare coerenza tra politiche di sviluppo e politiche migratorie, di rafforzare il dialogo politico con gli Stati di origine e di transito dei flussi migratori, coinvolgendoli anche nelle attività di controllo delle frontiere esterne, di stanziare adeguate risorse finanziarie per sostenere un'efficace azione di lungo periodo.
Su queste linee, tendenti ad innalzare il profilo europeo nel settore delle migrazioni, si è sviluppato l'impegno italiano, anche d'intesa con gli altri partners mediterranei dell'Unione.
La Commissione, che presenterà al Consiglio due comunicazioni, una sui seguiti dell'approccio globale e l'altra sul rafforzamento della frontiera marittima meridionale, condivide tale impostazione.
In tale quadro, gli esiti della riunione ministeriale Unione europea-Africa di Tripoli del 22-23 novembre scorso, su migrazione e sviluppo, rappresentano un primo importante risultato politico, in quanto


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definiscono una piattaforma condivisa tra Europa e Africa, su cui costruire un solido e fruttuoso partenariato.
Il Consiglio europeo prenderà infine in esame le modalità con cui procedere all'allargamento dell'area Schengen ai nuovi Stati membri, eliminando i relativi controlli alle frontiere interne.
Da parte italiana riteniamo importante centrare l'obiettivo politico dell'accesso dei nuovi Stati membri all'area Schengen, complemento indispensabile del diritto alla libera circolazione dei loro cittadini e manifestazione tangibile di uno principali benefici derivanti dall'appartenenza all'Unione europea.
Strategie di innovazione: in materia di innovazione, sulla base delle comunicazioni della Commissione e a seguito del dibattito tenutosi a Lahti fra i Capi di Stato e di Governo, il Consiglio competitività ha adottato il 4 dicembre un programma sull'innovazione che prevede una serie di azioni prioritarie, nel quadro della strategia di Lisbona.
Il Consiglio europeo non sarà, pertanto, chiamato a prendere decisioni, ma a ribadire al massimo livello l'impegno dell'Unione europea a perseguire una strategia fondamentale per accrescere in modo permanente il tasso potenziale di crescita dell'economia europea.
Le priorità più significative, che saranno al centro dei lavori delle istituzioni comunitarie nei prossimi mesi, sono: i brevetti, l'Istituto europeo di tecnologia e le iniziative tecnologiche congiunte. Sui brevetti, dopo lo stallo verificatosi nel 2003, è ripreso negli scorsi mesi il dibattito, in particolare con riferimento alla tutela giurisdizionale degli stessi. Su questo punto il Consiglio europeo inviterà la Commissione a presentare sollecitamente l'anno prossimo una comunicazione, nel quadro di una strategia globale sui diritti di proprietà intellettuale.
Il Consiglio europeo inviterà Consiglio e Commissione ad agire rapidamente sulla proposta di creazione di un Istituto europeo di tecnologia, che dovrebbe favorire i collegamenti tra il mondo della ricerca e il sistema produttivo, tramite una serie di reti sparse sul territorio europeo, comprendenti università, centri di ricerca, imprese, sulla base dell'eccellenza, in settori strategici interdisciplinari.
La Commissione verrà inoltre invitata a presentare proposte per il lancio, nel 2007, delle iniziative tecnologiche congiunte, che hanno raggiunto un adeguato stato di preparazione.
Il vertice si occuperà poi del rafforzamento dei sistemi di standardizzazione e dello sviluppo delle tecnologie dell'informazione e comunicazione, in vista di un approccio coordinato tra gli Stati membri per l'utilizzo dello spettro radio.
Il vertice terrà anche presente il mercato del lavoro, esprimerà il suo sostegno all'azione dei partners sociali per un approccio globale, capace di coniugare flessibilità e sicurezza, sottolineerà inoltre l'esigenza di riprendere il negoziato sulla direttiva orario di lavoro.
Il presidente Prodi ha trasmesso al presidente Barroso e agli altri colleghi degli Stati membri un non paper che esplicita la nostra visione e le nostre priorità, sottolineando come nel definire le politiche per l'innovazione non sia sufficiente fare da soli, ma occorre anche lavorare e confrontarsi con il resto del mondo.
Energia e cambiamenti climatici: anche in materia di energia il Consiglio europeo sarà chiamato a fare il punto, sulla base dei progressi significativi realizzati nel corso dell'anno e in vista delle prossime importanti scadenze sotto presidenza tedesca. Mi riferisco, in particolare, all'adozione di un piano d'azione globale - comprendente sia gli aspetti interni che esterni della politica energetica - da parte del Consiglio europeo della primavera prossima.
I Capi di Stato e di Governo confermeranno, pertanto, l'impegno a lavorare per la sicurezza a lungo termine degli approvvigionamenti, per la realizzazione di un mercato interno interconnesso, trasparente e non discriminatorio, per l'estensione dei principi del mercato interno


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ai paesi vicini, per lo sviluppo delle energie rinnovabili, efficienza e risparmio energetico.
Il Consiglio europeo approverà, inoltre, la creazione di una rete di corrispondenti europei dell'energia, con funzione di osservatorio e allerta preventiva sui rischi per l'approvvigionamento energetico.
Il vertice sottolineerà anche il forte collegamento della politica energetica con le politiche di contrasto ai cambiamenti climatici, in quanto sicurezza energetica e sicurezza ambientale sono strettamente interdipendenti.
Fra le scadenze più importanti vi è la revisione della direttiva sullo scambio di immissioni per il periodo che inizierà nel 2013. In tale ottica, il Consiglio europeo ribadirà che la lotta ai cambiamenti climatici è un problema globale, che richiede soluzioni globali.
Il Consiglio europeo del marzo 2007 sarà chiamato a valutare le opzioni per un accordo globale sul periodo post-2012, coerente con l'obiettivo di un incremento massimo di due gradi della temperatura terrestre rispetto ai livelli preindustriali.
Anche sull'energia il presidente Prodi ha trasmesso al presidente Barroso e agli altri Capi di Governo un non paper che definisce la nostra visione e l'importanza che l'Italia attribuisce alla realizzazione di un'autentica politica energetica di dimensione europea, fondata sul completamento del mercato interno e sul dialogo con i paesi terzi.
Relazioni esterne: sotto il profilo delle relazioni esterne, il Consiglio europeo dovrà trarre un primo bilancio del lavoro svolto nel primo anno di attuazione della strategia europea per l'Africa. Si tratta di una significativa tappa di avvicinamento al vertice euro-africano, previsto nel secondo semestre del prossimo anno, sotto presidenza portoghese, a Lisbona. Tale vertice, dopo la prima edizione del Cairo del 2001, è un appuntamento da lungo tempo atteso, che potrebbe aiutarci a condividere con questi importanti paesi partners dell'Unione gli obiettivi strategici contenuti nel nostro documento, che potrebbero ora ampliarsi anche ai temi dell'immigrazione e dei cambiamenti climatici.
Ovviamente, non verranno trascurati i temi specifici delle maggiori aree di crisi, a cominciare dal Sudan. È essenziale che il Governo di Khartoum consenta l'attuazione delle iniziative di sostegno delle Nazioni Unite e alle missioni dell'Unione Africana per il Darfur.
In questo quadro, intendiamo sottolineare l'esigenza che il dialogo fra le componenti della popolazione in quella regione continui a rappresentare un necessario completamento dell'accordo di pace, che resta il principale punto di riferimento per un credibile processo politico, teso a risolvere il conflitto.
Anche la situazione della Repubblica democratica del Congo sarà oggetto di esame, all'indomani del completamento del lungo e delicato processo che ha condotto - come conseguenza del positivo svolgimento delle recenti elezioni politiche - all'insediamento del nuovo governo a Kinshasa. L'impegno dell'Unione è stato particolarmente rilevante. Il Consiglio europeo valuterà ipotesi di prosecuzione di questi sforzi, mediante un più ampio coordinamento delle attività di sostegno alle riforme nel settore della sicurezza, in cooperazione con le Nazioni Unite.
Sulla Somalia, i Capi di Stato e di Governo rinnoveranno il sostegno dell'Unione alle istituzioni federali transitorie, nell'intento di promuovere soluzioni, innanzitutto politiche, alla crisi pluridecennale del paese, mediante un dialogo aperto anche all'Unione delle Corti islamiche.
In questo contesto, verranno sottolineate le particolari responsabilità sui paesi della regione, sia attivamente, appoggiando la ricerca di una soluzione pacifica, sia astenendosi da iniziative suscettibili di portare alla violazione dell'embargo sulle armi e complicare le prospettive di un cessate il fuoco duraturo.
Per quanto riguarda i tempi del Medio Oriente, le difficoltà nel far progredire il processo di pace saranno al centro del dibattito. Il primo passo resta la necessità


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di pervenire ad una cessazione delle ostilità duratura e basata sull'avvio del dialogo tra israeliani e palestinesi.
Verrà rinnovato il sostegno europeo per gli sforzi del presidente Abbas di formare un governo di unità nazionale che riconosca i principi del Quartetto, pur nella consapevolezza dell'obiettiva difficoltà di questo progetto.
In tale contesto verrà ribadita la disponibilità a continuare a fornire concreto supporto, anche attraverso gli appropriati meccanismi finanziari, alla popolazione palestinese.
L'Unione europea proseguirà anche il proprio impegno - attraverso le missioni internazionali già attive nella regione - per contribuire a promuovere un contesto di stabilità e sicurezza, quale necessaria condizione per lo sviluppo del dialogo.
Il rilascio dei prigionieri, la riapertura dei valichi di frontiera, lo scongelamento delle percezioni doganali da parte di Israele, sono tutti passi che potranno contribuire a ristabilire relazioni più costruttive e a rilanciare la pista negoziale che si dovrà sviluppare lungo la direttrice segnata dalla road map.
Vi sarà poi un'espressione di forte preoccupazione per la situazione in Libano, la cui sovranità, indipendenza ed integrità territoriale stanno molto a cuore all'Unione europea. Verrà confermato il forte sostegno europeo al Governo del Primo ministro Siniora e agli sforzi in atto per risolvere l'attuale impasse con metodi democratici, e vi sarà un'espressione di ferma condanna per l'assassinio del ministro Gemayel.
Si ribadirà il sostegno per l'azione di stabilizzazione dell'ONU, attraverso l'UNIFIL, e si menzionerà l'importanza della ricostruzione del paese.
Ci si attende anche un appello alla Siria, perché agevoli la ricerca di una soluzione pacifica, nell'ottica della promozione di un quadro di stabilità a lungo termine.
Per quanto riguarda infine l'Iran, si prenderà atto del lavoro in corso in seno al Consiglio di sicurezza per pervenire all'elaborazione di un testo di risoluzione sulle sanzioni, che concili il riconoscimento del diritto dell'Iran di sviluppare la tecnologia nucleare a fini pacifici con le esigenze di rispetto e controllo degli impegni di non proliferazione nucleare. Si esprimerà preoccupazione anche per la situazione dei diritti umani nel paese e si ricorderanno le responsabilità dell'Iran di contribuire al mantenimento di un contesto di stabilità a livello regionale.
Per quanto riguarda l'Afghanistan, ove l'Unione europea già ora svolge un ruolo importante, in materia di assistenza e rafforzamento dello Stato di diritto, si esprimerà l'intendimento di estendere l'attività anche ai settori dello sviluppo rurale e della sanità.
È inoltre allo studio l'avvio di una possibile operazione PESD in materia di assistenza alla polizia.
Resta tuttavia essenziale che queste attività si inseriscano in un quadro di cooperazione regionale e, soprattutto, nel contesto di una rinnovata strategia della comunità internazionale.
Si toccherà infine la complessa tematica del Kosovo, la determinazione del suo futuro status, nell'ottica delle importanti decisioni che dovranno essere prese all'inizio del prossimo anno.
La realizzazione di una società multietnica, fondata sullo Stato di diritto e che dia a tutti i cittadini garanzie adeguate, costituisce l'obiettivo a cui l'Unione sarà chiamata direttamente a contribuire nel corso del 2007, con quella che si preannuncia come la più importante missione civile finora lanciata nel quadro della politica estera e di sicurezza e di difesa dell'Unione europea.

PRESIDENTE. Ringraziamo il rappresentante del Governo e apriamo il dibattito. Credo che siamo tutti molto consapevoli dell'importanza della crescita dei ruoli dei Parlamenti nazionali in questa delicata fase di crescita dell'Unione europea. Come ha scritto il collega Manzella, che oggi non ha potuto essere presente, la renna finlandese ci ha portato il dono della ratifica del Trattato costituzionale. Questa ci pare un'assunzione di responsabilità


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molto importante. Abbiamo condiviso con il presidente della Grande Commissione finlandese per gli affari europei, Jari Vilen, questa soddisfazione nell'ultimo incontro della COSAC.
La relazione del sottosegretario Crucianelli ci mostra che l'Unione europea non è un dato di fatto, ma un orizzonte di valori e una serie di progetti in costruzione, speriamo anche in convergenza. Del resto, come ha scritto autorevolmente in questi giorni un pensatore importante come Ulrich Bech, l'Europa esiste in quanto processo di autoeuropeizzazione, nel quale credo siamo tutti coinvolti.
Abbiamo a disposizione circa tre minuti per intervento, poiché a seguire le quattro Commissioni hanno impegni abbastanza pressanti.
Do ora la parola ai senatori e ai deputati che intendano formulare domande o chiedere chiarimenti.

GIULIO ANDREOTTI. L'interessante relazione del sottosegretario Crucianelli dimostra che c'è un male inguaribile nella Comunità: nelle riunioni - in questo caso la riunione del Consiglio europeo - ci si occupa di tutto, il che produce comunicati di più pagine che nessun giornale riporta; quindi, continuiamo in questa specie di impotentia coeundi con l'opinione pubblica internazionale.
Utilizzando i due minuti che mi restano, vorrei dire che cosa si dovrebbe fare, secondo me, in questo caso. In primo luogo, si dovrebbe tener conto che il cinquantenario che ricorre a marzo non deve essere una sagra o una retorica. Bisognerebbe impostarlo su un argomento, in modo da poterlo vivificare e renderne partecipe l'opinione pubblica.
In secondo luogo, si dovrebbe mettere allo studio un rapporto dell'Unione con l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, in quanto ci sono terreni comuni (l'idea mi è venuta in mente l'altro giorno, mentre studiavo lo status del Tirolo del nord, perché volevo verificare se in fondo i tirolesi del nord hanno più opportunità dei tirolesi del sud). Ho pensato a come sarebbe operativo un approfondimento di questo rapporto, perché la piattaforma del 1975, poi rinnovata nel trattato del 1990, fu veramente valida.
Infine, ho visto che si pone l'accento sulla cooperazione tecnologica. C'è un progetto specifico che l'Unione aveva cominciato a studiare quando ancora si chiamava addirittura Comunità, ed era quello della fusione nucleare. Vorrei sapere se questo progetto va avanti. Scusate la concretezza, ma ho tanta paura che questa nostra corteccia europea qualche volta finisca col nascondere il vuoto.

GUSTAVO SELVA. Il ruolo del Parlamento indubbiamente può essere valorizzato anche sulla base della conoscenza. Ha ragione il presidente Andreotti quando dice che, in questi incontri che vengono organizzati, si mettono insieme troppe cose. Io voglio limitarmi a sottolineare due questioni: Balcani occidentali e Turchia.
Per quanto riguarda la questione dei Balcani occidentali, l'Italia ha in mano una carta formidabile - ho avuto occasione di partecipare a una missione, come Commissione difesa, la settimana scorsa - costituita dall'opera svolta in Bosnia dai nostri Carabinieri. È stata costituita una international police unit a cui l'Italia partecipa con il 50 per cento del contingente, mentre il restante 50 per cento è suddiviso tra 34 paesi. Di questo in Italia - a cominciare da chi vi parla - non si conosce assolutamente nulla.
Il risultato ottenuto è uno stato di sicurezza accertato, abbastanza tranquillizzante. C'è ancora un forte pericolo di infiltrazione di elementi islamici estremisti. Dall'Arabia Saudita, e forse dall'Afghanistan, stanno arrivando dei soggetti - probabilmente talvolta in forma di investitori - dei quali i nostri servizi di sicurezza devono cominciare a preoccuparsi.
Credo che queste siano materie delle quali il Governo, quando partecipa al Consiglio europeo, deve occuparsi. Come sapete, Croazia, Albania, Macedonia aspirano a diventare membri tanto dell'Alleanza atlantica che dell'Unione europea.


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Per quanto riguarda l'Alleanza atlantica, stanno già adattando - soprattutto i tre paesi che ho ricordato prima, e in Albania anche con il nostro intervento operativo - strutture e strategie agli standard dell'Alleanza. Questo è il prodromo per completare l'integrazione euro-occidentale americana in quell'area, in cui sforzi di introduzione della libertà si sono messi in atto anche in virtù della nostra presenza.
Quella del Kosovo è una questione complessa, che però oggi attende un evento, le elezioni del 21 gennaio prossimo in Serbia. Se dovessero vincere le forze radicali ed estremiste, ho l'impressione che la situazione, tanto in Serbia quanto in Kosovo, diventerà molto complessa.
Naturalmente non sta a noi interferire con prese di posizione, ma cercare di aiutare sia la Serbia - sperando che l'alleanza attuale possa trovare la conferma del popolo - sia il Kosovo ad abbandonare richieste estremiste e ultimative. Credo che per il Kosovo siamo ancora nella fase di qualche cosa di più della semplice autonomia amministrativa e di qualche cosa di meno della semplice indipendenza politica.

GIANLUCA PINI. Innanzitutto vorrei stigmatizzare il comportamento del Governo, che con un solo giorno di anticipo rispetto alla convocazione del Consiglio europeo viene a render conto di una serie di problematiche che si cerca di portare all'attenzione del Parlamento o delle Commissioni, quindi anche dell'opinione pubblica. Si dà una parvenza di partecipazione democratica a processi molto delicati, come quello dell'allargamento, per esempio, o della politica delle migrazioni e delle immigrazioni, ma nei fatti siamo qui - se mi passate il termine - solo ed esclusivamente a fare una passerella. Non comprendo, infatti, quali siano gli strumenti demandati ai rappresentanti dei cittadini, quindi a noi eletti, per potere influire o in qualche modo essere realmente attori partecipi delle decisioni che devono essere assunte in sede di Consiglio europeo, perlomeno per la parte riguardante l'Italia.
Sarà perché sono un neoparlamentare, ma non ho ancora capito - nonostante le varie prese di posizione rappresentate dalla stampa - quale sia stata, in sede di Consiglio affari generali e relazioni esterne, che si è svolto due giorni fa, la posizione assunta dall'Italia in merito all'allargamento alla Turchia. Attraverso la stampa si è detto tutto e il contrario di tutto, ma a noi non è dato sapere quale sia stata ufficialmente la posizione dell'Italia, quindi del ministro degli esteri D'Alema, sui punti eventualmente da sospendere relativamente all'adesione della Turchia. Ritengo che questo sia un ulteriore deficit di democrazia, che lede pesantemente i diritti dei cittadini.
La seconda questione che mi preme sollevare è che qui si continua a parlare di allargamento senza avere, di fatto, ancora definito le regole democratiche della convivenza all'interno dell'Unione europea. Sappiamo benissimo che la fase costituente si è bloccata, proprio in virtù di una bocciatura da parte dei cittadini. C'è un cosiddetto democracy divide fra le governance dei vari Stati membri dell'Unione europea e il sentimento popolare dei cittadini. Ma di questo non si tiene conto.
Infine, quanto alle politiche delle migrazioni e delle immigrazioni, si parla di agevolare le migrazioni all'interno dell'Unione europea, ma ancora si dimentica che l'Italia è lasciata assolutamente sola nel fronteggiare la problematica relativa all'immigrazione clandestina. Non vi è un impegno, da parte della Commissione europea, nel dettare una politica comune per fronteggiare l'immigrazione clandestina e a noi non risulta che i rappresentanti di questo Governo, nelle ultime riunioni del Consiglio europeo, abbiano espresso alcuna proposta al riguardo o perlomeno qualche iniziativa atta a coinvolgere tutta l'Europa nel fronteggiare l'immigrazione clandestina.

ARNOLD CASSOLA. Mi limito ad affrontare la questione dell'adesione della Turchia. Mi sembra positivo il fatto che la Turchia si sia offerta di aprire un porto e un aeroporto al commercio diretto con


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Cipro, ma sappiamo che questa apertura è condizionata al fatto che la Turchia chiede l'apertura di un porto e di un aeroporto di Cipro nord al commercio diretto. Sappiamo, altresì, che il Governo cipriota non è tanto favorevole a questa richiesta, che porterebbe condizionamenti in vari ambiti, compresa la questione della situazione di Varoscia.
Vorrei sapere quale iniziativa sta intraprendendo il Governo italiano con il Governo cipriota, che è piuttosto restio rispetto a questa possibilità, sebbene l'Unione europea abbia una posizione comune. Lo chiedo anche con riferimento al piano Annan, soprattutto rispetto ai due nodi fondamentali dello stesso: la questione dei settlers, gli insediati turchi dal 1974, ed il ritorno dei ciprioti del sud nelle loro terre, nella parte nord dell'isola. Non mi sembra che ci sia stato alcun movimento, in questi due anni, da quando è stato bocciato il piano Annan. Se la situazione è ancora questa, quale iniziativa, sul piano bilaterale, il Governo italiano sta intraprendendo col Governo cipriota in merito a queste vicende?

ROBERTO ANTONIONE. Voglio ringraziare il sottosegretario Crucianelli per la sua relazione, che ho trovato esaustiva di un ordine del giorno indubbiamente molto impegnativo, che fa parte delle tradizioni con le quali si affrontano questi problemi all'interno dell'Unione europea.
Condivido le considerazioni del presidente Andreotti: indubbiamente i Consigli europei sono diventati luoghi all'interno dei quali si discute di tutto e di più, ma francamente molto spesso i documenti finali sono illeggibili anche per gli addetti ai lavori. Tanto più sono illeggibili per i cittadini dell'Unione europea, e questo comporta un distacco sempre maggiore fra i cittadini e le istituzioni europee. Una riflessione in questo senso credo che l'Italia potrebbe proporla, per cercare di trovare strumenti diversi, innovativi.
Questo discorso è tanto più valido se si considera il numero dei partecipanti al tavolo del Consiglio europeo. Oggi sono 25 i membri ufficiali, 2 i nuovi membri dal primo gennaio, Romania e Bulgaria, altri 2 i candidati, ed è evidente che tutti parlano in quella sede, perché nessuno può esimersi dall'esprimere il suo pensiero sulle questioni all'ordine del giorno. Si tratta di un esercizio che indubbiamente qualche volta è più formale che sostanziale.
So per esperienza diretta che addirittura le riunioni informali dei ministri degli esteri, dove nella sala - lo sa bene il sottosegretario Crucianelli e anche il presidente Dini ne ha esperienza - ci sono soltanto i ministri degli esteri, ormai non sono più quello che erano, ossia un luogo di discussione e di dibattito approfondito sulle questioni di merito. È evidente, dunque, che qualche nuova forma metodologica va pensata.
Lo dico anche in funzione dell'ordine del giorno. Quando andrete a parlare di allargamento, credo che sarà complicato farlo in un momento di stallo costituzionale. Abbiamo sempre legato la questione del nuovo Trattato costituzionale all'allargamento, anzi, questa è stata la spinta decisiva che, dopo il Consiglio europeo di Nizza, ha fatto sì che gli Stati membri arrivassero a proporre prima la Convenzione, per arrivare poi alla Costituzione. Oggi si ridiscute di allargamento, parlando di Turchia, di Croazia, di Macedonia, dei Balcani, senza avere un orizzonte chiaro rispetto al momento di difficoltà che stiamo vivendo. Credo che il nostro paese farebbe bene ad assumere - so che in parte l'ha già fatto, ma forse un impegno ulteriore sarebbe importante, per il peso e l'autorevolezza con la quale l'Italia vive all'interno dell'Unione europea, essendo tra i suoi paesi fondatori - qualche iniziativa in questo senso.
Sulle questioni di merito, sull'allargamento, avrei avuto piacere di conoscere meglio il nostro atteggiamento nei confronti della Croazia. Leggo con preoccupazione che il Governo croato intende riprendere una questione che avevamo risolto sulla zona esclusiva di pesca, con ripercussioni gravissime nei nostri confronti. È un problema che viviamo anche all'interno dell'Unione europea.


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PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROBERTO ANTONIONE. Abbia pazienza, presidente. Tre minuti sono veramente pochi, soprattutto considerando le scarse occasioni che abbiamo di intervenire. Inoltre, poiché parlo a nome del gruppo, mi conceda un po' di elasticità.
Come dicevo, avrei avuto piacere di conoscere se questa questione è stata in qualche modo collegata a quello che tradizionalmente è stato il nostro rapporto con la Croazia. Anche per quel che riguarda il discorso del Montenegro, nel documento non ne ho trovato traccia. Va bene, è uno Stato nuovo, si sono separati con un referendum che noi avremmo preferito non ci fosse, ma oggi quale sarà il nostro atteggiamento? Possiamo parlare di Serbia e non citare il Montenegro? Ci conviene farlo? Vorrei che evitassimo di trovarci in difficoltà, a fronte di una situazione che potrebbe, viceversa, darci anche dei risultati positivi.
Infine, qual è il nostro atteggiamento a proposito del Kosovo? È cambiato? Abbiamo deciso di assumere decisioni differenti? Spingiamo per l'indipendenza del Kosovo? Siamo in grado di prendere una posizione meno ambigua che in passato? Come tutti sanno, il Kosovo è il punto nevralgico della stabilizzazione dell'area balcanica.
Sulla Bosnia qualche riflessione dovremo pur farla. Credo che si potrà sempre mantenere un contingente impegnato, con grandi risultati; ma è anche costoso e francamente un orizzonte temporale all'interno del quale poter pensare di chiudere la partita forse dovremmo prevederlo.
Infine, leggo ancora che la Macedonia viene chiamata FYROM. Sappiamo quanto stupida sia la questione per noi e quanta sensibilità, viceversa, ci sia al riguardo all'interno del Governo macedone. Approfittando della presenza dei presidenti delle due Commissioni esteri, in particolare del presidente della Commissione esteri del Senato, gradirei se a livello parlamentare - la decisione comunque spetta al Governo - svolgessimo qualche ragionamento per chiamare la Macedonia con il suo nome e non FYROM. Francamente trovo che si tratti di una scelta senza senso; se riuscissimo a superarla potrebbe significare per noi un canale preferenziale nei confronti di un paese importante, che ha dimostrato anche di saper sviluppare bene un percorso di integrazione europea.

ANTONELLO FALOMI. Credo che, di fronte ad appuntamenti come quello di domani, il Parlamento dovrebbe essere messo in grado di esercitare la propria funzione di indirizzo. È del tutto evidente che lo strumento dell'audizione è necessario, ma non certo sufficiente, perché il Parlamento possa svolgere questa funzione. L'audizione svolge un compito informativo, ma il problema di come il Parlamento svolge la sua funzione di indirizzo rimane del tutto aperto. Esiste, insomma, una questione delle modalità e dei tempi attraverso i quali il Parlamento interviene a ridosso di appuntamenti rilevanti, come quello che abbiamo di fronte.
La relazione del sottosegretario Crucianelli è stata molto puntuale, precisa e dettagliata. Riprenderò una sola questione, che mi preme sottolineare. Il progetto di conclusioni, che sarà sottoposto al Consiglio europeo di domani e dopodomani per l'approvazione, sottolinea in più punti il rapporto tra il processo di allargamento dell'Unione e la necessità che le politiche dell'Unione europea siano finanziate in modo sostenibile (così recita uno dei progetti di conclusione che verrà discusso domani).
A proposito del finanziamento delle politiche dell'Unione, conosciamo tutti l'insufficienza delle risorse che vengono messe a disposizione dal bilancio europeo, e conosciamo anche le distorsioni nella finalizzazione di queste risorse, che in gran parte finiscono per finanziare la politica agricola, lasciando altri campi importantissimi del tutto scoperti. Conosciamo, altresì, la fragilità del coordinamento delle politiche di bilancio, che in questi anni si è tentato di mettere in atto, per cercare di promuovere lo sviluppo economico europeo.


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Sappiamo che certe decisioni non aiutano certamente i processi di sviluppo. L'aumento, qualche giorno fa, del tasso di sconto della Banca centrale europea ha suscitato non poche preoccupazioni circa i suoi probabili effetti sullo sviluppo. Se è vero che esiste un rapporto tra sviluppo e allargamento, credo questo tema debba essere riproposto. Dobbiamo riaprire il discorso delle risorse a disposizione dell'Unione europea per finanziare le proprie politiche di sviluppo.
Se ne è discusso recentemente a Bruxelles, ma credo che la questione di andare a una modifica sia del tutto all'ordine del giorno. Non penso che in questo momento saremo in grado di modificare alcunché di quello che accadrà domani, ma la questione ritengo che il Governa la debba avere ben presente. Infatti, non credo che con gli attuali strumenti di finanziamento delle politiche di sviluppo, in realtà, l'Europa possa provocare tassi di sviluppo significativi, quindi dare anche all'allargamento un quadro che lo renda più solido.

GABRIELE FRIGATO. Comincio subito con un ringraziamento convinto al Governo, in particolare al sottosegretario Crucianelli, per la sua presenza. Ho ascoltato attentamente la relazione, che voglio definire sicuramente ampia, ragionata ed equilibrata rispetto alle questioni sollevate. Certamente i tempi non ci consentono quel dialogo, quell'apporto e quell'approfondimento che indubbiamente questi temi meriterebbero.
Mi limito soltanto a riconoscere che l'audizione è, comunque, lo strumento previsto dai nostri regolamenti, nel quale mi sembra che ci si possa ascoltare, e anche in modo intelligente. Non ritengo, come qualcuno ha voluto sottolineare, che questo sia un dialogo en passant. Penso che le audizioni abbiano un loro significato e una loro importanza, sia per il Parlamento sia per il Governo.
Voglio cogliere soltanto - considerati i tempi ristretti - l'elemento dell'allargamento, con particolare riferimento alla Turchia, partendo da un grande evento, che ha occupato la stampa di tutto il mondo: la visita del Santo Padre in Turchia, un paio di settimane fa. Sicuramente i giorni che hanno preceduto la visita sono stati giorni di apprensione generale, ma mi sembra di poter dire che la visita si è conclusa con un dato di soddisfazione generale. Non è compito nostro valutare i significati di natura pastorale, ma sicuramente c'è stato un grande significato di carattere politico. È stato ribadito che questo paese è il vero ponte di dialogo, il vero punto di incontro - io credo anche di equilibrio - tra culture, storie, regioni, filosofie di vita diverse.
Noi riteniamo - penso di poter parlare a nome dell'Ulivo - che l'atteggiamento del nostro paese debba mirare ad un'integrazione. Sto parlando dell'ingresso della Turchia nell'Unione europea. Sappiamo che non è all'ordine del giorno di domani mattina e che si tratta di un processo lungo, che ha bisogno di verifiche. Riteniamo che le verifiche debbano essere condotte in maniera puntuale e precisa, ma anche che ci debba essere un approccio di attenzione, di disponibilità, di possibile integrazione. Non credo che i muri, vecchi o nuovi, possano servire all'Europa, né all'umanità.
Questo è un punto importante. A nostro modo di vedere, come negli ultimi anni l'Italia ha fatto, la nostra parte è ancora quella di essere una specie di avanguardia, proprio dal punto di vista della strategia di un approccio positivo rispetto a qualcosa che è sicuramente complicato, ma sarebbe molto più grave e complicato se il nostro paese non facesse la propria parte.
Mi pare di rilevare, nelle parole del sottosegretario, che questo atteggiamento ha una sua continuità. Esprimo, quindi, un sentimento di soddisfazione ed un auspicio che proseguano i piccoli passi del dialogo e non manchi la pazienza, che non vuol dire far finta di non vedere i problemi, ma dare continuità ad un percorso che ci auguriamo possa essere positivo.

ALESSANDRO FORLANI. Chiedo solo qualche chiarimento al sottosegretario. Innanzitutto, vorrei capire meglio, considerato


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il rallentamento del percorso di integrazione della Turchia, qual è la posizione del Governo italiano sulle scelte che è chiamato a compiere il Consiglio europeo.
Non ho ben compreso, inoltre, il passaggio sulla Somalia. Si è detto che l'Europa intende persistere nell'appoggio al governo legittimo riconosciuto dalla Comunità internazionale, che comunque è abbastanza svuotato ormai di un'autorità effettiva su gran parte del territorio del paese. Mi pare che il sottosegretario abbia accennato anche ad un dialogo con le Corti islamiche, che a quanto mi risulta sono invece contrapposte, nella loro azione e nelle loro pretese, a questo governo.
Vorrei infine quindi un chiarimento sui passaggi riguardanti la Turchia e la Somalia.

MARIA BURANI PROCACCINI. Perseguo, nella Commissione esteri, un filone molto particolare, come ben sa il presidente Dini. Quello che chiedo è che si affronti la seguente questione: i paesi che chiedono l'allargamento sono caratterizzati da gravi condizioni di negazione di alcuni diritti fondamentali, tra questi quello dell'anagrafe per tutti i bambini. In particolare, la Turchia, nel rapporto UNICEF del 2005, risultava aver iscritto all'anagrafe soltanto il 50 per cento dei bambini sotto i cinque anni. È una questione che va assolutamente affrontata.
Nel 2007 entrerà in funzione in Europa il documento di identità europeo. Raccomanderei, pertanto, che all'atto della sua introduzione si tenesse conto di alcuni accorgimenti richiamati da alcuni Stati, anche extraeuropei. Penso, ad esempio, alla questione dell'esame dell'iride.
Sottolineo, altresì, la questione dei bambini sottratti all'interno della Comunità europea. Il problema è che non si ottempera, tra gli Stati membri, alle norme di cui dovrebbero essere dotati, in base al trattato dell'Aja, per cui accade che cittadini europei sottraggono i bambini all'altro genitore nelle cause di separazione. Il caso belga è sotto gli occhi di tutti.
Chiediamo che ci si faccia carico anche di un'omologazione della legislazione europea sulla questione dell'adozione e del transito più o meno lungo dei bambini europei, per motivi di salute, di accompagnamento, e via dicendo. È in questi casi che succedono le cose peggiori: scomparsa o appropriazione più o meno indebita di bambini.
Spero che questo elemento sia considerato con attenzione, visto che queste indicazioni specifiche spesso sono assenti, in questo ed altri settori, come giustamente faceva notare il senatore Andreotti.

PRESIDENTE. Senatrice Burani Procaccini, ero così abituata a vederla tra noi, che avevo dimenticato che ora ha cambiato ramo del Parlamento.
Vi invito ad essere molto sintetici perché abbiamo ancora diversi iscritti a parlare.

SANDRO GOZI. Sulla Turchia ho apprezzato molto il lavoro di mediazione svolto dal nostro Governo. Il sottosegretario faceva riferimento al ripensamento di taluni paesi sull'ingresso della Turchia nell'Unione europea. A mio parere, alla Turchia dobbiamo pensare sempre, ma parlarne molto meno (parafraso quel che è stato detto per un altro paese europeo). In altre parole, è chiaro che oggi l'opinione pubblica non è pronta all'ingresso della Turchia. Non lo è in Europa, non lo è in Turchia, dunque dovremmo cessare di dare l'impressione che la decisione sull'adesione piena o meno della Turchia sia da assumere domani. Credo che questa sarebbe un'azione molto importante rispetto all'opinione pubblica.
Sulla questione del legame tra Turchia e riforme istituzionali, possiamo anche nasconderci, ma è chiaro che il legame sarà sempre più forte e che, agli occhi dell'opinione pubblica, per la Turchia si tratterà di un allargamento speciale, sebbene non lo sarà dal punto di vista dei criteri.
Considerato che questa specialità verrà resa molto più ordinaria da una riforma istituzionale importante e considerato anche


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che i francesi dovranno decidere con un referendum sull'adesione della Turchia, e che in un paese come la Francia la questione istituzionale e la questione turca sono legate in maniera ormai indissolubile, cerchiamo di insistere con paesi come Regno Unito e Svezia - che tanto hanno operato, in vista del Consiglio europeo, per favorire l'ingresso della Turchia nell'Unione - per cercare di renderli un po' più ragionevoli e sensibili anche sulla questione istituzionale che dovrà riaprirsi dal 25 marzo in poi.
Visto che l'Italia ha svolto un buon ruolo di mediazione nella questione turca, credo che dobbiamo utilizzare questa posizione per preparare il terreno ad un atteggiamento più favorevole, soprattutto da parte di Regno Unito e Svezia, oltre che di altri paesi, rispetto a quel processo che dovrà aprirsi il 25 marzo, altrimenti un domani avremo fortissimi problemi sulla questione turca.
In secondo luogo, sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, nulla da eccepire sull'atteggiamento del Governo italiano, ma queste conclusioni sono estremamente insufficienti. Le questioni della sicurezza corrono molto più veloci rispetto all'Unione europea, e considero veramente negativo l'atteggiamento di alcuni paesi sulla clausola della passerella. Credo che, visti i continui veti incrociati, nella materia del cosiddetto terzo pilastro occorra pensare seriamente a delle cooperazioni rafforzate, sin da ora.
L'ultimo punto, legato sia all'allargamento sia alle migrazioni, è la politica di vicinato. Anche su questo punto, estremamente importante per il nostro paese, trovo che le conclusioni siano molto al ribasso. La politica di vicinato europea, in questo momento, è decisamente al ribasso, è necessario un cambio di marcia. Come Italia dobbiamo pretendere un salto qualitativo e una politica che è vitale per i nostri interessi e che oggi è molto stretta attraverso piani d'azione che costituiscono una risposta parziale, in parte burocratica, e soprattutto non danno ai paesi vicini, per avviare i processi di riforma, quegli incentivi che il processo di allargamento ha dato ai paesi candidati.
Anche su questo dovremmo insistere molto di più, per rendere più seria, credibile ed efficace la politica di vicinato.

FRANCO ADDOLORATO GIACINTO NARDUCCI. Anch'io vorrei esprimere solo pochi concetti per sottolineare alcuni aspetti che ritengo fondamentali.
Intanto ringrazio il sottosegretario Crucianelli perché, sia pure a distanza ravvicinata, ci ha offerto un quadro esauriente di quello che il Governo italiano intende rappresentare domani, nel Consiglio europeo, che sicuramente costituisce una tappa importante nel processo di allargamento dell'Unione europea.
Sono convinto che un segnale negativo verso la Serbia contribuirebbe a peggiorare, anziché a rasserenare il quadro complessivo dei Balcani. Tuttavia, non bisogna sottovalutare che la continua deregolamentazione che ha accompagnato il processo di allargamento ha provocato anche un continuo divario nella redistribuzione della ricchezza, con un appiattimento verso il basso per vaste categorie di cittadini.
Soprattutto in relazione - nel quadro dell'accordo di Schengen - alla soppressione dei confini interni, quindi dei controlli all'interno dei paesi dell'Unione europea, e tenendo conto che questo allargamento è indirizzato soprattutto ai Balcani, che rappresentano un forte bacino di forza lavoro, credo che qualche problema si ponga, così come si pongano delle sfide all'UE, per l'integrazione di questi paesi. Si tratta di paesi dove i differenziali, in termini retributivi, sono elevatissimi rispetto ai nostri. Mi chiedo se il Governo italiano non debba farsi promotore di una serie di provvedimenti che accompagnino questo allargamento, ad esempio per l'introduzione di standard minimi internazionali, che siano legalmente vincolanti e che superino, di fatto, gli standard che fanno riferimento all'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Proprio qui risiede questo sfasamento, che tante tensioni provoca


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anche all'interno dei paesi che, di fatto, come è stato ricordato, hanno bocciato la Costituzione europea.
Sicuramente saranno adottate le clausole per quanto riguarda la libera circolazione delle persone, ma di fatto chi si occupa del problema alla radice oggi sa che c'è uno sconvolgimento enorme, incredibile, che non garantisce nemmeno i cittadini e i lavoratori che provengono proprio dai nuovi Stati.
In questa direzione va il mio pressante appello al Governo italiano, affinché su questi temi fondamentali per la costruzione dell'Europa si faccia promotore di un'iniziativa.

GIANNI FARINA. Mi scuso per non aver assistito all'illustrazione della relazione del sottosegretario Crucianelli, che leggo in questo momento e che trovo molto interessante e lucida.
Scorgo in essa un pessimismo laddove si afferma che non è questo il momento di nuove decisioni operative sulla procedura da seguire per il rilancio del processo costituzionale, sulla prossima dichiarazione solenne del 25 marzo. Anch'io nutro una grave preoccupazione. Siamo alla vigilia di un'importante consultazione presidenziale - parlo di quella francese del 22 aprile prossimo - e nessun candidato, in un importante e decisivo paese europeo, parla del futuro dell'Europa. Nell'opinione pubblica francese non vi è questa preoccupazione e questa necessità di rilanciare il dibattito sulla questione europea.
Parto da questa considerazione per vedere se si può ipotizzare un'iniziativa forte dell'Italia su questo problema fondamentale. Abbiamo il prestigio e la maturità necessaria per rilanciare, forse anche attraverso l'iniziativa parlamentare, un'azione forte che sensibilizzi l'opinione pubblica europea sulla necessità di un rilancio, che non può che essere immediato.
Voglio ora accennare brevemente alla questione turca. Non credo che si possa sottovalutare un paese così importante, con quattro-cinque milioni di suoi cittadini che vivono già in Europa e sono già ricchezza interculturale dell'Unione europea. Non credo che questo elemento possa essere trascurato quando valutiamo la possibilità di adesione di un importante paese che, per me, è decisivo e fondamentale, sia per le prospettive di sviluppo dell'Unione europea, sia per tutta la questione del Medio Oriente.
L'iniziativa del pontefice, nella sua recente visita in Turchia, è stata di una lucidità straordinaria al riguardo. Non possiamo sempre porre l'accento solo ed unicamente sulle difficoltà, ma dobbiamo vedere in questa questione un elemento decisivo per tutti noi, per l'incontro di popoli e culture tanto diverse e capire che la Turchia è fondamentale in questo quadro.
Chiedo al Governo - ma mi sembra che il Governo del nostro paese sia consapevole di questo - e allo stesso Parlamento di aprire un dibattito e di ipotizzare un'iniziativa, in Europa, che porti a verificare la possibilità di un'accelerazione del processo.
Uscire dall'impasse, per conto mio, è decisivo e necessario in un momento di crisi.

MARCO AIRAGHI. Ringrazio il sottosegretario per l'estesa e dettagliata relazione. Un'iniziativa, quella del Governo, sicuramente apprezzabile, tuttavia mi trovo d'accordo - incredibilmente, vista la distanza politica - con il collega Falomi, nel senso che trovo assolutamente inadeguato questo strumento rispetto all'appuntamento dei prossimi giorni, soprattutto se crediamo, come è stato detto in questa sede, all'importanza del contributo dei Parlamenti nazionali.
Sull'osservazione, come sempre arguta, del presidente Andreotti circa la tuttologia dei documenti europei - che, come ha affermato il presidente, sembrano riflettere una sorta di impotentia coeundi -, credo che questo rifletta concretamente quello che mi sembra stia diventando l'Unione europea: una sorta di pachiderma impotente, un «burosauro» che, in realtà, non ha forza né potere concreto (un potere concreto di cui non si vuole dotare


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e che non vuole utilizzare, oppure che non è più in grado di utilizzare).
Questa Europa mi sembra così lontana dall'Europa che sognavamo - ormai è un'Europa senz'anima - che sembra aver smarrito le ragioni vere che l'avevano generata e che erano nelle intenzioni dei suoi padri fondatori.
Per questo stesso motivo è in atto un verbosissimo Trattato costituzionale europeo e sempre per questo motivo mi sembra che se ne stia impedendo, o perlomeno rallentando molto, l'approvazione. Chiedo al Governo, come attività importante in sede europea - al di là del pessimismo mostrato e dei tecnicismi che riguardano l'approvazione di questo Trattato -, di impegnarsi veramente a livello europeo, affinché si ritrovino in Europa le ragioni dello stare insieme, per riuscire a ridare un'anima politica alla nostra Comunità europea.

ENRICO PIANETTA. Avendo il collega Antonione già fatto riferimento ai problemi fondamentali, quali il processo costituzionale, l'allargamento, la questione dei Balcani, non mi soffermerò su questi temi, ma mi limiterò a esprimere una considerazione molto semplice su due aspetti.
Mi sembra che non sia stato fatto riferimento al tema dell'asilo politico, che invece è un diritto fondamentale, che qualifica peraltro questa nostra area del mondo e che, tuttavia, deve essere applicato con chiarezza e senza strumentalizzazioni. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa il sottosegretario Crucianelli.
In secondo luogo, a proposito dell'Iran si è parlato di preoccupazione per i diritti umani. Ebbene, mi sembra che il termine «preoccupazione» sia troppo blando, ma soprattutto sollecito una posizione dell'Italia di ferma condanna delle dichiarazioni del presidente iraniano.
Credo che questo sia un fatto di grande importanza, sul quale l'Unione europea deve esprimere chiaramente la sua posizione di fermissima condanna.

PRESIDENTE. Do ora la parola al sottosegretario Crucianelli per la replica.

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Mi limiterò a fare qualche sinteticissima considerazione, considerando che, se ho ben inteso, mi rimangono cinque minuti.

PRESIDENTE. Ci dispiace, ma questo in un certo senso dimostra la passione delle Commissioni per questi temi.

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Ringrazio molto tutti coloro che sono intervenuti, che hanno testimoniato una passione ed un interesse notevoli. Credo che dobbiamo individuare un metodo di discussione - per quanto mi riguarda sono assolutamente disponibile - che possa venire incontro a quell'obiezione, a mio parere fondata, circa la modalità di lavoro in sede di Consiglio europeo, affinché possa esservi una possibilità di discussione più ampia.
Non possiamo negare, tuttavia, che vi sono dei problemi organizzativi. Noi discutiamo oggi perché lunedì si è tenuta l'ultima riunione del Consiglio affari generali e relazioni esterne, nella quale si è portato a compimento il discorso che verrà affrontato in sede di Consiglio.
Questo naturalmente rende tutto più complicato, ma forse si può trovare un modo di discussione, conoscendo prima i temi oggetto della discussione per poterli approfondire con un margine di tempo maggiore. Permettetemi di dire che molte delle cose importanti di cui stiamo discutendo sono state già discusse, non sono improvvisate. Lo stesso Governo arriva a queste posizioni sulla base di una discussione che si è svolta anche in Parlamento, in diversi momenti. Penso ai Balcani, oppure alla discussione in Commissione esteri della Camera sulla risoluzione che riguardava i curdi e la Turchia. Insomma, pezzi di discussione su queste materie sono state già fatte.
Se vogliamo trovare un metodo per meglio anticipare questa discussione, da parte del Governo e da parte mia, che ho la delega sull'Europa - delega complicatissima - assicuro piena disponibilità.


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Credo che abbia ragione il senatore Andreotti: ho partecipato all'ultima e alla penultima riunione del Consiglio affari generali, e anche lì si ripropone ogni volta il vizio richiamato. Non è un problema solo del Consiglio europeo, ma ogni volta che c'è una discussione di preparazione ci si ritrova ovviamente con gli stessi problemi. È vero anche quello che diceva il senatore Antonione quando rappresentava queste riunioni come ormai amplissime. L'unico momento di discussione più stringente è diventata la colazione dei ministri.
Tuttavia, ho notato - a parziale consolazione, ma questo non toglie il fatto che bisognerebbe intervenire per arrivare a discussioni selettive, con priorità chiare - che poi la selezione avviene sul campo. In realtà, è avvenuto ad esempio nell'ultima riunione del Consiglio affari generali che grandissima parte della discussione ha riguardato l'allargamento e il resto ha rappresentato quasi un adempimento burocratico. Non voglio dire che sia un bene, ma semplicemente che delle priorità si impongono nella discussione.
Condivido pienamente l'idea che si debba lavorare perché si arrivi ad una selezione dei problemi, sebbene sia difficile farlo. Sono d'accordo, infatti, con la valutazione che in questo metodo di discussione si rifletta anche una difficoltà dell'Europa, che riguarda la sua composizione e anche il suo immobilismo. Noi possiamo affrontare i problemi dal punto di vista metodologico, ma sappiamo che dietro c'è una questione di sostanza.
Sono, altresì, d'accordo con il senatore Andreotti sulla questione del cinquantenario dei Trattati di Roma. Stiamo cercando di operare affinché questa «celebrazione» - così viene chiamata - dei cinquant'anni dei Trattati di Roma non sia appunto una celebrazione, ma un fatto politico. Come sapete, la questione del Trattato costituzionale è bloccata, di fatto, dalle elezioni francesi, che sono il vero ostacolo a una libera discussione. Tuttavia, non vi è dubbio che la discussione sul Trattato costituzionale può rappresentare un primo momento serio, nel quale l'Europa dà un segnale e un messaggio politico.
Noi ci siamo mossi in questa direzione, abbiamo discusso con i tedeschi e abbiamo sollecitato perché si arrivi con un messaggio chiaro, che affronti il nodo sul futuro dell'Europa, a partire da quella che è la difficoltà, mettendo in evidenza i successi della storia che comunque l'Europa, pur nelle sue contraddizioni, ha registrato, e quale messaggio si vuole dare per il futuro. Questa celebrazione del cinquantenario dei trattati di Roma non sia, dunque, una celebrazione, ma un'occasione per poter fare un passo avanti in questa discussione, che si annuncia molto faticosa. Non c'è pessimismo, ma realismo in quello che abbiamo scritto sulla situazione del Trattato costituzionale.
Noi siamo quelli che, non dico più di tutti - sarebbe un titolo immeritato -, ma sicuramente fra i pochi che su questo terreno sollecitano continuamente la fine della pausa di riflessione e la ripresa di una discussione.
Parteciperemo ad una singolare riunione, a Madrid, alla fine di gennaio, con tutti i paesi che hanno ratificato, per vedere come quei 18 paesi intendono rappresentare una sollecitazione forte per la ripresa di questa discussione. Lo dico per riferirvi che delle iniziative ci sono, ma sappiamo che gli ostacoli sono molti. Sappiamo anche che tutti quei paesi hanno sottoscritto il Trattato, ma alcuni di essi - in primis, e non è un mistero, la Gran Bretagna - hanno delle fortissime riserve. La discussione, dunque, sarà molto complicata, anche se mi pare che la Germania, la Spagna e altri grandi paesi siano determinati nel salvare la sostanza del Trattato costituzionale. Questo rappresenterebbe sicuramente un passo avanti.
Sono d'accordo, inoltre, nell'accogliere le sollecitazioni del senatore Andreotti in merito alla cooperazione tecnologica. Francamente, al riguardo, non so dire a che punto è la questione, anche se proprio domani incontrerò un esponente impegnato


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sulla fusione nucleare proprio per capire come si sta procedendo su questo terreno.
Tra le altre questioni che sono state sollevate - e sono state moltissime - vorrei dire qualcosa sulla Turchia. A me pare che il Governo al riguardo abbia assunto una posizione chiara, leggibile. Sulla Turchia abbiamo sempre detto che il suo ingresso nell'Unione europea è un'occasione storica.

LAMBERTO DINI. Di continuità!

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Come mi ricorda il presidente Dini non solo su questa materia, ma anche su altre, si registra una posizione che non è di rottura rispetto a quella del precedente governo. Per quanto riguarda la Turchia, la posizione è sostanzialmente quella assunta dal precedente governo. In questo passaggio concreto abbiamo detto delle cose molto chiare. Condividiamo la ratio della Commissione, che afferma che c'è stata una violazione del protocollo di Ankara e ci deve essere una conseguenza. Questo non poteva avvenire in modo indolore.
Abbiamo avuto un'opinione un po' diversa, rispetto al risultato finale, sui cosiddetti «capitoli», sostenendo che forse bisognerebbe attenersi con più oggettività a quei tre capitoli chiusi sotto la dizione «unione doganale». Francamente ci è sembrata una forzatura l'introduzione dei capitoli sulla pesca, l'agricoltura e i servizi. Abbiamo dovuto rilevare che altri paesi volevano bloccare dodici capitoli, quindi in questa discussione abbiamo tenuto la posizione di attenersi fondamentalmente ai tre capitoli. Siamo arrivati - nella discussione ultima di lunedì - agli otto capitoli, come punto di mediazione fra le due posizioni diverse.
Su un punto importantissimo devo dire che la nostra iniziativa è stata fondamentale: non lo dico per applicarci delle medaglie, ma quando l'Italia assume delle iniziative che ottengono dei risultati è bene sottolinearlo. E questo vale per tutti. Noi ritenevamo un errore la famosa clausola del rendez-vous, cioè il fatto che si dovesse ritornare, ad una data fissa, a riverificare tutto l'operato della Turchia. Questo avrebbe rappresentato un messaggio distruttivo per la stessa Turchia. L'Europa deve sapere che il problema non è unilaterale. Non decide solo l'Europa, anche la Turchia può decidere, ad un certo punto, di non entrare più in Europa. Siamo ad uno di quei passaggi in cui prevedere l'ennesimo tribunale che aspetta, tra 18 mesi, di esprimere l'ennesima sanzione o comunque l'ennesimo verdetto sull'operato dei turchi, sarebbe stato interpretato - peraltro, ero stato tre giorni prima in Turchia - in modo devastante da parte dell'opinione pubblica, prima ancora che dalle autorità governative. Per questo, abbiamo condotto una battaglia molto dura, in quella sede, e alla fine quel principio che diversi paesi volevano introdurre non è passato. Gli stessi francesi, che prima avevano avuto una posizione diversa, e anche i tedeschi hanno condiviso l'idea che questo sarebbe stato un messaggio politico sbagliato.
Noi siamo interessati a dire ai turchi che, su alcune questioni fondamentali - dai porti agli aeroporti, allo Stato di diritto, al rispetto dei valori fondamentali ed altre cose che purtroppo si discutono poco -, debbono adempiere i loro doveri, ma questo non doveva significare il blocco del negoziato. Noi ci siamo mossi con questa logica e con questo intendimento.
Il passaggio ulteriore che bisogna riprendere l'iniziativa, che l'Europa non ha onorato, del commercio diretto con Cipro nord, è un altro punto importante, che completa questo tipo di messaggio.
Condividiamo l'idea che l'allargamento debba procedere insieme al rafforzamento delle istituzioni europee. Su questo non c'è ombra di dubbio. In Europa abbiamo due idee diverse: noi siamo per l'allargamento, come la Gran Bretagna, ma mentre la Gran Bretagna pensa che l'allargamento debba via via rappresentare una diluizione crescente delle fondamenta istituzionali dell'Unione europea, noi riteniamo, al contrario, che l'allargamento e il rafforzamento delle nostre istituzioni debbano


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marciare insieme. Per questo stiamo conducendo la battaglia anche sul versante del Trattato costituzionale, perché quanto prima torni all'ordine del giorno.
Capisco - ed è stato un elemento di discussione forte a livello europeo - quando si afferma che sull'immigrazione siamo soli, ma dico che siamo meno soli di ieri. Grazie all'iniziativa spagnola e anche alla nostra iniziativa, qualcosa in Europa si è mosso, e devo dire anche con delle polemiche abbastanza espresse. L'incontro a Tripoli è esattamente figlio di questa iniziativa: in quella sede si è detto che il problema dell'immigrazione, soprattutto nella sua forma più drammatica - come quella che noi conosciamo, attraverso il Mediterraneo o dalle Canarie verso la Spagna -, non è un problema solo spagnolo, solo italiano, solo di Malta. È un problema che riguarda l'Europa. Il fatto che vi sia stato l'incontro di Tripoli e che lì si siano assunte delle decisioni, che mi auguro il Consiglio europeo possa trasformare in scelte concrete, rende meno solitaria la posizione del Governo italiano.
Sono disponibile a fare una discussione - sia alla Camera che al Senato, non so se è possibile anche in Commissioni congiunte - sui Balcani. Quello del Kosovo è un momento delicatissimo, un passaggio critico di quella che sarà la fase post-elettorale. Noi abbiamo fatto il possibile per incoraggiare le forze democratiche e sostenere, nei limiti di quella che è un'ingerenza (Commenti del deputato Umberto Ranieri)... Voglio dire al presidente Ranieri che nelle tre riunioni degli affari generali alle quali ho partecipato, in tutte e tre, compresa l'ultima, ho sostenuto con forza questo punto. Devo anche dire che su questo punto abbiamo ottenuto delle rassicurazioni che l'Europa resta aperta alla Serbia, ma in realtà si incontra una grande difficoltà. Vi è, infatti, una grandissima ostilità in primo luogo della Gran Bretagna e di altri paesi, che invece non intendono adottare quella che sarebbe, peraltro, la formula croata. Non si tratterebbe, dunque, di introdurre un elemento di novità, ma di fare semplicemente quello che si è fatto con la Croazia. Su questi capitoli, comunque, sono assolutamente disponibile a discutere.
Quanto alla Somalia - rispondo all'onorevole Forlani -, questa è forse una delle situazioni più drammatiche. Ne abbiamo alcune vicinissime che sono tragiche, ma la Somalia non è distante da quelle realtà. Noi ci limitiamo a un sostegno alle istituzioni federali transitorie: per l'appunto, sono transitorie, quindi sappiamo che questo comporta anche un tentativo di dialogo con le Corti islamiche. Diversamente, sarebbe un tentativo del tutto velleitario, ma sempre di tentativo si tratta, della cui fragilità peraltro siamo assolutamente consapevoli.
Mi scuso se alcune questioni sono rimaste fuori dalla mia risposta, ma credo di dovermi fermare.

LAMBERTO DINI. Su questa vicenda della Somalia e delle Corti islamiche, penso che sarebbe opportuno che l'Unione europea mandasse all'Etiopia un segnale di non invadere la Somalia. Questo sarebbe veramente un fatto devastante per la stabilità futura che si spera di ottenere, perché questo è il grosso pericolo al momento. L'Europa, quindi, dovrebbe segnalare che non ci siano invasioni di campo.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Crucianelli, il presidente Dini, il presidente Ranieri e tutti i colleghi intervenuti.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,45.