COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) - X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO) - XIV (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) - 10a (INDUSTRIA, COMMERCIO, TURISMO) - 14a (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di lunedì 2 ottobre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XIV COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCA BIMBI

La seduta comincia alle 15,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del vicepresidente della Commissione europea, responsabile per le imprese e l'industria, Günter Verheugen, sullo stato di attuazione della strategia di Lisbona.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del vicepresidente della Commissione europea, responsabile per le imprese e l'industria, Günter Verheugen, sullo stato di attuazione della strategia di Lisbona. Ricordo che alla mia sinistra ho il vicepresidente della Commissione politiche europee del Senato, senatore Perrin.
Do la parola al commissario Verheugen, che ringrazio per la sua partecipazione alla seduta odierna. Subito dopo, cederò la parola ai deputati e ai senatori presenti, ricordando che il commissario rimarrà con noi fino alle ore 17,15 poiché deve incontrare il Presidente del Consiglio, Romano Prodi.

GÜNTER VERHEUGEN, Vicepresidente della Commissione europea, responsabile per le imprese e l'industria. La ringrazio, presidente. Buon pomeriggio a tutti, presidenti di Commissione, parlamentari deputati e senatori. È per me un onore avere oggi la possibilità di parlarvi di ciò che ritengo sia lo sforzo più importante attualmente in corso per assicurare un futuro prospero e stabile per l'Europa: mi riferisco alla strategia dell'Unione europea per la crescita e l'occupazione. Quali sono le sfide di fronte a noi? Oggi l'Europa deve affrontare sfide formidabili presentate dalla mondializzazione e dall'invecchiamento delle nostre popolazioni. Inoltre, un'accresciuta concorrenza da tutto il mondo e il declino previsto della forza lavoro nei prossimi decenni comportano la necessità di migliorare ed aumentare la produttività e i tassi di occupazione. Sono cose necessarie per mantenere elevati gli standard di vita ed il benessere sociale nel medio e nel lungo termine. Voglio che sia chiaro sin dall'inizio che non si parla di strategia a breve termine, né di una politica quotidiana, ma piuttosto di una visione che è necessario avere per poter garantire che gli standard di vita e la concezione della vita insieme, come agglomerato di persone, possano essere mantenuti nel corso del XXI secolo.
Vorrei anche chiarire subito che oggi non siamo sufficientemente preparati per assicurare questo obiettivo. Sappiamo bene che, tenuto conto della limitazione dell'età lavorativa della popolazione, del contributo del lavoro, la crescita economica diminuirà in termini relativi. La Commissione europea ha ritenuto che l'invecchiamento della popolazione ridurrà nei prossimi 25 anni la crescita potenziale nell'Europa a 15 a metà del suo attuale livello. La crescita cioè passerà dal 2,25 per cento, ad una percentuale intorno


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all'1,25 per cento. La crescita economica dipenderà perciò sempre in misura crescente da una maggiore produttività.
Traendo allora insegnamento dai primi cinque anni passati dal lancio della strategia di Lisbona, il Consiglio europeo ha deciso - a marzo del 2005 - che era il momento di operare un fondamentale rilancio di questa strategia per stabilire nuovamente quali fossero le priorità sulla crescita e sull'occupazione. Un nuovo ciclo (2005-2008) oggi è in corso, e in esso si sottolinea quanto sia importante la partnership.
Quali sono i tre obiettivi fondamentali del nostro partenariato per la crescita e l'occupazione, approvati dal Consiglio europeo nel 2005? Rendere conoscenza e innovazione il nocciolo della crescita sostenibile europea; assicurare che l'Europa rimanga un'area attraente per investire, lavorare e vivere; infine, modellare le politiche che consentiranno al nostro mondo dell'imprenditoria di creare occupazione migliore, contribuendo così alla coesione sociale.
Naturalmente, questo sforzo ha bisogno di riforme difficili da attuare, che non possono essere certamente compiute individualmente dai singoli Stati membri o dalle istituzioni europee, tanto meno dal solo corpo politico; anche il mondo dell'imprenditoria deve contribuire in tal senso. Nessuno di questi soggetti può agire da solo; ma dobbiamo combinare i nostri sforzi (successivamente spiegherò cosa abbiamo già raggiunto e cosa invece sarà necessario fare oggi e in prospettiva futura).
Prima di presentarvi alcuni esempi concreti del progresso già compiuto, desidero sottolineare nuovamente che la governance di questo processo è una condizione fondamentale per il successo complessivo dell'operazione.
Sottolineo alcuni elementi. Innanzitutto, la nostra strategia si basa su un consenso politico senza precedenti, consenso fra tutti gli Stati membri delle istituzioni europee, fondamentale per una riforma economica, e questo è contenuto nelle linee guida integrate per la crescita e l'occupazione adottate dal Consiglio del 2005. Voglio nuovamente sottolineare che abbiamo già delle linee guida economiche per l'Unione europea, adottate dalla Commissione, dal Parlamento europeo e dai singoli Stati membri: coprono tutte le attività macroeconomiche e le politiche occupazionali.
La strategia - ed è questo il secondo punto - pone in risalto la trasparenza e la responsabilità, chiarendo le responsabilità nazionali e comunitarie. Questo avviene attraverso la relazione annuale della Commissione, che valuta i programmi di riforma nazionale conformemente al programma comunitario di Lisbona.
Bisogna poi cercare di sfruttare sia le sinergie attraverso un sistema di coordinamento e di politiche comuni, sia un reciproco apprendimento che coinvolga tanto la Commissione, quanto gli Stati membri. Avere costituito un meccanismo di governance è già un successo, soprattutto in considerazione del fatto che i 25 Stati membri (compresa l'Italia) sono già stati in grado di trovare un accordo sulle linee guida destinate a governare i programmi nazionali di riforma. Tali programmi indicano le priorità, lasciando comunque spazio ad ogni Stato membro di designare le politiche che meglio si adattano alle situazioni nazionali.
Un lungo percorso, quindi, è stato compiuto da questa strategia, a partire dall'incipit sino al rilancio; ci sono infatti i programmi nazionali di riforma dagli Stati membri e, a livello comunitario, c'è il programma di Lisbona, adottato lo scorso anno. La Commissione ha poi individuato le quattro aree prioritarie di azione, elencate nella relazione annuale di gennaio, e poi riportate nel Consiglio di primavera. Le quattro priorità sono: conoscenza e innovazione, ambiente dell'imprenditoria, occupazione, energia.
Gli Stati membri stanno adesso mandando alla Commissione un aggiornamento dei loro programmi nazionali di riforma, concentrandosi ovviamente sui progressi compiuti e sui punti attuati. A dicembre la Commissione effettuerà un'analisi specifica dei programmi nazionali


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di riforma e nella primavera del 2007 il Consiglio esaminerà la relazione, in modo da poter formulare raccomandazioni concrete orientate a ciascun paese.
Possiamo dunque notare che il nuovo sistema di governance ha contribuito a realizzare un migliore coordinamento politico ed apprendimento reciproco, nonché una maggiore conoscenza dei dibattiti politici in corso nei vari Stati membri. La Commissione, quindi, si attribuisce un ruolo di facilitatore, di partner costruttivo, seppure non silenzioso. Ovviamente, come rappresentanti nazionali avete un ruolo fondamentale da svolgere: non solo siete responsabili della concezione ed attuazione delle vostre riforme nazionali, ma potete anche far molto per spiegare al cittadino italiano quali sono gli obiettivi comuni di questa strategia europea per la crescita e l'occupazione; motivo per cui oggi sono particolarmente lieto di incontrare voi, parlamentari di un paese membro.
Passo ad analizzare i progressi compiuti negli ultimi due anni. Anzitutto desidero illustrarvi il contributo che la Commissione sta offrendo per migliorare il potenziale di crescita europeo, laddove è necessario che la Comunità intervenga. L'esempio più efficace è l'area della migliore legislazione: non mi stancherò mai di sottolineare l'importanza del quadro normativo ai fini di un sano ambiente imprenditoriale, soprattutto per la piccola e media impresa. Un ambiente normativo sano offre, infatti, quelle condizioni che portano alla crescita: stimola l'investimento, dà certezza giuridica, aumenta la fiducia nell'ambiente imprenditoriale. Tutto ciò ha, tra l'altro, effetti positivi sulle altre variabili economiche e diminuisce l'onere burocratico.
Desidero ora soffermarmi su alcuni aspetti. Prima di tutto, una valutazione completa dell'impatto è stata compiuta ex ante da più di un anno, ed è stato effettuato il controllo di qualità da parte della Commissione in maniera indipendente. Inoltre, è in fase di completamento una revisione indipendente del sistema di valutazione dell'impatto da parte della Commissione.
Inoltre, lo scorso anno abbiamo condotto una sorta di controllo, che ci ha portato a ritirare più di un terzo delle proposte legislative in corso, per rilevare quelle non coerenti con gli obiettivi della nuova Agenda di Lisbona e con i parametri per la migliore legislazione. Infine, sempre nell'ambito dell'Agenda della Commissione per una migliore legislazione, abbiamo cercato di tagliare i costi amministrativi superflui; anche in questo caso, del resto, bisognava attrarre l'ambiente imprenditoriale ed io stesso ho lanciato un progetto pilota sulla riduzione dei costi amministrativi. Sono convinto che nel suo insieme l'Unione possa ridurre i costi amministrativi del 25 per cento nei prossimi cinque anni. È una riduzione che potrà condurre ad un aumento del PIL dell'1,4 per cento: sono cifre sorprendenti, non proprio «bruscolini», ma centinaia e centinaia di miliardi di euro. In definitiva, la riduzione dei costi amministrativi comporterebbe per le società europee maggiore competitività e sicurezza dell'occupazione.
Naturalmente, ciò richiederà un contributo a tutti livelli da parte degli Stati membri, delle regioni e dell'Unione europea: solo un impegno di tutti verso questo obiettivo porterà al successo.
Serve a poco, quindi, se la Commissione effettua un riesame di tutta la legislazione europea per cercare di semplificarla, ma poi - a fronte di quest'impegno - gli Stati membri e i singoli Parlamenti non danno seguito e non adottano rapidamente le indicazioni.
Analogamente, non si va avanti se alcuni Stati membri (come l'Italia) non rivedono le modalità di trasposizione della norma comunitaria a livello nazionale: è un punto su cui deve esserci un'integrazione su entrambi i livelli, europeo e nazionale. Non appena avremo completato, sul piano europeo, la nostra opera di semplificazione, ci aspettiamo altrettanto nella legislazione nazionale. È chiaramente un duro lavoro per i parlamentari:


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la semplificazione legislativa sarà vostro compito, siete voi al centro del processo.
Vorrei cogliere questa occasione per darvi un accenno generale in merito alla situazione delle tre aree politiche della strategia di crescita e occupazione. Quello che illustrerò è il risultato delle visite fatte dalla Commissione fra maggio e luglio a livello di Governo.
Sul piano macroeconomico le indicazioni sembrano tracciare un miglioramento del ciclo di business, che aiuta anche la situazione di bilancio negli Stati membri. Per quanto riguarda la sostenibilità di bilancio, stiamo cercando l'impatto positivo di misure già adottate. Le riforme nell'area della sanità e delle pensioni sono sicuramente difficili, e gli sviluppi a livello di salario continuano ad essere modesti.
Sul piano, invece, delle riforme microeconomiche, notevoli sono gli sforzi economici compiuti dagli Stati membri. Considerando poi alcune politiche cruciali come la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione, anche in questo caso i progressi sono considerevoli. Ad esempio, dodici Stati membri hanno annunciato che lanceranno dei programmi di semplificazione e undici introdurranno obbligatoriamente delle valutazioni di impatto. Quindi, tutti hanno obiettivi per una spesa nel campo della ricerca e dello sviluppo, e la lista potrebbe allungarsi con esempi di settori in cui ci sono stati notoriamente dei progressi.
La concorrenza e il funzionamento dei mercati sono, invece, le aree in cui il progresso è più lento. Per quanto riguarda le politiche di occupazione, si nota il progresso in merito alla capacità di attrarre e mantenere più persone nel mercato del lavoro. Sono stati fatti passi avanti anche per quanto concerne il capitale umano e l'apprendimento continuo. Preoccupazioni, invece, permangono circa l'adattabilità - la flessibilità è aumentata solo marginalmente - e continua il problema di un mercato del lavoro sempre più frammentato.
Indubbiamente però la strategia per la crescita e l'occupazione sta funzionando: sono in corso progressi e presto saranno percepiti in Europa da tutto il mondo dell'imprenditoria.
Vorrei adesso soffermarmi sull'Italia e sulle sfide che è chiamata ad affrontare. Nella valutazione dell'ultimo anno (2005), la Commissione ha sottolineato tre punti ai quali andava rivolta maggiore attenzione: assicurare una sostenibilità di bilancio; incrementare la competizione nelle reti di industrie e servizi; migliorare i tassi e la fornitura di occupazione, tenendo anche conto delle differenze tra una regione e l'altra. Sono felice di constatare che sono proprio questi i punti attualmente al centro del dibattito in Italia.
Per quanto riguarda la sostenibilità delle finanze pubbliche, la Commissione ha accolto con favore il Documento di programmazione economico-finanziaria del luglio 2006, che intende rispettare, per la correzione del surplus di deficit, la scadenza del 2007, per poi continuare a perseguire un consolidamento di bilancio fino al 2011. È importante che queste misure siano attuate in maniera efficace, attraverso la legge di bilancio e la normativa connessa.
I servizi della Commissione e il mio collega Almunia seguono questo processo, nell'ambito del patto di stabilità e crescita. Colgo tra l'altro l'occasione per ricordare che una finanza pubblica sana, accompagnata da una riforma strutturale, è condizione necessaria per creare in materia economica un circolo virtuoso di disciplina di bilancio, capace di garantire una crescita sostenuta e migliori standard di vita per le generazioni future. Pertanto, al centro della nostra rinnovata strategia di Lisbona c'è la volontà di perseguire politiche di integrazione efficaci e di attuare misure coerenti con esse.
A livello del mercato del lavoro, c'è stato un decennio di crescita occupazionale piuttosto sostenuta e un declino della disoccupazione. Sono successi di cui tenere conto, però la percentuale rimane al di sotto della media europea, e si registra un divario tra i più giovani, le donne e i più anziani. Bisognerà dunque riformare il mercato del lavoro (così da ridurre questa


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frammentazione), far convivere flessibilità e sicurezza, e ridurre il lavoro in nero, una vera sfida per il futuro dell'Italia. Sono cambiamenti che, in un ambito di progresso tecnologico rapido, dovranno essere accompagnati da misure che assicurino ai lavoratori la capacità di adattarsi e la possibilità di un apprendimento continuo.
La terza area di interesse sottolineata dalla Commissione riguarda l'industria in rete e l'agevolazione della concorrenza in tutti i settori. Sono molto compiaciuto dei progressi compiuti in questo ambito dal vostro Paese: le recenti misure, atte a rimuovere ostacoli alla concorrenza nei servizi professionali e alla distribuzione al dettaglio, sono stati passi importanti nella direzione di servizi migliori a prezzi più bassi per cittadini e imprese. È un processo che continuerà e richiederà ulteriori progressi da compiere.
In particolare, sottolineo l'importanza di arrivare ad una piena apertura del mercato dell'energia, come indicato dal Consiglio di primavera del marzo 2006. La Commissione è molto impegnata in questo settore perché la direttiva esiste, è adottata quale custode del Trattato. Il mercato interno dell'energia deve essere una realtà in tutta l'Europa: è l'impegno preso dalla Commissione, un obbligo che vorremmo tutti assolvessero.
Anche in Italia è stata affrontata la questione del mercato dell'energia: accolgo con favore il progetto di legge attualmente in discussione in Parlamento e l'impegno preso dal Governo finalizzato all'attuazione delle direttive in materia già esistenti.
Mi sia ora consentito parlare brevemente di due settori delle riforme strutturali.
È noto che l'Italia non ha un buon punteggio relativamente a molti indicatori in materia di tecnologia e innovazione. Si pensi, ad esempio, al livello di spesa dell'imprenditoria nel campo della ricerca e dello sviluppo, al numero di brevetti e di laureati in materie scientifiche e tecnologiche; oltretutto, il tessuto industriale è orientato piuttosto verso prodotti di contenuto tecnologico medio-basso. È, quindi, urgente e necessaria un'azione.
Il programma nazionale di riforma ha indicato una serie di misure tese a migliorare l'efficienza della ricerca e dello sviluppo a livello pubblico, e a stimolarle anche a livello privato; misure indirizzate al rafforzamento dei collegamenti fra università e imprenditori, allo sviluppo di partnership pubblico-privato e ad una maggiore attrattività delle carriere per i ricercatori. Sono sicuro che tempestive e giuste misure di attuazione di questi provvedimenti daranno benefici nel prossimo futuro.
In Italia vi sono stati progressi in direzione di un migliore «ambiente» dell'imprenditoria, dal 1998 al 2002 il numero di procedure per avviare un'attività sono diminuite da ventuno a dodici, e il tempo necessario da ventidue settimane a solo sei; nello stesso periodo di tempo, i costi per la registrazione delle società sono stati dimezzati. Tutto ciò è molto incoraggiante, anche se ci sono ancora margini di miglioramento.
Il programma di riforma nazionale ha elencato una serie di misure interessanti, che la Commissione ha riconosciuto nella sua valutazione. Adesso, però, è importante procedere in questa agenda, abrogare le normative obsolescenti, in modo tale da eliminare ulteriormente negli Stati le sovrapposizioni burocratiche, riducendo così i costi di amministrazione.
Questa non è delegificazione, non è un indebolimento dell'integrazione europea, non è un abbassamento degli standard; si tratta piuttosto di migliorare la qualità, (non si parla di quantità). Quindi, i livelli di integrazione, di protezione del lavoro o del consumatore, e di protezione ambientale saranno invariati, però con un fardello burocratico minore.
Colgo questa occasione per sottolineare nuovamente l'importanza che la Commissione attribuisce al miglioramento della qualità della legislazione. In particolare, risulta fondamentale una valutazione a tutto campo sugli impatti della normativa e una consultazione aperta e trasparente


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delle parti interessate: aiuterebbe a produrre una normativa quanto più appropriata al raggiungimento di obiettivi ai minori costi possibili per cittadini e imprese.
Ho già parlato dei progressi compiuti a livello comunitario e penso che sia fondamentale che questi diventino pratiche standard nei processi decisionali di molti Stati membri.
Concludo ricordando uno studio condotto dalla DG Impresa, che ha dimostrato come, per raggiungere l'obiettivo di Lisbona in materia di ricerca e sviluppo, l'investimento in questo campo porterà un aumento del PIL del 3,6 per cento, con un miglioramento dello stesso dal 12 al 23 per cento. È un'indicazione, quindi, che dovrebbe dare coraggio e fiducia per continuare a perseguire la strategia per la crescita e l'occupazione.
È anche importante sottolineare che è tuttora in atto un ciclo imprenditoriale favorevole, dovuto in parte alle riforme fatte e in corso, e ciò può contribuire a dare attuazione a riforme strutturali, spesso costose e difficili da un punto di vista politico. Ecco perché ritengo, vista la favorevole congiuntura economica, che questo sia il momento giusto per fare di più e spingerci oltre nella nostra agenda di riforma.

PRESIDENTE. Ringrazio il signor commissario.
Saluto anche il presidente della Commissione bilancio, Lino Duilio, e il presidente della Commissione attività produttive, Daniele Capezzone. Vorrei sottolineare la convergenza dal punto di vista del lavoro che stiamo svolgendo, come Parlamento italiano, con la relazione del commissario Verheugen.
In particolare, abbiamo molto apprezzato i due atti importanti della Commissione e del Parlamento: la comunicazione «è ora di cambiare marcia», che introduce più esplicitamente gli strumenti di valutazione all'interno del percorso di Lisbona, e la comunicazione del Parlamento europeo del settembre 2006 sui valori connessi con il modello sociale europeo.
Questi ultimi due documenti costituiscono il contenuto della risoluzione parlamentare del 21 settembre 2006, relativa alla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Particolare attenzione meritano le sottolineature connesse alle risorse adeguate per realizzare il percorso di Lisbona, che riguarda l'intera governance europea e che ha l'obiettivo di creare lo spazio più importante di conoscenza competitiva.
Certo, alcuni obiettivi per l'Italia non sono ancora a portata di mano - questo l'abbiamo già evidenziato nella risoluzione del Parlamento -, però, come diranno anche i colleghi, lo sforzo è presente non solo nel DPEF, ma anche nella proposta della legge finanziaria, di prossima presentazione alle Camere, che intendiamo migliorare proprio nella prospettiva indicata da Lisbona.
Do la parola al presidente Duilio.

LINO DUILIO, Presidente della V Commissione della Camera dei deputati. Do il buongiorno e il benvenuto al signor commissario. Chiedo scusa se sono arrivato con qualche minuto di ritardo, ma eravamo impegnati in aula per l'illustrazione dell'assestamento del rendiconto generale del bilancio dello Stato. Come lei sa, infatti, siamo entrati appieno nella sessione di bilancio, che ci vedrà impegnati fino alla pausa natalizia per approvare il bilancio, la manovra finanziaria e i documenti connessi.
Nell'ambito di questa sessione di bilancio, come risulta dalla proposta di legge finanziaria che il Governo ha trasmesso al Parlamento, ci ripromettiamo di sistemare i nostri parametri - come lei giustamente richiamava in precedenza - rispetto a quanto è stato previsto, a suo tempo, nel trattato di Maastricht.
Inoltre, nell'ambito del quinquennio di legislatura, prevediamo di migliorare non solo il rapporto tra deficit e PIL (prima evocato), ma anche gli altri parametri; in particolare, intendiamo rimettere sotto controllo e ricondurre entro limiti più fisiologici il rapporto tra debito e PIL, che ci vede in ritardo rispetto alla maggior parte dei paesi europei.


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Al di là di questo aspetto, strettamente connesso al discorso dei conti pubblici del nostro Paese, siamo - come è stato prima sottolineato - particolarmente attenti al recepimento delle direttive comunitarie e, da questo punto di vista, intendiamo migliorare il relativo processo di attuazione. Di recente, la Commissione bilancio da me presieduta ha richiesto e ottenuto che ogni sei mesi il Governo rappresenti al Parlamento lo stato di recepimento delle direttive comunitarie, non solo per evitare procedure di infrazione (che evidentemente comportano dei costi), ma soprattutto perché - al di là del profilo finanziario - il nostro Paese sia progressivamente e a pieno titolo d'esempio (se così posso permettermi di dire) nel trasferire le normative comunitarie nell'ordinamento interno. Tale orientamento è peraltro condiviso da tutta la nostra Commissione e da tutto il Parlamento - quindi sia da maggioranza che da opposizione - con la volontà di uniformare, sia pure gradualmente, gli elementi di legislazione dell'Unione europea.
Ovviamente, ci interessa un discorso non solo di carattere formale, ma anche e soprattutto di carattere sostanziale, perché credo che tutti siamo attenti a far sì che l'Unione europea abbia performance di crescita e sviluppo in grado di consentirci un recupero su altre aree economiche e su altri paesi del pianeta.
In questo senso, sono stato molto interessato da quanto lei diceva relativamente al contributo che può venire dall'ambito comunitario, in particolare a proposito della riduzione dei costi amministrativi, che - come lei notava - non sono «bruscolini». Anche noi stiamo producendo lo stesso sforzo e stiamo inoltre cercando un equilibrio, implicante un salto culturale che personalmente - è una mia modesta idea - spero si realizzi anche a livello comunitario. Mi riferisco all'equilibrio tra sostegno alle aree in via di sviluppo - verso le quali ci siamo concentrati in tutti questi anni - e sostegno alle aree già sulla frontiera di eccellenza, ma proprio per questo esposte alla competizione internazionale e, dunque, bisognose di sostegno, per evitare che in poco tempo si possano trovare in difficoltà rispetto ad altri paesi.

GIUSEPPE VEGAS. Grazie, signor commissario, per il suo intervento, e per la prospettiva a lungo termine che ci ha offerto.
Ho un paio di domande da porle. Lei ha detto che non tutti i paesi europei hanno le risorse necessarie per finanziare il programma di Lisbona, al punto che fino ad oggi non ha trovato attuazione. Ebbene, come è possibile reperire maggiori risorse dal momento che il bilancio europeo non dispone di fondi per l'attuazione del programma di Lisbona, essendo dedicato ad attività strutturali e all'agricoltura? Dove andiamo a reperire nuove risorse a livello europeo per l'attuazione del programma di Lisbona?
Inoltre, lei sosteneva che l'Unione europea ha dato attuazione a molte norme alle quali è difficile adattare tutta la legislazione interna. Come si può allora coniugare tale esigenza con una minore produzione normativa a livello europeo?

LUCIO STANCA. Grazie, signor commissario, per la sua presentazione.
Ho due brevi domande da porre. L'Unione europea e tutti paesi hanno di fronte due grandi sfide: da un lato la stabilità, dall'altro la crescita economica. Sulla stabilità abbiamo il patto di Maastricht, mentre sulla crescita c'è l'agenda di Lisbona. La grossa differenza tra queste due grandi sfide risiede nell'efficacia della governance. Per quando riguarda la stabilità, abbiamo una governance molto forte, delle regole strette, dei parametri ben chiari e, quindi, una grande attenzione politica e un impegno sia a livello di Commissione che di paesi: quindi, i risultati si sono visti.
Per quanto riguarda l'agenda di Lisbona, abbiamo ancora una governance debole, troppo lasca e, nonostante i miglioramenti compiuti da Lisbona ad oggi, siamo ben lontani dal raggiungimento degli obiettivi. Anche se abbiamo ottenuto miglioramenti della governance con la revisione


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avvenuta l'anno scorso, siamo ben lontani - a mio modo di vedere - da una governance più efficace e forte, proprio perché c'è da recuperare un ritardo. Secondo lei, dunque, c'è un margine per raggiungere su alcuni aspetti fondamentali una governance molto più simile a quella relativa alla stabilità?
La seconda domanda, invece, è molto più specifica. Lei ben sa che uno dei problemi italiani è legato alla dimensione delle imprese: abbiamo un numero molto elevato di piccole e medie imprese, rispetto a quello delle grandi imprese presenti in molti paesi europei.
Chiedo allora se abbia senso oggi in Europa definire come grande impresa un'azienda con 251 dipendenti, escludendola, ad esempio, da tutte le politiche di sostegno, aiuto, supporto in tanti campi, compreso quello dell'innovazione tecnologica, orientate prevalentemente alla piccola e media impresa. Eppure, la stessa impresa negli Stati Uniti d'America verrebbe considerata una piccola impresa. Non le sorge, quindi, il dubbio che lo standard europeo faccia tutto il contrario di quello che dovrebbe fare? Il suo effetto, infatti, è di compressione della crescita, quando invece dovrebbe aumentare la possibilità per le imprese, italiane ed europee, di raggiungere dimensioni superiori ai 251 dipendenti.

DANIELE CAPEZZONE, Presidente della X Commissione della Camera dei deputati. Signor commissario, le rivolgo anch'io un benvenuto e un ringraziamento per gli elementi di conoscenza che ci ha trasferito, per le valutazioni politiche, per la spinta e l'incoraggiamento derivanti dalla sua presentazione. È naturalmente l'onore di un'Assemblea legislativa - quindi anche della nostra - essere luogo di confronto politico serrato e anche di scontro tra maggioranza e opposizione. C'è però un campo, un perimetro entro cui quel confronto deve compiersi, che va rispettato e tenuto presente, a maggior ragione quando fa riferimento a impegni che il Paese ha assunto nell'ambito dell'Unione europea. Un ambito in cui non saremo giudicati come centrodestra o centrosinistra, ma in cui sarà valutata l'intera classe dirigente italiana e l'intero Paese, in relazione alla capacità di rispettare o meno gli impegni e di centrare gli obiettivi.
Credo che ciò che lei ci ha ricordato su Lisbona sia importante davvero: l'innovazione, primo fattore per una nuova fase di crescita; la competizione e la concorrenza in ogni ambito, come meccanismo virtuoso che premia l'utente, il consumatore e anche le imprese più coraggiose e innovative; l'attrattività come tensione costante; l'obiettivo di calamitare risorse, investimenti, capitali, imprese e di far sì che una realtà, un territorio diventino un magnete. Tutto ciò, inoltre, deve essere inteso come occasione per creare occupazione buona e sicura.
In tal senso, l'Italia deve sicuramente fare molti sforzi; è ancora indietro sulla strada di Lisbona, forse troppo. Il Parlamento ha cercato di andare in questa direzione, approvando il 21 settembre una risoluzione sulla relazione del Governo su questo punto, ma, in ogni caso, c'è molto da fare. In proposito, lo ripeto, le sue parole mi pare ci incoraggino a lavorare insieme in un campo che è interesse di tutti.
Mi permetto di aggiungere un particolare motivo di ringraziamento da parte della Commissione che ho l'onore di presiedere: anche oggi, come del resto in tutti questi mesi, ha speso parole importanti sulla realtà della piccola e media impresa e sulle difficoltà che troppo spesso incontra, dalla nascita sino al rapporto con la pubblica amministrazione. Noi non dimentichiamo ciò che è stato stabilito a Lisbona nel Consiglio europeo del 23 e 24 marzo e, in particolare, non dimentichiamo l'allarme da lei lanciato: un grido di dolore sulle difficili procedure per l'avvio delle imprese nel nostro Paese. Su questo punto, sono lieto di dirle che maggioranza e opposizione stanno lavorando coralmente ad una proposta per azzerare questa fase o, quantomeno, per comprimere notevolmente il confronto con la burocrazia nell'avvio delle imprese.


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Abbiamo, quindi, molte ragioni per ringraziarla, ma in particolare quest'ultima, essendo tutti ben disposti ad accogliere il suo monito. Questo è uno dei primi atti che stanno segnando la presente legislatura nella discussione di alcune Commissioni parlamentari.

ANDREA LULLI. Benvenuto, signor commissario. Lei ha giustamente parlato dell'importanza della liberalizzazione dell'energia; sono d'accordo, ma vorrei rivolgerle una domanda, in considerazione del fatto che in Europa c'è ancora molto da fare in tale direzione. Mi pare, infatti, che non tutti i paesi si orientino verso una vera liberalizzazione del mercato dell'energia, e ciò crea molti problemi e tensioni, anche nel nostro Paese, pur bisognoso di un mercato europeo liberalizzato. Occorre inoltre una maggiore coesione nella politica energetica dell'Unione europea, per fronteggiare i grandi processi in atto a livello mondiale; si pensi alle questioni del gas ed a quelle riguardanti il ricorso ad energie alternative sostenibili, oltre che alla ricerca in materia energetica.
Venendo al secondo punto, anch'io penso che sarebbe utile una governance più stringente per l'agenda di Lisbona. Sicuramente molto dipende dalle capacità di risanamento dei conti pubblici nei singoli paesi - e l'Italia, purtroppo, è il paese che più deve risanare - ma è altrettanto vero che, forse, sarebbe auspicabile una ristrutturazione delle risorse comunitarie, da indirizzare maggiormente verso l'attuazione della politica di Lisbona, determinando naturalmente alcuni vincoli precisi.
Come terza e ultima questione, mi ritengo sostanzialmente d'accordo sullo scenario futuro: la necessità è innovare per costruire la società della conoscenza e l'impresa della conoscenza. Per fare ciò occorre però anche saper difendere la nostra industria manifatturiera; personalmente, sono convinto che si può e si deve innovare, ma è necessario che l'innovazione si basi sul nostro saper fare, punto di forza nel commercio mondiale. Pertanto, incoraggerei la Commissione a rivolgere un'attenzione particolare ai settori manifatturieri.

PRESIDENTE. Cedo la parola al signor commissario per la replica.

GÜNTER VERHEUGEN, Vicepresidente della Commissione europea, responsabile per le imprese e l'industria. Ringrazio tutti per questi spunti così interessanti, cui risponderò singolarmente.
Nel primo intervento si chiedeva dove trovare le risorse per dare attuazione a questa strategia. Non è una questione di risorse, in primo luogo perché non ho usato l'espressione «strategia di Lisbona», ho parlato invece di partnership per la crescita e l'occupazione, risultato della revisione della vecchia strategia di Lisbona, che non funzionava; la revisione del 2004 è arrivata alle stesse conclusioni, avendo chiarito che nel 2010 non saremmo diventati la regione più dinamica e competitiva del mondo, trattandosi di una strategia carente. Abbiamo allora pensato a qualcosa di diverso: rilanciare la strategia nel 2005 come partnership per crescita e occupazione, dunque concentrandoci su due fondamentali punti della strategia di Lisbona, sulle due lezioni fondamentali.
Prima di tutto, mancava una struttura di governance: nessuno sapeva chi avrebbe dovuto fare cosa, quindi c'era un vuoto di responsabilità, di controllo e di coordinamento. L'altra lezione che abbiamo tratto, ha mostrato come si trattasse di una strategia non ben mirata, un grande albero di Natale molto decorato, con moltissime priorità, ma senza una linea unica. Bisognava quindi creare - ed è stato fatto - una struttura di governance ed era inoltre necessario che nell'Unione europea ci fosse una sorta di coordinamento nell'elaborazione delle politiche economiche.
Oltre a ciò, come ho già detto nel mio intervento, sussistono aree prioritarie in cui dobbiamo migliorare la nostra competitività. Ho notato dai vostri stessi interventi che condividete la mia opinione. Non è un problema di risorse: queste sono presenti nel bilancio, ma solo per azioni


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da intraprendere a livello comunitario. Tuttavia, oltre al bilancio ci sono i fondi, un programma per l'innovazione concorrenziale competitiva - ipotesi che io stesso ho rilanciato nel Consiglio e nel Parlamento - e, ancora più importante, c'è stata la semplificazione dell'attuale programma di spesa, concentrandolo esclusivamente sugli obiettivi di crescita e occupazione (fondo strutturale di coesione, fondo sociale, fondo di occupazione). Tale semplificazione ha riguardato anche il settore del fondo di ricerca e sviluppo.
Tutti questi programmi sono stati semplificati, con una maggiore attenzione su crescita e occupazione, oltre che nei confronti della piccola e media impresa.
Per quanto riguarda il nuovo quadro di bilancio, che entrerà in vigore il 31 gennaio 2007, esso ha creato le condizioni giuridiche del programma ed ora vediamo le cose dalla visuale del patto di Lisbona.
Condivido quanto voi stessi avete detto: nel medio termine dobbiamo cambiare la struttura del bilancio europeo. Ci verrà offerta l'occasione per parlarne quando la Commissione presenterà le proposte per la revisione del bilancio, prevista per il 2008-2009. Il prossimo quadro del bilancio ha una clausola di revisione, che non riguarda soltanto le spese e le entrate dal 2010 al 2013, ma tocca tutte le politiche dell'Unione europea.
La Commissione ha già cominciato ad affrontare questi aspetti, seppur in linea generale; ma è chiaro che in Commissione non parleremo solo di numeri, bensì definiremo le politiche necessarie e le relative modifiche e solo dopo, come risultato di questo dibattito, discuteremo di numeri e cifre.
La Commissione formulerà delle proposte di modifica della struttura del bilancio europeo, tanto per le entrate quanto per la spesa. Tale esigenza è urgente perché siamo sempre ancorati alla vecchia struttura esistente, prevista negli anni '50 e '60. Nel nuovo secolo è, quindi, necessario aggiornare questa struttura e guardare al futuro. Sicuramente sarà una cosa penosa, un argomento scottante e controverso, ma dobbiamo avviare il dibattito.
In merito alla strategia di crescita e occupazione, a livello europeo i programmi sono finanziati; naturalmente, spetta agli Stati membri fare la loro parte.
Sono d'accordo sull'eccessiva quantità di normative e di leggi. Nelle mie riunioni con gli imprenditori, chiedo loro di esprimere un desiderio e la risposta è sempre la stessa: meno normative, meno leggi, meno regole da seguire, e migliori. Quindi, c'è evidentemente qualcosa di sbagliato nel nostro sistema: vero o meno che sia, è comunque diffusa una percezione del sovraccarico di norme, una percezione che cambia la stessa realtà. Dobbiamo pertanto fare qualcosa, se non altro per cambiare questo convincimento. Sono programmi se volete ambiziosi, ma comunque tesi a migliorare qualitativamente e a semplificare la legislazione europea.
Per quanto riguarda la politica, i risultati della valutazione obbligatoria introdotta sono stati inferiori rispetto al passato. Alcuni forse sanno che nel Parlamento europeo vi sono critiche nei confronti della Commissione perché non si fa abbastanza; ci sono addirittura critiche perché non produciamo sufficienti normative, ma i risultati sono già tangibili. Se un servizio deve presentare una giusta valutazione di impatto, andrà con i piedi di piombo prima di avanzare proposte che possano influenzarlo, ovvero sostenere che possa essere non misurabile o addirittura negativo.
Permettetemi ora di trattare compiutamente il problema della combinazione dei livelli di legislazione, europeo e nazionale. In Gran Bretagna, ad esempio, si parla di «doratura» con riferimento alla trasposizione nella legislazione nazionale delle direttive europee: una direttiva di settantacinque pagine dà luogo ad un testo di mille pagine nella legislazione nazionale britannica: allora, c'è evidentemente qualcosa da correggere. Dovremmo tendere ad una legislazione più semplice, più trasparente e moderna. Mi fa piacere sentire la gente chiedere se davvero abbiamo bisogno


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della legislazione europea in un determinato settore come l'agricoltura, il mercato interno e l'acquis esistente. Da quaranta anni a questa parte, centinaia di norme si sono sviluppate in questi settori e sarebbe lecito chiedersi la ragione di tutto ciò. Ebbene, la scorsa settimana la Commissione ha avanzato la proposta di ritirare una direttiva del 1968, che regola la gestione delle nocciole che cadono nei boschi; molti si chiederanno come sia mai possibile che esista una siffatta direttiva, ma come questa ce ne sono altre centinaia: è chiaro che si tratta di norme superflue.
Da un paio d'anni c'è, dunque una nuova impostazione, in base alla quale il legislatore europeo deve regolare soltanto ciò che è assolutamente necessario nell'interesse della sicurezza pubblica, salute e ambiente, essendo tutto il resto appannaggio dell'industria: non è compito del legislatore decidere come un imprenditore debba svolgere le propri funzioni. La strada intrapresa, pertanto, è quella della semplificazione.
Mi è stata posta una domanda su Maastricht e sulla relativa struttura di governance. Nella risposta cercherò di essere diretto. Quando a marzo dello scorso anno fu proposta la partnership sulla crescita e sull'occupazione, alcuni membri del Consiglio, compreso un Capo di Governo all'epoca a me molto vicino, hanno subito affermato che non avrebbero accettato quel sistema. Un importante Capo di Governo obiettò, sostenendo che stavamo creando un sistema già esistente per l'unione monetaria, limitandoci a trasferirlo all'economia, e non strettamente basato sul Trattato; qui invece stiamo facendo semplicemente un coordinamento; l'accusa era che volessimo introdurre un rigido sistema di controllo e definizioni che non andava adottato. Tre settimane prima della mia elezione, questa stessa persona mi ha scritto dicendomi che, purtroppo, avrei dovuto comunque andare avanti; naturalmente la lettera, diffusa dalla stampa ancor prima che la ricevessi, sosteneva che non saremmo riusciti nel compito.
Invece, la partnership verrà realizzata, metteremo a punto un nuovo e diverso sistema di governance e nuovi piani di riforma nazionale, con l'obbligo di relazione annuale da parte degli Stati membri. Per quanto sia in grado di vedere, mi sembra che tale sistema stia funzionando. Non bisogna sottovalutare il fatto che il Trattato europeo non preveda una competenza europea in materia di politica economica, pur essendo un'area economicamente integrata.
Il nuovo sistema che abbiamo messo a punto, quindi, è l'unico possibile in questo quadro. In teoria si possono trovare anche delle soluzioni differenti, se mai ci sarà un accordo istituzionale fra Stati membri per la creazione di una competenza anche in materia economica, ma per il momento le cose non stanno così, per cui dobbiamo cercare di portare avanti quello che ci è consentito.
Mi pare di aver risposto a tutti gli interrogativi che mi sono stati posti.
In passato, si faceva un gran parlare della piccola e media impresa, ma nessuno le ha mai favorite concretamente. Adesso, invece, c'è una maggiore coscienza: abbiamo controllato tutte le iniziative e le legislazioni esistenti a sostegno della small and medium enterprise, cercando di evidenziare come esse possano trarne vantaggio.
Sono d'accordo nel dire che esiste un problema nella stessa definizione di piccola e media impresa. La definizione europea arriva alle 250 unità di personale e un massimo di 50 milioni di fatturato, ma questo riguarda solo un aspetto ed ha un significato giuridico soltanto per quanto riguarda l'aiuto statale, e solo in alcune aree.
In linea di massima, tutte le politiche che abbiamo predisposto riguardano le innovazioni, l'accesso al finanziamento, i diritti di proprietà intellettuale e via dicendo, e tutto a vantaggio della piccola e media impresa, oltre che per grandi imprese.
Inoltre, ho iniziato il mio intervento ricordando che la struttura dell'economia italiana è caratterizzata - più che in altri


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paesi - dalla piccola e media impresa e dall'industria manifatturiera, ma è difficile stabilire se questo sia un vantaggio o uno svantaggio. Non sono così sicuro che sia uno svantaggio: in primo luogo, il 99 per cento delle imprese europee sono piccole e medie, e i due terzi dei posti di lavoro in Europa sono garantiti dalla piccola e media impresa.
La realtà ci dice che il datore di lavoro medio, standard non è la FIAT, ma solitamente è una piccola impresa di famiglia. Il potenziale di crescita in termini di volume e di occupazione non è sicuramente nella grande industria manifatturiera, al contrario: la FIAT non riuscirà a creare in Italia più posti di lavoro di quanti non ne crei già oggi. Lo stesso dicasi per altre enormi industrie manifatturiere.
I nuovi posti di lavoro arrivano da piccole e medie imprese, da nuove imprese e da società innovative. Se questo è un fenomeno in crescita, non dovremmo certo pensare solo alle imprese con più o meno di 250 dipendenti, cercando di stabilire un discrimine; non dovremmo più ragionare in questi termini, ma è necessario piuttosto puntare sull'aspetto giovane, innovativo e in crescita, anche perché sono molte le imprese di questo tipo.
Quanto all'avvio di nuove attività, l'Italia è al primo posto. Con riferimento allo snellimento delle pratiche, è possibile avviarle in appena sette giorni e in alcuni paesi, addirittura è sufficiente un solo giorno. Ciò che conta è semplificare le procedure, con un solo sportello dove presentare tutte le pratiche, anziché passare da un ufficio all'altro: credo che ciò sia fondamentale per agevolare questo processo; vanno comunque apprezzate le vostre iniziative in questo settore.
Per quanto riguarda la liberalizzazione del mercato dell'energia e l'industria manifatturiera, confermo quanto già detto: è già stato tutto deciso, ma fa parte di una strategia più ampia.
La Commissione sta approntando un piano di azione in materia energetica che affronti i vari problemi: il mercato interno dell'energia, i prezzi, l'efficienza energetica, la rinnovabilità delle fonti, le innovazioni e la certezza della fornitura.
Circa l'efficienza energetica, sono favorevole come strategia alle fonti rinnovabili e sostenibili, senza scendere nel dettaglio. Dobbiamo inoltre mettere a punto una politica estera tesa a stabilizzare, da un punto di vista politico ed economico, quelle regioni nostre fornitrici di gas e petrolio. Questo, infatti, è il nocciolo della politica di buon vicinato europeo: sono fondamentali i buoni rapporti con la Russia, la Norvegia, i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo. La Norvegia non è certamente un problema, ma sapete bene che per la Russia e gli altri paesi è necessario garantire lo stesso livello di stabilità politica ed economica raggiunto nel resto dell'Europa: è un nostro importante obiettivo, avendo oltretutto già toccato con mano alcune difficoltà.
Alcuni Stati membri hanno già intrapreso la strada della liberalizzazione in materia energetica; mi aspetto alcune difficoltà perché, per creare un mercato europeo, occorre una rete europea, una garanzia, una regolamentazione a livello comunitario: anche questo, ovviamente, animerà un dibattito.
Delle risorse della Commissione abbiamo già parlato, vengo quindi all'industria manifatturiera.
Due anni fa, quando ho assunto questo incarico, mi ha stupito notare che a Bruxelles si pensasse che non ci fosse bisogno di industrie manifatturiere. Ciò mi stupiva perché si sosteneva che ci trovassimo in una fase postindustriale in cui non erano necessarie altre industrie. Personalmente, sono ora di avviso contrario: senza industria non possiamo mantenere alta la nostra competitività internazionale, che non può certo essere basata soltanto sulla fornitura di servizi. Quindi, dobbiamo anche dare sviluppo alle industrie perché più del 50 per cento del nostro fabbisogno viene dall'outsourcing, dall'esterno. È necessario puntare in futuro su complessi industriali con strategia indipendente, anche perché il commercio internazionale


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per l'80 per cento è costituito da merci, non da servizi, e dobbiamo essere in grado di sostenere questa concorrenza.
Circa il livello di competitività delle risorse industriali, posso affermare che alcune industrie europee sono leader nel mondo: l'ingegneria, l'industria chimica, l'automobile, solo per citarne alcune. Tuttavia, in alcuni settori sussistono difficoltà - ad esempio, nella produzione di beni di consumo tradizionali, come i tessili, i pellami - e sarà necessario adattarsi e sostenere il cambiamento. Dobbiamo, quindi, difendere il ruolo dell'industria manifatturiera e i posti di lavoro che offre. Sarebbe totalmente errato credere che l'Europa possa fare a meno di questo genere di industria.

PRESIDENTE. Ci sono ancora sette iscritti a parlare. Invito quindi i colleghi onorevoli a contenere i propri interventi in tempi brevi, in maniera tale da approfittare delle interessantissime risposte del commissario Verheugen.

ANTONELLO FALOMI. Affronto subito alcune questioni già introdotte dal commissario Verheugen, il quale ha sottolineato in modo particolare l'importanza della governance nel processo di attuazione della strategia di Lisbona. Non possiamo, però, non rilevare come in tutte le fasi della sua definizione - dal momento in cui è stata predisposta al momento della sua revisione, fino ai piani di riforma nazionale - la strategia di Lisbona è stata in realtà caratterizzata da un forte deficit democratico: non si è riusciti a coinvolgere, nella definizione di questi passaggi essenziali, i Parlamenti nazionali, le autonomie locali, le forze sociali; allora, la prima domanda riguarda l'esistenza o meno di una strategia delle iniziative e delle misure che la Commissione sta adottando per coinvolgere Parlamenti nazionali, autonomie locali e parti sociali.
La seconda questione che desidero sollevare verte su un tema che, in qualche modo, lei ha già toccato rispondendo ad una domanda del collega Vegas. Mi riferisco all'insufficienza o sufficienza delle risorse a disposizione dell'Europa per portare avanti la strategia di Lisbona, al di là di quelle predisposte dai singoli Stati membri.
C'è poi il tema riguardante l'uso della leva monetaria per portare avanti una politica degli investimenti. Gli Stati nazionali avevano a disposizione la leva monetaria non solo per contenere l'inflazione, ma anche per portare avanti la strategia di crescita. Nel momento in cui gli Stati hanno rinunciato alla leva monetaria e l'hanno affidata all'Europa, questa ha concepito la politica monetaria soltanto come strumento di contenimento dell'inflazione e non anche di crescita e sviluppo: è un tema che merita attenzione. In proposito, vorrei sapere se sia attualmente in corso una discussione nella Commissione europea per aprire una riflessione, a mio avviso, importante.
La terza questione - già sollevata dal collega Stanca - riguarda il rapporto tra i vincoli di Maastricht e l'agenda di Lisbona. Non c'è dubbio che i vincoli di Maastricht esercitino una pressione sugli Stati nazionali in tema di riduzione del costo del lavoro, spingendo soprattutto verso forme di precarizzazione del lavoro, e in tema di sistemi di sicurezza sociale.
Vorrei sapere dal commissario Verheugen se ritenga che esiste un problema nel definire, accanto a vincoli così stringenti sui bilanci nazionali, anche dei vincoli più cogenti riguardo alle questioni sociali e ambientali. Ho l'impressione, infatti, che ci sia un doppio binario che, tuttavia, non riesce mai a funzionare nella sua complessità.
Quanto, infine, alla questione legata alla semplificazione, di cui lei ha molto parlato, desidero sapere se in questa giusta politica di semplificazione delle normative europee e nazionali, non ci sia anche il rischio di una cancellazione delle tutele di interessi rilevanti implicati dalla normativa. È un punto che ritengo essenziale: se semplificare equivale a riconoscere un solo interesse dominante su tutti gli altri, questa non può certamente essere una strategia di successo.


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ARNOLD CASSOLA. Vorrei ringraziare il commissario Verheugen. Mi ricollego poi a quanto detto dal collega Falomi e le chiedo, commissario, se lei pensi che debba essere usato solo il PIL come metro per misurare il successo economico, senza dare più peso alle esigenze sociali e ambientali.
Per quanto riguarda l'ambiente, nel contesto di ciò che ha detto, ritiene che vi sia un grande potenziale di profitto economico nell'industria ecologica?
In seconda battuta, le chiedo se l'innovazione nel campo ecoindustriale possa offrire una grande opportunità per l'esportazione dell'industria europea (basti pensare, ad esempio, ai notevoli problemi ecologici della Cina e dell'India).
Vengo all'ultimo punto. Siamo tutti d'accordo sulla necessità di deregulation, di una diminuzione e semplificazione di regole; ma perché l'industria eco-compatibile possa imporsi sul mercato, non sarebbe forse meglio introdurre delle regole più dure, magari imponendo anche delle eco-tasse, per dare una vera possibilità all'industria eco-compatibile?

GASPARE GIUDICE. Nel nostro Paese si sta discutendo, in vista della sessione di bilancio - come del resto succede da tempo -, dell'introduzione di regimi di fiscalità di vantaggio per le regioni che rientrano nell'attuale obiettivo 1 dei fondi strutturali.
Mi rendo conto, signor commissario, che lei non è direttamente competente dei profili di compatibilità dei regimi agevolativi nazionali con la normativa in materia di aiuti statali. Tuttavia desidero conoscere il suo punto di vista sulla possibilità di ammettere la fiscalità di vantaggio, quale leva per sviluppare territori e settori ad alto potenziale di crescita e innovazione.
In altri termini, le chiedo se ritenga opportuno evitare un'applicazione rigida delle norme sugli aiuti di Stato per quelle agevolazioni che mirano a perseguire gli obiettivi di sviluppo ed occupazione previsti dalla strategia di Lisbona. Peraltro, ciò compenserebbe certamente in parte la riduzione dei fondi strutturali per le regioni italiane di cui all'obiettivo 1, che si determinerà nel periodo in discussione (2007-2013).

GIUSEPPE GALATI. Lei, commissario Verheugen, ha più volte ricordato nel suo intervento il problema legato al quadro normativo e alla riduzione della burocrazia, che in Italia, tra l'altro, pesa eccessivamente (la stima complessiva è di quasi 15 miliardi di euro). È un problema non soltanto italiano; lei stesso ricordava il contrasto tra chi desidera deregolamentare e quanti vogliono una maggiore regolamentazione. L'Unione europea vuole però lanciare un ambizioso piano di monitoraggio e valutazione delle iniziative legislative.
Una proposta specifica riguardava lo sportello unico dedicato ai futuri imprenditori, per ridurre i tempi in tutti i paesi dell'Unione europea. A proposito di questo specifico progetto (mi sembra che la scadenza fosse prevista entro il 2007), riusciremo come Unione europea a rispettare i tempi?

SALVATORE ALLOCCA. Ringrazio il commissario Verheugen, alla cui attenzione vorrei porre una questione. Vorrei sapere se ritenga compatibili - in un periodo di crescita lenta come quella europea degli ultimi anni e in previsione anche dei prossimi - l'aumento della produttività e l'allungamento dell'attività lavorativa con la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro, soprattutto in presenza di una riduzione delle tutele dello stato sociale, che si traducono in funzioni ed in posti di lavoro. Questo se non si mette mano ad un elemento centrale: la ridefinizione del rapporto fra tempi di vita e tempi di lavoro. È una cosa che mi sembra stia avvenendo spontaneamente: nei dati offerti circa l'aumento dell'occupazione in Europa, viene sempre taciuto un elemento fondamentale, quello delle ore complessive lavorate. L'aumento dell'occupazione, se non corrisponde alle ore lavorate, rileva una tendenza alla diminuzione media delle ore di lavoro pro capite;


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ma ciò non avviene producendo coesione sociale, bensì frammentando il mondo del lavoro attraverso lavori atipici, e quindi in una direzione diversa da quella dell'economia sostenibile ambientalmente e socialmente.
Voglio dunque chiedere al signor commissario se non sia il caso di introdurre dei parametri di lettura in grado di monitorare questo fenomeno con precisione, e che facciano quindi riferimento non solo all'aumento generale dei posti di lavoro, ma al modo in cui viene realmente impiegato il maggior numero di ore lavorate.

RENZO TONDO. Signor commissario, esprimo anch'io un apprezzamento circa l'opportunità di questo incontro. Vorrei porre una sola domanda molto semplice. Ci stiamo avviando verso un ulteriore allargamento dell'Unione europea - la Bulgaria e la Romania, fra non molto, si aggiungeranno ai paesi che negli ultimi anni hanno fatto il loro ingresso nell'Unione europea -, allora come potrà, in un futuro non lontanissimo, essere individuato un equilibrio compatibile tra l'allargamento e le strategie di occupazione richieste da Lisbona?
Provenendo dal Friuli-Venezia Giulia, regione di confine con quella che una volta era chiamata la «cortina di ferro», dico ciò sulla base di una valutazione personale in merito ad un allargamento frettoloso. Oggi siamo di fronte al perseguimento di obiettivi che sono sostanzialmente su due piani diversamente inclinati: da una parte l'allargamento e, dall'altra, l'aumento dell'occupazione. Come riusciremo a rendere compatibili questi due obiettivi?

PRESIDENTE. Do ora la parola al nostro ospite per la replica.

GÜNTER VERHEUGEN, Vicepresidente della Commissione europea, responsabile per le imprese e l'industria. Per quanto riguarda la prima domanda relativa alla natura democratica del processo, posso rispondere che, nell'ambito del processo decisionale europeo, la Commissione formula la sua proposta e, se si tratta di legislazione, di norma il Parlamento e il Consiglio devono adottarla con una procedura di codecisione pienamente democratica. La Commissione ha anche poteri esecutivi legittimi e, dunque, non c'è alcun problema.
Piuttosto la questione centrale concerne quello che gli Stati membri fanno per dare attuazione alla strategia di crescita e occupazione, e spesso questo non fa parte del processo politico del paese, ma soltanto di quello esecutivo.
La Commissione ha affermato chiaramente che gli Stati membri debbono presentare i programmi di riforma ai propri Parlamenti, che devono avere un ruolo di rilievo in questo processo. Molte critiche sono scaturite proprio perché gli Stati membri non hanno fatto ciò.
Siete voi i membri del Parlamento italiano, siete voi a dover pretendere che il Governo vi riferisca cosa sta facendo, a quali valutazioni è giunto, qual è la riforma, in che modo si muove. È una vostra responsabilità, non certo un mio compito: la democrazia in Italia è un compito che spetta a voi, non a me.
A livello europeo, posso soltanto dirvi che le regole esistono e che il processo decisionale europeo non è ammissibile senza la piena partecipazione del Parlamento liberamente eletto e democraticamente legittimato da tutti i paesi membri. Quindi, tale procedura è seguita.
Del finanziamento abbiamo già parlato: gli obiettivi di questa strategia non rientrano in un programma di spesa, si punta piuttosto a cambiare le condizioni quadro, le strutture, la macroeconomia, gli aspetti attuativi. Il programma di spesa fa parte - anche quello - delle politiche nazionali; magari può essere variata la distribuzione delle risorse, cosa che state facendo in Italia. Se deciderete di voler spendere di più per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, passando ad esempio dall'1 per cento al 2,5 per cento, è una cosa che fa parte della nostra agenda «crescita e occupazione». E lo farete voi, ridistribuendo le vostre stesse risorse. Noi non abbiamo bisogno di aggiungere risorse perché - lo ripeto - non


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è un programma di spesa, ma una strategia che vuol individuare le strutture e le condizioni quadro da introdurre.
Passando alla politica monetaria e al vecchio problema della governance, vorrei precisare che la Commissione non è responsabile della politica monetaria, appannaggio dell'Eurogruppo, della Banca centrale europea: dobbiamo rispettarli, ma è importante non sottovalutare che il sistema creato coinvolge non solo la stabilità, ma anche la crescita. La strategia su crescita e occupazione è tesa al coordinamento di una politica economica europea.
Per quel che riguarda la semplificazione normativa, ripeto che il punto non è tanto delegificare: non sempre la deregulation è meglio della regulation. Noi non indeboliamo il livello di integrazione, non abbassiamo standard esistenti, come quelli relativi ai livelli di protezione dell'ambiente, di protezione e di sicurezza dei lavoratori o della salute. Non vogliamo sbarazzarci degli standard esistenti e, quindi, non c'è il rischio che la semplificazione comporti meno integrazione o meno qualità della stessa.
Mi è stato poi anche chiesto - ed è una domanda importante - qualcosa riguardo alla sostenibilità, l'ambiente e le ecoinnovazioni. Nel XXI secolo crescita economica equivale a crescita sostenibile, perché diversamente si commetterebbe un crimine nei confronti dell'ambiente. È un vecchio dibattito: la crescita in Europa è crescita sostenibile, che tiene conto delle responsabilità sociali e ambientali. Ho fatto notare al Parlamento europeo che qualcosa di sbagliato dal punto di vista ambientale non può più essere corretto sotto il profilo economico. I nostri elevati standard ambientali, le ecoinnovazioni, l'efficienza energetica rappresentano un forte vantaggio competitivo, non uno svantaggio per l'Unione europea: infatti, prima o poi, anche le altre regioni del mondo ci seguiranno. Come già possiamo vedere, quando in una regione vengono predisposti degli standard elevati, anche le altre seguono l'esempio. Ad esempio, circa la registrazione delle sostanze chimiche, vige una legislazione molto complessa, ma la Cina, l'India ed anche gli Stati Uniti iniziano già a guardare con interesse alle nostre iniziative e vogliono capire come abbiamo risolto il problema perché anche a loro toccherà farlo.
Per quanto riguarda il PIL, nel XXI secolo è un termine relativo perché, se non si analizza la qualità del PIL prodotto, è un termine privo di significato. Parlo di crescita ed è naturale che mi riferisca alla crescita sostenibile. Credo che anche l'Italia abbia forti opportunità di esportazione, pur mantenendo alti i livelli di protezione ambientale.
L'Europa è il maggior esportatore di elettrodomestici casalinghi perché hanno la massima efficienza energetica al mondo. Naturalmente, non possiamo concorrere con i frigoriferi prodotti in Turchia e in Corea, ma i nostri prodotti sono migliori perché il nostro frigorifero consuma un terzo di energia in meno rispetto agli altri, giusto per fare un esempio molto elementare.
Abbiamo poi regole molto rigide in ordine all'erogazione di aiuti statali. Le agevolazioni fiscali devono essere rispettose delle normali regole della concorrenza: si può ricorrere ad esse, ma il contributo o l'agevolazione deve, comunque, ricadere nell'ambito delle regole della concorrenza. Gli Stati membri possono anche mettere a punto dei programmi specifici di agevolazione per determinate regioni, ma sempre sotto il controllo dell'Unione europea.
Abbiamo già parlato della riduzione della burocrazia, che potrebbe essere attuabile. È un campo affascinante perché impariamo gli uni dagli altri: in presenza di un problema, guardandoci intorno, noteremo almeno un altro Stato membro dell'Unione che ha già trovato la soluzione per lo stesso problema. In Europa, quindi, possiamo fare qualunque cosa: indicatemi una tecnologia o un settore industriale che non esiste in Europa, e che abbia poi un leader nel mercato globale! Se dunque impareremo gli uni dagli altri, se scambieremo le nostre migliori pratiche, potremo trarre massimo vantaggio da questo nostro sistema.


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Quanto al periodo di crescita lenta, sono d'accordo con chi sostiene, per quel che riguarda stabilità e crescita, che in un periodo di rallentamento della crescita, tanto gli Stati che l'UE dovrebbero poter offrire incentivi, ecco perché è necessario introdurre una elasticità di bilancio. La Commissione sostiene spesso, del resto, che occorre essere cauti nella spesa, nei tempi di «vacche grasse», per poter poi spendere in tempi di «vacche magre»: è un classico adagio.
Tuttavia, in momenti di crescita lenta, non dobbiamo propendere per una contrazione, con la riduzione della spesa, perché peggiorerebbe la situazione; al contrario, credo che gli incentivi provenienti dal bilancio pubblico possano rivelarsi utili, se la situazione di bilancio lo consente.
Spetta a voi spiegare ai cittadini del vostro Paese che sarà necessario introdurre una certa elasticità di bilancio, per rispecchiare e mantenere i criteri del patto di stabilità.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro e dell'occupazione, tutti i dati richiesti sono a disposizione. Il nostro dipartimento occupazione dispone di tutte le statistiche, analisi e cifre che vi sono necessarie. Ad ogni modo l'Unione europea ha una responsabilità limitata in merito al diritto del lavoro: il problema della maggiore o minore flessibilità del mercato del lavoro deve essere deciso a livello nazionale.
Ripeto quanto ho già detto: la Commissione europea vi chiede di fare della strategia crescita-occupazione un punto saliente della politica nazionale. È una strategia che deve essere nazionale, altrimenti non andrà mai in porto e la gente non capirà mai quanto sia importante per ogni cittadino l'integrazione europea.
Ringrazio i signori parlamentari per questo dibattito così vivace e proficuo.

PRESIDENTE. Ringraziamo moltissimo il commissario Verheugen anche per questa ultima sottolineatura a proposito della nostra responsabilità.
Cedo la parola brevemente al presidente Duilio a nome di tutti noi.

LINO DUILIO, Presidente della V Commissione della Camera dei deputati. Desidero ringraziare personalmente il commissario Verheugen, anche a nome del presidente Capezzone e del presidente Bimbi, e consegnargli un piccolo omaggio in ricordo di questo incontro e del prezioso contributo che ci ha offerto.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti per la partecipazione e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 17,15.