COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta antimeridiana di marted́ 10 ottobre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI LINO DUILIO

La seduta comincia alle ore 8,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2007-2009, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del regolamento della Camera, e dell'articolo 126, comma 2, del regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti della Corte dei conti.
Saluto e ringrazio il presidente Staderini e i suoi collaboratori - il dottor Balsamo, presidente di sezione, e i consiglieri dottor Mazzillo, dottor Pala e dottor Flaccadoro - per essere qui con noi. Vi chiedo scusa per questi orari, ma come sappiamo la finanziaria e la sessione di bilancio concentrano molte incombenze, quindi siamo costretti ad orari quasi «notturni».
Do ora la parola al presidente Staderini per la sua relazione.

FRANCESCO STADERINI, Presidente della Corte dei conti. Ringrazio il presidente e saluto tutti i presenti. Devo innanzitutto scusarmi se il brevissimo tempo a disposizione e il modo caotico con cui ci pervengono le notizie circa i dati contabili della manovra porteranno a qualche incertezza. Tra l'altro, noi abbiamo costruito questo testo sulla base di una manovra ancora a 33,4 miliardi, ignorando le ultime affermazioni del ministro, che portano la manovra a quasi 35 miliardi.
Mi limiterò a dare lettura delle parti più sostanziali, quelle in cui si esprime una valutazione della manovra. Innanzitutto, vorrei sottolineare come la dimensione apparentemente molto consistente della quota di interventi espansivi risponde alla necessità di finanziare o rifinanziare spese correttamente non registrate nel bilancio a legislazione vigente, quali gli oneri per i rinnovi contrattuali, le spese per le missioni di pace, eccetera, o interventi comunque occorrenti per la prosecuzione di attività ordinarie o di programmi di investimento. Non pare, in altri termini, che sotto questo aspetto le misure di sostegno della spesa siano state definite senza una selezione rigorosa degli impegni. L'attuazione della manovra di bilancio per il 2007 è affidata al disegno di legge finanziaria, al decreto-legge n. 262 del 2006 e al disegno di legge di bilancio a legislazione vigente.
Il percorso di riequilibrio dei conti programmato fino al 2011 si dovrebbe peraltro avvalere in misura crescente delle correzioni strutturali affidate ai disegni di legge delega e alle altre iniziative normative che il Governo collega alla manovra di breve periodo. Nella scelta governativa di operare su due tempi, tali interventi di riforma dovrebbero consentire di contenere permanentemente i fattori espansivi della spesa nei settori critici.


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Come ho già detto, la ricostruzione della manovra complessiva per il 2007 resta difficile per l'incompletezza delle informazioni rese disponibili nei giorni scorsi. Essa pone in evidenza come il reperimento delle risorse per il contenimento del disavanzo tendenziale e per il finanziamento dei cosiddetti interventi per lo sviluppo sia stato affidato in misura preponderante a interventi di aumento del prelievo fiscale e, solo limitatamente, a correzioni della spesa.
Valutare puntualmente quale sia l'incidenza dei provvedimenti di aggravio fiscale sul totale della manovra correttiva è un esercizio reso incerto dalla difficoltà di prevedere l'esito finale della nuova disciplina del patto di stabilità interno, che non esclude, per il rispetto dell'obiettivo di saldo, il ricorso degli enti territoriali all'aumento delle aliquote e dei tributi. In ogni caso, la dimensione dei risparmi attesi da maggiori entrate non è inferiore, per il 2007, a 20-22 miliardi, vale a dire i due terzi della manovra correttiva lorda.
Nell'ipotesi di un ricorso degli enti territoriali alla leva fiscale, questa incidenza sarebbe destinata a crescere fino a valori prossimi all'80 per cento del totale.
La pressione fiscale, già in crescita nel 2006, potrebbe aumentare ancora per più di un punto percentuale nel 2007. Questa scelta del Governo determina, secondo le stesse stime governative, due implicazioni di segno molto negativo: in primo luogo, un'azione correttiva orientata sul prelievo fiscale è destinata ad incidere in senso maggiormente depressivo sulla crescita economica, tant'è che la previsione è, per il 2007, di una crescita solo dell'1,3 per cento; in secondo luogo, ancora nel 2007, dopo la forte espansione in atto, si registrerebbe una crescita della spesa pubblica che difficilmente vedrebbe ridurre la propria incidenza sul PIL.
Il giudizio da esprimere sull'impianto generale della manovra è, pertanto, articolato. Non può che essere visto positivamente l'intento di forzare la dimensione della correzione del disavanzo tendenziale con il mantenimento dell'impegno di raggiungere nel 2007, senza improponibili diluizioni temporali, un rapporto indebitamento-PIL al di sotto della soglia del 3 per cento e di conseguire tale risultato senza ricorrere più ad interventi una tantum.
Allo stesso modo, appare improntato a criteri condivisibili l'insieme delle norme che dispongono regole di controllo della spesa sanitaria e di quella degli enti territoriali. Come dirò più avanti, si tratta infatti di strumenti che segnano e rafforzano un'impostazione coerente con l'intento di affrontare in modo strutturale situazioni di squilibrio cronico.
Solleva, invece, perplessità il rinvio a futuri provvedimenti legislativi delle scelte in materia di pensione e di pubblico impiego: tematiche alle quali la Corte ha ritenuto di dover dedicare un'attenzione particolare nella relazione annuale di quest'anno e nella stessa audizione sul DPEF del luglio scorso.
La scelta del rinvio di interventi correttivi anche di squilibri evidenti nel confronto europeo - come, ad esempio, quelli che segnalano un'anomala concentrazione di personale nei settori della scuola, della sicurezza e delle Forze armate, o quelli relativi alla spesa previdenziale e all'età effettiva di pensionamento - costituisce un indicatore preoccupante delle difficoltà che si frappongono al conseguimento di soluzioni veramente efficaci e, comunque, le proietta su un arco di medio periodo.
D'altra parte, il ritardo nell'affrontare le cause della crescita eccessiva della spesa nelle aree più critiche ha già prodotto, negli anni scorsi, danni rilevanti. Oltre alle implicazioni dirette sullo scostamento del disavanzo dal parametro europeo, non sono meno gravi le distorsioni generate nell'allocazione del bilancio pubblico. Il rinvio di correzioni efficaci in materia di pubblico impiego e di spesa pensionistica, che insieme rappresentano oltre il 55 per cento della spesa pubblica, al netto degli interessi, sta già da anni determinando infatti una concentrazione di tagli su categorie di spesa, come i consumi intermedi, che, superata una certa soglia critica, divengono difficilmente realizzabili o


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finiscono per incidere negativamente sull'efficienza dei servizi resi dalle amministrazioni pubbliche.
La Corte non può, pertanto, non reiterare l'auspicio che i tempi di maturazione delle riforme della spesa nei settori critici siano significativamente accorciati. Sulle materie della spesa pensionistica e del pubblico impiego le analisi specifiche condotte dalla Corte sono da tempo a disposizione del Parlamento. In tema di pensioni, in una fase segnata dall'esigenza di uno strutturale contenimento della spesa pubblica, si pone la questione di un accorciamento del percorso di stabilizzazione, da conseguire con attenta valutazione dei possibili interventi correttivi. Tra questi, la Corte rilevava l'attenzione crescente che anche in altri paesi va assumendo l'innalzamento dell'età pensionistica.
In tema di pubblico impiego, le nostre valutazioni sono orientate a rilevare l'insufficiente attenzione che i documenti programmatici riservano alle correzioni da apportare ai procedimenti in materia di politiche retributive, anche in relazione alla progressiva perdita di importanza della contrattazione nazionale - l'unica soggetta a controllo esterno - rispetto alla contrattazione integrativa. Anche nella recente relazione previsionale e programmatica, infatti, l'enunciazione delle linee di riforma in tema di pubblico impiego sembra concentrarsi su indirizzi condivisibili di gestione più efficace dell'allocazione del personale e del rapporto di lavoro, mentre sono assenti indicazioni strategiche sulle politiche retributive a livello centrale e periferico.
Come dicevo in precedenza, nella manovra gli interventi di contenimento che riguardano gli enti territoriali rappresentano il 63 per cento dei risparmi di spesa previsti per il 2007. Si tratta di 7,4 miliardi di euro, di cui circa 4,4 miliardi sono attesi dalla revisione del patto di stabilità interno e 3 miliardi dalla correzione degli andamenti della spesa sanitaria.
Senza illustrare le misure, vorrei subito passare a indicare le valutazioni della Corte. Più incerta è la valutazione sulla realizzabilità dei risparmi attesi e sulla sostenibilità delle misure, specie riguardo alle amministrazioni locali. Per quanto riguarda le regioni, va osservato infatti come la correzione prevista vada ad intervenire su un quadro tendenziale che, nella ricostruzione del Governo, non sembra presentare, nel 2007, andamenti particolarmente pronunciati. La crescita della spesa complessiva è per questi enti del 3,3 per cento rispetto al 2006 (in termini nominali) e risente soprattutto della dinamica dei trasferimenti alle aziende sanitarie ed ospedaliere regionali.
Al netto di tale componente, la variazione attesa nel quadro tendenziale è di poco superiore all'1,5 per cento. Se tale andamento troverà conferma, la manovra richiederà una riduzione degli importi relativi alle spese non sanitarie delle regioni del 2,2 per cento rispetto al risultato atteso per l'anno in corso; un obiettivo il cui impatto effettivo dipenderà, soprattutto, dalle scelte assunte in termini di voci di spesa.
Più difficile è apprezzare la sostenibilità e la realizzabilità della correzione a saldo da parte delle amministrazioni locali. Ai comuni e alle province è richiesto un miglioramento dei saldi, rispettivamente, di 2.242 e 378 milioni di euro. Il sistema proposto mira a chiedere un contributo all'aggiustamento complessivo più rilevante agli enti che negli ultimi anni hanno incrementato la spesa corrente e hanno mantenuto livelli di disavanzo più consistenti. Una prima misura del rilievo della correzione può trarsi guardando al rapporto tra miglioramento del saldo e livello di spesa complessiva nel 2005. Ipotizzando una correzione solo dal lato della spesa, la manovra comporta in media una riduzione della spesa complessiva del 2005 dell'ordine del 5,8 per cento per i comuni e del 5,6 per cento per le province.
Le prime valutazioni condotte a partire dal campione a disposizione della Corte dei conti, composto da circa 700 enti con popolazione superiore a 8 mila abitanti - campione che rappresenta il 65 per cento della popolazione di riferimento -, consentono di fornire evidenze ulteriori della


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difficoltà che possono incontrare le amministrazioni comunali. Il 73 per cento degli enti ha registrato un disavanzo nel triennio 2003-2005. Al 60 per cento di tali enti la riduzione di spesa richiesta è superiore ai 50 euro pro capite. Se poi si calcola la correzione in termini di spesa complessiva per le realtà in disavanzo, la variazione richiesta in media risulta di circa il 7 per cento e supera il 12 per cento nel 20 per cento degli enti.
Pur considerando che la parametrazione della correzione al saldo medio 2003-2005 fa sì che il rilievo dell'operazione richiesta risulti funzione inversa del risultato ottenuto nell'ultimo esercizio, sempre in termini di rispetto del patto, risulta tuttavia arduo ritenere che l'aggiustamento non debba essere condotto, per molte realtà territoriali, anche agendo dal lato delle entrate.
L'andamento dei pagamenti del primo semestre del 2006 segnala una crescita della spesa complessiva dei comuni di oltre il 3,5 per cento: cresce la spesa corrente (più 2,1 per cento); più netta è la variazione delle spese in conto capitale (più 7,2 per cento). Il disavanzo è inoltre cresciuto del 2,1 per cento. Si tratta di dati che, se confermati nella proiezione annuale, da un lato rafforzano la necessità delle misure di controllo della spesa, ma dall'altro spingono a valutare con cautela la sostenibilità dell'aggiustamento previsto.
Passo a illustrare le valutazioni della Corte riguardo alla spesa sanitaria. L'insieme delle misure proposte potrebbe consentire un'effettiva stabilizzazione della spesa. Non mancano, tuttavia, elementi che possono rendere il processo di risanamento ancora incerto. L'adeguamento delle risorse rispetto al quadro a legislazione vigente, alleviando l'onere dell'aggiustamento a carico delle regioni, non deve rappresentare una condizione per rallentare il processo di riorganizzazione della sanità regionale. Le misure introdotte per il contenimento dei costi, attraverso il taglio dei prezzi dei farmaci e delle analisi cliniche, possono avere effetti solo temporanei. Il conseguimento degli obiettivi è strettamente legato all'impegno effettivo di eliminare le ampie sacche di inefficienza e inappropriatezza che hanno condizionato i risultati, soprattutto delle regioni in disavanzo.
Ciò richiede l'attivazione di tutti gli strumenti disponibili e l'adozione di un monitoraggio infrannuale dei risultati, per evitare che, come nel recente passato, i risultati a consuntivo rivelino tardivamente la poca credibilità del quadro tendenziale. La logica dell'integrazione di risorse come regolazione debitoria che si ripete nell'esercizio e che è destinata a ridurre i disavanzi che si profilano per l'anno in corso, evitando l'attivazione più estesa delle misure fiscali a copertura dei disavanzi stessi, non rappresenta da questo punto di vista un elemento a conforto di una tenuta del sistema di responsabilizzazione regionale.
Il ridimensionamento delle misure di gestione e dei debiti delle aziende sanitarie ripropone il problema della copertura dei disavanzi pregressi. Andranno, a questo proposito, valutate con attenzione le scelte operate in attuazione della disposizione che introduce la possibilità, per le amministrazioni regionali, di ricorrere a coperture pluriennali per i disavanzi relativi agli esercizi pregressi.
La manovra sulle entrate per il 2007 è indicata nella relazione scritta, dunque evito di parlarne. Vorrei, piuttosto, passare alle considerazioni sulla fattibilità del maggior gettito associato alle misure proposte. Non ci sono, a prima vista, rilievi sostanziali da formulare per quanto concerne i 10,5 miliardi attesi dall'insieme dei prelievi tributari, previdenziali e di quelli relativi al settore sanitario. Perplessità suscita, invece, la valutazione di piena e tempestiva fattibilità del gettito legato alla valorizzazione e alla razionalizzazione del patrimonio pubblico, in particolare di quello relativo al demanio marittimo. Rischi di non piena e tempestiva fattibilità sussistono anche per la valorizzazione dei beni della difesa non più necessari per usi militari.
Per quanto attiene al maggior gettito di 8,8 miliardi legato alle misure che sono state raggruppate sotto il titolo «Miglioramento


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dell'efficienza della macchina tributaria», si possono formulare alcune considerazioni, distintamente per gli studi di settore e per gli altri interventi antievasione e antielusione. Gli effetti attesi dalle misure in materia di studi di settore, pur essendo soggette all'alea dei comportamenti che verranno concretamente adottati dai contribuenti interessati, in ordine alla scelta di spontaneamente adeguarsi alle nuove condizioni di congruità o di intraprendere, invece, la strada del contenzioso, appaiono sostanzialmente fattibili.
Nel formulare questa valutazione si tiene conto, da una parte, della capacità che l'amministrazione finanziaria ha dimostrato di saper gestire, nei tempi richiesti, le complesse operazioni di revisione dei numerosi studi e, dall'altra, della rilevazione effettuata a consuntivo di un maggior gettito per 2 miliardi e 16 milioni che si sarebbe avuto per l'anno di imposta 2004, a seguito dell'applicazione dei nuovi studi evoluti, entrati in vigore proprio quell'anno.
Questa rilevazione è anche di per sé un dato molto importante, se si considera che, dopo le numerose sollecitazioni in tal senso da parte della Corte, questa è la prima volta in cui vengono fornite precise indicazioni di ordine quantitativo sui risultati ottenuti con l'applicazione degli studi di settore.
Per ciò che attiene al maggior gettito atteso dalle misure del decreto-legge in materia di accertamento e contrasto all'evasione-elusione, si prestano a qualche osservazione le previsioni relative alla maggiore attività di accertamento e controllo ed al contrasto delle frodi IVA sugli autoveicoli. Nel primo caso, anche se l'ipotesi non appare astrattamente irragionevole, la relazione tecnica non spiega il procedimento seguito per ipotizzare un incremento di 4 miliardi di maggiore imposta accertata, incremento che viene genericamente collegato al forte impegno impresso all'attività di controllo e al maggiore orientamento dei compensi al personale, all'efficacia e ai risultati dell'azione di contrasto all'evasione.
Argomentato e convincente appare, per converso, il ragionamento seguito per stimare la quota degli accertamenti che potranno essere riscossi e che, peraltro, supera di poco il 10 per cento degli importi accertati. Il recupero IVA di 506 milioni sulle operazioni di acquisto comunitario e di importazione di autoveicoli appare convincente. Tuttavia, è irrealistico ipotizzare che il numero di tali operazioni non si riduca, ed anche drasticamente, una volta che, con l'applicazione della disposizione del decreto-legge, l'IVA non potrà più essere evasa.
Vorrei, infine, accennare ad un aspetto della manovra che non rileva direttamente sul piano delle quantificazioni, ma che riveste importanza ai fini della lotta all'evasione e dell'attuazione del federalismo fiscale. Mi riferisco al previsto trasferimento delle funzioni catastali ai comuni, a decorrere dal 1o novembre del prossimo anno. A questo riguardo, la Corte si esprime favorevolmente sull'operazione, peraltro raccomandando che, al fine di evitare che ciò si traduca in un aumento dei costi della riscossione, si dia la possibilità agli enti locali di avvalersi delle strutture dell'amministrazione finanziaria, quindi dell'Agenzia del territorio.
A questo punto, presidente Duilio, mi fermo. Ovviamente, mi sono limitato agli aspetti che ho ritenuto più interessanti.

PRESIDENTE. La ringrazio, presidente Staderini, per questa esposizione, chiara e puntuale come al solito.
Do ora la parola ai colleghi che intendono porre quesiti e formulare osservazioni.

ENRICO MORANDO, Presidente della 5a Commissione del Senato. Intendo porre una domanda precisa per sapere se, sul dato della pressione fiscale del 2006, la Corte ha un'ipotesi un po' più definita di quale sia il livello di crescita rispetto al 2005.
Risulta difficile, anche sulla base dell'esame dei documenti del Governo, valutare l'aumento del 2007, proprio in rapporto al fatto che non è chiarissima la


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quantificazione della pressione fiscale complessiva relativa al 2006. Sulla base della nota di aggiornamento al DPEF, avete un'idea precisa del livello di pressione fiscale del 2006?

FRANCESCO STADERINI, Presidente della Corte dei conti. Non abbiamo dati particolari a nostra disposizione.

ENRICO MORANDO, Presidente della 5a Commissione del Senato. Le chiedevo se c'era già un'ipotesi riassuntiva.

FRANCESCO STADERINI, Presidente della Corte dei conti. No.

PRESIDENTE. Mi permetto solamente di sottolineare la parte relativa alla certificazione che lei richiamava, per la prima volta in termini positivi, per quanto attiene al possibile flusso di entrate connesse alla revisione degli studi di settore: questo ci tranquillizza, come Commissione bilancio, nel senso che, come peraltro avevamo già ritenuto, porta ad eliminare quella dimensione di aleatorietà che potrebbe caratterizzare, invece, l'iscrizione in bilancio di cifre che non siano supportate adeguatamente. Ciò rappresenterebbe un vulnus al tema della trasparenza dei conti pubblici. Sono particolarmente lieto, dunque, della sottolineatura fatta dal presidente Staderini.

ANTONIO MISIANI. Volevo chiedere al presidente della Corte dei conti una valutazione su una delle misure più controverse per quanto riguarda gli enti locali: il tetto del 2,6 per cento di aumento dello stock di debito in essere rispetto al finanziamento degli investimenti.

FRANCESCO STADERINI, Presidente della Corte dei conti. Per quanto riguarda le misure relative agli enti locali, ci siamo espressi favorevolmente sul ricorso al sistema dei saldi di bilancio, anche se la costruzione del sistema stesso implica un intreccio di componenti che non è molto facile illustrare.
Tuttavia, il sistema adottato ci sembra sicuramente un progresso rispetto a quello dei tetti di spesa, che peraltro rimangono, per quanto riguarda l'indebitamento. Si tratta di una misura in qualche modo cautelare, in quanto vi sono situazioni in cui il ricorso al debito può creare veramente problemi circa la sostenibilità dello stesso debito e l'equilibrio dei conti nei comuni interessati. Già in passato, si è avuto qualche caso in cui si è fatto ricorso a debiti anche per poter far fronte, in violazione della norma finanziaria, a spese correnti, qualche volta sfruttando quelle liquidità che venivano fornite dalle banche, nel passaggio da un sistema di mutui a tasso fisso ad un altro a tasso variabile, o viceversa.
Per quanto riguarda la misura dei vincoli imposti con il sistema dei saldi, abbiamo notato che si tratta di vincoli assai pesanti e, soprattutto, che operano in misura diversa da ente ad ente. Pertanto, ci sono enti che possono sostenere serenamente questi vincoli, mentre altri si troveranno in gravissime difficoltà. Questo riguarda soprattutto quegli enti che, nel triennio precedente, hanno aumentato l'indebitamento, pur trattandosi magari di un aumento dovuto a ragioni più che corrette, ad esigenze straordinarie, o anche in presenza di una previsione di sostenibilità.
Sotto questo profilo, sembrerebbe alla Corte accettabile e forse opportuno operare qualche intervento correttivo, venendo incontro anche alle richieste degli enti locali.

PRESIDENTE. La ringrazio, presidente. Quanto lei diceva è nella linea che abbiamo già evidenziato nell'incontro col ministro e che è emersa anche in incontri successivi. Pertanto, ho ragionevoli speranze che si vada in questa direzione.

ADRIANO MUSI. Vedo che, a pagina 5 della sua relazione, il presidente richiama di nuovo le perplessità circa il rinvio dei provvedimenti relativi alla materia pensionistica, facendo anche riferimento alla relazione annuale presentata. Vorrei che fosse fornita alle Commissioni una più


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puntuale valutazione sulla spesa previdenziale, riclassificandola ai sensi della legge n. 88 del 1989 e della legge n. 243 del 2004, che evidenziano la necessaria separazione tra previdenza e assistenza. Occorre, quindi, dare una più puntuale e corretta visione di quello che si intende per spesa previdenziale e quello che si intende per spesa assistenziale, per capire se i problemi nascano dalla prima o dalla seconda.

ETTORE PERETTI. Signor presidente, a pagina 5 della relazione si fa riferimento ad un'anomala concentrazione di personale nei settori della scuola, della sicurezza e delle Forze armate. Mi chiedo se la Corte sia in grado di fornirci un dettaglio e un'articolazione di questi dati, che ci possono permettere di dare una valutazione più compiuta, e se ritenga - qui non è evidenziato - appropriata la dotazione di personale negli enti locali o se, anche da questo punto di vista, vi sia necessità di riorganizzazione. Chiedo inoltre se, anche relativamente a tali aspetti, sia possibile avere eventualmente dei dati, magari articolati per territorio o per tipo di ente.

PRESIDENTE. Anch'io volevo porre una domanda, prima di ascoltare la replica del presidente. Il mio quesito riguarda la contrattazione del pubblico impiego, un tema che si presta alle riflessioni più varie e contraddittorie, per quanto riguarda sia il discorso della contrattazione nazionale sia quello, da lei richiamato, della contrattazione integrativa o decentrata.
Sulla contrattazione nazionale mi pare che lei, anche in altre occasioni, abbia avuto modo di pronunciarsi, e quindi le chiedo se esista - essendo la Corte inappuntabile nelle sue rilevazioni - un parametro di riferimento che porti sostanzialmente a fare chiarezza sulla dinamica di questa contrattazione pubblica a livello nazionale. È un argomento che, lo ripeto, si presta alle valutazioni politiche più diverse, ma ci piacerebbe che venisse definito, da un punto di vista tecnico, nelle sue performance, in modo da evitare ogni elemento di dubbio nella sua dinamica quantitativa nel tempo.
La seconda questione che volevo sottoporre fa riferimento a quanto il presidente, invece, evidenziava sulla contrattazione decentrata, che, se non ho capito male, sta sfuggendo al nostro controllo, in quanto non si riescono a fare un monitoraggio ed una ricognizione significativa. Comunque, siccome i numeri sono numeri, pur sfuggendo ad una possibile ricognizione puntuale, la contrattazione decentrata produce i suoi effetti, da un lato cumulandosi con la contrattazione nazionale - e, quindi, in termini di saldo complessivo, che pure bisognerebbe richiamare quando si valutano le performance della contrattazione in questo settore -, dall'altro, producendo effetti con riferimento al proprium della contrattazione integrativa, che forse sarebbe bene cercare di investigare a livello ricognitivo.
Siccome la difficoltà da lei segnalata è anche la nostra, volevo chiedere se la Corte dei conti possa darci una mano in questo senso, se possa attrezzarsi con un quadro ricognitivo che, magari con riferimento ad alcuni anni, ci permetta di avere qualche lume in più su un fenomeno che anche noi riteniamo essere piuttosto stratificato e vischioso, ma non certo irrilevante da un punto di vista finanziario.

FRANCESCO PIRO. Anche in questa relazione viene richiamata - ad esempio, a proposito dell'attività dell'amministrazione finanziaria - l'opportunità dell'implementazione del controllo di gestione, della valutazione e, quindi, della pianificazione strategica.
Nel nostro ordinamento è stata introdotta una riforma abbastanza importante, relativa al sistema dei controlli, la cui funzionalità ovviamente è anche legata a una buona attività di pianificazione e, comunque, di programmazione dell'attività e degli interventi.
Le chiedo, essendo un tema che anche recentemente abbiamo trattato a proposito dell'assestamento e del rendiconto di bilancio, quale sia la valutazione della Corte


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sull'attuale sistema del controllo strategico e di gestione, a livello sia delle amministrazioni centrali che di quelle periferiche.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Staderini, anche perché mi pare che siano emersi parecchi elementi di discussione.

FRANCESCO STADERINI, Presidente della Corte dei conti. Inizierò dalle ultime domande. Sul funzionamento dei controlli interni la Corte si è pronunciata più volte, lamentando il difficile e lento realizzarsi della riforma nell'ambito delle amministrazioni, sia centrali che periferiche (il problema è lo stesso). Naturalmente, possono esserci situazioni diverse, a seconda del ministero, ma il giudizio complessivo non è positivo. In ogni caso, la Corte dedica annualmente al funzionamento dei controlli interni una parte della sua relazione al Parlamento, in cui vengono forniti dati precisi.
A livello degli enti locali la situazione è anche peggiore. La normativa - che ricalca quella statale - sulla realizzazione dei controlli interni è assolutamente inadatta per le piccole amministrazioni locali; è una normativa che è stata formulata con riguardo ai ministeri, poi si è previsto che gli enti locali, nei loro statuti, ne avrebbero dovuto recepire quanto meno le indicazioni generali.
Quindi, nelle grosse amministrazioni, soprattutto in genere in quelle provinciali, i controlli interni esistono e, in alcuni casi, funzionano anche egregiamente, ma nelle amministrazioni medio-piccole tali controlli sono pressoché inesistenti, oppure hanno un'esistenza solo formale.
Al presidente Duilio, che mi chiede di ritornare sull'argomento della contrattazione nazionale in rapporto a quella decentrata, rispondo che anche questo è un argomento che più volte abbiamo affrontato. L'espansione della spesa per il personale - è un dato oggettivo, nell'ultimo quinquennio essa ha superato il 2 per cento del PIL nominale - non è dovuta tanto alla contrattazione nazionale, che si mantiene nei limiti prefissati dagli stanziamenti, ma è una conseguenza della contrattazione decentrata, della contrattazione integrativa, che sfugge ad ogni controllo.
Infatti, la contrattazione nazionale è certificata dalla Corte, la quale accerta che ci siano gli stanziamenti necessari per farvi fronte e che gli oneri siano effettivamente calcolati; diversamente, la Corte non concede la sua certificazione positiva, cosa che peraltro - in questi ultimi tempi - è avvenuta non di rado.
Per quanto riguarda, invece, la contrattazione integrativa, non ci sono altro che controlli interni, i quali, anche quando funzionano, servono solo a monitorare il fenomeno e a segnalarlo ai livelli superiori, ma non c'è alcuna possibilità di intervenire con effetti impeditivi. Pertanto, vanno rivisti i controlli sulla contrattazione integrativa. Bisogna, inoltre, tenere conto del fatto che, con la contrattazione integrativa, si incide sull'organizzazione del personale, sugli organici. In questi ultimi tempi, si è assistito, in moltissime amministrazioni pubbliche, ad una rimodulazione degli organici, con la riduzione dei livelli inferiori a vantaggio di quelli superiori. I livelli inferiori sono rimasti, magari, nell'organico a livello simbolico, ma il numero dei posti previsti ai piani bassi della piramide è ridottissimo, mentre i posti nelle sfere alte sono aumentati. Anche in questo modo aumenta la spesa del personale, sfuggendo naturalmente ad ogni calcolo preventivo.
Oltre a ciò, interferiscono naturalmente le stesse leggi, che ogni tanto intervengono concedendo benefici a qualche categoria particolare: nelle medie statistiche sono comprese categorie avvantaggiate ed altre che, invece, non lo sono state; pertanto, talvolta si assiste, a fronte delle relazioni della Corte che indicano un aumento eccessivo della spesa per il pubblico impiego, alla giusta protesta del sindacato di qualche amministrazione, che ci sfida a provare che gli aumenti ci siano stati.
Del resto noi ragioniamo, in effetti, sulla base di medie che - come sappiamo - non tengono conto dei casi limite, che


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naturalmente comprendono sia chi ha guadagnato molto, sia chi, invece, è rimasto fermo.
All'onorevole Peretti, che chiedeva coma faccia la Corte ad indicare un eccesso di personale in alcuni settori del pubblico impiego, rispondo che questa è una conseguenza di comparazioni internazionali. Ad esempio, il rapporto docenti-allievi in Italia presenta una sperequazione di circa il 20, forse anche il 25 per cento: abbiamo un numero di docenti, in relazione agli allievi, superiore alla media europea, e questo è un dato certo. Stesso discorso nel caso del personale addetto alla pubblica sicurezza, nelle sue varie componenti, che è superiore - in rapporto alla popolazione - al medesimo personale utilizzato, ad esempio, in Francia o in Inghilterra.
Del resto, queste non sono solo affermazioni della Corte; le ha fatte anche lo stesso Ministero dell'economia e si trovavano nella bozza che ha accompagnato il DPEF. In seguito, non sono più apparse nel documento ufficiale approvato dal Parlamento, ma tutti le abbiamo potute leggere nella bozza preliminare.
Vorrei, infine, affrontare le questioni sollevate dall'onorevole Musi, il quale giustamente ritorna sul problema della previdenza e lamenta che la Corte dei conti, nell'affermare che la spesa previdenziale in Italia è superiore di circa tre punti a quella dei maggiori paesi europei, forse non tiene conto che, nella composizione della spesa previdenziale, rientrano spese di natura assistenziale (le pensioni contributive e quelle sociali). È un discorso esatto, ma non cambia le nostre osservazioni. Noi infatti facciamo riferimento a statistiche ufficiali, eseguite secondo il sistema europeo delle statistiche della protezione sociale. È un sistema utilizzato in tutti gli stati, secondo il quale ci sono criteri convenzionali, da tutti accettati, per ricomprendere quelle prestazioni che devono essere considerate previdenziali a quegli effetti. Se, quindi, la statistica ufficiale è questa, ha poca importanza che siano comprese spese sociali e non previdenziali, perché questo se avviene in Italia avviene anche negli altri stati, e il divario tra la nostra spesa previdenziale e quella degli altri paesi permane.
Sono d'accordo con l'onorevole Musi quando afferma che in Italia la spesa per il welfare, la spesa sociale, è invece inferiore alla media europea. La Corte non ha mai sostenuto il contrario, non ha mai detto che tale spesa debba essere limitata. La Corte, anzi, ha spesso posto l'accento sul fatto che il riequilibrio e la riduzione della spesa previdenziale potrebbero liberare risorse per il welfare e per la spesa sociale.
La diversità più importante e meno confutabile riguarda l'età media del pensionamento, che in Italia è più bassa che altrove. È un dato a cui, tra l'altro, occorre porre rimedio, perché negli altri paesi europei, dove si va in pensione più tardi, si stanno comunque attuando misure per elevare ulteriormente l'età di pensionamento.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Staderini. L'onorevole Musi non sarà ancora convinto di questa sua spiegazione...

ADRIANO MUSI. Nel resto d'Europa la spesa pensionistica è considerata al netto delle tasse, mentre da noi al lordo delle tasse; nella spesa pensionistica italiana è compreso il TFR, a differenza di quel che succede negli altri paesi.
La questione non riguarda tanto l'allungamento dell'età di pensionamento (argomento sul quale, peraltro, mi trovo d'accordo con il presidente); dire che la spesa previdenziale è alta crea un problema di scelte politiche coerenti in merito all'intervento sulla spesa sociale o su quella previdenziale. La questione, quindi, si pone in termini di spesa, non di età, aspetto sul quale siamo d'accordo. Tuttavia, è chiaro che, in presenza di errori nel calcolo statistico, le decisioni che deve assumere il Parlamento rischiano di essere sbagliate.

FRANCESCO STADERINI, Presidente della Corte dei conti. È proprio quello che contestiamo, ossia che ci siano errori nel


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calcolo statistico, perché seguiamo i criteri statistici ufficiali adottati in tutta Europa, secondo il sistema europeo - lo ripeto - delle statistiche della protezione sociale. Non sono statistiche realizzate dalla Corte dei conti, ma da istituti internazionali, che si richiamano a questo sistema. La Corte dei conti non è in condizioni di fare statistiche che tengano conto della spesa previdenziale degli altri stati.

PRESIDENTE. La ringrazio, presidente, è stato chiarissimo. Mi permetto semplicemente di dire, in relazione a quanto lei affermava, che la contrattazione integrativa nel pubblico impiego è questione di non poco conto. È un argomento che si presta - mi permetto di dire - ad una qualche anarchia, rispetto a quel che accade. Noi, come Parlamento, ci porremo - nella sede propria - l'obiettivo di prevedere norme che conducano ad una ricognizione, obbligata e obbligatoria, affinché questo fenomeno non continui ad essere «anarchico», considerati i riflessi che determina.
Peraltro, spero che tutto ciò sia oggetto di approfondimento anche in sede governativa e con le parti sociali, ovviamente valorizzando quanto c'è di positivo, ma anche evidenziando gli aspetti sui quali asetticamente si deve compiere una ricognizione.
La materia da valutare è ampia e comprende, ad esempio, il tema della spesa relativa al personale. Lei si riferiva alla contrattazione integrativa, ma forse meriterebbero un approfondimento i sistematici e pluriennali passaggi interni attraverso definizioni di mansionari, che costituiscono una forma surrettizia di passaggi di qualifica, con relativi aumenti di spesa. Sono diventati ormai una norma, e in alcuni casi - lo dico un po' ironicamente - trovano uno sbarramento solo nei limiti di legge; diversamente, saremmo un paese che fa diventare medici gli stessi infermieri.
È una battuta, che non vuole essere ironica. È chiaro che si chiede la ricognizione di un fenomeno - a mio modesto avviso, e mi permetto di assumermi la responsabilità di quanto dico - molto spesso nemmeno giustificato dalla complessità delle mansioni definite suscettibili di attribuire il diritto, o almeno la legittima aspettativa, di passare di qualifica. È una questione che dovrà costituire oggetto di una riflessione e di un monitoraggio adeguato, se non vogliamo limitarci a dissertazioni semplicemente sui parametri della contrattazione nazionale, i quali sono solo un modestissimo indice di quello che accade in termini di crescita della spesa: diversamente, non si riuscirà a cogliere le ragioni profonde che determinano le variazioni in aumento di questa spesa.
Ringrazio nuovamente il presidente per la sua puntuale relazione, come al solito per noi molto utile, e i colleghi, i quali tra pochi minuti saranno impegnati presso la Commissione finanze, dove in seduta congiunta sarà esaminato il decreto fiscale.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,30.