COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta notturna di mercoledì 11 ottobre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI LINO DUILIO

La seduta comincia alle 20,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Confindustria, CGIL, CISL, UIL e UGL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2007-2009, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del regolamento della Camera, e dell'articolo 126, comma 2, del regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti di Confindustria, CGIL, CISL, UIL e UGL.
Desidero anzitutto ringraziare i nostri graditi ospiti. Per la Confindustria, sono presenti: il dottor Bombassei, vicepresidente, il dottor Beretta, direttore generale, la dottoressa La Monica, direttore rapporti istituzionali, il dottor Usai, direttore relazioni industriali e affari sociali, il dottor Schettino, direttore fiscalità, finanza e diritto d'impresa, la dottoressa Alessio, direttore ufficio stampa e il dottor Tentella, direzione rapporti istituzionali-responsabile rapporti parlamentari.
Per la CGIL, sono presenti il dottor Epifani, segretario generale, il dottor Lapadula, coordinatore dipartimento politiche economiche, la dottoressa Ginzburg, funzionario.
Per la CISL, il dottor Bonanni, segretario generale, il dottor Santini, segretario confederale, il dottor Guglielmino, addetto stampa.
Per la UIL, il dottor Angeletti, segretario generale, il dottor Foccillo, segretario confederale, il dottor Proietti, segretario confederale, il dottor Passaro, funzionario.
Per la UGL, la dottoressa Polverini, segretario generale, il dottor Ronghi, segretario confederale, il dottor Mollicone, il dottor Segarelli, la dottoressa Porro, segretari confederali, il dottor D'Avello e il dottor Bitti, dirigenti confederali, il dottor Zoroddu, direttore confederale.
Una piccola e positiva innovazione procedurale ha consentito di avervi tutti in questa sede. Vi ringraziamo ancora per questa occasione, che ovviamente ci consente di avere direttamente da voi uno spaccato complessivo delle vostre osservazioni, come Confindustria e come organizzazioni sindacali. In virtù di un principio - chiamiamolo così - di alternanza, avendo iniziato con i sindacati la volta scorsa, iniziamo oggi con la Confindustria.
Do la parola al vicepresidente di Confindustria, dottor Bombassei.

ALBERTO BOMBASSEI, Vicepresidente per le relazioni industriali e gli affari sociali di Confindustria. Signor presidente, signori


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senatori, signori deputati, vi ringrazio per questa audizione, che consente a Confindustria di esporre le proprie valutazioni sulla manovra finanziaria.
Nella mia esposizione toccherò soltanto alcuni punti, soffermandomi soprattutto su quelli che Confindustria ritiene costituiscano delle criticità. Valutazioni su altri importanti aspetti sono contenute in un documento più dettagliato, che ci riserviamo di consegnare nelle prossime ore alle Commissioni.
Da tempo abbiamo sottolineato le due condizioni che, a nostro giudizio, consentono di coniugare un aggiustamento solido e durevole dei conti pubblici con l'urgente necessità di imprimere una forte spinta alla competitività del nostro sistema produttivo.
La prima condizione è una decisa azione per il rilancio della competitività delle imprese, intervenendo tanto sui costi, attraverso la riduzione del cuneo fiscale e contributivo, che sugli incentivi per la ricerca e l'innovazione. La seconda condizione è il reperimento delle risorse, per l'aggiustamento dei conti pubblici e per lo sviluppo, nella parte maggiore mediante il contenimento delle spese e solo in minor misura agendo, invece, sulle entrate.
Inoltre, abbiamo sempre definito inaccettabili le ipotesi di ulteriori interventi sul TFR che modificassero l'accordo raggiunto lo scorso anno, allorché è stato individuato un corretto equilibrio fra esigenze della finanza pubblica ed istanze delle parti sociali in materia di previdenza complementare.
Rispetto a queste priorità, può essere apprezzato lo sforzo compiuto dal Governo riguardo al taglio del cuneo fiscale, intervenendo sostanzialmente per il sostegno allo sviluppo. Per il resto, la manovra finanziaria è, secondo noi, debole e insoddisfacente. Non vi è praticamente traccia dei preannunciati interventi strutturali sui grandi capitoli di spesa pubblica. A questa incapacità di affrontare il cuore dei problemi si è sopperito con il trasferimento, forzoso e senza concertazione con tutte le parti sociali, del TFR allo Stato. Si tratta di una scelta per noi sbagliata nella forma e nella sostanza, ingiusta nei confronti dei lavoratori e dannosa per le imprese.
Questa scelta contribuisce ad offuscare il giudizio complessivo, nonostante tutti gli elementi positivi e condivisibili, che pure sono contenuti in questa legge finanziaria.
Il limite forse maggiore della manovra è la mancanza di un efficace bilanciamento tra obiettivi di crescita, risanamento e redistribuzione. La bilancia sembra pendere più dal lato della redistribuzione che da quello della crescita. Tutta la manovra di riduzione del disavanzo poggia poi sulle entrate. Secondo autorevoli economisti, non è questo il modo migliore per risanare i conti pubblici, minimizzando gli effetti negativi sull'economia.
È vero che i proventi attesi dalla lotta all'evasione non sono nuove o maggiori tasse per chi già le paga. La lotta all'evasione è assolutamente necessaria, quindi condivisa, anche per la concorrenza e la competitività delle imprese, oltre che per evidenti ragioni di equità. Tuttavia, proprio per gli obiettivi di crescita ed equità, sarebbe auspicabile che i proventi del recupero dell'evasione servissero a riequilibrare il carico fiscale a favore dei contribuenti che le tasse le pagano fino in fondo, e che sono, credo, la maggior parte.
Molti interventi sulle spese sono peraltro effettuati in modo non sostenibile, per esempio nel settore della sanità. Si prevedono tagli fortissimi, anche del 50 per cento, ad esempio, del prezzo dei farmaci e dei servizi dei laboratori di analisi. Credo che sia un modo improprio per sopperire alle difficoltà dell'amministrazione di controllare e contenere la domanda di prestazioni.
È stato inoltre detto - ed io concordo - che il concetto di equità, che sta alla base di questa manovra, non coglie molti dei nostri problemi. Si percorre la strada della redistribuzione del potere di acquisto, ma altrettanto importante sarebbe - ed è questa la nostra grande manchevolezza, come sistema paese - la redistribuzione delle opportunità. È investendo e dando efficienza alla scuola, all'università,


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alla formazione, che si cambiano alla radice le prospettive individuali e si dà un futuro soprattutto ai giovani.
Venendo ai singoli punti, ho già detto che consideriamo importante che la legge finanziaria attui l'impegno programmatico di riduzione del cuneo fiscale sulle imprese, agendo attraverso l'IRAP. Sul piano dell'impulso alla crescita, sarebbe stato preferibile che la misura operasse integralmente già dall'inizio del 2007, per sfruttare pienamente l'attuale fase ciclica positiva.
La misura introduce anche elementi di vantaggio relativo per il sud. Ho sempre sostenuto che il maggior sostegno per le aree svantaggiate del paese avrebbe dovuto utilizzare risorse aggiuntive rispetto alle misure con validità nazionale. Peraltro, poiché la maggiore deduzione prevista per il sud va fruita attraverso il regime de minimis, il beneficio pieno sarà limitato alle sole imprese di piccole dimensioni che non fruiscono di altri aiuti de minimis.
Inoltre, in riferimento all'attuale regolamento comunitario per il de minimis, il beneficio andrebbe esteso anche alle sue successive modificazioni, in maniera tale da consentire l'innalzamento del beneficio a 200 mila euro in tre anni, come nella proposta di regolamento attualmente in discussione.
Per quanto riguarda il TFR, le modifiche proposte incidono negativamente sulla struttura patrimoniale delle imprese, penalizzando soprattutto quelle piccole. Si tratta di un problema di accesso al credito, che potrebbe essere ancor più delicato in relazione ai parametri di Basilea 2.
Va ricordato che il maggior onere finanziario per le imprese cresce nel tempo, perché i flussi di TFR, di cui l'impresa perde la disponibilità, via via si cumulano in funzione del numero degli anni di permanenza media del lavoratore nella stessa azienda. Credo, dunque, che vada trovata una soluzione per i problemi di quelle imprese che, per vari motivi, potrebbero trovarsi in difficoltà nel sostituire i flussi di TFR con fonti alternative di finanziamento.
È inoltre da correggere l'apparente svista che fa iniziare le compensazioni dal 2008, e non dal 2007 - spero che sia veramente una svista -, in coincidenza con l'anticipato avvio dell'intera riforma.
Viene attuato un primo passo verso l'armonizzazione della contribuzione sociale fra le diverse categorie. L'aumento delle aliquote contributive sulle collaborazioni a progetto e sugli apprendisti può avere effetti diretti ed indiretti negativi sui costi aziendali, ovviamente. Ci rendiamo, peraltro, conto che un processo di riallineamento è essenziale per porre le premesse di una progressiva riduzione delle aliquote contributive per i lavoratori e per le imprese.
Altra parte della legge finanziaria che desta forti perplessità riguarda l'ampia tematica dei rapporti Stato-regioni, con specifico riferimento alla spesa sanitaria. Non si interviene in alcun modo con riforme di spesa, a parte i pesanti interventi, come dicevo prima, sulla farmaceutica.
Non poniamo una questione di tagli, ma di riforme, senza le quali la spesa è fuori controllo, la produttività è bassa, la qualità dei servizi insufficiente. Nella spesa regionale tali caratteristiche, spesso proprie dell'intera spesa pubblica, sono amplificate. Infatti, non si individuano le responsabilità dei diversi livelli istituzionali mediante un rapporto diretto fra tassazione dei cittadini e funzione della spesa, si moltiplicano i centri di spesa, si scarica sullo Stato l'onere di pagatore finale.
La sanità è un esempio evidente di questo tipo di problemi. Per la sanità, la legge finanziaria prevede tre miliardi di euro di risparmi di spesa rispetto all'andamento tendenziale. Dall'anno in corso al 2007, la spesa sanitaria crescerà da 91 a 103 miliardi di euro. Dobbiamo chiederci se effettivamente possiamo permetterci una crescita della spesa sanitaria di oltre il 13 per cento in un anno, ma soprattutto la soluzione che viene data al problema è radicalmente, secondo noi, sbagliata. Infatti, è previsto lo sblocco delle addizionali


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per finanziare sia la spesa sanitaria programmata e non coperta direttamente dallo Stato, sia eventuali disavanzi.
Inoltre, proprio per garantire la copertura integrale, è previsto che l'addizionale IRAP possa essere aumentata anche oltre i limiti di legge oggi vigenti. Questa scelta è sbagliata proprio rispetto al fine che si prefigge. Se si vogliono responsabilizzare gli amministratori locali nei confronti dei propri elettori, è su questi ultimi che dovrebbero ricadere le conseguenze fiscali degli eccessi di spesa dei propri amministratori, non certo sulle imprese.
Il disegno di legge finanziaria per il 2007 contiene una serie di misure finalizzate al contrasto del lavoro sommerso. Questo è in parte riconducibile ad elementi tratti dalla piattaforma di CGIL, CISL e UIL e del tutto a prescindere dalla logica di un reale confronto concertativo. Pertanto, se Confindustria, da un lato, prende atto dell'impegno mostrato dal Governo sul delicato tema del sommerso, dall'altro ritiene necessario differenziare il proprio giudizio in relazione alle singole azioni proposte.
Da un punto di vista generale, possono essere condivise le previsioni di particolari procedure finalizzate a consentire l'emersione di rapporti di lavoro in nero, così come di una cabina di regia nazionale o del fondo per l'emersione del lavoro irregolare, o ancora l'obbligo di comunicazione anticipata delle nuove assunzioni. Tutte misure utili, sempre che non comportino nuovi adempimenti burocratici ed ulteriori oneri per le imprese e si realizzino con risorse di personale e logistiche già esistenti.
È assolutamente necessario, però, che le norme attuative di tali previsioni siano frutto di una vera ed effettiva concertazione. Non è condivisibile, ad esempio, la previsione, sia pure in via sperimentale, dei cosiddetti indici di congruità. Non è accettabile l'idea di mettere in rapporto la quantità del lavoro necessario a produrre i beni con la qualità dei beni prodotti. È un meccanismo che finirebbe, di fatto, per incidere sulla libertà costituzionalmente garantita di organizzare l'impresa, imponendo a tutte le aziende degli standard produttivi eguali.
In ogni caso, appare estremamente problematica e ai limiti dell'impossibilità l'elaborazione per ogni singolo settore produttivo di un rapporto che, a fronte di un dato quantitativo, assuma a riferimento un elemento non facilmente misurabile come la qualità dei beni prodotti.
Il disegno di legge contiene importanti misure in materia di ammortizzatori sociali, tutte con l'obiettivo di gestire con il minore impatto sociale possibili situazioni di crisi o di trasformazione. Peraltro, l'intervento risulta parziale rispetto all'esigenza di una più generale riforma del sistema, volta a determinare il passaggio da un modello di welfare ad un modello di workfare, cioè ad un modello orientato all'occupazione e allo sviluppo per la promozione e la permanenza o il reinserimento dei soggetti nel mondo del lavoro.
Ancora, in materia di ricerca ed innovazione, il testo della legge finanziaria accoglie parte delle proposte presentate da Confindustria, ponendo le premesse per un rilancio della qualificazione delle attività di ricerca e di innovazione dell'impresa. È importante l'orizzonte temporale delle misure proposte, che riguarda l'intero periodo di riferimento dei documenti di bilancio e non più solo un anno, così come l'utilizzo di misure fiscali per il sostegno alla ricerca e all'innovazione.
Viene inoltre introdotto un modello di governance della ricerca e dell'innovazione che pone i presupposti per una razionalizzazione degli interventi. Infine, il rifinanziamento dei fondi per la ricerca e l'innovazione dà credibilità e concretezza alle misure adottate.
Per intensificare l'effetto degli interventi proposti, si potrebbe inoltre prevedere che l'aliquota del credito di imposta per le spese relative a commesse di ricerca ed innovazione ad imprese, università ed enti di ricerca pubblici, sia aumentata dal 15 al 50 per cento (come prevedeva una nostra vecchia proposta). Inoltre, occorre


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estendere l'agevolazione anche alle commesse ad enti privati di ricerca senza fini di lucro.
Ci saremmo aspettati nuovi strumenti per migliorare il rendimento anche del sistema educativo, rafforzando la competizione fra scuole ed università. Invece, viene proposta semplicemente l'assunzione di 150 mila precari storici, non più giovanissimi, quando oggi l'Italia ha solo il 2 per cento di insegnanti al di sotto dei 29 anni (la media dell'OCSE è del 12 per cento) e il 50 per cento degli insegnanti ha un'età compresa fra i 50 e i 60 anni (la media dell'OCSE è del 26 per cento).
Per l'università, poi, non è previsto alcun fondo a competizione. Anche il provvedimento che consente una riduzione della spesa, il taglio degli automatismi biennali di stipendio ai professori universitari, non viene accompagnato dall'indicazione di criteri per legare gli stipendi al merito e ai risultati della ricerca.
Le misure riguardanti il Mezzogiorno sono, nel loro complesso, da valutare positivamente e risultano coerenti con le proposte avanzate congiuntamente dalle associazioni imprenditoriali e sindacali. Importante è l'intervento differenziato sul cuneo fiscale, del quale però vanno tenuti presenti, come rilevato all'inizio, i possibili problemi attuativi, che rischiano di renderlo scarsamente vantaggioso per le imprese meridionali.
Si rileva ancora, in negativo, una limitazione delle risorse di competenza per l'anno 2007 relativamente allo stesso fondo per le aree sottosviluppate, limitazione che potrebbe determinare difficoltà nel finanziamento dei progetti presentati dalle imprese, a valere sul recente bando del 2006 della legge n. 488 del 1992 e di quelli previsti per il 2007.
Per lo sviluppo della gran parte delle risorse per investimenti, il disegno di legge finanziaria fa riferimento al TFR sul quale non sia stata esercitata alcuna opzione e che viene quindi trasferito all'INPS. Gli interventi finanziati dal fondo riguardano importanti settori di investimento, sia di nuova impostazione (come i fondi per la competitività e lo sviluppo e per la ricerca e l'innovazione) sia di più ordinaria amministrazione (trasferimenti alle Ferrovie dello Stato, o l'intero finanziamento nelle leggi di spesa in conto capitale). Poiché gli interventi finanziati sono anche di natura corrente - come corrispettivi alle imprese pubbliche per oneri di servizio e fondo per l'autotrasporto -, va sottolineata la precarietà di una simile operazione, che pone in discussione gran parte della spesa per investimenti e proprio quella più significativa per lo sviluppo.
Rispetto ad aspettative di razionalizzazione e di indicazione di priorità contenute nel DPEF in merito alla politica infrastrutturale, la legge finanziaria pone in essere un quadro di intervento alquanto articolato e poco organico, che quindi necessita di chiarimenti su diversi aspetti rilevanti.
In merito al programma della legge obiettivo, va visto con favore il rifinanziamento previsto di circa 3,3 miliardi di euro nel triennio 2007-2009. Tuttavia, la sua entità sembra possa essere in buona parte commisurata solo allo stretto necessario a garantire il completamento dei cantieri aperti e delle opere già affidate o in corso di affidamento.
In materia di ambiente, l'istituzione del fondo per la riduzione dell'effetto serra e del fondo per lo sviluppo sostenibile rappresenta una buona premessa per l'attuazione delle misure necessarie alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Non appare, però, ad oggi, chiara la strategia generale nella quale queste misure vanno ad inserirsi e, soprattutto, non risulta evidente il collegamento con gli altri strumenti che sono in fase di attuazione.
Estremamente preoccupante è la norma che costituisce un blocco all'introduzione della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani e che perpetua il regime di assimilazione dei rifiuti speciali e rifiuti urbani con le modalità scelte dai comuni. Vengono, infatti, rinviati sine die i criteri di assimilazione fissati dal decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice ambientale),


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utili per fare chiarezza in un settore in cui, oggi, ogni comune agisce con totale discrezionalità.
Un altro capitolo importante del disegno di legge finanziaria riguarda le politiche industriali. In linea generale, sono condivisibili la razionalizzazione e l'unificazione dei fondi e, in particolare, l'accorpamento delle misure a sostegno del capitale di rischio e delle garanzie. Tali modifiche possono servire a potenziare l'intervento tramite un uso più razionale delle risorse disponibili.
Vi è la necessità che, nel periodo transitorio, venga garantita la continuità degli interventi, in particolare del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, che oggi opera in modo coordinato ed integrato con i sistemi locali di garanzia. I dati sull'utilizzo del fondo dimostrano che esso è particolarmente apprezzato dalle imprese, dalla Confidi e dalle banche.
Sul piano più strettamente operativo, si segnalano criticità e limiti, in merito ai tempi non brevi per la piena attuazione della nuova disciplina ed alla complessità dell'iter procedurale previsto per l'attuazione dei programmi con molteplicità di soggetti che concorrono alla loro realizzazione.

PRESIDENTE. Do la parola al segretario generale della CGIL, dottor Guglielmo Epifani.

GUGLIELMO EPIFANI, Segretario generale della CGIL. Esprimo rapidamente l'opinione della CGIL, poi nei giorni prossimi porteremo in dettaglio delle richieste di modifica e correzione all'impianto della legge finanziaria. Questo mi consente di formulare solo qualche osservazione in termini di quadro.
Come è noto, esprimiamo un giudizio positivo sull'impostazione della legge finanziaria ed insieme riconosciamo che esistono parti che vanno corrette e modificate. Il giudizio positivo sta nel fatto che, con questa legge finanziaria, il paese ritorna ad avere un avanzo primario consistente, crescente nel tempo, dopo che in questi anni lo stesso si è azzerato. Ciò consentirà, naturalmente, di ridurre il rapporto tra debito e PIL del paese.
Il primo motivo per il quale esprimiamo un giudizio positivo è che si porta avanti una politica, sicuramente nelle intenzioni e in gran parte anche negli strumenti scelti, di redistribuzione nei confronti di quella parte del paese che in questi anni è rimasta ferma, ferma nei redditi e ferma nella condizione di vita e di consumo.
È importante che si dia un segnale molto forte nei confronti della lotta all'evasione fiscale, già cominciata con i provvedimenti adottati a luglio, continuata con questa legge finanziaria, ai quali si è accompagnata una politica di riduzione dell'elusione attraverso una serie di misure che condividiamo.
Siamo d'accordo con tutte le misure - del resto, da noi da molto tempo richieste - finalizzate alla perequazione dei trattamenti fiscali degli investimenti finanziari. Peraltro, bisognerà forse, nel lavoro parlamentare, prestare un po' di attenzione a qualche aspetto. Mi viene in mente, ad esempio, la questione delle successioni e delle donazioni. Sarà necessario fare bene i conti, capire cosa vuol dire 250 mila euro, per quanto riguarda la prima casa. È vero che si tratta di rendita catastale, a cui corrisponde un valore reale più grande, ma in quel caso bisogna decidere se si colpiscono le ricchezze o la prima casa. Non è esattamente la stessa cosa. Per quello che ci riguarda, preferiremmo che si colpissero più le ricchezze, rispetto a chi eredita dal genitore o dalla genitrice la prima casa.
Allo stesso modo, anche per non dare adito a dubbi, sicuramente nella linea della progressività, se ci si ferma con l'aliquota del 43 per cento a un reddito di 70 mila euro, si apre un problema. Infatti, a partire da un reddito medio netto mensile di 3.500 euro, l'aggravio di imposta di 1.780 euro corrisponde all'aggravio di imposta che ha un reddito dieci volte superiore. Volenti o nolenti, questo rappresenta, nella scala di un principio di giustizia distributiva, un problema.


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È indubbio, altresì, che bisogna studiare bene la curva proposta (soprattutto nel rapporto tra la curva proposta e le detrazioni, le deduzioni e l'effetto combinato con gli assegni familiari), per evitare di incorrere in qualche paradosso, come il dover pagare qualcosa con 30 mila euro, e non, invece, con 40 mila euro nelle stesse condizioni. Tuttavia, questi sono aggiustamenti tecnici che, spero e credo, sia la Commissione sia il Parlamento provvederanno ad introdurre.
Il secondo aspetto per cui valuto in modo positivo il provvedimento è quello che riguarda la qualità della spesa. Vedo che nessuno solleva questo problema; tuttavia, a mio avviso, si tratta di un problema importante. Infatti, in questi anni, abbiamo avuto un aumento molto forte della spesa corrente. Il Governo precedente ha aumentato di 2 punti la spesa corrente e si è sostanzialmente, nel tempo, fermata la spesa per investimenti, la spesa pubblica in conto capitale. Con questo provvedimento, avviene il contrario. Si riduce la spesa corrente e aumenta quella per investimenti, con un cambiamento importante della qualità dei criteri della spesa pubblica ed anche dell'ambito di operatività della legge finanziaria.
Come ricordava il vicepresidente Bombassei, vanno bene tutte le norme sul Mezzogiorno, perché sono coerenti con il documento che, con Confindustria e con tutte le regioni del Mezzogiorno, al di là del colore politico delle amministrazioni, era stato firmato e sottoposto al Governo.
Dal mio punto di vista, va bene anche la scelta relativa al settore della previdenza. Noi non abbiamo mai pensato che si potesse affrontare nell'ambito di una legge finanziaria un processo complesso come la modifica della riforma Dini. Non l'abbiamo mai fatto nel passato e, per quello che ci riguarda, è stato corretto non farlo neanche adesso. Ci sarà una sede e un tempo nei quali affronteremo questi problemi. Non ci sottraiamo a tale responsabilità, anzi pensiamo che sia nostro interesse affrontarli, ma non poteva essere questa la sede in cui tali problemi andavano risolti.
Dal punto di vista dell'armonizzazione dei contributi, che naturalmente ha dei costi, anche per quanto riguarda il lavoro dipendente, l'armonizzazione va in una direzione di maggiore equilibrio e rispondenza tra le aliquote di calcolo e quelle contributive, in modo da ridurre, in maniera differenziata tra i diversi settori, la forbice che nel tempo si è determinata.
Allo stesso modo, credo sia opportuna la scelta compiuta con il patto che riguarda la sanità. Non mi stupisce che ci sia una cifra più alta rispetto a quella del passato. Prima, infatti, si stanziavano cifre più basse e poi a queste corrispondevano deficit crescenti. Dobbiamo interrompere questa spirale. Occorre intervenire attraverso meccanismi previsti dalla legge, affinché tutte le regioni acquistino comportamenti virtuosi e non ci siano regioni che fanno bene riorganizzazione, qualità ed efficienza ed altre che restano indietro. Se vogliamo difendere il sistema sanitario pubblico, non possiamo permetterci un'Italia a due velocità, per quanto riguarda la capacità di razionalizzare la spesa e di aumentare l'efficienza e la qualità dei servizi sanitari. Naturalmente, anche per quello che ci riguarda, l'operazione di incremento dei ticket, nelle modalità e nelle dimensioni proposte, non ci vede favorevoli.
Siamo stati d'accordo sull'introduzione del cuneo fiscale, quello che riguarda le imprese. L'avevamo chiesto selettivo, o parzialmente, e questo è avvenuto. Credo si tratti di un risultato strutturale importante, a vantaggio non solo delle imprese, ma anche della competitività del sistema italiano, a condizione che questo vantaggio venga poi speso in investimenti, in volontà di crescere, e quindi in quei fattori che accrescono la competitività e la qualità del nostro sistema produttivo.
Così come, per ultimo, condividiamo tutta la parte della lotta al sommerso, tema antico, che abbiamo affrontato con tutti i Governi che si sono succeduti. È vero, la legge finanziaria corrisponde e dà risposte ad una serie di proposte di CGIL, CISL e UIL sulle quali abbiamo anche cominciato a discutere con Confindustria,


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e credo che si tratti di un provvedimento nel complesso assolutamente sopportabile e soprattutto giusto.
Ho detto, poi, che il disegno di legge finanziaria presenta dei problemi. Il primo era quello relativo alla riduzione dei trasferimenti agli enti locali, che avrebbe comportato due conseguenze: o l'aumento della tassazione locale o la riduzione dei servizi ai cittadini. Io spero, credo, auspico che l'incontro di ieri, visti anche i giudizi, abbia portato, su questo terreno, ad un accordo che consenta di evitare quel che temevo. Spero anche che ieri, nell'incontro fra Governo e comuni, si sia risolto il problema del finanziamento del rinnovo contrattuale del trasporto pubblico locale, tema del quale nessuno si occupa, tranne quando gli scioperi bloccano la città e determinano così problemi per tutti.
Siamo di nuovo in questa fase e, come ricorderà l'onorevole Tremonti, non siamo più nelle condizioni di avere uno schema in cui i comuni dicono che non tocca a loro finanziare il rinnovo contrattuale, ma al Governo, il quale invece rimanda ai comuni e, nel frattempo, nessuno se ne occupa, i contratti non si rinnovano e le città si bloccano. Questo schema bisogna farlo finire: non riesco a capire perché non dobbiamo consentire, con una cifra anche modesta nella sua entità, di affrontare serenamente e per tempo la soluzione finanziaria di questo problema.
Allo stesso modo, non c'è dubbio che, per quanto riguarda il TFR e la soluzione trovata nel disegno di legge finanziaria a questo problema, occorre in qualche modo riaprire un confronto tra le parti sociali e il Governo. Bisogna trovare una strada che soddisfi contemporaneamente diverse condizioni. La prima è quella di non bloccare la scelta del lavoratore nei confronti dei fondi pensione: non si può, dopo aver fatto per anni e anni, giustamente, una grande campagna a favore di questa scelta, renderla nei fatti, se fosse così, inagibile. Tenete presente che su questo ci sono accordi contrattuali, che richiamano quindi anche l'autonomia e le scelte delle forze sociali.
In secondo luogo, penso che, una volta compiuta questa scelta - se si decide di indirizzare la parte del TFR che non va ai fondi pensione in un'altra direzione, come quella che il disegno di legge finanziaria individua -, sia necessario un progetto rigoroso, perché per la media e grande impresa non ci sono problemi, ma per la piccolissima e piccola impresa sì, soprattutto in termini di accesso al credito. C'è un problema di garanzia del lavoratore che oggi, quando vuole, per ragioni di bisogno personale o familiare, può avere una parte del TFR in pochissimi giorni (bisogna trovare un meccanismo in cui questa possibilità sia salvaguardata anche per il futuro). Infine, se vogliamo pensare a destinare quella quota del TFR che non va ai fondi pensione ad una politica di investimenti, dobbiamo trovare uno strumento che metta nelle condizioni di usare nel tempo questo stock dei flussi del TFR per opere ed investimenti che migliorino la qualità delle nostre infrastrutture materiali e soprattutto immateriali.
Il disegno di legge finanziaria non fornisce tantissime risposte sulla condizione degli anziani e dei pensionati, ne dà qualcuna per quanto riguarda l'aumento della no tax area, prevedendo qualche miglioramento con l'operazione dell'IRPEF sui redditi più bassi.
Ad esempio, non possiamo lasciare che il fondo per i non autosufficienti sia finanziato soltanto con 50 milioni di euro. Nel disegno di legge finanziaria ci sono molte poste e, rispetto a tante priorità, mi permetto di dire che questa, dal punto di vista non solo simbolico, è una priorità che va finanziata in maniera più ampia. Così come restano inevasi i problemi antichi, che riguardano la condizione degli anziani, ai quali bisogna che la legge finanziaria dedichi una attenzione maggiore.
Per quanto riguarda la questione del lavoro pubblico in generale, con i provvedimenti sulla scuola si stabilizzano 150 mila insegnanti. Penso che questo sia un risultato importante.
In generale, ritengo che bisogna evitare di creare sacche di lavoro a tempo determinato


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nei settori pubblici, perché altrimenti si ottiene davvero quel che prima si paventava, cioè l'impossibilità per un giovane - un giovane laureato, magari - di accedere e svolgere le proprie funzioni nelle pubbliche amministrazioni di qualsiasi tipo.
Il perché è presto detto: se ci sono 400 mila persone assunte a tempo determinato e vengono tenute in quella condizione per 15 anni, è chiaro che diventano un problema sociale ed hanno la priorità in termini di stabilizzazione.
Questo vuol dire che, se si gonfia, invece di sgonfiarsi, questo serbatoio di precarietà, un giovane finirà per non entrare mai nella pubblica amministrazione. Per questo chiedo di svuotare questo serbatoio, secondo criteri giusti, secondo procedure giuste e controllate, programmando flussi che si riducono nel tempo e, contemporaneamente, riaprendo le assunzioni nei confronti dei giovani.
Quando si parla di pubblica amministrazione, non si può parlare di un unico indistinto: ci sono settori vitali (penso ad esempio ai pompieri, ma potrei citare tanti altri esempi) in cui, o mancano gli organici da decenni oppure le prestazioni sono legate alle assunzioni a tempo determinato. Le nostre città sono piene di asili nido in cui lavorano solo professionisti a tempo determinato.
Abbiamo, cioè, una parte dei servizi pubblici che, dal punto di vista della qualità e della stabilità del rapporto di lavoro, è in condizioni assolutamente non compatibili con le responsabilità e la qualità che quei servizi pubblici richiedono. Per questo, penso che occorra trasferire l'operazione fatta per la scuola anche negli enti locali, nella sanità, e soprattutto nella ricerca e nelle università, dove invece, da questo punto di vista, la legge finanziaria non propone nulla.

RAFFAELE BONANNI, Segretario generale della CISL. I parametri di valutazione della CISL, che hanno improntato in questi mesi il nostro confronto sulla manovra finanziaria con il Governo, sono, da un lato, il perseguimento degli obiettivi del risanamento, della crescita dell'equità sociale, come d'altronde è affermato nello stesso DPEF; dall'altro, il reperimento delle risorse finanziarie necessarie attraverso una tassazione equa, la lotta all'evasione fiscale e contributiva previdenziale e la riduzione delle inefficienze e degli sprechi della spesa pubblica.
Si tratta, quindi, di promuovere processi di razionalizzazione e riqualificazione della pubblica amministrazione e dei servizi sociali. In particolare, la centralità di una tassazione equa, della lotta all'evasione fiscale, contributiva e previdenziale è imposta da una situazione oggettiva non più tollerabile da nessuno, che provoca una profonda indignazione tra lavoratori dipendenti e pensionati e costituisce uno scandalo contro la legalità e contro la giustizia.
Questo è documentato dalla stessa Agenzia delle entrate: come sapete, mentre lavoratori e pensionati contribuiscono per l'80 per cento alle entrate, imprese e lavoratori autonomi sottraggono al fisco quasi 200 miliardi di entrate. Nell'evasione e nell'economia sommersa sono compresi i mancati versamenti contributivi. Si tratta allora di risalire la china etica e politica della pratica, particolarmente forte in questo ultimo decennio, ininterrotta di condoni e di indulgenze verso evasori e datori di lavoro irregolari.
È inoltre ragionevole che la rendita finanziaria, con una prevalente finalità speculativa, sia tassata e siano tassati molto meno gli investimenti produttivi. Tutto questo a fronte di una situazione sociale, come pure rappresenta l'Istat, segnata dalle difficoltà dell'economia e da quelle finanziarie dello Stato sociale, da diseguaglianze sempre più forti, superiori a quelle degli altri paesi dell'Unione, e da gravi processi di emarginazione sociale.
La condizione di povertà, occorre ricordarlo, riguarda circa il 12 per cento delle famiglie, cioè 2 milioni e 600 mila nuclei, corrispondenti a 7 milioni e 600 mila cittadini italiani.
A rendere questi dati ancora più odiosi concorre, dunque, l'incremento della polarizzazione della distribuzione della ricchezza,


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per cui il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede quasi la metà (il 45 per cento) dell'intero ammontare della ricchezza netta.
Rispetto ai circa 34 miliardi della manovra per il 2007, quasi 15 miliardi servono a riportare, per il prossimo anno, il deficit netto dal tendenziale 2007 del 3,8 per cento al 2,8 per cento, rispettando appieno il percorso concordato a livello europeo. Ciò dovrebbe consentire una graduale diminuzione del rapporto debito-PIL, in un momento in cui i tassi di interesse sono in crescita.
La manovra affronta due questioni essenziali della politica economica: la ripresa dello sviluppo e l'avvio di un recupero di equità sociale.
Il disegno di legge finanziaria si presenta, a nostro parere, equilibrato nella suddivisione tra maggiori entrate e riduzioni di spesa, soprattutto rispetto a quanto indicato nel DPEF. L'esclusione, tuttavia, dell'obiettivo, richiesto dalla CISL, del 2,8 per cento nel rapporto deficit-PIL anche nel 2008, che avrebbe permesso esiti significativi nella lotta all'evasione e nella razionalizzazione della spesa pubblica, ha segnato la manovra con alcune criticità. Esse riguardano obiettivi ineludibili di equità e sviluppo che Governo e Parlamento, nell'iter legislativo, secondo noi, devono trovare il modo di perseguire. Il Governo ha tagliato i trasferimenti agli enti locali, in particolar modo ai comuni, riducendo così di 4,4 miliardi la spesa centrale (anche se proprio ieri si è trovata la soluzione che sapete).
Noi siamo comunque preoccupati della possibilità di un taglio brutale dei servizi, che vanificherebbe il lavoro, che si tenta di fare, di protezione dei redditi medio-bassi e i vantaggi derivanti dalla revisione dell'IRPEF, ferma restando la necessità che anche gli enti locali razionalizzino le loro spese e riducano gli sprechi.
La CISL ribadisce pertanto la necessità di una modifica di questo aspetto e ritiene, però, indispensabile un confronto tra Governo ed enti locali, anche per capire come avviare - perché è l'unica prospettiva - un federalismo fiscale che responsabilizzi gli enti locali e renda certe le risorse a loro disposizione, perseguendo anche per gli enti locali una fiscalità improntata al criterio della progressività.
Quanto alla sanità, è positivo il tentativo di fornire alle regioni certezze di medio periodo sulle risorse disponibili, prevedendo, per il 2007, 96 miliardi di euro, più un miliardo per il piano dei disavanzi pregressi, con il patto sulla salute sostenuto da una strategia di forte responsabilizzazione, di continuo monitoraggio e di accompagnamento da parte del Governo centrale. Non è condivisibile, però, l'introduzione delle misure di compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria, che incide ulteriormente sui redditi dei pensionati e dei lavoratori dipendenti, anche in ragione del fatto che a beneficiare dell'esenzione dei ticket, per ora, è anche un elevato numero di evasori fiscali.
È da sottolineare, quindi, che è mancato il confronto su questo punto - lo diciamo agli onorevoli deputati e senatori -. Su questo argomento, infatti, il Governo ha deciso, senza alcuna discussione con le parti sociali, nonostante le parti sociali stesse, o comunque il sindacato, abbiano fortemente richiesto una discussione.
Nelle varie misure contenute nel disegno di legge finanziaria sul fronte della razionalizzazione e della riorganizzazione della pubblica amministrazione, la CISL non riscontra ancora un organico progetto di riforma - quello che noi abbiamo più volte chiamato un piano industriale - con riferimento al federalismo di cui al Titolo V della Costituzione, sulla linea del DPEF e capace di rendere efficiente l'amministrazione, di ottimizzare l'impiego dei dipendenti, avviando anche gradualmente a soluzione la questione della stabilizzazione dei lavoratori precari.
A questo riguardo, è particolarmente grave, e da risolvere, l'assoluta mancanza di risorse per la loro progressiva stabilizzazione, almeno negli enti locali e nella sanità. Questo è tanto più grave a fronte della disponibilità, offerta dal sindacato al Governo, ad affrontare la modernizzazione


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della pubblica amministrazione ai diversi livelli, attraverso concertazione e contrattazione.
Il rinnovo dei contratti 2006 e 2007 con le risorse stanziate, ma da meglio modulare, dovrebbe avere un ruolo centrale rispetto a questa esigenza e a questa proposta, dovrebbe essere considerato non un costo aggiuntivo, ma uno strumento decisivo - insisto - per la modernizzazione.
Sull'equità, la richiesta prioritaria della CISL è quella di un intervento fiscale equo, per la lotta all'evasione e all'elusione, per la tassazione delle rendite finanziarie, per il recupero delle risorse del secondo modulo della riforma Tremonti - questi due ultimi obiettivi non sono previsti dal DPEF -, per il ripristino di una più incisiva progressività del prelievo.
I 13 miliardi di maggiori entrate fiscali previsti provengono, in misura preponderante, dagli studi di settore, da aumenti di alcune imposte indirette e dalla tassazione delle rendite finanziarie, che la CISL ritiene particolarmente positiva, ovviamente, con la tutela del piccolo risparmiatore.
Quanto alla struttura dell'IRPEF, essa è stata rivista - con le nuove aliquote, i nuovi scaglioni e la sostituzione delle deduzioni con le detrazioni a scalare, rispetto alla crescita del reddito - redistribuendo il carico fiscale a favore dei redditi medio-bassi e ripristinando una maggiore progressività. Questa è una positiva inversione di tendenza, pur nella modestia - sottolineiamo - dei relativi benefici per pensionati e lavoratori dipendenti e tenendo presente che risultano distorsioni di rilievo, con un maggior onere per i redditi oltre i 30 mila euro dei lavoratori dipendenti con carichi familiari. A questa distorsione va posto rimedio, come già hanno rilevato i miei colleghi.
Il limite della riforma è che essa si colloca in un quadro di forte evasione, per cui anche i contribuenti che dovrebbero subire un aggravio di imposta, dati i loro redditi reali, saranno avvantaggiati da queste modifiche. La revisione degli studi di settore può modificare in parte questa situazione, ma decisiva per una reale equità fiscale resta la lotta all'evasione e all'elusione, tutta da verificare, rispetto ai diversi strumenti messi a disposizione dal decreto di luglio, dal decreto di ottobre e nella legge finanziaria.
Gli aspetti critici che la CISL in ogni caso chiede al Governo e al Parlamento di superare riguardano la diversità di detrazione per il lavoro dipendente e per i pensionati.
Sulle politiche sociali, nel contesto di diversi interventi per le politiche sociali a favore della famiglia, anche istituendo nuovi fondi e migliorando la dotazione di quello per le politiche sociali, è positiva la costituzione, da anni perseguita, del fondo per la non autosufficienza, che è un'emergenza sociale. Tuttavia, occorre uno stanziamento non semplicemente simbolico, come i 50 milioni di euro stanziati per il 2007 e i 200 milioni di euro previsti nel 2008 e 2009.
Una maggiore dotazione esprimerà la volontà di attribuire alla costituzione di tale fondo il significato di un'occasione per ripensare tutte le politiche per i non autosufficienti, utilizzando risorse attuali e progressivamente aggiuntive. Collegata con gli esiti della riforma fiscale, c'è la necessità di un intervento a favore degli incapienti.
Per quanto riguarda la contribuzione pensionistica, diciamo che, se l'aumento dei contributi previdenziali degli autonomi al 20 per cento, 2,4 punti a regime, persegue un obiettivo forte di equità nella parificazione dell'aliquota di finanziamento con quella di computo della pensione nel sistema contributivo, oltre che quello di una maggiore sostenibilità finanziaria del sistema, l'incremento di contribuzione per i parasubordinati di 5,5 punti di aliquota, di cui due terzi a carico del datore di lavoro, non solo è la condizione di una migliore tutela previdenziale, ma permette l'estensione a tali soggetti di alcune prestazioni sociali a carico dell'INPS.
Questo disegno di legge finanziaria già riconosce l'indennità giovanile di malattia, per 20 giorni, ed il trattamento economico per il congedo parentale per la nascita di


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un figlio. Pur considerando positivo questo primo risultato, riteniamo, in generale, che le prestazioni debbano essere allineate a quelle dei lavoratori dipendenti. L'aumento della contribuzione basta e avanza per garantire ai lavoratori parasubordinati pari trattamento.
La misura dell'aumento della contribuzione dello 0,3 dei lavoratori dipendenti, a cui la CISL è contraria, non è stata - questo lo sottolineo - discussa con il sindacato.
Venendo al cuneo fiscale, la CISL apprezza che la riduzione del cuneo fiscale dal lato delle imprese abbia premiato la stabilizzazione del lavoro, il Mezzogiorno, i settori più esposti alla concorrenza, le assunzioni di donne in difficoltà, nonché quelle di personale addetto alla ricerca e allo sviluppo. Riteniamo che bisognerebbe aggiungere anche la premiazione di quelle imprese che concludono accordi con il sindacato dei lavoratori, per stimolare la maggiore produttività. Crediamo che sia importante recuperare questo concetto.
Il Governo, in sede di concertazione, si era impegnato a destinare il 40 per cento della riduzione del cuneo ai lavoratori dipendenti. A questo riguardo, è soprattutto il Governo che deve chiarire come e quanto tale impegno sia compreso nella manovra. Aggiuntivi sono certamente gli assegni familiari per i soli lavoratori dipendenti, pensionati e lavoratori parasubordinati, il cui ammontare è di 1,4 miliardi di euro per ciascuno dei prossimi tre anni, a fronte dei benefici per le imprese di 2,450 miliardi nel 2007. Fin qui i conti tornerebbero; se invece si parlasse di 4,410 miliardi nel 2008 e di 4,680 miliardi nel 2009, i conti, a quel punto, rispetto a questi ultimi anni non tornerebbero più.
Sul Mezzogiorno, apprezziamo le misure differenziate a favore del sud. Valutiamo però negativamente il fatto che la costituzione delle zone franche urbane sia solo una sperimentazione e, per di più, rinviata al 2008; che non sia stato previsto il credito di imposta sull'occupazione per le aree svantaggiate e che la ripartizione dei finanziamenti aggiuntivi destinati al sud metta a disposizione per il 2007 e il 2008 solo 100 milioni, che diventano 5 miliardi nel 2009, anche se è positivo che le amministrazioni beneficiarie possono impegnare, fin dal 2007, tutti gli importi loro assegnati, programmandoli nell'arco di sette anni.
Sul mercato del lavoro, nel disegno di legge finanziaria vi sono molti elementi per contrastare il lavoro irregolare: dalla cabina di regia al fondo per l'emersione, alla generalizzazione del documento unico di regolarità contributiva, che noi abbiamo richiesto, agli indici di congruità, al miglioramento degli obblighi di comunicazione e alla maggiore possibilità di interconnessione con le banche dati.
La CISL considera invece largamente insufficiente l'entità del finanziamento del fondo per l'emersione, rispetto agli obiettivi e ritiene che, per migliorare l'operatività di queste norme, è necessario che il documento unico di regolarità contributiva sia rilasciato anche dagli enti bilaterali e che i benefici contributivi siano condizionati al rispetto integrale dei contratti collettivi, nella parte economica, normativa e obbligatoria.
Relativamente agli interventi di rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, la CISL apprezza tutta una serie di interventi legati all'emergenza occupazionale, nonché la conferma dell'aumento dell'indennità di disoccupazione. Per quest'ultima, è urgente sanare la norma che attribuisce la contribuzione figurativa solo per una parte del periodo di trattamento. Oggi, come sapete, sono coperti solo i primi sei mesi per i lavoratori sotto i 50 anni e i primi nove per i lavoratori sopra questa età.
Si rileva con forte preoccupazione la mancanza di interventi per favorire lo svuotamento del bacino dei lavoratori socialmente utili e la loro rioccupazione.
Sui trasporti, come è già stato detto, è necessario prevedere la copertura del contratto di trasporto pubblico locale con l'indicazione nella legge finanziaria di risorse specifiche.
Passo ora al punto che prevede che il 50 per cento del TFR maturando, stimato dalla legge finanziaria, come sapete, in 5 miliardi di euro, che i lavoratori decidono


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di non destinare alla previdenza complementare, è trasferito dalle aziende a un fondo del Tesoro, gestito contabilmente dall'INPS e destinato a finanziare investimenti per lo sviluppo, ferma restando per i lavoratori l'attuale disponibilità. Questo trasferimento non è stato discusso, né tanto meno concordato, con il sindacato, nonostante l'accordo del memorandum sulle vicende previdenziali. Per noi è molto seccante questo aspetto, perché mentre se ne discuteva, si decideva, al riparo da ogni discussione, di scavalcare il sindacato. Questa è una materia prettamente previdenziale, ed è una questione che riteniamo debba essere discussa con le parti sociali.
Il problema non riguarda soltanto la mancata concertazione, ma la necessità che non sia indebolita la prospettiva della previdenza complementare, che per noi è prioritaria. Deve svilupparsi pertanto il confronto tra le parti sociali e l'Esecutivo è chiamato ad affrontare, al più presto, il problema con noi, trattando anche la questione dell'eventuale compensazione degli oneri aggiuntivi per le aziende, a causa del venir meno dell'autofinanziamento del TFR.
Infine, sul riordino e la razionalizzazione degli enti previdenziali, il memorandum firmato da noi e dal Governo il 26 settembre prevede, per il confronto d'inizio del prossimo anno, al punto i), il tema dell'avvio di un processo di riordino e razionalizzazione degli enti previdenziali.
In ragione, quindi, di questo comune impegno di concertazione, va cancellato, noi riteniamo, l'articolo 43 della legge finanziaria, che interviene su questa materia. Anche al riguardo c'è stato un vero e proprio scavalcamento dei sindacati, senza alcuna discussione. Quindi, riteniamo che, prima di ogni confronto, debba essere cancellato l'articolo 43, il quale prevede la soppressione dei comitati centrali regionali e provinciali dell'INPS, nonché dei comitati di vigilanza per la gestione dell'INPDAP.
Per la stessa ragione - analogamente a quanto avviene con il comma 5 dell'articolo 42, che esclude gli enti previdenziali dagli interventi sui vertici degli enti pubblici non economici, previsti dallo stesso articolo -, va fugato ogni dubbio che possa applicarsi agli enti previdenziali la norma di cui all'articolo 47, comma a), che prevede la fusione di enti che svolgono attività analoghe o complementari.

LUIGI ANGELETTI, Segretario generale della UIL. Ringrazio la presidenza, i senatori e i deputati per questa occasione, che ci permette di esprimere l'opinione della UIL sul disegno di legge finanziaria. Nei prossimi giorni, forniremo un dettagliato documento; quindi ora mi limiterò a puntualizzare alcuni aspetti che riteniamo fondamentali, almeno dal nostro punto di vista.
Gli obiettivi di risanamento, di sviluppo e di equità sono condivisibili. Pensiamo che essi possano essere realisticamente perseguiti se, nella legge finanziaria, intervengono alcune modifiche, la prima delle quali riguarda la manovra fiscale.
Il Governo aveva assunto un impegno in termini di riduzione del cuneo fiscale di entità pari a 5 punti, tre punti a vantaggio delle imprese e due a vantaggio dei lavoratori. Per quanto riguarda la realtà che emerge dalla legge finanziaria, anzitutto va sottolineato che queste risorse sono state distribuite rimodulando l'IRPEF tra tutti i contribuenti, quindi anche per i contribuenti che non sono lavoratori dipendenti. E, visto che tutti i dati statistici dell'Agenzia delle entrate testimoniano che la maggioranza degli imprenditori, soprattutto di quelli piccoli, dichiarano redditi inferiori a quelli dei propri dipendenti, ne consegue il paradosso che le riduzioni fiscali che dovevano essere destinate al lavoro dipendente sono andate a vantaggio anche dei datori di lavoro che, notoriamente, dichiarano redditi inferiori ai 30 o 40 mila euro.
La rimodulazione dell'IRPEF, che è positiva, è stata realizzata con il denaro destinato a ridurre le tasse dei lavoratori dipendenti.
Gli aumenti degli assegni familiari - intervento lodevole che noi ovviamente appoggiamo - hanno un valore complessivo tale da non potersi dire, seriamente e onestamente, che i tre miliardi e mezzo di


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euro previsti per la riduzione del cuneo fiscale, a vantaggio del lavoro, siano stati effettivamente utilizzati: ne sono stati utilizzati di meno e non sono andati esclusivamente al lavoro dipendente.
Questa è, ovviamente, una questione per noi fondamentale. Abbiamo chiesto al Governo, insieme ai nostri colleghi della CISL e della CGIL, come sia stata risolta la questione del cuneo fiscale; sicuramente, questa verifica, nel momento in cui verrà fatta, testimonierà le affermazioni che ho or ora fatto. Si può rimodulare l'IRPEF, si può aumentare l'importo degli assegni familiari, ma questo non c'entra nulla con la riduzione del cuneo fiscale; è un'altra cosa; è una mistificazione confondere le due operazioni, e noi non amiamo le mistificazioni.
Un altro aspetto che, secondo noi, bisogna verificare riguarda l'accordo, o presunto tale, sul trattamento di fine rapporto. Poiché si tratta di risorse dei lavoratori dipendenti depositate presso le aziende, qualunque iniziativa non può non coinvolgere direttamente i lavoratori dipendenti e le imprese. Non pensiamo che sia possibile fare altrimenti. Diversamente, si configura una vera e propria tassa, che è legittimo che il Parlamento imponga, ma non si potrebbe definirla altrimenti.
Secondo noi, quindi, l'unica strada da seguire è quella di discutere fra Governo e parti sociali tutto ciò che riguarda la destinazione del TFR. Questa discussione è oltremodo utile, perché a mio avviso esiste un equivoco laddove, per esempio, si parla delle risorse del TFR «inoptate», ovvero su cui non sia stata esercitata una opzione, da destinare all'INPS o meno. L'accordo sottoscritto dal Governo precedente, che poi lo stesso Governo ha praticamente bocciato, e dalle parti sociali prevedeva esplicitamente che non esistessero risorse «inoptate» da destinare a qualunque altra cosa che non fossero i fondi contrattuali. L'accordo recita che il silenzio-assenso, cioè la non scelta, va a favore dei fondi previdenziali. Non comprendiamo in base a quale fenomeno, improvvisamente, ci sia una massa di risorse «inoptate», cioè non scelte, disponibili. Semplicemente, questo non è vero: basta leggere l'accordo, che indica espressamente la destinazione delle somme del TFR per cui il lavoratore non esercita alcuna scelta.
Le uniche risorse teoricamente disponibili, da lasciare in azienda o da trasferire all'INPS, sono solo quelle che il lavoratore dichiaratamente ed esplicitamente destina a quello scopo.
Per questi due buoni motivi, credo quindi che non vi sia altra soluzione che quella di avviare finalmente questo confronto e di affidarsi al buonsenso, alla ragione e agli interessi collettivi che noi rappresentiamo.
Quanto ai contratti del pubblico impiego, il Governo ha il dovere - ed anche il Parlamento - di mantenere i patti, soprattutto con i dipendenti pubblici. I patti prevedono che ci sia un sistema di regole, che presiede alla negoziazione dei contratti pubblici, che sostanzialmente ne definisce tempi, modalità e quantità, attraverso il sistema - lo dico per che quanti non sono informati - che prevede la quantità definita dall'inflazione programmata da stabilire da parte del Governo e l'eventuale scatto dell'inflazione programmata e di quella effettivamente realizzata nel biennio precedente.
Ci attendiamo, quindi, nient'altro che il rispetto di questi patti, nei tempi e nelle quantità.
Il Governo precedente, pur essendo dichiaratamente un Governo non proprio amico delle organizzazioni sindacali, ci ha costretto a fare otto scioperi generali, ma, alla fine, i lavoratori dipendenti hanno ottenuto gli aumenti salariali concordati, con gli arretrati, senza moratoria.
Noi ci attendiamo, quindi, da questo Governo e da questa maggioranza, un comportamento analogo. Siamo dell'idea che tutto ciò che è previsto dal protocollo e che abbiamo convenuto con il Governo, nella discussione sulla riforma previdenziale, debba essere mantenuto. Voglio essere più esplicito: se venisse meno, da parte del Governo, il rispetto di un punto di quell'accordo, come quello sugli enti previdenziali, credo che legittimamente ci potremmo ritenere liberi di non rispettare


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neppure noi quel protocollo: è un problema di qualità di rapporti, oltre che di sostanza, a cui teniamo particolarmente.
L'ultima questione che volevo sollevare riguarda le pensioni. In questi ultimi anni, abbiamo assistito ad un enorme trasferimento di ricchezza ai danni dei redditi fissi e delle pensioni, che hanno subito una reale perdita in termini di potere d'acquisto, e l'hanno subita tutti, qualunque fosse il livello, perché l'aumento dei prezzi e delle tariffe ha falcidiato tutte le retribuzioni e tutte le pensioni. I pensionati, per difendersi, non hanno la possibilità, che hanno i lavoratori in attività, quando ci riescono, di rinegoziare i contratti. Solo una possibilità è prevista per i pensionati dalla legge: che periodicamente si verifichi lo scostamento che si realizza tra la rivalutazione delle pensioni e l'effettiva inflazione, oltre che l'andamento dell'economia, in modo tale che la ripartizione dei redditi tenga conto dell'effettiva crescita dell'economia e che nessuna parte, soprattutto le persone più indifese, come i pensionati, rimanga priva di ogni forma di difesa.
Questa è una questione fondamentale, che sta alla base di un vasto malessere di milioni di cittadini italiani e non semplicemente circoscrivibile a quel milione (pur essendo anch'essi molti) di pensionati sociali o con il minimo della pensione. Noi siamo persone realistiche e non pensiamo, ovviamente, che il Governo o il Parlamento possano trovare risorse sufficienti nell'immediato; però pensiamo che debba essere prevista una modesta, e magari simbolica, destinazione di risorse a questo titolo, con l'impegno che i futuri introiti derivanti da una efficace e costante lotta all'evasione fiscale possano essere utilizzati anche a questo scopo.

RENATA POLVERINI, Segretario generale dell'UGL. Vi ringrazio per l'invito a partecipare a questa audizione, che ci dà la possibilità di utilizzare ancora una volta una sede istituzionale, anche perché, malgrado i tentativi di arrivare ad una ipotesi concertata, alla fine ci sono state delle fughe in avanti che ci hanno fatto trovare di fronte ad una legge finanziaria di fatto non concordata, se non per piccolissimi particolari.
Sottolineo che la manovra è di nuovo tornata a 35 miliardi di euro, cosa che - come ho già ripetuto in tutti gli incontri con il Governo - va oltre il rispetto dei limiti di bilancio stabiliti a Bruxelles per il rapporto deficit-PIL, sceso, secondo i dati semestrali dell'Istat, al 2,9 per cento.
Tra l'altro, questa è, se mi consentite il termine, una «finanziaria-fisarmonica», che ogni giorno si allarga e si stringe. Ovviamente, per quanto mi riguarda, do per certa quella che è stata pubblicata ed è in questi giorni in discussione, anche se già da allora, e non solo da allora, non solo abbiamo avuto nuove cifre, ma ogni giorno sentiamo che tali cifre aumentano o diminuiscono. Io, però, prendo atto che la legge finanziaria sulla quale sono chiamata ad esprimere valutazioni è quella che è stata scritta.
Il disegno di legge finanziaria, secondo me, non opera una reale redistribuzione della ricchezza verso le fasce più basse di reddito. In sostanza, a fronte di maggiori entrate IRPEF per 1,5 miliardi, ci sono benefici, attraverso gli assegni familiari, per 1,4 miliardi. Gli assegni familiari, però, non sono in finanziaria e saranno aumentati solo per decreto, decreto che, presumibilmente, sarà varato nel 2007 inoltrato, cosicché o verranno versati gli arretrati degli assegni familiari, oppure il Governo risparmierà altre centinaia di milioni di euro.
Il bilancio sostanzialmente in pareggio della manovra IRPEF dimostra che i lavoratori non hanno ricevuto dalla riduzione del cuneo fiscale alcun beneficio, neppure in termini di redistribuzione dei redditi.
È inaccettabile la confisca del TFR, sia per il metodo usato sia per le inevitabili conseguenze sulla previdenza complementare. La misura colpisce principalmente gli enti locali, che saranno costretti a diminuire sensibilmente le prestazioni sociali, delle quali sono ormai i principali erogatori, e gli investimenti, che proprio le


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amministrazioni locali effettuano nella misura del 60 per cento di tutti gli investimenti pubblici realizzati in Italia.
Sono inoltre introdotti ticket e tagli alla sanità, alla scuola, alla sicurezza, mentre il fondo per la non autosufficienza avrà una dotazione di soli 50 milioni.
Non si parla concretamente di ammortizzatori sociali, se non rispetto alla mobilità lunga.
Su questi ulteriori punti qualificanti della manovra, l'UGL ha predisposto una serie di emendamenti e due proposte alternative di riforma dell'IRPEF. La prima prevede l'elevazione della soglia di reddito dei familiari a carico, ferma a poco più di 2 mila 800 euro, a 5 mila euro, e delle detrazioni per i figli ed il coniuge, che si propone di portare tutte a mille euro. La spesa stimata per lo Stato è uguale a 2,2 miliardi di euro, a fronte di 650 milioni con la vigente normativa. La seconda proposta, alternativa alla prima, prevede l'introduzione della clausola di salvaguardia per i redditi al di sotto dei 40 mila euro, affinché i danneggiati, o i presunti danneggiati, dalla riforma Visco possano optare per il regime fiscale attualmente in vigore.
Effetti positivi che intravediamo nella legge finanziaria sono: l'aumento della progressività dell'imposizione fiscale, con l'introduzione di nuove aliquote; l'innalzamento dell'aliquota stabilita dal Governo Amato per le rendite finanziarie; la selettività, in favore della stabilizzazione dell'occupazione, specialmente delle donne rientranti nella definizione di lavoratore svantaggiato, nella distribuzione alle aziende degli incentivi derivanti dalla riduzione del cuneo fiscale; l'aver sottratto alla legge finanziaria il provvedimento sulla previdenza con il memorandum sottoscritto anche dalla mia organizzazione.
Si evidenziano, quindi, da subito delle criticità in ordine alla effettiva disponibilità delle entrate. In primo luogo, il fondo per il TFR, iscritto a bilancio per 6 miliardi di euro, praticamente tutta la manovra, potrebbe (anche se non lo sappiamo ancora, perché arrivano indicazioni diverse) non ottenere il visto dell'Unione europea, con la conseguenza che sarebbero a rischio gli interventi sul fondo per la competitività, sul fondo per la ricerca, sulle imprese pubbliche, sull'autotrasporto, sul capitale FS, sulle reti FS, sulle spese di investimento, oltre che, nel 2008, per l'alta velocità.
Oltre a queste considerazioni di carattere prettamente tecnico, esistono ben altre motivazioni a sostegno della contrarietà di fronte a quello che si configura come un vero e proprio prelievo forzoso a danno dei lavoratori; motivazioni che costringono la nostra organizzazione a chiedere, prima di qualsiasi discussione, la cancellazione dell'articolo 84, relativo al trattamento di fine rapporto, anche perché è stato creato un ostacolo formidabile e, per certi versi subdolo, al concreto e reale decollo della previdenza complementare.
Infine, cosa per certi versi ancora più grave, lo Stato entra direttamente ed in maniera forzosa nella libera espressione contrattuale delle parti sociali su una materia sulla quale si raggiunse un accordo tra ben 23 soggetti rappresentativi del paese, superando così, per legge e di fatto, la contrattazione fra le parti.
Sul versante delle entrate, una grossa posta dovrebbe arrivare dalla lotta all'evasione e all'elusione, numeri di per sé a rischio. Così come a rischio sono le entrate derivanti dalla revisione degli studi di settore.
Fra le misure maggiormente contestate vi è il taglio agli enti locali, una misura che è destinata a ripercuotersi sul livello dei servizi sociali, considerato il ruolo dei comuni ai sensi della legge n. 328 del 2000, e sul livello degli investimenti, in quanto proprio sulle opere pubbliche il 60 per cento dell'ammontare complessivo degli investimenti è riconducibile agli enti locali.
Di positivo vi sono il recupero della progressività delle aliquote, il ritorno alle detrazioni, con un aumento delle detrazioni per i figli a carico, l'innalzamento degli assegni familiari. Tutto ciò, però, potrebbe non essere sufficiente alla luce di diverse considerazioni.


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In primo luogo, da diverse proiezioni effettuate, la famiglia non sembra aver beneficiato in maniera decisiva, tanto che già a partire da 30-40 mila euro si registrano degli scompensi e delle perdite rispetto al sistema precedente; in secondo luogo, gli assegni familiari rischiano di arrivare a luglio 2007; in terzo luogo, l'aumento della pressione fiscale a livello locale, con tutto quello che abbiamo già sentito rispetto a ICI, IRPEF e quant'altro, di fatto annulla i benefici che eventualmente il lavoratore dipendente e il pensionato avrebbero dalla riforma al livello centrale.
Le nostre richieste principali sono, quindi, l'innalzamento della soglia per essere considerato coniuge a carico, l'aumento della soglia delle detrazioni e l'inserimento della clausola di salvaguardia.
Per quanto riguarda gli enti locali, oltre al taglio del quale si è detto sopra, la riscrittura del patto di stabilità interno rischia di penalizzare buona parte dei comuni, che lamentano la mancata concertazione, anche se ieri abbiamo assistito, comunque, ad un incontro. È criticabile l'inasprimento dei costi della casa in termini di maggiore ICI, dopo la revisione degli estimi e con l'introduzione di un'assicurazione sull'abitazione. Relativamente alla tassa di scopo, la nostra richiesta è quella di assicurare una maggiore partecipazione dei cittadini nelle scelte su come investire i soldi che eventualmente fossero raccolti.
Per quanto riguarda le politiche sociali e la sanità, la legge finanziaria è molto contraddittoria. Al di là delle indicazioni di principio, il dato di fatto è che il taglio agli enti locali inevitabilmente è destinato ad incidere sulla spesa sociale. È scomparso anche il bonus per gli asili nido, così come non c'è più traccia degli asili nido aziendali, che pure avevano funzionato, e della sperimentazione del 5 per mille - anche se al riguardo abbiamo sentito parlare di un errore - da devolvere alle onlus, alle università, agli enti di ricerca e ai comuni di residenza.
Assolutamente da rifiutare l'ipotesi di nuovi ticket per le prestazioni sanitarie, che potrebbero indurre molte persone, soprattutto pensionati e lavoratori dipendenti a basso reddito, a rinunciare a farsi visitare al pronto soccorso per evitare di dover pagare un costo aggiuntivo. Altrettanto preoccupante è il riferimento alla riorganizzazione dei livelli essenziali di assistenza, ipotesi da valutare con estrema attenzione, viste le fortissime sperequazioni fra le regioni.
Per quanto riguarda il Mezzogiorno e lo sviluppo, al di là della riduzione del cuneo fiscale, che in realtà per i lavoratori è stata assorbita dall'IRPEF, non sembrano esserci misure sufficientemente idonee a garantire il rilancio della nostra economia e del Mezzogiorno in particolare. Le somme stanziate per il sud avranno il loro effetto solo nei prossimi anni, in quanto per il 2007 e il 2008 le stesse ammontano a 200 milioni di euro complessivi. Molti degli investimenti previsti, poi, sono strettamente connessi al fondo di trattamento di fine rapporto. Se l'Unione europea bocciasse questo provvedimento, tutto cadrebbe.
Insufficiente è la dotazione per le zone franche urbane, argomento del quale si è parlato negli incontri sul Mezzogiorno. È penalizzata anche l'agricoltura, per la quale non sono state stanziate risorse sufficienti, mentre positivo è il riferimento al potenziamento del porto di Gioia Tauro, che però, senza infrastrutture di raccordo, rischia di essere l'ennesima cattedrale nel deserto.
Su lavoro e previdenza - e concludo - la legge finanziaria rappresenta un passo indietro per quanto riguarda la partecipazione dei lavoratori, essendo scomparso il finanziamento del fondo speciale introdotto con la legge finanziaria per il 2004. Fondamentale, in primo luogo, è il riferimento alla concertazione. Si dovrà insistere affinché gli articoli che introducono importanti novità nella legislazione del lavoro siano oggetto di un profondo confronto con il Governo.
Fra le questioni aperte, vi è il rinnovo del contratto del pubblico impiego. Al


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momento, le risorse stanziate non sono ancora sufficienti. A conti fatti, mancano ancora circa 700 milioni di euro.
Altra questione aperta è quella del precariato nella pubblica amministrazione. Tenendo conto del tasso di cambio previsto, per stabilizzare tutti i precari servirebbero almeno otto anni.
Passando alla scuola, decisamente preoccupanti, sono la situazione dell'edilizia scolastica, il rispetto della normativa su igiene e sicurezza, oltre naturalmente alla questione dei docenti e del personale ATA precario.
La legge finanziaria sembra, inoltre, sottovalutare il comparto sicurezza, in termini sia di investimenti che occupazionali. Fra le nostre richieste figurano detrazioni per i militari impegnati all'estero e per le forze di Polizia, nonché i finanziamenti per il vigile di quartiere.
È stato chiesto anche il rifinanziamento del trasporto pubblico urbano, come evidenziato già nella cabina di regia dei trasporti.
Sul versante delle pensioni, oltre a quanto già detto sul TFR, è opportuno che si riconosca nella procedura di emersione del lavoro sommerso una contribuzione figurativa che garantisca la copertura previdenziale. Penalizzante è anche l'aumento dello 0,30 per cento dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori. Fra le richieste, vi è anche quella di estendere al genitore maschio titolare di un rapporto di lavoro con contratto di collaborazione a progetto la possibilità di usufruire del congedo parentale. Inoltre, condivido le osservazioni svolte dai colleghi sulla questione degli enti previdenziali.
Abbiamo già predisposto un documento molto corposo, che contiene 59 emendamenti. Ci riserviamo, nei prossimi giorni, visto che la manovra è molto consistente, di presentare tutte le ulteriori nostre proposte.

PRESIDENTE. Abbiamo la possibilità di fare qualche approfondimento. Quindi, do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LAURA RAVETTO. Vorrei rivolgere una domanda ai rappresentanti di Confindustria. Vorrei sapere se - indipendentemente dalla attuabilità del taglio del cuneo rispetto all'eccezione comunitaria del de minimis, le cui criticità mi pare siano state espresse anche dal vicepresidente Bombassei - Confindustria ritenga coerente con la filosofia del taglio del cuneo una misura la cui selettività è a favore di imprese labour intensive, rispetto ad imprese che operano in settori più tecnologici o comunque sono maggiormente esposte alla concorrenza internazionale.

MARIO FRANCESCO FERRARA. Abbiamo ascoltato questa sera un'affermazione che è abbastanza importante. Il segretario Angeletti ha detto che in questa legge finanziaria sono stimati cinque miliardi di euro in più. Insomma, non ci sono cinque miliardi di euro. Fra l'altro, è stato rivolto un invito a sedersi e a vedere che cosa si debba fare. Oggi sono presenti sia Confindustria, che è uno degli i attori importanti dell'accordo richiamato, sia gli altri sindacati; allora, la prima domanda è: questi cinque miliardi di euro ci sono o non ci sono?
Sul tema del TFR, bisogna tenere conto del fatto che il Presidente Prodi ha affermato che il cuneo fiscale vale venti o trenta volte più del TFR. Certo, il TFR confluisce nel conto patrimoniale, mentre il cuneo nel conto economico. Quindi, se prendo in prestito dei soldi per soddisfare le mie esigenze, a questo punto questi soldi quanto valgono? Valgono il 5 per cento all'anno, il che significa venti volte più del TFR; se ho una buona azienda e riesco a farmeli prestare ad un tasso inferiore, il valore è trenta volte superiore al TFR. Però, non si tiene conto di una realtà diversa, e lo vorrei sapere da Confindustria. Gli imprenditori questo conto non lo fanno, ma fanno, invece, il bilancio dei flussi di cassa; e i flussi di cassa mi pare che facciano pari e patta, quindi questo guadagno da venti a trenta volte


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non lo vedo assolutamente. C'è Confindustria e ci sono i sindacati, per cui vorrei un chiarimento in proposito.
Da ultimo, vorrei fare un'annotazione tra il serio e il faceto. Si è detto che il Governo precedente non era amico dei sindacati e li ha obbligati a fare otto scioperi generali, pur se alla fine ha fatto delle concessioni. Ora, siccome l'amicizia non è un concetto univoco, ma biunivoco, e i sindacati, invece, di questo Governo sono amici. Ne avevamo qualche sospetto, l'affermazione conforta le nostre convinzioni.

PRESIDENTE. Ringrazio il senatore Ferrara. Scherzosamente, il presidente Morando, che peraltro mi ha pregato di scusarlo perché è dovuto andare via, ha detto, facendo una battuta, che questa affermazione non è in realtà documentata dalle performance delle retribuzioni contrattuali che si sono registrate nella precedente legislatura. Non mi assumo la responsabilità di questa affermazione; ne abbiamo discusso anche in altre occasioni. L'ho detto solo per chiosare, spero simpaticamente, una sua affermazione.

DANIELA GARNERO SANTANCHÈ. Innanzitutto, voglio ringraziare i rappresentanti di Confindustria e dei sindacati che sono venuti, questa sera, in audizione. Un po' maliziosamente, però, mi vengono in mente le parole di una persona che oggi non c'è più, la quale diceva che era molto pericoloso quando si vedevano Confindustria e i sindacati andare d'accordo, perché quando c'era l'accordo tra di loro era sempre un male per il paese.
Devo dire che, questa sera, da quello che abbiamo sentito dire, al di là di quanto affermato dalla rappresentante dell'UGL, Renata Polverini, che ha fatto un distinguo e avanzato anche delle proposte, rimarcando quello che, secondo lei, in questa legge finanziaria bisognerebbe cambiare, per il resto ho riscontrato una grande sintonia tra la Confindustria e i sindacati. Sarà una mia impressione, forse ho capito male, ma questo è quanto mi è sembrato.
Allora, vorrei rivolgere una domanda sia alla Confindustria, sia ai sindacati. Siete veramente convinti che questa legge finanziaria contenga quelle misure volte a far sì che il paese riparta? Siete sicuri che ci siano delle misure volte veramente al rilancio economico della nostra nazione? Da una mia analisi, questo non sembrerebbe proprio. Certamente, ci sono anche degli elementi positivi in questa legge finanziaria. Mi riferisco, ad esempio, al credito di imposta che ci ha riproposto il viceministro Visco, o ad altre misure. Mai nessuna legge finanziaria è stata completamente da buttare via. Però, da parte del sindacato, avrei voluto sentire delle parole più forti per quanto riguarda il TFR; credevo, infatti, che il fatto che vengano sottratti soldi ai lavoratori dandoli all'INPS, per usarli come copertura di questa legge finanziaria, avrebbe suscitato parole molto più dure, perché sono abituata a pensare ad un sindacato che tutela esclusivamente gli interessi dei lavoratori.
Per quanto riguarda Confindustria, il cuneo fiscale non è stato attuato com'era nelle promesse e nelle premesse di questo Governo, ma comunque non vedo misure volte, da un punto di vista economico, a far ripartire, come viene chiesto da tutti, questo paese. Anche l'ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, oggi, si è dilungato molto su questo tema e ha detto che quello che manca in questo paese è una mission, ovvero capire dove si vuole andare, come si vuole ripartire.
Vorrei far notare ai nostri interlocutori di Confindustria e dei sindacati che, certamente, la ripresa e l'agganciamento dell'1,3 per cento sono un progetto poco ambizioso da un certo punto di vista, perché nella zona dell'euro vi sono paesi che crescono molto di più. Ma io credo che questa legge finanziaria non sia sufficiente nemmeno da questo punto di vista.
Allora, vorrei chiedere sia ai sindacati, ad eccezione del segretario dell'UGL, Renata Polverini, sia a Confindustria, se siano convinti che questa legge finanziaria


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funzionerà. Poi valuteremo quando sarà attuata la legge finanziaria, che non sarà forse quella elaborata dal Governo.
Anche in questo caso, dovremmo aprire una parentesi, perché è la prima volta che un ministro presenta una manovra finanziaria e poi, ogni giorno, dice che forse è mancata la concertazione, forse si è sbagliato nell'impianto, forse si farà uno sconto - come se fossimo al supermercato - agli enti locali, si regalerà qualcosa di più a Confindustria o si farà un piccolo accordo con i sindacati. È un atteggiamento del ministro dell'economia che, da un punto di vista formale, non mi entusiasma; però, vorrei sapere dai nostri interlocutori se ho capito male o se sono così convinti che questa è una manovra che farà ripartire la nostra nazione, se è una manovra che parte con uno slancio diverso, e se questo Governo è molto attento alla ripresa economica del paese.

MARIA TERESA ARMOSINO. Vorrei porre una domanda secca, non prima avervi ringraziato per la disponibilità che avete dimostrato. La domanda vuole fugare un mio dubbio ed è rivolta prevalentemente a Confindustria.
Alcune norme (ad esempio, la disposizione di cui all'articolo 24 del disegno di legge finanziaria, recante contributi per apparecchi domestici e motori industriali ad alta efficienza, la norma di cui all'articolo 20, comma 20, lettera a), recante detrazione per le attrezzature sportive, e la norma di cui all'articolo 7 del decreto-legge di accompagnamento alla legge finanziaria) sono state oggetto di richieste da parte di Confindustria per l'attenzione particolare che essa rivolge ai settori in questione. D'altra parte, ho sentito il presidente lamentare, ad esempio, il taglio e la disattenzione totale nei confronti del settore farmaceutico. Mi domando se sia possibile - come, ahimè, è successo - lasciare il dubbio che ciò sia dovuto a casualità, coincidenze o vicinanze.

MICHELE VENTURA. Ho ascoltato con grande attenzione il contributo portato quest'oggi da Confindustria attraverso il vicepresidente Bombassei e non posso dire che siano stati tutti complimenti. Ciò che intendo dire - poi passo al merito della questione - è che non si può essere prigionieri di uno schema che prevede un accordo tra grandi industrie e sindacati contro i lavoratori autonomi. È uno schema dal quale non siamo usciti durante tutte queste consultazioni e che ci è stato riproposto in ogni momento.
Al di là di questa osservazione di carattere generale, penso che anche questa sera abbiamo ricevuto dei contributi sui quali riflettere. Una legge finanziaria - e lo dico dal punto di vista del metodo - non dà certo tutte le risposte che i vari soggetti che vi concorrono o che la osservano ritengono possa contenere.
Rivolgo la mia considerazione e la mia domanda a Confindustria, ma vorrei estenderla anche ai sindacati.
È in corso un dibattito sui tagli alle spese; nel DPEF, il ministro dell'economia aveva più volte parlato di quattro grandi aggregati di spesa: sanità, pubblico impiego, enti locali e previdenza. Mi sono sempre chiesto se questi temi potessero essere affrontati attraverso riforme o tagli; poi, la settimana successiva alla presentazione del DPEF, c'è stato il dibattito tra Giavazzi e Padoa-Schioppa.
Probabilmente, i molti soggetti che ci pongono le questioni considerano quello del risanamento un problema ormai archiviato. Mi riferisco alla necessità di fare una manovra di 15 miliardi di euro per contenere il rapporto deficit/PIL. Forse, si pensava che ciò potesse avvenire attraverso tagli alla spesa.
Per essere breve, non ritenete che - e qui mi rivolgo a Confindustria - le premesse contenute sul tendenziale in tema di sanità prevedano una riduzione consistente? Ebbene, questa riduzione obbligherà a un processo di riforme e di responsabilizzazione.
Immaginare che in tre mesi potessero essere realizzate tutte le riforme che si attendevano, personalmente lo considero un fatto che non aveva la possibilità di verificarsi.


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Vi è poi una riduzione dei trasferimenti agli enti locali. Si torna quindi a un livello di responsabilizzazione attraverso il passaggio dai tetti ai saldi, che comporterà anch'esso un processo di riforma.
Il tema della previdenza è rinviato al memorandum sottoscritto per il 2007.
Per quanto concerne il pubblico impiego, ho ascoltato con molta attenzione il segretario Epifani e i rappresentanti di CISL e UIL. Si dice che le risorse destinate al contratto devono intendersi come ammodernamento della pubblica amministrazione; secondo me, si tratta di una questione essenziale.
Credo che sia sbagliato ritenere che vi sia una frenata rispetto ai processi di riforma. Non ritenete che, con questo disegno di legge finanziaria, si siano poste le premesse per avviare un processo di riforma, che anch'io ritengo indispensabile per il paese? La legge finanziaria doveva rispondere a determinate esigenze in condizioni date; possiamo discutere dei particolari, ma credo che abbia colto nel loro complesso le esigenze che avevamo di fronte.
Mi interessa conoscere il vostro punto di vista sulla prospettiva dei processi di riforma, che, a mio avviso, rimane aperta.

GIUSEPPE VEGAS. Vorrei porre a Confindustria innanzitutto una questione di metodo. Leggo una notizia d'agenzia di oggi pomeriggio, secondo cui, rispetto alle lamentele di Confindustria sulla questione del TFR, il ministro dell'economia avrebbe affermato: «A questo punto vi ripeto l'offerta: se volete, vi lasciamo il TFR e ci riprendiamo il cuneo; se continuate ad alimentare una falsa caricatura, rischiate che questo cambiamento si faccia davvero». È forse questo il nuovo metodo della concertazione che ha trovato favorevoli le parti sociali?
Mi rivolgo ora ai rappresentanti del sindacato, e segnatamente al dottor Epifani. Lei ha affermato che in questa manovra è stato importante l'aspetto redistributivo. Benissimo, ma mi permetterei di soggiungere che per redistribuire bisogna prima produrre. Sta di fatto che l'aspetto redistributivo lascia qualche perplessità.
Una prima questione che, ad eccezione del segretario Angeletti, non è stata sollevata riguarda la parte del cosiddetto cuneo di competenza dei lavoratori, che non viene redistribuito ai medesimi lavoratori, ma ai reddituali con basso livello di reddito. Questi ultimi possono non coincidere con i lavoratori e potrebbero anche essere persone che fanno i rampier per loro scelta, senza aver mai lavorato. Vorrei sapere quale sia il nesso tra il cuneo e la curva dell'aliquota IRPEF.
Se poi andiamo a vedere la curva dell'aliquota IRPEF, come ci ha detto oggi l'ISAE, in sostanza gli avvantaggiati sono un po' meno del 50 per cento del totale delle famiglie e il vantaggio medio, al netto degli aggravi relativi alle addizionali regionali e locali, si aggira intorno ai 144 euro annui, cioè 31 centesimi al giorno pro capite. Non mi sembra che ciò costituisca una entità tale da poter rilanciare mediamente i consumi. Forse, l'attività di redistribuzione che si è fatta con la curva non è sufficiente. Però, la redistribuzione riguarda non solo la curva, ma il complesso della manovra, che è di un'entità forse troppo elevata rispetto alle necessità di risanamento della finanza pubblica, visto l'andamento attuale delle entrate e delle spese, e che, ad avviso degli organismi governativi, porterà a effetti recessivi pari almeno - ma forse è anche poco - allo 0,2 per cento del PIL. Mi domando se, per caso, questi effetti non aggravino ulteriormente le condizioni di vita degli strati meno «ricchi» della popolazione e se da parte sindacale sia stato considerato il fatto che, per ottenere questa manovra, si è dovuto premere l'acceleratore su molta fiscalità, anch'essa a carico dei lavoratori.
Faccio alcuni esempi banali. Quando aumenta la tassazione sulle rendite finanziarie, non si tassano solo i ricchi, ma anche molti lavoratori e pensionati. Quando si aumentano le rendite catastali, si tassa circa il 90 per cento della popolazione che ha una casa di abitazione. Quando aumenta il gasolio da autotrazione, si fa pagare di più a chi deve


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spostarsi per lavorare. Quando si aumentano i contributi sociali anche dei lavoratori dipendenti, forse si fa un trade-off tra mancata chiusura di una finestra e aumento dei contributi e si svantaggia una ventina di milioni di lavoratori, in favore di qualche decina di migliaia di pre-pensionati. Quando si dà mano libera all'aumento dell'imposizione locale e si preferisce non fissare un tetto, ma un saldo, si colpiscono strati non particolarmente ricchi della popolazione, che pagheranno più tasse. Si esentano dal pagamento del bollo le nuove vetture immatricolate «euro 4», ma al contempo si aumenta in media del 18 per cento circa il bollo auto di vetture «euro 3», «euro 2» ed «euro 0»; ma si presume che chi non è in grado di acquistare una macchina nuova non appartenga alla fascia più ricca della popolazione.
La domanda è che, se deve essere una politica redistributiva, non si può guardare solo alla curva IRPEF, ma al complesso della fiscalità. Ebbene, se guardiamo al complesso della fiscalità, poiché molte imposte sono di carattere indiretto, forse sono colpiti di più i portatori di reddito medio e medio-basso che non i ricchi, che possono permettersi di pagare la tassa sui SUV senza grossi problemi.

AMEDEO CICCANTI. Sarò molto schematico, signor presidente. Anch'io mi unisco ai ringraziamenti che sono stati rivolti ai nostri ospiti. Vorrei porre una domanda...

MARIO FRANCESCO FERRARA. C'è qualcuno che, in assenza dei segretari generali, sta prendendo appunti? In casi simili si sospende la seduta e si censura l'assenza degli auditi!

PRESIDENTE. I segretari generali rappresentano le organizzazioni sindacali, che hanno la loro dirigenza che, trattandosi di organizzazioni sindacali, risponderà.

MARIO FRANCESCO FERRARA. In casi simili, in Parlamento si sospende la seduta e si censura l'assenza degli auditi!

PRESIDENTE. Senatore Ferrara, non ho fatto in tempo: aspettavo che si concludessero gli interventi per porgere le scuse da parte del dottor Epifani, che ha avuto un impegno improvviso e urgente e si è dovuto allontanare. Essendo presenti gli altri colleghi delle organizzazioni sindacali, credo non sia il caso di stigmatizzare alcunché.

ANTONIO FOCCILLO, Segretario confederale della UIL. Desidero rilevare che i tre segretari generali sono tutti impegnati; quindi, noi segretari confederali e coloro che sono addetti alla politica economica e finanziaria risponderemo ai quesiti.

PRESIDENTE. Era scontato e pleonastico (Commenti del senatore Ferrara).
Senatore Ferrara, la prego, per cortesia. Questa è un'audizione delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL e UGL e di Confindustria.
Senatore Ciccanti, la invito a proseguire, anche perché bisogna rispettare una dimensione di cortesia istituzionale.

AMEDEO CICCANTI. Se lei me lo permette.

PRESIDENTE. Glielo permetto, sempre che non vi siano altre interruzioni che, come sta notando, non provengono da parte mia.

AMEDEO CICCANTI. La ringrazio. A me questa delegazione sta bene; discutiamo sulle questioni.
Vorrei rivolgere una domanda al sindacato, in particolare alla CGIL. Le organizzazioni sindacali ritengono che il TFR possa essere meglio destinato a finanziare, anziché le infrastrutture, gli ammortizzatori sociali della legge Biagi, garantendo quel patto intergenerazionale che è stato uno dei temi fondanti e più qualificanti del confronto elettorale? Il problema dei padri che non prendono i figli potrebbe essere risolto proprio attraverso questa soluzione. Non ritenete che la destinazione


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del TFR - al di là di come si declinerà - pregiudichi definitivamente il secondo pilastro della previdenza?
Alla Confindustria vorrei rivolgere la seguente domanda. Avete sempre sostenuto la necessità di interventi finanziari per rilanciare la competitività del sistema paese. Non vi sembra che l'attuale declinazione del cuneo fiscale sia assistenziale? Se è vero che la legge Biagi garantisce già i due terzi del lavoro subordinato a tempo indeterminato, rispetto a un solo terzo di quello a tempo determinato, non sarebbe stato meglio destinare il credito di imposta per stabilizzare il lavoro precario e il cuneo fiscale per privilegiare l'innovazione, la ricerca e l'internazionalizzazione delle aziende? Perché concedere questo incentivo, questo contributo per far campare qualche anno le aziende che non reggono la competitività, ma che riproporranno fra qualche anno le stesse situazioni in cui versano ora?

PRESIDENTE. Non essendovi altre richieste di intervento, mi permetto anch'io di porre alcune brevissime domande.
La prima riguarda l'entità della manovra, e la rivolgo alle organizzazioni sindacali e a Confindustria. Si tratta di uno dei temi che ricorrono sempre più spesso e che si prestano a valutazioni di ordine politico, anche se a me interessa il profilo più strettamente economico. Fondamentalmente, si poteva fare una manovra di 13-14 miliardi di euro; il resto poteva essere affidato alle naturali performance dell'economia e del mercato. Mi preme chiedere se, a vostro avviso, l'entità di una manovra complessa, più articolata e corposa, oltre che più composita, sul piano quantitativo risponda alle esigenze - insieme al discorso della correzione dei conti - del rilancio della crescita e della competitività del sistema Italia.
Su questa seconda questione, vorrei rivolgere una domanda ancora più breve. Ho sentito dire, e vorrei sapere qualcosa di più, che da parte delle organizzazioni sindacali, di Confindustria e del Governo, vi sarebbe l'intenzione di un incontro per dar vita a un confronto per un grande patto, per una nuova politica dei redditi, se così si può dire, evocando ciò che è accaduto parecchi anni fa.
Rispetto alla grande questione della competitività del sistema Italia e della produttività totale dei fattori, infatti, esistono molte lamentazioni, da circa dieci anni, per lo scarto esistente rispetto ad altri paesi, in particolare con riferimento agli andamenti della produttività, che sono negativi. Nel nostro paese ci sono molti commenti e lamentazioni ma, pur cercando attentamente, non ho trovato grandi idee né nelle grandi «omelie» quotidiane che ci vengono propinate dagli editorialisti economici, né in altre sedi. Personalmente, come parlamentare, sarei molto interessato a «prendere il toro per le corna» e a riconoscere che siamo di fronte a un grave problema nazionale: individuare nuovi sentieri di sviluppo e rilanciare il sistema Italia.
Vorrei sapere se in questa manovra intravediate almeno le avvisaglie di un discorso che, magari, avete in animo di riprendere per affrontare il problema principale della nostra economia.
Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

ALBERTO BOMBASSEI, Vicepresidente per le relazioni industriali e gli affari sociali di Confindustria. Mi dispiace di dover dare risposte di «serie B», essendolo solo vicepresidente di Confindustria. Mi piacerebbe che anche chi ha rivolto le domande non lasciasse l'aula.
Cerco di riordinare le idee, perché le domande sono tante e richiedono molto impegno. Risulta difficile rispondere, almeno per me o per Confindustria, perché ogni domanda ha una collocazione politica. Lo sforzo che abbiamo fatto e che stiamo continuando a fare è cercare di dare giudizi non politici, ma sulle singole operazioni. Credo che il primo sforzo debba essere quello di non dare questo tipo di connotazione.
Per quanto riguarda la domanda sulla selettività del cuneo fiscale, quando ci è stato proposto il programma del Governo Prodi, abbiamo richiesto chiaramente una


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riduzione del cuneo fiscale di dieci punti: cinque durante il primo anno e cinque negli anni successivi di legislatura. L'applicazione dei cinque punti è stata confermata, poi è diventata di tre punti, e su questo abbiamo concordato, pensando che comunque fosse una cosa positiva poter destinare tre punti a favore delle aziende e due punti a favore dei lavoratori. Francamente, abbiamo sempre un po' criticato, pur essendo una cosa buona, il fatto di destinare due punti ai lavoratori, poiché non lo si poteva certo etichettare come un elemento di maggiore competitività. Abbiamo detto in maniera molto forte che su questo non ci siamo trovati completamente d'accordo. Ciò non toglie che i tre punti di cuneo fiscale vadano a favore delle aziende; dunque, riconosciamo che si tratta di qualcosa di buono.
Se guardiamo al passato, nella legge finanziaria dell'anno precedente era stato destinato un punto a favore dei lavoratori, in parte compensato o annullato da altre misure, che avevamo comunque apprezzato. Quindi, non diamo una lettura politica di questo aspetto. Per le aziende è un elemento importante, che permette loro di essere più competitive.
Avevamo detto che non volevamo la selettività, cioè che il cuneo doveva essere applicato a tutte le imprese. Lo riteniamo giusto e credevamo che fosse impraticabile la possibilità di selezionare la tipologia delle imprese. Certo, sarebbe stata una ottima cosa dare questo aiuto alle imprese che competono veramente, ma chi decide quali sono? È difficile stabilirlo. Abbiamo accettato un'unica selettività, ovvero che i soldi sarebbero stati destinati solo ai dipendenti che hanno contratti a tempo indeterminato. Questa politica è diventata quasi un simbolo politico sulla precarietà, ma riguarda poco le imprese o le industrie. Da uno studio che abbiamo completato qualche settimana fa, risulta infatti che i dipendenti delle imprese hanno per il 95 per cento un contratto a tempo indeterminato. Il problema della precarietà riguarda maggiormente settori che non sono di nostra competenza; quindi, abbiamo accettato di buon grado anche questo tipo di selettività.
Sulle altre questioni, però, abbiamo detto di no; poi, sono state fatte selezioni tra banche piuttosto che assicurazioni, ma la cosa non ci riguarda. L'unica selettività che abbiamo accettato, ripeto, è il distinguo tra lavoratori con contratto a tempo determinato o indeterminato.
Questo è un giudizio buono, ma non vuol dire che il giudizio sulla restante parte della manovra sia altrettanto buono. Mi dispiace che qualcuno abbia percepito una condivisione e che il dottor Epifani abbia dovuto allontanarsi: due domeniche fa, in occasione del centenario della CGIL, a Milano, ha detto con grande trionfalismo che condivideva gran parte del disegno di legge finanziaria. Questa eccessiva esultanza del sindacato - essendo noi la controparte naturale - voleva dire che qualcosa per noi non poteva funzionare. Non sono quindi allineato su alcune posizioni, non solo di Epifani, ma anche degli altri amici dei sindacati.
Abbiamo fatto dei distinguo per dire che apprezziamo alcune cose che sono state fatte a favore delle imprese e altre cose che non lo sono.
Siamo stati fortemente critici sul TFR, a differenza dell'amico Epifani, la qual cosa ci ha stupito, e l'abbiamo detto anche in maniera molto plateale: lo ha detto il nostro presidente e, molto più modestamente, l'ho sottoscritto anch'io. Mi riferisco al fatto che non ci sia stata una presa di posizione un po' più vivace - per non dire violenta - da parte della CGIL. Visto che si parla di soldi dei lavoratori, ci saremmo aspettati una reazione diversa, che peraltro gli altri due sindacati hanno avuto. Ci sono quindi dei distinguo anche fra sindacati.
Ciò che ci rammarica riguardo alla collocazione del TFR, al di là del valore - si parlava di un ventesimo -, è che con il Governo precedente avevamo concluso un accordo di vera concertazione. Credo che nella storia passata non ci siano stati tanti casi in cui 23 o 24 associazioni datoriali, quattro sigle sindacali e il Governo abbiano


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concertato e firmato un accordo sul TFR, oltretutto con un'operazione che, rispetto ai fondi, è utile non solo socialmente, ma anche da un punto di vista economico. Sappiamo che in tutti i paesi più avanzati e moderni la gestione dei fondi pensione costituisce una forte fonte di finanziamento, soprattutto per le piccole e medie imprese.
L'aver sconvolto questo accordo ci ha lasciati non solo con la bocca amara, ma assolutamente insoddisfatti. Lo abbiamo detto, scritto e gridato, ma la reazione è stata quella a cui accennava il senatore Vegas e che si è evidenziata, oggi, alla presenza del ministro Padoa-Schioppa, nel nostro consiglio direttivo. Come sempre, le interpretazioni delle agenzie esprimono in maniera molto sintetica concetti che fortunatamente sono più complessi e anche un po' più morbidi. Non è vero che oggi il ministro è venuto a proporci di scegliere tra TFR o cuneo fiscale: come battuta giornalistica è accettabile, ma la realtà non è questa. Di fronte a una forte presa di posizione da parte di tutti i settori industriali e di alcune parti del sindacato contro questa decisione non concertata, credo che ci sia stata una apertura da parte del ministro, che si è dichiarato disponibile a discutere e a rivedere la situazione, fatta salva tutta una serie di eccezioni su cui non mi soffermo per motivi di tempo.
Credo che, tutto sommato, nella negatività, ci sia stato un messaggio positivo, tanto che credo che fra qualche giorno vi saranno incontri - mi auguro - per cercare di dirimere la questione. Vedremo con quali modalità, ma se la questione è in discussione, dovremo raggiungere un accordo anche con le altre parti sociali.
Inoltre, credo che non sia sfuggita a nessuno una forte critica - cito quello che ha detto il presidente Montezemolo venerdì e sabato, in occasione del convegno di Capri - nel giudizio sul disegno di legge finanziaria nel suo complesso, per le ragioni che si citavano prima: la mancanza dei programmi evidenziati nel DPEF in riferimento ai tagli di spesa sulla sanità e su altre materie, che consideravamo fondamentali per cercare di ridare al paese - non solo alle imprese - un assetto più moderno e competitivo.
Lo ripeto, e lo abbiamo detto, scritto ed evidenziato: c'è una forte posizione critica sulla globalità di questo disegno di legge finanziaria. Peraltro, non possiamo dire che sia tutto negativo, altrimenti non faremmo il nostro mestiere con l'onestà intellettuale che ci contraddistingue. Non essendo politicamente schierati, se ci sono delle cose buone - come il cuneo fiscale o alcune misure per il Mezzogiorno -, lo ammettiamo. D'altro canto, abbiamo fortemente criticato altre cose, e ci riteniamo liberi di farlo.
Quanto alla domanda relativa alla presunta maggiore facilità di inserimento di alcuni settori piuttosto che di altri, non vi è un elenco di iscritti a Confindustria che vanno a perorare le proprie cause su un settore o sull'altro. Credo che vi sia un continuo colloquio fra alcuni settori più o meno in crisi che possono essere aiutati e altri che non lo sono. Per esempio, è stato toccato il settore degli elettrodomestici, che credo sia fortemente competitivo; se esso viene aiutato in qualche modo, credo che si faccia il bene non tanto di quel settore o dell'industria, ma del paese.
Quanto alle palestre, è vero, nel consiglio direttivo vi è il presidente della Technogym, ma vi garantisco che non c'entra niente con le palestre. Alcune cose succedono per fattori occasionali, non per la scelta di aiutare il settore A, B, o C a scapito di altri.
Su altre questioni che sono state sollevate, come per esempio quella relativa agli investimenti, se nella gestione di una azienda - e il paese può essere considerato tale - tutte le entrate vengono spese per i cosiddetti costi fissi (stipendi, salari, affitti) e niente viene destinato agli investimenti per il futuro, credo che qualsiasi attività non abbia molto futuro. La delusione deriva dal fatto che alcuni tagli avrebbero consentito di avere delle entrate da utilizzare per effettuare investimenti (formazione, università, infrastrutture),


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che avrebbero potuto far compiere al paese quel salto di qualità che tutti chiediamo.
Quindi, non sarei così ottimista da intravedere uno stimolo per le riforme. Sarebbe stato un bel segnale, ma forse c'è stata una mancanza di comunicazione: se si chiedono sacrifici ai cittadini per un buon fine, forse la gente capisce. La gente invece fa fatica a capire se ci sia o meno una volontà di riforma. Personalmente, non la vedo. Magari, con un po' di ottimismo, si vedrà in futuro. Auguriamocelo, perché credo che il paese ne abbia veramente bisogno.
Ritengo che, oltre a risanare i conti, la manovra serva anche in termini di investimento, poiché i conti sono insufficienti per dare al paese lo stimolo necessario per competere ad armi pari con altri paesi.
Come Confindustria, abbiamo dato anche un altro stimolo: mi riferisco alla sfida della competitività e della produttività. Lei ha parlato molto bene: in questi anni - e non negli ultimi anni, perché purtroppo è già da parecchio tempo che ciò si verifica -, il nostro paese continua a scendere nelle classifiche della competitività o della produttività rispetto ad altri paesi, nostri competitori tradizionali. Su questo punto, se volessimo, potremmo riuscire a richiamare il Governo, le parti sociali e le banche per cercare di rilanciare seriamente il paese e di renderlo maggiormente competitivo. Non mi sembra di cogliere, al momento, una tipologia di concertazione o di accordo generale che possa recepire quello che lei auspica. Noi lo vogliamo: per le poche aziende che oggi competono a livello internazionale, la situazione è disastrosa. Lo dico in prima persona, in quanto vivo tale esperienza tutti i giorni: nel settore dell'automobile e degli elettrodomestici vi è una competitività pazzesca. Se non riusciamo a cambiare, credo che sarà difficile fermare l'emorragia di mancati investimenti, esteri e non solo, nel nostro paese.
Ancora più preoccupante è pensare che alcuni investimenti italiani escano dal nostro paese per approdare su lidi molto più competitivi dei nostri. Ciò costituirebbe davvero un impoverimento per il paese. Come dico spesso, un imprenditore e una impresa possono continuare a essere impresa o imprenditore anche avendo stabilimenti all'estero, ma per i lavoratori da un lato e per il paese dall'altro sarebbe veramente una tragedia.
Credo di aver risposto a tutti i quesiti; se ne avessi dimenticato qualcuno, vi prego di farmelo presente.

BENIAMINO LAPADULA, Coordinatore dipartimento politiche economiche della CGIL nazionale. La questione del TFR è stata sollevata in molti interventi e in molte domande. Ruberò solo qualche secondo per ricordare a tutti i presenti che non è una vicenda nata nel 2006, ma nel 1992. Se il sistema dei fondi pensione, così come concordato ai tempi del Governo Amato, fosse decollato, oggi non parleremmo più di TFR. Per far decollare i fondi pensione, i sindacati hanno dato risorse per ben tre rinnovi contrattuali; questo per memoria di tutti noi.
Il segretario Epifani ha già detto che, per quanto riguarda le modalità, c'è stato un difetto di concertazione, che è stato ribadito dallo stesso ministro dell'economia.
Riteniamo che le due cose non siano incompatibili e rispondano alle stime del precedente Governo.
Rispondo alla domanda relativa ai cinque miliardi, anche se non è di mia competenza. Il precedente Governo ha stimato un effetto del silenzio-assenso che lascerebbe alle imprese molto più dei 5 miliardi previsti nella legge finanziaria. L'attuale Governo ha fatto una stima più accorta di questi flussi e ha dato per scontato che la metà del TFR venga optata per i fondi pensione.
La questione dei fondi pensione è stata anticipata dal 2007 al 2006: questo stabilisce la norma. Ribadisco, come ha detto Epifani, che c'è stato un difetto di concertazione. Bisogna discutere più a fondo le prospettive di questa manovra, che pure risponde ad una logica. Quando si è parlato di TFR e di fondi pensione, si è parlato di un uso più efficiente di questo


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risparmio, che allocato in modo indifferenziato su tutte le imprese difetta di tale efficienza. I fondi pensione sono in ritardo; pensiamo di svilupparne una parte attraverso il fondo pubblico.
Vengo ora alle questioni successive. Il presidente della Commissione e prima ancora l'onorevole Vegas hanno posto una questione cruciale: se vi fosse o meno la necessità di una manovra di questa ampiezza. Ebbene, io rispondo che vi è stata la necessità di una manovra ampia non soltanto per redistribuire, ma anche perché, purtroppo, dai tendenziali della legge finanziaria per il 2006 risulta che una serie di capitoli fondamentali, relativi agli investimenti e alla sopravvivenza di infrastrutture pubbliche, stradali e ferroviarie, sono privi di copertura. Il lavoro sui tendenziali fatto dal precedente Governo nell'ultima legge finanziaria ha creato problemi. Quindi, non solo si trattava di colmare un punto di correzione del deficit per rientrare nei parametri europei, ma vi era anche un problema di rifinanziamento.
Per quanto concerne la questione redistributiva, l'onorevole Vegas ha detto cose molto sagge e sensate. Si è trattato di una redistribuzione limitata, che ha dovuto fare i conti con un errore commesso dalla precedente legislatura, cioè l'aver fatto decollare il secondo modulo della riforma Tremonti senza che vi fossero le condizioni per farlo. Voglio ricordare che, alla vigilia di quel decollo, si pose un'alternativa al precedente Governo tra IRAP e IRPEF. Ritengo che fu sbagliata l'alternativa dell'IRPEF sugli alti redditi, perché molto probabilmente, se la questione del cuneo (cioè dell'IRAP) fosse stata affrontata allora, avrebbe avuto un'efficacia maggiore in termini di sviluppo rispetto all'attuale contesto.
È evidente che l'aver voluto affrontare questi aspetti ha comportato una manovra di maggiori dimensioni, che tuttavia dal punto di vista redistributivo non va disprezzata. Per un soggetto con reddito basso e figli a carico, non si tratta di 30 centesimi, ma di alcune centinaia di euro l'anno, che potranno far sorridere persone che vivono con alti redditi, ma che non fanno sicuramente male a chi si trova sulla soglia della sopravvivenza e non sa come arrivare al 27 del mese.
La redistribuzione ha penalizzato redditi che sicuramente non sono quelli di persone di alta fascia e andrà recuperata con la lotta all'evasione. Comunque, riteniamo che la situazione sia equa, anche in rapporto ad un'operazione sbagliata compiuta in passato.
Quanto al diverso uso del TFR, ho già risposto. Se avessimo voluto rispondere in termini corporativi - il senatore Ciccanti ha ragione -, avremmo dovuto chiedere ammortizzatori o altre misure del genere. Riteniamo però che sia utile, in questa fase, utilizzarlo per investimenti.
Quanto alla carenza di riforme che viene attribuita al corporativismo del sindacato, vorrei che non si sottovalutasse il memorandum sulle pensioni e l'impegno che abbiamo assunto in materia di rinnovamento della macchina pubblica. Questi due impegni ci sono e i prossimi mesi diranno se sono attendibili o meno.
Concludo rispondendo alla seconda domanda posta dal presidente della Commissione. Come ricordava il segretario Epifani, riteniamo che le risorse del cuneo fiscale debbano essere investite per recuperare produttività e che questo debba essere realizzato in un quadro di ripresa della concertazione. A nostro avviso, lo spirito del 1993 è fondamentale se si vuole affrontare questa difficoltà, che non si supera in un modo diverso. Forse, recuperando questo spirito, si darebbe al paese anche quella missione che oggi ricordava il Presidente Ciampi - citato in questa sede per un aspetto, ma non per l'altro -, quando ha detto che, in rapporto alle politiche di risanamento, la precedente legislatura è stata particolarmente deludente per l'azzeramento dell'avanzo primario.

GIORGIO SANTINI, Segretario confederale della CISL. Anch'io risponderò seguendo l'ordine delle domande, a partire dall'ultima, formulata dal presidente.


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Siamo convinti che l'impostazione del disegno di legge finanziaria su tre voci - correzione dei conti, equità e sostegno allo sviluppo -, data la situazione del paese, fosse necessaria per i motivi che in parte conosciamo e in parte sono stati ricordati. Come sappiamo tutti, dai dati anche internazionali emerge che la ripresa economica in atto non è poi così solida e duratura. È necessario dare un sostegno e un forte impulso al cambiamento qualitativo del nostro sistema economico e produttivo. Questo, ovviamente, ha bisogno di sostegno e di investimenti.
Allo stesso modo, sul tema dell'equità, credo che fosse sotto gli occhi di tutti una sofferenza marcata dei redditi bassi nel nostro paese e che quindi vi fosse la necessità di una operazione di redistribuzione. Per questo motivo, l'entità del disegno di legge finanziaria ha dovuto tenere conto di queste tre voci e ha poi assunto le proporzioni ricordate.
Apprezzando quindi l'impostazione, debbo però precisare che su alcuni punti, come ha già detto il segretario generale Bonanni, abbiamo delle forti riserve, in particolare sul TFR.
Non si tratta solo di un problema di forma, relativo al fatto che su un punto importante non ci sia stata concertazione, ma anzi palese contraddizione con il memorandum che era stato stabilito con le parti sociali qualche giorno prima. Lo dicono i numeri: questo tipo di impegno del TFR nel fondo presso l'INPS, a nostro avviso, rischia di scoraggiare pesantemente i fondi pensione. D'altra parte, se il Governo stima prima in 5 e poi - mi pare ieri - in 6 miliardi l'accantonamento del TFR, si ha esattamente lo stesso conto. Stiamo parlando di 13-14 miliardi annui di TFR maturando, sapendo che 1-1,5 miliardi sono già impegnati nei fondi contrattuali; la metà di 12 è 6, quindi il Governo stima - ed è qui che sbaglia, a mio avviso - che tutto il TFR, perché è il 50 per cento, andrà nel fondo.
Anche per rispetto della dinamica, se è corretto aver spostato la data di inizio al 1o gennaio 2007, bisognerebbe coerentemente - lo dico anche come richiesta - collocare l'eventuale scelta assunta in merito alla destinazione del TFR inoptato successivamente alla fine del periodo di scelta del lavoratore, quindi nei secondi sei mesi del 2007, in modo tale che si sappia esattamente quanto è stato scelto.
A beneficio della correzione della riforma pensionistica, sappiamo tutti che è vitale disporre di fondi di previdenza integrativa funzionanti, soprattutto per una parte ormai molto corposa di cittadini lavoratori. Se la matematica non è un'opinione, coloro che avevano 18 anni di contributi nel 1996, oggi ne hanno 28; si tratta di tre quarti dell'intera platea dei lavoratori - oggi lavoratori e futuri pensionandi -, per i quali la mancanza di un fondo di previdenza complementare creerebbe un pregiudizio veramente forte al valore della pensione per gli anni mancanti.
Siccome tutto questo deve stare insieme e tornerà a misurarsi entro il 31 marzo per la riforma pensionistica, se correzione si vuol fare, la si faccia in quella data. Chiediamo con forza che sul TFR ci sia un ripensamento, che la materia venga riaffidata alle parti e che ci sia una campagna di sostegno della scelta del lavoratore, favorendo la collocazione nei fondi contrattuali previdenziali complementari. In questo modo, credo che il problema si possa risolvere.
Per quanto riguarda l'eventuale TFR inoptato e il fatto che possa essere destinato all'INPS e le compensazioni per le aziende, eravamo d'accordo su questo discorso all'epoca dell'intesa di cui parlava il vicepresidente Bombassei e lo siamo anche oggi. Si tratta di un tema, però, sostanzialmente diverso, sul quale la CISL torna indietro per riprendere la discussione e fare in modo che decollino i fondi complementari.
Per quanto concerne le altre questioni che sono emerse, ne cito solo una. Ho già detto che sull'impostazione siamo d'accordo, ma c'è il tema della redistribuzione. Anch'io ho trovato particolarmente sensate le osservazioni formulate dal senatore Vegas, due in particolare: c'è o meno il beneficio del cuneo fiscale relativamente ai


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lavoratori? Stanti le proporzioni di cui si è parlato in un incontro con il Governo - 60 a 40 - non siamo lontani, ovviamente se l'impegno, scritto nel disegno di legge finanziaria, di destinare 1,4 miliardi agli assegni familiari, per loro natura destinati ai lavoratori dipendenti, viene rispettato. Vi è in questo caso il vantaggio di non avere una dispersione nella platea di tutti i contribuenti: i benefici vanno solo al lavoro dipendente.
Vi è, però, una incognita, che veniva acutamente sollevata dalla collega Polverini: ciò dovrebbe entrare in vigore con un decreto in corso d'anno, il che sarebbe negativo. Pensiamo che questa parte sugli assegni familiari andrebbe fatta decorrere più opportunamente a partire dal 1o gennaio 2007. Tecnicamente, non è impossibile: si tratta di collegarla alla legge finanziaria, eventualmente anche in forma di decreto. Diversamente, la redistribuzione cambia di segno.
Non è sbagliato il ragionamento che abbiamo fatto: la distribuzione c'è, ha una qualche efficacia sui redditi molto bassi. Pregherei poi di fare attenzione al fatto che - a segnalare che il problema è ancora più grosso - risultano fuori da questa distribuzione gli incapienti, ovvero coloro che hanno un reddito al di sotto dei 7,5 milioni. Il problema dei redditi bassi nel nostro paese c'è, ed è reale; quindi, è importante che sia stato previsto un sostegno. A mano a mano, però, che i redditi da bassi diventano medio-bassi, il beneficio è molto minore; riceve una certa linfa per il fatto che viene alimentato sui carichi familiari di 1 o 2 figli attraverso il meccanismo degli assegni. Questa è la redistribuzione. Se non c'è questo, o se c'è parzialmente, cambia il segno della distribuzione; perciò avanziamo la richiesta che ciò avvenga contemporaneamente all'entrata in vigore della legge finanziaria.
Tuttavia, il problema si ripropone per gli anni prossimi, quando il meccanismo «60 a 40» non ci sarà più: il cuneo per le imprese va a regime, acquista una certa consistenza (dai 2,5 miliardi di oggi passerà a 4 e poi a 5 miliardi), come era negli impegni, ma la parte del lavoro dipendente rimane ferma. Oggi è il 36 per cento, un po' meno del 40, ma domani sarà il 23 o il 20 per cento; allora, bisognerà intervenire. Quest'anno si deve colmare una piccola lacuna, ma negli anni prossimi la lacuna sarà più ampia.
Per quanto riguarda il tema degli ammortizzatori sociali, riteniamo che il collegamento del senatore Ciccanti all'utilizzo del TFR sia un po' acrobatico: esso non si pone, perché il TFR va destinato alla previdenza complementare. Il problema degli ammortizzatori sociali, però, esiste, ed è un problema serio. Il Governo, anche in sedi a latere del confronto, si è dichiarato intenzionato a parlarne e ad aprire un confronto su questo punto. Noi però ricordiamo, e lo diciamo a voce alta, che oltre la metà dei lavoratori italiani non dispone di un sistema di ammortizzatori sociali. La legge delega - la legge n. 30 del 2003 del compianto professor Biagi - aveva al centro il tema della flessibilità e la sua regolazione, ma anche quello degli ammortizzatori, che purtroppo è rimasto nelle intenzioni, ma va rapidamente recuperato, possibilmente all'interno della forte sollecitazione fatta dal presidente Duilio, che io faccio mia, come organizzazione. Al di là delle vicende sul disegno di legge finanziaria, che hanno un iter obbligato per gli impegni internazionali che conosciamo, sarebbe importante che ci fosse un supplemento di consapevolezza nelle parti sociali, e complessivamente nelle istituzioni, per un forte patto sociale sullo sviluppo, sulla competitività, sulla qualità del lavoro e sulla qualità della formazione e della ricerca, le questioni che formano il giudizio sul nostro paese.
Per questa ragione, i mesi che seguiranno l'approvazione della legge finanziaria sono utili per concludere un nuovo accordo forte - se ne sente veramente il bisogno - come quello del 1993, ma adattato a questi tempi, che abbia la capacità di scuotere e di finalizzare le prospettive di questo paese.

PRESIDENTE. Mi permetto solo una battuta: anche noi, in Commissione bilancio e in Parlamento, stiamo riflettendo su


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tale questione al fine di porre in essere qualche iniziativa, per quanto di nostra competenza, recuperando un minimo di centralità del Parlamento, per aprire in questa sede una discussione seria sul tema, che è fondamentale per il nostro paese. Ne parleremo a tempo debito.

ANTONIO FOCCILLO, Segretario confederale della UIL. Cercherò di rispondere ad alcune domande che sono state poste.
Ringrazio i deputati e i senatori che sono rimasti ad ascoltare un protagonista di serie B: spero in un arbitrato che mi faccia aumentare i punti, che magari mi tolga qualche punto negativo e mi faccia salire la scala della B, come si fa nel calcio.

AMEDEO CICCANTI. Abbiamo investito per quelli che vanno in serie A.

ANTONIO FOCCILLO, Segretario confederale della UIL. Spero di andare in serie A!
La prima risposta concerne la domanda circa l'eventualità che, per analogia, considerando il Governo Berlusconi non amico, quello attuale diventi automaticamente amico. Credo che non fosse riferito ad un giudizio della nostra organizzazione, ma lo stesso Governo Berlusconi, quando si è insediato, ha cercato di limitare lo spazio e il ruolo del sindacato, passando dalla concertazione al dialogo sociale e poi all'informazione. In questo senso andava la frase detta dal mio segretario generale.
Lo abbiamo detto con il Governo Berlusconi e lo diciamo oggi: per noi non esistono Governi amici o Governi nemici. Discutiamo di merito e siamo disponibili a sederci a un tavolo e a fare accordi, quando il merito ci convince; siamo disponibili a valutare negativamente, quando il merito non ci convince.
Uno degli esempi più emblematici della valutazione che la mia organizzazione ha svolto è stato proprio il patto per l'Italia. Abbiamo concluso l'accordo perché ritenevamo che fosse giusto e che i suoi contenuti fossero in linea con quel che pensavamo allora. Quel patto, tra le altre cose, non è stato disatteso dal sindacato.
Credo di aver risposto in termini chiari: la nostra è la storia di una organizzazione che ha dimostrato la sua autonomia e che ancora oggi può dire con molta forza che è autonoma e giudica sui contenuti.
Vorrei ora rispondere a una giusta osservazione che faceva l'onorevole Ventura, quando cercava di differenziare la politica dei tagli da quella delle riforme e chiedeva se ci fosse una disponibilità. Credo che anche su questo punto si possa assumere un impegno, tanto è vero che uno dei contenuti che ci ha fatto valutare positivamente la manovra del Governo è stato il fatto di aver stralciato dalla legge finanziaria, e quindi da una logica di taglio, una materia delicata e difficile come la riforma delle pensioni. La disponibilità a trattare non solo è stata confermata qui, ma è stata anche sottoscritta con un memorandum fatto dal Governo. Quindi, c'è la piena disponibilità a ragionare anche sulle riforme, soprattutto quando sono concertate e condivise non solo negli obiettivi, ma anche nei contenuti.
Abbiamo posto la seconda questione allo stesso Governo, e quasi in termini di sfida. Abbiamo detto che non si tratta del problema di trovare o meno le risorse da destinare ai contratti pubblici, che hanno delle scadenze, sono patti e vanno rispettati e rinnovati, come in qualsiasi altra occasione. Noi vogliamo una sfida, lanciata dal Governo, e siamo disponibili a ragionare su come riorganizzare la macchina, renderla efficiente e introdurre meccanismi di merito. Ne abbiamo discusso già in una recente audizione sul DPEF: siamo disponibili a ragionare con la Confindustria e con le altre associazioni imprenditoriali. Non ci vedo niente di male nel fatto che ci siano delle valutazioni comuni o degli accordi con la Confindustria. Sarebbe sbagliato e verrebbe meno il ragionamento che sui contenuti si fanno gli accordi o i disaccordi. Se vi sono posizioni comuni in merito al nostro ruolo e alle nostre funzioni, non ci vedo niente di male.


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La terza domanda è stata formulata in modo molto preciso dal senatore Vegas. Voglio chiarire la situazione, perciò, proprio per il rispetto che abbiamo nei confronti del Parlamento, domani invieremo un documento unitario, con un'articolazione di valutazioni su alcuni aspetti che, nella nostra ottica, consideriamo positivi e su altri che non solo destano preoccupazioni, ma che riteniamo debbano portare a dei risultati, altrimenti anche il giudizio complessivo può essere diverso. Invieremo anche un documento della UIL: voglio precisare come la pensa la mia organizzazione su alcune questioni. Nel documento unitario, difatti, abbiamo trovato una forma di mediazione, ma è meglio esprimere anche la posizione della mia organizzazione.
Per quanto riguarda il TFR, riteniamo che si tratti di soldi dei lavoratori e delle imprese, gli unici soggetti che possono decidere sul destino di quei fondi. Abbiamo chiesto al Governo un confronto: riteniamo sbagliata quella norma e giusto un accordo tra i due soggetti che sono titolari di quelle risorse. Nel momento in cui bisognerà scegliere, preferiamo che il TFR sia destinato alle pensioni integrative, non solo perché è una possibilità in più per i lavoratori che hanno decurtato la loro quota di pensione, soprattutto dopo la legge Dini, ma anche perché si può democratizzare l'economia, cioè investire in aziende o in settori competitivi e che riguardano il nostro paese in modo particolare.
Quindi, la nostra posizione è chiara; e questo è uno degli elementi fondamentali. Pur apprezzando tante questioni poste all'interno del disegno di legge finanziaria, se non cambia questo contenuto, il nostro giudizio non può che essere negativo.
Per quanto concerne il cuneo fiscale, guardiamo la questione con la stessa ottica e logica del TFR. Il cuneo fiscale è una riduzione del costo del lavoro e consiste soprattutto in contributi delle imprese e dei lavoratori. È quel differenziale fra salario netto e salario lordo che appartiene a quei titolari ed è giusto che siano loro ad usufruirne.
Mentre per l'impresa abbiamo sostenuto anche noi un criterio selettivo - anche se poi la selettività non è stata del tutto realizzata -, per i lavoratori questa concretezza non c'è. Ci si dice che ci sono degli aggiustamenti nelle aliquote progressive e negli assegni familiari; abbiamo chiesto al Governo di fare chiarezza, perché riteniamo che questi soldi, per la parte che riguarda il cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, debbano andare solo a loro, altrimenti si perderebbero in mille rivoli.
Vi è un'altra questione che mi preme sottolineare come fondamentale e sulla quale vogliamo un chiarimento. Abbiamo letto, e non abbiamo certamente ragionato, che si è trovata una forma di accordo fra autonomie locali e Governo sul cosiddetto trasferimento e, conseguentemente, sulla liberalizzazione dall'imposizione locale. La consideriamo una partita fondamentale, perché incide direttamente sulle tasche dei lavoratori, con l'ulteriore aggravio - che non è stato ancora sottolineato in questa sede - che con il passaggio dalle deduzioni alle detrazioni si aumenta automaticamente l'imponibile fiscale, per la destinazione al TFR e tutto il resto. Si tratta dunque di un altro elemento fondamentale che, collegato ai ticket sulla sanità, rischia di diventare un aggravio per i lavoratori.
Un'altra problematica sollevata riguarda la perequazione della no tax area fra lavoratori dipendenti e pensionati e la rivalutazione delle pensioni.
Per quanto riguarda il tema dei contratti pubblici, non voglio aprire una discussione: so benissimo che le sensibilità sono diverse e che c'è una campagna che dipinge l'amministrazione pubblica in un certo modo. Lo dicevo prima: è una norma pattizia fra le persone che va onorata. Si può disquisire sulle quantità, si possono seguire criteri di merito, di valutazione, di migliore efficienza e produttività della macchina, criteri che comunque debbono essere rispettati.
Vorrei ora cercare di dare una risposta, anche qui da giocatore di «serie B», alle ultime due domande che sono state formulate.


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Ci si chiedeva se abbiamo una valutazione sulla quantità della manovra. Nel confronto con il Governo ci è stato spiegato che la manovra era di 30 miliardi di euro; poi è cambiata rispetto a come ci era stata spiegata. Nel corso della discussione che si è sviluppata dal DPEF al disegno di legge finanziaria, abbiamo sempre detto che non entravamo nella logica della quantità: noi volevamo ragionare sulla qualità della manovra. Sulla base della qualità, volevamo misurare un equilibrio diverso fra tagli e investimenti. Dovevano essere destinate maggiori risorse agli investimenti: in tal modo, avremmo dato un giudizio non sulle cifre, ma sulla qualità della manovra.
In riferimento alla domanda sulla politica dei redditi, voglio precisare che la proposta è venuta dal Governo in un incontro formale, laddove ci è stato spiegato che si voleva cambiare il vecchio accordo del 1993, basato sulla stabilizzazione e sulla lotta all'inflazione. Avremmo dovuto costruire una nuova politica dei redditi fondata sullo sviluppo e sulla redistribuzione dei redditi da pensione e da lavori dipendenti. Accordi o patti non ne abbiamo fatti: ci è stata proposta questa ipotesi, abbiamo detto che l'avremmo discussa, come abbiamo sempre fatto, portando le nostre posizioni, e che avremmo verificato in quel momento. Ritenevamo giusto l'obiettivo dello sviluppo e della redistribuzione dei redditi da lavoro e da pensione, che poi era tutto da costruire, comprese le tematiche della vecchia manovra, la riforma della contrattazione e tutto il resto.
L'unico accordo che abbiamo fatto è quello sul memorandum. Altri accordi o patti non mi risultano.

RENATA POLVERINI, Segretario generale dell' UGL. Sarò telegrafica, anche perché molte delle risposte alle domande formulate erano già nell'intervento che ho svolto precedentemente; quindi, non ho necessità di ripetermi.
Aggiungo soltanto due cose. Sulla questione sollevata dal presidente rispetto alla politica dei redditi, prima del disegno di legge finanziaria abbiamo aperto tre tavoli con il Governo, che mi auguro siano insediati e in corso. Uno riguarda il Mezzogiorno, un altro lo sviluppo e un altro ancora la politica dei redditi. In quella sede abbiamo dato tutti una disponibilità a collaborare.
Chiudo con una battuta sul TFR, che mi sta particolarmente a cuore. Anch'io frequento i metalmeccanici come il vicepresidente Bombassei, anche se da un'altra parte: faccio la sindacalista da sempre. Dovrei spiegare al mio metalmeccanico che, per vedersi aumentare il reddito, deve cominciare a fare figli, che poi deve mantenere; che, per non pagare il bollo, deve comprarsi una macchina nuova, altrimenti deve continuare a pagarlo; che, con il suo TFR - non dico le altre opere, perché neanche le capirebbe -, deve pagare l'alta velocità. E lui mi domanderebbe: «l'alta velocità, per andare dove?». Questo è il problema: dobbiamo dire ai lavoratori per quale motivo il TFR deve essere impegnato diversamente. Questo lo affido alla sua nota sensibilità.

ALBERTO BOMBASSEI, Vicepresidente per le relazioni industriali e gli affari sociali di Confindustria. Presidente, vorrei fare una battuta, perché mi è stato fatto giustamente notare che non ho dato una risposta al senatore Ferrara; non voglio andare via con questo pensiero, per cui la affido al direttore Berretta.

MAURIZIO BERRETTA, Direttore generale di Confindustria. Senza entrare nel merito della valutazione sulla vicenda TFR, su cui il vicepresidente Bombassei è stato chiarissimo, la domanda è di tipo tecnico sul perché emerge il rapporto 1 a 20 tra beneficio del cuneo fiscale e devoluzione del TFR forzosa all'INPS: ciò dipende dai meccanismi di bilancio. Poiché il TFR è comunque nello stato patrimoniale ed è un debito nei confronti dei lavoratori, se lo dovessimo sostituire con un debito nei confronti delle banche, l'onere maggiore per l'impresa sarebbe il differenziale di costo tra lo 0,75 per cento dell'inflazione, più un punto e


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mezzo fisso, che è oggi il tasso di rivalutazione, cioè il costo del TFR, con il delta che deriverebbe dal tasso di interesse bancario, che ogni azienda spunta in maniera diversa.
Il beneficio del cuneo fiscale, invece, va direttamente sul conto economico: è un minor costo netto, che nelle valutazioni medie che facciamo, che sono un po' diverse a seconda delle dimensioni di impresa e del monte salario, sono comunque in riferimento al regime medio di 600 e più euro. Poiché il rapporto di costo del TFR è parametrato a questo, si ha la spiegazione del parametro 1 a 20. Il meccanismo è questo. Il problema, di fatto, non è particolarmente rilevante. Può esserlo, come ha ribadito in maniera molto evidente il vicepresidente Bombassei, per le imprese che avessero difficoltà nell'accesso al credito. In quel caso, il problema diventa più cospicuo.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti voi per questa serata così lunga, ma interessante per tutti.

Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 23.