COMMISSIONE IV
DIFESA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 24 gennaio 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTA PINOTTI

La seduta comincia alle 14,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del rappresentante d'Italia presso il Comitato politico di sicurezza dell'Unione europea, ambasciatore Andrea Meloni, sui modelli di difesa adottati dagli Stati membri dell'Unione europea.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del rappresentante d'Italia presso il Comitato politico di sicurezza dell'Unione europea, ambasciatore Andrea Meloni, sui modelli di difesa adottati dagli Stati membri dell'Unione europea.
Abbiamo deciso di partire dall'Europa, in seguito a una scelta discussa in sede di ufficio di presidenza, perché riteniamo che questa sia l'ottica importante da cui prendere l'avvio, per poi scendere anche a livello nazionale. Abbiamo invitato l'ambasciatore Andrea Meloni a cui chiediamo, in base alla sua lunga esperienza presso il Comitato politico di sicurezza dell'Unione europea, di delinearci un quadro delle principali direttive concernenti il sistema di difesa.
La richiesta è emersa da parte di tutti i membri della Commissione ed è stata discussa all'interno dell'ufficio di presidenza. Non si tratta di un'indagine conoscitiva, anche se il suo obiettivo è approfondire il modello di difesa verso il quale orientare le scelte dell'Italia.
Infatti, l'approfondimento della questione in ambito europeo, le sue direttrici, l'orientamento del sistema di difesa e di sicurezza europeo si rivela strategico anche per capire come debba orientarsi il nostro paese nelle sue scelte. Siamo, pertanto, contenti che lei, ambasciatore, abbia accettato il nostro invito e la ascolteremo con molta attenzione.
Do la parola all'ambasciatore Andrea Meloni.

ANDREA MELONI, Ambasciatore. Signor presidente, membri della Commissione, sono molto onorato di avere l'opportunità di informarvi sullo stato attuale delle attività e delle discussioni per quanto riguarda la politica europea di sicurezza e difesa. Questo fornirà ai membri della Commissione un taglio molto specifico rispetto all'oggetto più ampio dell'approfondimento avviato sui modelli di difesa.
Si tratta di un'occasione importante, perché la politica estera di difesa (PESD) è relativamente giovane: è stata istituita politicamente nel 1999, ma è stata avviata in maniera concreta solo alla fine del 2003 (forse è ancora poco nota).
Vorrei, in primo luogo, esprimere un'osservazione evidente, ma utile come spunto iniziale: nessun paese europeo è in grado di gestire da solo in maniera credibile le situazioni di crisi all'estero. Se l'Unione europea si muove nel contesto di un'azione comune, invece, il suo contributo può rivelarsi significativo, anche se non sempre determinante.


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A differenza di altri attori internazionali, quando l'Europa decide di agire lo può fare, se gli Stati membri concordano, su vari livelli: quello economico, quello civile di assistenza alla costruzione degli Stati, di assistenza umanitaria immediata - laddove necessario -, nonché quello militare.
La completezza degli strumenti di intervento rende, quindi, l'Unione europea un attore importante. Per tali motivi, l'Unione è in grado di sostenere nel tempo gli sforzi di stabilizzazione. Quasi tutte le situazioni richiedono, infatti, impegni a lungo termine e non possono essere risolte in pochi mesi e neppure in pochi anni.
L'Unione ha sicuramente questa capacità sul piano della programmazione pluriennale degli aiuti allo sviluppo, componente fondamentale dell'azione complessiva. Ad esempio, potrei delineare quanto la Commissione europea ha deciso su richiesta degli Stati membri per quanto riguarda il piano pluriennale per l'Afghanistan. Anche con riferimento al piano degli aiuti per la costruzione della statualità, ovvero lo stato di diritto, si può sostenere questo sforzo nel lungo periodo.
Gli Stati membri hanno voluto - e Solana ha fornito personalmente un grande impulso - che questa costruzione non rimanesse astratta, cioè non si individuassero solo - seppur importanti - gli organi, gli strumenti, i concetti, le modalità operative, ma che fosse praticamente attuata attraverso la cooperazione. Essa ha avuto inizio nel 2003 ed è cresciuta in modo rilevante. Ad oggi, infatti, l'Unione ha posto in essere 4 operazioni militari (3 concluse e una ancora in corso in Bosnia), una delicata operazione civile e militare in Sudan (in Darfur) in appoggio alla missione dell'Unione africana, 9 operazioni civili, di cui 4 concluse e 5 in corso. Attualmente, si sta impegnando in 3 nuove ampie operazioni civili in Kosovo, in Afghanistan e nella Repubblica democratica del Congo, a seguito del compimento della fase costituzionale del nuovo Governo.
Il fatto che, nonostante i rischi organizzativi collegati a strutture recenti, si siano poste in essere alcune operazioni, ha messo l'Europa nella condizione di interloquire meglio non solo con i paesi con i quali lavora, ma anche con le altre organizzazioni internazionali, con l'ONU - il cui mandato è alla base di tutte le operazioni militari - e recentemente anche in un delicato e complesso collegamento in nuce con il Consiglio di sicurezza.
La capacità di agire anche sul piano della difesa fa sì che, quando in un'area di crisi - Congo, in certa misura il Darfur e sicuramente il Kosovo - il Consiglio di sicurezza deve prendere decisioni successive, la politica dell'Unione svolta fino a quel momento continua ad essere rilevante per quanto riguarda le scelte adottate. Sino a 4-5 anni fa ciò non era possibile o si poneva comunque in maniera totalmente diversa.
È essenziale il rapporto con la NATO, e l'operazione ancora in corso si realizza in base all'accordo per l'emplace e quindi con l'uso di assetti NATO, ma anche con le organizzazioni regionali. Citerò i due esempi dell'Indonesia, con l'impegno dell'Unione per assicurare una soluzione pacifica del conflitto in ACE, che costituisce un'operazione mista con l'Asia, e del Sudan con l'Unione africana.
Come affermato all'inizio, la PESD non è esclusivamente militare, ma presenta anche una dimensione civile: le tre maggiori operazioni previste infatti saranno condotte sul piano civile.
La dimensione civile è dunque molto sviluppata, ma è importante sottolineare come tutti a Bruxelles siano convinti che l'Unione non possa specializzarsi solo nella componente civile per due motivi diversi: uno che oserei definire pratico, perché in paesi particolarmente difficili sarebbe impossibile condurre le operazioni civili, senza un forte sostegno della struttura militare - mi riferisco alla pianificazione, al sostegno logistico, al supporto per quanto riguarda l'intelligence, ai contatti ed ai rapporti con le forze militari presenti -; inoltre l'intento dell'Unione è quello di non confinarsi nella sola dimensione civile. Una divisione del lavoro che attribuisca ad alcuni paesi e ad alcune organizzazioni una vocazione militare e ad


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altri una vocazione esclusivamente civile rappresenterebbe infatti un errore da cui deriverebbero rilevanti squilibri.
Tutto ciò è formalizzato nella Strategia europea di sicurezza approvata nel 2003: documento che guida la politica dell'Unione e che mira anche a sviluppare la dimensione militare in un contesto multidisciplinare, quindi di uso di numerosi strumenti (si tratta quindi di un elemento non esclusivo né dominante, ma essenziale).
Se la Commissione è interessata, aggiungerei brevemente - in quanto non si tratta di materia propria dei diplomatici - un'analisi dello stato delle riflessioni all'interno dell'Unione per incrementare le capacità collettive in ambito militare.
Per quanto concerne la posizione dell'Italia all'interno della PESD, in questi 4-5 anni il nostro paese ha fornito un contributo molto importante sia in ambito civile sia in ambito militare. Per quanto riguarda la parte civile, attualmente sono impegnati in missioni molto delicate due capi missione: il generale Pistolese, comandante dell'operazione Rafa di monitoraggio alla frontiera fra Gaza e l'Egitto, e il generale Coppola, responsabile della missione di polizia in Bosnia. Abbiamo avuto per un anno il vice capo missione ad ACE, la dottoressa Tardioli, ed i nostri carabinieri sono presenti quasi in ogni operazione estera di polizia con un forte riconoscimento ed apprezzamento da parte di Solana.
Sul piano delle operazioni militari, su circa 6 mila militari dell'Unione attualmente in Bosnia, circa 580 sono italiani e il generale Chiarini ha mantenuto il comando per tutto il 2006. Abbiamo anche partecipato in modo rilevante, con compiti specifici e specialistici alle operazioni in Congo: in particolare, abbiamo fornito un aereo che ha assicurato il trasporto fra le varie zone all'interno del paese e fra di esso e il Gabon.
Quindi, proprio perché nel quadro europeo si svolge un'azione complessiva, non esclusivamente militare, ma in cui tale componente è fondamentale, dobbiamo essere pronti a garantire in futuro lo stesso grado di contributo e la stessa disponibilità a partecipare anche in campo militare, per poter influenzare la definizione delle linee generali di politica estera dell'Unione.
Per quanto concerne gli attuali limiti della politica estera di difesa, che in questo settore sono abbastanza noti, si sono moltiplicate le operazioni per ribadire la presenza dell'Europa, ma è impossibile superare un certo limite se non si realizzano alcune modifiche che il Trattato costituzionale prevedeva e che sono presenti nel trattato sottoscritto.
Queste modifiche riguardano ovviamente la figura del ministro degli esteri, non tanto per l'istituzione della carica, ma in quanto vertice cui spetterebbe l'attribuzione dei vari pilastri dell'azione esterna dell'Unione, ovvero la responsabilità politica finale, sia della parte economica, sia della parte dell'assistenza umanitaria, che di sicurezza e difesa. Verifichiamo questa esigenza ogni giorno, perché il Comitato di politica e sicurezza lavora quotidianamente con la Commissione per smussare gli angoli, per trovare intese ad hoc, ma sarebbe sicuramente diverso se esistesse una unità politica, per mediare le eventuali divaricazioni emerse sul campo.
Vorrei anche sottolineare l'importanza - qualora il Trattato venga approvato - della fine delle presidenze semestrali. In tutti i settori di attività dell'Unione la presidenza semestrale impone dei ritmi a volte anomali, e certamente nel settore di nostra specifica competenza il vincolo della presidenza semestrale è profondamente percepito. Proprio per questo motivo, uno degli organi essenziali creati per la PESD, il Comitato militare, prevede invece una presidenza unica triennale, ricoperta fino allo scorso ottobre dal generale Mosca Moschini. Ciò offre la possibilità di dare impulso a impegni di lungo periodo. Il Trattato prevede, inoltre, le cooperazioni rafforzate, per le quali si opera però in una dimensione non di gestione della PESD, bensì di sua trasformazione.
Se il presidente lo ritiene opportuno, vorrei ricordare quale sia il mandato della


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PESD e quali le sue specificità. Naturalmente, non si tratta di difesa europea, ma di azione comune nelle aree di crisi. In secondo luogo, a seguito di una lunga discussione, nel 1999 è stato stabilito che l'Unione si sarebbe mossa autonomamente solo laddove la NATO non fosse intervenuta. Ciò è avvenuto, ad esempio, in Congo. Delle due missioni, infatti, quella in Bosnia è stata condotta con la NATO - e in realtà è la prosecuzione di una missione NATO -, mentre quella in Congo è avvenuta in un quadro unicamente europeo, ovvero con conduzione e comando di operazioni esclusivamente europei.
L'attuazione della PESD non comporta la creazione di un esercito europeo, ma implica obiettivi comuni e condivisi da tutti i paesi in termini di adeguatezza degli strumenti delle forze armate. Affinché tale politica non sia dunque meramente teorica ma abbia immediati riflessi pratici, si mettono a disposizione per le operazioni dell'Unione una serie di assetti, tra cui l'importante meccanismo - approvato recentemente e operativo da gennaio di quest'anno - dei gruppi tattici o battle cry, che costituisce un salto di qualità importante nella politica della difesa europea.
Gli Stati si sono impegnati a mettere a disposizione dell'Unione, qualora necessario, due gruppi contemporanei in grado di compiere due operazioni nello stesso momento, autosufficienti, di pronto intervento, che rappresentano una forza di reazione rapida, che è possibile mobilitare in cinque giorni, costituita da 1500 persone, utilizzabili sia come forza immediata per operazioni più ampie, sia come forza autosufficiente, qualora si tratti di recuperare persone, di assistere operazioni di aiuto umanitario e di garantire un ambiente di sicurezza.
Questi strumenti a disposizione dell'Unione sono multinazionali, generalmente realizzati da una nazione quadro con i contributi di altre nazioni: lo Stato, che assume l'impegno di garantire la disponibilità del gruppo tattico, assicura anche il trasporto strategico - peso rilevante perché si tratta di spostamenti entro i 6 mila chilometri -, la parte logistica, nonché il comando della stessa forza.
L'Italia ha messo a disposizione, per il secondo semestre di quest'anno, un gruppo tattico - quindi sarà in stand by insieme ad Ungheria e Slovenia - e si è impegnata a predisporre un gruppo tattico con la Spagna nel 2009, e nel secondo semestre del 2010 un gruppo nazionale italiano con contributi rumeni e turchi.
Alla base di tutto ciò, naturalmente, esiste un grande lavoro di compatibilità, di accordi internazionali, di definizione degli assetti.
Il grande lavoro che si sta compiendo a Bruxelles riguarda l'identificazione di capacità che vanno al di là del pronto intervento. Il Consiglio ha approvato dunque il cosiddetto catalogo delle forze; si tratta di un elenco estremamente dettagliato, redatto nel 2006 con la partecipazione di tutti i paesi membri e con lo Stato maggiore dell'Unione, che indica con grande serietà gli assetti in uomini e mezzi messi a disposizione da ciascun paese dell'Unione per operazioni di più ampia portata.
I paesi europei presentano gravi carenze in vari settori, ma soprattutto in quelli del trasporto strategico, del comando, dell'intelligence. Parallelamente a questo catalogo degli impegni, ne è stato, quindi, compilato anche uno sulle lacune rilevate, con l'obiettivo di produrre a fine anno un nuovo documento che indichi - considerando gli impegni e le forze che gli Stati hanno messo a disposizione e le loro necessità - in quale misura si possano colmare. In ambito UE, è in corso una serie di lavori sul trasporto aereo strategico, sulla componente navale e su vari aspetti più dettagliati della questione del controllo e comando. Questo è l'obiettivo da qui al 2010, che dovrebbe fornire una chiara dimensione degli impegni.
Prova della serietà con cui il tema viene affrontato è l'avvio di un lavoro, certamente più aleatorio ma necessario, per delineare scenari al 2025; si tratta in gergo una «visione di lungo termine». È stato


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concordato un primo documento, che necessita di un ampio lavoro per individuare le necessità al 2025.
Ritengo doveroso citare l'importante progresso politico compiuto nel 2004 con la costituzione dell'Agenzia europea di difesa e ciò al fine di rendere più razionale la produzione di materiali per la difesa fra i vari paesi europei. Si tratta di operazioni complesse perché le programmazioni vengono fatte con largo anticipo e ciò su cui l'Agenzia può incidere si situa in un orizzonte abbastanza lontano; si tratta comunque di un lavoro fondamentale. Sono stati compiuti alcuni progressi, quali le due decisioni prese dai ministri alla fine di quest'anno; mi riferisco alla realizzazione di un codice di condotta (è un'adesione volontaria ma, una volta perfezionata, diventa vincolante) sugli acquisti nel settore militare, cui hanno aderito quasi tutti i paesi, con l'eccezione più rilevante della Spagna, successivamente impegnatasi ad aderire, e all'avvio di un programma comune di ricerca su come proteggere le forze sul campo. Esistono altri settori di attività, quasi tutti collegati a questa individuazione di capacità a lungo termine, con cui è possibile influire sulle scelte nazionali che invece sono già definite nel medio termine.
Per quanto riguarda le strutture della PESC, la strategia è indicata dalla Strategia europea di sicurezza del 2003 con una serie di altri documenti di dettaglio. In termini istituzionali, esistono la figura di Solana, Alto rappresentante per la PESC, che naturalmente siede nel Consiglio dei ministri degli esteri; il Comitato politico e di sicurezza di cui sono membro, che ha il compito non solo di preparare le decisioni del Consiglio dei ministri nel settore della difesa e in quello della politica estera, ma anche di esercitare il controllo politico e la direzione strategica delle operazioni. Abbiamo infatti la responsabilità sia della pianificazione che del controllo delle operazioni, sebbene sia possibile obiettare che gestire un controllo delle operazioni attraverso un comitato non sia forse la formula più efficace. Ovviamente siamo sempre disponibili a riunirci. All'interno del segretariato sono state create strutture permanenti, in particolare lo Stato maggiore dell'Unione, che riunisce i militari di tutti i paesi e assicura un punto di contatto immediato.
L'altra struttura fondamentale della PESC è il Comitato militare, nel quale siedono tutti i rappresentanti militari. Tale organo si riunisce due volte l'anno a livello di Capi di stato maggiore della difesa, altrimenti normalmente con i rappresentanti a Bruxelles, militari di alto rango, ed è presieduto da un presidente con carica triennale.
Al generale Mosca Moschini ha fatto ora seguito il generale francese che è stato Capo di stato maggiore in Francia fino a due mesi fa.
Infine, esiste un altro comitato per gli aspetti civili di gestione delle crisi, che sovrintende alle operazioni civili della PESC nell'ambito della giustizia.
Ovviamente, rimango a vostra disposizione per rispondere a eventuali quesiti specifici concernenti operazioni in corso o programmate.

PRESIDENTE. Ritengo interessante che lei abbia preannunciato la possibilità di delineare un quadro in merito all'Afghanistan.
Le sottopongo una mia curiosità che potrebbe creare qualche difficoltà, ma vorrei che fosse approfondita. Sono consapevole che, stante la normativa attuale e l'attuale percorso di costruzione dell'Europa, si stanno considerando tutti gli aspetti possibili della questione (nel settore vi sono un'attenzione e un lavoro costanti). Mi pongo, tuttavia, una domanda: all'interno del forte coordinamento tra i vari paesi a fronte di un progetto comune, stanno cominciando a nascere scambi tra gli Stati maggiori che presuppongano delle specializzazioni per i diversi paesi?
In un sistema di difesa europea, di cui non è ancora possibile parlare, infatti, insieme al coordinamento per effettuare missioni, potrebbe esistere un disegno in base al quale ciascuna nazione si imponga un compito armonizzato con quello degli altri. Pur sapendo che ciò non può essere


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materia di riunione specifica, mi chiedo se, a margine, esista una visione che possa facilitare in futuro - se e quando esisteranno gli strumenti - un'armonizzazione, oppure si tratti di una mera speranza, di un'intenzione priva di riscontri con l'esperienza comune dei diversi paesi.
Do la parola ai colleghi deputati che intendano porre questioni o formulare osservazioni.

ANDREA PAPINI. Ho chiesto la parola per riagganciarmi a una sua affermazione, ovvero per chiederle di soffermarsi sul passaggio riguardante l'esistenza all'interno dell'Agenzia europea di un codice di condotta per quanto concerne gli acquisti, che si ricollega al tema delle specializzazioni. Vorrei capire la sua valenza, ricollegandomi a quanto affermato dal presidente.

ANDREA MELONI, Ambasciatore. Si potrebbe verificare una specializzazione dei paesi. Naturalmente conta la storia e l'esperienza di ciascun paese, soprattutto in aeree in cui si riscontra una diretta responsabilità coloniale. In risposta, potrei citare l'esempio dell'operazione congolese, che non ha goduto dell'interesse dell'opinione pubblica, ma che è stata un'operazione utile, fortunata e sicuramente interessante.
I paesi che hanno preso l'iniziativa di un impegno da parte dell'Unione sono - non sorprendentemente in base alla loro storia - Francia e Belgio, a differenza di quanto accaduto proprio in Congo quattro anni fa con la prima operazione - liberare alcuni skippers uruguaiani intrappolati nel nord del paese - definita europea, ma in realtà francese. Si chiamava operazione Artemis, e i francesi impiegarono le loro forze.
A dimostrazione degli sviluppi e della - sia pur limitata - volontà di procedere in questo senso, nonostante l'iniziativa politica sia riconducibile a Francia, Congo e Belgio, si è costruita un'operazione militare veramente multinazionale europea, in cui, dopo lunghi dibattiti politici, il comando operativo è stato assunto dai tedeschi a Potsdam. Dal loro centro operativo di Potsdam, con un comandante tedesco, gestivano l'operazione, mentre francesi, spagnoli, svedesi, polacchi inviavano non contingenti simbolici, ma truppe specializzate. In totale, dovrebbero aver partecipato 14 o 15 paesi europei. L'Italia ha messo a disposizione l'aereo che ha garantito i collegamenti per gran parte delle truppe.
Il gestore politico di questa operazione è stato il rappresentante speciale di Solana, l'italiano Aldo Ajello, che, insieme a Solana, ha reso possibile l'operazione dal punto di vista politico, facendo sì che gli stati africani della regione fossero concordi - aspetto non facile - e che le diverse fazioni congolesi accettassero la presenza di militari europei.
Si è agito anche sulla base di due missioni civili, una di polizia e una di assistenza all'esercito, che sono guidate da un portoghese. L'eredità coloniale, dunque, pesa indubbiamente molto, ma si stanno compiendo progressi verso un decisivo approccio multinazionale.
Attraverso i servizi di informazione diplomatica, questi paesi si sono inseriti nella complessa dinamica della vita politica congolese. Tale processo non è dunque appannaggio di un'unica nazione, e si rivela complicato, lungo ma anche significativo. A seguito di una risoluzione dell'ONU, l'operazione era di appoggio alle forze di peacekeeping dell'ONU in Congo, impegnate nei settori dove ancora si guerreggiava nell'est, ai confini con il Rwanda, che temevano l'esplosione di disordini a Kinshasa. Quindi, è stata una funzione tipica di deterrenza addizionale all'ONU.
Per quanto riguarda l'Afghanistan, fino alla fine del 2005, il profilo dell'Unione era relativamente basso. Avevamo, e abbiamo tuttora un rappresentante speciale (in questi giorni a Roma), Francisco Vendrell, di grande esperienza perché già rappresentante delle Nazioni unite, e la Commissione si era impegnata molto, soprattutto nei primi anni, negli aiuti di emergenza e strutturali. Tuttavia, il profilo politico non era elevato. Poi, alla fine del 2005, è stato siglato un accordo con il Governo afghano


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in base al quale l'Unione avrebbe garantito aiuti in tutti i campi, e nel corso del 2006 si sono definiti vari interventi. Tra questi, vorrei sottolineare un impegno molto forte nel settore della statualità, ovvero di supporto alla costruzione dello Stato nei settori giustizia, polizia, lotta al narcotraffico, istituzioni statali. Come è noto ai membri della Commissione, dal 2001 abbiamo avuto un lead nel settore giustizia, cioè una responsabilità particolare che continuiamo ad assumere nel ruolo di nazione maggiormente impegnata nel settore giustizia. Abbiamo ritenuto essenziale, però, che ciò non rimanesse compito esclusivamente e pericolosamente italiano, del resto difficile a causa dell'attuale sistema di giustizia in Afghanistan. Abbiamo, quindi, chiesto alla Commissione di considerarlo asse prioritario e di intervenire in maniera sistematica e di lungo termine. In breve, il programma settennale avviato a gennaio prevede quasi il 38 per cento dei fondi per il settore dell'aiuto allo stato di diritto e cioè giustizia e polizia, con una forte garanzia di continuità del nostro impegno. Per quanto riguarda il secondo settore, si è ritenuto che la Commissione fosse in grado di incaricare esperti e di investire danaro per necessità di base quali il pagamento degli stipendi di poliziotti e di giudici, attraverso fondi garantiti internazionalmente, e che una delle necessità più urgenti fosse rafforzare l'istituzione della polizia afghana rendendola in grado di svolgere i necessari compiti di ordine pubblico, e fosse quindi giunto il momento di aiutare i tedeschi da tempo impegnati in questo. È in corso di definizione un'operazione di PESD - che verrà sottoposta al Consiglio dei ministri di febbraio, - di sostegno della polizia afghana, operazione che coinvolgerà quasi tutti i paesi membri e si articolerà su diversi livelli di intervento: quello centrale, in termini di assistenza al Ministero dell'interno, alla scuola di polizia afghana nei cinque comandi regionali in cui si articola la polizia, e quello soprattutto locale. A livello locale si può realizzare solo tramite i PRT, perché è necessaria una garanzia di sicurezza affinché gli operatori di polizia possano lavorare. Si stanno ancora discutendo i dettagli, ma esiste una volontà comune di avviare questo programma civile, che prevede nella prima fase 160 persone con possibilità di aumentarne il numero in futuro. Tutto ciò è ancora soggetto alla decisione dei ministri a febbraio.
Sul codice di condotta, si lavora all'interno di un noto quadro del Trattato, ovvero fuori dal mercato interno. Mentre la Commissione considera le proposte di modifica dell'articolo 196 del Trattato, è stato proposto agli Stati membri di informare sugli acquisti e di seguire alcune procedure.
È stato convenuto un bollettino, nel quale gli Stati sono invitati a informare sulle loro operazioni di acquisto. In questo modo si offre la possibilità agli altri paesi e all'EDA di verificare se il bollettino venga usato e se vi siano contenute tutte le informazioni. I rapporti con l'EDA sono responsabilità dei Ministeri della difesa, che potranno fornire tutte le indicazioni.

PRESIDENTE. Se non ricordo male, nel momento in cui abbiamo analizzato le modifiche alla legge n. 185, avevamo detto che questo codice etico era composto da alcuni punti meno stringenti rispetto ai vincoli che tale legge imponeva all'Italia, per quanto riguarda, ad esempio, il divieto di vendere armi a paesi con eventuali conflitti. Sapevo che su tale aspetto l'Europa stava lavorando, ma non so se ciò sia collegato al discorso del bollettino. Ricordo comunque un testo, che ho letto quando si parlava della legge n. 185, dal quale si evinceva che era su base volontaria: i paesi potevano o meno aderire.

ANDREA PAPINI. Questo dovrebbe avere finalità di razionalizzazione!

PRESIDENTE. Ci si riferiva all'esigenza di fissare criteri simili per quanto riguarda la produzione e il commercio delle armi, ma non so se sia la stessa cosa.

TANA DE ZULUETA. Per le esportazioni?


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ANDREA MELONI, Ambasciatore. In realtà, si tratta di alcune regole che gli Stati si autoimpongono al momento di effettuare appalti militari, quindi non sulla vendita di armi. Se il Ministero ha bisogno di comprare, ad esempio, veicoli particolari per l'esercito, le procedure sono fuori dal Trattato; tuttavia, attraverso questo strumento negoziato in ambito EDA, l'ente appaltante militare si assume obblighi di trasparenza.
Si tratta di un meccanismo che non riguarda le esportazioni di armi, ma appalti militari all'interno dei paesi dell'Unione e gli obblighi di trasparenza si palesano solo nei confronti dei paesi dell'Unione che abbiano aderito al Codice.

PRESIDENTE. Si tratta chiaramente di una cosa diversa.

ANDREA PAPINI. Anche in relazione al Trattato costituzionale, mi pare di capire che la realtà sia ancora informe per quanto riguarda la possibilità di guida del sistema. La vicenda del Trattato ha avuto inevitabilmente un impatto sulla concreta possibilità di realizzare una forma coordinata sui temi della difesa e della sicurezza.
Siamo ancora in attesa di un'evoluzione che possa riprendere il percorso interrotto, perché oggi si cerca di supplire con la buona volontà dei Comitati, ma diventa difficile in assenza di un supporto normativo, se ho ben inteso le sue parole.

ANDREA MELONI, Ambasciatore. Sì, è così. Per l'esperienza personale che ho maturato in questo anno, posso affermare che esiste il massimo impegno sia a livello dei comitati che a quello dei ministri. Ascoltando i rappresentanti politici e leggendo anche le inchieste di Eurobarometro, si rileva che il settore della politica europea in cui un'ampia maggioranza dell'opinione pubblica ritiene fondamentale un'azione unitaria dell'Europa è proprio quello riguardante la gestione delle crisi all'estero.
Soprattutto nel 2008 emergerà un problema di risorse, perché, non le operazioni strettamente militari che ognuno finanzia da solo, ma tutte le grandi operazioni civili della PESD, quelle previste in Kosovo, in Afghanistan e via seguitando, presentano una linea di bilancio molto ridotta e, quindi, vi sarà un certo limite finanziario.
Stiamo cercando di impegnarci sul piano delle operazioni per dimostrare quanto sia possibile fare in tale ambito e quindi come un salto di qualità non costituisca un'avventura, ma la debita conclusione di un processo già avviato ed ulteriormente sviluppato. Questo è comune a tutti, sia pur con le varie differenze di accento.

PRESIDENTE. La ringraziamo e le facciamo i migliori auguri per il suo lavoro. Quando ci siamo sentiti telefonicamente, l'ambasciatore si era dichiarato lieto di questo invito, rilevando come sia raramente possibile parlare di quanto si sta realizzando in Europa. Rispetto anche alla preoccupazione dell'onorevole Papini sui progressi limitati, dobbiamo riconoscere il fatto che parlare raramente di tali tematiche non possa certo giovare. La ringraziamo e le auguriamo buon lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,20.