COMMISSIONE IV
DIFESA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 1° agosto 2007


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ELETTRA DEIANA

La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del sottosegretario di Stato per la difesa, Giovanni Lorenzo Forcieri, sulle problematiche relative agli arsenali militari e agli stabilimenti a carattere tecnico-industriale della Difesa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del sottosegretario di Stato per la difesa, Giovanni Lorenzo Forcieri, sulle problematiche relative agli arsenali militari e agli stabilimenti a carattere tecnico-industriale della Difesa.
Do la parola al sottosegretario Forcieri.

GIOVANNI LORENZO FORCIERI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Se il presidente mi consente, vorrei illustrare il progetto di riforma che abbiamo predisposto, anche attraverso la proiezione di slide per rendere più facile la comprensione.
L'attuale situazione degli stabilimenti di lavoro dell'area industriale della Difesa, in modo particolare quella degli arsenali militari della Marina italiana, ha raggiunto un gravissimo stato di crisi e di difficoltà.
La cosiddetta «riforma Andreatta», che doveva costituire - in parte lo è stato, ma soltanto in parte - un salto di qualità verso la definizione di un'area tecnico-industriale della Difesa, caratterizzata da economicità ed efficienza, non ha purtroppo fornito i risultati sperati.
Gli organici non sono stati completati né qualitativamente, né quantitativamente. Le infrastrutture hanno raggiunto uno stato di degrado tale che sono divenute oggetto, in qualche caso, di interventi della magistratura e la diminuzione dei fondi per manutenzioni ed esercizio, a partire dall'anno 2002, ha ulteriormente aggravato la situazione.
Di fronte a tale contesto, la Difesa ha ritenuto di dover intervenire con urgenza, per definire un progetto di riforma organico ed unitario. Allo scopo, è stato attivato un gruppo di lavoro interforze, coordinato da chi vi parla, in quanto sottosegretario che ha la responsabilità dell'area industriale della Difesa, diretto dall'ammiraglio Romano, qui presente, insieme al dottor Criscuolo, vice capo di gabinetto, responsabile del personale. Il gruppo di lavoro è stato integrato con la presenza di un rappresentante della Presidenza del Consiglio, esperto in ristrutturazioni economiche ed industriali, con lo scopo di elaborare una proposta unitaria ed organica, per individuare le possibili soluzioni alle problematiche degli stabilimenti industriali della Difesa.
Il gruppo è stato formato nel mese di marzo, ha presentato la propria proposta alla fine del mese di giugno, entro il periodo che gli era stato assegnato di tre mesi. La proposta è stata esaminata ed accolta dal Ministro della difesa ed ora è oggetto della mia presentazione.


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Su questa proposta è già stato avviato, a cura del sottosegretario Verzaschi, un confronto con le organizzazioni sindacali, e nelle due riunioni convocate dal gabinetto del Ministro non sono emerse posizioni pregiudizialmente negative. Anzi, devo dire che in particolare quella di ieri ha dato un riscontro molto positivo.
Questo confronto, peraltro, continuerà sulla base di un preciso calendario di incontri che è già stato concordato - e riprenderà a partire dall'11 settembre - tra il sottosegretario delegato e le organizzazioni sindacali.
Trattandosi di una riforma complessa, i cui effetti evidentemente supereranno anche la durata della legislatura, e che segnerà il futuro degli stabilimenti di lavoro, l'augurio del Governo (e in particolare di chi vi parla) è che questo progetto possa trovare, oltre che un coinvolgimento e una discussione ampia, anche un consenso della politica in quanto tale, ossia un consenso che vada oltre le attuali posizioni di maggioranza e di minoranza. Questo è un auspicio che è stato anche ribadito da parte delle organizzazioni sindacali, proprio per il livello ormai molto grave della situazione a cui siamo giunti.
Nella slide che vedete è riportata la cronologia delle attività. Il lavoro si è svolto con celerità; devo dire che questo è stato possibile anche perché la Difesa in questi anni non aveva lasciato la situazione a sé stessa, ma si stava interrogando e stava esaminando quali interventi assumere; quindi una serie di rilevazioni e di studi erano già in qualche modo disponibili.
Il mandato che aveva il gruppo di lavoro era piuttosto ampio e riguardava tutta l'area industriale della Difesa, in particolare partendo dalla necessità di individuare ogni possibile strumento per aumentare la redditività degli enti e anche con la possibilità, che voglio sottolineare, di ricorrere a modelli ordinativi alternativi.
Inizialmente il gruppo di lavoro ha definito il perimetro delle attività, individuando gli stabilimenti di lavoro rientranti concettualmente tra quelli a carattere tecnico-industriale. Tra questi, nello spirito dei decreti della riforma Andreatta, il gruppo ha svolto un'analisi distinta tra gli stabilimenti a suo tempo ritenuti strategici, quelli della tabella A e della tabella B, che sono attualmente dipendenti dall'area operativa di forza armata, e quelli della cosiddetta tabella C, che sono dipendenti dall'Agenzia Industrie Difesa (come sapete, era stata costituita con lo scopo di traghettare, come vedremo successivamente, questi stabilimenti verso il pareggio e poi verso la possibilità di operare autonomamente), e poi gli stabilimenti di Capua e Pavia che al momento dipendono ancora da Segredifesa.
Veniamo alla situazione degli stabilimenti A e B, che sono illustrati nella slide: il polo di mantenimento di Nola, quello di Piacenza, quello di mantenimento delle armi leggere di Terni, quello di mantenimento dei mezzi elettronici e opoelettronici di Roma, il centro interforze per il munizionamento avanzato di Aulla (che porta il simbolo della Marina, ma è appunto un centro interforze) e gli arsenali (quello militare di Taranto, con la sua sede secondaria di Brindisi, l'arsenale militare marittimo di La Spezia e l'arsenale militare di Augusta).
L'esame della situazione è stato preceduto da un'analisi di quelli che sono stati i principi informatori della riforma Andreatta che, a suo tempo, ha costituito il primo vero e importante tentativo di dare vita ad un'area tecnico-industriale della Difesa che seguisse criteri di economicità ed efficienza.
I principi informatori della riforma sono stati indicati in slide. In sostanza, gli organici venivano riferiti essenzialmente alle attività cosiddette del core business; c'era infatti la previsione di esternalizzare tutte le attività che non facessero parte del core business, cosa che in parte è avvenuta con la gestione di mense, pulizia, eccetera, servizi che ora saremo forse costretti a reinternalizzare per la scarsità di risorse. Per attività di core business si intende il mantenimento in efficienza dello strumento militare.


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Questo è il compito degli stabilimenti e degli arsenali militari, che consente di individuare una funzione di carattere nazionale e di interesse strategico per il nostro Paese, trattandosi di mantenere in efficienza lo strumento militare, sia navale che aereo o terrestre.
Il numero di stabilimenti con la riforma Andreatta è stato fortemente ridotto e, come vi ho detto, è nata l'Agenzia Industrie Difesa, l'AID, dove sono stati ricompresi nove stabilimenti militari.
Lo stato di applicazione della riforma Andreatta non è purtroppo positivo, sia per quanto riguarda gli organici, sia per quanto riguarda le strutture. In particolare, dall'analisi che è stata fatta riteniamo che la diminuzione di finanziamenti che c'è stata a partire dal 2002, ma in maniera molto consistente nel 2003, 2004 e 2005, abbia quasi dimezzato le risorse disponibili determinando un grave stato di crisi di queste strutture.
Ci si è soffermati, da parte di alcune organizzazioni sindacali, sulle responsabilità dell'attuale situazione. Non ho difficoltà a dire che le responsabilità sono abbastanza distribuite fra i vari soggetti. Naturalmente, quelle politiche sono quelle di maggior peso, dal momento che la politica è sempre quella che decide.
L'aver portato avanti una politica di taglio - senza che ai tagli corrispondesse anche un progetto di riforma, limitandosi a semplici tagli contabili - è stata la condizione principale che ha determinato la situazione attuale di crisi.
Il taglio, e il conseguente blocco del turn-over delle assunzioni, ha portato a questa situazione di estrema, grave difficoltà.
L'analisi di situazione svolta dal gruppo di lavoro ha riguardato gli aspetti riportati nella slide: le risorse umane, gli indicatori economici industriali, le infrastrutture, l'adeguatezza anche all'evoluzione dello strumento militare e la disponibilità di fondi, esercizio ed investimenti.
Per quanto riguarda le risorse umane, credo che il termine corretto da usare per descrivere la situazione sia «drammatica»: le carenze sono notevoli, in particolare nell'area dei quadri tecnici intermedi che dovrebbero costituire l'asse portante delle attività tecniche degli stabilimenti. Se non c'è un intervento preciso su questo aspetto, tutto il resto rischia di essere vanificato.
Come leggete, vi sono carenze generali, come una proporzione «non industriale» tra la funzione di supporto e la funzione produttiva, gli esodi consistenti senza rimpiazzi. Vedete, altresì, che l'età media è di circa cinquant'anni. Basterebbero questi punti per capire le difficoltà e lo stato di crisi.
Gli indicatori economici industriali presentano notevoli difficoltà; abbiamo anche riscontrato che gli indicatori finora utilizzati non sono completamente idonei a misurare l'efficienza produttiva degli impianti.
Alcuni dati sono però incontrovertibili. Il rapporto ore dirette-ore indirette è sempre inferiore a uno - a parte il caso del polo di Terni - intendendo per ore dirette quelle relative al core business delle manutenzioni. In sostanza, è molto più ampia la parte di supporto, amministrativa, rispetto a quella delle produzioni vere e proprie. È una situazione che non è sopportabile a lungo per attività che hanno principalmente una caratteristica industriale, anche se quella della manutenzione industriale.
Il valore delle spese generali relative alle ore dirette è elevato, soprattutto se lo relazioniamo alle attività svolte direttamente dagli arsenali; migliora un pochino se lo relazioniamo alle attività nel loro complesso, cioè quelle svolte dagli arsenali e dalle ditte esterne, su cui comunque le attività indirette (amministrative, generali eccetera) in qualche modo incidono.
Senza entrare nei dettagli, che comunque sono ampiamente analizzati nella relazione, della quale vi lascerò una sintesi, gli indicatori attualmente utilizzati per valutare industrialmente gli arsenali sono indicativi non di scarsa attività lavorativa, ma di limiti strutturali alla produttività.
Sulle infrastrutture, la disponibilità dei fondi dell'esercizio ha determinato una situazione piuttosto critica. Occorre anche


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sottolineare che nell'attuale situazione, a fronte di uno strumento militare sempre più tecnologicamente complesso, il gap tra la potenzialità degli stabilimenti e i compiti da svolgere è certamente destinato ad aumentare.
Intendo dire che o prevediamo un processo di formazione continua dei nostri addetti a questo tipo di attività, e quindi siamo in grado di seguire le evoluzioni dei vari sistemi, oppure è chiaro che dovremo sempre restringere l'attività svolta direttamente da noi e allargare la parte che viene svolta dalle ditte esterne.
Come vedete, lo stato di fondi di esercizio è diminuito di circa il 50 per cento, ed è il gap di cui parlavo prima.
I limiti strutturali dipendono dalla struttura organizzativa, dal contratto nazionale di lavoro, dalla composizione degli organici e dal mansionario, dalle regolamentazioni giuridico-amministrative complicate e farraginose. La riforma Andreatta ha costituito a suo tempo un notevole progresso verso la definizione di un'area tecnico-industriale della Difesa che operasse secondo criteri di economicità e di efficienza, ma il decennio trascorso vede ormai il verificarsi di cambiamenti profondi sia nel modello di difesa, sia nella concezione stessa del supporto logistico, di cui non può essere esente il sistema degli stabilimenti di lavoro.
A fronte di tali cambiamenti e delle esigenze che ne derivano, l'analisi dell'organizzazione attuale ne evidenzia comunque alcuni limiti strutturali, che sono i limiti tipici delle organizzazioni statali, che sono particolarmente condizionanti quando occorre svolgere, secondo criteri di efficienza e di economicità, attività a carattere produttivo ed industriale.
Permarrebbero questi limiti - è bene dirlo - anche con organici completi e con disponibilità finanziarie adeguate, ma è chiaro che, in carenza di organici e senza disponibilità finanziarie, questi limiti si esaltano e diventano delle barriere insormontabili.
Da qui la necessità di intervenire cambiando radicalmente la situazione. Nella slide, infatti, abbiamo evidenziato la necessità di cambiamento.
Da quanto sopra esposto appare chiara la necessità di non rinviare ulteriormente l'assunzione di iniziative di cambiamento della situazione attuale, nonché di provvedimenti di natura straordinaria mirati a rivitalizzare l'intero sistema industriale.
I limiti strutturali sono legati a difficoltà per infrastrutture, assunzioni, evoluzione tecnologica dello strumento militare, aumento dei costi nel ricorso all'industria privata e necessità di nuove forme di relazione Difesa-industria.
Questi sono i punti che ci spingono al cambiamento.
Vorrei aggiungere che dall'analisi fatta emerge che o noi interveniamo - e interveniamo in maniera seria, organica e unitaria - oppure gli arsenali militari sono destinati a morire nell'arco dei prossimi cinque anni. In assenza di intervento, la tendenza alla lenta fine delle capacità è una tendenza che non si può fermare.
Il cambiamento deriva anche dalla necessità di individuare nuove metodologie di gestione del supporto logistico, che richiedono nuove forme di approccio tecnico contrattuale. Inoltre, in generale la Pubblica amministrazione sta tendendo verso forme di efficientamento collegate alla collocazione sul mercato dei propri asset idonei a soddisfare esigenze esterne di mercato e a sviluppare forme di gestione di tipo privatistico delle proprie attività.
Vengo alle proposte di soluzione. Abbiamo individuato una soluzione unitaria e coerente, ma che abbiamo previsto possa realizzarsi per una parte nell'attuale situazione e, per un'altra parte, modificando il modello. L'urgenza ci spinge ad iniziare subito, anche a modello ordinativo attuale, con gli interventi di riforma per poi proseguire con una modifica complessiva del modello.
Le proposte, quindi, sono di due gruppi: le prime fanno riferimento al modello attuale, le seconde ad una evoluzione verso un nuovo modello ordinativo, ma


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sono coerenti ed estremamente collegate fra di loro. Sarebbe impensabile partire solo con le une e poi fermarsi, senza procedere con le altre, perché non avremmo, come ho detto prima, risolto alcunché; sarebbe un'altra riforma che non procura effetti. Nello stesso tempo, anche aspettare di avere la definizione del nuovo modello prima di intervenire sarebbe altrettanto sbagliato. Invece, noi intendiamo occuparci della immediatezza degli interventi e, coerentemente, della modifica graduale del modello.
Quali sono le soluzioni migliorative? L'obiettivo è quello di migliorare la redditività delle strutture. Abbiamo visto che occorre puntare alla razionalizzazione delle lavorazioni e delle infrastrutture; valorizzazione con criteri di tipo industrialistico degli asset disponibili, cioè dei beni immobili e delle prestazioni che possiamo erogare; avvio delle relazioni sindacali ad impronta industriale; razionalizzazione e lavorazione per le infrastrutture, che significa abbassare i costi correnti; valorizzazione con criteri privatistici dei beni immobili e delle prestazioni, che significa incamerare finanziamenti per poter anche autofinanziare, per quanto possibile, gli investimenti strutturali.
Pensiamo, ad esempio, che possano essere individuati strumenti per perseguire l'obiettivo della redditività, in parte utilizzando la norma vigente, che ci ha reso disponibile l'attuale finanziaria attraverso il meccanismo delle permute (se riusciamo ad affiancare anche il discorso delle valorizzazioni delle aree, oppure a studiare forme come project financing), anche con modifica al contratto collettivo nazionale per introdurvi equilibrati meccanismi di flessibilità e di incentivazione. Insomma, si tratta di cominciare a ragionare in termini privatistici, pur rimanendo - nella scelta che noi facciamo - assolutamente pubblica sia la proprietà che la gestione di queste strutture. Ne parleremo, comunque, quando affronteremo il discorso delle modifiche dello strumento ordinativo.
Nella lastrina sono definite alcune soluzioni per quanto riguarda l'ambito tecnico. Come abbiamo detto, occorre definire le attività industriali e revisionare i piani regolatori. Oggi, negli arsenali e negli stabilimenti militari in cui siamo presenti, occupiamo ampi spazi, le cui costruzioni sono risalenti a molti decenni trascorsi e non sono più adeguati alle esigenze attuali. Pertanto, dovremo rivedere i piani regolatori dei nostri arsenali, concentrare le attività su strutture moderne e adeguate al compito, liberare aree che possano andare a vantaggio della collettività, delle comunità locali e, nello stesso tempo, reperire le risorse per realizzare queste nuove strutture che noi riteniamo necessarie.
Quanto all'ambito politico, occorre l'attivazione di una struttura con funzione di marketing, propulsiva, cioè accordi con gli enti locali, apertura di un tavolo tecnico, come abbiamo fatto con le organizzazioni sindacali, adozione di un modello ordinativo alternativo.
Nell'ambito normativo noi riteniamo che si debba intervenire - ecco perché è molto importante il consenso del Parlamento e delle Commissioni competenti - già in sede di finanziaria 2008, prevedendo una partecipazione attiva dell'Amministrazione difesa agli accordi quadro e di programma, in modo che la clausola della permuta ci consenta anche di avere un ritorno adeguato per l'amministrazione stessa e di utilizzare la variante del couso immobili in uso congiunto, con utilizzo della clausola permuta.
Se si ritiene di procedere ad una evoluzione secondo una visione industriale, occorre procedere secondo il metodo delle analisi dei processi posto a base di tutte le ristrutturazioni avutesi negli ultimi anni nell'area dell'industria della Difesa. L'esercizio, la pianificazione delle manutenzioni, il controllo, l'ingegneria di supporto: queste dovrebbero essere, in sintesi, le cose che dobbiamo realizzare.
Quali sono le linee guida del cambiamento? Dall'applicazione del metodo dell'analisi dei processi sono emerse alcune linee guida che sono indicate in lastrina. È necessario, a nostro avviso, un nuovo ruolo della struttura centrale, che deve assumere delle funzioni che oggi sono disperse tra i vari enti.


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Questo non significa togliere autonomia, ma avere una visione globale che consenta di razionalizzare e di gestire al meglio, nell'interesse della forza armata, le potenzialità e le possibilità di cui disponiamo e di cui vorremmo soprattutto disporre.
Occorre razionalizzare dei siti, che significa avere una visione integrata dello sviluppo delle lavorazioni tra i vari stabilimenti. Questo è molto importante, perché ci consente anche di concentrare gli sforzi per la formazione e l'adeguamento delle varie strutture in maniera più selezionata, quindi anche di decidere definitivamente quali lavorazioni mantenere e quali altre passare all'industria privata.
Tra le linee guida, noi proponiamo anche il recupero di attività svolte da terzi, definendo quali sono da riportare all'interno degli stabilimenti. Come abbiamo visto prima, ci sono delle attività che, a seguito della riforma Andreatta, sono state decentrate. Credo che sia importante fare una verifica di come ha funzionato questo aspetto del decentramento delle attività e riportare dentro quelle che riteniamo siano da svolgere all'interno.
Per quanto riguarda il personale con funzioni direttive, noi abbiamo notato che, in particolare per quanto riguarda i direttori, l'attuale metodo di nomina e di permanenza sul posto, cioè l'attuale limitata durata non sia adeguata alla direzione di uno stabilimento militare. Se non sbaglio, è di diciotto o venti mesi la media di durata in carica dei direttori degli arsenali; in un periodo così limitato è possibile appena rendersi conto dei problemi e realizzare qualcosa di quanto è stato stabilito dal proprio predecessore, quindi è già tempo di cambiare. È necessario, pertanto, prevedere una durata più lunga per la carica dei direttori e valutare la possibilità anche di accrescere il ruolo civile all'interno delle funzioni di direzione.
Si tratta di vedere poi se, oltre il lavoro specifico che possono effettuare le forze armate, c'è la possibilità di acquisire volumi di lavoro all'esterno, che possano consentire di recuperare appieno la produttività, eliminare vuoti, eccetera.
Poi vorremmo stabilire un criterio di misurazione continua delle prestazioni, sulla base del principio che si migliora solo ciò che si misura.
L'entità dei cambiamenti comporta una tale revisione della struttura e delle regole di funzionamento da rendere necessario il passaggio a un nuovo modello organizzativo alternativo. Mi riferivo a questo quando parlavo del collegamento tra ciò che può essere fatto immediatamente e ciò che invece richiede una modifica anche dell'ordinamento, perché altrimenti non avrebbe senso e si perderebbe anche quanto realizzato nell'immediato.
Sono i punti indicati nella slide: necessità di operare secondo il codice civile, rapporti di lavoro propri del mondo industriale, revisione profonda della struttura e dei regolamenti di funzionamento. A volte si perde più tempo a leggere certi regolamenti che ad applicarli.
Abbiamo cercato alcuni modelli alternativi possibili e abbiamo individuato quello dell'agenzia, quello dell'ente pubblico economico e quello della società mista. Abbiamo inoltre esaminato il comportamento di altri Paesi europei, come la Germania, il Regno Unito e la Francia. Non mi soffermerò su questi tre Paesi; dico soltanto che tra questi, il modello che più ci è piaciuto è quello francese. La DCN, infatti, è una società interamente posseduta dallo Stato, che, anche per come funziona, ha rivitalizzato molto l'attività degli arsenali francesi.
Quando abbiamo iniziato questo studio, c'era nell'aria - uso questa espressione perché è la più appropriata - una sorta di orientamento generale secondo cui non sarebbe stata possibile un'altra soluzione se non quella di cedere a privati questa attività, o completamente o, magari, anche attraverso la realizzazione di una società mista tra lo Stato e un privato di adeguate dimensioni, che potesse gestire questo tipo di attività.
Noi abbiamo scartato quest'ultima ipotesi - nella slide ne sono anche indicate le ragioni - e l'abbiamo scartata soprattutto perché noi riteniamo che sia importante mantenere queste attività all'interno del


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perimetro della pubblica amministrazione, o comunque all'interno del pubblico, perché ne riconosciamo il valore strategico, relativo alla necessità di manutenzione delle nostre Forze armate.
Abbiamo, dunque, esaminato la possibilità di utilizzare il modello dell'agenzia industriale - poi ci arriverò - e quello dell'ente pubblico economico. Quest'ultima è stata l'indicazione che è prevalsa. Infatti, dopo una serie di valutazioni sulle caratteristiche dell'agenzia e su quelle dell'ente pubblico economico, abbiamo visto che l'agenzia è una delle soluzioni che si presta meglio per situazioni di prevalente carattere amministrativo (come l'Agenzia delle entrate, l'Agenzia del demanio, eccetera) e che invece l'ente pubblico economico è stato previsto proprio per le attività non di carattere amministrativo, ma di carattere industriale, come quella che noi adesso stiamo realizzando.
Pertanto, la proposta è quella di un passaggio all'ente pubblico economico, che possa poi evolvere, nel corso di sette o otto anni, a una trasformazione di Spa, di piena e totale proprietà pubblica, trasferendo le quote della società per azioni al Ministro dell'economia e delle finanze, così come avviene per le altre società pubbliche.
È stata, inoltre, definita una strategia di evoluzione per giungere all'istituzione dell'ente, elaborando anche la missione dell'ente economico di nuova formazione. Per lo sviluppo delle attività si è pensata, e si sta formalizzando in questi giorni, la realizzazione di un comitato pilota per la riforma, coordinato a livello politico e formato come è indicato nella slide.
La strategia è riportata nell'immagine e, come si vede, prospetta un'attenta gestione delle risorse umane.
Procederò più rapidamente, perché vedo che le slide sono numerose, comunque questo è materiale che poi vi verrà lasciato.
Naturalmente, tutto questo verrà fatto, come abbiamo detto proprio ieri ai sindacati, in rapporto stretto con le organizzazioni sindacali.
La slide mostra la missione dell'ente dell'area della Marina militare, che si caratterizza per l'apertura ad altre attività a favore di terzi, oltre a quelle istituzionalmente previste. Le attività sono la gestione dell'attività di manutenzione della flotta nazionale e - non lo escludiamo - anche di altri Paesi; l'evoluzione possibile verso un tipo di supporto logistico integrato; l'espansione dell'attività anche a naviglio non militare; una politica di rapporti con l'industria locale. Infine, ci siamo posti l'obiettivo di portare questi stabilimenti in equilibrio economico, in uno scenario competitivo europeo, entro la durata di cinque anni.
La missione, invece, per i poli dell'Esercito italiano è abbastanza simile, analoga a quella della Marina, con la differenza che si rivolge agli strumenti dell'Esercito italiano e non a quelli della Marina.
Il comitato pilota dovrà interfacciarsi con altri Ministeri (funzione pubblica, economia e finanza, sviluppo economico, infrastrutture). Sarà importante la realizzazione di accordi con gli enti locali, la continuità del rapporto con le organizzazioni sindacali, la calendarizzazione di una road map che abbiamo già previsto, la realizzazione di un business plan, oltre alla stesura di provvedimenti legislativi, poiché attraverso di essi passa la creazione dell'ente pubblico economico.
Quando poi pensiamo - ed è ciò che abbiamo cambiato rispetto all'inizio, come vi dicevo - alle società miste, noi pensiamo che, una volta stabilita la pubblicità dell'ente e anche della società per azioni, limiteremo la possibilità di collaborazione anche con l'industria privata, che potrebbe essere interessante, ad alcune attività specifiche. In altre parole, noi indicheremo società miste di scopo, ad esempio per la gestione dei bacini o per svolgere operazioni che possono essere di interesse e che non incidono nella struttura che invece è quella di cui vi ho riferito.
Naturalmente, abbiamo steso la road map e contiamo di portare già in finanziaria un disegno di legge delega in materia,


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in modo da normare la transizione di medio periodo, e definire e approvare poi i decreti applicativi.
I tempi sono specificati nella slide successiva. Una volta che la proposta partirà - questo è una sorta di T-0 - seguiranno l'istituzione di un comitato pilota; la presentazione e approvazione del business plan, entro dodici mesi; la definizione tecnica delle soluzioni; la stipula di accordi di programma sul territorio; la creazione di un piano industriale dettagliato; lo sviluppo dei provvedimenti legislativi, giuridici e normativi, sempre in questi altri dodici mesi. Abbiamo pensato di poter agire contemporaneamente, prevedendo tempi molto stretti. Devo dire che sono veramente stretti, però si tratta di un obiettivo verso cui lavorare.
Seguiranno: la creazione della struttura scelta (dai dodici ai diciotto mesi), e la trasformazione in Spa posseduta interamente dal Ministro dell'economia e delle finanze, (tra i diciotto e ventiquattro mesi); l'attivazione eventuale di società miste (tra i ventiquattro e i quarantotto mesi), considerando l'elaborazione del bando di gara, la scelta dei contraenti, eccetera.
In tutto questo periodo, saranno importanti, inoltre, la gestione della comunicazione, le relazioni sindacali, le azioni di revisione e miglioramento, la misurazione delle attività.
Onestamente, i quarantotto mesi sono una forzatura, ma noi pensiamo che nel giro di sessanta mesi - cioè entro i prossimi cinque anni - si possa giungere al pareggio economico delle gestioni e contemporaneamente alla realizzazione della riforma in maniera completa.
Si tratta, quindi, di un cambiamento straordinario, dell'adozione di uno strumento innovativo per gestire attività di interesse pubblico. Sono necessarie, naturalmente, le approvazioni dei vertici politici, quella del Ministero della difesa c'è stata e adesso noi ci prepariamo a presentare questa proposta alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Consiglio dei ministri stesso, dal quale dovranno nascere i provvedimenti di carattere legislativo. Qui si conclude la parte che riguarda gli arsenali.
Abbiamo, inoltre, preso in esame gli stabilimenti dell'Agenzia e quelli di Pavia e Capua. Gli stabilimenti dell'Agenzia industrie della Difesa sono i nove che voi conoscete, ossia quelli di Baiano, Noceto, Firenze, La Maddalena - per questo è in corso una procedura speciale -, Fontana Liri, Messina, Castellammare di Stabia, Torre Annunziata e Gaeta. Complessivamente, per quanto riguarda i primi due stabilimenti, lavorano 231 unità in quello di Pavia, 321 in quello di Capua, oltre ai 1.342 che lavorano nei nove stabilimenti segnalati.
Negli stabilimenti di Capua e Pavia, purtroppo la sorte è stata condizionata dal mancato previsto passaggio alla Protezione civile e in questo momento sono in corso alcune iniziative di produzione e lavorazione intese a impegnare il personale, mantenere un certo know how, evitare il degrado delle attrezzature e degli impianti; tuttavia, è chiaro che qui bisogna intervenire in maniera molto più decisa.
I dati sul personale addetto e la contabilità industriale ci fanno presente che le strutture non sono idonee sotto il profilo industriale. La Difesa conferma un interesse non strategico per queste assunzioni. Stiamo valutando quali decisioni assumere, compresa quella di verificare, nel recupero di attività che attualmente sono state esternalizzate, la possibilità di mantenere un'attività industriale in questi presìdi. Tuttavia, io credo che non ci sarà la possibilità del reimpiego di tutto il personale e si dovrà procedere con accordi locali. Se non si trovano soluzioni diverse, nella slide sono indicate le alternative previste dall'attuale legislazione.
Nell'analisi della situazione dell'Agenzia Industrie della Difesa è emerso che: l'attuale contratto di lavoro non è idoneo all'area industriale; il contributo in conto esercizio, che avrebbe dovuto diminuire perché era una fase di passaggio dell'Agenzia, invece, è stato necessariamente aumentato nell'ultimo triennio, da 25 a 35 milioni di euro; la maturità e l'obsolescenza


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degli impianti e dei prodotti è notevole; gli stabilimenti sono molto disomogenei tra di loro.
Questa situazione è stata poi aggravata dalla scomparsa del direttore dell'Agenzia, che è deceduto da alcuni mesi. Adesso è stata individuata una possibile sostituzione che verrà portata, se non nell'ultimo Consiglio di venerdì - purtroppo, in questi giorni il Ministro ha avuto anche qualche piccolo problema - al primo di settembre, in modo da rimettere l'Agenzia, anche da un punto di vista organizzativo, nella pienezza della propria attività.
I dati ci dicono che non c'è una saturazione delle capacità produttive ma che, anzi, tale capacità è inferiore al 50 per cento; c'è uno scostamento del 35 per cento tra quanto programmato e quanto realizzato; c'è una forte - uso questo termine, ma sarebbe meglio dire «quasi totale» - dipendenza dal mercato dell'amministrazione della Difesa e non si riesce ad avere alcuna capacità di entrare nel mercato esterno. In questo momento, sembra che però ci sia una possibilità per quanto riguarda lo stabilimento di Messina, dove sono in corso trattative per svolgere attività per clienti esterni.
La situazione, quindi, è di stallo: siamo a metà del guado rispetto alla missione iniziale traghettatrice verso il passaggio a Spa da una parte, o la chiusura dall'altra. È necessario assumere iniziative di rilancio per riprendere la missione iniziale e con la nomina del direttore noi ci auguriamo che questo possa avvenire.
Abbiamo pensato anche, come vedete nella slide, il percorso da considerare distinto da quello proposto per gli stabilimenti A e B.
Vorrei fare un'aggiunta a quanto ho detto finora, sul fatto che il modello dell'agenzia è stato scartato, in termini teorici, di carattere generale, in quanto tale soluzione è stata ipotizzata dal legislatore prevalentemente per soluzioni di situazioni di carattere amministrativo. Ebbene, devo dire che abbiamo avuto conferma di questa indicazione anche nell'esame della situazione di fatto. È uno strumento che finora non ha funzionato e non ci sembrava il caso di riproporlo dopo che, invece, ha manifestato tutti i limiti che noi siamo qui a riscontrare e per cui sono previste le proposte che vedete illustrate in questa diapositiva.
Una di esse è la possibilità di esaminare la cessione all'industria privata anche prima della trasformazione in Spa, perché ci sono manifestazioni di interesse per alcune di queste attività che potrebbero contribuire al rilancio e all'assorbimento del personale. Forse, dunque, la cosa migliore è quella di entrare nel merito e vedere se effettivamente questo è possibile.
Un'altra proposta consiste nel verificare quale sia l'interesse delle Forze armate per le lavorazioni di munizionamento terrestre ed esaminare la possibilità che il Comitato interforze, che è stato proposto per l'ente pubblico economico per gli stabilimenti delle tabelle A e B, svolga anche l'attività di base relativa alle proposte formulate dall'Agenzia.
Questa presentazione che abbiamo proiettato si chiude con l'immagine di un'alba sul mar Jonio. Su questo sfondo si conclude dicendo che risulta indispensabile, con coraggio ed onestà intellettuale, perseguire per il futuro, con urgenza, le soluzioni non più rinviabili di un profondo stato di crisi.
Presidente, la ringrazio e ringrazio i commissari per l'attenzione.
Noi abbiamo avviato un lavoro che ci porterà a definire, entro la fine dell'anno, molto più di quanto noi oggi abbiamo potuto presentarvi, ma che è un lavoro ineludibile.
Ritorno alla mia considerazione iniziale: senza interventi, gli stabilimenti militari, in particolare gli arsenali, sono destinati a morire. Questi interventi, per essere realizzati, hanno bisogno di un piano, di risorse, di personale; hanno bisogno, cioè, dell'attenzione piena della politica. Il fatto che questa Commissione abbia chiesto così tempestivamente di avere relazione sul lavoro che stiamo facendo dimostra una sensibilità particolare, di cui voglio dare atto e vi voglio ringraziare. Mi auguro che questa sensibilità continui anche quando, insieme, dovremo


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cercare di individuare le risorse che ci consentiranno di rilanciare i nostri arsenali ed i nostri stabilimenti militari.
L'obiettivo è quello di riprendere, modificandola, e di completare la riforma Andreatta, modificandola, per dare alla Forze armate uno strumento capace di assisterle, anche economicamente, in maniera adeguata e competitiva, così come oggi deve essere per tutte le attività che lo Stato svolge. Noi ci auguriamo che questo sia possibile e pensiamo di poterlo fare col vostro contributo; un contributo che - ripeto - mi auguro non sia soltanto della maggioranza, ma anche delle forze di opposizione, di minoranza, che ringrazio per l'attenzione che ci hanno dimostrato.
Se è d'accordo, presidente, consegnerei una sintesi della relazione delle proposte che abbiamo preparato.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario per la relazione ampia che ci ha fornito e per le informazioni molto articolate su questo nodale problema che abbiamo di fronte.
Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

MAURO BETTA. Signor presidente, intervengo brevemente innanzitutto per esprimere apprezzamento per la presentazione del sottosegretario che ci ha illustrato i risultati di questo gruppo di lavoro, che mi sembrano estremamente interessanti e con i quali ognuno di noi - io personalmente, ma anche tutta la Commissione - dovrà confrontarsi quando poi si trasformeranno in proposte e progetti concreti.
Avrei due richieste di approfondimento immediato, perché ho visto che non ha affrontato con le stesse modalità - o perlomeno io non le ho colte - il problema degli arsenali e quello degli altri stabilimenti. Per quanto riguarda questi ultimi, infatti, ci ha fornito sia indicazioni dei costi attuali sia del numero degli occupati; sul fronte degli arsenali, invece - non so se mi è sfuggito - non ho visto indicazioni di tipo economico.
Vero è che in sede conclusiva il sottosegretario ha accennato ad un piano di fattibilità che conterrà, naturalmente, anche queste indicazioni; penso che alla Commissione, oltre alla riflessione che dovremo fare su alcuni passaggi, possano interessare molto questi dati, sia per quanto riguarda il numero degli occupati, sia per quanto riguarda i costi di questa riforma e come, naturalmente, poi saranno reperiti i fondi.
La seconda osservazione è che la modifica che è stata suggerita all'interno di questa Commissione, che riguarda la possibilità di inserire nella finanziaria 2006 il confronto ed il coinvolgimento con gli enti locali e con le regioni, sta creando molte aspettative all'interno di settori assai diversi. Naturalmente, noi ci occupiamo soprattutto di quello della Difesa, ma abbiamo sentito in questa sede sia i responsabili ministeriali dei diversi uffici che si occupano di questo, sia il responsabile dell'Agenzia per il demanio, ed abbiamo visto che, su questo tema, c'è un forte interesse.
Tuttavia, non credo che questa iniziativa, che pure era legata a finalità di coinvolgimento degli enti locali, possa essere utilizzata come uno strumento per reperire risorse così elevate; penso che ci debba essere, all'interno dell'organizzazione del ministero, un ufficio che si occupa di questo e che sia in rapporto con le Agenzie del demanio. Se questo è necessario, arrivo anche ad immaginare che queste collaborazioni possano essere utilizzate in parte per il recupero di risorse economiche per il Ministero della difesa, però penso che tutto questo non possa essere affidato ad ogni singolo settore, ma che ci debba essere un forte coordinamento. Anche perché abbiamo visto che questa sperimentazione si è già concretizzata soprattutto nelle regioni a statuto speciale, dove c'è una stretta collaborazione ed una forte concentrazione dei rapporti tra i comuni, coordinati dalla regione, e il Ministero. Su questo, dunque, io ho alcune perplessità.
Vorrei aggiungere un'osservazione, invece, sull'uso del modello francese che, peraltro, il sottosegretario, alla fine, ha ampiamente giustificato, avendo citato


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l'esperienza dell'Agenzia. Si tratta solo di una considerazione conclusiva. Anche a noi è stato presentato questo modello; abbiamo visto che esso prevede una organizzazione della Difesa molto diversa dalla nostra, in cui un terzo circa degli occupati coinvolti appartengono ai civili e in cui esiste una fortissima necessità, anche a loro giudizio, di coinvolgere e di cercare di rendere questo lavoro all'interno del Ministero della difesa coinvolgente ed attraente per le persone che vi sono impiegate. Questo è stato il leit motiv che ci ha riferito il rappresentante dell'ambasciata che si è occupato di presentarci il modello.
Io penso che questo sia un tema molto delicato per il nostro esercito, ma estremamente significativo anche per questi settori che sono sostanzialmente stabilimenti industriali al servizio della Difesa. Se, dunque, c'è un aspetto che io ho notato essere carente relativamente ad una riflessione che oggi si fa per quanto riguarda l'organizzazione d'impresa, in particolare, è quella sulla motivazione delle risorse umane.
Io credo che una situazione del genere sia fortemente preoccupante da questo punto di vista. In tutti i tentativi che ho potuto vedere ed analizzare - a qualcuno ho anche partecipato - di riorganizzazione di imprese industriali, si parte sempre da questo punto determinante che consente poi il successo o meno dell'iniziativa. Vederlo applicato ad un modello di organizzazione militare, mi è sembrato estremamente significativo, riferendomi all'illustrazione fatta davanti a questa Commissione da parte dei rappresentanti francesi.
Io penso che questo sia importante anche per noi, non solo per utilizzare lo strumento dell'ente pubblico economico, se questa è la vostra decisione, ma soprattutto per trasferire o cercare di trasferire anche un'esperienza che mette al centro i dipendenti, i collaboratori e i militari coinvolti.

DONATELLA DURANTI. Anche io voglio ringraziare il sottosegretario per la relazione che ha fatto oggi alla nostra Commissione. Se mi posso permettere, sono tra i commissari più contenti, poiché io stessa ho ripetutamente chiesto che la Commissione difesa fosse coinvolta in questo percorso che considero molto importante.
Abbiamo sentito ripetere più volte il termine «cambiamento»: «cambiamento necessario» o «cambiamento straordinario». Innanzitutto, sono contenta che questa discussione e il risultato del gruppo di lavoro siano arrivati nella nostra Commissione, affinché tutti noi possiamo renderci conto di quello che si sta muovendo e di quello che questo gruppo di lavoro ha realizzato.
A chi non conosce quello che è successo in questi anni, avrebbe potuto sembrare straordinario che nel giro di soli tre mesi il gruppo di lavoro fosse arrivato ad un risultato; tuttavia, come ci ha detto il sottosegretario e come molti di noi sanno, per molti anni - non per alcuni mesi - la Difesa si è interrogata su come risolvere una situazione che piano piano diventava sempre di maggiore difficoltà, fino ad arrivare allo stato attuale di crisi.
Mi esprimo in questi termini e probabilmente gli stati maggiori e gli ammiragli, che fanno parte oggi di questo gruppo di lavoro e che hanno lavorato per prospettare soluzioni a questo stato di crisi, avrebbero forse dovuto interrogarsi sul perché gli arsenali, gli stabilimenti in particolare e tutta l'area tecnico-industriale della Difesa presentassero delle difficoltà, individuare le problematiche reali e cercare, nel tempo, la soluzione per affrontare le problematiche da risolvere. Ci troviamo invece, oggi, di fronte ad una situazione di crisi.
Voglio solo ricordare - ma so perfettamente che il sottosegretario sa di cosa sto parlando - la situazione di crisi in cui versa l'arsenale della Marina militare di Taranto; questo arsenale rischia addirittura di rimanere senza l'energia elettrica, perché la riceve da una centrale elettrica che pare dovrà essere chiusa da un momento all'altro. Non solo; interi reparti sono stati chiusi perché, negli anni, i dirigenti non hanno fatto nulla perché si


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rispettassero in quello stabilimento, come negli altri stabilimenti e negli altri arsenali, le norme antinfortunistiche. Per questo, l'ispettorato del lavoro e la magistratura sono intervenuti duramente, chiudendo interi reparti.
L'arsenale di Taranto si trova oggi in una situazione di crisi enorme, dove i lavoratori sono costretti a svolgere lavori che in precedenza si svolgevano all'interno dei reparti direttamente sulle unità navali. Chi sa come funziona un'unità navale e come funziona un arsenale si rende conto della difficoltà enorme che questi lavoratori hanno nella loro attività.
Credo che sia stata una scelta politica molto precisa, evidentemente sostenuta anche dagli stati maggiori, quella di operare dei tagli. È una scelta politica che viene da lontano e che - devo dire - anche nella finanziaria 2007 è stata confermata, ossia la scelta di tagliare sull'esercizio, e quindi sulle manutenzioni, piuttosto che sull'aumento delle spese militari. È una scelta politica come un'altra.
Ad esempio, noi pensavamo che si potesse operare una scelta di riduzione delle spese militari, nel senso di spese per l'investimento per nuovi armamenti, e magari dedicare qualche risorsa supplementare all'esercizio, tenendo conto, come ha detto il sottosegretario, che il mantenimento in efficienza dello strumento militare è un obiettivo strategico per la Difesa. Io credo che sia stata una scelta politica e oggi, sinceramente, sono molto preoccupata.
Ho sentito il sottosegretario Forcieri affermare che le organizzazioni sindacali non sono pregiudizialmente contro. Credo che le organizzazioni sindacali facciano il loro lavoro, che vogliano prima capire esattamente la situazione e quindi esprimere un parere.
Rispetto a tutta questa vicenda, sono preoccupata. Infatti, far uscire il mantenimento dello strumento militare dall'alveo della Difesa, attraverso la scelta del modello dell'ente pubblico economico che - come abbiamo sentito - successivamente dovrebbe transitare all'interno del Ministero dell'economia e delle finanze eccetera, per poi essere trasformato in società per azioni ed essere traghettato verso eventuali società miste, credo che sia in estrema contraddizione con la dichiarazione che è stata fatta anche adesso, cioè che la manutenzione dello strumento militare è obiettivo strategico della Difesa.
Se così è, gli stabilimenti e gli arsenali devono, secondo me, rimanere all'interno dell'alveo della Difesa; a meno che tutta questa operazione e questo percorso non si faccia - è stato detto, il mio è un «a meno che» retorico - esclusivamente sulla base di criteri di economicità e di efficienza.
Vorrei ricordare che stiamo parlando di un certo numero di arsenali e di stabilimenti, stiamo parlando di 6.000 lavoratori e lavoratrici nell'area tecnico-industriale; sono preoccupata per i livelli occupazionali, proprio perché ritengo - se non è così il sottosegretario mi correggerà - che i criteri che ispirano questo percorso siano esclusivamente quelli di economicità e di efficienza.
Sono preoccupata per i livelli occupazionali, perché in una slide si dice che per almeno cinque anni saranno conservati i volumi occupazionali; in un passaggio successivo, poi, si dice che entro sessanta mesi - quindi entro cinque anni - si raggiungerà il riequilibrio economico, quindi subito dopo i volumi occupazionali potranno essere ridotti. In altre parole, se per cinque anni vanno conservati i volumi occupazionali, successivamente, l'equilibrio economico probabilmente sarà ottenuto agendo sulle famose risorse umane.
Si parla di modifica del contratto collettivo nazionale di lavoro. Se io non ho capito male, considerata la filosofia che ha ispirato questo gruppo di lavoro, così solerte, che in tre mesi ha trovato una soluzione e addirittura ha stilato un piano di lavoro che in cinque anni trasformerà completamente l'area tecnico-industriale della Difesa, questo gruppo di lavoro si è posto il problema dei livelli occupazionali? E sulla base di quale nuova missione degli arsenali e degli stabilimenti, dal momento che questi dovranno uscire dall'alveo della Difesa?


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Devo dire che sono assai preoccupata anche quando parliamo di permute...

GIOVANNI LORENZO FORCIERI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Posso interromperla? Perché lei sta continuando a dire cose che non sono vere!

DONATELLA DURANTI. Se non le dispiace io finisco, lei poi mi spiegherà cosa significa una trasformazione in società per azioni e in società miste e perché è necessario cambiare il contratto collettivo nazionale dei lavoratori. Io ho quasi finito, anche perché la sua interruzione mi ha fatto perdere il filo.
Dicevo che sono preoccupata, perché parliamo di permute con gli enti locali, ma, sapendo che gli stessi hanno poche risorse finanziarie a disposizione, temo che le permute potranno essere fatte soltanto con soggetti privati.
Confermo la mia preoccupazione, ringrazio nuovamente il sottosegretario per essere venuto oggi a spiegarci su che cosa il gruppo di lavoro si è impegnato e spero che la Commissione difesa continui ad essere coinvolta in questo percorso.

LUDOVICO VICO. Ringrazio il sottosegretario che ci ha illustrato questo importante progetto.
Se il sottosegretario accetta, anche con spirito leggero, la mia prima dichiarazione, direi che forse quella parte di analisi su ciò che è accaduto in questi ultimi cinque anni potrebbe essere un impegno politico del Ministero.
In questi ultimi cinque anni, infatti, dal punto di vista legislativo, dalla delega in bianco in poi, quello che è accaduto negli impianti industriali della Difesa viene correttamente descritto nel progetto che ci è stato sottoposto. Tuttavia, noi parlamentari che viviamo in realtà dove insistono gli impianti - in questo caso della Difesa, molto più spesso della Marina, come nel mio caso - e dunque li conosciamo, non possiamo che confermare, con una dichiarazione semplice, che si è ormai in una situazione dove si può solo uscire perché il fondo è stato toccato.
Quindi il progetto che viene proposto in questa Commissione presenta un tratto di respiro indispensabile.
Mi permetto di auspicare che questo rapporto continui anche nelle fasi che a partire dall'11 settembre si determineranno, sia in sede concertativa, sia ovviamente in sede politica, per le implicazioni e le proposte che lo stesso progetto avanza anche in materia di finanziamento del progetto stesso, cui arriverò.
Come dicevo, mi sembrano decisamente corretti, precisi, i dati che ci vengono offerti. Ci viene offerta anche una strategia di uscita, una strategia che chiamate «necessità del cambiamento». Ci vengono offerti, inoltre, modelli e questo è un aspetto importante. Il tempo che accompagnerà queste scelte potrebbe essere il certificatore di come uscire dalla situazione data. Tuttavia, penso che alcuni interrogativi e alcune riflessioni, in questa fase di lavoro che comincia, che impegna sicuramente anche, ma non esclusivamente, il Parlamento, andranno evidentemente compiute sul problema del finanziamento che deve accompagnare l'intero progetto.
Leggo dal progetto una indicazione abbastanza importante che eventualmente, anzi certamente, ci vedrà già impegnati dall'11 di settembre. Se, infatti, riassumiamo il finanziamento del progetto nel diretto compenso - quello finanziario delle prestazioni in permuta -, significa che abbiamo bisogno di una parte che deve aggiungersi alla norma, che nella legge finanziaria 2007, sotto il titolo semplificato di «accordo di programma», è già stata introdotta. Inoltre, l'estensione del couso è un altro elemento che io considero di gran lunga marginale rispetto al volume della previsione, che oggi non è quantificata, come è ovvio. Io penso che dentro queste misure, dentro queste proposte che impegnano da subito il Parlamento - da questa Commissione al Gabinetto del ministro, ovviamente - vi sia la certificazione dell'asserzione che io voglio condividere, ossia dell'equilibrio entro cinque anni.
Tuttavia è probabile che questo volume di risorse non sia nel suo complesso sufficiente,


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anche perché - se mi è consentito parlare ancora per qualche minuto - nel quadro della necessità del cambiamento, c'è un altro capitolo che è riportato qui nel progetto, ma che fa il paio con una serie di sofferenze antiche, ossia il finanziamento delle infrastrutture; penso ad alcuni arsenali tra cui, come ricordava la collega che mi ha preceduto, l'arsenale della Marina militare di Taranto.
Si tratta anche di avere subito i regolamenti in ordine all'ambito tecnico; mi riferisco a strumenti preziosi come la perimetrazione delle aree industriali, la licenziabilità rapida dei piani minimi regolatori, perché questo fa sì che si cominci a distinguere la parte di infrastrutture indispensabili ai fini della Difesa e l'altra parte, che può avere couso o che può divenire, in tempi più lunghi, materia della alienazione. Questo significa anche contingentare, nella finanziaria del 2008, quote di finanziamento che vadano in direzione delle infrastrutture; ho l'impressione che si tratti di richieste di natura straordinaria rispetto alla situazione attuale.
Io mi permetterò, avviandomi alle conclusioni, di fare una deduzione dal punto di vista dell'impostazione, come tra l'altro il sottosegretario ha inteso renderla nella sua audizione. Mi riferisco all'opzione che emerge sia dalla documentazione sia dalla audizione verso il modello dell'ente pubblico economico, in ordine agli stabilimenti come agli arsenali.
Premettendo che questa è materia della costruzione anche del grande consenso con le parti negoziali dirette e di una discussione a cui la sfera della politica non può rinunciare - per politica intendo il Parlamento -, oltre alle decisioni che il Dicastero deve assumere, mi permetterei di chiedere, per ora ma ovviamente anche per altre sedi, di comprenderne meglio le argomentazioni in ordine a delle eccezioni, anch'esse legittime, che possono essere poste lungo questo percorso, non tanto in riferimento all'opzione dell'ente pubblico economico, ma in ordine al modello agenzia delle entrate o agenzia del demanio.
Penso che il dialogo che si è aperto sul piano sociale sia importantissimo, che quello in sede parlamentare, se assicurato anche nelle conclusioni che il presidente della Commissione e ovviamente anche il Ministero ci daranno, sia un lavoro importante e utile, e che quelle tappe stabilite siano altrettanto importanti.
In conclusione, aggiungo che a settembre dovremo metterci nelle condizioni di avere un concerto di formulazioni e di richieste che trovino nella finanziaria del 2008 normative e regolamenti, che non riguardano il Parlamento, tali da far avviare questo progetto di riforma e di riorganizzazione degli arsenali e degli stabilimenti a carattere tecnico-industriale della Difesa.

PRESIDENTE. Do ora la parola al sottosegretario per la replica, ovviamente auspicando che questo scambio continui, vista l'importanza della tematica.

GIOVANNI LORENZO FORCIERI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Mi scuso con l'onorevole Duranti perché l'ho interrotta, ma vorrei che noi partissimo subito su un piano molto chiaro: noi diciamo quello che vogliamo fare e vorremmo essere giudicati in base a ciò che diciamo. Se invece partiamo col sollevare fantasmi, fare processi alle intenzioni e fare affermazioni che non corrispondono né a quelle che sono le nostre volontà né a ciò che diciamo, il confronto diventa difficile e credo non giovi a nessuno, soprattutto alla sorte degli stabilimenti e dei lavoratori.
Noi abbiamo detto con grande chiarezza che la situazione attuale è insostenibile e su questo mi pare che siamo tutti d'accordo; poi potremmo discutere sulle responsabilità, ma la situazione attuale è insostenibile. Dobbiamo intervenire e modificare alcuni elementi.
Sono state sollevate questioni. Questa è una proposta di intervento, che può essere discussa, valutata, ma per la prima volta dopo tanti anni dalla riforma Andreatta è una proposta organica ed unitaria. Vuole raggiungere un obiettivo e fa già a monte una scelta che io vi inviterei a non mettere in discussione.


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Noi vorremmo essere criticati perché facciamo la scelta di mantenere queste strutture pubbliche alle dipendenze della Difesa, sotto la sorveglianza diretta del Ministro, come ho detto illustrando la slide 28 intitolata «Dipendenza dell'ente pubblico economico dall'alta vicinanza del ministro»; non per il contrario. Noi, infatti, eravamo di fronte a una scelta. Potevamo avviare un rapporto con l'industria privata, cioè avviare un processo di privatizzazione, sul quale ci sono state spinte, molte, italiane ed internazionali. Ho scoperto che la DCN è anche venuta qui ad illustrare le proprie caratteristiche e so che la DCN si è proposta anche per la gestione dei nostri arsenali, così come si sono proposte altre aziende e industrie di carattere nazionale. Noi abbiamo fatto, invece, un'altra scelta, ossia quella che ho illustrato, quindi questa è la scelta su cui noi dobbiamo discutere.
Sono molto d'accordo con quanto diceva l'onorevole Betta, in particolare sulla questione della motivazione del personale. Quindi, la modifica dei contratti, che noi riteniamo necessaria, è uno dei presupposti. Gli attuali contratti collettivi nazionali di lavoro livellano le strutture - tra l'altro molto verso il basso - e non offrono alcun incentivo o motivazione ulteriore; quindi vanno modificati, perché altrimenti non avremo mai questa ristrutturazione che, invece, è necessaria. Infatti, qualsiasi processo di cambiamento deve partire da una profonda rimotivazione del personale.
Per quanto riguarda la quantità del personale - mi dispiace non avere il relativo stampato, comunque ve lo farò avere - partiamo dal fatto che abbiamo delle dimensioni molto ridotte rispetto alle previsioni di pianta organica. Questo è un primo aspetto. Ma, soprattutto, abbiamo delle coperture che sono completamente sbilanciate. Infatti, dal momento che si è verificato, in questi dieci anni, un processo di esodi volontari - che dipendono dalle condizioni personali di ciascuno, dall'età, dalle condizioni di salute - e sono stati bloccati i turn over, le assunzioni, le nuove immissioni, è chiaro che abbiamo una struttura del personale completamente sbilanciata. In termini quantitativi, noi non prevediamo di mantenere l'organico inalterato per cinque anni e poi diminuire; noi prevediamo addirittura di aumentare in termini quantitativi, ma riequilibrando le attuali presenze.
Vi riferisco le situazioni di alcuni arsenali che voi conoscete abbastanza bene. L'arsenale di La Spezia, nell'area amministrativa, ha una tabella che prevede 275 unità ed ha una presenza di 278, quindi ne avrebbe 3 in più. Tuttavia, nell'area tecnica, ha una tabella di 1.122 persone ed una presenza di 748, cioè 374 in meno. Inoltre, come dicevo poco fa, i vuoti sono tutti nei livelli tecnici, ossia sull'asse portante, la struttura portante di qualsiasi attività industriale o commerciale o qualunque essa sia. I vuoti sono proprio tutti a quel livello.
Cito ancora la situazione dell'arsenale di Taranto. La tabella amministrativa prevede 344 addetti e ce ne sono 351, cioè 7 in più; quella tecnica prevederebbe 1.548 persone, mentre ce ne sono 1.354, cioè 194 in meno. Se andiamo a vedere i livelli tecnici, nei livelli C, B3 e B2, che sono quelli centrali, sono previsti 972 addetti e ce ne sono 581, cioè la metà (ne mancano 391). Se si va avanti così, è chiaro che si determina un surplus nei livelli più bassi.
In questa situazione, dobbiamo operare un grande processo di rimotivazione e riqualificazione del personale ed un processo di ripresa delle assunzioni, per introdurre quelle professionalità di cui oggi siamo privi in quei livelli e senza le quali non possiamo pensare di andare avanti.
Insomma, la situazione è seria. Noi abbiamo deciso di metterci le mani; discutiamone pure, ma partiamo da questi presupposti.
Le risorse saranno fondamentali. Sarà necessario avere, intanto, lo sblocco delle possibilità del turn over programmato, per coprire queste carenze; ma saranno fondamentali anche le risorse.
Vorrei venire - se mi consente, presidente - ad un discorso di carattere anche più generale. Noi abbiamo trasferito all'Agenzia del demanio, con l'ultimo decreto, due miliardi - il valore si riferisce


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al prezzo base attuale, quindi molto incrementabile - di immobili non più utili alla Difesa; si tratta di immobili liberi, disponibili eccetera. Con questo, praticamente, abbiamo quasi esaurito le nostre disponibilità. Oggi non abbiamo più immobili e strutture completamente libere da uomini e cose, abbiamo strutture che sono parzialmente occupate, fatiscenti o non più corrispondenti, ma non eliminabili se non con la sostituzione con altre strutture più moderne.
Noi siamo disponibili, dunque, a trasferire al demanio tutto quanto è in esubero rispetto alle necessità che derivano anche dalle esigenze della trasformazione. Se io ho, in un certo comune, tre grandi caserme costruite negli anni e parzialmente utilizzate, magari situate nei centri storici e così via, posso concentrare tutto in una e trasferirne due al demanio o anche cederle tutte e tre, se costruisco da un'altra parte una caserma nuova.
Quindi, prioritariamente, queste risorse devono servire o per trasferire ed adeguare le strutture che già esistono alle necessità o per costruirne di nuove. Poi, potremo trasferire al demanio tutto quello che avanza. Lo stesso discorso vale per quanto riguarda gli arsenali, per i quali rifaremo i piani regolatori e vedremo quello che si può liberare.
Naturalmente le permute con gli enti locali devono servire a migliorare quelle strutture per adeguarle alle esigenze moderne, per avere edifici non più fatiscenti, né soggetti magari ad essere chiusi dalla magistratura o dall'ispettorato del lavoro per la non conformità alle norme previste dalla legge n. 626, ma che siano magari avanzati anche sul terreno concettuale, che sfruttino l'energia il più possibile rinnovabile, che siano fatti in modo tale da rappresentare delle caserme o degli stabilimenti o dei capannoni moderni, adeguati a un Paese normale, oggi nel 2007 come nel 2010 o 2015.
Per quanto riguarda la questione delle risorse, il mantenimento in efficienza e lo spostamento delle risorse dall'industria, faccio solo una battuta. Noi abbiamo recuperato parzialmente le risorse per gli investimenti, in particolare per l'ammodernamento, e, in maniera del tutto insufficiente, quelle per l'esercizio. Ma non è facendo la guerra tra poveri che risolveremo il problema. Per poter mantenere uno strumento militare, onorevole, dobbiamo innanzitutto avercelo, perché se non abbiamo la nave, il carro armato, il mezzo di trasporto truppa o l'aereo, non lo potremo neanche mantenere. I due aspetti, quindi, devono essere visti insieme, oggettivamente e necessariamente insieme, perché non posso mantenere uno strumento che non ho; lo devo prima acquisire e poi lo devo mantenere.
Io ho detto ciò che volevo dire. Sono d'accordo con l'onorevole Vico che in questi cinque anni, naturalmente, la situazione si è aggravata tantissimo. Tuttavia, vi chiedo scusa, ma non condivido l'atteggiamento di discutere, sempre con lo sguardo rivolto indietro, se abbia colpa più uno o l'altro; io credo che noi dobbiamo guardare avanti e pensare che i prossimi cinque anni saranno completamente diversi dai cinque anni che ci hanno preceduto. Ma per far questo dobbiamo avere il coraggio di affrontare le situazioni e di cambiare, perché se voi pensate che si possano risolvere le questioni lasciando tutto com'è, dovete sapere che questo non è possibile.
Il contratto nazionale di lavoro ha questa caratteristica: appiattisce, irrigidisce. Sono stati impiegati mesi per trasferire un operaio - e non so neanche se alla fine ci si è riusciti - da un settore all'altro di una stessa attività lavorativa.
Insomma, vi sono delle situazioni che non è possibile lasciare invariate. Se si chiedono certe cose, bisogna sapere che altre sono destinate a morire. Noi vogliamo affrontare il cambiamento, nel rispetto dei diritti dei lavoratori, nella salvaguardia delle loro garanzie, aumentandone e migliorandone le capacità di lavoro, e quindi anche le prestazioni, sia da un punto di vista qualitativo, riqualificando e coprendo con nuovi ruoli quelli che ci sono, sia da un punto di vista quantitativo, confermando quello che oggi esiste, e magari anche incrementandolo


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rispetto alle prime ipotesi. Tuttavia, al momento, non posso avventurarmi così lontano. Questo per quanto riguarda gli arsenali e gli stabilimenti militari.
Diverso è il discorso per coloro che sono compresi nell'Agenzia e diverso ancora è il discorso relativo agli stabilimenti di Capua e Pavia, per i quali o si ritrova un obiettivo, una funzionalità, oppure la discussione si fa piuttosto seria. Voglio ricordare che questi stabilimenti dalla riforma Andreatta dovevano essere già dismessi dieci anni fa ed esistono ancora, perché sono andate avanti proroghe su proroghe.
Oggi non possiamo fare ulteriori proroghe, dobbiamo decidere che cosa è possibile fare, forse reintroducendo attività che sono state estromesse, utilizzando il più possibile le nostre risorse e poi vedendo, anche a livello territoriale, come trovare degli accordi che salvaguardino i diversi aspetti.
Naturalmente, la salvaguardia dei posti di lavoro, delle capacità operative e via dicendo è uno degli obiettivi del piano, non diversamente.
Pertanto, credo che se ci confronteremo su fatti concreti, senza pregiudizi di sorta, troveremo anche il modo per convincere anche i più riottosi che i nostri obiettivi sono positivi e che non abbiamo nulla da nascondere o altri scopi inconfessabili.
Se avessimo voluto arrivare ad un rapporto con l'azienda privata, questo sarebbe stato il momento per farlo. Ciò che voglio evitare è che non si proceda nel percorso di riforma, che continui questo processo di degrado e di mancanza di operatività e che alla fine qualcuno davvero ci possa raccogliere con un cucchiaino. Vogliamo invece portare le strutture al miglior grado di efficienza e di capacità operativa.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario, anche sottolineando che ha messo troppa enfasi di parte nelle sue parole. L'incontro odierno, infatti, era stato pensato per ascoltare, raccogliere delle informazioni e avere la possibilità, come Commissione, di elaborare dei giudizi che, ovviamente, passano anche attraverso differenti approcci e giudizi, che possono essere considerati pregiudizi da chi non è d'accordo.
Comunque, al di là di questa puntualizzazione di gentlemen's agreement istituzionale che ho fatto al sottosegretario, lo ringrazio molto del contributo che ci ha dato, perché ci ha fornito un quadro esauriente dello stato dell'arte e quindi la possibilità di costruire anche dei giudizi.

GIOVANNI LORENZO FORCIERI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Naturalmente, forniremo anche i dati che sono stati richiesti sul personale e via dicendo; forniremo la completa documentazione di cui disponiamo.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,30.