COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 13 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
LINO DUILIO

La seduta comincia alle 15,50.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del ministro dell'economia e delle finanze, Tommaso Padoa Schioppa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2007-2011, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis del regolamento del Senato, l'audizione del ministro dell'economia e delle finanze, Tommaso Padoa Schioppa.
Saluto il presidente Morando della Commissione bilancio del Senato, il ministro Padoa Schioppa, il viceministro Pinza, il sottosegretario Sartor, che come sapete seguirà la finanziaria.
Vorrei precisare che, considerata la contestualità dei lavori d'aula, e soprattutto la previsione di votazione, avremo un margine di tempo - ahimé - ridotto, quindi dobbiamo cercare di concludere i lavori entro le ore 17. Mi scuso per questa costrizione dei tempi, ma conosciamo tutti la situazione dell'aula e sappiamo che abbiamo a disposizione poco tempo e che dovremo cercare di concludere la fase delle audizioni entro lunedì prossimo.
Do la parola al ministro Padoa Schioppa.

TOMMASO PADOA SCHIOPPA, Ministro dell'economia e delle finanze. Comprendo che i tempi a disposizione sono anche più limitati di quello che sembrava in un primo momento, quindi cercherò di essere breve, per dare il massimo spazio al dibattito.
Sono consapevole del fatto che questo è il primo importante passo della procedura di bilancio per il 2007 e gli anni successivi, e che questo primo passo si concluderà nel mese di luglio, con un ordine del giorno che fisserà il punto al quale il bilancio 2007 e la finanziaria saranno ancorati.
In questi giorni si è letto anche sulla stampa dell'inutilità del DPEF e qualche fondo di giornale ne ha proposto persino l'abolizione. Come vado spiegando in tutte le sedi, i tempi in cui questo passo della procedura di bilancio in Italia non esisteva corrispondono anche al periodo in cui i conti pubblici italiani erano veramente fuori controllo, dal momento che non esisteva un elemento che ancorava il Governo e la volontà parlamentare ad una previsione e ad una prescrizione di saldi sulla quale poter lavorare. Oltre a questo, il DPEF contiene molte altre cose, ma si tratta, per certi versi, di elementi che variano di anno in anno. Ci sono stati documenti molto sintetici ed anche molto analitici. La caratteristica del documento, così come è stato elaborato questa volta, è di non comprendere la parte - quella che nel passato ingrossava i vari documenti - costituita da una serie di manifestazioni,


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di intenzioni e di richieste espresse dai singoli ministeri, che venivano quasi assemblate nel documento.
Abbiamo convenuto, nel Governo, di non prevedere tale parte, quest'anno, per non precostituire delle decisioni che devono essere inquadrate nella finanziaria e compatibili con le cifre dei saldi che la finanziaria stessa deve rispettare.
Ciò che, invece, rende ampio questo documento è il fatto che comprende innanzitutto una programmazione che si estende a tutto l'arco del quinquennio - quindi va oltre i tempi minimi di un triennio, che sono tipici del documento in periodi normali - e, in secondo luogo, fa un inquadramento abbastanza generale della politica economica complessiva del Governo, e non si limita strettamente allo strumento e alla politica di bilancio.
L'impostazione concettuale, che ho illustrato in questa sede, all'indomani della pubblicazione della due diligence, è quella di utilizzare uno schema concettuale che viene dalla tradizione della scienza delle finanze pubbliche, che vede l'azione di Governo orientata verso tre obiettivi - efficienza, stabilità, equità - e di illustrare le varie azioni del Governo lungo questi tre assi.
Il documento contiene due capitoli fondamentali: il capitolo di analisi retrospettiva dei problemi dell'economia italiana e il capitolo propriamente programmatico.
Questa impostazione a tre corsie caratterizza sia la parte retrospettiva e diagnostica sia la parte programmatica, oltre, naturalmente, ad altri capitoli tradizionali tra cui rileva particolarmente il capitolo finale sulle politiche del Mezzogiorno.
Qual è la diagnosi su cui il documento è costruito? In parte la conoscete, perché l'avevo esposta quando sono stato qui qualche settimana fa. Il punto di sofferenza dell'economia italiana è la carenza di crescita, quasi un arrestarsi della crescita, se confrontiamo l'ultimo decennio con i decenni precedenti, a partire dagli anni cinquanta. L'economia italiana è cresciuta a tassi molto superiori a quelli della media comunitaria negli anni cinquanta, sessanta, settanta, ottanta e nei primissimi anni novanta. Questa sua maggiore velocità è venuta meno negli ultimi 10 anni; potrei dire anche negli ultimi 12 anni, così da coprire più legislature, più fasi politiche, di politica economica e di congiuntura mondiale.
Si osserva poi che l'elemento fondamentale di questa perdita di dinamismo è duplice. Da una parte, abbiamo un elemento che sfugge al nostro controllo immediato, ed è la stasi demografica in cui l'Italia si trova (la crescita economica è sempre legata all'incremento della popolazione e della produttività). I due motori della crescita sono la popolazione e il progresso tecnologico in senso lato.
L'altro elemento di questa duplice radice della stasi italiana è la produttività, che nell'economia italiana ha quasi cessato di crescere. Questo ha molto più a che vedere con la politica economica e con l'economia che non il fattore demografico.
Questo punto è importante perché, tra l'altro, mostra come la carenza di crescita sia certamente un fatto che ha a che fare con la politica economica, ma ha anche molto a che fare con il funzionamento del sistema produttivo italiano, del sistema delle imprese.
Ho detto nella riunione della concertazione che la crescita non è determinata dal Governo, bensì dalle parti sociali: effettivamente, è in larga parte così. Il Governo la può impedire, la può in qualche modo favorire, ma non è l'Esecutivo in quanto tale che genera la crescita.
Se la stasi della produttività è la causa vera, questo significa anche che delle due parti sociali che stanno nell'impresa, forse la parte propriamente imprenditoriale - quella che guida le imprese, decide gli investimenti e si orienta verso nuove tecnologie e verso la ricerca - è chiamata ad un impegno nuovo per rimettere l'economia italiana in crescita. E lo è almeno quanto l'altra parte sociale presente nell'impresa, la quale deve essere consapevole del fatto che, alla fine, la competitività è una questione di costo del lavoro per unità di prodotto, quindi anche di coerenza tra dinamica retributiva e dinamica della produttività.


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Tuttavia, l'elemento specifico è stato l'insufficiente dinamica della produttività.
La parte diagnostica mostra anche come si è giunti ad una situazione di finanza pubblica pesante, che è quella che vi ho descritto in quest'aula nella precedente occasione di incontro, nella quale usai il confronto tra il 2005 e il 1992 per non entrare nella tematica della valutazione del 2006 (non ripeto quello che ho detto allora). Questo, comunque, è il punto con cui si chiude la parte diagnostica.
Andando alla prospettica, la prima parte del capitolo è impostata sulle politiche della crescita. Sono tre gli elementi-chiave, che vanno sotto le parole: infrastrutture, concorrenza, ricerca. Questi sono forse i tre elementi di fondo sui quali bisogna fondare una politica orientata alla crescita.
Si giunge così alla seconda parte del trittico efficienza, stabilità, equità, e siamo alla parte dei conti pubblici. Vi ho fatto un'ampia diagnosi e, se ricordo bene, ho riferito anche le cifre fondamentali nella mia audizione precedente. Allora dissi che avremmo potuto prendere come riferimento le stime fatte dalla Banca d'Italia della correzione necessaria per tornare sotto il 3 per cento: quelle stime indicavano una correzione di due punti percentuali del prodotto interno lordo. È necessario anche reperire risorse per nuove spese, che sono necessarie alla riqualificazione dei conti pubblici, nel senso delle infrastrutture, della ricerca e degli interventi nel campo dell'equità e del sociale, dove pure ci sono forti carenze.
Possiamo immaginare nell'ordine di un punto le spese nuove, quindi dobbiamo trovare risorse per circa tre punti percentuali del prodotto interno lordo, per avere una manovra netta di due punti capace di generare risorse per spese nuove.
Il DPEF, in questa parte, sostanzialmente conferma questo ordine di grandezza degli interventi necessari e argomenta in maniera ampia una proposizione che mi sembra di avervi già anticipato, ossia che un intervento complessivo di questa dimensione non è possibile se non prende in considerazione i grandi comparti della spesa pubblica, ma non solo quelli, poiché occorrerà sicuramente considerare anche una componente di entrata.
Non corrisponderebbe al vero, secondo un linguaggio di verità, pensare che sia possibile operare una correzione così profonda senza affrontare anche questioni che interessano i grandi settori della spesa pubblica. Sarebbe certamente un errore pensare di poter intervenire solo dal lato dell'entrata e sarebbe un errore pensare di intervenire dal lato della spesa, lasciando quei settori intatti. Non solo essi coprono più dell'80 per cento della spesa pubblica, ma altri settori, come quelli delle spese in conto capitale e delle spese per investimento, sono stati già troppo sacrificati in anni passati e, addirittura, nel 2006 sono stati sottoposti quasi a un soffocamento, che ha dovuto essere sbloccato con la manovra del 30 giugno.
Che cosa si dice di questi quattro settori, oltre a dare un'argomentazione più convincente possibile della necessità che essi partecipino alla manovra? Si cerca di argomentare il fatto che in ciascuno di essi esistono squilibri, inefficienze, certe volte di natura finanziaria, certe volte di architettura istituzionale, altre volte di esecuzione e gestione, nel senso che offrono uno spazio ad interventi difficile da quantificare (infatti il documento non lo quantifica).
Addirittura, nel DPEF si sostiene che, se anche i nostri conti fossero in pareggio, ci sarebbe una ragione forte e un interesse del sistema economico e del paese nel suo complesso a compiere interventi in tali settori, perché le risorse che se ne possono ricavare potrebbero essere, a loro volta, destinate ad obiettivi importanti, quali una certa riduzione della pressione fiscale, programmi più ambiziosi nel campo delle infrastrutture e nel campo della ricerca, il completamento dello Stato sociale, che in Italia è incompleto in campi davvero essenziali. C'è, dunque, una ragione sufficiente per concepire questi interventi.
Il DPEF si completa nell'ultimo paragrafo del capitolo IV, nel quale sono descritte le cifre-chiave dello scenario programmatico


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rispetto a quello tendenziale. Queste cifre-chiave sono costruite all'interno degli impegni internazionali che attualmente l'Italia ha assunto: orizzonte 2007 per il rientro del deficit al di sotto del 3 per cento e correzioni ulteriori, dell'ordine di mezzo punto percentuale all'anno, negli anni successivi al 2007. Ciò nella consapevolezza che gli interventi correttivi devono essere di natura strutturale; quindi non sono contemplati né interventi una tantum, né operazioni sul capitale che possano destinare il loro frutto al miglioramento delle manovre anno per anno.
Dopo che il Governo ha approvato il documento, all'inizio di questa settimana, sono stato a Bruxelles, dove ho presentato questo scenario e queste cifre all'Eurogruppo. Ne ho parlato anche in colloqui diretti sia con il Presidente dell'Eurogruppo, sia con il commissario Almunia. Avevo una certa preoccupazione per questi incontri, perché l'Italia, di fatto, oggi è inadempiente rispetto alla raccomandazione che ha sottoscritto un anno fa, nella quale era prevista una correzione strutturale, per il 2006, di 0,8 punti del prodotto interno lordo.
Faccio presente che abbiamo consultato la Commissione subito dopo la pubblicazione del DPEF, per sapere quanto - dopo i dati della relazione trimestrale di cassa, delle previsioni di inizio maggio della Commissione stessa e infine della due diligence -, fosse stato realmente attuato dello 0,8 per cento previsto. Ebbene, la risposta tecnica è che a quella data (mi pare che l'incontro sia avvenuto a fine giugno), in realtà, non restava praticamente più nulla di quello 0,8 per cento, quindi era ancora tutto da fare.
Come sapete, la manovra del 30 giugno ha portato una correzione di mezzo punto del prodotto interno lordo strutturale, che però matura nel 2007, dunque dà molto poco nel 2006. Per tutte queste ragioni temevo che Bruxelles ci dichiarasse inadempienti per il 2006. Per fortuna questo non è avvenuto. La presentazione che il Governo italiano ha fatto del suo programma, attraverso il documento di programmazione economico-finanziaria, è risultata convincente.
Lo stato attuale dell'interlocuzione con Bruxelles è il seguente: Bruxelles non apre una procedura di mancato rispetto della raccomandazione e attende che sia presentata la legge finanziaria, ma dichiara fin d'ora che se essa sarà conforme allo schema del documento l'Italia risulterà in linea con gli impegni presi.
Penso, quindi, che il prossimo appuntamento con Bruxelles sarà all'inizio di ottobre, nel primo Eurogruppo che segue la presentazione della legge finanziaria. Nel commentare in conferenza stampa l'incontro di Bruxelles ho affermato che c'è stato un atto di fiducia, da verificare a settembre; avrei potuto dire ad inizio ottobre, ma la nostra verifica è la legge finanziaria che presenteremo.
Dico ancora che il documento di programmazione economico-finanziaria si ferma all'argomentazione dei tre punti che ho citato: dimensione della manovra, necessità di interessare i quattro grandi comparti della spesa, possibilità di intervento offerte da squilibri e inefficienze che esistono in quei settori. Quello che il DPEF non fa è il passo ulteriore, quello di dire quali saranno esattamente questi interventi. Non lo fa perché il tempo che ci separa dalla presentazione della legge finanziaria è precisamente il tempo nel quale questi interventi vanno definiti. Il documento richiede lavori tecnici (che sono pronto ad argomentare meglio se me lo chiederete), articolazione precisa degli interventi e continuazione di un processo di concertazione che è iniziato, ma che deve proseguire su ciascuno dei quattro fronti delicatissimi che interessano la spesa pubblica.
Sarebbe stata - tecnicamente e anche politicamente, a mio giudizio - una scelta molto poco avveduta fissare in maniera unilaterale, quello che deve essere ancora elaborato, senza gli approfondimenti necessari, senza gli scambi di informazione e di collaborazione necessaria.
Questo è il lavoro che ci resta da fare da qui a settembre.


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PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

PIETRO ARMANI. Sarò brevissimo. Mi pare che il ministro rinviando tutto alla legge finanziaria, cioè alla fine di settembre, abbia dimostrato l'inutilità di avere il DPEF a luglio.
Peraltro, fin dalla XIII legislatura - come del resto i colleghi Pinza e Ventura ricorderanno - si discute se il DPEF debba essere collocato a luglio o a settembre. Di fatto, tutte le volte che abbiamo affrontato una legge finanziaria, ci siamo trovati dinanzi a un documento di rettifica delle previsioni del DPEF, perché la congiuntura si era modificata nell'arco dei mesi che passano tra luglio e settembre. Tanto vale quindi, signor ministro, che si discuta del DPEF direttamente in collegamento con la legge finanziaria.
Questo dal punto di vista metodologico. Poi vorrei fare riferimento a un aspetto specifico.
Signor ministro, lei sa che nella legge-obiettivo vi è un articolo che prevede, in allegato al DPEF, l'elenco delle opere pubbliche che devono essere realizzate con la copertura della legge finanziaria successiva. Mi domando, quindi, per quale ragione il DPEF da lei presentato non abbia in allegato questo elenco. Tra l'altro, nel 2004, al tempo in cui io ero presidente della VIII Commissione - i colleghi lo ricorderanno - posi il problema proprio perché il Governo di allora non aveva allegato immediatamente l'elenco delle opere pubbliche in base al disposto della legge-obiettivo.
Poiché ella ha fatto continuo riferimento al problema delle infrastrutture come strumento di sviluppo economico, mi domando come possa parlarne senza aver allegato al DPEF il documento che elenca le opere pubbliche da effettuarsi nell'arco del triennio 2007-2009.

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Armani. Trattandosi di una questione quasi pregiudiziale, per come egli l'ha posta, chiedo subito al signor ministro se intenda dire qualcosa su questo punto.

TOMMASO PADOA SCHIOPPA, Ministro dell'economia e delle finanze. L'allegato infrastrutture sarà disponibile da lunedì. Domattina si riunisce il CIPE, quindi la procedura parlamentare potrà regolarmente cominciare. Il motivo per cui non è già pronto adesso è che i lavori tecnici non erano ancora del tutto compiuti. Si tenga conto che solo lunedì scade il secondo mese di attività del Governo e che, indubbiamente, c'è stata una congestione di lavoro.
Successivamente alla presentazione dell'allegato tecnico, ci sarà un ulteriore lavoro di affinamento delle priorità, i cui risultati contribuiranno alle decisioni che saranno proposte con la finanziaria.

PRESIDENTE. Grazie signor ministro. Volevo scusare il presidente Morando che si è dovuto assentare per motivi istituzionali ed è sostituito dal vicepresidente Legnini.
Rammento che abbiamo poco meno di un'ora. Ci sono circa dieci iscrizioni a parlare, quindi pregherei i colleghi di essere sintetici per dare a tutti la possibilità di intervenire.
Do la parola all'onorevole La Malfa.

GIORGIO LA MALFA. La ringrazio, signor presidente. Spero che avremo l'occasione di un dibattito generale in aula, per cui in questa sede faccio una considerazione brevissima di carattere generale e rivolgo una domanda al ministro. Sono d'accordo con il ministro sull'utilità del DPEF, perché da qualche parte, prima della legge di bilancio, serve conoscere il quadro di politica economica. La data si può discutere, se debba essere due mesi prima o debba essere in contemporanea con l'inizio della discussione, ma credo che senza un documento in cui si illustra compiutamente la strategia di politica economica, sia impossibile poi valutare le varie poste che vengono introdotte.
Ho esaminato con molta attenzione questo DPEF, per l'autorevolezza del ministro e poi perché è il primo della legislatura. Anticipo il mio giudizio complessivo sul documento: è molto ambizioso nei


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numeri degli interventi, ma lo è poco negli obiettivi.
La preoccupazione che esprimo - parto proprio dalla tabella di pagina 160, cui ha fatto riferimento il ministro - è che se l'enorme correzione della finanza pubblica (3 punti e mezzo in rapporto al PIL) ci porterà ad avere nel 2011 una crescita tendenziale che invece dell'1,3 per cento sarà dell'1,7 per cento, mi pare che avremo smosso enormi problemi di rapporti sociali per ottenere piuttosto poco. Insomma, signor ministro, per un Governo di legislatura tutto ciò è poco ambizioso e mi riprometto di argomentare questo aspetto più diffusamente in aula.
Mi sono quindi posto la domanda: perché è così poco ambizioso? Perché le ragioni strutturali della bassa crescita italiana sono, in un certo senso, accennate ma non affrontate. In quel capitolo cui fa riferimento il ministro, dove si parla della produttività, della concorrenza e via discorrendo, i temi sono affrontati obiter dicta, a mo' di esemplificazione. Per di più manca uno dei protagonisti: il mercato del lavoro. È come se nell'Amleto mancasse il principe di Danimarca!
Qui è la difficoltà in cui si trova il ministro Padoa Schioppa. Se infatti si parla di aumentare la produttività del lavoro e su questo, come egli ha detto, si invitano le imprese a darsi da fare, queste risponderanno: «Introdurremo delle tecnologie più avanzate che, consumando meno lavoro, faranno aumentare la produttività».
Naturalmente questa risposta non può essere presa in considerazione per ovvie ragioni di equilibrio sociale. Dunque, il problema di fondo della produttività si riduce al programma sul cuneo fiscale.
Ora, cosa c'entra la riduzione del cuneo fiscale con il problema della produttività? Lo dice il ministro stesso quando, a pagina 126, grosso modo scrive: «Certo, noi riduciamo il cuneo fiscale sul lavoro perché l'abbiamo detto nel programma, ma se ciò non è accompagnato dal rilancio della produttività, descritto in precedenza, tutto ciò non serve a nulla».
Allora se in questa enorme operazione dobbiamo trovare 10 miliardi di euro per una cosa che non serve a niente se non c'è dell'altro e dell'altro non si parla - o se ne parla molto poco -, si comprende che qualcosa non funziona.
Oltretutto, sul cuneo fiscale il ministro dice: «Riduciamo il cuneo fiscale a tutte le imprese» (pagina 105); salvo successivamente aggiungere: «Bisogna che l'intervento sul cuneo fiscale sia selettivo» (pagina 116). Poi dispone che una parte di questa riduzione del cuneo fiscale deve andare a beneficio del reddito dei lavoratori. Ma cosa c'entra il reddito dei lavoratori con la competitività?
Ora, se il problema è il potere d'acquisto, nel caso in cui esso cresca, per la mia formazione, non vi è alcun problema, perché ciò aiuta la domanda e fa crescere l'economia. Ma se si fa un'analisi dove si dice che la produttività è un grosso problema, perché distribuire una parte del cuneo fiscale, che è così costoso, ai lavoratori se poi ciò serve solo a far aumentare il potere d'acquisto? Queste le domande e i problemi che intendevo sollevare.

GASPARE GIUDICE. Poche parole, signor ministro: lei, all'inizio del suo intervento, ha fatto riferimento all'importante capitolo dedicato al Mezzogiorno. Debbo, dire di non essere riuscito a cogliere tale importanza, pur avendolo letto attentamente. Anzi, ritengo sia assolutamente insoddisfacente perché al problema del Mezzogiorno sono state dedicate solo alcune pagine, che mal si rapportano all'importanza che il tema deve avere.
Debbo tuttavia rivolgere un apprezzamento in ordine al fatto che vi è un evidente riconoscimento dei risultati conseguiti negli scorsi anni su questo tema dal precedente Governo, ma non riesco a vedere nulla di interessante o di importante per il rilancio dell'economia di un settore fondamentale del nostro paese. Non si capisce se l'assenza di queste indicazioni, specialmente con riferimento alle politiche nelle aree sottoutilizzate, sia da intendersi come conferma degli indirizzi


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e delle decisioni precedentemente adottate. In particolare, mi riferisco alla creazione del fondo unico per le aree sottoutilizzate, nel quale sono confluite diverse autorizzazioni di spesa, uno strumento che si è dimostrato indispensabile per rendere più flessibile la gestione delle risorse.
Di questo tema non si parla assolutamente. Né si dice nulla riguardo all'impegno che sul finire della precedente legislatura si era intravisto: la fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno. Peraltro, vi è stata una lunga battaglia con l'Unione europea sul tema.
E ancora, non vi è alcuna indicazione circa gli importanti appuntamenti che vedranno impegnato il Governo italiano a livello europeo per quanto concerne la riforma degli aiuti di Stato - che ha evidenti riflessi anche ai fini delle misure di incentivazione per il Mezzogiorno - e, in generale, le prospettive finanziarie dell'Unione europea, nell'ambito delle quali particolare rilievo assume la riforma delle politiche di coesione.
Mi aspetto, signor ministro, che lei ci dica qualcosa di più importante su questi temi. Ho potuto notare, attraverso le ultime notizie di stampa, che anche da parte di importanti organizzazioni sindacali, di Confindustria, del CNEL, è stata lamentata la poca presenza in questo documento di un chiaro programma per le politiche del Mezzogiorno.

GUIDO CROSETTO. Signor ministro, come si può desumere dalla lettura del documento di programmazione economico-finanziaria e come si è anche compreso dalle sue parole, siamo in presenza di un esercizio stilistico. Già negli scorsi anni lo abbiamo detto. Non condivido il pensiero del collega La Malfa. Al di là di tutte le cifre che ha iniziato a darci a luglio, sono due quelle importanti. Per il resto, è un esercizio stilistico nel quale vengono riportate, magari in modo criptico, alcune indicazioni, semmai, da utilizzare in finanziaria.
La sua relazione si è adeguata al DPEF. Un'analisi che è difficile non condividere, perché corrisponde a quella che può fare la Banca d'Italia o qualunque centro studi sulla situazione economica complessiva e sulle debolezze strutturali del nostro sistema paese.
La seconda parte, che in qualche modo dovrebbe indicare le linee che il Governo intende ricalcare per affrontare la situazione economica, è più difficile da seguire. Intanto, perché non contiene indicazioni, neanche a grandi linee. Se, infatti, il punto di partenza della ripresa di competitività del nostro paese è il decreto-legge dello scorso 4 luglio, ed è questo ciò che deve darci credibilità a livello europeo, allora c'è di che essere preoccupati.
Ieri ho letto le dichiarazioni del viceministro Visco, per cui l'incasso che si prevedeva di avere dagli interventi sull'IVA relativa agli immobili - 869 milioni di euro il primo anno, 1364 milioni di euro il secondo - non so se sarà ancora quello.
Mi auguro che quegli incassi non ci siano, a costo di un richiamo europeo, perché chiunque non soltanto abbia a che fare con la macroeconomia, ma abbia l'abitudine di girare fra gli imprenditori italiani, che hanno dai 2 ai 10 mila dipendenti, sa che un intervento sull'IVA relativa a quegli immobili è distruttivo, come sa che per la maggioranza dei bilanci delle imprese trovarsi trasformato, per decreto, quello che fino a ieri era un credito - magari con la retroattività, come qualcuno pensava, di otto anni - in un costo, sarebbe l'inizio della fine.
Qualunque impresa artigiana che avesse contratto un leasing o si fosse indebitata e si trovasse con il 20 per cento in più di costi su spese fatte otto anni prima, si sarebbe trovata, dal giorno dopo, nell'impossibilità di accedere al credito bancario. Dalle dichiarazioni del viceministro Visco si nota perfettamente che egli non ha compreso un punto: mentre una norma di questo tipo potrebbe avere un senso per quelle imprese che hanno fatto investimenti e affittano capannoni, per quelle che hanno investito in un capannone che serve loro per lavorare, essa è distruttiva.


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Un Governo che intacca il leasing con una norma di questo tipo non ha ben chiaro quello che succede nell'economia reale. Il viceministro Visco, rispondendo alle rimostranze dell'associazione di leasing che il cliente può accedere ad un'altra forma di finanziamento, dimostra che non ha compreso la diversità che esiste tra il leasing e il mutuo. Il mutuo è un debito che si contrae su un bene che diventa proprio, ed è un tipo di credito, mentre con il leasing il bene rimane di terzi, ed è quello che consente all'imprenditore di sommare due tipi di finanziamento totalmente diversi.
Allora, mi preoccupo se la risposta alla competitività e alla ripresa è quella contenuta nella legge n. 30. Io non penso che il problema siano i tassisti. Non voglio cavalcare la protesta - non l'ho mai fatto nei cinque anni passati, quando governavamo noi, e non inizio adesso -, ma non penso che il problema della competitività di questo paese si risolva con qualche licenza di taxi in più. Anzi, mi stupisco che i veri liberalizzatori, che hanno visto l'aumento delle licenze dei taxi come la madre di tutte le liberalizzazioni, non si siano resi conto che le tariffe delle licenze dei taxi le fissano i comuni. Normalmente, peraltro, le fissano per dare un reddito sufficiente a chi conduce il taxi, per cui rimanendo invariato il fatturato, se si raddoppiano le licenze, tutt'al più il rischio è che aumentino le tariffe minime. Se dobbiamo parlare di liberalizzazione facciamolo seriamente.
Quello che mi ha colpito è che, nelle parti in cui il DPEF affronta il problema delle liberalizzazioni, non si avverte un'incidenza reale nei settori che toccano l'economia e le famiglie: comunicazioni, energia, insomma tutto quello che fa partire in svantaggio il nostro sistema produttivo rispetto, ad esempio, ai concorrenti francesi o tedeschi.
Ci sono poi aspetti più preoccupanti - aspetti meno economici - anche dal punto di vista politico. Non tanto preoccupanti per il partito di Forza Italia, che rappresento alla Camera, ma presumo anche per la maggioranza: leggo incidentalmente frasi che mi fanno pensare che questo Governo, nella prossima finanziaria, vorrebbe innalzare l'età pensionabile, nonché cambiare la normativa sulla proprietà privata, materia, questa, che a leggere il DPEF sembrerebbe non disciplinata dal codice civile e, per questo, necessiterebbe di essere in qualche modo affrontata.
Ma ciò che mi colpisce di più è la posizione del Governo sulla sanità. Intanto, c'è finalmente l'ammissione - e vorrei che ne venisse mandata copia all'attuale ministro Turco - che il precedente Governo ha aumentato gli stanziamenti per questo settore. A vostro giudizio, il precedente Governo li avrebbe aumentati troppo, per cui c'è da parte vostra la volontà di comprimere tali trasferimenti, obbligando le regioni a coprire le minori entrate con uno strumento ben noto, che si chiama ticket (non troverete la parola ticket perché, normalmente, nel documento di programmazione economico-finanziaria non si va così nel dettaglio). Su questo argomento, signor ministro, vorrei una sua risposta, perché quello che viene scritto nel capitolo che riguarda la sanità è significativo.
Lo stesso discorso viene fatto, se ho letto bene tra le righe, sugli enti locali. Al riguardo, si dice sostanzialmente che il Governo precedente ha consentito - anche in questo si sperimentano cinque anni di demagogia - un'espansione della spesa eccessiva, che quindi va riportata a livelli inferiori rispetto alla crescita del PIL. Mi pare che questa sia l'indicazione da comunicare alle associazioni degli enti locali, che non mi sono parse particolarmente interessate a questo DPEF. Anche in questo caso si parla, tra le righe, di modulare i trasferimenti per un saldo di bilancio medio pro capite. Può essere un'indicazione condivisibile quella di portare il patto di stabilità al rispetto dei saldi e stabilire che il saldo sia il saldo medio pro capite.
Trasferite questo concetto - parlo a chiunque abbia esperienza amministrativa - sui comuni, non è così banale. Vedo che la spesa degli enti locali va a finire su nuove tasse: «gli spazi di un'effettiva autonomia


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tributaria a livello locale dovranno garantire margini di manovra sufficienti a far fronte a eccedenze di spesa». Anche in questo caso l'indicazione è molto chiara.
Concludo - giustamente il presidente mi richiama - ben sapendo che questo è il primo di una serie di interventi che potremo fare sul documento. Il DPEF non affronta i problemi e non dice molto, ma all'interno di quel poco che dice dà alcune indicazioni chiare, purtroppo preoccupanti dal mio punto di vista.

LAURA RAVETTO. Signor ministro, nella scorsa audizione le rivolsi una domanda sulla politica delle privatizzazioni e lei mi rispose di condividere la linea colbertiana perseguita da Tremonti. Nel DPEF riafferma la volontà del Governo di perseguire la politica delle privatizzazioni. Nello stesso tempo, però, afferma di non essere in grado di quantificarla, perché occorrono delle valutazioni di opzioni strategiche.
Le chiedo: la sua linea politica è quella di operare in modo significativo sul rapporto debito-PIL mediante la cessione dei beni dello Stato, oppure si fermerà alla manovra correttiva?

PRESIDENTE. Do la parola al ministro Padoa Schioppa per la replica.

TOMMASO PADOA SCHIOPPA, Ministro dell'economia e delle finanze. Procederei per argomenti - ne ho segnati sette - facendo riferimento agli onorevoli che li hanno sollevati.
Il primo argomento è quello dell'inutilità del DPEF. Penso che l'elemento assolutamente ineliminabile sia quello di avere un impegno da parte del Governo, condiviso dal Parlamento, sui saldi che devono ancorare l'elaborazione del bilancio e della finanziaria per l'anno a seguire. È evidente che questo momento deve precedere quello in cui si lavora alla preparazione della legge finanziaria, un documento complesso, che richiede una serie di valutazioni, di arbitraggi, di ricerca di accordi, e questo in tutti i paesi. L'elemento che permette ad una procedura così complessa di non perdere il controllo dei conti pubblici è precisamente quell'impegno, che quindi deve precedere la fase cruciale del lavoro di elaborazione della legge finanziaria.
Quest'anno, nel DPEF, non sono contenuti i desiderata dei diversi ministeri, proprio perché la loro compatibilità con la cifra-àncora del documento che chiude questa fase della procedura di bilancio resta da verificare. Non si vuole, quindi, precostituire un diritto di considerazione particolare.
Certo, qualcuno ha detto che si potrebbe anche immaginare di riassumere tutto questo in una semplice cifra. Non avrei nulla in contrario; per certi versi ci saremmo risparmiati anche molto lavoro. Tuttavia, se è vero che ricevo comprensibili critiche per non aver detto abbastanza, posso immaginare quali sarebbero le critiche se ci fossimo limitati ad una pagina col saldo di bilancio.
Il punto di fondo, pertanto, è e rimane il punto-chiave di ancoraggio della procedura di bilancio. Il resto fa parte della normale interlocuzione tra Governo e Parlamento, della normale elaborazione di linee di politica economica da parte del Governo e dei doveri di trasparenza, attraverso una documentazione adeguata. Che poi tutto questo sia scritto nello stesso documento che svolge un ruolo chiave nella procedura di bilancio, ritengo sia una congiunzione utile, ma sono ben consapevole che si tratta di due aspetti distinti, uno dei quali è immediatamente operativo, l'altro fa parte di qualcosa di più ampio. Tale questione era stata sollevata dall'onorevole Armani.
Onorevole La Malfa, lei ha parlato di documento ambizioso nei numeri, poco ambizioso negli obiettivi. Mi fa piacere che abbia sollevato questo punto, perché io stesso sono abbastanza deluso dalla modestia delle cifre del reddito potenziale presenti in questo documento. L'onorevole La Malfa, però, che ha una formazione economica, come me, sa che oggi le stime della crescita potenziale del reddito sono frutto di una macchina modellistica a cui


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difficilmente si sfugge; peraltro, se le si sfuggisse, si sarebbe facilmente accusati di aver manipolato il modello o di aver creato cifre euforiche. È evidente che quel meccanismo di previsione, per cui il reddito potenziale, non il reddito obiettivo, è in realtà una funzione del reddito obiettivo - il quale a sua volta è una conseguenza abbastanza meccanica di certi input numerici -, ignora una parte notevolissima della politica economica: ad esempio, quella parte - su di essa mi soffermerò, rispondendo a questioni sollevate dallo stesso La Malfa e dall'onorevole Crosetto - che può dinamizzare un'economia attraverso maggiore concorrenza, maggiore competitività, migliori infrastrutture. Ci sono degli elementi, generatori di crescita, che pure sono difficilissimi da quantificare. Ho detto pubblicamente che l'economia italiana può aspirare ad un tasso di crescita stabilmente o durevolmente dell'ordine del 2 per cento.
Naturalmente, questo tasso, a chi ha la nostra età e ricorda quando l'economia cresceva al 5 per cento, sembra poca cosa, ma allora cresceva la popolazione, c'erano delle massicce importazioni di tecnologie da parte di un paese (l'Italia degli anni cinquanta) che, da molti punti di vista, era tecnologicamente arretrato.
Oggi queste possibilità non ci sono, ma io sono convinto che l'economia italiana possa benissimo aspirare a tassi di crescita di quell'ordine di grandezza. Scriverli in una tabella che è frutto di un calcolo numerico, però, avrebbe giustamente esposto ad una critica tecnica gli economisti, per il modo in cui quelle cifre erano costruite.
Sempre da parte dell'onorevole La Malfa, ma anche dell'onorevole Crosetto, è stata posta la tematica della competitività, della produttività, della competizione, e via di seguito. Si tratta non di produttività del lavoro, ma di produttività totale dei fattori: è una cosa diversa, perché riguarda una serie di questioni, che non sono solo di lavoro o di risparmio di lavoro per sostituzione del medesimo con tecnologia a maggior intensità di capitale.
D'altro canto, non conosco analisi, fatte nel dibattito italiano di questi ultimi anni, molto più elaborate rispetto a quella che il documento svolge delle linee necessarie per consentire una ripresa della dinamica della produttività. Nonostante quello che ho appena detto sul costo del lavoro, la parte relativa al rapporto costo del lavoro-produttività è presente a pag. 111 ( cuneo fiscale, occupazione, produttività).
Riconosco pienamente che il taglio del cuneo fiscale può accrescere temporaneamente la competitività, ma non fa crescere la produttività e, nella misura in cui non è acquisito dall'impresa, può anche avere uno scopo diverso, che è quello di sostenere la domanda interna.
La riduzione del cuneo fiscale è un'operazione complessa, che si può giudicare in molti modi, ma è difficile valutarla se non si vede contemporaneamente il modo in cui viene coperto il taglio. Il tema del cuneo ha una dignità propria; certamente esso è legato ad un impegno programmatico - e non è una cosa da poco -, ma anche ad un confronto internazionale, che vede l'Italia con un cuneo più ampio di altri paesi. Secondo me, quindi, il tema ha una sua logica. Dire, però, che il taglio del cuneo non esaurisce la tematica della competitività e della produttività mi trova perfettamente d'accordo.
Vengo alla questione dei taxi e della competitività. Naturalmente si può isolare la questione dei taxi, anche se, essendo stato un normale cittadino, privo di automobile di servizio, per circa un anno, prima di diventare ministro, ho constatato come in una città come Roma, che ha 4 milioni di abitanti, la mobilità sia pressoché impossibile. Posso fare il confronto con altre 10 città europee, e so che qualcosa deve pur essere fatta in quel settore. In più, il decreto del 30 giugno parla di taxi, ma anche di molti altri settori.
Il motivo per cui - e su questo le analisi sono largamente concordi - l'economia italiana ha un difetto di competitività nei confronti dell'estero, dipende dal fatto che nei settori non esposti alla concorrenza internazionale - come sono i taxi e le professioni - c'è un insufficiente


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grado di concorrenza all'interno, e questo appesantisce l'economia di costi che si scaricano sui settori esportatori.
Intervenire sui settori non esposti alla concorrenza internazionale per iniettare dosi di maggiore concorrenza da un lato migliora la vita degli utenti, dei consumatori, dei cittadini che si muovono in città e dall'altro aumenta il grado di competitività complessiva dell'economia.
Se mi si dice che i 10 settori toccati dal decreto del 30 giugno non esauriscono il sistema economico, sono perfettamente d'accordo. Lo stesso onorevole Crosetto citava un settore al limite ben più importante e ben più urgente, come quello dell'energia, ma egli sa bene che sull'energia il Governo aveva agito addirittura prima del 30 giugno. È chiaro che c'è consapevolezza di altri aspetti che, per certi versi, sono ancora più importanti. Tuttavia, la tematica della competitività ha una gamma amplissima di articolazioni, che vanno dalla vita del cittadino che si muove in città fino al costo dell'energia per le imprese che devono esportare. Se l'auspicio è che il Governo si muova lungo tutto questo ventaglio, esso mi trova pienamente concorde.
Vengo alla questione dell'IVA sugli immobili e, più in generale, alla tematica che anche l'onorevole Crosetto ha sollevato parlando di effetti distruttivi di alcune disposizioni tributarie del 30 giugno. Come vedrete quando saranno presentati gli emendamenti la prossima settimana, sull'IVA ci sarà una correzione, come è già stato annunciato. Non ho alcuna difficoltà a dire con chiarezza - e chi ha governato prima di me non sarà affatto stupito - che la quantificazione tecnica fatta in connessione con la misura ha avuto bisogno di una revisione, quindi la revisione ci sarà.
L'onorevole Crosetto ha detto che quando si interviene per eliminare aree di elusione - e io aggiungo anche per correggere l'evasione fiscale - si vanno a disturbare alcuni equilibri economici, e su questo non c'è alcun dubbio. È evidente che dall'elusione e dall'evasione si guadagna. Ci possono essere addirittura dei casi - parlo di imprese - nei quali chi poteva sopravvivere non pagando le tasse non può sopravvivere pagando le tasse. O si vuole essere seri nel campo dell'elusione e dell'evasione, e allora bisogna accettare questa logica (naturalmente essendo graduali e attenti a come si fanno le cose, ma anche pronti a correggerle, se si rivelano necessari dei miglioramenti), oppure bisogna dire che il sistema economico si è assestato su un equilibrio del quale sono parte intrinseca l'elusione e l'evasione, quindi dovremo tenercele per sempre. Credo sia preferibile la prima linea.
Vengo all'osservazione dell'onorevole Giudice sul Mezzogiorno. Non credo che nel documento vi sia una carenza di indicazioni. Certamente il DPEF quest'anno è più lungo degli altri, quindi il capitolo Mezzogiorno, in termini relativi, appare più breve. Tuttavia, credo che nel documento ci siano indicazioni precise, che riguardano le priorità e gli indirizzi programmatici e da sviluppare. Si potrà tenere un incontro dedicato a questo tema, ma mi sembra che, nell'economia complessiva delle indicazioni che il documento fornisce, non sarebbe giusto dire che l'attenzione verso il Mezzogiorno sia venuta meno.
Per quanto riguarda le privatizzazioni, argomento sollevato dall'onorevole Ravetto, nel documento si afferma che la politica delle privatizzazioni continuerà. Non si dice più di questo. Il mio accenno al colbertismo, che non ritiro, era un riconoscimento del fatto che l'industria di proprietà dello Stato ha e può avere una sua ragion d'essere, e non va bandita in nome dell'efficienza o del principio delle privatizzazioni.
È vero che manca nel documento una lista delle privatizzazioni che si stanno per fare, ma questo avviene per due ragioni. La prima è che era molto più facile privatizzare dieci anni fa che oggi; allora c'erano dei settori in cui era ovvio privatizzare, e le privatizzazioni, nel frattempo, sono state effettuate.
La seconda ragione è che un annuncio dettagliato di società da privatizzare, a mia memoria, non è stato fatto neanche in anni passati; certamente, però, il Governo


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dovrà approfondire questi aspetti e probabilmente potrà dare indicazioni migliori in seguito.
L'onorevole Crosetto ha parlato dei grandi settori della spesa pubblica, ha parlato di sanità, di sistema previdenziale, di enti territoriali. Al riguardo, il discorso sarebbe lunghissimo, ma mi rimetto al presidente.
Cito solo l'esempio della sanità. È vero che la spesa sanitaria è aumentata in questi anni, ma è anche vero - credo che l'onorevole Crosetto sarà d'accordo - che bisogna verificare come è aumentata. La spesa può aumentare anche per durate di ricoveri ospedalieri che vanno ben oltre il tempo richiesto per l'intervento o per spese per farmaci che, nel confronto, si rivelano di gran lunga superiori in certe regioni che in altre, dove pure la qualità del servizio sanitario è riconosciuta come ottima. Insomma, ci sono modi di aumentare la spesa sanitaria che possono non avere nulla a che vedere con l'assicurazione dei livelli essenziali di assistenza.
Credo, quindi, che ci sia un ampio spazio per mantenere invariato l'effettivo livello di assistenza sanitaria, riducendone i costi.

PRESIDENTE. Le chiedo scusa, ministro, ma abbiamo problemi di contestualità con i lavori dell'aula. Avviserò i colleghi quando inizieranno le votazioni.

LUIGI CASERO. Sono dispiaciuto ma, in assenza di un accordo fra i gruppi a proseguire l'audizione in concomitanza di lavori d'aula, il mio gruppo parteciperà ai lavori d'Assemblea.

PRESIDENTE. Intende dire che vi è disaccordo?

LUIGI CASERO. No. Non ne abbiamo parlato. Mi dispiace per il ministro e per la sua disponibilità, ma purtroppo queste cose di solito vengono discusse prima. Il gruppo di Forza Italia si recherà in aula.

PRESIDENTE. Ne teniamo conto. In ogni caso, abbiamo organizzato questa audizione in una situazione diversa da quella che si è determinata, quindi sono sinceramente dispiaciuto. Andiamo avanti, tenendo conto che è una seduta congiunta con il Senato. Cercheremo di riprendere al più presto in Commissione le questioni che dovessero rimanere in sospeso.

MICHELE VENTURA. Mettiamoci d'accordo. Non ha senso che un gruppo decida di andare in aula, anche perché sono state già formulate alcune domande e il confronto deve andare avanti. Poiché per le ore 17 è prevista la votazione in aula, è bene che ci accordiamo con il ministro per un aggiornamento dell'audizione. Non so cosa pensino gli altri colleghi, ma di certo so che abbiamo otto minuti di tempo.

PRESIDENTE. Stiamo verificando se sia possibile aggiornarci a domani, dal momento che dovremmo concludere entro lunedì le audizioni. Domani mattina il ministro non è disponibile; verificheremo se sia possibile incontrarci nuovamente domani pomeriggio oppure lunedì.

MARINO ZORZATO. So che è normale chiudere le audizioni con il ministro. Tuttavia, faccio presente che manca il collegato infrastrutture, che verrà approvato lunedì, e che un'obiezione di fondo per noi - era una pregiudiziale del collega Armani, ma la ritengo una questione importante - è che svolgere le audizioni (vedi quella con l'ANCE) senza tale collegato significa non sapere di cosa parliamo.
Considerato tutto questo, non potremmo ascoltare il ministro per ultimo, martedì mattina, quando avremo qualche elemento in più di discussione? Ribadisco che, senza il collegato infrastrutture non so di cosa si parlerà con alcuni dei prossimi auditi (ad esempio, i rappresentanti di Confindustria).
Se dobbiamo aggiornare l'incontro odierno, chiedo che il ministro torni in questa sede martedì mattina, al termine delle audizioni, in modo da avere un quadro completo.

MARIO BALDASSARRI. Signor presidente, intervengo sull'ordine dei lavori.


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Anticipo una pregiudiziale che avevo intenzione di sollevare nel mio intervento. Nel documento di programmazione economico-finanziaria non ho trovato il quadro tendenziale programmatico della finanza pubblica, nel dettaglio analitico delle singole voci di spesa e di entrata.
Credo vi sia, al riguardo, una disposizione di legge, anche perché ricordo che, nella precedente legislatura, questa specifica richiesta è sempre stata avanzata da parte di Camera e Senato. Se, come spesso capita, occorre qualche tempo per definire, dopo i saldi, le varie poste, forse è opportuno aggiornarci a lunedì.

PRESIDENTE. Scusate, stiamo cercando di ordinare i lavori in relazione a questioni che era prevedibile insorgessero.

MARIO FRANCESCO FERRARA. Mi dispiace per i colleghi della Camera, ma faccio notare che non può accadere che un'audizione stabilita - tra l'altro, non capisco perché non intervenga il Governo - venga spostata per problemi di organizzazione del lavoro successivi allo stabilirsi dell'audizione stessa.
Indipendentemente dalla coloritura politica, sperando che così venga sanata quella che è un'ignoranza, o meglio una mancata conoscenza dei precedenti, chiedo - credo in accordo con i colleghi senatori - che l'audizione continui.

PRESIDENTE. Senatore Ferrara, prendo atto delle sue osservazioni. Noi abbiamo, però, una prassi e una tradizione consolidate alla Camera. Sono ben consapevole del fatto che quella odierna è un'audizione in seduta congiunta e proprio per questo stavamo cercando una soluzione che tenesse conto sia delle questioni - ineccepibili - che lei poneva sul piano formale, sia delle questioni che attengono ad una prassi consolidata della Camera.
Siamo in una situazione derivata da questioni che riguardano l'aula, ossia tutti noi. Se fosse possibile e se il ministro è disponibile, aggiornerei la seduta a domani mattina alle ore 9,30. Mi è parso di capire, però, che il ministro è impegnato in Consiglio dei ministri, quindi dovremmo incontrarci domani pomeriggio o lunedì mattina.

MARIO BALDASSARRI. Signor presidente, non è la concomitanza della seduta in aula che rende necessario un aggiornamento di questa seduta, ma è il fatto che mancano due «pezzi» determinanti del DPEF: l'allegato infrastrutture e il quadro di finanza pubblica.

PRESIDENTE. Senatore Baldassarri, lei pone delle questioni che sono già state poste e risolte all'inizio.

MARIO BALDASSARRI. L'aggiornamento non è dovuto alla seduta, dal momento che i lavori non potevano continuare in assenza di quelle informazioni.

PRESIDENTE. Abbiamo detto all'inizio che la questione nasceva dal fatto che alle ore 17 erano previste votazioni in aula, avendo già affrontato e risolto il problema posto dall'onorevole Armani circa l'allegato relativo alle infrastrutture....

MARIO BALDASSARRI. Al quale aggiungo il quadro di finanza pubblica.

PRESIDENTE. Ma non c'è ragione di aggiungere motivazioni ad una questione che è già sorta e che stiamo cercando di risolvere.

MARIO BALDASSARRI. Ma è una disposizione di legge, presidente.

PRESIDENTE. Ho capito...

MARIO BALDASSARRI. Allora stiamo contravvenendo ad una disposizione di legge, nello svolgere un'audizione senza la completa informazione da parte del Ministero.

PRESIDENTE. Senatore Baldassarri, la questione è stata posta e a suo tempo affrontata. Abbiamo detto che l'avremmo risolta in un certo modo. Adesso, in ogni


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caso, stiamo ponendo il problema dell'aggiornamento della riunione che, verosimilmente, potrà continuare domani pomeriggio o lunedì mattina.
Stavo appunto chiedendo al ministro - domani, peraltro, è già previsto che al CIPE vi sia l'esame del documento - quando possa ritornare. Dopo averlo ascoltato, lei potrà intervenire di nuovo.

MARIO BALDASSARRI. Non voglio intervenire. Per la precisione, facendo parte del Senato, come ha detto il senatore Ferrara, la questione formalmente non ci riguarderebbe. Sono d'accordo con l'aggiornamento, ma la motivazione per un senatore non è la seduta della Camera, ma la mancanza del quadro programmatico di finanza pubblica e dell'allegato infrastrutture.
Per questo chiedo l'aggiornamento, non per la contestualità dei lavori della Camera.

PRESIDENTE. Allora, la proposta è di aggiornare l'audizione del ministro a lunedì mattina alle 9,30.

MARIO BALDASSARRI. Al Senato scade alle 10,30 il termine per la presentazione degli emendamenti al decreto del Governo...

PRESIDENTE. Mi riservo di parlare con il presidente Morando e, alla luce delle considerazioni espresse anche dai colleghi del Senato, vi faremo sapere sull'aggiornamento della seduta.

MARIO FRANCESCO FERRARA. Il motivo per cui cercavo di dare delle indicazioni è che sta sfuggendo che il ministro dell'economia, nelle audizioni per il DPEF, va ascoltato prima degli altri. Non possiamo sentire il Governatore della Banca d'Italia senza aver prima sentito il ministro dell'economia. Per questo parlo di prassi prevalente e consolidata, perché non è la prima volta che si pone questo problema.
Lei è un parlamentare di grande esperienza, io lo sono soltanto da due lustri, ma questa è una circostanza che si è verificata tante volte ed i colleghi dell'opposizione della Camera non hanno ravvisato la necessità di rinviare l'audizione del ministro: in precedenza ci si limitava a stigmatizzare che non era possibile, da parte degli stessi deputati, continuare a essere presenti in aula, perché non si era realizzato un accordo con i deputati della maggioranza alla Camera. Se questo accordo vi fosse stato e se, quindi, fosse stata equivalente la mancata presenza in aula dei deputati della maggioranza e dei deputati dell'opposizione, l'audizione avrebbe potuto aver luogo in altri momenti. Questo significa che oggi l'audizione del ministro dell'economia non prosegue per l'opposizione a questa...

PRESIDENTE. Ho capito...

MARIO FRANCESCO FERRARA. Essere interrotto dalla presidenza nel momento in cui sto ponendo una questione regolamentare di grande valore è una cosa che...

PRESIDENTE. Lei fonda la sua questione regolamentare, se permette, su un sillogismo inesatto. Ha detto un attimo fa che il problema è nato per il fatto che non c'era un accordo alla Camera, come è stato precisato...

MARIO FRANCESCO FERRARA. Infatti...

PRESIDENTE. Allora il suo sillogismo è inesatto, per il semplice fatto che noi abbiamo definito concordemente, d'intesa con i capigruppo di maggioranza e di opposizione, e con il Senato, la calendarizzazione delle audizioni. Dopodiché, per questioni - mi faccia finire...

MARIO FRANCESCO FERRARA. L'ho interrotta?

PRESIDENTE. Le sto dicendo che siccome è emersa una questione in aula, alla Camera, che ha comportato oggettive difficoltà di gestione delle sedute delle Commissioni


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riunite, ci siamo trovati nella condizione di dover confermare le audizioni, prefigurando che potevano insorgere delle difficoltà e che comunque, entro lunedì, avremmo dovuto concludere il calendario delle audizioni stesse per consentire ai colleghi senatori di affrontare la «manovrina». Non volevamo privare i colleghi, senatori e deputati, della possibilità di svolgere le audizioni con gli interlocutori istituzionali e con le parti sociali.
Questa è la situazione. La questione che hanno portato adesso i colleghi dell'opposizione dicendo che, vista la situazione che si è determinata successivamente in aula, non è possibile continuare a gestire l'audizione secondo il calendario stabilito, è una questione che si è posta dopo.
Dunque, non aggiungiamo argomenti di altra natura. Adesso la questione concreta - lo dico con molta serenità - è un'altra: se siamo interessati a proseguire l'audizione del ministro, è chiaro che questo fisiologicamente comporta una vulnerazione dell'ordine sequenziale consolidato. Il ministro domani mattina non può essere presente in Commissione perché è impegnato in Consiglio dei ministri; per domani pomeriggio ci sono problemi di altra natura; dunque sostanzialmente proporremmo di completare questa audizione, per soddisfare i problemi posti dai colleghi, lunedì mattina.

GIUSEPPE VEGAS. Affrontiamo questi problemi con un minimo di ragionevolezza. O si completa l'audizione, magari con un intervallo, oppure, se la si deve rinviare, forse ha più senso rinviarla alla fine del ciclo delle audizioni. Peraltro, il lunedì mattina, francamente, in genere non c'è un grande numero di deputati e senatori, mentre sarebbe opportuno dedicare al ministro l'attenzione che merita.
In definitiva, o si continua adesso, magari sospendendo brevemente la seduta, oppure si rinvia a lunedì sera o martedì mattina.

PRESIDENTE. Come si vede, ci sono diverse esigenze, che non sono solo di natura formale, ma anche attinenti alla ragionevolezza. So bene che rinviare a lunedì mattina alle 9,30 comporta dei problemi legati ai collegamenti aerei, ai treni e di altra natura. Tuttavia, questi problemi non sono inseribili dentro i canoni della proceduralizzazione formale, ancorché del tutto ragionevoli.
Per questa ragione, alla luce di tutte le considerazioni fatte, mi riservo di parlarne con il presidente della Commissione omologa del Senato, senatore Morando. Vi faremo sapere a quando è aggiornata la riunione.
Nel frattempo, vi comunico che anche le audizioni successive di ANCI, UPI e regioni, a causa dei lavori d'aula in corso, sono da ritenersi rinviate.
Dichiaro conclusa la seduta odierna.

La seduta termina alle 17,05.