COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta pomeridiana di marted́ 10 ottobre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI LINO DUILIO

La seduta comincia alle 20,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Confcommercio e Confesercenti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2007-2009, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del regolamento della Camera e dell'articolo 126, comma 2, del regolamento del Senato, l'audizione dei rappresentanti di Confcommercio e Confesercenti.
Per la Confcommercio sono presenti: il dottor Taranto, direttore generale; il dottor Mochi, direttore del centro studi; il dottor Vecchietti, direttore dell'area legislazione di impresa; il dottor Vento, responsabile del settore legislazione tributaria; il dottor Persiani, assistente del direttore generale; il dottor Ragaini, funzionario dell'area comunicazione e stampa; la dottoressa Floridia, funzionaria dell'area comunicazione.
Per la Confesercenti sono presenti: il dottor Venturi, presidente; il dottor Bussoni, vicedirettore generale; il dottor Fortunato, responsabile dell'ufficio rapporti con le istituzioni; il dottor Oliva, responsabile dell'ufficio economico; il dottor Campo, addetto stampa.
Cedo la parola ai rappresentanti della Confcommercio.

CARLO MOCHI, Direttore del centro studi di Confcommercio. Presidente, interverrò in qualità di direttore del centro studi della Confcommercio. Ci scusiamo con le Commissioni se - a causa di riunioni inderogabili, tuttora in corso - alcuni dei nostri esponenti non sono presenti in questo momento. Per ovviare a ciò, piuttosto che fare attendere l'arrivo degli altri rappresentanti, saremo noi presenti ad intervenire.
Il dibattito sulla legge finanziaria ci ha visto fortemente coinvolti da una serie di provvedimenti che oggettivamente non immaginavamo potessero essere né di questa intensità, né di questa gravità per quanto riguarda i settori da noi rappresentati. Avevamo intravisto, nel DPEF, alcuni obiettivi condivisibili, quali processi di privatizzazione e riduzione del debito pubblico; tutto questo in uno scenario che avrebbe dovuto condurre ad una riduzione significativa degli andamenti strutturali della finanza pubblica e soprattutto all'introduzione di misure strutturali dirette a piegare la dinamica della spesa pubblica, agendo sul pubblico impiego, sul sistema pensionistico, sulla spesa sanitaria, sulla finanza degli enti decentrati. Scorrendo, oggi, il testo del disegno di legge finanziaria, di questo progetto è rimasto molto poco. Senza contare che siamo di fronte ad una manovra significativamente pesante, per entità e per intensità, seconda


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soltanto a quella di Giuliano Amato del 1992: una manovra correttiva di circa il 2,3 per cento del PIL, cui occorre sommare l'aggiustamento di un ulteriore 0,3 per cento, cioè di altri 4 miliardi derivanti dal decreto fiscale, per sterilizzare l'impatto dell'extra deficit della recente sentenza europea in materia di IVA.
Intanto, però, il positivo andamento delle entrate, aumentate di circa 24 miliardi di euro nei primi sette mesi del 2006, e la riduzione del fabbisogno di cassa dello Stato (pari a circa 25 miliardi) nei primi nove mesi del 2006 hanno reso oggettivamente molto più agevole il perseguimento dell'obiettivo del risanamento; a tal fine, sono, inoltre, generosamente destinati 15,2 miliardi di euro (sul complesso dei 34,7 miliardi), attraverso i quali ricondurre l'indebitamento netto al 2,8 per cento del PIL, e quindi al di sotto della fatidica soglia del 3 per cento imposta dal patto di stabilità e crescita.
Stando così le cose, sarebbe stato lecito aspettarsi, a fronte della confermata scelta di una manovra comunque quantitativamente ambiziosa, misure altrettanto ambiziose - sul piano qualitativo - per il contenimento strutturale della spesa pubblica, per il perseguimento dell'equità e, soprattutto, per l'accelerazione del tasso di crescita dell'economia del paese. Purtroppo, non ritroviamo tutto ciò nel disegno di legge finanziaria; se analizziamo il sentiero di politica economica prefigurato dal 2007 al 2011, notiamo che il massimo di crescita programmato è l'1,7 per cento, e c'è una sequenza di manovre (nell'ordine di 40 miliardi di euro), che si protraggono dal 2007 al 2011, per raggiungere l'obiettivo di portare il debito al di sotto del 100 per cento. Ma sono profili che si pagano in termini di mancato sviluppo della nostra economia.
Già il 2007 è un anno che registra, rispetto al 2006, una minore crescita, dell'ordine di circa 0,4-0,5 punti percentuali. Perché accade questo? Soprattutto perché la manovra opera prevalentemente dal lato delle entrate: 17 miliardi di euro, di cui entrate fiscali per circa 5,3 miliardi ed entrate previdenziali per 12 miliardi di euro; e si tenga conto anche del conferimento all'INPS dei flussi del TFR per circa 6 miliardi e dell'aumento complessivo di oneri contributivi per un pari importo.
A ciò, poi, dobbiamo sommare i 4 miliardi del decreto fiscale. Tra l'altro, occorre capire se i tagli effettuati nei confronti di regioni ed enti locali siano autentici oppure se rientreranno nel sistema attraverso una maggiore imposizione degli enti locali, con effetti non piccoli in termini di mancata crescita, perché oggi siamo tornati ad una pressione tributaria superiore al 42 per cento. E, presumibilmente, è questo il tetto che il paese dovrà sopportare per arrivare al di sotto della soglia del 100 per cento.
Il nostro è già un paese che non cresce, o perlomeno che cresce molto meno dei partner europei, per di più, il sistema economico affronterà un periodo molto difficile, perché se, da un lato, gli effetti saranno positivi, ossia di alleggerimento (e mi riferisco al cuneo fiscale), dall'altro, saranno più che compensati da effetti relativi all'imposizione fiscale sul sistema, tenendo conto delle prospettive possibili di un mercato che sta scontando misure restrittive.
Arriviamo, ora, ai settori da noi rappresentati, anche perché, nel disegno di legge finanziaria, sono sicuramente i più colpiti, con l'incremento degli oneri previdenziali e con la rivisitazione degli studi di settore: di per sé, la manovra appare sicuramente utile e necessaria, di fatto, però, essa comporta una revisione, finalizzata all'acquisizione di maggiori risorse - prevedendo un gettito significativo di oltre 3 miliardi di euro -, non neutrale in termini tecnici, perché già concepita in termini di ulteriore aggravio fiscale per questo sistema imprenditoriale.
Si pone, poi, il problema del fondo INPS, ossia del trasferimento di 6 miliardi all'Istituto per quello che riguarda lo smobilizzo del TFR, con una serie di pesanti effetti correlati. In primo luogo, l'aver provveduto un anno prima del conferimento alle mutue volontarie, dunque ai fondi di categoria, di fatto, disincentiva la costituzione di tali fondi pensione.


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Vi è, poi, un secondo effetto, dal momento che tutto ciò impone alle imprese esigenze di liquidità e, oggi, il sistema bancario del nostro paese, soprattutto per le piccole e medie imprese, non garantisce il recupero di risorse, e soprattutto non lo garantisce a costi competitivi.
Per questa ragione, chiediamo che tale previsione venga cancellata, superando così questa situazione, perché oggi c'è il rischio oggettivo che le piccole imprese si trovino a dover sopportare maggiori costi in un mercato la cui crescita - è il dato relativo alla domanda interna - appare molto modesta, se non asfittica (siamo nell'ordine dell'1 per cento).
Volendo sintetizzare il mio intervento con richieste più precise, noi chiediamo che venga rivista tutta una serie di misure. Mi riferisco, tra gli altri, al discorso sulla previdenza: in questo caso, i nostri conti, in termini previdenziali, sono in attivo; la contribuzione, dunque, per quanto riguarda il nostro settore - messo sullo stesso piano degli altri - non si giustifica in termini gestionali. In altri termini, tale contribuzione - di cui non si comprende bene la destinazione - non occorre certo alla gestione commercianti.
Un altro aspetto che vorrei porre in evidenza riguarda la realizzazione di imposte di scopo. Mi riferisco, soprattutto, a quella relativa ad un vagheggiato recupero dell'imposta di soggiorno, che avverrebbe proprio in un momento in cui il nostro settore turistico vive una forte competizione di carattere internazionale, in termini sia di incoming che di outgoing.
La terza considerazione concerne la necessità che gli studi di settore non divengano - per motivazioni strettamente tecniche - il mezzo di catastalizzazione del reddito delle categorie degli autonomi.
Inoltre, occorre decidere in merito all'enucleazione delle piccole e medie imprese, quantomeno rispetto alle misure sul TFR: è un problema di cui anche gli organi di stampa hanno ampiamente parlato in questa sede, però, ciò che a noi interessa non è fare discorsi di carattere giornalistico ma sapere come tale norma possa essere modificata.
Infine, riteniamo che l'intera manovra finanziaria debba essere rivolta maggiormente allo sviluppo; infatti, il nostro sistema di piccole e medie imprese ha bisogno di forzare gli investimenti e, sotto questo profilo, crediamo che il disegno sia, almeno per il momento, estremamente debole.

PRESIDENTE. Nel ringraziarla per l'utile relazione, cedo la parola al presidente della Confesercenti, dottor Marco Venturi.

MARCO VENTURI, Presidente di Confesercenti. Penso sia doveroso partire da una affermazione: l'impostazione data a tutta la fase di preparazione del disegno di legge finanziaria rischia di far saltare 13 anni di concertazione, modalità fondamentale seguita - dall'accordo del 1993 - per affrontare la difficile situazione dei conti pubblici, prima, e per l'ingresso nell'euro e la crescita del nostro paese, poi. È una responsabilità che riteniamo grave: il deficit e il debito pubblico espressi da questo paese non possono permettersi una rottura di questa natura del metodo della concertazione.
Stiamo pagando, semmai, 20 anni di follie fatte in Italia: parliamo del deficit e del debito pubblico, e dunque delle difficoltà e dei ritardi riscontrati in tutto il territorio.
Tuttavia, anche rispetto a questo, credo sia importante ragionare su elementi e numeri realmente espressi, che noi vogliamo evidenziare e sottolineare. Il Governo ha dichiarato apertamente (ma basta esaminare la manovra per rendersene conto) di voler puntare sulle entrate, scegliendo, quindi, di agire soprattutto sui tagli, come da noi ripetutamente auspicato, recentemente e nel corso degli anni.
Di fatto, la piccola e media impresa sono state escluse dagli obiettivi centrali strategici della manovra finanziaria: le trattative sono state fatte soprattutto con Confindustria e con i sindacati; e questo significa non avere un'idea esatta della composizione sociale ed economica del paese. Il risultato, però, è che tutti sono


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scontenti; gli stessi industriali si erano creati delle illusioni, e tra le piccole e medie imprese c'è un clima che definirei pessimo. Lo stesso avviene per quanto riguarda i sindacati: con le accuse di evasione si tendeva a mantenere un certo status quo, ad esempio, un eccesso di personale pubblico e di disfunzioni della pubblica amministrazione. Sulla base di queste considerazioni, il conto viene quindi presentato a noi. Tuttavia, anche la Confindustria ha dovuto prendere atto di alcuni conti che non sono tornati: quando è arrivata la «mazzata» sul TFR, anche Confindustria si è scontrata con la dura realtà, trattandosi di un provvedimento che sottrarrebbe alle imprese 13 miliardi, da un punto di vista finanziario.
Inoltre, non è chiaro quali compensazioni ciò comporti: ci domandiamo se ci sia davvero, dunque, una volontà di escludere dal provvedimento, come è stato annunciato dal Presidente del Consiglio, le piccole e medie imprese. Se questo venisse confermato, per noi sarebbe un passaggio positivo. Vorremmo, però, comprendere meglio il significato di questa eventuale esclusione: ci chiediamo, ad esempio, fino a quanti dipendenti debba avere l'azienda.
Bisogna poi considerare un'altra novità, consistente nel pagamento del dieci per cento dei contributi per gli apprendisti: è un elemento che giudichiamo in maniera molto negativa.
La nostra impressione è che si possa coltivare ancora l'illusione di una ricetta dolorosa, eppure significativa, affrontando il nodo della spesa e degli sprechi nella pubblica amministrazione. Nel corso degli ultimi otto o nove anni, abbiamo presentato quattro rapporti, ognuno con cento casi di spreco: a fronte di ciò, la quantificazione - non comprensiva di tutti i 400 casi - ammonterebbe a circa 125 miliardi di euro. Ciò nonostante, pur riconoscendo il grado di difficoltà del lavoro da svolgere siamo consapevoli della necessità di iniziare ad affrontare alcuni nodi fondamentali, a livello sia centrale sia territoriale.
Anche l'autonomia impositiva deve mantenere regole precise: in altri termini, non si deve solo agire sulla spesa a livello territoriale, così come la sostituzione di interventi centrali con l'autonomia impositiva non può equivalere ad un aumento del prelievo fiscale. In questi anni, la tassazione locale è aumentata notevolmente, senza che quella centrale si riducesse: in tal senso, anche le tasse comunali di scopo possono diventare un ulteriore peso da sopportare.
Intendo dire che, in assenza di un progetto di riequilibrio nazionale e territoriale, c'è il rischio che ogni intervento si sommi al precedente ingenerando, quindi, un corrispondente appesantimento. La stessa valutazione è valida, ad esempio, per l'imposta di soggiorno: anche in questo caso, non è corretto pensare che l'imposta sia pagata dai turisti perché, alla fine, sono le imprese a pagare, non potendo gravare oltre misura il costo del soggiorno di un turista. Inoltre, le mete turistiche sono numerose ed i viaggi più semplici rispetto al passato, grazie anche alle compagnie aeree: i turisti scelgono altre località, se non teniamo conto di questi fattori. Né, tanto meno, è possibile giustificare un intervento simile sostenendo che l'imposta di soggiorno è presente in altre città europee: in realtà, quei paesi (è un problema che poniamo da tempo) applicano un'IVA sul turismo più bassa della nostra, e quindi hanno forse margini di guadagno diversi da quelli italiani.
Si pone, invece, la necessità di modificare il rapporto tra entrate e spese: nel 2006, abbiamo avuto entrate pari al 43,86 per cento del PIL e spese pari al 47,96 per cento: siamo di fronte ad una spesa maggiore, rispetto all'entrata, di ben 4,1 punti percentuali. Non solo: di quel 47,96 per cento, il 44,60 per cento rappresenta spesa corrente, e quindi solo il 3,36 per cento corrisponde a spesa per investimenti.
Bisogna, dunque, ragionare su questi dati e lavorare per invertire tali fattori, affinché si possano superare le difficoltà attuali; affrontare il nodo della spesa pubblica diventa, così, un elemento centrale per non trovarci costretti ogni anno, a fare una scalata, a discutere dei maggiori prelievi


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sulle imprese, su quelle piccole in particolare, e qualche volta - come in passato - anche sulle famiglie.
È necessario, inoltre, superare le strumentalizzazioni, inclusa l'accusa di evasione fiscale rivolta alle piccole imprese - spesso a gestione familiare - sulla base di numeri che sinceramente ci offendono: non sono falsi, sono numeri veri, ma non tengono conto della diffusione dell'impresa familiare nel nostro paese. Riguardo alla singola impresa familiare, il reddito pubblicato su alcuni quotidiani, o comunque reso noto in altra maniera, dovrebbe essere moltiplicato spesso per due o tre componenti; quindi, è un reddito ufficialmente individuale, che però, di fatto, non corrisponde al reddito dell'impresa, non coincidente con la media indicata. Non è possibile che, con il pretesto dell'evasione, vengano prelevati sui redditi di commercianti ed artigiani 3 miliardi e 211 milioni (sono elaborazioni da noi realizzate sulla base di una documentazione ufficiale, senza includere nel dato il TFR, considerata la comunicazione, a tal proposito, anticipata dal Presidente del Consiglio), praticamente, 783 euro per ogni commerciante ed artigiano. Dobbiamo tenere conto di tutto ciò, nonché del fatto che gli studi di settore, al contrario di quanto era stato detto inizialmente, sono stati tutti aggiornati e risultano congrui per oltre l'80 per cento delle imprese.
Abbiamo, quindi, rispettato l'accordo a suo tempo concluso con il Governo; in proposito, vorrei fornirvi un dato - a mio avviso molto importante - della SOGEI: 470 mila 693 piccole e medie imprese su 3 milioni 193 - quindi circa il 17 per cento del totale - si sono adeguate al momento della dichiarazione. Ciò consente un recupero di un volume di affari di circa 3 miliardi di euro, e quindi di circa 1 miliardo di imposta reale.
Vi invito a chiedervi perché tali imprese decidano di adeguarsi al momento della dichiarazione; io vi rispondo, se mi è consentito, che i centri servizi delle associazioni delle piccole e medie imprese, ed evidentemente anche i commercialisti privati, consigliano loro di farlo. Questo avviene perché ci siamo impegnati in tal senso, concludendo un accordo con l'allora ministro delle finanze Visco: ci siamo esposti, anche in televisione, sulle reti RAI, invitando le imprese ad aderire agli studi di settore. I dati che ho fornito indicano un successo raggiunto, quindi bisogna creare un clima più collaborativo e positivo per ottenere risultati. Se intraprendiamo solo processi, queste finestre di collaborazione inevitabilmente si chiuderanno, e ciò non sarebbe utile a nessuno, né al paese, né alle stesse imprese. È necessario recuperare e non disperdere, pertanto, quello spirito collaborativo.
Sollevo analoga questione per i contributi previdenziali: anche in questo caso, ai nostri occhi è poco comprensibile il provvedimento assunto; avremmo voluto discuterne, cercare una sintesi e un accordo su questo punto, tenuto conto che il fondo del commercio presso l'INPS (mi riferisco a dati del 2006, quindi a valori aggiornati) presenta attualmente un attivo patrimoniale di 7 miliardi. È lecito parlare di tendenze future, ma lo si faccia considerando che, a differenza del nostro, ci sono altri fondi che registrano passività.
Il problema principale degli imprenditori, poi, è investire, innovare, competere, e non solo pagarsi una minima pensione futura. Dobbiamo partire dal presupposto che quattro nuove imprese commerciali su dieci chiudono nel giro di sei anni. Per questo motivo, avevamo avanzato la richiesta dei tre anni di esenzione per le nuove piccole imprese: questo avrebbe fatto crescere sicuramente l'occupazione, allungando quindi la vita delle imprese, e avrebbe probabilmente favorito l'emersione del sommerso.
Infine, voglio formulare una considerazione in merito alla questione dello scontrino fiscale: è una delle cose peggiori che sono state inserite nel disegno di legge finanziaria; in questo modo, si vanifica, infatti, l'impegno - peraltro ribadito - a cancellare il valore fiscale dello scontrino per gli studi di settore, intraprendendo un percorso del tutto opposto. È stata archiviata l'idea della trasmissione telematica e, al contrario, si è ritenuto sufficiente uno


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scontrino per chiudere un'attività commerciale. In altri termini, basterebbe una distrazione della cassiera o del titolare per chiudere l'attività dai 15 ai 60 giorni. Mi scuso dell'espressione ma questa misura mi pare folle; riteniamo che essa sia non solo punitiva, ma addirittura offensiva per la categoria.
Vorrei che anche nei nostri riguardi ci fosse più sensibilità, quella sensibilità adoperata nei confronti delle grandi imprese: vi chiedo se sia mai venuto in mente a qualcuno di sanzionare una grande impresa che evade - visti i redditi dichiarati dalle società di capitali, bisognerebbe porsi qualche problema in più rispetto alla piccola impresa -, obbligandola a chiudere per un mese e a mettere i dipendenti in cassa integrazione. Dico questo tenendo conto del fatto che, per i dipendenti di un esercizio commerciale responsabili del mancato rilascio di uno scontrino, era comunque prevista una pena, dopo tre scontrini non rilasciati in cinque anni. Questo punto ci sembra, dunque, quasi una rivalsa, assolutamente incomprensibile; è su questo che dobbiamo agire, altrimenti rischiamo di dimenticare gli aspetti positivi già presenti nella manovra finanziaria. Al riguardo, voglio citare il turismo: a parte la tassa di soggiorno, per i canoni demaniali per gli stabilimenti balneari vi è finalmente - dopo anni di battaglie e dopo non essere riusciti, nella legislatura precedente, a sfondare un muro - un provvedimento molto apprezzato dalle nostre imprese. Cito anche il recupero dell'IVA sul turismo congressuale, che le associazioni chiedevano da tanti anni senza ricevere una risposta, il rilancio dell'ENIT e dell'agenzia nazionale, fattori importanti e certamente positivi.
In sostanza, il ragionamento che ho svolto non tende ad escludere un giudizio positivo e di apprezzamento rispetto alla volontà di risanare i conti pubblici: è una priorità che condividiamo e che va affrontata. Però, vogliamo e dobbiamo riflettere sul modo in cui procedere in questa direzione. Dal canto nostro, vorremmo essere dei collaboratori positivi rispetto agli obiettivi del paese, ma non vogliamo essere né gli spettatori, né le vittime delle scelte.

PRESIDENTE. Nel ringraziare il dottor Venturi per il suo intervento, do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

MARINO ZORZATO. Anzitutto, ringrazio gli autorevoli membri delle due confederazioni che sono intervenuti e che ci hanno onorato della loro presenza.
Debbo cominciare il mio intervento scusandomi con voi, a nome mio e della mia parte politica. Ho l'impressione che nelle vostre considerazioni si legga la consapevolezza di un'oppressione nei confronti delle vostre categorie e del ceto medio. Questo è probabilmente dovuto al fatto che, per colpa nostra, è passato il messaggio secondo il quale la maggior parte dei vostri aderenti ha votato per il centrodestra.
Come abbiamo già detto al viceministro Visco in questa sede, riteniamo che ciò sia, politicamente, un atteggiamento quasi di rivalsa. Noi abbiamo fatto passare il messaggio che le categorie dei lavoratori autonomi erano vicine a noi, e voi pagate il conto. Questa è l'impressione che abbiamo; del resto, la verità di quanto dico si nota nei fatti - mi riferisco al testo del disegno di legge finanziaria -, nelle vostre considerazioni, nel fatto che il ministro, che aveva detto di aver effettuato la concertazione e di aver raggiunto accordi su molti argomenti, sia stato smentito. Ad esempio, lo hanno smentito gli enti locali: il ministro parlava, in questa sede, di accordo raggiunto, ma i sindaci ci hanno detto che, forse, l'accordo lo aveva raggiunto da solo.
Si rompe con voi - secondo le vostre stesse dichiarazioni - dopo 13 anni, un patto di concertazione che c'è sempre stato e che noi, negli anni in cui abbiamo governato, abbiamo almeno provato a mantenere, anche se forse malamente. In questo momento, infatti, ci troviamo di fronte a un provvedimento che corrisponde, oggettivamente, a tutte le vostre considerazioni.


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L'ultimo passaggio del vostro intervento, a proposito dello scontrino fiscale, credo sia emblematico del rapporto tra il Governo e le vostre categorie: quell'articolo del disegno di legge finanziaria è davvero offensivo e tutto il resto ne consegue. Voi avete posto l'accento su un problema fondamentale, vale a dire il fatto che quel provvedimento non riguarda solo una persona; dietro il titolare c'è un'attività, dei dipendenti. C'è, insomma, qualcosa da salvaguardare, al di là della multa.
Condividendo pienamente i vostri interventi, vorrei porvi una domanda su un aspetto che forse sono io a non aver colto, o per voi non è importante. Qualche vostro autorevole esponente ha posto il problema del cuneo fiscale e del disinteresse, di fatto, da parte di questa manovra per gran parte dei vostri associati, considerata la dimensione delle vostre aziende. Se non ho capito male, la riduzione del cuneo fiscale verrebbe ritenuta ininfluente per oltre il 90 per cento delle vostre aziende: siccome non ho sentito questo passaggio, vorrei da voi un ulteriore commento in merito.
Sugli studi di settore, la questione è molto semplice. L'anno scorso, noi subimmo, rispetto ad un provvedimento analogo, la vostra contrarietà e tornammo sui nostri passi. Al di là del fatto che l'80 per cento degli studi sia congruo, sarebbe sufficiente alzare i livelli di reddito presunto perché non lo sia più, facendo così cassa. È indubbio, del resto, che la cassa prevista dalla legge finanziaria corrisponda al ritocco degli studi di settore: non si tratta, quindi, di un problema di congruità.
Del resto, con chi ha concertato il Governo? Certamente, con i sindacati. Credo che Bonanni - e cito il più «buono» di tutti, dal punto di vista politico - da sempre dica che dentro le vostre categorie, che includono anche gli artigiani, si annida il problema dell'Italia, che è quello dell'evasione fiscale. Questo è l'atteggiamento dei sindacati. Mi pare invece che, in modo diverso, si debba dialogare per trovare le soluzioni. Questa legge finanziaria, finora, di dialogo non ne ha fatto vedere poi tanto.

ETTORE PERETTI. Non riprenderò le considerazioni del collega Zorzato, pertanto, non utilizzerò troppo tempo.
La dinamica in atto a noi sembra molto semplice: secondo l'impostazione seguita, infatti, il lavoro autonomo viene sostanzialmente accusato di aver approfittato del cambio dalla lira all'euro; l'evasione fiscale si anniderebbe, per definizione, nel lavoro autonomo e quest'ultimo, pertanto, viene oggi colpito in maniera così pesante.
Riguardo a ciò, ricordo che, al momento della presentazione del DPEF, invitai a prestare attenzione perché, molto probabilmente, le modifiche del cuneo fiscale sarebbero state pagate dal lavoro autonomo. La sostanza, del resto, mi sembra sia proprio questa: credo si possa dire che, nella distribuzione dei pesi, delle responsabilità e dei costi della manovra finanziaria di quest'anno, gran parte del cuneo fiscale verrà pagato dal mondo del lavoro autonomo. Personalmente, la ritengo una misura sbagliata e più che altro simbolica: non cambierà i comportamenti delle imprese e non arrecherà sollievo al mondo del lavoro.
Vorrei, poi, sapere a quando risalga l'aggiornamento degli studi di settore: mi interessa capire qual è la dinamica del loro aggiornamento e, quindi, la loro congruità rispetto alla dinamica economica reale, relativamente alla vostra categoria.

MICHELE VENTURA. Presidente, non seguirò, ovviamente, gli onorevoli Zorzato e Peretti.
Anche questa sera, l'onorevole Zorzato ha detto che voi siete considerati elettori del centrodestra. In occasione del dibattito sulle liberalizzazioni, ai tassisti si è detto che avrebbero pagato perché vicini al centrodestra; lo stesso è accaduto con le professioni. A me viene in mente una domanda: stando così le cose, come abbiamo fatto a prevalere, se pure di poco? Francamente, non riesco a capirlo. Colleghi, il ragionamento che fate si presta a


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qualche battuta, ma credo dobbiate mettere in conto che la società italiana è un po' più articolata di come la rappresentate, anche dal punto di vista dei rapporti e delle relazioni.
A parte queste schermaglie, vorrei sollevare alcune questioni. Una è di carattere generale e riguarda il risanamento, che voi stessi avete detto essere una questione da affrontare. Ci siamo interrogati su questo e alcuni colleghi dell'opposizione hanno sostenuto, ad esempio, che la manovra avrebbe dovuto limitarsi esclusivamente a tale obiettivo. Del resto, ci siamo trovati nella condizione di dover rifinanziare alcune opere (l'ANAS, le Ferrovie) perché i fondi ad esse destinati erano esauriti. Sarei ora curioso di conoscere la vostra sincera opinione a proposito della necessità di considerare interventi simili fra le priorità. Credo che categorie importanti si domandino anche questo, si preoccupino cioè di un risanamento adeguato.
Vengo, dunque, alla seconda questione che vorrei sottoporvi.
Abbiamo sicuramente di fronte a noi un percorso parlamentare che mi auguro migliorerà alcuni aspetti della legge finanziaria, nel senso che un'attenzione maggiore dovrà essere posta al mondo delle piccole e medie imprese. In proposito, poiché non possiamo fare promesse che poi non saremmo in grado di mantenere, mi limiterò ad esporre poche annotazioni. Benché non sappia se, in materia, il Governo abbia concertato con voi, la mia opinione è che i dati contenuti negli studi di settore siano, in qualche modo, da considerare consolidati. Lo stesso vale per i contributi previdenziali.
Ci sono, poi, altri aspetti che mi sembrano degni di essere presi in considerazione nel corso del confronto parlamentare. Al riguardo, vorrei conoscere una vostra opinione.
Quanto al TFR, vi domando se a vostro giudizio sia preferibile un'esclusione del mondo delle piccole imprese o un fondo di garanzia dello Stato per favorire l'accesso a forme di finanziamento e di credito.
Inoltre, sono dell'opinione che la proposta relativa allo scontrino fiscale, così come è stata presentata - la chiusura per quindici giorni dell'esercizio per la mancata emissione anche di un solo scontrino -, non sia accettabile. Lo dico in piena libertà, se consentite, come deputato di maggioranza. Dal momento che basta anche solamente una distrazione per non emettere uno scontrino, ritengo che questo sia un punto da modificare.
Oggi si è tenuto anche l'incontro con i sindaci: ho potuto appurare dalle agenzie che il punto di più aspra contrapposizione sembra superato, cosa che contraddirebbe quanto ha detto l'onorevole Zorzato. È, infatti, difficile non considerare Domenici, Veltroni e Chiamparino come elettori del centrosinistra. In altri termini, voglio dire a Confcommercio e Confesercenti che, al di là delle risorse aggiuntive che verranno trasferite ai comuni dopo l'avvenuto incontro tra i sindaci e il Governo, si aprirà un capitolo del tutto nuovo. Si sono eliminati i tetti, dunque si potrà ragionare sui saldi. Inoltre, essendo stato fortunatamente eliminato il vincolo del 2,6-2,7 per cento, si riaprirà la dinamica degli investimenti. Sembra sia stato anche istituito un fondo per i piccoli comuni.
A fronte di ciò, credo che il punto centrale da considerare sia la responsabilizzazione più piena anche degli amministratori locali. Dico questo, facendo presente che le questioni da voi poste dovranno essere discusse anche in sede locale, con un'articolazione molto diversa rispetto al passato. Poiché ritengo che le nostre amministrazioni siano responsabili, il fatto di avere tale riferimento dei saldi consentirà loro anche di articolare questo tipo di ragionamento.
Potrei dire molte altre cose, ma concluderò qui il mio intervento per lasciare spazio agli altri colleghi.

ENRICO MORANDO, Presidente della 5a Commissione del Senato. Premetto che a mio avviso molte delle questioni sottoposte alla nostra attenzione possono essere affrontate in termini di modifica dell'attuale testo del disegno di legge finanziaria e del decreto ad esso collegato. Per esempio, personalmente - lo dico perché impegno


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soltanto me stesso -, considero la norma che prevede la chiusura dell'esercizio per uno scontrino non emesso un'aberrazione e non esito a definirla tale. Sono altresì convinto che esistano i margini per affrontare questo tema.
Ritengo, inoltre, che la norma sull'apprendistato, soprattutto riferita all'artigianato - ma in fondo, per i collegamenti che ci sono tra queste due attività, anche al commercio -, sia una norma inutilmente penalizzante che, tra l'altro, la collettività pagherà negativamente. Oggi, infatti, un'effettiva attività di formazione nei confronti degli apprendisti avviene proprio dentro le botteghe degli artigiani e dei commercianti. In Italia, il sistema formativo, in generale, non è granché, ma sappiamo che esso è particolarmente deficitario dal lato della formazione professionale. Quale sia, quindi, la ragione per la quale dobbiamo cercare di creare ostacoli, con un aggravio dei costi, a coloro che stanno facendo un'attività di formazione, francamente a me non risulta chiarissimo.
Credo, poi, che esistano ampi margini per affrontare la questione relativa al TFR, con riferimento, in particolare, alle piccole imprese: esprimendo un giudizio personale, ritengo l'intera norma assai «antipatica».
Vorrei però porvi due questioni, una di seguito all'altra, per comprendere se sia io a capire male, a non cogliere la sostanza, oppure se, nel ragionamento che voi stessi ci avete fatto, qualcosa non funzioni. Se un'impresa non trae alcun vantaggio economicamente rilevante dall'intervento per la riduzione del cuneo fiscale contributivo sul lavoro, da ciò deduco che quell'impresa non ha un elevato numero di dipendenti, perché, se l'avesse, il vantaggio sarebbe particolarmente significativo. Vorrei dire anche ai colleghi del centrodestra, se mi posso permettere una battuta, che non comprendo per quale logica fosse significativo, l'anno scorso, il punto in meno di cuneo fiscale contenuto nella legge finanziaria, e non lo siano, invece, i due punti in meno previsti quest'anno. Mi sfugge, dicevo, in base a quale logica si possa formulare un giudizio di questa portata (Commenti). Forse, questo sarà un buon argomento per fare qualche manifesto, che potrà ingannare gli sciocchi, ma non sarà in grado di convincere le persone serie, che ragionano sulla base dei dati di fatto. Se l'anno scorso un punto era buono, quest'anno, per cattivi che siano, due punti saranno comunque di più, come direbbe Catalano. Comunque, questa è polemica politica, e come tale non mi interessa. Insomma, se un'azienda non trae vantaggio dall'intervento sul cuneo fiscale, è perché ha pochi dipendenti; se, invece, un'azienda riceve un grave danno dall'intervento sul TFR, è perché ne ha molti. Dove ho sbagliato in queste due affermazioni? La verità è che non si possono fare contemporaneamente, riferite alla stessa impresa, perché non stanno in piedi: non posso dire che la mia impresa trae un vantaggio irrilevante dall'intervento sul cuneo fiscale e, al contempo, che ricevo un grave danno dall'intervento sul TFR.
Vengo alla seconda questione. Fermo restando l'attuale livello dei contributi previdenziali e delle basi imponibili su cui essi si basano, dobbiamo chiederci cosa succederà tra trent'anni, quando cioè il calcolo della pensione dei lavoratori autonomi, come di tutti gli altri lavoratori italiani, sarà interamente contributivo (vorrei fossimo tutti d'accordo almeno sul fatto che, quando si parla di sistemi previdenziali, il calcolo a trent'anni è quello più breve). Cosa succederà, dunque, tra trent'anni, con il sistema previdenziale attuale? Questa è la domanda a cui bisogna rispondere quando ci si occupa di previdenza. Altrimenti è meglio cambiare mestiere, occuparsi di giardinaggio o di altro, non certo di pensioni.
Dove sbaglio se dico che, con gli attuali livelli di contribuzione e con l'attuale livello di base imponibile su cui quei contributi agiscono, tra venti anni, l'80 per cento dei lavoratori autonomi avrà una pensione che, calcolata interamente con il sistema contributivo, sarà inferiore all'attuale livello della pensione sociale?


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MASSIMO GARAVAGLIA. L'analisi sostanzialmente impietosa che hanno fatto Confcommercio e Confesercenti ci trova d'accordo su tutta la linea. D'altronde, non ci stupisce particolarmente, in quanto è la logica conseguenza della politica messa in atto da chi ha vinto le elezioni: uno schieramento che, come tutti sappiamo, è quello del pubblico impiego, della spesa pubblica e quindi, per forza di cose, delle tasse.
A casa nostra, le risorse vere del paese non sono quell'enorme partita di giro costituita dalle tasse e dai contributi versati dai dipendenti pubblici, che sono pagati ancora dallo Stato. Le vere risorse del paese vengono solo ed unicamente dal settore privato e, per la stragrande parte, dal settore autonomo e dalle piccole e medie imprese. Questo era ovvio anche prima delle elezioni e adesso, oltre che ovvio, è palese per tutti.
Veniamo, però, a due questioni specifiche. La prima è quella dello scontrino. A questo punto, visto che tutti, maggioranza e opposizione, sono d'accordo sul fatto che la norma che prevede la chiusura di un esercizio commerciale per un unico scontrino non emesso è una bestialità, la Lega proporrà un emendamento per una vera liberalizzazione e dunque per l'abolizione dello scontrino, come è logico che sia, nell'ottica degli studi di settore.
Oltre a questo, vorrei porre una domanda precisa, che scaturisce dalla lettura di un articolo, pubblicato sui giornali di oggi, che ci ha particolarmente preoccupati. Leggiamo che l'effetto congiunto dell'aumento dei contributi previdenziali e del cuneo fiscale, per le imprese fino a 9 addetti, avrà un effetto negativo, comportando un incremento del costo del lavoro dello 0,32 per cento; l'effetto sarà negativo anche per le imprese fino a 50 dipendenti, le quali subiranno un incremento del costo del lavoro pari allo 0,5 per cento. Se questi dati fossero veri, sarebbe un dramma: si è fatto un gran parlare della riduzione del cuneo fiscale ma - stando così le cose - sostanzialmente non servirebbe a nulla.
Vorrei sapere, dunque, se i dati riportati abbiano una congruenza di fondo. Se fosse così, a beneficiarne sarebbe unicamente la grande impresa che, in Italia, significa FIAT. Come è stato detto, però, la grande impresa ha già i meccanismi per non pagare le tasse. A pagare, dunque, sono sempre e solo gli stessi, ed è facile anche sparare sul mucchio.
Un amico commercialista mi ha mostrato una simulazione applicata a due realtà: sulla base di questa valutazione, un lavoratore autonomo con reddito lordo di 18 mila euro pagherebbe 3.500 euro in più di tasse rispetto al lavoratore dipendente con lo stesso reddito. Ritengo che questo non sia giusto, in un sistema normale: siamo davvero al paradosso!
Alla luce di queste considerazioni, ci interessa, pertanto, capire se i dati relativi all'effetto congiunto dell'aumento dei contributi e del cuneo fiscale siano veri. In tal caso, sarebbe, forse, il caso di ripensare tutti insieme alla manovra nel suo complesso.

ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO. Svolgerò alcune brevissime considerazioni.
Il collega Ventura ha detto, in sostanza, che il Governo in carica è stato costretto a varare questo tipo di manovra finanziaria dall'eredità del Governo precedente, dalla necessità di finanziare le opere e da altri fattori.
Non credo che sia questa la sede per affrontare tale argomento, di cui abbiamo già parlato e continueremo a parlare, tuttavia, collega Ventura, è chiaro che per il risanamento sarebbero stati sufficienti 11 o12 miliardi di euro. Tutto il resto è politica, è la «vostra» politica, che peraltro, ad essere sincero, non contesto, perché trovo abbastanza normale che ciascuno esprima delle norme aderenti alla propria linea politica.
Il problema è che il finanziamento di questa politica - è assolutamente inequivocabile, lo dicono tutti e lo confermano anche i numeri - è affidato sostanzialmente all'aumento delle entrate e non al taglio delle spese. Le poche spese che sono state tagliate, come abbiamo visto e come è stato ampiamente dimostrato, sono infatti parzialmente compensate dalla possibilità


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di un aumento della tassazione locale.
Il collega Ventura ha affermato che questo non è il testo definitivo - me lo auguro - della legge finanziaria e che, nel percorso legislativo che ci porterà all'approvazione in Assemblea, la legge potrà essere migliorata. Vorrei che il collega Ventura ci assicurasse anche un'altra cosa, ossia che i saldi verranno modificati. Se così non fosse, avremmo comunque a che fare con una coperta troppo corta, che copre da una parte e scopre dall'altra.
La mia ultima considerazione, che rivolgo al presidente Morando (non lo vedo in questo momento, purtroppo), si riferisce al taglio del cuneo retributivo. Il problema è che il cuneo, così come l'avete concepito voi, come provvedimento a favore delle imprese, è troppo selettivo, perché legato alla trasformazione dei contratti di lavoro esistenti in contratti a tempo indeterminato. Esso è talmente selettivo da apparire più come un aiuto aggiuntivo alle grandi imprese, che non a quelle piccole e medie. Qualcuno mi deve spiegare, tra l'altro, come si possa sostenere che una parte di questa manovra finanziaria è destinata allo sviluppo, quando il 92 per cento di chi produce ricchezza, cioè gli artigiani e le piccole e medie imprese, da questa manovra viene massacrato.

ADRIANO MUSI. Vorrei porre solo una breve domanda, perché condivido quanto è stato detto dal presidente Venturi.
Per alcuni versi, ritengo che sarebbe utile un'audizione del direttore dell'Agenzia delle entrate: non vorrei, infatti, che il dibattito sull'evasione fiscale diventasse una specie di lotta ideologica. Siccome l'Agenzia delle entrate ha stimato l'evasione in circa 200 miliardi di euro, sarebbe opportuno svolgere questa riflessione con il direttore dell'Agenzia, per capire come si sia arrivati a quel dato e comprendere, ad esempio, come lo si sia ottenuto relativamente alla ripartizione per categorie, per regioni, e via dicendo. Ciò ci consentirebbe di approfondire meglio il dibattito e di decidere in modo migliore, anche abbandonando un po' del qualunquismo emerso in questa sede. Conoscere, infatti, significa anche decidere.
Tra l'altro, se è vero che i lavoratori autonomi pagano di più dei lavoratori dipendenti, come ho sentito dire nel penultimo intervento, il quesito andrebbe posto a Tremonti, più che a Visco, poiché la legislazione fiscale attuale è opera del primo e non del secondo. Credo sia dunque necessario svolgere una riflessione più attenta. Quando facciamo determinate affermazioni, non dobbiamo mai dimenticare cosa è stato fatto da chi ci ha preceduto: le norme attualmente in vigore sono state introdotte dal precedente Governo e non da quello attuale.
Anche la questione previdenziale mi sembra che risenta, per certi versi, di una scarsa conoscenza delle normative vigenti. Sono, comunque, d'accordo con il presidente Venturi, quando afferma che in merito al TFR si debba fare un'attenta valutazione. Bisogna considerare, inoltre, che nel corso dei 13 anni di concertazione qualche buco c'è stato, e sarebbe opportuno conservarne memoria, altrimenti alcuni elementi risulterebbero stridenti in relazione a ciò che le parti sociali avevano denunciato e fatto presente.
Una domanda che vorrei rivolgere al presidente Venturi è la seguente: vorremmo capire, per avere anche noi contezza della decisione da assumere, se effettivamente consideriate la riduzione del cuneo fiscale importante rispetto al problema di competitività del sistema paese oppure no. A seconda dei casi, infatti, si potrebbe anche decidere di riaprire la discussione al riguardo, trattandola in maniera più puntuale, con la consapevolezza, però, che, a quel punto, andrebbero resi noti alle imprese nomi e ragioni di chi è interessato ad abolire la riduzione del cuneo stesso. Solo così, infatti, si aprirebbe un più serio dibattito riguardo alle responsabilità in questo ambito.

PRESIDENTE. Se permettete, anch'io vorrei porre due domande, molto brevi e di carattere generale (chiedo scusa se eccessivamente di carattere generale), attinenti


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a mie curiosità, oltre che politiche anche intellettuali: vorrei che non le consideraste domande retoriche, corrispondendo - credo - alle curiosità del cittadino comune.
La prima domanda si ricollega a quanto diceva il collega Musi circa l'opportunità di ascoltare il direttore dell'Agenzia delle entrate: vorrei sapere se consideriate verosimile la rappresentazione delle dichiarazioni dei redditi della maggior parte dei vostri associati, così come risultano, ad esempio, dalla pubblicazione di dati da parte dei grandi giornali, come è accaduto qualche giorno fa nel caso de Il Sole 24 ore. In questo quotidiano, erano rappresentate analiticamente le dichiarazioni dei redditi di alcune figure, dichiarazioni che al cittadino comune - vi prego di credermi, non è una affermazione retorica né ironica - sono sembrate quasi incredibili o comunque poco credibili: è vero che parliamo di medie, si tenga conto, però che solo a partire da estremi di riferimento molto bassi si otterrà una media attestata a livelli quantitativi altrettanto ridotti, come quelli emersi dai dati riportati. Pertanto, vorrei chiedervi un giudizio, al di là di quanto pubblicato da Il Sole 24 ore, con riferimento alla media delle dichiarazioni dei redditi dei vostri associati: ritenete tali dati reali, o quanto meno verosimili?
Dato che avete svolto considerazioni critiche sulla legge finanziaria (alcune da noi condivise, come è già stato detto dal presidente Morando), se ritenete reali o verosimili quei dati, vorrei che esprimeste un giudizio su una questione che non avete citato: vorrei, cioè, sapere se almeno su un punto vi sia da parte vostra un giudizio positivo. In altri termini, poiché la revisione della curva delle aliquote IRPEF comporterà vantaggi fiscali per i redditi collocati al di sotto di una certa soglia, e poiché il 90 per cento dei redditi dichiarati dai vostri associati - secondo quanto riportato dalla stampa - si attesta abbondantemente entro i parametri, la vostra categoria dovrebbe beneficiare della riforma in modo significativo, incrociando gli elementi attinenti alla revisione delle aliquote IRPEF e alla detrazione degli assegni familiari. Se il giudizio non fosse positivo, ci troveremmo anche in questo caso di fronte ad una contraddizione ulteriore rispetto a quella relativa ai temi del TFR e del cuneo fiscale, che prima poneva il presidente Morando. È una mia curiosità, che vorrei venisse soddisfatta, posto che - dalle simulazioni fatte - sarebbero proprio i poveri a beneficiare in modo significativo della revisione delle aliquote; e poiché la maggior parte dei poveri sembra collocarsi fra i vostri associati, vorrei sapere se almeno su questo punto della manovra il giudizio non è negativo.
La seconda domanda di carattere generale attiene al profilo della discussione che ci troviamo a svolgere in Parlamento in occasione di queste audizioni, con particolare riferimento al tema dello sviluppo: al di là delle considerazioni critiche, non sentiamo mai da parte vostra, in termini puntuali e rigorosi, proposte concrete - rivolte ai parlamentari di maggioranza e opposizione -, che potrebbero, invece, essere utili a noi e a voi (lo dico con sincerità). Il vostro settore in particolare può infatti contribuire a far uscire il nostro paese dalla situazione in cui ci siamo trovati, avendo l'anno scorso chiuso a zero, in termini di crescita della ricchezza nazionale (e i numeri non sono un'opinione). Questo risultato non è frutto del destino o della responsabilità dell'uno piuttosto che dell'altro; vorrei allora sapere, non necessariamente in questa sede o in questo momento, se abbiate approfondito questo argomento, se abbiate delle proposte puntuali e precise sia di razionalizzazione dell'esistente, sia di innovazione dell'organizzazione del settore da voi rappresentato. Un vostro contributo in tale senso per noi sarebbe utile, per poter concorrere, come tutti vogliamo, al rilancio del nostro paese.

ANDREA LULLI. Pongo, in primo luogo, una domanda: vorrei sapere se, nelle valutazioni da voi fatte rispetto al peso del carico fiscale, siano stati conteggiati la riduzione del cuneo fiscale, quella delle aliquote IRPEF e le deduzioni e


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detrazioni nuove. Mi pare che non sia stato detto nulla al riguardo.
Sono d'accordo sugli studi di settore, alternativi al ragionamento relativo allo scontrino fiscale (e anche su questo sono d'accordo); osservo, però, - molti non l'hanno detto - che, nel calcolo delle entrate, è prevista anche l'estensione degli studi di settore a nuove categorie precedentemente non incluse.
Sento anche parlare di penalizzazione del ceto medio, della piccola impresa: mi piacerebbe andare più nel dettaglio. Da una parte, ci sono la riduzione del cuneo fiscale e delle aliquote IRPEF e le detrazioni nuove, dall'altra, gli interventi sullo sviluppo per 7 miliardi di euro.
Concordo, altresì, sulla necessità di un taglio maggiore alla spesa pubblica; però, mi piacerebbe sentire una vostra opinione rispetto al fatto che relativamente alla sanità, ad esempio, negli ultimi cinque anni, si è registrato un aumento della spesa per 22 miliardi di euro, mentre la manovra finanziaria che ci apprestiamo a discutere in Parlamento prevede un taglio di 3 miliardi di euro. Ritengo che occorra prendere in considerazione tutto ciò, anche perché si parla molto di penalizzazione della crescita: in proposito, vorrei chiedervi se la crescita verrebbe penalizzata o valorizzata qualora proseguisse l'andamento crescente della spesa pubblica corrente di questi ultimi anni. Anche su questo si dovrebbero fare valutazioni corrette. Chiaramente, non è un problema semplice da risolvere, in quanto la situazione si presta a varie letture; però, trovo ingeneroso - nelle valutazioni pur legittime, per carità - trascurare che è stata intaccata la spesa pubblica (cosa che non è avvenuta negli ultimi cinque anni, anzi), è stato ridotto il cuneo fiscale, sono state ridotte le aliquote IRPEF (ferma restando la possibilità di ragionare sui carichi), e questo dovrebbe interessare i vostri associati.
Riguardo al TFR, potremmo discutere: personalmente, sono tra quanti hanno avanzato fin dall'inizio delle perplessità, però, anche su questo vorrei più onestà intellettuale nel confronto, al di là delle questioni di metodo (riflettendo, ad esempio, su quanto potrebbe effettivamente accadere se, dal primo gennaio 2008, tutti i dipendenti optassero per la previdenza integrativa).
Anche su tali questioni, dobbiamo quindi avere la consapevolezza che è necessario svolgere un ragionamento difficile. Ma se vogliamo far risalire il paese, dobbiamo tutti noi produrci in uno sforzo, nella legittimità delle diverse posizioni e dei reciproci interessi.
Riguardo agli enti locali, vorrei dire, infine, che l'introduzione dei saldi aprirà alle associazioni del ceto medio una possibilità di confronto e negoziazione molto più avanzata rispetto al passato.

PRESIDENTE. Non essendovi altre richieste di intervento, do la parola ai nostri ospiti per la replica.

MARCO VENTURI, Presidente di Confesercenti. Cercherò di rispondere in maniera molto sintetica, anche per non riaprire la discussione.
Innanzitutto rispondo all'ultima domanda, relativa allo sconfinamento della spesa sanitaria, verificatosi in sei regioni, compensato con un aumento dell'IRAP; e questo, ad esempio, è un problema. Spesso si usa ragionare in termini astratti: la sanità è un sacrosanto diritto che spetta a tutti, autonomi e dipendenti, perché un paese civile deve avere una sanità funzionante; tuttavia, ciò non autorizza a sfondare qualunque barriera e a spendere qualunque cifra. Siamo, infatti, in presenza di automatismi: in mancanza del prelievo centrale, c'è quello territoriale, ma anche su questo dobbiamo trovare un equilibrio. Federalismo non vuol dire irresponsabilità da parte degli enti locali, altrimenti, sommando locale e nazionale, ci troveremo a sopportare pressioni superiori a quelle iniziali.
Tutti i cittadini, inclusi commercianti e artigiani, contribuiscono a sfondare il tetto della spesa sanitaria, ma paga solo chi versa l'IRAP; e questo a noi sembra un non voler attribuire la responsabilità: deve


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pagare chi sfonda quel tetto, non è possibile che debbano pagare solo alcuni. Se le cose vanno in questo modo, non ci sarà mai un vero senso di responsabilità.
I redditi, poi, pubblicati da Il Sole 24 ore sono reali; nessuno vuol dire che quel quotidiano ha costruito una tabella falsa, con dati non veritieri. In precedenza, ho detto una cosa differente: nel mondo della piccola impresa esistono moltissime imprese familiari. Ciò significa che il dato riportato dal quotidiano non è il reddito dell'impresa, ma è il reddito del singolo: se in quell'impresa c'è un collaboratore familiare, vuol dire che il reddito dell'impresa è il doppio di quel numero; se i collaboratori sono due, vuol dire che è il triplo. Quindi, si tratta di due cose diverse: non bisogna pensare che, se il valore riportato è 12 mila euro il commerciante dichiari solo quella cifra, non è così. Questo è un punto che ritengo molto importante, e di cui dobbiamo tenere conto.
Vengo ora alle altre questioni che sono state poste. Sugli studi di settore, non abbiamo un atteggiamento pregiudiziale. Ragioniamo sull'argomento, ma vorremmo avere la possibilità di valutare, non vogliamo trovarci di fronte a fatti compiuti. Soprattutto, stiamo ripetendo che non possiamo accettare un eventuale intervento sul 2006, dal momento che quest'anno è finito: si tratterebbe di un intervento a posteriori, e per noi questo è inaccettabile. Non siamo, quindi, chiusi a qualsiasi ragionamento, ma non possiamo neanche essere presi - scusate l'espressione - a pesci in faccia; viene meno così la nostra disponibilità a ragionare.
In altri termini, se tali temi fossero stati affrontati insieme, probabilmente avremmo smussato anche prima le nostre posizioni.
Quanto al cuneo fiscale, abbiamo detto che si tratta di una scelta che porterà 7 miliardi di euro alle società di capitale e meno di un miliardo alle piccole e medie imprese; porterà un miliardo al sud e tutto il resto al centro-nord: è un intervento, di fatto, squilibrato, ma non vogliamo sollevare noi un problema. Perché il turismo stagionale non può fare ricorso al cuneo fiscale? Chi ha un albergo in una località marittima non può tenerlo aperto tutto l'anno, è costretto in alcuni periodi a chiudere; costui, forse, non ha la volontà di assumere un lavoratore a tempo determinato, ma è quel tipo di impresa che funziona in quel modo. Tutti sostengono di voler puntare sul turismo, ma poi viene data una «mazzata», come in questo caso. Bisogna, allora, tenere conto anche dell'articolazione delle attività svolte dalle imprese.
Sulla questione del TFR, siamo stati i primi a parlare della necessità di una compensazione, e lo abbiamo fatto tanti anni fa, non oggi; purtroppo, stiamo discutendo della previdenza integrativa da anni. Abbiamo, quindi, proposto di trovare una compensazione; in assenza di misure compensative dal punto di vista finanziario, infatti, sarebbero soprattutto le piccole imprese ad essere colpite. Il Presidente del Consiglio ha proposto di tenere fuori le piccole imprese: ma c'è questa intenzione? Se così sarà, terremo sicuramente conto di questo passaggio.
Non so se ho dimenticato di rispondere a qualche quesito, ad ogni modo, prima di concludere il mio intervento, mi permetto di aggiungere solo due questioni.
Il disegno di legge finanziaria prevede la possibilità, per i produttori agricoli, di avere dei mercati propri: è un'altra misura per noi incomprensibile, perché, con essa, ad esempio, non ci sarebbero scontrini, o norme igieniche per quel settore.
Approfitto dell'occasione anche per chiedervi di spiegarmi perché il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, o meglio l'ISMEA, ha cancellato - cosa del tutto misteriosa - i confronti tra prezzi all'ingrosso, al dettaglio e alla produzione, che noi abbiamo, invece, utilizzato (infatti, dalle rilevazioni scaturivano dati diversi da quelli denunciati).
Al riguardo, invito anche a stare attenti a certe forme di demagogia promosse da alcune associazioni dei consumatori; una di queste associazioni in occasione di una polemica, ha sostenuto che nel settore alimentare i prezzi erano aumentati dell'8


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per cento, un'altra associazione ha parlato addirittura del 28 per cento di aumento, e così via.
Dobbiamo dunque creare le condizioni per ragionare su temi reali, su numeri veri, senza pregiudizi e con la possibilità di correzioni, perché senza la correzione di alcuni passaggi che ho citato - per noi pregiudiziali - noi manterremo una posizione estremamente critica. Su questo non ci sono dubbi.
L'ultimo argomento che vorrei trattare riguarda la formazione continua, anche per gli imprenditori: potrebbe migliorare sicuramente il ruolo delle imprese, soprattutto quello della piccola e media impresa, in Italia.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA 5a COMMISSIONE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA ENRICO MORANDO

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Venturi, anche per aver cercato di soddisfare, con queste ultime osservazioni, la richiesta, formulata dal presidente Duilio di avanzare delle proposte concrete. Do ora la parola al dottor Mochi.

CARLO MOCHI, Direttore del centro studi di Confcommercio. Sarò estremamente sintetico, visto il protrarsi dell'audizione.
Prendiamo atto di una serie di indicazioni emerse in questo incontro relativamente alla questione dello scontrino fiscale, in merito al quale crediamo a quanto è stato detto e riteniamo la proposta condivisibile.
Per quanto riguarda l'apprendistato, mi sembra che su questo tema si siano manifestate delle aperture - se ho capito male, vi prego di rettificare -; comunque, ho percepito una disponibilità al riguardo, considerando anche la funzione di questa figura.

PRESIDENTE. Vorrei precisare - è stato già detto, ma forse è opportuno ripeterlo, per evitare equivoci - che ognuno, qui, parla a titolo personale.

CARLO MOCHI, Direttore del centro studi di Confcommercio. Immagino si tratti di una disponibilità all'approfondimento del problema; quanto meno questo.
Non entrerò nel merito dei singoli interventi, anche perché occorrerebbe troppo tempo; ad ogni modo, dal loro insieme emerge l'esigenza di un approfondimento tecnico sui numeri, in ordine ad una serie di questioni. Qualcuno ha lasciato intendere che non vi è, da parte nostra, onestà intellettuale. Non credo che si possa dire una cosa del genere. Proprio per questo, riteniamo che siano necessari degli approfondimenti tecnici (anche con il direttore delle imposte, perché no): sarà così possibile accertare se alcuni correttivi da noi sollecitati derivino dalla mancanza di onestà intellettuale oppure abbiano dei fondamenti di carattere economico.
Vi è un ulteriore approfondimento da fare in base ai numeri, in ordine al TFR ed al fondo di garanzia. Qui si tratta di analizzare non enunciazioni, ma un progetto. Esiste questa possibilità? E, se esiste, come funzionerà? Credo che, in questo invito ad un approfondimento, anche tecnico, delle questioni, si possa riassumere la nostra posizione. Noi non vogliamo indossare i panni di qualcun altro, ma riteniamo di poter fornire un contributo. La valutazione in ordine al merito e ai contenuti potrà essere fatta in altre occasioni.

PRESIDENTE. Dottor Mochi, voglio solo precisare che, se qualcuno avesse offeso qualcun altro, accusandolo di mancanza di onestà intellettuale, il presidente Duilio, che allora presiedeva, avrebbe certamente stigmatizzato quell'intervento. Questo non è avvenuto, il che significa che nessuno ha mosso accuse di disonestà intellettuale, glielo assicuro.
Nel ringraziarvi ancora per la disponibilità manifestata e per il prezioso contributo offerto alla nostra attività conoscitiva, dichiaro conclusa l'audizione.


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Audizione di rappresentanti di Confartigianato, CNA, Casartigiani e Confapi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2005-2007, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del regolamento della Camera e dell'articolo 126, comma 2, del regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti di Confartigianato, CNA, Casartigiani e Confapi.
Ci scusiamo con tutti i presenti per il ritardo con cui iniziamo questa audizione. L'unica consolazione, forse, è che, attendendo, avrete ascoltato domande e risposte riferite, almeno in parte, ad alcuni dei problemi che, immagino, vorrete porre alla nostra attenzione
Chiedo ai nostri ospiti se, come spesso hanno fatto in occasioni di questo genere le organizzazioni del settore artigiano, abbiano concordato di svolgere un unico intervento.

CARLO SANGALLI, Segretario generale di CNA. Sì, presidente, prima parlerà il presidente di Confartigianato, Natalino Giorgio Guerini e, in sede replica, interverrò io stesso, in qualità di segretario generale del CNA.

PRESIDENTE. Do quindi la parola al presidente di Confartigianato, dottor Guerini, che interverrà a nome delle diverse organizzazioni audite.

FALCIO PASOTTI, Vicepresidente di Confapi. Presidente, le comunico che Confapi interverrà autonomamente.

PRESIDENTE. Non è un caso che io mi sia riferito, introducendo l'audizione, alle organizzazioni artigiane. Non mi risulta, infatti, che Confapi sia un'organizzazione di soli artigiani.
Invito pertanto il dottor Guerini ad illustrare la posizioni delle organizzazioni artigiane.

NATALINO GIORGIO GUERINI, Presidente di Confartigianato. La ringrazio, presidente, per avermi dato la parola. Vorrei sottolineare che le associazioni di rappresentanza dell'artigianato, in ogni importante occasione, compiono uno sforzo - credo apprezzato - di sintesi. Parlerò, quindi, a nome non solo di Confartigianato, ma anche di CNA e di Casartigiani.
Vorrei, innanzitutto, esprimere la nostra preoccupazione - uso il plurale - in ordine al testo del disegno di legge finanziaria presentato dal Governo e la nostra contrarietà di fondo all'impostazione che il Governo stesso ha dato a questo provvedimento.
Riteniamo vi sia una forte pregiudiziale nei confronti del lavoro autonomo in generale e che l'impostazione della manovra finanziaria sia troppo ideologica, poco incline a considerare la realtà produttiva del paese che, vorrei ricordarlo a tutti, per oltre il 97 per cento è fatta di piccole e medie imprese, cioè di imprese sotto i 10 dipendenti.
Il giudizio complessivo che esprimiamo sul testo della legge finanziaria è dunque negativo. Abbiamo voluto dare concretezza a questo giudizio, convocando i nostri organi di rappresentanza. Il mio intervento, quindi, è sostenuto da assemblee svolte nei giorni scorsi, che hanno dato indicazioni al gruppo dirigente di stato di agitazione e di mobilità della categoria.
Non è piaciuto il modo in cui è stata condotta dal Governo la fase di concertazione con le rappresentanze: non mi riferisco alle occasioni che abbiamo avuto per poter esprimere le nostre riflessioni e le nostre idee, ma all'impressione che la concertazione fosse solo formale. Di fatto, la ricetta era già pronta e confezionata; anzi, in molte occasioni ci sono state rappresentate cose diverse da quelle contenute nel testo licenziato dal Governo.
Cito, per tutte, la questione relativa all'aumento dei contributi previdenziali, che per noi avrebbe dovuto restare ancorato - così era emerso in tutte le riunioni ufficiali - all'accordo del 1996, siglato con l'allora ed attuale Presidente del Consiglio Romano Prodi. Invece, da un siparietto


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piuttosto curioso, in televisione, a tarda notte, tra il ministro del lavoro e un rappresentante delle associazioni sindacali, abbiamo appreso che era stato deciso il mantenimento della previdenza per tutti e l'aumento per gli autonomi.
Questo modo di fare non ci sta assolutamente bene. Noi siamo disponibili a fare un percorso - lo avevamo fatto nel 1996 e siamo disponibili a farlo nel 2006, dieci anni dopo - che acceleri il raggiungimento delle quote che avevamo fissato insieme, con l'allora Presidente del Consiglio. Vorrei ricordare a tutti che il tetto avrebbe dovuto essere del 19,6 per cento, mentre ci siamo trovati, in soli due anni, al 20 per cento. Credo che il nostro settore non possa sopportarlo, perché significa per noi un aggravio della previdenza, in un anno, di oltre 800 milioni di euro.
Non abbiamo gradito - anche in questo caso, negli incontri concertativi non era emerso alcunché - l'introduzione dei contributi nell'apprendistato che, per la nostra categoria, è un aspetto importantissimo. Credo che non sia mai avvenuto, dalla nascita della Repubblica ad oggi. Il segnale che questo Governo dà al nostro settore, e più in generale in ordine all'occupazione giovanile, è un segnale davvero molto negativo. L'aggravio dei contributi nell'apprendistato, solo per il nostro settore, quindi solo per l'artigianato, ha un valore di oltre 230-240 milioni di euro, ed è quasi compensativo - euro più, euro meno - dei benefici dell'abbassamento del costo del lavoro derivanti dal cuneo fiscale. È una partita che si chiude quasi a zero, per le nostre imprese: il beneficio che le piccole imprese ottengono dalla riduzione del cuneo fiscale è, sul montante dell'operazione, vicino al 10 per cento. Questo significa che il 10 per cento di beneficio va al «corpaccione» enorme di piccole imprese, il restante 90 per cento alla fascia di grandi imprese: se questa finanziaria deve essere equa - e così ci è stata presentata -, questo non è certamente un segnale di equità.
Nella presentazione della manovra finanziaria, a palazzo Chigi, da parte del ministro dell'economia e delle finanze, avevamo appreso un unico dato: quello dell'entità della manovra, che avrebbe dovuto ammontare a 30 miliardi di euro; il mattino dopo, però, abbiamo scoperto che i 30 miliardi si erano trasformati in 33,4, che ora sono diventati 34,7, cioè quasi 35 miliardi. Ebbene, per il nostro settore, gli aggravi di imposte dovuti all'inasprimento degli studi di settore, all'introduzione dei contributi nell'apprendistato, all'innalzamento delle aliquote per i lavoratori autonomi, al discorso del TFR trasferito all'INPS, hanno un valore che si avvicina a questo aumento. Allora - a pensar male, diceva il buon Andreotti, si fa peccato ma difficilmente si sbaglia -, non vorremmo che, con le risorse sottratte a chi produce, a chi lavora in questo paese dal mattino presto alla sera tardi, si finanziassero gli aumenti degli stipendi degli statali, che il Governo ha previsto. Credo che questo, per il nostro settore, per il mondo che rappresentiamo, sia un segnale davvero brutto.
Questa doveva essere una manovra di rigore - così era stata presentata - che avrebbe dovuto coniugare due terzi di risparmi e un terzo di sviluppo. Alla fine, noi facciamo fatica a vedere, in essa, non solo lo sviluppo, ma anche i risparmi. Abbiamo la sensazione che, come spesso succede, si vadano a chiedere le risorse sempre ai soliti. E vi assicuro che, in questo momento di possibile sviluppo economico e di rilancio dell'economia, un colpo simile è estremamente negativo.
Ho fiducia che il Governo possa rivedere, dopo un'attenta riflessione e avendo ascoltato le istanze di chi è ingiustamente penalizzato, alcune misure. Soprattutto, però, ho fiducia che in Parlamento vi sia la possibilità di intervenire, attraverso importanti correttivi, per riequilibrare una manovra economica e finanziaria che per il settore dell'artigianato - ma in generale per quello più ampio del lavoro autonomo e della piccola e media impresa - è fortemente penalizzante.

PRESIDENTE. Do ora la parola al vicepresidente della Confapi.


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FALCIO PASOTTI, Vicepresidente di Confapi. Cercherò di non annoiarvi troppo, perché immagino che abbiate già sentito molti commenti delle parti sociali. È difficile riuscire a dare un contributo originale su alcuni degli argomenti in discussione, ma ci proveremo.
Sono cinque i punti sui quali brevemente mi soffermerò. Il primo è quello, tutto sommato, più lampante: la partita relativa al TFR. È una partita della quale non credo di riuscire a dire qualcosa di più rispetto quanto è stato scritto in questi giorni sui giornali - una partita che anima anche il dibattito politico -, se si eccettua il fatto che non riesco a trovare un buon motivo per andare avanti su questa strada.
Quella relativa al TFR è una partita che non riguarda il costo che le aziende dovranno sopportare per poter «finanziare» il convogliamento delle risorse verso l'INPS. Il TFR è una partita che riguarda lo stock di capitale, lo stock di debito delle aziende. Partendo dal presupposto che il TFR vale circa 5 miliardi di euro, dobbiamo immaginare che la gran parte delle aziende più deboli, per finanziare questa partita, sia costretta ad accedere al mercato bancario. I nostri diretti interlocutori, in questi casi, sono le banche di credito cooperativo: voi ritenete che le banche di credito cooperativo siano disponibili a mettere sul mercato 5 miliardi di liquidità all'anno in più rispetto alla situazione attuale? Mi sembra, francamente, complicato. Proprio per questo, il problema che vedo di fronte non è quanto costerà di più l'approvvigionamento del debito, ma se ci sarà la possibilità di sforare rispetto agli attuali affidamenti.
Questa è una partita che riguarda sostanzialmente le imprese più deboli. Credo che noi, in termini di politica industriale, dobbiamo porci un problema in questo paese: dobbiamo capire se vogliamo soltanto delle medaglie d'oro o se consideriamo importante, anche socialmente, per il paese, avere un'elevata densità di imprese e di operatori. Dipende dal livello al quale vogliamo mettere l'asticella: decidete voi dove metterla; più in alto la mettete, meno saranno le aziende che opereranno sul territorio nei prossimi anni.
Naturalmente, il TFR passato all'INPS non provocherà una moria di aziende - ci mancherebbe - ma sarà l'ennesimo passaggio che certamente non migliorerà le condizioni di esercizio dell'attività. Peraltro, bisognerebbe spiegare agli imprenditori come saranno destinate le risorse del TFR, se è vero che le poste più importanti riguardano l'ANAS, l'ENAV, le poste italiane, le ferrovie e rifinanziamenti di attività che, forse, avrebbero potuto trovare un altro tipo di allocazione all'interno del bilancio dello Stato, quanto meno politicamente un po' meno scomoda.
La partita sul cuneo fiscale, invece, mi sembra decisamente più interessante. Noi riteniamo che il cuneo fiscale non serva. Sei anni fa, sostenevamo la necessità di ottenere uno sconto, in termini di costo del lavoro; lo chiedemmo in occasione dell'ultima manovra finanziaria del Governo di centrosinistra, quella di Amato. Tale richiesta aveva una sua logica, in quel momento. Consideriamo, però, che le questioni di politica industriale in questi anni si sono evolute e che la logica legata al costo del lavoro non è più una logica premiante. Prima di tutto perché, come vedete dalle tabelline in circolazione, non credo che alcun imprenditore si lasci influenzare, nelle proprie scelte di investimento e di sviluppo, dalla circostanza che potrà pagare un lavoratore da 41 a 40,5 mila euro l'anno. Non è questa differenza che ci fa vivere o morire; non è questa differenza che cambia le nostre decisioni di investimento. Al contrario, in questi anni, le aziende che avevano un problema di costo del lavoro o hanno chiuso oppure se ne sono già andate. La quantità elevata di aziende passate in altri paesi, evidentemente dove vi è un costo del lavoro più competitivo, è rilevante. Secondo me hanno fatto bene, perché se fossero rimaste in Italia non avrebbero potuto sopravvivere: insomma, le aziende che avevano quel problema, in questi cinque anni di terribile crisi, hanno trovato altre soluzioni.


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Le aziende che oggi sono nelle condizioni, invece, di scommettere sullo sviluppo non hanno un problema di costo del lavoro. Sono esattamente quelle aziende che, già da qualche anno, accedono in modo consistente a quegli strumenti - in primo luogo il lavoro interinale - che rendono addirittura il costo del lavoro superiore. Noi paghiamo tranquillamente il 10-15 per cento in più di premio per utilizzare il lavoro interinale, che ci garantisce elasticità; quindi è evidente che quello del costo del lavoro non è un problema determinante per il nostro sviluppo.
D'altro canto, abbiamo detto per anni che questo paese non avrebbe potuto competere utilizzando la leva del costo del lavoro. In realtà, ci veniva spiegato e chiesto soprattutto dalla sinistra e dal sindacato, e noi abbiamo dimostrato che è vero: non si compete sul costo del lavoro.
Quindi, con tutta sincerità, consideriamo questa operazione sul cuneo fiscale assolutamente ininfluente rispetto alle dinamiche di decisione e di investimento. In base a che cosa decidono oggi le aziende? In base a due elementi: pressione fiscale e livello dei servizi. Oggi, esistono paesi, in Europa - e non parlo di Romania, Ungheria, Slovacchia, cioè di quei paesi con costo del lavoro concorrente - nei quali la pressione fiscale si attesta tra il 19 e il 25 per cento. Mi riferisco ad Austria, Germania, Svizzera, Polonia, paesi con un livello di servizi del tutto accettabile, con una capacità di rapporto nei confronti del fisco assolutamente premiante; paesi nei quali, oltretutto, si ricevono ringraziamenti per aver scelto di investire da loro. Sto parlando di paesi nei quali, oggi, le aziende maggiormente dinamiche, quelle su cui dovremmo puntare per ottenere il rilancio e lo sviluppo di questo paese, incominciano a pensare se sia opportuno andare ad investire.
Il terzo capitolo da affrontare riguarda gli studi di settore. Sugli studi di settore, dovremmo entrare in technicalities molto approfondite. Da parte nostra, in questa sede, non possiamo fare altro che cercare di ripercorrerne la storia di questi anni. Francamente, all'inizio non mi hanno per niente convinto. Io continuo a ritenere che, anziché sulla base degli studi di settore, sia sempre meglio pagare in misura esattamente proporzionale ai propri guadagni, sulla base delle aliquote stabilite.
Se viene siglato un patto tra lo Stato e un numero consistente di imprese, è bene che questo patto abbia almeno una stabilità. Al contrario, in questi anni, abbiamo registrato costantemente una serie di modifiche e di adattamenti degli studi di settore, che hanno via via inficiato finanche le cose più interessanti che stavano alla base di quella normativa. Mi riferisco anche alla circostanza, molto strana, per la quale chi opera in contabilità ordinaria quasi non ricava più alcun tipo di beneficio.
Affronterò, prima di concludere il mio intervento, due ultime questioni. La prima riguarda l'imposta di successione, che noi, francamente, accomuniamo molto alla partita sui SUV. Insomma, credo che si potessero inventare tante cose, ma due trovate come queste, che francamente danno soddisfazioni o arrabbiature esclusivamente di tipo psicologico, con ritorni per le casse dello Stato tutto sommato irrilevanti, avremmo anche potuto risparmiarcele, soprattutto all'interno di una legge importante come la legge finanziaria, che rappresenta l'idea che si ha di un paese, di come si evolve una società.
Vengo all'ultimo punto, che forse riguarda solo apparentemente in modo più indiretto il mondo delle nostre imprese, ma che, secondo noi, è assolutamente importante. Mi riferisco alla redistribuzione delle aliquote IRPEF, delle detrazioni e delle deduzioni. Noi abbiamo approfondito bene la questione e ci siamo chiesti prima di tutto quale sia la logica di fondo di questa operazione: ebbene, la logica di fondo è che noi andiamo a costruire un'equità nella cristallizzazione sociale. Uno dei grandi mali della nostra società è la cristallizzazione sociale, la mancanza di mobilità all'interno della società italiana. La grande scommessa che molti di noi - soprattutto i nostri padri -


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hanno potuto giocare tra gli anni Cinquanta e Sessanta, pensando di emancipare le proprie condizioni, oggi non è più possibile. Chi nasce operaio muore operaio, chi nasce imprenditore, se la sua azienda non fallisce, muore imprenditore, chi nasce bancario chiude la sua vita lavorativa da bancario. Credo che una società di questo genere sia una società morta, una società che non offre futuro.
Esaminando la struttura di questa riallocazione delle aliquote IRPEF, ci rendiamo conto di chi trae beneficio da tale operazione. Al di là degli importi, al di là del fatto che l'operazione determini quando uno è ricco e quando uno è povero, alla fine essa chi premia? Non ho mai visto un evasore denunciare più di 70 mila euro. A dire la verità, non ne ho mai visto neanche uno denunciare più di 30 mila euro.
Non ho colto, all'interno di questa manovra, la possibilità di riuscire ad introdurre un premio per la pubblica amministrazione. Vedo, al contrario, che si continua a sostenere una dinamica salariale assolutamente favorevole rispetto ai lavoratori del privato; lo stiamo facendo da molti anni e al di là di qualsiasi merito. Insomma, non si riesce nemmeno, non dico a ridurre o a riqualificare la spesa pubblica, ma a creare una serie di incentivi affinché chi lavora all'interno della pubblica amministrazione sia premiato per le proprie capacità.
In terzo luogo, questa operazione premia quei lavoratori di grandi aziende il cui presidente è il presidente di Confindustria, quei lavoratori che hanno il privilegio di aver avuto come ex collega il ministro del lavoro. Francamente, questa operazione sui prepensionamenti rifilati alla FIAT urla vendetta. E chi colpisce, invece, l'operazione sulle aliquote? Colpisce chi ha studiato, chi si è laureato - siccome abbiamo pochi laureati, in Italia, decidiamo di colpirli! -, chi ha fatto formazione sul proprio posto di lavoro, chi ha avuto il coraggio e l'entusiasmo di pensare di crescere e di modificare la sua condizione sociale. Insomma, si punisce chi merita e si premia chi rimane com'è.
Al di là della questione del TFR - che secondo noi deve rimanere all'interno dei mercati finanziari, perché è meglio che lo Stato ne rimanga fuori -, al di là del fatto che il cuneo fiscale nasce da una lettura delle politiche industriali di cinque anni fa, al di là del fatto che gli studi di settore rappresentano l'ennesimo strumento con cui taluni cercano di costruirsi una maggiore camicia di forza - si parte dal concetto che, al di sotto di una certa soglia, si è tutti evasori - e al limite anche accettando tutto questo, non vi sembra si stia commettendo un grave errore sociale nell'impostare una politica fiscale sull'IRPEF in questo modo?
Credo che il Parlamento debba fare queste riflessioni: su questi temi, il contributo della nostra organizzazione sarà preciso e puntuale.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI LINO DUILIO

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

MARINO ZORZATO. Presidente, sarò breve. La collega Armosino svolgerà poi un intervento complessivo a nome del gruppo di Forza Italia.
Credo che il fatto di chiamare imposta di successione - non è un lapsus - quella che il Governo definisce «revisione» delle aliquote di registro e quant'altro dimostri che il messaggio è chiaro. Del resto, è quello che noi avevamo detto in campagna elettorale, quello che loro avevano negato in campagna elettorale ed è quello che si ripropone, ora, seppure con un nome diverso. I cittadini, comunque, hanno capito di cosa si tratta.
Non entro nel merito degli argomenti sollevati, perché credo siano ormai tutti oggetto di un dibattito importante. Ho sostenuto, nell'audizione precedente, che le vostre categorie, votando per il centrodestra, nell'immaginario collettivo, sono


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state penalizzate, quasi per una vendetta. Mi correggo, non tutti hanno votato per il centrodestra, quindi il problema è doppio: quelli che non l'hanno fatto sono bastonati due volte.
Nei cinque anni di Governo appena trascorsi abbiamo commesso un errore: avremmo dovuto abolire - non ridurre - le spese per la consulenza. Se le avessimo abolite, il Governo non avrebbe potuto assumere i quattro consulenti con i quali ha costruito questa manovra finanziaria: i tre segretari della confederazione sindacale e Montezemolo. Senza questi quattro consulenti, probabilmente, la manovra finanziaria sarebbe stata molto più equa, non vi avrebbe perseguitato.
D'altra parte, il passaggio con il quale Bonanni sostanzialmente ha comunicato, non solo a voi rappresentanti di categoria, ma anche a noi membri di Commissione, la sostanziale intenzione del Governo di aumentare i contributi previdenziali, dimostra che egli è un consulente. E che si tratti di consulenti pagati lo dimostra il fatto che la prima intervista pubblica di Epifani, dopo la presentazione del disegno di legge finanziaria, fu di questo tenore: «Bella, questa finanziaria! È proprio come l'ho dettata io».
Il mio è un intervento politico, più che sui contenuti. Credo che lavoreremo, anche insieme ai colleghi di Commissione, per cercare di far capire al Governo che questa manovra finanziaria deve quanto meno perdere la sua patina persecutoria nei confronti del lavoro autonomo. Fino a prova contraria, è vero che ci sono gli evasori, ma non accettiamo la formula «autonomo uguale evasore». Questa è un'assoluta falsità. L'evasore va colpito fino alla fine, ma non va cercato all'interno di categorie che, almeno per la mia esperienza - vengo dal nord-est -, hanno tenuto in piedi la baracca per tanti anni (non a caso, si diceva che fosse «il piccolo» a «tener su» il modello Italia). Non vorrei che gli economisti che, allora, contestavano il «piccolo» che «teneva su» il modello Italia, e sbagliavano, adesso si stiano vendicando anche del fatto di aver sbagliato le loro teorie economico-finanziarie. Secondo me, comunque sia, il piccolo terrà in piedi la nostra Italia anche nel futuro.

MARIA TERESA ARMOSINO. Ho seguito, credo come tutti, con grande attenzione in particolare queste ultime audizioni, non perché non abbia avuto interesse analogo per le altre, ma perché queste hanno generato in me e in molti della mia parte politica il convincimento che forse non abbiamo sbagliato tutto. Vedete, quando si perdono le elezioni succede anche di chiedersi se e che cosa poteva essere fatto. Quando si assiste ad una manovra finanziaria di questo tipo, massimalista e classista, sorge il dubbio di non aver capito il paese.
Sta emergendo, invece, che esiste un paese che non viene ascoltato, a causa dell'esigenza della coalizione di Governo di mantenere i voti dei Comunisti italiani, di Rifondazione comunista e di altre formazioni, le quali dimostrano come in Italia esista il comunismo.
Mi hanno colpito, in particolare, i rilievi fatti sull'apprendistato. Trovo che questo sia uno degli interventi più stupidi di questo disegno di legge finanziaria. L'apprendistato, infatti, non ha mai subito tassazione, perché forma gratuitamente dei soggetti per la collettività e per altri. Forse, dietro a queste scelte c'è anche un'altra manovra, ahimè, ideologica: le arti, i mestieri, quello che non è massificato e massificabile, le professioni, spaventano perché rendono meno omologabile la società. Una società che, è vero, sta diventando più cristallizzata e che - concordo anch'io - farà dei nostri figli, se avranno una rendita, dei successori cretini che faranno fallire le aziende, e di quelli che oggi sono operai, domani, altri operai. Sono d'accordo, cioè, sul fatto che vi sia un regresso culturale: mentre io credo di essere riuscita a trasformarmi, dalla dimensione contadina della mia famiglia, in avvocato, grazie alla Repubblica e non alla monarchia, noi stiamo tornando a qualcosa che, nel momento in cui viviamo, è antistorico.


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C'è un secondo aspetto da valutare, che ci è stato offerto su un piatto d'argento, per cui sarebbe stupido non coglierlo. Difficilmente, però, potrà essere colto da chi ancora crede che le città italiane siano costruite sul prototipo della fabbrica e del metalmeccanico che va a lavorare. Parlo come deputato piemontese - sottosegretario nella passata legislatura - che negò alla FIAT, sotto elezioni, l'intervento necessario a porre anticipatamente in quiescenza i dipendenti. Lo negammo - io stessa seguii quel provvedimento - proprio perché non possono essere ammessi interventi per una singola realtà.
Infine, vi è un'altra misura che non è stata richiamata e che deve essere abolita: quella a favore di Merloni, una misura che non serve a mandare avanti la nostra economia e il nostro paese.
Credo che tutto possa essere accettabile nell'ambito del dibattito democratico: a mio parere, si possono fare considerazioni concrete, oppure è meglio evitare di farle. Nella legge finanziaria vi sono due disposizioni legislative, una a favore della FIAT, l'altra dei frigoriferi. Usiamo quelle risorse per altri tipi di interventi, altrimenti mi vedrò costretta a bollare inevitabilmente questa manovra come un provvedimento fatto per gli amici degli amici.

ETTORE PERETTI. Mi permetterò solo due battute, anche perché a tempo debito svolgeremo le considerazioni politiche. Mi dispiace sia andato via il presidente Morando, che prima ha fatto un rilievo, a proposito dell'aumento dei contributi previdenziali sul lavoro autonomo, che credo vada ripreso.
Il presidente Morando ha affermato che dovremmo ringraziarli, perché hanno aumentato i contributi sul lavoro autonomo: quasi un modo per darci degli incoscienti per non aver saputo interpretare la riforma Dini, e per dire che, considerato il passaggio al sistema contributivo, solo dando all'INPS maggiori contributi oggi, potremo percepire una pensione congrua domani. Pensare, però, che solo l'INPS sia in grado di assicurare pensioni congrue mi sembra assolutamente azzardato.
La seconda considerazione che voglio fare riguarda il cuneo fiscale, argomento sollevato sia dai rappresentanti degli artigiani sia da quelli della piccola industria. Anch'io sono convinto che le risorse destinate a questa misura siano buttate via. Così com'è congegnato, il cuneo fiscale non modifica il comportamento competitivo degli imprenditori, trattandosi di risorse distribuite in maniera indifferenziata. Per carità, qualcuno avrà di più e qualcuno di meno, anche qui con una grande disparità fra i vari tipi di azienda. Personalmente, ritengo che una misura congrua potrebbe essere quella di mantenere, all'interno del mondo produttivo, la somma totale del cuneo fiscale, ridistribuendola, però, in maniera tale da indurre gli imprenditori a cambiare i propri comportamenti.
A mio avviso, questa è l'unica strada per poter rendere il settore produttivo più competitivo, che è quello che tutti vogliamo.

MICHELE VENTURA. Francamente, ero incerto se intervenire, signor presidente, perché stiamo trasformando le audizioni in comizi. Certo, ognuno può dire quello che vuole, ma questo modo di procedere, alla fine, rende impossibile articolare le domande.
Mentre parlava la collega Armosino, mi sono chiesto dove abbia vissuto finora. Vengo da una regione dove le attività piccole e medie costituiscono l'ossatura fondamentale del tessuto produttivo e mi chiedo che senso abbia una rappresentazione che parla di comunismo, di massificazione, di grande industria: di che stiamo parlando? L'ideologia siete voi a farla, a questo punto.
Ragioniamo pure nel merito della legge finanziaria: che, però, si debba venire qui a fare professione di fede, credendo che questa sia l'ossatura fondamentale del nostro sistema produttivo, francamente, mi sembra insensato. Sono cresciuti i distretti industriali, c'è stata una combinazione di rapporti tra amministrazioni e forze sociali


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che hanno fatto crescere un'esperienza straordinaria; pertanto, non possiamo cadere in queste rappresentazioni.
Detto ciò, ritengo comunque che questa legge finanziaria non affronti compiutamente alcuni temi. Abbiamo sentito parlare in questa sede di mobilità sociale e di come questa società sia bloccata. Sarebbe, dunque, interessante sviluppare un dibattito su questo tema. La società è bloccata assai più di prima, su questo non c'è dubbio. Tuttavia, possiamo dire che tale fenomeno è il portato di questa legge finanziaria? Dobbiamo avere il senso della misura! La società è dunque bloccata per colpa di questa manovra finanziaria, o dobbiamo chiederci, semmai, se quest'ultima risponda - è questa la domanda che vi pongo - alle esigenze delle aziende più esposte sul piano della competitività internazionale, prevedendo misure adeguate? Il vicepresidente di Confapi, ad esempio, ritiene che il cuneo non risponda alle esigenze di tali aziende. Sarebbe interessante sapere che cosa fare, allora, per affrontare il grande tema della competitività.
Nel rivolgere, ieri, una domanda al ministro Padoa Schioppa, ho affermato che, quando si parla del mondo dell'artigianato - discutevamo del TFR e di altro -, affrontare l'argomento in modo indiscriminato è sbagliato (ci sono gli artigiani che stanno dentro la filiera produttiva, contoterzisti che lavorano su committenza, che non sono toccati dai nostri ragionamenti sul fisco, ma hanno particolari esigenze). Anche su questo fronte, sarebbe interessante sapere dalle categorie come articolare una idonea riflessione nei riguardi del mondo artigianato.
Inoltre, vi è la questione - l'abbiamo richiamata anche nell'audizione con i commercianti - dell'apprendistato. Collega Armosino, vengo da una città dove arti e mestieri - se mi è consentito dirlo - hanno sempre avuto un certo significato. Ci lamentiamo, anzi, che si stiano riducendo le 11 mila aziende che si classificano come artigianato di qualità, artistico, perché esse hanno rappresentato un fatto culturale, oltre che produttivo. Vogliamo affrontare un ragionamento su questo tema per vedere quale risposta siamo in grado di dare? In sostanza, vorrei sottolineare la necessità di individuare le misure per rimettere in movimento la società nei suoi gangli produttivi. Questo è il punto.
Detto ciò, consentitemi un'ultima annotazione. Il risanamento non l'abbiamo inventato noi; era indispensabile, considerati i dati che riguardano l'Italia. Il vicepresidente di Confapi ha detto che bisognerebbe spiegare agli imprenditori la destinazione delle risorse del TFR (ricordando che le poste più importanti riguardano soggetti come l'ANAS, le Ferrovie e via dicendo): avete ragione, ma una parte di quella manovra è stata necessaria. Per il funzionamento delle Ferrovie, sono previsti 3 miliardi: noi abbiamo trovato 300 milioni. Si potrà dire che è giusto o meno, ma quell'azienda va modernizzata. Le risorse per l'ANAS erano state prosciugate. Insomma, ci sono funzioni indispensabili, vitali per il funzionamento dello Stato, che non sono estranee al mondo delle imprese, anzi sono strettamente legate alle esigenze di tale mondo. Se tutto questo funzionasse meglio, ci sarebbe per quel mondo, probabilmente, un vantaggio superiore. Di questo dovremmo discutere, al di là delle contingenze della manovra finanziaria.
Mi auguro che questo dialogo possa continuare, in primo luogo perché ci sono i tempi dell'esame parlamentare, e poi perché non mancheranno occasioni future in tal senso.

MARIA LEDDI MAIOLA. Ho ascoltato con estrema attenzione non soltanto questa audizione, ma anche quella precedente, ricevendone, come parlamentare, stimoli molto interessanti. Sapevo che, rispetto alla legge finanziaria, il mondo che rappresentate - voi e chi vi ha preceduto - avrebbe certamente assunto un atteggiamento molto critico, portando in questa sede delle riflessioni utili per noi, che in Parlamento siamo chiamati ad apportare le modifiche resesi necessarie nell'interesse generale.


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Partiamo tutti da un assunto condiviso, anche se con toni diversi: il comune convincimento che qui non si pratica il masochismo istituzionale. Sarebbe, quindi, da escludere il fatto che la manovra sia stata volontariamente onerosa, per un intento masochistico di questo Governo, all'inizio della legislatura.
Credo che, oggettivamente, i dati forniti e a conoscenza di tutti dimostrino che di questo risanamento il paese aveva un'assoluta e non procrastinabile necessità: non vi era, quindi, alcuna possibilità di «diluizioni» che rendessero più edulcorata la manovra. A mio parere, questa è la base comune sulla quale si può cominciare a discutere.
Detto ciò, ognuno di noi è libero di fare le proprie valutazioni sulle modalità del procedere. Voi, oggi, le avete esposte e devo dire che alcuni spunti ci fanno riflettere. Chi mi ha preceduto, come anche il presidente Morando, credo abbia già fatto cenno a taluni possibili interventi migliorativi, orientati, in alcuni casi, proprio nelle direzioni da voi indicate. Certo, non si può stravolgere la manovra, né i saldi, salvo dover tornare al discorso iniziale e sconfessare il presupposto sulla base del quale è stata predisposta una manovra decisamente pesante, quantificata nelle cifre che conoscete.
Ho molta stima della collega Armosino, che peraltro ha una specifica esperienza in questo settore. Tuttavia, non condivido lo spirito dell'osservazione secondo la quale risorse previste in finanziaria che, a suo dire, dovrebbero portare vantaggi diretti alla grande impresa dovrebbero essere destinate ad altri settori, quali la piccola impresa, il settore artigianale e quello commerciale. Credo che lo spirito non sia quello di togliere a certi settori produttivi per dare ad altri: così facendo, infatti, resteremmo sempre nella logica di chi ci è più amico e di chi merita di essere più o meno penalizzato. Ritengo che non sia questo il problema, ma quello di dare ad ognuno, nell'ambito della manovra, il maggior supporto possibile, nei termini di ciò di cui necessita.
È stato molto chiaro, prima, il vicepresidente di Confapi, laddove ha affermato che, i nel suo segmento produttivo, la diminuzione del costo del lavoro non è un elemento determinante per incentivare la produttività e la competitività del settore. Ne sono assolutamente consapevole. Certamente, voi avete risolto già a monte alcuni problemi di costo del lavoro, facendo delle scelte aziendali di tipo diverso. Se intendo bene, il dottor Pasotti ha detto che chi produce non ricava un vantaggio tale, da questa manovra, da potersi ritenere soddisfatto. Probabilmente - dico io -, avrebbe un vantaggio maggiore se il nostro paese riuscisse ad avere una maggiore competitività, una pubblica amministrazione più efficiente, infrastrutture che funzionano. Insomma, chi produce avrebbe un vantaggio maggiore se avesse alle spalle quello che gli imprenditori vogliono avere: un paese che gira e, quindi, tempi rapidi di decisione della pubblica amministrazione, come pure della giustizia civile e amministrativa.
Credo - ed è chiaro anche a voi - che un sistema di questo genere comporti tempi che non possono essere rapidissimi e decisioni che non possono essere indolori. Quando si fa riferimento alla necessità di reperire risorse, con manovre che voi vorreste più accentuate, anche sul piano del taglio delle spese e dell'efficienza, ci si richiama necessariamente a processi di trasformazione di sistemi niente affatto semplici: ne siete assolutamente consapevoli anche voi. Questi processi scontano anche l'aumento vertiginoso - registratosi negli scorsi anni - della spesa corrente rispetto alla spesa di investimento. Come sapete, è aumentata la spesa corrente e sono aumentate le retribuzioni. Per alleggerire quel fronte, si dovrebbero alleggerire strutture che, come sapete, non sono agevoli da gestire. Ci stiamo addentrando in un settore che ha le proprie complessità: quindi, i numeri e le decisioni assunte sono anche il frutto di una situazione che è, oggettivamente, quella che abbiamo descritto.
Ritengo che la vera utilità di queste audizioni sia quella di capire - e anche di


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comunicare meglio di quanto sia avvenuto finora - quali sono i presupposti, i dati reali e gli obiettivi da perseguire, anche al di là della manovra finanziaria che, infatti, non esaurisce tutti i problemi.
È un primo passo molto pesante, ma ad esso dovranno seguirne altri, altrettanto strutturali e importanti. Non finisce il mondo con la legge finanziaria! Lo sguardo di alcuni di voi dimostra che è vero che non finisce il mondo, ma ci possono essere delle forti «zeppe». Benissimo, cerchiamo di diminuirle, sapendo che, comunque, il dialogo è aperto e il mondo va avanti.

ROLANDO NANNICINI. Vorrei svolgere alcune riflessioni sul tema del TFR.
Su Il Sole 24 ore di giovedì scorso, nella seconda pagina, era riportato un confronto fra cuneo fiscale e TFR, mettendosi a confronto il centronord e il sud: in particolare, si evidenziava che il centronord otterrà meno dal cuneo fiscale e dal credito di imposta per addetto. La tabella riportava le cifre relative alle aziende al di sopra dei 15 addetti. Il mondo che noi conosciamo, quello che sappiamo essere molto forte anche in Toscana, quello delle aziende sotto i 15 addetti, va trattato a parte. In ogni caso, l'aumento del costo del TFR per addetto è dello 0,16-0,17 per cento, mentre il cuneo fiscale va dal 2,7 al 3,2 per cento (al 3,8 al sud).
Qualcuno ha sostenuto che, con una misura simile, si mortifica il sud, ma il sud può usufruire anche del credito di imposta e di interventi più generali. Sulle cifre, dunque, credo che non dovremmo aprire una discussione. Rimane il fatto che, operando lo strumento dell'IRAP, le piccole e medie imprese beneficiarie di franchigia non otterranno benefici dal cuneo fiscale, ma solo l'aggravio del TFR. Questo è l'elemento sul quale si deve riflettere, senza nascondersi dietro motivazioni che si richiamano alla mancanza di competitività o alla cristallizzazione della società.
La società italiana è cristallizzata dal forte debito pubblico. Non abbiamo alcuna possibilità di intervento, né infrastrutturale, né di altro tipo, se non facciamo una bella operazione di risanamento. La cristallizzazione del paese, dunque, è legata al grande debito pubblico, che assorbe, fra debiti pregressi, interessi e altro, ben 116 miliardi. Questo è il tema fondamentale sul quale lavorare. Si può essere scontenti o meno, ma di questo si discuterà.
Sottolineo, però, che il TFR aggrava i costi per le imprese che io conosco, ossia quelle con meno di 15 dipendenti, perché non avranno alcun risultato dal cuneo fiscale. Anche tale aspetto va discusso, per apportare correttivi, sebbene sia necessario battersi perché questi vengano concordati ed introdotti.
Il discorso riguarda anche l'artigianato, come pure la filiera della moda. Ho molti amici imprenditori - io stesso vengo da quel settore - e so che, se si lavora per Gucci o per Prada, certamente, non si evade nemmeno una virgola. Questi sono temi centrali nel nostro ragionamento.
Quanto al tema previdenziale, se la contribuzione media, rispetto alla retribuzione del lavoro autonomo, è di 16-17 punti e abbiamo un calcolo della previdenza a 20, non può che profilarsi l'esigenza di un riallineamento. Non ho sentito molta rabbia su questo punto, lo dico con molta franchezza. Credo che non ci sia stata neppure una forte concertazione in proposito: nel riconoscerlo, vorrei che mi ascoltasse anche il Governo. Tutti vorremmo avere un sistema previdenziale più adeguato, anche rispetto a quello che versiamo. Questa materia meriterebbe un'attenzione particolare. Tuttavia, una contribuzione di un certo tipo - Morando voleva dire questo - non può riportare un figurativo di 20 punti. Bisogna parlarne, nelle condizioni in cui siamo.
Anche la norma sull'apprendistato, francamente, chiede vendetta: la formazione, e la formazione dell'impresa artigiana in particolare, esige una certa impostazione, ma occorre uno sforzo per modificare questi elementi.
Di certo, il paese deve ricevere una scossa, e il sistema paese deve sapersi svincolare da riflessioni contro la cristallizzazione,


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che pure condivido, ma non trovo puntuali rispetto alle cifre contenute nella manovra.

MASSIMO GARAVAGLIA. Svolgerò qualche considerazione di carattere concreto, giusto per rimanere sul pragmatico, cominciando con una nota di ottimismo.
Vorrei dire al rappresentante del mondo dell'artigianato che possiamo anche fare finta che l'aumento del contratto del pubblico impiego sia pagato, anziché dagli autonomi, dal cosiddetto taglio agli enti locali, ma sappiamo che è una finzione, trattandosi di una partita di giro. Si tratta, comunque, di una misura un po' più distribuita in tutto il paese.
Molto concretamente, forse, sarebbe più utile ragionare sulla necessità di un incremento di 3 miliardi di euro per i contratti del pubblico impiego, considerando la dinamica salariale degli ultimi anni, che ha visto un premio del 4,3 per cento rispetto ad una media del 2 per cento degli altri settori. Mi domando, pertanto, se questo incremento sia proprio necessario: lo chiedo, non solo considerando i dati generali per livello ma prendendo in esame il sistema con cui, all'interno della pubblica amministrazione, vengono decisi gli aumenti, sostanzialmente con automatismi e autovalutazioni interne. Quindi, il problema non è tanto quello di considerare l'entità dell'aumento per ogni categoria, quanto quello di verificare che il passaggio di categoria nel pubblico impiego sia automatico: è su questo aspetto che si può lavorare e ottenere dei risparmi.
La seconda considerazione riguarda l'evasione e l'elusione fiscale. Giustamente, si è sottolineato l'aspetto ideologico della manovra finanziaria, che accusa di evasione e di elusione il settore privato e il settore autonomo. Del resto, lo ha detto il ministro Padoa Schioppa: «settimo comandamento, non rubare». Non si poteva essere più chiari: è lì che bisogna pescare, perché è lì che ci sono i ladri. Anche su questo credo che si dovrebbe fare una riflessione, perché sostanzialmente chi già paga, paga, e lo fa anche sopportando un conto salato. Pertanto, può anche darsi che rispetto agli studi di settore si possano fare degli affinamenti, ma la realtà non cambia.
Ritengo, piuttosto, che non ci sia una reale attenzione al lavoro nero, e non mi riferisco a quello all'interno delle imprese. Nelle imprese, infatti, il lavoro nero non c'è. Chi è quel pazzo - soprattutto se si tratta di piccolo artigiano o piccola impresa - disposto a far lavorare in nero un dipendente, rischiando la galera? Anche questo rientra in una visione di stampo ideologico. Diverso è verificare l'evasione - che esiste, ed è enorme - derivante dal lavoro nero di chi già è lavoratore dipendente, magari della pubblica amministrazione. Del resto, con 36 ore di lavoro settimanale, si può anche fare qualche altro lavoretto, per arrotondare. In questo campo potremmo fare davvero molto, verificando l'entità dell'evasione e la sua distribuzione all'interno del paese.
Una terza considerazione riguarda il cuneo fiscale: è stato detto che è sostanzialmente inutile e noi condividiamo in pieno questa affermazione. Non servono i 30 euro in più per dipendente all'imprenditore. Non servono a niente, soprattutto se l'imprenditore è piccolo. Non servono neanche i 20 euro in più in tasca al dipendente, dal momento che bastano due ore di straordinario per averli ugualmente, senza grandi complicazioni, anche a livello macroeconomico. Quello della riduzione del cuneo fiscale non è davvero un intervento capace di dare «la scossa» (parola magica, che si sente ripetere spesso). Tra l'altro - è stato giustamente rilevato -, tale provvedimento si muove nell'ottica di incentivare non i settori a intensità di capitale, ma la grande impresa, che in Italia non riscuote risultati propriamente ottimali, e di favorire i settori a intensità di lavoro, che, come sappiamo, non saranno il futuro di questo paese. Credo, dunque, sia il caso di fare una riflessione generale, per valutare se valga veramente la pena di adottare misure simili, tanto più se è vero - abbiamo letto questa mattina sui giornali i dati al riguardo - che, dalla loro introduzione, le imprese sotto i 50


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dipendenti, considerando i contributi e il cuneo fiscale, otterrebbero, sostanzialmente, un aggravio del costo del lavoro e non un beneficio.
Se è così, vale la pena fare questa operazione? Probabilmente no.

ROLANDO NANNICINI Ma cosa vuol dire: «se è così»?

MASSIMO GARAVAGLIA. Un'ultima considerazione, la più grave, riguarda l'impressione che abbiamo ricavato dalle vostre relazioni, che lasciano trapelare una perdita di fiducia e di entusiasmo. Non vorremmo trovarci in una situazione in cui sia proprio il tessuto portante di questo paese a perdere l'entusiasmo: se lo perdete voi, non c'è più niente da fare. Quindi, lavoriamo insieme per trovare dei correttivi, altrimenti andremo incontro ad una situazione non facilmente risolvibile.
Tra l'altro, non penso che il pubblico impiego possa dare una scossa all'economia del paese. La scossa viene da chi produce ricchezza, non da chi la consuma: il pubblico impiego produce servizi, ma se si assume più personale del necessario si consuma ricchezza. Del resto, il fatto che il settore pubblico, in Italia, è abnorme, rispetto alla media dei paesi civilizzati del mondo, mi pare sia sotto gli occhi di tutti: basta fare i conti.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti e chiedo scusa a nome del presidente Morando che, purtroppo, si è dovuto allontanare.
Per quanto riguarda le considerazioni che abbiamo ascoltato, esse, ovviamente, attengono alla fisiologia della dialettica politica. Rispetto, poi, ad alcuni discorsi che evocano qualche comandamento, quindi una sfera più strettamente religiosa, mi permetto solo di rinviare al resoconto stenografico dell'audizione del ministro Padoa Schioppa, svoltasi lunedì scorso, per fugare l'eventuale timore che l'intervento del ministro celasse un'accusa, peraltro paradossale, nei riguardi di chi è in regola. Il resto, come ho già detto, appartiene alla fisiologia della dialettica politica.
Do quindi la parola ai nostri ospiti per la replica.

CARLO SANGALLI, Segretario generale di CNA. Il nostro mondo, come è stato detto, è preoccupatissimo di questa situazione. Ci preoccupa, peraltro, la situazione politica del paese, che devo dire è piuttosto particolare: due fuochi di sbarramento e, alla fine, una scarsa comprensione dei problemi reali. Non vorremmo certamente infilarci in una vicenda in cui, piuttosto che parlare delle problematiche reali che stiamo sollevando, si dibatta sulle visioni diverse dell'economia nazionale: questo potrebbe metterci davvero in difficoltà.
Sottolineerò, quindi, alcuni problemi reali molto rapidamente, per non farvi perdere tempo. Quando farete la somma dell'insieme dei provvedimenti che riguardano le imprese artigiane e la piccola impresa e avrete modo di togliere, dall'insieme degli stessi, quelli a vantaggio di questi settori, rimarrete stupiti. Infatti, il differenziale, in quantità di costi, derivante da maggiore tassazione, crescita contributiva, mancato pieno utilizzo del cuneo fiscale, è superiore a quello che deriva dai provvedimenti a vantaggio delle imprese.
Per quanto riguarda il cuneo fiscale, voglio peraltro chiarire come, da parte dell'artigianato, vi sia non già una contrarietà alla sua riduzione, ma la considerazione che la manovra sul cuneo fiscale, per una serie di meccanismi - a voi ben noti e comunque contenuti nelle memorie che vi consegneremo -, non agisce sostanzialmente sulle imprese piccole e piccolissime.
L'artigianato, lo voglio ricordare, conta 1 milione 600 mila imprese. Tra queste, quelle con dipendenti ne hanno mediamente tre. Su questa dimensione di impresa, il cuneo fiscale non dà alcun tipo di risultato reale. Invece, danno un risultato reale l'aumento dei contributi per l'imprenditore e per i suoi soci e l'aumento dei contributi per gli apprendisti.
Quanto agli apprendisti, ho sentito che le Commissioni qui riunite sono sensibili all'argomento: l'apprendistato non è una forma millantata di precarietà, ma un


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modo per entrare nell'azienda, attraverso il quale si sono formati non soltanto i dipendenti, ma anche gli artigiani stessi. Se fosse intervenuto prima un provvedimento di questo tipo, Giotto non sarebbe mai diventato Giotto, perché Cimabue non avrebbe mai pagato per insegnargli qualcosa. Al contrario, era la famiglia di Giotto a pagare Cimabue. Adesso, con la riforma dell'apprendistato che è già in essere, l'impresa paga la formazione teorica per il giovane apprendista, lo accompagna nel percorso. Se introducessimo i contributi per l'apprendistato, di fatto, costringeremmo - solo per quanto riguarda l'artigianato - 200 mila ragazzi ad uscire dalle aziende. Per quelle aziende, sarebbe, pertanto, preferibile tenere un operaio generico o non qualificato, che costerebbe meno di un apprendista, altro che trasferimento di sapere e di conoscenze! Questo è un atto che misconosce la storia e le origini non solo dell'economia moderna, ma anche dell'economia tradizionale del nostro paese.
Venendo agli studi di settore, faccio parte di una confederazione che, in qualche modo, li ha proposti fin dall'inizio. Li abbiamo preparati, studiati, abbiamo avuto consulenti importanti, tra cui anche ministri del tesoro. Era il 1993 e c'era l'accordo sulla politica dei redditi: tre anni dopo, nel 1996, stipulammo, con il ministro delle finanze di allora, un accordo, in base al quale gli studi di settore sarebbero divenuti il modo per stabilire (secondo criteri economici, di territorialità, di dimensione di impresa) i reali ricavi delle imprese, per poi definire, secondo parametri automatici, il reddito delle imprese. È evidente, però, che gli studi di settore hanno una loro tempistica e necessitano di procedure di aggiornamento; ad ogni modo, le imprese che noi rappresentiamo sono, nella gran parte, congrue rispetto agli studi di settore: allora, come può dirci il ministro dell'economia, nell'ultimo incontro che abbiamo avuto con lui in occasione della presentazione del disegno di legge finanziaria, che le maggiori imposte destinate a gravare sulle aziende e sui settori sono riconducibili a pendenze pregresse, ossia a somme dovute per imposte non pagate precedentemente? Ma se abbiamo fatto gli studi di settore per evitare risultati simili! Ma se abbiamo trovato il modo, dal 1996 in poi, di fare arrivare - solo per l'artigianato - 8 mila miliardi all'anno in più nelle casse dello Stato! Ma se con il Ministero dell'economia e delle finanze stiamo ancora revisionando gli studi di settore, come è possibile che si sia già stabilita la quantità di denaro che essi devono raccogliere? Se sono automatici, allora non sono studi economici. Non si vuol considerare la crisi, che dura ormai da cinque anni, del settore tessile, dell'abbigliamento e calzaturiero? Vogliamo far pagare a questo settore più tasse di quante ne paga attualmente, nonostante la crisi in cui è precipitato?
È vero, ci sono settori che hanno guadagnato di più, lo sappiamo, ma se la somma finale è già data, gli addendi non cambiano. Se si deve arrivare ad una somma finale e lo si deve fare attraverso la revisione di questo meccanismo, significa che quest'ultimo può essere aggiornato solo automaticamente, non con il confronto concertativo da cui venne l'accordo del 1996, per cui si costruirono gli studi di settore.
In questo modo, pertanto, viene meno lo spirito di collaborazione che, anche in occasione di questa manovra finanziaria, ci ha visto protagonisti, nei confronti del Governo. Noi teniamo alla competitività del paese che, onestamente, altri grandi settori dell'economia hanno avuto meno a cuore, nel corso di questi anni. Pur con tutto l'affetto per la grande impresa, devo riconoscere che, dal 1981 al 2001, si sono creati 2 milioni 200 mila posti di lavoro nella piccola impresa, dei quali 850 mila nel Mezzogiorno. La grande impresa, nel Mezzogiorno, ha invece ridotto il numero di dipendenti di 60 mila unità.
Possiamo anche affermare che i piccoli sono dei nani, privi della dimensione competitiva internazionale, ma questa è l'economia che abbiamo: se vogliamo farli crescere, dovremo sgravarli di qualche onere. Se chi ha 15 dipendenti considera come un incubo l'idea di assumere il


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sedicesimo, non dobbiamo chiederci perché queste imprese continuano ad essere nane e si moltiplicano in quanto tali, anziché fondersi e diventare più grandi.
Per quanto riguarda il TFR, non è solo la questione del costo - consistente nella differenza che passa tra avere i soldi in azienda e andarli a «comperare» in banca - a dover essere considerata. Abbiamo sempre ragionato, negli anni, su come compensare tale costo ma, in realtà, per un'impresa di minori dimensioni, non è questo il vero problema: il problema è farsi riconoscere un credito dalla banca. Con l'accordo Basilea 2, con il cambio del rating e le implicazioni correlate, il problema è essere credibili: questo vuol dire che, se a Vibo Valentia il costo del denaro è di 8,4, ad una piccola azienda - magari con 12 dipendenti - che perde il TFR, il denaro verrà a costare più del tasso di usura, e magari questa stessa impresa lo comprerà proprio ad usura, perché non avrà il rating di Basilea 2.
Qui non si tratta di non voler pagare. Né intendo sostenere che ogniqualvolta si guarda all'artigianato, o al commercio, come del resto a qualunque altro settore, si guarda al massimo simbolo della trasparenza o dell'onestà. Certamente, però, se individuassimo meccanismi semplici, come in tanti altri paesi, le cose sarebbero diverse. Con un po' più di semplicità e di raziocinio, e con un po' meno di ideologia, si potrebbe stabilire quanto ciascuno è in grado di fare in base alle proprie dimensioni. Non si comprende perché si debba presumere che ad un esercizio (si pensi ad un bar con cinque dipendenti) corrisponda necessariamente lo stesso ricavo, senza considerare mai le variazioni negative rispetto a quei dati di riferimento; non si comprende perché si debba sempre presupporre che quell'impresa sia solo mossa dall'intento di evadere il fisco, minacciandola di chiusura in caso di mancata emissione di uno scontrino fiscale.
Al riguardo, aggiungo, inoltre, un'ulteriore considerazione: lo scontrino fiscale sarebbe dovuto sparire, invece, è sparita l'Olivetti che li produceva - ossia, a nostro parere, l'unica ragione della loro presenza - ma gli scontrini fiscali ci sono ancora. Non solo: qualcuno - non so chi sia, ma vorrei conoscerlo - propone addirittura la chiusura dell'attività in caso di mancata emissione dello scontrino fiscale. Siamo davvero fuori di testa! Possibile che si vogliano penalizzare, chiudendone l'attività, coloro che producono occupazione, anziché premiarli?
Tornando alla somma menzionata poco fa, ricordo che l'artigianato ottiene 2 miliardi di euro di differenziale negativo da questa legge finanziaria, il commercio altri 2 miliardi di euro: il mondo della piccola impresa italiana, che vuole partecipare al risanamento del paese, si chiede, però, se siano sempre gli stessi a dover intervenire. Del resto, vi ho già riferito quello che ci è stato detto - non da voi - al tavolo della concertazione, quando si è chiarito che puntare all'efficienza della spesa pubblica non deve voler dire destinare circa 4 miliardi al rinnovo del pubblico impiego. Insomma, ci saranno delle riforme costituzionali da fare per ridurre gli 8 mila 700 comuni e rivedere le province, ma ci sarà anche un modo per non assumere tutti i precari, per non rinvigorire, come si è fatto nel corso degli anni, la quota di improduttività della pubblica amministrazione. O pensiamo, forse, che la parte produttiva del paese, dopo essere stata accusata di evasione, debba anche essere l'unica a venir richiamata all'impegno necessario per affrontare il risanamento? Un conto è l'ANAS - e noi siamo qui a ribadire la necessità degli investimenti -, altro conto è dover pagare una totale inefficienza pubblica, che grava sulle imprese e sulla quale non si interviene.
L'altra faccia della medaglia sarà poi la strategia finanziaria dei comuni: su chi cadrà, ancora una volta? Su quelli che pagano l'ICI, l'IRAP, ossia sugli stessi soggetti giuridici tenuti a pagare la sanità ed i servizi sociali, che riguardano, però, tutti i cittadini.
Francamente, non vogliamo trovarci tra due parti che fanno a pugni sulla base di ragioni generali: correttivi si possono e si debbono apportare. Sul TFR occorre intervenire; quanto alla riduzione del cuneo


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fiscale, o la si fa o facciamo finta che non ci sia e in cambio ci viene dato qualcos'altro. Faccio notare che 700 imprese coprono il 25 per cento del totale del cuneo fiscale. Non so se quelle aziende possano affermare con tranquillità che, per loro, il costo del lavoro non è più una variabile indispensabile; al contrario, questa storia risolve loro un bel po' di problemi. Sono i piccoli, invece, a non ottenere alcunché.
Alla luce di ciò, vi domando ancora se gli studi di settore siano tali o se, invece, non costituiscano il risultato di certi automatismi. Noi siamo andati col cuore in mano a discutere di criteri economici. Se, invece, dobbiamo discutere di automatismi, basta dirlo. Abbiamo, inoltre, sentito qualche sindacalista proporre la minimum tax: è un film che abbiamo già visto più volte. Abbiamo sempre creduto nella capacità di migliorare le cose in un rapporto politico dialettico: noi rappresentiamo un pezzo della società e una parte degli interessi esistenti e ci misuriamo con l'interesse complessivo; ci piacerebbe che anche i sindacati facessero la loro parte e non si occupassero della parte degli altri. È infatti il Parlamento a fare da sintesi, non è che qualcuno possa arrogarsi il diritto di rappresentare tutti.
Il sindacato dei lavoratori ha discusso dei nostri contributi. Ebbene, vorrei farvi una domanda: non c'è una revisione della riforma delle pensioni in vista per la metà del prossimo anno? Perché i nostri contributi aumentano, senza che noi partecipiamo alla discussione sulla revisione della riforma? Perché paghiamo prima e discutiamo dopo? Dove sono finiti i contributi figurativi di queste aziende? Qualcuno dice che paghiamo poco, ma si paga su un reddito, che non è il reddito di una persona, bensì di un'impresa. Quello che paga la mia pensione sono anche le mie tecnologie e i miei investimenti, non è soltanto il mio lavoro. Si fa presto a trattare questi contributi come se non significasse colpire l'azienda: 2,5 punti in un colpo solo non è poco. Voi direte che questo è un modo per farci allineare: ci sono quelli che si allineano ma anche quelli che spariscono. Vi ricordo che continua a crescere la percentuale di evasione totale, di economia sommersa, di lavoro nero.
Per tutto questo nella legge finanziaria non viene spesa una sola parola. Ci si accanisce sugli emersi, ma i sommersi stanno tranquillissimi: più si prendono provvedimenti di questo tipo, più aumenterà la gente che sparisce. Vedrete quanti apprendisti andranno a lavorare nelle condizioni in cui si lavora in certi distretti del napoletano e in altre zone!

GIACOMO BASSO, Presidente di Casartigiani. Sarò brevissimo, presidente. Qui non siamo a palazzo Chigi, siamo al Parlamento. A palazzo Chigi, ovviamente, qualsiasi Governo difende il suo provvedimento, e noi difendiamo i nostri interessi. Questa sera ho colto un atteggiamento - a parte coloro che hanno difeso le nostre posizioni, che ringrazio - non da porta in faccia, ma di comprensione, di considerazione, di valutazione delle nostre buone ragioni. Proprio a questo spirito voglio rapidamente richiamarmi, in conclusione.
Qui nessuno discute che la manovra fosse necessaria e che i sacrifici dovessero essere equamente suddivisi. Non è neanche in discussione il fatto che gli artigiani, come gli altri settori, dovessero fare la loro parte. Il problema è che i provvedimenti che riguardano il nostro settore sono troppi e arrivano tutti insieme. Il messaggio che ne deriva è un messaggio di afflizione, di persecuzione, e il sospetto è che dietro possano esservi ragionamenti di tipo ideologico. Insomma, mi riferisco alla valutazione che il nostro mondo possa essere schierato con il centrodestra, piuttosto che con il centrosinistra, venendo, quindi, colpito maggiormente rispetto a chi si è dimostrato amico nel momento delle elezioni. Spero che nessuno prenda in considerazione un'idea di questo tipo.
Gli studi di settore fanno parte di un accordo che è stato modificato unilateralmente, quando poteva essere benissimo modificato insieme a noi. L'avremmo fatto rapidamente, come a suo tempo ci assumemmo la responsabilità di definire gli


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studi di settore, contro una parte consistente dei nostri iscritti e della nostra base, che ci riteneva «collaborazionisti» del Ministero dell'economia e delle finanze, avendo noi accettato questo accordo. L'aumento contributivo, invece, è stato deciso senza una minima consultazione. Abbiamo visto anche la parte «coreografica»: un sindacalista, a Porta a porta, ha anticipato al Parlamento e a noi questa notizia, senza che avessimo concertato nulla.
Abbiamo constatato quello che è successo sul TFR, anche se stasera ho colto forti segnali di apertura al riguardo. A dire il vero, ho colto anche comprensione rispetto ad un'altra questione da noi posta: mi riferisco al cuneo fiscale e alla difficoltà di comprendere le ragioni di introdurre certe misure per le imprese sotto i 15 dipendenti (provvedimento del quale non riusciamo a cogliere la logica). Spero, quindi, che anche i tecnici «lunari» che hanno deciso quei provvedimenti, diffusamente percepiti come ingiusti (basti considerare le affermazioni forti di qualche collega più autorevole di me, appartenente ad altre rappresentanze imprenditoriali), possano rivederli. Potremmo verificare l'applicabilità degli scaglioni anche al nostro settore, ma ho la sensazione - lo valuteremo in maniera approfondita - che gli scaglioni peggiorino la situazione dell'artigianato.
La ciliegina sulla torta è arrivata con i contributi per gli apprendisti. C'è un aspetto etico-sindacale, etico-professionale, etico-lavorativo che viene trascurato: l'artigianato, unico settore professionale, è tutelato dalla Costituzione, all'articolo 45. Senza nulla togliere ad altri, non è tutelato il commercio, non è tutelata l'industria, non è tutelata l'agricoltura, non è tutelata la piccola impresa. È però tutelato l'artigianato. È vero che la Carta costituzionale è vecchia di sessant'anni, ma io penso che se questa tutela ha permesso di collocare il 70 per cento dell'artigianato mondiale in Italia, forse, un risultato l'ha raggiunto. Pensate a quello che succederebbe se questo milione e mezzo di persone, con i suoi 3 milioni e mezzo di addetti, si trovasse improvvisamente in mezzo a una strada. Quella dell'apprendistato è una questione che va al di là degli schieramenti di parte. Si tratta di 260 milioni: vi chiedo di modificare questa norma. Spero solamente che il Parlamento - lo dico perché ho avvertito questa sera, presso le autorevoli Commissioni qui riunite , una disponibilità a correggere alcune misure - sia nella condizione di poterlo fare.
Mi auguro che non venga posta la questione di fiducia su questa manovra. Se così fosse, tutti i nostri discorsi, iniziative, ragionamenti, collaborazione, disponibilità, apprezzamento per la vostra cortesia e la vostra autorevolezza, sarebbero completamente inutili.

PRESIDENTE. Nel ringraziare ancora i rappresentanti di Confartigianato, CNA, Casartigiani e Confapi per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 23.