COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) - X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO) - XIV (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) - 10a (INDUSTRIA, COMMERCIO, TURISMO) - 14a (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 20 settembre 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI LINO DUILIO

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Vicepresidente della Commissione europea, responsabile per le imprese e l'industria, Günter Verheugen, sullo stato di attuazione della strategia di Lisbona.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del vicepresidente della Commissione europea, responsabile per le imprese e l'industria, Günter Verheugen, sullo stato di attuazione della strategia di Lisbona.
Purtroppo sono assenti alcuni colleghi del Senato perché sono in corso delle votazioni, non previste, sulle risoluzioni relative al tema RAI; credo, tuttavia, che se le votazioni si esauriranno in breve tempo ci raggiungeranno.
Prima di dare la parola al commissario Verheugen, che ringrazio per la sua partecipazione alla seduta odierna - siamo molto lieti che sia qui con noi, perché la sua presenza ci consentirà di approfondire alcune questioni - vorrei offrire alcuni spunti per l'audizione del commissario esprimendo, evidentemente, alcune valutazioni di natura strettamente personale.
Credo che non sia ingeneroso affermare che, al di là di qualche progresso registrato da questo o da quel Paese membro, la strategia di Lisbona rimane in larga parte inattuata. È evidente il disallineamento tra obiettivi, procedure e princìpi da un lato e realizzazioni concrete dall'altro, sia a livello europeo che a livello nazionale.
Sulla bontà degli obiettivi della strategia di Lisbona registriamo un consenso pressoché unanime. Il recupero della capacità dell'Unione europea di competere nel contesto mondiale e il rafforzamento dei tassi di crescita delle economie europee costituiscono senz'altro degli obiettivi irrinunciabili.
Certo, la sopravvalutazione oramai strutturale dell'euro non favorisce l'industria europea. Sarebbe comunque, a mio parere, miope e forse velleitario continuare a sostenere ricette che, sino ad ora, non hanno trovato applicazione se non in una misura assai ridotta, senza preoccuparsi di verificarne la concreta praticabilità.
La politica e le istituzioni non possono sfuggire al compito di aggiornare strumenti e modalità di intervento quando sia verificata l'impossibilità o la rilevante difficoltà di realizzare quelli già delineati. Limitarsi - chiedo scusa della crudezza delle mie osservazioni - a dare pagelle sul livello di adempimento dei diversi Paesi credo che sia troppo poco.
Le riforme strutturali sono onerose e difficili perché suscitano diffuse resistenze e rendono impopolari le classi dirigenti. Cambiamenti troppo drastici sono poco realistici per il rischio di alimentare una forte conflittualità sociale e di mettere a


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repentaglio un modello sociale, quello europeo, che certo deve essere aggiornato, ma non può essere abbandonato.
Continuiamo ad oscillare, insomma, tra le pressioni - che rischiano di essere velleitarie - per una forte flessibilizzazione delle economie europee e periodiche spinte nazionaliste a difesa dei propri mercati.
Le istituzioni comunitarie non possono ignorare che la flessibilità dei fattori non potrà mai raggiungere in Europa - o quantomeno sarà difficile che ciò avvenga - livelli tali da consentirci di fronteggiare la concorrenza di sistemi produttivi particolarmente agguerriti come quello cinese, che peraltro scontano condizioni sociali e politiche di una grande differenza strutturale che è dovuta a fattori di ordine diverso, cioè di carattere storico, politico e sociale.
Credo che la soluzione possa essere trovata nel perseguimento dell'eccellenza, come sostengono in molti. Per questo motivo penso che l'apertura dei mercati non debba comportare l'abbandono di quei pochi operatori industriali europei che per dimensioni e capacità reddituale possono svolgere un ruolo attivo a livello internazionale.
I fattori più significativamente critici relativi alla questione che ci vede oggi qui riuniti sono i seguenti: anche dopo la revisione intermedia operata nel 2005, gli obiettivi e le azioni previste a livello europeo e nei programmi nazionali di riforma mi sembrano troppo numerosi e spesso generici; l'impostazione della strategia mi pare che non tenga in debito conto l'esigenza di conciliare riforme strutturali e rilancio della competitività con la salvaguardia dei modelli sociali nazionali, cui facevo cenno poco fa, e questo rischia di minare alla base il consenso per le misure prospettate dalla strategia; i vincoli definiti dal patto di stabilità e dalla disciplina in materia di aiuti di Stato mi sembrano un po' troppo rigidi e non tengono conto, a mio parere, della esigenza di soluzioni flessibili a livello nazionale; le risorse previste dal quadro finanziario dell'Unione europea 2007-2013 mi sembrano abbastanza inadeguate (sia gli stanziamenti per la competitività che quelli per la coesione credo siano insufficienti e non collocati su priorità effettive); infine, le misure regolative specifiche finora adottate o proposte si sono dimostrate carenti o contraddittorie (per esempio, il caso della direttiva sui servizi).
Rispetto a questi fattori - li indico concretamente ed anche in termini emblematici - che riflettono, come ho già detto, un'opinione personale, vado a terminare sottolineando quelli che, a mio avviso, possono essere alcuni correttivi adottabili. In primo luogo, bisognerebbe ripensare l'impostazione generale, concentrando la strategia su un numero più ridotto di obiettivi ad effettivo valore aggiunto, in base ad un criterio di sussidiarietà funzionale. In secondo luogo, forse bisognerebbe ripensare agli strumenti finanziari di sostegno, in particolare rivedendo la disciplina degli aiuti di Stato e soprattutto rilanciando seriamente il dibattito sul livello di risorse del bilancio dell'Unione europea, nel contesto del dibattito che sarà avviato il prossimo anno. Questo postula sicuramente maggiore coraggio da parte di tutti gli attori, a partire dalle istituzioni comunitarie, dalle quali ci aspettiamo un contributo serio e ambizioso per aggiornare politiche e strumenti di intervento.
Chiedo scusa per aver introdotto la seduta con mie considerazioni, che possono apparire un po' troppo nette, ma comunque riflettono mie convinzioni personali e quindi sono opinabili.
Anche sulla base di queste modeste considerazioni, do la parola al commissario Verheugen, che ringrazio di nuovo per la sua partecipazione alla nostra seduta.

GÜNTER VERHEUGEN, Vicepresidente della Commissione europea, responsabile per le imprese e l'industria. Sono molto lieto di questa possibilità di un nuovo scambio con il Parlamento italiano, per poter discutere con voi dei risultati della politica europea per la crescita e l'occupazione e soprattutto del futuro che noi vogliamo contribuire a plasmare.


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L'Europa si trova sulla strada giusta. La situazione economica è migliorata, i tassi di sviluppo sono aumentati e sono cresciuti anche produttività e ritmo delle innovazioni. È aumentato il tasso di occupazione, ma non dobbiamo sottacere che siamo lontani dall'obiettivo di diventare la potenza economica leader del mondo. Noi vorremmo essere al primo livello, ai vertici dell'economia mondiale.
Quali sono i motivi che sottendono questo sviluppo economico positivo? Ovviamente alcuni sono di carattere congiunturale e sono collegati alla crescita della domanda proveniente da nuovi mercati e da economie in rapida crescita, come Cina, India, Russia e Brasile. Tali motivi sono collegati anche al rafforzamento del mercato interno europeo, grazie all'allargamento dell'Unione europea che in realtà - e non sempre lo si comprende - ha dato un grande contributo ad incrementare lo sviluppo dei nuovi Paesi, determinando al tempo stesso la crescita della domanda nei vecchi Paesi membri. È una situazione da cui tutti ottengono vantaggi.
C'è poi l'elemento, anch'esso importante, della stabilità macroeconomica che abbiamo raggiunto in Europa. La cultura della stabilità creata dall'euro ha dispiegato effetti veramente benefici. So bene che nei singoli Paesi membri ci sono valutazioni diverse per quanto riguarda la validità dell'euro, ma ci sono due elementi da non trascurare: con l'introduzione dell'euro è stato varato il patto di stabilità, grazie al quale si è raggiunto un grado di disciplina di bilancio che non avevamo mai conosciuto in Europa; inoltre, l'euro ci ha consentito di tutelare il nostro spazio valutario, evitando le turbolenze che abbiamo conosciuto in passato, con le fluttuazioni dei corsi di cambio delle singole valute europee, manovrate anche a livello politico.
Pertanto, l'aumento della domanda dei nuovi mercati in crescita, la crescente domanda da parte dei nuovi Paesi membri, la nuova cultura della stabilità in Europa e un valore della moneta stabile sono tutti elementi di carattere permanente che ci inducono ad affermare che ci troviamo in un percorso di crescita stabile.
Non voglio sottacere, tuttavia, fattori esterni che possono interferire con questo percorso di crescita. Ad esempio, vi sono le turbolenze sui mercati finanziari, scatenate da una gestione dei rischi irresponsabile nel trattare alcuni nuovi prodotti finanziari americani. Tali turbolenze possono ripercuotersi sull'economia reale. Né possiamo escludere, allo stato attuale, che le aspettative di crescita, molto positive per il 2008, potrebbero essere ridotte a causa di questi sviluppi. Occorre essere realisti.
Oltre a questi elementi cui ho fatto riferimento, nella nuova situazione vi sono anche da considerare alcuni dati strutturali, conseguenti alla politica di riforma perseguita dai singoli Paesi membri e anche a livello europeo.
Ovviamente con il presidente Barroso conduciamo un lavoro incessante. Io ho tenuto a battesimo la nuova agenda di Lisbona: certo, il «figlio» non è venuto proprio bene, ma questo succede spesso. Ora, sulla base dell'esperienza degli ultimi tre anni ci sono due considerazioni che possiamo fare. Per la prima volta nell'Unione europea abbiamo un sistema di coordinamento delle politiche economiche che più o meno funziona.
Considerato che l'Unione europea è sorta da una comunità economica, è un po' bizzarro che la Comunità economica europea - fondata a Roma cinquant'anni fa - non abbia ancora una politica economica comune. Quello che possiamo fare è tentare, con un po' di intelligenza, di raccordare le politiche nazionali dei Paesi membri con la politica europea, orientandole verso alcuni grandi obiettivi.
Con la nuova agenda di Lisbona e gli strumenti di cui disponiamo, abbiamo un'intesa su tali linee direttrici integrate. Grazie ai piani di riforma nazionali, al piano di azione della comunità, così come al monitoraggio comune da parte della Commissione e degli Stati membri, potremo trarre un bilancio, alla fine di questo anno, del primo ciclo triennale


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della nuova strategia. Credo che si possa affermare serenamente che sarà un bilancio positivo.
Non abbiamo una governance economica in Europa, ma qualcosa che vi si avvicina; abbiamo un sistema fondato su un partenariato volontario, con un ampio coordinamento economico.
L'agenda della politica economica, quella europea e quella degli Stati membri, è cambiata in entrambi i livelli. Possiamo dirlo con grande chiarezza, perché ravvediamo in tutti gli Stati membri una grande attenzione sugli stessi temi, che consideriamo giusti: ricerca, sviluppo tecnologico, istruzione, formazione, riqualificazione, innovazione, migliore normazione, condizioni quadro più favorevoli per le PMI, migliore tutela dei nostri interessi a livello internazionale, riduzione degli oneri burocratici (un punto molto importante), promozione e incentivazione delle piccole e medie imprese. Sono temi che troviamo come priorità politiche in tutte le agende dei Paesi membri.
Un'altra tematica di vasta portata riguarda il contributo europeo alla protezione del clima. Una politica energetica europea moderna in questo settore ci offrirebbe grandi potenzialità a livello internazionale, in quanto ci consentirebbe di diventare leader mondiali, con tecnologie e servizi finalizzati alla prevenzione dei cambiamenti climatici, all'efficienza energetica e allo sviluppo delle energie rinnovabili.
Fin qui, tutto bene. Tuttavia, se abbracciamo con lo sguardo i compiti che ci attendono nel breve e medio periodo, ci sono aspetti preoccupanti. Prima ho detto che la nostra produttività attualmente cresce più di quella americana: è vero, ma questo non cambia il dato che l'economia americana è del 35 per cento più produttiva di quella europea. Questo gap di produttività è un problema che ha tantissime cause che dobbiamo ancora affrontare.
Vorrei dire qualcosa sull'Italia, quindi tornare a parlare delle sfide che ci attendono.
Per quanto riguarda l'Italia, posso constatare che in tutti gli Stati membri sono in corso sforzi per facilitare la vita delle piccole e medie imprese. Ora, questo per l'Italia è molto importante, perché l'Italia, più di altre economie comparabili, vede una prevalenza delle piccole e medie imprese.
Anche in Italia, come in altri Paesi, ci si rende conto che abbiamo bisogno di definire una normativa moderna e di eliminare inutili gravami burocratici.
L'Italia ha senz'altro raggiunto grossi successi nell'attuazione del suo programma di riforma per la strategia di crescita e occupazione; si sono registrati progressi a livello macroeconomico per quanto riguarda il risanamento del bilancio, cito qui en passant anche l'intesa sulla riforma delle pensioni. A livello microeconomico, riconosco i progressi realizzati nel rafforzamento del potenziale di sviluppo dell'economia italiana, soprattutto nel settore dei servizi.
I servizi in Europa rappresentano il 70 per cento della performance economica, quindi i progressi sul fronte dei servizi hanno un effetto molto positivo ai fini della crescita e dell'occupazione. Anche l'impegno per una migliore normativa, una migliore attività di regolazione e una più efficace politica per le piccole e medie imprese cominciano già a produrre frutti, ad esempio con la semplificazione delle procedure per la creazione di nuove imprese. Tuttavia, si può ancora migliorare. In alcuni Paesi basta un'ora per creare on-line una nuova impresa. In Italia, da questo punto di vista, qualcosa si può ancora fare.
L'Italia ha avviato un ammodernamento della propria base industriale. Questo è un obiettivo complesso e ambizioso, e so di non dirvi niente di nuovo.
Cosa dobbiamo fare per rafforzare ulteriormente la nostra posizione? Provo a individuare quattro aree di intervento. In primo luogo, l'innovazione. Noi siamo parte di un sistema di concorrenza globale; questo è un fatto incontrovertibile. Non serve discutere se sia cosa buona o cattiva, dobbiamo solo prenderne atto,


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senza però avere un atteggiamento rinunciatario. Noi possiamo comunque avere un ruolo attivo rispetto a questa competizione mondiale.
Concorrenza mondiale significa che noi dobbiamo essere consapevoli dei nostri punti di forza e dei nostri punti deboli. Non possiamo competere con la Cina o con l'India abbassando i costi salariali, i costi di produzione e delle materie prime. Questa è una strada non percorribile, se la seguissimo perderemmo sempre. Eppure ci sono degli economisti europei che sostengono che proprio questo è il problema, cioè che in Europa costa troppo il processo produttivo. A questi economisti rispondo sempre chiedendo se il nostro obiettivo politico sia quello di ridurre i redditi, ridurre il tenore di vita ed eliminare tutta la rete di ammortizzatori sociali. Questo è inimmaginabile, quindi non possiamo competere sui prezzi e sui salari. Possiamo, invece, competere sulla qualità. Se consideriamo i settori di esportazione di punta, vediamo che le esportazioni che hanno successo a livello mondiale sono quelle di altissima qualità. Questo vale anche per l'Italia, non serve spiegarlo.
Superiorità qualitativa, vantaggio tecnologico, efficienza energetica, sostenibilità ambientale: questa deve essere la caratteristica della produzione europea. L'economia europea deve, insomma, essere contraddistinta dall'innovazione. I presupposti dell'innovazione sono un maggiore investimento nel capitale umano, attività di formazione, iniziative di riqualificazione, ricerca e sviluppo.
Forse conoscete le cifre e i dati meglio di me, ma provo a riassumerli. In Europa abbiamo l'obiettivo di fare in modo che il 3 per cento del PIL nel 2010 vada alla ricerca e allo sviluppo. L'Italia si è posta l'obiettivo di destinare il 2,5 del PIL a ricerca e sviluppo entro il 2010, mentre oggi è ferma all'1,1 per cento. Passare in tre anni dall'1,1 al 2,5 per cento mi sembra un obiettivo molto ambizioso. Se volete realizzare questo obiettivo - e dovete farlo, se volete mantenere la sostenibilità futura dell'economia italiana - dovete darvi delle priorità. L'innovazione è dunque la prima parola chiave.
In secondo luogo, dobbiamo chiederci, nel quadro della concorrenza mondiale, come possiamo difenderci da comportamenti sleali. Io sono favorevole ai mercati aperti - voglio essere molto chiaro - al libero scambio senza barriere, ma sono anche favorevole a una concorrenza leale, equa. Non voglio proteggere le imprese europee dalla concorrenza, ma devo anche poter dire che sono il paladino dei loro diritti. Ci sono regole, nel commercio internazionale, che devono essere rispettate. Se i nostri partner non rispettano queste regole, dobbiamo avere strumenti adeguati per intervenire. Abbiamo bisogno, infatti, di strumenti per tutelarci da pratiche sleali nel settore del commercio estero. Abbiamo bisogno, complessivamente, di una politica del commercio estero e di relazioni economiche esterne in cui siano definiti con chiarezza gli interessi europei. Non siamo, ovviamente, un'organizzazione di beneficenza; la nostra politica commerciale non è uno strumento di assistenza allo sviluppo. Se noi apriamo i nostri mercati agli altri, dobbiamo pretendere la reciprocità, quindi anche gli altri devono aprire i loro mercati. Se noi abbassiamo i dazi, anche gli altri devono farlo; se noi eliminiamo le barriere non tariffarie, anche gli altri devono fare la stessa cosa. Do ut des, questa è la nostra linea. Questo, però, non è protezionismo.
Dobbiamo tutelare anche i nostri diritti inerenti alla proprietà intellettuale. È un punto importante, che viene sottovalutato. Viene sottovalutato, infatti, il pregiudizio che noi subiamo a causa della pirateria, della falsificazione di marchi e prodotti, e anche attraverso il trasferimento forzato di tecnologie europee moderne che avviene, nei confronti della Cina, quando un'impresa europea può investire in Cina soltanto a condizione che condivida le proprie tecnologie con un partner cinese. E se l'impresa europea non è disposta a fare questo, non può mettere piede nel mercato cinese, che è un mercato importantissimo. Ci troviamo, quindi, in una situazione di


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pressione esercitata sulle imprese europee, una pressione alla quale non mi sembra giusto sottostare.
Difesa dei nostri interessi e dei posti di lavoro in Europa non vuol dire protezionismo. Lo dico con grande nettezza e sono, ovviamente, disponibile a un dibattito su questo argomento. Nell'Unione europea abbiamo due filosofie molto diverse: quella anglosassone, che punta sulla riduzione dei prezzi al consumo, e in ogni controversia commerciale potete constatare come il Regno Unito prende sempre posizione a favore delle importazioni a basso costo dalla Cina; l'altra posizione è quella di Paesi che hanno ancora un tessuto produttivo forte, come la Germania e l'Italia, i quali sostengono che non ci si può limitare a importare prodotti a basso costo e vogliono continuare a produrre. Se le imprese europee sono sottoposte a pressione perché altre imprese europee producono in Cina ed esportano i loro prodotti a condizioni sleali verso l'Europa, a quel punto dobbiamo chiederci qual è l'interesse comunitario: ridurre i prezzi al consumo o mantenere l'occupazione di alta qualità?
Da ultimo vorrei parlare del dibattito sul clima e sull'energia. Mi sembra importante collegare tre elementi in una visione d'insieme: competitività, ambiente ed energia. Non ha senso perseguire una politica energetica che sia dannosa per l'ambiente o comprometta la nostra competitività; né avrebbe senso accrescere la nostra competitività con una politica energetica insensata o comunque dannosa per l'ambiente; ancora, non ha senso proteggere l'ambiente indebolendo la nostra base produttiva e senza una politica energetica ragionevole. Sono tre fattori strettamente interconnessi.
La Commissione ieri ha avanzato delle proposte volte alla realizzazione di un mercato interno per l'energia elettrica e il gas. Si tratta di proposte molto ambiziose: penso all'unbundling, alla separazione delle reti, qualcosa che nessuno si attendeva in Europa.
Le strutture che abbiamo attualmente nel mercato energetico europeo non sono favorevoli alla concorrenza, anzi la ostacolano e determinano prezzi dell'energia troppo elevati per le imprese e per i consumatori. Dobbiamo abbassare i prezzi dell'energia e prestare grande attenzione a non dislocare dall'Europa le industrie ad alta intensità energetica (penso all'industria siderurgica e ad altri settori che hanno un valore strategico). Tali industrie devono essere tenute presenti nella nostra politica energetica. Il miglioramento dell'efficienza energetica è l'obiettivo economico più importante; possiamo senz'altro dire che costituisce la cornice per tutti i progetti che perseguiamo.
La politica della ricerca, la politica dell'innovazione, la politica per le piccole e medie imprese, la politica industriale a livello europeo, la politica della riduzione degli oneri burocratici e della semplificazione normativa si trovano tutte sulla giusta strada.
L'Italia ha sempre dato il proprio sostegno alle politiche della Commissione europea. Mi auguro che, anche attraverso questo nostro scambio, si possa rafforzare questo dialogo. Attendo con interesse le vostre domande. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio il commissario Verheugen per la sua esposizione.
Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o chiedere chiarimenti.

RENZO TONDO. Signor presidente, la ringrazio per questa opportunità di incontro con il vicepresidente della Commissione europea. Peraltro, la presidente Bimbi mi ha incaricato di fare da relatore per la mia Commissione sulla strategia di Lisbona. Questo incontro, dunque, è sicuramente proficuo per un dibattito che spero possa essere di utilità per tutti noi. Comunque, sarò molto breve, anche per lasciare spazio agli altri colleghi.
Innanzitutto, signor presidente, in merito alla strategia - leggo testualmente che «la Commissione intende presentare una serie di proposte per dare seguito alla conclusione del riesame del mercato unico e per consentire ai cittadini e alle imprese dell'Unione europea di poter usufruire


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pienamente dei benefici offerti dal mercato interno» - mi sarebbe molto utile capire, anche per adeguare i nostri strumenti e le nostre posizioni, se le proposte alle quali la Commissione desidera dare seguito siano all'ordine del giorno o se ci si stia già lavorando. Inoltre, sarebbe utile se potesse, signor presidente, anticiparci qualche indicazione in merito, anche perché intorno a questo punto si giocano partite fondamentali.
Credo sia giusto il riferimento richiamato dal vicepresidente Verheugen riguardo al fatto che il sostegno italiano non è mai venuto meno rispetto alle politiche che l'Europa ha adottato.
Alcuni elementi di perplessità rimangono e sono assolutamente convinto che sia giusta l'indicazione che viene data, soprattutto per quanto riguarda i temi dell'innovazione e della strategia energetica. Sicuramente non possiamo pensare di competere con l'India o con la Cina sul costo dei salari e della materia prima. Quando si fa riferimento al principio di reciprocità, credo che sarebbe meglio ragionarci anche in termini interni.
Una delle aree più sviluppate del nostro Paese, il nord-est, confina con Austria e Slovenia (nuovo ingresso in Europa), dove il livello di tassazione e fiscalità per le imprese non va oltre il 25 per cento, mentre in Italia è molto più elevato. Sarebbe bene affrontare anche questi temi e fare in modo che dall'Europa ci arrivi qualche indicazione coerente rispetto a questo punto.
Sulla politica energetica leggo con soddisfazione che il nostro Ministro Bersani sta riposizionando o anticipando un riposizionamento del nostro Governo sulla strategia del nucleare. Credo che su questo punto sia quanto mai necessario che anche l'Europa assuma, in tempi non lontani, una posizione comune e soprattutto - per quanto riguarda la parte politica che rappresento, Forza Italia - ci indirizzi verso quella direzione.
È stato fatto riferimento al risanamento del bilancio e alle politiche delle pensioni: credo che lei sia a conoscenza del fatto che, per quanto riguarda le politiche pensionistiche, il Governo sta facendo un passo indietro rispetto alle indicazioni precedenti, andando in una direzione opposta a quella che, tutto sommato, ci viene indicata dall'Europa.
L'ultima indicazione - e concludo, ringraziandovi anticipatamente - riguarda le politiche dei diritti civili. Credo che, per esempio, rispetto ad un Paese come la Cina, non ci sia da porre solamente il problema degli scambi economici, ma anche quello della tutela dei diritti civili. So che il nostro Governo ha preso delle posizioni, tutto sommato, non forti, privilegiando gli scambi commerciali, rispetto alla tutela dei diritti civili (faccio riferimento, in particolare, alla pena di morte praticata in quel Paese).
Siamo alle porte delle Olimpiadi di Pechino e credo che una forte azione da parte dell'Europa, rispetto anche ai diritti civili in Cina, sarebbe quanto mai opportuna e gradita.

ARNOLD CASSOLA. Signor presidente, vorrei rivolgere una domanda riguardante la questione della policy energetica, circa il rafforzamento dell'energia e l'efficienza energetica, un po' in contrasto con quanto rilevato dal collega Tondo.
In relazione all'obiettivo dell'Unione europea, di arrivare nel 2020 al 20 per cento di renewable energy, energia alternativa rinnovabile, vorrei sapere che prospettive ci sono affinché oltre il 2020 si vada verso fonti rinnovabili e il phasing-out del nucleare, tenendo conto che la realizzazione del quinto impianto reattore della Finlandia è stata bloccata e non verrà costruito almeno per i prossimi due o tre anni.
Un'altra domanda è legata al nucleare, anche se non è propriamente materia di innovation technology. Vorrei sapere se vi sia nella Commissione dell'Unione europea qualche parere sull'aiuto che il Governo di Sarkozy darà al Governo libico di Gheddafi per la costruzione di un reattore nucleare per la desalinizzazione dell'acqua. Anche questa è innovazione europea


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e significa creazione di posti in Europa, ma non dimentichiamo chi teme quello che un anno fa era un rough state.

ANGELO PICANO. Signor presidente, volevo fare due osservazioni. La prima è che in materia energetica l'Europa ha fornito l'orientamento secondo cui entro il giorno 20 dovremmo ridurre il consumo di energia e usare fonti rinnovabili. Tuttavia, non ha assunto ancora una posizione comune sul nucleare, che rappresenta il vero nodo di fronte al quale ci troviamo - difatti, alcuni Paesi europei stanno portando avanti le sperimentazioni, qualcuno anche la costruzione, mentre altri Paesi hanno scelto delle strade diverse - nella considerazione che l'approccio al nucleare richiede fortissimi stanziamenti nella ricerca, nelle innovazioni, nella formazione dei quadri. Credo, dunque, che una politica comune in tal senso sia più che mai necessaria.
La seconda considerazione che volevo fare è che quest'anno in Italia, soprattutto nel centro-sud, ma anche in Grecia e nel resto d'Europa, si sta sempre più diffondendo il problema degli incendi di vasti boschi. Una volta era considerato un privilegio abitare ai limiti di un bosco, mentre adesso comincia a diventare un serio pericolo che mette ansia alle popolazioni. Visto che gli incendi da una parte provocano emissioni di gas nocivi e dall'altra consumano sostanze utili, specialmente legname, mi chiedo se non ritenga opportuno che l'Europa metta a punto un piano europeo di monitoraggio, centimetro per centimetro, dei terreni boschivi, in maniera da poter intervenire in tempo reale nello spegnimento degli incendi. Difatti, questo potrebbe diventare, oltre che un problema di salute, anche un problema di sicurezza dei cittadini e dei Paesi (vi sono già state delle vittime e potrebbero esservene altre).
Quello degli incendi sta diventando una specie di fenomeno diffuso che sta coinvolgendo tutti i Paesi europei, ma probabilmente il fatto di sapere che c'è una possibilità di intervento immediato svolgerebbe un'azione di dissuasione nei confronti di coloro che hanno pochi scrupoli morali.

MASSIMO VANNUCCI. Ringrazio anch'io il vicepresidente della Commissione europea per questa opportunità. Preciso che condivido, sostanzialmente, la relazione che ha illustrato. È evidente a tutti come i tassi di crescita dell'Estremo Oriente, rispetto all'Europa - il commissario dice che noi vogliamo essere tra i primi, vogliamo essere leader - contraddicano un po' l'obiettivo, rispetto ai dati che abbiamo a disposizione. È corretta l'analisi secondo la quale dobbiamo competere in alto e abbiamo bisogno di accrescere il nostro bagaglio di innovazione e qualità. Nello stesso tempo, dobbiamo agire affinché la concorrenza sia leale e pretendere nell'ambito dei commerci la reciprocità.
Tuttavia, pur condividendo le strategie di Lisbona, ritengo che non riusciremo a colmare questo nostro gap nel breve periodo o nel periodo fissato per il raggiungimento degli obiettivi che abbiamo stabilito. Mi riferisco, ad esempio, al dato che lei ha citato circa le risorse dedicate alla ricerca e allo sviluppo nel nostro Paese, attualmente all'1,1 per cento, contro un obiettivo del 2,5 per cento del prodotto interno nel 2010. A tal proposito le chiedo se non sia il caso di mettere in campo strumenti diversi - come mi sembra abbia detto il presidente Duilio nel corso della sua premessa - per poter raggiungere gli obiettivi.
Noi abbiamo una politica agricola comune. Questo settore è stato veramente comunitarizzato e ha prodotto e produce risultati. Probabilmente, sarebbe da rivedere e da ripensare, dal momento che è molto costoso, e bisognerebbe dirottare quelle risorse in altri settori.
Tuttavia, credo che se vogliamo raggiungere l'obiettivo da noi prefissato a Lisbona, nei tempi previsti, dobbiamo intraprendere non solo azioni di persuasione verso i Paesi, ma anche azioni che impegnino concretamente gli stessi, affinché ci


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sia una politica comune fatta di vincoli veri che gli Stati insieme si debbono dare in un processo europeo.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente della XIV Commissione della Camera dei deputati, Franca Bimbi.

FRANCA BIMBI, Presidente della XIV Commissione della Camera dei deputati. Signor presidente, la mia domanda riguarda un settore di cui, in realtà, ho una scarsa competenza, ma rispetto al quale ci giungono molte sollecitazioni. In che modo è possibile difendere la qualità - ovviamente sto pensando all'Italia, ma si potrebbe pensare anche ad altri Paesi dell'Europa - in settori importanti, ma tradizionali? Mi riferisco non solo al settore tessile e a quello alimentare, ma per esempio anche al settore gioielleria, oro e argento, nell'ambito del quale l'Italia è uno dei Paesi all'avanguardia anche se, naturalmente, subisce l'apertura dei mercati.
Il problema, a mio avviso, è che tale apertura - punto sul quale siamo d'accordo - dovrebbe spronare i mercati tradizionali non solo all'innovazione e al posizionamento rispetto a nicchie medio-alte o di qualità, ma anche alla costruzione di una diversa complementarietà nell'ambito del mercato interno.
Il Regno Unito, ad esempio, è una società con un livello di deindustrializzazione ormai avanzato da molti anni, mentre Paesi come l'Italia, caratterizzata dalla presenza della piccola e media impresa potrebbero, da questo punto di vista, diventare competitivi grazie ad una concorrenza che tuteli la qualità. Infatti, noi abbiamo lavorato molto sul marchio made in Italy perché crediamo che vada anche a vantaggio del consumatore.
Un tema che ho seguito per molti anni è quello relativo alla difficoltà - che riscontra anche l'Italia - non solo di far decollare l'investimento nella ricerca, ma anche di costruire un vero e proprio contesto favorevole allo sviluppo della ricerca e del trasferimento tecnologico. Un rapporto recente (rapporto Bruegel) ci mostra che esiste un'emergenza europea da questo punto di vista, rispetto alla quale si salvano la Svezia, la Finlandia e la Germania, ma non l'Italia, la Francia e la Spagna.
Un vecchio dibattito, sollevato da maggioranza e opposizione a parti alterne, considerava l'eventualità di sospendere il patto di stabilità, per quello che riguarda gli investimenti nella ricerca. Capisco che si tratta di una domanda molto dura, ma si ripresenta progressivamente. Lo spazio europeo della ricerca necessita della crescita di tutti i Paesi e, da questo punto di vista, abbiamo bisogno - parlo dell'Italia, il vicepresidente è stato molto gentile a non sottolineare le nostre difficoltà - di strumenti di tipo diverso che rappresentino un vero e proprio incentivo, altrimenti il contesto resta sfavorevole, soprattutto per i giovani ricercatori.

PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.

GÜNTER VERHEUGEN, Vicepresidente della Commissione europea, responsabile per le imprese e l'industria. Vi ringrazio per le domande. Procederò in ordine, partendo dalla domanda dell'onorevole Tondo.
Lei ha giustamente fatto riferimento al mercato interno che, senz'altro, rappresenta lo strumento economico più importante di cui disponiamo in Europa e che ha raccolto maggiori successi. Tuttavia, le potenzialità di tale strumento non sono state sfruttate appieno. Difatti, sono poche le imprese europee, così come i lavoratori, che godono di una mobilità internazionale, o transfrontaliera, e che sfruttano appieno il mercato interno.
Per le piccole imprese l'attività transfrontaliera, in particolare, è piuttosto limitata, perché ci sono troppe norme e disposizioni a livello nazionale che complicano l'accesso al mercato europeo per la piccola e media impresa.
Per questo motivo, all'inizio dell'anno, ho proposto un grosso pacchetto di riforme, per quanto riguarda il mercato interno delle merci, che attualmente sta affrontando l'iter legislativo di fronte al


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Parlamento e al Consiglio. L'obiettivo di questo pacchetto di provvedimenti è quello di eliminare totalmente le barriere che si frappongono alla libera circolazione delle merci in Europa.
Non voglio entrare nei dettagli tecnici, ma resto a vostra disposizione per chiarimenti successivi. Ad ogni modo, vi farò pervenire l'intera documentazione in italiano. Questo è un compito che abbiamo assolto.
Per quanto riguarda la fiscalità delle imprese, il livello europeo non ha alcuna competenza. Non ha senso parlarne, perché nel momento in cui a livello europeo si fa riferimento alle imposte sulle imprese, si scatena un riflesso automatico - in alcuni Paesi membri - che sfocia sempre in un rifiuto incondizionato. Non c'è nessuna possibilità di armonizzazione della fiscalità per le imprese a livello europeo e neanche la minima possibilità di scambio delle migliori pratiche o norme di comportamento.
La Commissione cerca, comunque, di realizzare qualcosa, come ad esempio l'armonizzazione delle basi imponibili delle imposte, ma non delle aliquote.
Se almeno ci fossero le stesse fattispecie fiscali, considerate allo stesso modo nei diversi Paesi - affinché le imprese non debbano familiarizzarsi con 27 sistemi fiscali diversi - sarebbe per noi un risultato. Tuttavia, anche in questo modesto obiettivo abbiamo poca possibilità di successo al Consiglio e al Parlamento. C'è però un risultato che mi sembra degno di nota: per quanto riguarda la realtà delle economie assistiamo ad un avvicinamento, ad un'armonizzazione verso il basso delle imposte sulle società.
Lo dico a tutti, anche qui in Italia: vale la pena guardare in dettaglio quanto è accaduto in quei Paesi dove c'è stata una forte riduzione, la introduzione di una aliquota forfettaria dell'imposta sulle imprese, paesi che hanno cancellato ogni tipo di aiuto e sovvenzioni. Bisognerebbe prendere in considerazione quello che è successo in questi Paesi, perché la riduzione delle aliquote fiscali, in realtà, ha comportato un aumento del gettito. Questo è un punto importante che andrebbe approfondito anche nel dibattito italiano.
Per quanto riguarda l'energia nucleare - cui hanno fatto riferimento anche altri colleghi - esiste una posizione comune dell'Unione europea.
L'utilizzo dell'energia nucleare in Europa non è pregiudicato da alcun elemento. Ricordiamo che la finalità dell'Euratom (Comunità europea per l'energia atomica) era quella di incentivare l'uso pacifico dell'energia nucleare. Ovviamente, il trattato Euratom è confluito negli attuali trattati europei, e per questo motivo la Commissione oggi finanzia generosamente la ricerca nel settore dell'energia nucleare.
A noi non interessa il fatto che un Paese membro costruisca o meno una centrale nucleare, perché noi non decidiamo neanche sulla realizzazione di centrali a carbone, ad energia eolica o delle maree. Il mix energetico del singolo Paese è di competenza esclusiva del Paese membro. Non vi consigliamo di utilizzare energia atomica, ma neanche di non utilizzarla. Sono questioni di stretta competenza degli Stati membri.
Durante i negoziati sull'ampliamento - forse lo ricorderete - ho dovuto risolvere una grossa controversia sulla centrale di Temelin tra Repubblica Ceca e Austria: l'Austria non voleva che la Repubblica Ceca realizzasse questa centrale nucleare a Temelin e ha minacciato di porre il veto all'adesione ceca.
Non è stato facile trovare una via di uscita, ma alla fine ha prevalso il principio secondo cui ogni Paese europeo ha il diritto di determinare autonomamente il proprio mix energetico, includendo anche il ricorso all'energia nucleare.
Per quanto riguarda le problematiche energetiche attuali - ne ha parlato anche l'onorevole Cassola - l'energia nucleare non sembra rappresentare una soluzione, in quanto non contribuirà a ridurre le immissioni di CO2, insomma a raggiungere i nostri obiettivi relativi alle energie rinnovabili e al risparmio energetico entro il 2020. C'è soltanto un progetto concreto in fase di realizzazione in Finlandia; in tutta


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Europa non c'è un solo progetto in corso per quanto riguarda la realizzazione di nuove capacità energetiche nucleari.
Dunque, entro il 2020 non ci saranno nuove centrali nucleari in Europa. Per questo motivo, questo dibattito potrebbe essere poco produttivo.
La Commissione non ha assunto una posizione circa il proprio contributo da offrire a questo tipo di tecnologia, quindi non entro nel merito.
Per quanto riguarda i diritti umani e civili in Cina, sono d'accordo con l'onorevole Tondo.
Personalmente, sono in politica da 38 anni. Occupandomi di politica di sicurezza e di politica estera, ho avuto molto a che fare con regimi che violano i diritti umani.
Per esperienza personale, preciso che questi Paesi sono più rispettosi quando le nostre posizioni vengono difese con chiarezza, in maniera franca e aperta.
Non serve a molto sottacere le nostre preoccupazioni sullo stato dei diritti umani in Cina o in altri Paesi. Recandosi in Cina senza il coraggio di affrontare questi temi, non si ottiene un maggior rispetto da parte dei cinesi. In realtà - ripeto, parlo per esperienza personale - si ottiene maggior rispetto mantenendosi coerenti con i propri princìpi e valori europei.
L'onorevole Cassola ha parlato dell'obiettivo del 20 per cento delle energie rinnovabili. La Commissione avanzerà proposte su come realizzare questo obiettivo. Tali proposte sono ancora in gestazione, ma la quota del 20 per cento rappresenta un valore medio e non possiamo considerarlo un obiettivo vincolante per il singolo Paese membro. Mi piacerebbe, ma non possiamo farlo. Ci sono molti Paesi membri i cui dati naturali sono tali da permettere loro di arrivare ad un livello superiore al 20 per cento (penso ad esempio all'energia idrica in Svezia).
La Commissione ha assunto una posizione neutrale per quanto riguarda le opzioni tecnologiche (energia da biomassa, eolica, fotovoltaica, centrali idroelettriche). Questi sono gli obiettivi che vorremmo raggiungere entro il 2020.
Ovviamente, non riusciremo a ridurre il consumo di energia in Europa entro il 2020, che anzi probabilmente è destinato ad aumentare da qui a quella data (lo preciso per non creare illusioni).
Dovremmo cercare di ridurre i consumi energetici, ma per poterlo fare è necessario un ampio programma di risparmi energetici e di efficienza energetica.
Questo è un settore molto ampio. Se solo gli elettrodomestici non avessero la funzione di stand-by si risparmierebbe moltissima energia, perché si spegnerebbero immediatamente un minuto dopo averli utilizzati. Invece, la funzione di stand-by rappresenta un grosso spreco energetico: eliminando tale funzione potremmo migliorare l'efficienza dei nostri sistemi energetici.
L'Italia potrebbe coniugare due obiettivi: la riduzione dei gas ad effetto serra e un incremento di occupazione. Tutti gli ordinativi e le commesse riguardanti l'incremento dell'efficienza energetica, infatti, vanno in realtà ad una rete di imprese, a livello locale, le quali sono così in grado di avvantaggiarsi del passaggio alle nuove fonti energetiche o ad una maggiore efficienza energetica.
Si è parlato di un raffronto tra i tassi di sviluppo in Cina, India, Corea ed Europa. È vero, ma non c'è motivo di preoccupazione. La crescita ha delle basi differenti nelle diverse aree. Ovviamente, quei Paesi stanno recuperando un divario di sviluppo e debbono avere tassi di crescita superiori ai nostri, ma c'è anche un vantaggio: i loro tassi di crescita così elevati fanno sì che in questi enormi mercati cresca il numero dei consumatori e che, quindi, aumenti la domanda di prodotti europei.
Le imprese europee che si recano in Cina non dovrebbero farlo soltanto per produrre a basso costo e fare dumping dei loro prodotti verso l'Europa, e quindi espellere dal mercato le imprese europee, ma per assumere una posizione in quel Paese, in modo tale da poter essere presenti nel momento in cui la Cina diventerà la più grande economia mondiale.


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La presidente Bimbi ha fatto nuovamente riferimento alla necessità di investimenti nel settore della ricerca e dello sviluppo. Posso solo confermare quanto ella ha detto, e questo vale in Italia per entrambi i comparti. È necessario aumentare gli stanziamenti pubblici dello Stato per la ricerca e lo sviluppo, ma anche l'industria italiana deve aumentare i propri investimenti. Lo chiarirò nel corso di una manifestazione di Confindustria, perché ci si attende un forte incremento dell'impegno dell'industria italiana per la ricerca e lo sviluppo.
Abbiamo bisogno del contributo italiano, perché una domanda di prodotti italiani a livello mondiale esiste laddove vi sia un marchio italiano prestigioso. Su questo punto non vedo problemi. Difatti, la moda italiana avrà sempre maggiore prestigio, a livello mondiale, rispetto a quella indonesiana. Non credo che ci sia necessità di proteggere le produzioni alle quali lei ha fatto riferimento: i prodotti di lusso europei non hanno grandi problemi ad affermarsi a livello mondiale.
Riscontriamo problemi, invece, nell'ambito di quelle esportazioni che ci portano a concorrere direttamente con prodotti realizzati a prezzi molto più bassi in altre parti del mondo.

PRESIDENTE. Ringrazio il vicepresidente Verheugen per l'esauriente relazione svolta e tutti coloro che sono intervenuti.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,20.