COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 14 giugno 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
LINO DUILIO

La seduta comincia alle 11,45.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Audizione del ministro dell'economia e delle finanze, Tommaso Padoa Schioppa, sugli indirizzi e sulle linee programmatiche del Governo in materia economica e di finanza pubblica e sulle risultanze della Commissione istituita per la verifica dei conti pubblici dell'anno in corso.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, del ministro dell'economia e delle finanze, Tommaso Padoa Schioppa, con riferimento agli indirizzi e alle linee programmatiche del Governo in materia economica e di finanza pubblica e sulle risultanze della Commissione istituita per la verifica dei conti pubblici dell'anno in corso.
Innanzitutto chiediamo scusa per il ritardo. Come sapete, abbiamo chiesto al ministro Tommaso Padoa Schioppa di riferire alle Commissioni riunite bilancio della Camera e del Senato sugli indirizzi e sulle linee programmatiche del ministero per questa legislatura. Faremo anche il punto della situazione dei conti pubblici, alla luce delle prime verifiche che il ministro ha attuato, disponendo degli strumenti che ha ritenuto opportuno attivare.
Ringrazio il ministro per la tempestività con la quale ha accolto il nostro invito. Ringrazio anche il presidente della Commissione bilancio del Senato, Enrico Morando, con il quale ho convenuto di attivare le migliori sinergie tra Camera e Senato, affinché si possa lavorare al meglio, evitando inutili duplicazioni. Non casualmente, quindi, il ministro oggi si trova qui, alla presenza delle due Commissioni congiunte.
Prevediamo di concludere i lavori entro le 14. Ovviamente faccio appello alla sensibilità di ciascuno, al fine di contenere gli interventi in un arco di tempo limitato (per intenderci, 3-4 minuti). Per consentire al ministro di rispondere puntualmente a tutte le domande gli daremo la possibilità di intervenire, ogni 4 o 5 interventi dei colleghi.
Inizierei con pochissime battute, per rendere pubblico ciò che, in privato, come presidente della Commissione, ho detto al ministro, per quanto attiene ai rapporti fra Parlamento e Governo. Mi sono permesso di dire al ministro che confidiamo nella sua sensibilità di civil servant, affinché si instauri un rapporto di correttezza tra Parlamento e Governo, nel rispetto delle competenze e della centralità del Parlamento. Affinché questo rapporto sia virtuoso, in maniera concreta, ho chiesto al ministro di adoperarsi perché tutti i provvedimenti che comportano spese e che giungono alla Commissione bilancio per la formulazione del parere siano corredati dalla relativa relazione tecnica. Non c'è bisogno di sottolineare che tali provvedimenti dovranno essere illustrati e commentati dai sottosegretari di volta in volta presenti, in modo da fornire tutte le


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spiegazioni del caso ai colleghi di maggioranza e di opposizione. Al riguardo, abbiamo svolto una serie di considerazioni, non in termini filosofico-letterari, ma sulla scorta delle esperienze precedenti.
Abbiamo dunque raccomandato al ministro di adoperarsi per portare a conclusione quanto prima i lavori dall'Alta commissione per lo studio delle problematiche concernenti le statistiche sugli aggregati economici e finanziari, per superare una situazione che coinvolge diverse autorevoli istituzioni: Banca d'Italia, ISTAT, Ragioneria generale dello Stato, e così via. L'obiettivo è che, in una logica di collaborazione interistituzionale, si superino quelle discrasie che a volte si presentano e persistono, in modo tale che si possa garantire la produzione di dati pienamente e incontrovertibilmente attendibili.
Questo è un problema che abbiamo, come paese, dunque sarebbe opportuno che la Commissione, a suo tempo istituita, concludesse definitivamente e presto i suoi lavori, in modo tale da superare una situazione non proprio piacevole.
Abbiamo chiesto al ministro, prefigurando quello che sarà il momento più rilevante dei lavori della nostra Commissione, ossia la legge finanziaria, di evitare nei limiti del possibile - il Parlamento, vigilerà su questo aspetto - che essa contenga disposizioni che non siano riconducibili al contenuto proprio della legge finanziaria. Inoltre, gli abbiamo chiesto di essere il punto di riferimento per il Parlamento, su questa materia, anche per quanto riguarda gli altri ministeri.
Abbiamo chiesto al ministro, altresì, di evitare iniziative unilaterali da parte del Governo, per quel che attiene alle procedure di bilancio e al monitoraggio e al controllo dei saldi di finanza pubblica. Questa richiesta non è stata il frutto di una riflessione astratta, ma l'abbiamo avanzata memori delle esperienze precedenti, l'ultima delle quali, quella del decreto tagliaspese, è stata significativa - uso un eufemismo - per quanto riguarda l'«infrazione» di questa metodologia. Vorremmo evitare, dunque, che in futuro accadesse qualcosa di simile sulla materia più generale delle procedure di bilancio.
Da ultimo, abbiamo anche raccomandato al ministro di adoperarsi affinché, a livello comunitario, sia arricchita la presenza di rappresentanti nei comitati e nei gruppi di lavoro, laddove si opera per le istituzioni dell'Unione europea, in modo tale da poter contare, su referenti autorevoli, che possano consentire al Governo e al Parlamento di lavorare al meglio anche sul fronte economico-finanziario dell'Unione.
Ho ritenuto opportuno riferire queste considerazioni, nella logica di cui ho parlato sin dal nostro primo incontro alla Camera: la logica della trasparenza di ciò che facciamo e della centralità del Parlamento.
Vi ringrazio dell'attenzione e auguro buon lavoro a tutti. In anticipo ringrazio anche gli uffici, che ci aiuteranno - maggioranza e opposizione - a svolgere al meglio il nostro lavoro.
Do ora la parola al ministro.

TOMMASO PADOA SCHIOPPA, Ministro dell'economia e delle finanze. Ho preso attenta nota delle osservazioni che lei ha riferito alla fine del suo intervento, che magari riprenderò nel corso di questo incontro.
La ringrazio, presidente Duilio, ringrazio il presidente Morando e tutti i presenti a questo mio primo incontro con il Parlamento, nella mia veste di ministro.
Non nascondo che questo incontro ha, per me, un significato particolarmente forte, anche da un punto di vista emotivo. Non sono nella professione della politica, non sono nel Parlamento, sono un ministro cosiddetto «tecnico», ma sono consapevole che quella di un ministro è sempre una funzione politica. Proprio perché non sono giunto a questa funzione attraverso la professione della politica e la vita parlamentare, sento un bisogno ancora più forte di riferirmi al Parlamento e di avere con esso un rapporto stretto, in un sistema parlamentare come quello italiano. Ministri che non siano parlamentari sono frequenti, anzi sono addirittura la


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regola in molti paesi, ma sono l'eccezione in Italia. Di questo sono consapevole.
La mia illustrazione, che conterrò nei tempi più brevi possibili per dare il massimo spazio alle domande e alla discussione, è fondata su un insieme di tavole che vi è stato distribuito...

PRESIDENTE. Verrà distribuito a breve, si stanno predisponendo le copie.

TOMMASO PADOA SCHIOPPA, Ministro dell'economia e delle finanze. Spero che venga distribuito al più presto, dal momento che era stato concordato che così fosse, per permettere ai presenti di seguire la mia illustrazione.
Vedo che il materiale è in corso di distribuzione, dunque comincio con qualche considerazione introduttiva. Nella mia presentazione, oggi, intendo illustrare brevemente che cosa il ministro ha fatto in queste prime settimane, quali sono i risultati dei primi lavori compiuti e come si inquadra, a giudizio mio e del Governo, l'azione sui conti pubblici nella strategia di politica economica che riguarda l'Italia e i problemi dell'economia italiana.
Comincerò facendo una sintesi del messaggio di questa mattina e illustrerò brevemente il quadro dell'economia mondiale, nel quale si situa la dinamica dell'economia italiana; mostrerò come l'economia italiana sia in una fase di ripresa, ma abbia un grave problema di crescita; passerò quindi, ai conti pubblici, per indicare dove siamo nella nostra valutazione, che cosa l'Italia debba fare in materia di conti pubblici, quale sia il risultato della valutazione che ho elaborato, attraverso i lavori della Commissione Faini e come la via d'uscita debba essere composta di un'azione di risanamento e di una ripresa della crescita. Concluderò brevemente ritornando al quadro internazionale.
La sintesi del mio intervento - credo che, nel frattempo, siano state distribuite le tavole - è che è in atto una certa ripresa, ma non c'è ancora una crescita sostenibile. Nel 2006 la tendenza è quella di un indebitamento netto in corso di peggioramento, e direi addirittura di peggioramento sensibile rispetto al quadro scritto nei nostri impegni europei. Occorre, dunque, un risanamento, ma soprattutto una crescita economica, attraverso un incremento di competitività.

PIETRO ARMANI. Mancano le tavole...

PRESIDENTE. Professor Armani, le tavole sono in corso di riproduzione. L'unico problema tecnico è derivato dal fatto che si sono presentati molti più deputati e senatori di quelli che avevamo previsto. Dovremo perfezionare la stima.

PIETRO ARMANI. Il ministro dell'economia e delle finanze doveva prevedere per la sua prima audizione un folto pubblico.

TOMMASO PADOA SCHIOPPA, Ministro dell'economia e delle finanze. Cercherò di esprimermi in modo che quel che dico abbia un senso anche per chi non guarda le tavole.
L'economia mondiale è in un anno di crescita, anzi è in un periodo di molti anni di crescita: dal 2002 ad oggi, è stata costantemente superiore al 3 per cento; è vicina al 5 per cento, in questo momento, quindi siamo in una congiuntura mondiale eccezionalmente favorevole (lo si vede dalla tavola 2, dal grafico n. 2). Questo è uno dei motivi che spiegano anche la ripresa in corso nell'economia italiana. Tornerò alla fine sul significato di questo dato di cornice mondiale.
Le prospettive dell'economia italiana, in questo momento, sono congiunturalmente positive. Nella tavola 3 si può vedere che la fiducia delle imprese e la fiducia dei consumatori sono in ripresa abbastanza forte: di solito, questi indici di fiducia sono anticipatori dell'andamento della produzione e del prodotto interno lordo. Abbiamo, quindi, una prospettiva congiunturale favorevole.
La tavola 4 ci dice, però, che se i dati congiunturali sono positivi, i dati sulla crescita non lo sono. Crescita vuol dire non ripresa per qualche trimestre, ma un fenomeno prolungato, che si misura in


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lustri o in decenni, non nello spazio dei 1-2 anni, che è ancora l'orizzonte dei movimenti ciclici.
Se guardiamo le cose sotto questo profilo, notiamo (grafico n. 4) che i tassi italiani di crescita del prodotto interno lordo sono generalmente al di sotto di quelli dell'area dell'euro, nettamente e fortemente al di sotto negli ultimi 3-4 anni. Questo è il problema di fondo dell'economia italiana, ed è un problema di anni e non di congiuntura.
Come si può vedere dal grafico n. 5, molta di questa dinamica si concentra in un andamento della produzione industriale, in Italia nettamente meno dinamico di quello dell'area dell'euro. Questo in parte trova una spiegazione nel calo della competitività italiana, ma in parte ha una spiegazione in un fenomeno più strutturale e anche più complicato da affrontare, vale a dire lo spostamento della struttura delle economie europee, anche dei paesi industriali avanzati in genere, dal settore manifatturiero verso il settore dei servizi. In Italia tale spostamento sta avvenendo in questi anni, con un certo ritardo rispetto ad altri paesi come gli Stati Uniti, la Germania o la Francia.
C'è, quindi, una componente di evoluzione strutturale dell'economia che non si risolve esclusivamente con il ritorno in settori dai quali tutti i paesi industriali avanzati stanno uscendo.
Ecco, in estrema sintesi, il contesto macroeconomico: un'economia mondiale in crescita, che ci sostiene; un'economia italiana che congiunturalmente trae beneficio da questa crescita mondiale, ma che ha un problema cronico di bassa crescita, in un contesto di declino della componente manifatturiera della produzione nazionale rispetto alla componente dei servizi.
Veniamo ai conti pubblici. Ho detto più volte, in queste settimane, che la condizione nella quale ci troviamo ricorda quella dei primi anni '90. Ho riferito anche in altre occasioni che questa condizione, per alcuni aspetti, è più grave di quella che avevamo nel 1992. Ripeto e confermo questa affermazione, e la spiego brevissimamente. Ho scelto il 1992 perché tutti ricordiamo che è stato l'anno più drammatico dell'evoluzione dell'economia italiana e del suo rapporto con i conti pubblici.
Ci sono due indicatori che mi inducono a ribadire la mia affermazione: il primo è il cosiddetto saldo primario, il secondo è il rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo. Questi due indicatori nel 1992 erano migliori o, piuttosto, meno gravi di come sono in questo momento. Nel 1992 il saldo primario era l'1,8 per cento del prodotto interno lordo, nel 2005 era lo 0,5 per cento. Il rapporto debito-PIL nel 1992 era più basso di quanto fosse alla fine del 2005.
Prendo in considerazione questi due indicatori perché sono strettamente collegati. Non si mette in una china discendente il rapporto debito pubblico-PIL, come deve invece essere in ogni paese che abbia un debito pubblico così elevato, se non c'è un forte saldo primario. Il resto del saldo dei conti pubblici dipende non da noi, ma dall'andamento dei tassi di interesse, che è largamente fuori del controllo della politica economica.
È vero che il saldo dei conti pubblici in termini nominali, era molto più elevato nel 1992 di quanto sia oggi. Questo, però, avveniva perché l'inflazione era alta, i tassi di interesse nominali erano alti e quindi c'era un gonfiamento inflazionistico delle cifre, che poi, nel corso degli anni '90, si è eliminato. Questo, anzi, spiega buona parte della rapidità con la quale i conti pubblici si sono resi conformi alle regole per entrare nell'euro.
Il confronto con il 1992, quindi, è valido. Tutti i confronti mettono in luce somiglianze e differenze, ma in questo caso l'elemento essenziale della somiglianza, a mio giudizio, prevale sull'elemento della differenza.
Passo alla tavola 7, che dà un'idea dei tempi che occorrono all'Italia per riportare il proprio rapporto fra debito pubblico e PIL a valori nettamente inferiori a quelli attuali. Questa dinamica discendente del rapporto fra debito pubblico e


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PIL dipende dall'entità del saldo primario e dalla velocità alla quale l'economia cresce.
Le diverse linee riportate nella tavola indicano come, in funzione di diversi livelli dell'avanzo primario e diversi tassi di crescita dell'economia, il ritorno del debito pubblico a rapporti accettabili in confronto al prodotto interno lordo avvenga a velocità e in tempi diversi. Se ci fosse un avanzo del 4 per cento, rientreremmo al di sotto del 100 per cento del rapporto debito pubblico-PIL nel 2009, ipotizzando un tasso di crescita medio del 2 per cento annuo; nel 2010 con un avanzo del 3 per cento; nel 2012 con un avanzo del 2 per cento; nel 2023 con un avanzo dell'1 per cento. Parliamo di un processo che dura comunque molti anni, ed è assolutamente indispensabile arrivare il più rapidamente possibile a quella condizione del saldo dei conti pubblici che pone questo rapporto in una china discendente.
Questa è la condizione come la si poteva descrivere già qualche mese fa, perché è fondata sul consuntivo del 2005. Su quella base, nel corso dell'anno passato, sono stati assunti gli impegni europei, nel quadro della procedura per deficit eccessivo aperta sul caso italiano l'estate scorsa.
Ricordo che, per effetto di quella procedura, l'Italia concordò e accettò un piano, contenuto in una raccomandazione di Bruxelles, i cui elementi essenziali sono i seguenti impegni: 1) provocare una discesa dell'indebitamento netto chiaramente al di sotto del 4 per cento nel 2006 e del 3 per cento nel 2007 (ricordo che il 3 per cento è la soglia, fissata nel trattato di Maastricht e nel patto di stabilità, che i deficit non possono superare); 2) compiere una correzione strutturale di almeno 1,6 punti del prodotto interno lordo nel biennio 2006-2007, di cui almeno la metà (0,8) nel 2006; successivamente al 2007, compiere ogni anno un aggiustamento strutturale di 0,5 punti all'anno; 3) raggiungere un rapporto debito-PIL in diminuzione, cioè in avvicinamento al modello di riferimento, ad una velocità soddisfacente (il livello di riferimento è il 60 per cento, che costituisce la soglia che non si dovrebbe superare, secondo il trattato di Maastricht e il successivo patto di stabilità).
Questi sono gli impegni assunti. La parola chiave è «strutturale», nel senso che le correzioni non possono essere affidate a misure che abbiano efficacia per un solo anno o per due anni. È una condizione estremamente severa. Io non sono per principio ostile a misure una tantum. Ci sono circostanze nelle quali il problema è circoscritto nel tempo e la soluzione può essere circoscritta nel tempo; ci sono, invece, circostanze nelle quali il problema è strutturale e la soluzione deve essere strutturale. Per «strutturale» si intende sia permanenza delle misure, sia invarianza dell'efficacia di queste misure nel ciclo economico (quindi, si guardino i dati, come si dice in gergo economico, aggiustati per il ciclo).
Sulla base del quadro del 2005 e dell'insieme degli impegni ereditati nei confronti dell'Europa, la prima azione che mi è sembrata necessaria - ed è buona norma che lo sia, quando inizia una legislatura, anche senza cambio di maggioranza - è consistita nel fare il punto dell'eredità della legislatura precedente. Del resto, anche se non cambiasse la maggioranza, anche se il ministro fosse lo stesso, il Parlamento comunque non sarebbe lo stesso, né sarebbero le stesse le Commissioni parlamentari, quindi il dovere di fare il punto della situazione ereditata è ancora più forte in un regime in cui il rapporto fra Esecutivo e Parlamento è molto stretto.
Per svolgere la verifica, abbiamo pensato ad una procedura che fosse fondata sul lavoro e sulla collaborazione delle stesse istituzioni che in Italia sono deputate ad occuparsi di queste materie: il Ministero dell'economia e delle finanze, l'Istituto centrale di statistica, la Banca d'Italia, l'ISAE e, all'interno del Ministero dell'economia e delle finanze, i tre dipartimenti più direttamente coinvolti in questa materia.
A me è sembrato preferibile questo metodo, piuttosto che rivolgermi ad una


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sola istituzione, ad una sola istituzione italiana, o ancora di più ad un'istituzione non italiana, come avrebbe potuto essere la Commissione o il Fondo monetario internazionale. La Commissione dovrà poi valutare i nostri conti, come valuta lo stesso risultato dell'accertamento che, nel gergo, va sotto il nome di due diligence, ma non mi sembrava appropriato che venisse investita essa stessa del compito.
Ho chiesto al professor Riccardo Faini di presiedere la Commissione, perché, seguendo una prassi che esiste in molti casi nell'azione dei Governi, ci fosse una figura superiore e indipendente rispetto agli uffici. È stato compiuto un atto di grande fiducia nel chiedere agli uffici una valutazione che, in misura non piccola, riguarda il lavoro che essi stessi hanno compiuto fino a quel momento. Ho voluto che questa valutazione fosse completamente esente da ogni elemento di dibattito politico fra il Governo passato e il Governo presente, ma era giusto che ci fosse un presidente che coordinasse i lavori dei diversi componenti e desse loro un'autorità scientifica.
La Commissione ha lavorato in piena indipendenza. È evidente, tuttavia, che nel creare una Commissione di questo genere si compie un atto di fiducia e la responsabilità per i lavori della stessa sono assunti, in ultima analisi, dal ministro che l'ha creata.
Voi conoscete bene il risultato di questa due diligence. Ho letto attentamente il documento che gli uffici della Camera e del Senato hanno preparato per voi. Senza entrare nei dettagli, so che ci sono osservazioni e richieste di chiarimento anche molto specifiche, alle quali risponderemo con ulteriori elementi. Tuttavia, la parte essenziale dell'esercizio che è stato compiuto dalla Commissione si può riassumere in pochi elementi, che sono stati riportati nelle tavole 9, 10 e 11.
Innanzitutto, la Commissione ha ritenuto opportuno - devo dire che questo, in parte, deriva da un'indicazione data da chi vi parla - non fornire una cifra secca. In realtà, la stima del disavanzo di un anno in corso è comunque fondata su ipotesi, non può essere fondata su dati certi; non è un esercizio contabile per definizione - gli esercizi contabili sono consuntivi - e non è nemmeno esente da alcuni elementi di scelta di politica economica, perché deve, in qualche misura, fondarsi sull'ipotesi di come il Governo, o forse lo stesso Parlamento, si comporteranno nel corso dell'anno. Inoltre, così come accade per i conti pubblici stessi in un sistema come quello dei paesi avanzati di cui siamo parte, anche la più valida e precisa delle ragionerie non è in grado di fare previsioni esatte, perché non si sa con certezza quale sarà l'andamento dell'economia - quindi quale sarà il gettito dell'imposta, per fare un esempio - e nemmeno quale sarà la dinamica di certe spese, che dipendono dalla domanda e non dall'offerta. La spesa sanitaria, per fare un esempio, in larga misura dipende dalla dinamica della salute, che non è controllata da nessun Governo. C'è, dunque, un forte margine di incertezza.
Allora, su questa base, la Commissione ha prodotto tre stime. Una stima l'ha chiamata tendenziale: la Commissione, cioè, ha fatto il punto su quella stessa definizione del disavanzo che è contenuta nella relazione trimestrale di cassa e che, sostanzialmente, si fonda su fatti certi e avvenuti, nonché sul presupposto che, per la parte dell'anno non compiuta, si realizzino in maniera piena le previsioni e le disposizioni contenute nella finanziaria. Questa stima porta a un disavanzo del 4,1 per cento, che è omogeneo, come definizione concettuale, a quel 3,8 per cento contenuto nella relazione trimestrale di cassa, e al 3,5 per cento di precedenti previsioni.
Vi è, inoltre, una stima di due classi di elementi che possono mettere a rischio il rispetto di quel 4,1 per cento. La prima classe, che la Commissione definisce «rischio sul grado di efficacia della finanziaria», si riferisce al rischio che, nonostante l'applicazione delle disposizioni della finanziaria - per i motivi che ho detto poc'anzi, ossia per il fatto che le cifre non


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sono dipendenti in maniera esclusiva dall'azione dell'Esecutivo -, possano esserci sconfinamenti.
La Commissione ha indicato una serie di categorie di questi rischi ed ha valutato in uno 0,3 per cento l'ulteriore disavanzo o il massimo che si potrebbe avere dell'ulteriore disavanzo, se questi rischi si materializzassero.
La seconda classe di rischio, definita dalla Commissione «rischio di attuazione», comprende i rischi che dipendono dalla possibilità che gli impegni contenuti nella legislazione e le cifre contenute nel bilancio si rivelino tra loro incompatibili, ossia che ci siano circostanze nelle quali vi è un conflitto tra norme e lo si debba risolvere prevedendo fondi aggiuntivi attraverso il bilancio, con un intervento sulla legislazione. È chiaro che, in questo caso, l'intervento dovrebbe avere una copertura. Nondimeno, il rischio incide sul disavanzo, anche se solo in prima istanza.
Nell'ultimo Consiglio dei ministri - cito un esempio recentissimo - è stato approvato un decreto-legge che consentiva lo spostamento di fondi, nell'ambito del Ministero dell'istruzione, da certi capitoli di spesa ad altri, in quanto la somma iscritta nel capitolo di spesa che prevedeva gli stanziamenti per il regolare svolgimento degli esami di maturità era insufficiente. In quel caso, si sarebbe dovuto decidere se non fare gli esami di maturità o farli solo in un terzo degli istituti superiori italiani, o invece stanziare somme opportune. Ebbene, si sono trovate queste somme senza incremento del disavanzo, in quanto, in accordo con il ministro dell'istruzione, è stato disposto uno spostamento di destinazione. Per rispetto al bilancio, che è abbastanza rigido nell'attribuzione delle somme ai capitoli di spesa, è stato necessario un decreto-legge che il Governo ha approvato.
Questo è un esempio tipico di un rischio di attuazione: c'era il rischio di non poter svolgere gli esami di maturità, che è stato sventato con una destinazione aggiuntiva di somme che, peraltro, ha trovato copertura nel bilancio.
Non voglio andare oltre la descrizione il più possibile asettica delle cifre, tuttavia non posso nascondere che la preoccupazione è notevole. Se, nel giro di poco più di due mesi, la semplice valutazione, sulla base dei fatti avvenuti, porta la stima del disavanzo dal 3,8 al 4,1 per cento - quindi aggiunge 0,3 punti, sebbene in verità si tratti di qualcosa in meno, circa 0,25, per un gioco di arrotondamenti -, non ci vuole molto a moltiplicare questo dato per l'intero anno, per dimostrare quanto siano diverse la velocità scritta nel bilancio e la velocità con la quale, almeno nei primi cinque mesi dell'anno, si sono mossi i conti pubblici.
Arriverei a dire che le stime delle due classi di rischio sono, in realtà, molto ottimiste sulla possibilità che il meccanismo del bilancio riduca questo divario di velocità. Infatti, moltiplicando 0,3 per i periodi della stessa durata contenuti in un anno (cinque) o per tre (per la parte residua dell'anno), avremmo uno scostamento ben superiore anche alla più pessimistica delle ipotesi contenute nella valutazione dei conti.
Quanto ho detto si riassume nella tavola 12, che mostra come il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo italiano, che era in calo ormai dalla prima metà degli anni '90, purtroppo abbia ripreso a salire nel 2005 e sia destinato a salire ulteriormente nel 2006.
Questo, alla fine, è il problema fondamentale, è l'elemento su cui i mercati ci giudicano, su cui le agenzie di rating stanno rivedendo la posizione dell'Italia, su cui si sentono e si leggono voci sgradevoli sul «rischio Italia». Finché il rapporto tra debito e prodotto non sarà posto chiaramente in discesa, potremo raccontare tutto quel che vogliamo, ma non convinceremo coloro che, tra i nostri interlocutori, sono i più difficili da convincere, ossia i mercati. Al limite, con la Commissione di Bruxelles si può ragionare, perché ci conosciamo da molti anni e sappiamo che è composta da persone fatte, per così dire, della stessa pasta di cui siamo fatti noi. I mercati, però, se sentono il profumo del sangue ne sono fortemente


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tonificati. Chiudo su questo grafico la parte riguardante la finanza pubblica, perché è ad esso che bisogna essenzialmente guardare.
Non voglio dilungarmi oltre, dunque accelero i tempi della mia illustrazione. In verità, potrei fermarmi qui, sulla questione dei conti pubblici, perché non sono qui, oggi, per dare indicazioni che ancora non posseggo: quale sarà la correzione; che entità avrà; come si distribuirà fra intervento sulla spesa e intervento sulle entrate. C'è un impegno ad approvare sia il DPEF, sia una manovra correttiva sul 2006, all'inizio di luglio.
In questo momento - i lavori sono in corso - la previsione che abbiamo fatto riguarda il 2006; non abbiamo ancora i dati tendenziali per il 2007. Sarà nei tempi ordinari di presentazione del DPEF che si potrà parlare di questo aspetto.
Voglio sottolineare che è, sì, essenziale ricreare un avanzo primario, ed è essenziale farlo attraverso una correzione dei conti pubblici, ma in prospettiva è solo rimettendo l'economia italiana in crescita che questi rapporti potranno migliorare in maniera rapida e senza costi eccessivi per l'Italia.
Le tavole dalla 13 in poi riportano in sintesi gli elementi essenziali della problematica di crescita, ma non li descriverò uno per uno. Il punto di fondo è che se l'economia italiana ha un problema di crescita è essenzialmente perché la produttività in Italia cresce, da molti anni, a ritmi significativamente inferiori a quelli degli altri paesi, compresi i paesi dell'area dell'euro. Con una crescita della produttività bassa, non basta la moderazione salariale, che pure c'è stata, per impedire una perdita di competitività che si concretizza in una dinamica molto più forte, quindi avversa, del costo unitario del lavoro, del costo del lavoro per unità di prodotto, dell'economia italiana rispetto alle economie concorrenti.
In definitiva, il punto di fondo - ed è per questo che si deve procedere al più presto sul fronte della crescita - è che occorre ridare forza alla crescita della produttività.
Concludo con un ritorno brevissimo al quadro internazionale. Un indirizzo di politica economica fondato su risanamento e crescita, è tanto più necessario in quanto la straordinaria crescita dell'economia mondiale è soggetta a rischio, e non è affatto escluso che si attenui nei prossimi anni.
Nelle tavole 18 e 19 si possono vedere i due fattori principali di rischio che incombono sull'economia mondiale: i fortissimi squilibri delle bilance dei pagamenti - aspetto che non tocca particolarmente l'Europa, ma prevalentemente l'Asia e gli Stati Uniti (tavola 18) - e il forte aumento dei prezzi dell'energia. Quest'ultimo è un fenomeno con il quale dovremo convivere per anni, in quanto deriva dalla circostanza che alcune economie del mondo, che rappresentano da un terzo a metà del genere umano, stanno crescendo a ritmi rapidissimi e consumano energia in misura crescente, mentre le fonti di energia non crescono a ritmi equivalenti.
L'ultima tavola, riprende i tre termini sui quali, a giudizio mio e del Governo, deve impostarsi una politica economica per essere realizzabile: crescita, risanamento, equità.
Ho parlato soprattutto di crescita ed ho indicato l'obiettivo di puntare al 2 per cento per anno, in maniera durevole. Si tratta di un obiettivo ambizioso. La crescita potenziale, in Italia, oggi è inferiore al 2 per cento, ma ci sono esempi di economie che sono cresciute al di sopra del loro tasso di crescita potenziale per molti anni, come l'economia americana.
Quanto al risanamento, si deve porre il debito in permanente discesa rispetto al prodotto interno lordo. L'equità, infine, corregge precarietà e sofferenza sociale. Come ho detto giorni fa in un'intervista, il bisogno di equità si accresce nel momento in cui un'operazione di risanamento è necessaria. È un errore vedere la tematica dell'equità come alternativa a quella del risanamento. Al contrario, credo che solo operando su questi tre fronti congiuntamente si possa risolvere il problema di cui io sono più direttamente investito, quello del riequilibrio dei conti pubblici. Grazie.


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PRESIDENTE. Grazie a lei, signor ministro, per la sua illustrazione. Colgo l'occasione per salutare - mi scuso per non averlo fatto prima - il viceministro Roberto Pinza, il professor Nicola Sartor che, al suo esordio in Parlamento, seguirà in particolare la finanziaria.
Saluto anche il Ragioniere generale dello Stato, dottor Canzio, che ha avuto la sensibilità di venire in questa sede - pur non essendo prevista formalmente la sua presenza - per ascoltare l'intervento del ministro, e il sottosegretario Lettieri.
Ringrazio anche i giornalisti, ai quali abbiamo consentito questo brevissimo accesso.
Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni, pregandoli di essere sintetici il più possibile.

LAURA RAVETTO. Signor ministro, lei ha manifestato l'intenzione di ridurre il cuneo fiscale secondo criteri di selettività, indipendentemente da una valutazione sul merito della misura e da dichiarazioni pesanti riferite ad aziende forti.
Dal punto di vista meramente normativo, il termine «selettivo», trattandosi di misura statale, rimanda alle normative in tema di aiuti di Stato, in particolare al trattato di Roma, che vieta gli aiuti di Stato non generalizzati.
Immagino che lei abbia valutato la questione e mi chiedo come saprà convincere la Commissione che una misura di questo tipo sia difendibile, sapendo che questa Commissione, come la precedente, ha sempre fatto della lotta agli aiuti di Stato non generalizzati un cavallo di battaglia.
In secondo luogo, lei ha rilasciato un'intervista al Sole 24 Ore, in cui ha parlato della necessità di una nuova dottrina delle privatizzazioni, toccando anche il punto della vendita in monopolio e altri argomenti. Le chiedo di darci qualche indicazione su questo concetto di nuova dottrina.

NATALE RIPAMONTI. Ringrazio il ministro per la sua esposizione. Non porrò domande sull'andamento dei conti pubblici, perché avremo occasione, se verrà presentata la manovra correttiva e con il documento di programmazione economica e finanziaria, di entrare puntualmente nel merito.
Intendo sottoporre all'attenzione del ministro il problema seguente: ad ogni cambio di Governo si pone la necessità di una verifica puntuale dell'andamento dei conti pubblici. Lo si è fatto nella passata legislatura ed in quella appena iniziata. Comunque, questo è un problema che permane nel nostro paese, a differenza degli altri paesi europei e che riguarda non una maggioranza ma l'intero Parlamento. Da ciò emerge la necessità di avere un controllo effettivo e trasparente dell'andamento dei conti pubblici. Si tratta della necessità di innovare, sotto questo aspetto, le procedure e di avere un organismo - io credo indipendente - che sappia dare garanzie al Parlamento e al paese. Del resto, mi sembra che, al riguardo, il programma dell'Unione fosse abbastanza preciso e il programma della maggioranza parlamentare prevede che ci sia un controllo effettivo e trasparenza sull'andamento dei conti pubblici, anche attraverso un rafforzamento degli uffici studi di Camera e Senato, probabilmente rendendoli più autonomi e dando loro la possibilità di essere più efficaci nel loro lavoro.
Vorrei sapere dal ministro se ritenga fondata questa esigenza e cosa intenda fare al riguardo, se ritiene di intervenire perché la procedura che ho prospettato possa attuarsi.

ALBERTO GIORGETTI. Rivolgo un saluto e un augurio di buon lavoro al ministro, prima di fare una breve considerazione preliminare.
Alla luce della sua relazione, signor ministro, mi pare che non vi siano elementi innovativi significativi rispetto a quanto abbiamo visto, dall'insediamento del Governo e forse anche subito dopo le elezioni. Mi riferisco al dibattito che ha riguardato soprattutto alcuni componenti del Governo, come appare in alcune interviste,


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anche da lei rilasciate, con riferimento al dramma dei conti pubblici.
Noi crediamo che, se realmente la situazione fosse così drammatica come voi continuate a prospettare, sarebbe stato più opportuno affrontare questo argomento - al di là dell'insediamento delle Commissioni, ferma restando l'opportunità di questo incontro - con un dibattito ampio in sede parlamentare.
Si è insediata una Commissione specifica, che ha svolto un lavoro la cui attendibilità, ovviamente, è nella valutazione dei singoli parlamentari, delle forze politiche, delle forze sociali ed economiche. Tuttavia, come mi pare di cogliere anche nelle sue parole, vi sono degli elementi di contraddizione. Si parla di stime in corso di valutazione, che dipendono da una serie di fattori, tra cui ad esempio le entrate, che mi pare siano oggi un elemento sostanzialmente positivo, come primo dato di congiuntura. Si dice anche che, nella relazione trimestrale di cassa, la previsione del 4,1 per cento sia una proiezione in sintonia rispetto al dato acclarato dalla Commissione.
In relazione a questo, e ad una serie di variabili, che devono essere verificate dal punto di vista dell'attendibilità - peraltro sottolineate anche in sede di Commissione europea - si è detto che bisogna proseguire nella puntuale applicazione della legge finanziaria 2006, mantenendo dunque presidi fondamentali per rispettare gli impegni assunti in sede europea.
Voi avete disegnato, davanti agli occhi del Parlamento e del paese, un quadro di pura drammatizzazione, immaginando - questo risulta dalle vostre dichiarazioni - una manovra correttiva di 10 miliardi di euro.
Delle due l'una: la situazione è realmente drammatica, oppure non lo è. Del resto, non mi pare che i dati che supportano la prima tesi siano del tutto certi; essi sono frutto, come lei ha riferito in questa sede, di valutazioni tendenziali, il cui riscontro si avrà fra qualche tempo. Comunque, la decisione politica di attuare un intervento correttivo di 10 miliardi attiene alla responsabilità del Governo ed è stata frutto di una serie di interventi, che sono in netta contraddizione tra loro.
Da una parte si afferma la necessità di un maggior controllo e rigore sulla spesa pubblica, come emerge anche dalle tavole che ci ha consegnato (ad esempio, il tema della riduzione della spesa corrente degli enti locali, i rischi di riclassificazione, il tema legato alla trattativa che avete avviato sui costi della sanità hanno portato il ministro ad affermare che dovremo presidiare maggiormente questi elementi di spesa); dall'altra, gli ultimi dati hanno determinato una serie di dichiarazioni, da parte del Governo, nel senso che, al contrario, non si debba intervenire su questi elementi, che, tra l'altro, sono stati argomento fondamentale, in campagna elettorale, delle promesse formulate dalla coalizione che ha sostenuto Prodi: tra queste, l'aumento della spesa per gli enti locali e l'aumento della spesa sanitaria, interventi che prevedevano non certo il controllo della spesa pubblica, ma ulteriori risorse aggiuntive.
È necessario capire se si intenda procedere con una manovra correttiva che non pone sotto ulteriore controllo l'efficacia degli interventi della legge finanziaria 2006, ma avvia sostanzialmente una fase di tassazione aggiuntiva.
In sintesi, la questione che pongo è la seguente: siamo qui per parlare di una situazione che già conosciamo, in relazione ai documenti dati, ma vorremmo capire se la scelta del ministro dell'economia, oggi, sia quella di proseguire in una logica di controllo della spesa pubblica, oppure quella di avviare una nuova fase di incremento delle entrate e della pressione fiscale.

LUIGI CASERO. Signor ministro, devo dire che ci aspettavamo una relazione dettagliata dal punto di vista dei numeri, però considerato quello che sta avvenendo in questi giorni e la discussione che si è accesa nel paese e sui giornali, ci attendevamo anche considerazioni più precise, oltre che sulla situazione esistente - su cui, abbiamo delle contestazioni da muovere,


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ma lo faremo dopo -, soprattutto su quello che avete in mente di fare.
Il ministro dell'economia rappresenta la sintesi della linea di politica economica di un Governo, dunque al ministro abbiamo chiesto di venire in Commissione per spiegare quale sarà la linea di politica economica del Governo. Oggi abbiamo ascoltato un'analisi dettagliata dei numeri, ma nulla su quello che pensate di fare.
Sui giornali, in questi giorni, vengono presentate diverse proposte e iniziative, spesso divergenti e contrastanti tra loro. Noi siamo molto preoccupati - e tutti i cittadini italiani lo sono - e vogliamo sapere, dopo quello che si è detto in campagna elettorale, ciò che volete realmente fare.
Lasciamo perdere la considerazione sull'anno 1992, che potrà anche essere giusta dal punto di vista tecnico, considerando gli stretti rapporti economici e matematici, ma sicuramente ha generato un allarme nel paese e, secondo noi, non ne rappresenta la situazione attuale. Tuttavia, ho visto che su questo argomento ci sono state diverse considerazioni e diverse smentite. L'invito, quindi, è di stare attenti nel formulare considerazioni che possono generare preoccupazioni.
Signor ministro, lei ha detto che è necessario intervenire sui macrolivelli. Fondamentalmente, questo è possibile tagliando la spesa o aumentando le entrate: non ci sono altri modi per cercare di ottenere gli obiettivi che sono stati delineati. Noi vorremmo sapere - se non oggi, entro brevissimo tempo, proprio perché la discussione in questi giorni avviene su questi temi - come pensiate di tagliare la spesa e come pensiate di aumentare le entrate. Vorremmo, inoltre, conoscere il vostro orientamento in merito alle tasse.
Ho detto prima che lei, come ministro dell'economia, rappresenta la sintesi della politica economica del Governo ed è, dunque, da lei che vogliamo avere notizie e non dal viceministro, dal ministro delle attività produttive o da altri esponenti del Governo, che peraltro esprimono considerazioni diverse.
Infine, si è parlato di competitività in senso lato, ossia della necessità per le imprese italiane di acquisire competitività. Voi avete impostato tutta la vostra campagna elettorale sulla riduzione del cuneo fiscale. In questi giorni, mi sembra che questo argomento stia pian piano scemando. Dopo le promesse che abbiamo ascoltato in campagna elettorale dal Presidente Prodi, siamo passati al cuneo fiscale selettivo con una situazione che si modifica di giorno in giorno.
Qual è, in definitiva, la sua posizione su questo punto?

PRESIDENTE. Do la parola al ministro Padoa Schioppa per una breve replica.

TOMMASO PADOA SCHIOPPA, Ministro dell'economia e delle finanze. Inizio dalle domande e dalle considerazioni dell'onorevole Casero, per poi passare a quelle formulate in precedenza.
L'onorevole Casero mi ha chiesto di sapere, se non oggi, il più presto possibile, cosa pensiamo di fare. Risponderò adeguatamente il più presto possibile; oggi posso dirvi esattamente qual è lo stato delle cose. Non ho conoscenza di una risposta sull'entità precisa di una manovra e sulla sua composizione che i miei predecessori nella carica abbiano potuto dare con tre o quattro settimane di anticipo rispetto alla data nella quale questa manovra sarebbe stata approvata dal Governo, ossia il 7 luglio. Certamente, ci sarà un momento in cui queste indicazioni verranno portate in questa sede e ci sarà modo di dibatterle.
Per quanto riguarda il cuneo fiscale, sappiamo bene che il divario tra quello che il lavoro costa al datore di lavoro e quello che entra nel reddito del lavoratore, in Italia, è eccezionalmente elevato. L'idea, quindi, che il cosiddetto cuneo debba diminuire è condivisa da maggioranza e opposizione, considerato che c'è stata una sua significativa diminuzione anche nel corso della passata legislatura. Naturalmente, il gettito che ne deriva serve a qualcosa, in particolare serve a finanziare una spesa pubblica che non si può tagliare


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facilmente. Nella fattispecie, una parte non piccola del cuneo finanzia un sistema pensionistico che non può essere ulteriormente squilibrato. Comunque, si procederà nella direzione del taglio del cuneo, la cui problematica, tuttavia, è estremamente complessa. Non ho il tempo di soffermarmi su questo tema, ma consentitemi di dire che la misura che verrà assunta non potrà avere effetto da oggi al mese prossimo. Molto probabilmente, si tratterà di una misura che entrerà nella legge finanziaria. La questione è in fase di analisi e il dibattito in corso sul modo di intervenire, secondo me, è molto utile.
Per quanto mi riguarda, ho dato un'indicazione di selettività, e con questo rispondo anche all'onorevole Ravetto. Selettivo non vuol dire discrezionale, non vuol dire ridare o dare all'autorità politica il compito di scegliere quali settori e quali imprese promuovere e quali no. Può esserci una selettività che si combina perfettamente con l'automatismo. Ad esempio, si può immaginare che il cuneo sia assegnato ai settori manifatturieri e non ad altri settori.
Quanto al tema degli aiuti di Stato, me ne sono occupato per alcuni anni, soprattutto nella Commissione di Bruxelles. È un argomento, dunque, che conosco bene. Non c'è alcuna incompatibilità tra una manovra selettiva del cuneo e il rispetto delle norme sugli aiuti di Stato. Dipende interamente da come la selettività è articolata, un tema questo che stiamo esaminando. Personalmente ho espresso l'auspicio che il taglio del cuneo abbia il massimo di rendimento, in termini di crescita e di stimolo all'economia, e credo che esaminare ipotesi di selettività sia utile a questo fine.
Onorevole Giorgetti, la situazione non è stata drammatizzata, bensì è drammatica e lo è non per quello che la cosiddetta due diligence ha messo in luce, ma per il confronto che ho fatto con la condizione del 2005, una condizione passata che non è oggetto di controversie. Poichè l'avanzo primario è sostanzialmente esaurito e il rapporto tra il debito pubblico e il PIL ha ripreso a crescere, dobbiamo essere fortemente preoccupati. Non credo che utilizzare le lenti rosa possa aiutare ad affrontare i problemi.
Quanto all'entità della manovra, finora non ho fornito alcuna cifra. Lei ne ha riferita una, ma non può averla ripresa da qualche mia dichiarazione precedente.
Senatore Ripamonti, per quanto riguarda l'esistenza di un organismo indipendente, credo che una funzione tecnicamente autorevole e immune da influenze politiche di valutazione dei conti pubblici sia indispensabile per un buon funzionamento delle pubbliche finanze, in qualunque paese. Riguardo alle modalità di organizzazione di tale funzione - se, ad esempio, si debba rafforzare la funzione degli uffici parlamentari o creare un'istituzione nuova -, so che è in corso un dibattito che dovrà essere risolto.
Sarebbe, comunque, molto utile che gli uffici delle due Camere potenziassero al massimo la loro capacità di analisi fin da subito. Sto parlando di qualcosa che esiste, è comunque utile e potrebbe essere organizzato in maniera tale che queste valutazioni non siano percepite come prodotto di una parte politica in particolare.
Onorevole Ravetto, quanto alla nuova dottrina delle privatizzazioni, nell'intervista che lei ha citato affermavo che né la dottrina dello Stato imprenditore, né quella dello Stato privatizzatore sono, a mio giudizio, pienamente soddisfacenti. Se avessi una dottrina riassumibile in una formula avrei utilizzato quell'intervista per esporla, ma credo che si tratti di un problema molto complesso.
Ho condiviso la rivalutazione del colbertismo fatta dal presidente Tremonti, qui presente. Credo che ci sia uno spazio per imprese pubbliche gestite al meglio, con un forte senso dell'efficienza da un lato e dell'interesse generale del paese dall'altro. L'Italia stessa ha conosciuto, nella sua storia, esempi molto positivi in questo senso.
Per il fatto che quel sistema, a un certo punto, è degenerato, si è passati dallo Stato imprenditore allo Stato privatizzatore, forse addirittura eccedendo nel nuovo senso. Adesso che sono a capo di un


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ministero che è detentore di azioni di imprese rimaste di proprietà dello Stato, mi rendo conto che è molto difficile delineare esattamente il criterio. Il Ministero è azionista di una grande impresa elettrica che, però, non è l'unica che produce elettricità in Italia. Rispetto alla funzione di regolamentazione del settore, che spetta a un mio collega del Governo, sono un azionista come un altro, e non ritengo che debba esserci una diversità di orientamento della regolamentazione, della concorrenza e quant'altro, solo perché lo Stato è detentore delle azioni dell'ENEL.
Ritengo che uno dei compiti che si dovranno affrontare in questa legislatura sia proprio quello di elaborare questa dottrina e, possibilmente, avere un dibattito pubblico costruttivo.

PRESIDENTE. Per regolare l'ordine dei nostri lavori, faccio presente che ci sono ancora venti iscritti a parlare. Invito ciascuno a formulare domande telegrafiche, altrimenti rischiamo di non poter dare la parola a tutti gli iscritti e di dover rinviare ad altra data l'approfondimento delle questioni sollevate.

ANDREA RICCI. Signor ministro, ho letto attentamente la relazione Faini e altrettanto attentamente ho ascoltato la sua illustrazione. Posso dire di condividerne le preoccupazioni in merito allo stato della finanza pubblica. Tuttavia, vorrei esprimere alcuni dubbi e perplessità sorti dalla lettura della relazione.
A me pare che la forchetta del 4,1-4,6 per cento del rapporto deficit/PIL sia troppo ampia, perché configura ipotesi di correzione netta dei conti pubblici molto differenti. Nel caso in cui la stima sulla quale si attesterà, alla fine, la discussione fosse il 4,6 per cento, arriveremmo ad una correzione netta necessaria di oltre 11 miliardi di euro. Questo può aver contribuito ad un'enfatizzazione allarmistica nell'opinione pubblica.
Per chiarire la situazione, così come emerge dalla relazione, le sottopongo questo ragionamento. Il dato da considerare per stabilire l'entità della correzione netta è quello relativo alla revisione del tendenziale: 4,06 per cento, come viene stimato nella relazione, che coincide con le stime dell'Unione europea.
Le ulteriori ipotesi analizzate nella relazione della Commissione, in primo luogo, riguardano i rischi di efficacia. Così come vengono individuati dalla Commissione, essi si riferiscono ai riflessi negativi sul bilancio di misure adottate anche nel caso di loro piena attuazione.
A mio avviso, questi rischi sono per loro natura incerti, altrimenti non potrebbero non essere inclusi nel tendenziale. Dico incerti nel senso che non sono calcolabili neanche in via probabilistica. Allora, di fronte a rischi di questo tipo, le misure a cui essi si riferiscono possono sì essere modificate, perché sono ritenute sbagliate o inadeguate, ma ciò non dovrebbe rientrare nella quantificazione della correzione netta necessaria. Sarebbero, insomma, interventi di carattere aggiuntivo.
Analogo ragionamento si può fare sui rischi di attuazione, cioè sui provvedimenti adottati che hanno effetti problematici. Essi, naturalmente, discendono da valutazioni di ordine politico, rispetto alla problematicità di alcune misure introdotte nella legge finanziaria 2006. Anche in questo caso, a mio avviso, l'intervento non attiene tanto alla quantificazione della manovra correttiva netta, quanto ad interventi aggiuntivi necessari per perseguire obiettivi di politica economica. Pertanto, per come leggo la relazione, occorre una manovra di correzione netta, che sembra essere pari allo 0,3 per cento del PIL, e degli interventi aggiuntivi per lo sviluppo e per nuovi provvedimenti di politica economica, anche tesi a sanare situazioni preesistenti, che vanno quantificati in sede politica.
Chiedo se questo mio ragionamento, sulla base dei risultati, sia corretto o meno.

PIETRO ARMANI. Naturalmente auguro al ministro buon lavoro. Riprendendo la relazione Faini, voglio richiamare in particolare due punti che mi hanno


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colpito. Oltre al 4,1 per cento, rispetto al 3,8 per cento calcolato come crescita tendenziale del disavanzo nell'arco di tempo che va da aprile a maggio, la relazione individua rischi di efficacia della finanziaria per il 2006: tra questi, la riduzione della spesa corrente per gli enti locali e i rischi statistici sulle spese per la sanità.
Considerato che le regioni e gli enti locali sono ormai quasi tutti controllati da maggioranze omogenee a quella di Governo, l'augurio è che si possa finalmente introdurre una linea di rigore, a livello delle spese degli enti locali e a livello di spesa sanitaria.
Non è vero, signor ministro, che la crescita della spesa sanitaria è legata soltanto al tasso di morbilità di questo paese, tasso che, certamente, con l'invecchiamento tende a crescere. Se andiamo a verificare i costi delle ASL e delle strutture burocratiche che ad esse fanno capo, ci rendiamo conto che esiste, evidentemente, la possibilità di intervenire in misura consistente.
Non parliamo, poi, della spesa corrente degli enti locali: è evidente che questo è un settore che, purtroppo, soprattutto dopo l'approvazione della riforma del Titolo V della Costituzione, voluta dal centrosinistra alla fine della precedente legislatura, costituisce un punto dolente della finanza pubblica.
Per quanto riguarda l'andamento del rapporto debito pubblico/PIL, sappiamo che purtroppo esso raggiunge tendenzialmente il 108,3 per cento, ed è cresciuto negli ultimi anni. È cresciuto perché noi, per lungo tempo - questa è una tendenza che riguarda non la legislatura passata, ma addirittura quelle precedenti -, abbiamo puntato, nella riduzione del rapporto debito/PIL, soprattutto sulla crescita del PIL e non tanto sulla riduzione del debito. Ora, se il PIL non cresce per ragioni anche di carattere strutturale (il livello di competitività del paese, la tendenza alla ristrutturazione, nel nostro settore produttivo, in relazione alla globalizzazione, e così via), bisogna intervenire sull'ammontare del debito pubblico accumulato, ossia sulle cifre assolute del debito pubblico.
È innegabile che il precedente Governo abbia affrontato un lavoro immane e devo dire che ha ottenuto un risultato consistente, con l'elaborazione e l'approfondimento del conto patrimoniale dello Stato e delle pubbliche amministrazioni. Fra l'altro, credo che fra Ministero dell'economia e delle finanze e Banca d'Italia si sia avviato anche un meccanismo di rilevazione sistematica in tempi reali dei flussi di cassa, con il sistema SIOPE (mi piacerebbe chiedere a che punto è la sua entrata a regime).
Ebbene, noi potremmo fare una riflessione sulla struttura dell'attivo patrimoniale del settore pubblico. Come ella sa, il debito pubblico è tutto sul mercato, mentre una larga parte dell'attivo patrimoniale, che per l'80 per cento fa capo agli enti locali, non è sul mercato. In questo campo, si potrebbe fare un'operazione importante, mettendo a fattore comune non soltanto l'attivo patrimoniale che fa capo alle amministrazioni del demanio statale, ma anche quello che riguarda gli enti locali e le regioni. Queste ultime, come ho detto prima, sono prevalentemente controllate dalle vostre maggioranze, quindi non dovrebbe esserci contrapposizione, da questo punto di vista, fra le scelte del Governo centrale e quelle dei governi locali. Basterebbe pensare all'accorpamento delle municipalizzate nel settore elettrico e magari far sì che gli enti locali rinuncino alle partecipazioni di controllo assoluto (potrebbero controllarle in termini relativi i comparti di sindacato). Evidentemente questo potrebbe determinare un appostamento sul mercato di quote patrimoniali, a riduzione dell'ammontare assoluto del debito pubblico.

LUANA ZANELLA. Sono assolutamente convinta che l'avvio, fin dall'inizio, di un confronto con il Parlamento produrrà dei risultati, quantomeno dal punto di vista dell'assunzione di responsabilità da parte di ciascuno.
Parto dal titolo della relazione (crescita, risanamento ed equità) e dalla considerazione che potrà esserci crescita ed equità solo a fronte del risanamento, per


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rivolgere alcune domande al ministro. Vi è una possibilità effettiva di concertazione con le forze rappresentative della realtà economica e sociale del paese e mi rendo conto che potremmo approfittare della nostra presenza al governo di enti locali e regioni - abbiamo una grande opportunità di governare il paese, sia a livello centrale che a livello locale -, ma anche che forse è ancora prematuro avere un quadro preciso. Chiedo, dunque, al ministro se egli non prefiguri la necessità, nel momento in cui sicuramente chiederemo al paese di misurarsi con qualche sacrificio, di venire in Parlamento, probabilmente con il DPEF, per presentare una prospettiva chiara, all'interno della quale si colloca questa manovra e il risanamento necessario, accompagnato anche al bisogno di equità.
Credo che il paese questo si aspetti e non intenda ignorare la necessità del rigore e la speranza dello sviluppo, purché questo avvenga all'interno di un quadro chiaro, che significa anche un ripristino della giustizia.
Inoltre, è necessario proporre in modo chiaro la qualità della manovra e degli interventi, con misure capaci di guardare avanti. Penso, ad esempio, all'orizzonte, che per noi Verdi è fondamentale, della sostenibilità della crescita, anche in termini di risorse naturali e di modifica strutturale della qualità dello sviluppo.
Chiedo, quindi, al ministro se abbia in animo di proporre, con il DPEF, linee chiare al Parlamento e al paese, nella direzione che ho indicato.

AMEDEO CICCANTI. Signor ministro, la ringraziamo per l'esposizione dei dati, comunque ben noti agli addetti ai lavori. Mi è sembrato di cogliere, nella sua illustrazione, tre novità. La prima è che il «buco» non esiste. Mi è sembrato di cogliere, nella relazione Faini, tutt'al più qualche «forellino», che deriva da uno scostamento fisiologico degli andamenti di finanza pubblica. I termini in cui essi sono stati sintetizzati - quello 0,3 per cento, al netto dei rischi di attuazione ed efficacia - mi sembra che siano correggibili con interventi di natura amministrativa.
La seconda, più che una novità, è una perplessità: non ho capito, ancorché lei abbia contestato con i dati, giustamente rivendicando la sua estraneità, se vi sia una manovra aggiuntiva (in tal caso, di correzione dei conti pubblici, ma da quello che ho capito non dovrebbe esserci), oppure se vi siano delle anticipazioni sull'attuazione del programma di Governo nei primi 100 giorni, rispetto a quello che era stato annunciato sia in campagna elettorale, sia ancor di più nelle dichiarazioni programmatiche del Primo ministro.
Un concetto che è stato ribadito - ma questa non è una novità - è la rinuncia alla politica dei due tempi: risanamento e crescita devono avvenire in un tempo unico. Oggi lei non ha detto niente su questa questione, anche perché sarà il DPEF a indicare il senso di marcia. Certo è che lei ha indicato, nella sua illustrazione, dei vincoli: saremo curiosi di verificare come agiranno sulla crescita.
Lei ha fatto riferimento, ad esempio, al costo dell'energia, quindi ai prezzi del petrolio, che ovviamente non sono nella sua possibilità di controllo. Ha richiamato il costo unitario del lavoro, superiore a quello degli altri paesi europei; la produttività totale dei fattori, in Italia inferiore a quella dell'Unione europea; la ristrutturazione del sistema produttivo. Ha sottolineato il declino industriale che ha trovato anche il Governo di centrodestra, già nel 2001, e i vincoli europei sul controllo delle dinamiche globali. Tutti fattori, questi, che difficilmente potranno essere tenuti sotto controllo da parte sua e del Governo.

TOMMASO PADOA SCHIOPPA, Ministro dell'economia e delle finanze. Parto dalle tre osservazioni che abbiamo appena ascoltato dall'onorevole Ciccanti. Tecnicamente, la parola «buco», nei manuali di contabilità nazionale e dei conti pubblici, non esiste: non so neppure esattamente cosa significhi. Quello che esiste è una situazione - lo ripeto, fotografia 2005 - molto grave e una dinamica del 2006 che,


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mi dispiace dirlo, non presenta affatto qualche «forellino» o scostamento fisiologico. Uno scostamento da 3,5 a 4,1 in cinque mesi è molto preoccupante: vuol dire circa 1,2-1,5 punti in un anno, ossia una cifra notevole, molto difficile da reperire. Tutto questo senza entrare nei fattori di rischio che possono significare più di quel 4,1.
Lei mi chiede, onorevole Ciccanti, se vi sia una manovra aggiuntiva. La risposta è sì, ci sarà una manovra aggiuntiva sul 2006, che verrà presentata insieme con il DPEF.
Sull'esistenza dei due tempi, invece, rispondo no. Ci saranno, in questa manovra, anche disposizioni per lo sviluppo e per la crescita, nonché per il terzo elemento, l'equità (rispondo, con questo, anche all'onorevole Zanella).
Onorevole Armani, penso che operazioni sul patrimonio possano essere compiute e se sono compiute in maniera corretta ed efficace possono ridurre il livello del debito pubblico. Se tali operazioni riducono il livello del debito pubblico, portano ad una situazione in cui, per un medesimo avanzo primario, la discesa del rapporto debito pubblico/PIL è più rapida. È giusto, dunque, che queste operazioni, oltre a dover essere naturalmente impeccabili sotto ogni profilo, siano portate a riduzione del debito pubblico, e non ad altro fine. Nonostante molte operazioni compiute in questo campo, in realtà il debito pubblico non ne ha beneficiato in maniera significativa, quindi sarà necessario verificare con attenzione sia le operazioni fatte, sia il modo in cui, eventualmente, altre dovrebbero essere disegnate.
L'onorevole Ricci, infine, sostiene che la forchetta è troppo ampia. Se questo è vero, significa che lei è ottimista sui rischi, più ottimista di quanto il lavoro dei tecnici indurrebbe ad essere. Naturalmente anch'io mi auguro che questo ottimismo sia giustificato. Credo che se qualcuno avesse semplicemente proiettato su tutto l'anno la velocità alla quale si apre un divario fra le cifre concordate con Bruxelles e quelle che si registrano nel corso dell'anno, avrebbe fatto una stima ancora più negativa di quella contenuta nel rapporto della due diligence. Si possono, comunque, avere anche opinioni diverse sul fatto che la forchetta sia troppo ampia o meno.
Non abbiamo definito con Bruxelles l'entità della manovra per il 2006, che dovrà essere stabilita. È anche giusto porsi la questione di come il rapporto della Commissione Faini debba essere utilizzato a quel fine.

PRESIDENTE. Considerato il fatto che l'onorevole Tremonti è il predecessore del ministro Padoa Schioppa, gli concediamo metaforicamente qualche secondo in più, anche se lo pregherei comunque di contenere il suo intervento.

GIULIO TREMONTI. Grazie, signor presidente. Francamente credo che, data l'importanza di questa riunione e l'assenza dei lavori d'aula, un contingentamento troppo forte dei tempi sia un eccesso di rigore. Credo che nella funzione del Parlamento sia coerente una certa estensione di questa discussione, a prescindere dall'ordine seriale delle attività ministeriali o dalla generosità dei colleghi parlamentari. Cercherò, comunque, di dire quanto ritengo sia necessario dire - a questo non posso rinunciare - nel più breve tempo possibile.
Aggiungo il mio nome all'elenco dei colleghi senatori e deputati che hanno espresso il ringraziamento per la presenza del ministro in questa sede e hanno formulato auguri per l'attività prossima. E lo faccio sinceramente.
Con altrettanta sincerità, vorrei riferire che tanto capisco la formula con cui il ministro ha iniziato il suo intervento, quanto non capisco la formula con cui lo ha quasi chiuso. Egli ha iniziato il suo intervento evidenziando il suo status politico, ma non parlamentare, e credo che noi tutti daremo un contributo allo sviluppo della sua funzione politica, superando questo limite marginale di status politico. Francamente, però, non capisco quando il ministro conclude dicendo che a Bruxelles si aggiusterà tutto, poiché siamo


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fatti della stessa pasta. Ebbene, io non credo che a un deficit di politica possa corrispondere un surplus di status organico.
Soprattutto non è ragionevole né politicamente comprensibile una visione dualistica per cui Londra è importante e Bruxelles non lo è, per cui «a Bruxelles aggiustiamo - verbatim - perché siamo fatti della stessa pasta» mentre «a Londra cercano il sangue» (non ricordo esattamente la metafora forte che è stata usata). Credo che sia importante anche Bruxelles e che ci sia una partita doppia: sono sempre gli stessi numeri e credo anche la stessa visione, soprattutto la focalizzazione sul debito, che contiene la storia e il futuro del paese.
Io non avrei parlato - e non l'ho fatto, finora - della Commissione per la verifica dei conti pubblici del 2006, se l'argomento non fosse stato incluso nell'ordine del giorno e non fosse stato fatto oggetto di alcune considerazioni da parte del ministro in questa sede: si è parlato - verbatim - di «autorità scientifica, superiore, piena indipendenza, non parte politica particolare». Non ne avrei parlato, dunque, ma adesso vi chiedo se sia un caso di omonimia o se si tratta dello stesso Faini Riccardo che lavorava per Governare per, sito del centrosinistra, durante la campagna elettorale. Nulla di illegittimo nello svolgere attività politica, ma mi sembra di capire che, proprio per la dignità dell'attività politica, a prescindere dalla sede in cui la si svolge, lo si deve denunciare. Se, quindi, si è impegnati politicamente, lo si deve dire chiaramente. Questo nulla toglie ai meriti scientifici, ma mi sembra francamente ipocrita - parlo di ipocrisia politica - la confusione dei ruoli.
Faccio notare che, per quanto mi risulta, la composizione della Commissione è assolutamente non trasparente. Non è mai stata pubblicata o resa nota al Parlamento. Nel documento pubblico è scritto che la Commissione è composta da rappresentanti della Ragioneria generale dello Stato, del dipartimento delle politiche fiscali, del dipartimento del Tesoro, di Banca d'Italia, ISAE ed ISTAT. Si tratta, quindi, non di organismi in funzione organica, bensì di rappresentanti degli stessi, ma questo è un dato che credo riveli ben poco.
Sui giornali appare in continuazione l'elenco dei componenti della Commissione. Oggi sul Sole 24 Ore leggo del professor Giuseppe Pisauro, economista e componente della Commissione Faini sui conti pubblici.
Vorrei avere l'elenco completo e, soprattutto, sapere chi siano questi signori. Tale professor Pisauro è un rappresentante del Tesoro, della Ragioneria, della Banca d'Italia, dell'ISTAT? Credo che sia dovuto al Parlamento, come atto di trasparenza, prima di diffondere pubblicamente i lavori della Commissione, chiarire chi l'ha composta, con nomi, cognomi e indirizzi. Cerchiamo di capire se stiamo parlando di qualcuno che millanta e seguiamone la carriera, ad esempio del professor Pisauro, per verificare quali incarichi ricoprirà.
Voglio conoscere i nomi di tutti coloro che hanno lavorato in questa Commissione. In assenza dei nomi e dei verbali delle riunioni, è inevitabile che la Commissione risenta di un certo tasso di mancato credito. Ho trovato francamente discutibile l'articolo pubblicato sul Sole 24 Ore nei giorni scorsi a firma del dottor Raffaele Malizia, anch'esso qualificato «dirigente di ricerca ISAE e membro della Commissione Faini». Trovo piuttosto pittoresco il merito delle argomentazioni che portano a proporre il fiscal council; si parla di dargli un adeguato status e di comporre la Commissione. Credo che questo sia un forte limite, che incide su lavori che io reputo positivi, nella parte strutturale.
Non considero il lavoro della Commissione un cattivo lavoro; anzi, è un buon lavoro, ma è discutibile per la parte che non è storica, che non è «gnoseologica», insomma per la parte critica e politica. Nel suo impianto di base, invece, lo considero un buon lavoro, e proprio per questo considero un cattivo servizio al Parlamento


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quello di venire qui con un documento, la cui origine e composizione è dietro una relativa linea d'ombra.
Credo che noi abbiamo - non oggi, ma da decenni, non in questo momento, ma anche in futuro, se non cambiamo - un sistema contabile, istituzionale, costituzionale e parlamentare oggettivamente vischioso e complesso. È certamente sempre complesso formulare numeri su grandi aggregati, su dinamiche che si muovono anche, a volte, con accelerazioni nel tempo.
Cito un esempio per essere più chiaro: Eurostat, che pure è una macchina contabile e tecnica di grande rilievo, formula continue revisioni. In altre parole, al tempo «t» si ha un certo criterio contabile, al tempo «t+1» il criterio viene cambiato, addirittura retroattivamente. Dico questo per indicare l'oggettiva complessità delle materie di cui discutiamo.
Credo che il problema della complessità dei conti non sia solo un vizio, un limite italiano. Ritengo che la qualità (e la quantità) dei numeri che vengono forniti, in tutte le sedi, da altri grandi paesi, non sia poi tanto migliore della nostra. Ricordo, per la mia passata esperienza, quanto confusa fosse la rappresentazione dei conti di tanti altri grandi paesi, nella sede dell'Eurogruppo, con approssimazioni e aggiustamenti successivi.
Quello che voglio dire è che noi abbiamo, oggettivamente, una complessità strutturale dei conti, quindi difficoltà nel formulare rappresentazioni chiare, ma non credo che questo sia stato un limite del Governo di cui ho avuto l'onore di far parte o dei passati Governi, se non per alcuni punti critici.
A me non interessa chi governava nel 2001, quindi possiamo anche fare l'ipotesi che al Governo ci fosse Cavour. Mi limito a dire che il deficit annunciato e approvato in Europa è di 0,8, il deficit revisionato dall'Europa è stato di 3,2. Mi permetto di attirare la vostra attenzione sul fatto che c'è una certa - non marginale - differenza tra 0,3 e 3,0. A me interessa non formulare l'accusa politica nei confronti di chi era al Governo in quel periodo, ma attirare la vostra attenzione sul fatto che uno scostamento di enorme rilevanza si è manifestato in quel periodo.
Per concludere su questo punto, noi siamo assolutamente disponibili - credo di rappresentare l'atteggiamento di tanti altri colleghi dell'opposizione - a qualsiasi ipotesi di revisione del sistema contabile e anche dei lavori parlamentari. Ritengo che questo sia un contributo importante.
Non credo, e parlo nell'interesse nazionale, che sia nostro interesse accreditare immagini e rappresentazioni negative del nostro paese. I conti di un grande paese come l'Italia, tra l'altro col nuovo patto di stabilità e con una procedura per deficit eccessivo in corso - mi permetto di far notare che la nostra procedura è meno avanzata di quella formulata per la Germania, che ormai è alla soglia delle sanzioni -, sono guardati con grande attenzione e capacità tecnica dalla Ragioneria generale dello Stato. È, questo, un organo che io invito a non lottizzare né comprimere nelle sue funzioni fondamentali. Credo che abbia dato, un fondamentale contributo ai lavori della Commissione, che altrimenti avrebbero preso una curva diversa.
La Commissione europea, l'ISTAT, l'Eurostat, la Banca d'Italia, la Banca centrale europea, due servizi parlamentari di Camera e Senato, infine due organizzazioni non domestiche, l'OCSE e il Fondo monetario: sono organismi che con grande capacità insistono sugli stessi numeri di bilancio di un grande paese come l'Italia. La stampa fa il resto, e fa un buon lavoro di trasposizione e di trasparenza. Non credo, dunque, che abbiamo interesse a rappresentare l'Italia come un paese con i conti opachi. Non credo che questo sia nell'interesse di alcuno. Si può cedere alla tentazione di un momento, a questa rappresentazione che sembra possa convenire, ma francamente non credo che sia la via giusta quella di rappresentare i nostri conti come non trasparenti. Lo ripeto, per il futuro dobbiamo e possiamo tutti impegnarci nella revisione delle procedure.
Oggi ho letto sui giornali che, ancorché i conti siano opachi, abbiamo dato - fonti


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del Governo - un significativo contributo alla chiarificazione con la due diligence. A parte il fatto che inviterei ad un uso un po' più limitato delle formule inglesi, in ogni caso non credo che la logica giusta sia quella di reagire rispondendo con la Commissione Faini.
Se c'è un punto su cui muovo una contestazione al Governo, sul piano della chiarezza, è esattamente quello delle comunicazioni contraddittorie fatte dal Governo stesso. Venti giorni fa si è detto che la situazione dei conti pubblici italiani è pari a quella dell'inizio degli anni '90. L'altro ieri, però, il Presidente del Consiglio ha smentito, affermando che la situazione è complessa ma non è come quella dei primi anni '90. Oggi noto con relativo apprezzamento che siamo già passati dall'inizio alla metà degli anni '90. È un ulteriore progresso verso una formulazione che io invito a considerare in modo meno forzato politicamente.
Ho detto che la Commissione Faini, per quanto mi risulta, ha fatto un buon lavoro, nella sua parte strutturale, che io condivido. Non condivido assolutamente, invece, quello che ha detto oggi il ministro, ossia che saremmo passati da 3,5 a 4,5 in meno di un anno. Un punto...

TOMMASO PADOA SCHIOPPA, Ministro dell'economia e delle finanze. Ho detto 4,1.

GIULIO TREMONTI. Lei ha detto «tendenzialmente un punto», signor ministro. Non credo che sia il caso di procedere a verifiche di verbale, ma questo è quello che ha detto. Tuttavia, prendo volentieri atto del fatto che lei adesso affermi una cosa diversa. La percentuale del 3,5 era la risultante dei conti fatti - devo dire che costituì una sorpresa positiva anche per me -, in base alla normativa vigente, al termine dell'ultima finanziaria.
Lo scostamento da 3,5 a 3,8 dipende da criteri di revisione contabile applicati e cambiati successivamente. Si tratta di revisioni Eurostat sugli Eurofighter e su tante altre voci. Faccio notare che l'impegno assunto in Europa per una correzione di 1,6 su due anni - di 0,8 sul 2006 - è un impegno perfettamente compatibile con l'ipotesi di 3,8. Infatti, questo risulta da tutte le carte della Commissione europea e dalle decisioni e dalle determinazioni della stessa, dell'Eurogruppo e dell'Ecofin.
Quanto al passaggio da una percentuale all'altra, francamente, si tratta di correzioni contabili; è un dato assolutamente compatibile con gli impegni presi, è una variante rispetto a risultanze della finanziaria che furono una positiva sorpresa, lo ripeto, anche per me, fermo restando che il numero giusto e obbligatorio, per noi, era 3,8. Aggiungo che tale soglia è assolutamente raggiungibile, a legislazione vigente applicata. Se la scelta è quella di non applicare la legislazione, è evidente che gli scostamenti sono diversi. Credo che questo sia uno dei punti su cui dobbiamo cominciare a riflettere, in vista dei lavori che ci attendono per il DPEF e per la prossima finanziaria.
Quanto alla sanità, nella finanziaria è indicata una procedura: la si può considerare politicamente giusta o sbagliata, ma esiste. Tale procedura è disapplicata, con varianti che, in base al mio giudizio e alla mia esperienza, porteranno ad un automatico, necessario scostamento. Il problema non era quello di finanziare un livello generale della sanità, pur con le criticità che ci sono sempre state, ci sono e ci saranno, in Italia e in Europa, ma era quello di identificare e ridurre dei differenziali nell'ambito di quel livello. I differenziali, badate, non sono nord e sud, né destra e sinistra. Sono allineate la Lombardia e la Puglia, mentre sono fuori linea alcune altre regioni. La legge prevedeva che su quelle regioni si dovesse attuare un intervento con carattere di automatismo. Se quell'intervento non viene attuato, lo scostamento deriva non da un limite della finanziaria, ma da una scelta politica diversa.
Per quanto riguarda le entrate fiscali, in un documento - credo ufficiale - pubblicato sul Sole 24 Ore, il portavoce del viceministro delle finanze, Vincenzo Visco, afferma chiaramente che non si fa la pianificazione fiscale, essendovi 2 miliardi


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di euro di maggiori entrate. A parte il fatto che credo che quei 2 miliardi fossero già conteggiati dalla Commissione, è chiaro che si tratta di una forma di erosione dei risultati e degli obiettivi. Se si sostiene di non voler usare uno strumento, in ragione dei 2 miliardi di euro in più - che in più, in realtà, non sono -, è evidente che si avrà uno scostamento.
Non voglio qui formulare una valutazione politica e dire se fosse giusta o sbagliata la pianificazione fiscale, strumento che appartiene alla nostra storica tradizione fiscale; però desidero sottolineare che la stabilizzazione pluriennale dei redditi è uno strumento che risale ai decenni passati ed è l'applicazione coerente di quel vecchio strumento. Non voglio entrare nel merito, ma mi limito a dire che, in questo quadro, sono inevitabili questi risultati di scostamento. Si può non condividere la finanziaria, ma non si può parlare di extra-deficit - formula da manuale - per ragionare su quel punto.
Per quanto riguarda i risparmi sulla spesa dei ministeri, l'atto di indirizzo varato dal Consiglio dei ministri è assolutamente rigoroso ed ha piena applicazione finanziaria per il 2006. Tale atto di indirizzo, che recepisce circolari del precedente Esecutivo, non è tuttavia compatibile con la creazione - diretta o indiretta, evidente o surrettizia - di almeno dieci nuovi ministeri, che muovono diecimila dipendenti pubblici. Che la moltiplicazione dei ministeri possa avvenire, per decreto, a costo zero, lo capisco; che possa avvenire, nella realtà, a costo zero, francamente lo escludo.
Vi sono altri passaggi molto importanti, dichiarazioni...

PRESIDENTE. Visto che parliamo di stime attendibili, vorrei avere una stima attendibile del tempo che lei reputa necessario per concludere il suo intervento. Mi scuso per l'interruzione - avevo promesso di non interromperla -, ma siccome sta raggiungendo il tempo utilizzato dal ministro, vorrei avere un'idea di massima.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA 5a COMMISSIONE DEL SENATO,
ENRICO MORANDO

GIULIO TREMONTI. Francamente ho qualche difficoltà, ma credo di potermi impegnare a ridurre l'intervento programmato (Commenti dei deputati).

PRESIDENTE. Non facciamo una discussione su questo, altrimenti perdiamo tempo prezioso.

MICHELE VENTURA. Scusate, è solo per organizzare i lavori. Posto che alle ore 14 dobbiamo concludere, decidiamo come andare avanti. Possiamo anche aggiornare la seduta.

PRESIDENTE. Direi che dobbiamo cercare di concludere oggi, se necessario superando non oltre mezz'ora i tempi previsti.

GIULIO TREMONTI. Signor presidente, a me non risultava che la conclusione dei lavori fosse fissata per le ore 14. Non risulta dalle carte.

PRESIDENTE. È stato detto all'inizio della seduta, per organizzare i lavori.

GIULIO TREMONTI. Ho già ricevuto offerte da alcuni colleghi relative a cessioni di tempo, comunque cercherò di essere più breve.
Le posizioni espresse nel Consiglio dei ministri - credo con atti di Governo - sul condono agricolo SCAU sono tali da determinare un significativo deterioramento del rating, delle nostre cartolarizzazioni e da avere impatto sul debito e sul deficit.
Ricordo che, nel corso delle ultime fasi della passata legislatura, la Commissione europea, che monitorava gli emendamenti in Parlamento, formulò una nota, nel giudizio sull'Italia, in cui affermava che esso era al netto dell'eventuale intervento sui crediti e sui contributi agricoli SCAU. Prendo atto del fatto che il Governo ha deciso di «sbancare» l'anno. Questo avrà un effetto sicuro sul rating, come tanti altri elementi.


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È stato detto - ed è un punto importantissimo - che il problema è Londra e le agenzie di rating. Badate, quello che conta è l'andamento del debito, sono i grandi andamenti strutturali, è l'andamento della demografia e la sostenibilità della spesa per pensioni.
Prendo atto del fatto che ieri, o l'altro ieri, è stato smentito un intervento di rigore sulle pensioni, ma vorrei che fosse smentito quello che è scritto nel programma di Governo. Se viene confermata l'attuazione del programma di Governo, con la rimodulazione della riforma, come è previsto, ebbene questa notizia sarà accolta con vivo interesse a Londra.
Il ministro ha fatto un riferimento, che io considero francamente interessante, alle mancate risorse per svolgere gli esami di maturità. Nella fisiologia della gestione dei bilanci dello Stato c'è sempre stato un meccanismo di aggiustamento, all'interno del ministero, di spese già coperte, da una voce all'altra (inoltre c'è il meccanismo interinale dell'assestamento). Ma questo veniva dato come paradigmatico di potenziali altri deficit non coperti, sommersi. Forse non vi rendete conto di quello che è successo quando governava Cavour (o Giolitti, non ricordo).
Noi non solo abbiamo trovato 3,2 invece di 3,8, ma abbiamo trovato una vastissima quantità di voci costitutive di deficit assolutamente non coperte. Abbiamo evitato di utilizzare quei meccanismi accettando le critiche e non criticando.
Faccio l'esempio dei crediti d'imposta: copertura macroeconomica, procedura non controllata e illimitata, provvedimento chiaramente elettorale. Ebbene, ci siamo assunti l'onere di interrompere quel meccanismo e non siamo andati in giro a fare confusione su questo. Ci siamo limitati a dire che il dato era del 3,2, come diceva la Commissione europea.
Sento parlare di blocco dei cantieri e ascolto annunci allarmistici da parte di molti rappresentanti, anche autorevoli, del Governo. Ebbene, mi limito a dire che quella è una materia complessa, ma gestibile. Politicamente constato che, siccome sembrava che noi non avessimo aperto cantieri, il fatto che ci sia il blocco di cantieri aperti è una relativa, positiva, contraddizione.
Ci sono anche rischi positivi che voi non prendete in considerazione, ad esempio l'andamento dell'autoliquidazione. Le entrate hanno un ritmo molto forte. Ovviamente, se prima dell'autoliquidazione si formulano annunci drammatici e allarmistici, non possiamo aspettarci che avvenga chissà cosa. Aspettiamo l'autoliquidazione: sarà un rischio positivo, ma non può essere una giustificazione per maggiori spese o per lassismo.
Cercherò, adesso, di fare una sintesi politica generale. Durante la campagna elettorale, il refrain della sinistra è stato «l'economia italiana è allo sfascio, i conti pubblici italiani sono simmetricamente allo sfascio». Ora prendiamo atto, da autorevoli fonti del Governo, che sia pure con certe criticità, dovute anche a fattori geopolitici, c'è la ripresa. Ne prendiamo atto in termini assolutamente positivi, ma questo è lievemente contraddittorio con la campagna elettorale condotta all'insegna dell'annuncio «l'economia italiana è allo sfascio».
Adesso c'è la ripresa - mi verrebbe da dire by magic, ma dobbiamo limitare il più possibile l'uso di termini stranieri -, ma in campagna elettorale il mantra, il refrain ossessivo era «conti allo sfascio, economia allo sfascio». L'economia non è allo sfascio e i conti, come prendiamo atto dalla Commissione, hanno degli scostamenti assolutamente gestibili, degli andamenti che ora sono nella sovranità del Governo. Non stiamo parlando, comunque, di numeri che ci portano fuori dagli impegni europei.
Faccio notare che non drammatico, ma cinico, è stato il comportamento di una forza politica che ha affermato che i conti e l'economia sono allo sfascio, ma si deve intervenire sul cuneo fiscale. Se i conti sono allo sfascio, non si fa la riduzione del cuneo, e se si promette di intervenire sul cuneo, evidentemente si sa che i conti non sono allo sfascio. In effetti, stiamo parlando di numeri relativamente limitati.


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Nei documenti che abbiamo ricevuto ci sono alcune rappresentazioni sui corsi dell'economia e dei conti italiani, nei quali vedo un limite fondamentale. È come dire che sappiamo che l'Italia ha un debito, ha delle criticità, ma non guardiamo a quello che c'è fuori.

PRESIDENTE. Onorevole Tremonti, la invito...

GIULIO TREMONTI. Signor presidente, non credo che sia un abuso. Il ministro poteva parlare quanto voleva.

PRESIDENTE. Non è un abuso, ma per organizzare i nostri lavori la pregherei di andare alle conclusioni.

GIULIO TREMONTI. Presidente, le sono grato, ma non considero coerente il riferimento al tempo utilizzato dal ministro. Mi permetto di farle notare che nella passata legislatura i suoi interventi erano piuttosto estesi, ma nessuno ha mai fatto rilievi sulla loro estensione temporale, poiché costituivano ragione di particolare interesse.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
LINO DUILIO

GIULIO TREMONTI. Credo che l'andamento dei nostri numeri debba essere visto anche in rapporto all'andamento dei numeri degli altri paesi e nella sede storica.
Vorrei chiedere al ministro quale sia l'andamento dell'avanzo primario in Germania e in Francia. Si è deteriorato o no? Qual è stato l'andamento dell'avanzo primario nel 1999, nel 2000 e nel 2001? Si deteriorava, pur andando bene l'economia, oppure no? L'andamento del debito in Francia e in Germania è positivo o negativo? Sale, scende, resta fermo? A me risulta che l'avanzo primario in Germania sia andato sotto zero, e questa non è una cosa positiva per la Germania, e neppure per l'Italia. Voglio dire, però, che forse una rappresentazione più sistemica, meno organica, aiuterebbe una valutazione meno enfatica della situazione.
Avremo occasione di parlare di tanti altri argomenti: della manovra, dell'IVA, degli aiuti di Stato, e quant'altro.
In conclusione, certamente ci sono dei problemi - e noi daremo il nostro contributo, nel nostro ruolo di opposizione, per risolverli - ma rifiuto - se c'è impegno del Governo sui numeri e sul rigore e guardando quel che succede in Europa - le drammatizzazioni. Mi riferisco al fatto che il ministro ha concluso il suo intervento affermando che la situazione è drammatica. Vedete, non è che i problemi siano grossi: ho l'impressione che il Governo sia piccolo.

NICOLA ROSSI. Signor ministro, anch'io ho apprezzato la sua relazione. Come è stato detto, essa non contiene elementi di novità rispetto a quello che già sapevamo, ma credo che sia importante che l'intero Parlamento abbia una base comune e condivisa, a partire dalla quale porsi le domande sulla politica economica prossima ventura.
La mia breve osservazione riguarda esattamente questo tema. Se non ho capito male, sul finire della sua relazione lei ha indicato un obiettivo di crescita per il paese del 2 per cento ed ha aggiunto - mi corregga se ho inteso male - che è capitato ad altri paesi - ha citato il caso statunitense - di crescere, anche per un periodo di tempo non irrilevante, al di sopra del potenziale essendo il nostro potenziale, ormai da tempo, purtroppo, saldamente collocato forse al di sotto dell'1,5 per cento, più che al di sopra di tale valore.
Credo che questa sua osservazione sia particolarmente rilevante. Associata alla discussione in corso in questi giorni sul cuneo fiscale, essa mi lascia supporre che sia intervenuto, per motivi del tutto legittimi e comprensibili, riportati anche nelle risultanze della Commissione Faini, un piccolo cambio di orientamento della politica economica.


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Provo a spiegarmi meglio. Mi era parso di capire che, fino a qualche tempo fa, l'impostazione politico-economica fosse così brevemente riassumibile: si procede al taglio erga omnes di cinque punti dei contributi sociali; questo sostanzialmente sostiene il potere di acquisto delle famiglie e la competitività delle imprese e ci dà il tempo perché siano pienamente operanti quelle riforme profonde e strutturali, tese proprio a colmare il divario fra il nostro tasso di crescita del potenziale e il tasso di crescita del potenziale delle altre grandi economie europee. All'interno di queste grandi riforme strutturali, ci sarebbero certamente state delle riforme relative alle tendenze visibilmente squilibrate sottostanti il nostro bilancio pubblico.
Questo era lo scenario, così come lo avevamo immaginato fino a qualche tempo fa. Mi pare di capire, anche dalle sue parole di oggi, che in realtà - per motivi legittimi e comprensibili e nelle condizioni date - si stia disegnando uno scenario leggermente diverso, in cui la priorità immediata è certamente quella di una correzione in due tranche dei conti pubblici, che mi sembra di intendere sia centrata in misura non marginale sul recupero di gettito eroso, evaso ed eluso, perché i tagli di spesa, al momento attuale, mi pare abbiano soprattutto un valore segnaletico. Mi sembra anche che la strada sia caratterizzata da misure selettive, intese a sostenere il potere di acquisto di specifiche famiglie, o a sostenere temporaneamente - perché non può essere diversamente - la domanda di investimento, anche immateriale, di alcune imprese. Mi sembra, inoltre, che la strada sia contrassegnata da una manutenzione, per così dire, del grado di funzionalità di alcuni mercati, ma che non sia centrata sul recupero del gap in termini di prodotto potenziale.
Ho la sensazione che si sia passati - lo ripeto, per motivi legittimi e condivisibili - da un'attenzione reale verso quello che continua a rimanere, a mio parere, il problema di fondo dell'economia italiana, ossia che il potenziale cresce troppo poco, ad una situazione diversa, in cui basiamo, in larga misura, la strategia di politica economica prossima ventura sulla congiuntura che appare, per fortuna, un po' più favorevole di quanto non apparisse qualche tempo fa.
Non so se questa mia ricostruzione sia più o meno fondata, ma credo che sarebbe importante conoscere la sua opinione in merito. Se essa dovesse essere fondata, chiaramente avremmo davanti uno scenario diverso da quello che immaginavamo.

GIORGIO LA MALFA. Non le nascondo, signor ministro, che in un quadro ministeriale che non appare particolarmente brillante per la qualità delle persone - anche se molto abbondante nei numeri -, la presenza della sua figura costituisce un aspetto che non si può non giudicare positivamente, per la sua lunga esperienza internazionale e per il suo prestigio personale, da cui probabilmente discende anche un impegno di serietà nella conduzione del suo dicastero, che il Parlamento e l'opposizione apprezzeranno particolarmente.
Lei ha detto che, non avendo un'esperienza politica diretta, di tipo parlamentare, si appoggerà molto al Parlamento. Questa è un'espressione di cortesia, che certamente il Parlamento apprezza. Mi consenta di dirle che, siccome le difficoltà che incontrerà le verranno dal Governo - ma forse le sono già venute -, per le esigenze di finanziamento delle spese e via dicendo, è probabile che lei possa trovare nel Parlamento, in particolare nelle file dell'opposizione, un alleato di qualche rilevanza nella battaglia che si appresta a condurre.
Detto questo, debbo rilevare che la materia per discutere oggi è molto scarsa. Dovremmo forse darci un appuntamento a quando sarà in grado di darci qualcosa di più sostanzioso su cui discutere approfonditamente.
Lei, signor ministro, si è limitato a dichiarare che la situazione italiana è molto difficile. Non tutti i colleghi condividono questo pensiero. Per quanto mi riguarda, lo condivido da molto tempo, perchè sono convinto che l'Italia proceda


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in un cammino di rallentamento progressivo, che è cominciato molto tempo fa.
Avete richiamato - lei, signor ministro, e il Governatore della Banca d'Italia - i primi anni '90, per quanto riguarda la crisi della produttività; personalmente sono convinto che dall'inizio degli anni '70 l'Italia abbia conosciuto un rallentamento progressivo e che non sia stata opposta a questa tendenza, per le difficoltà politiche e così via, una sufficiente reazione.
A fronte di questa analisi, tuttavia, lei non ci ha detto né quale uso della finanza pubblica voglia fare, né come intenda affrontare questo problema. Quando lei parla di crescita, risanamento ed equità, aggiunge un'ulteriore incognita ad una già difficile equazione, che è quella della crescita e del risanamento da fare congiuntamente. A questo problema, su cui l'Italia discute da trent'anni (si parla di un tempo, di due tempi e via dicendo), adesso lei aggiunge anche l'elemento dell'equità, che è un lodevole criterio, ma non è facile risolvere un'equazione con tre incognite, ovvero la crescita, il risanamento e l'equità. Il tutto, peraltro, con un solo «decretone» o con la sola legge finanziaria.
È troppo poco, signor ministro, per consentire al Parlamento di discutere seriamente di questi problemi. Giustamente, qualcuno ha colto nelle sue parole il senso di una rinuncia alla politica del cuneo fiscale. Se, infatti, il problema è la produttività che non cresce, il cuneo fiscale non è la soluzione adatta, dal momento che esso non aiuta la produttività, ma semmai la competitività. Esso sostituisce per così dire la svalutazione che non si può più fare dal tempo dell'introduzione dell'euro.
Se la questione, come lei ha affermato - lo ha detto il Governatore la settimana scorsa, lo dice lei qui -, riguarda la produttività, allora il problema non è legato alla percentuale di riduzione del cuneo fiscale, perchè il cuneo fiscale non è la risposta giusta a questo tipo di problematica.
Abbiamo colto il senso delle sue parole quando lei ha parlato di selettività del cuneo fiscale. Se è selettivo, vuol dire che non è più il cuneo fiscale, ma sono gli investimenti quelli a cui lei vuole mirare, ovvero ciò che si cercò di fare nella scorsa legislatura con la legge Tremonti.
Tutto questo, di fronte ad un programma di Governo che indicava tutt'altra cosa, ci lascia molto incerti. Abbiamo bisogno di capire esattamente come lei voglia impostare la sua politica e a quali strumenti di politica fiscale e finanziaria intenda ricorrere. Fino a questo momento non c'è nulla di concreto e quindi solo quando saranno disponibili questi elementi potremo fare una lunga e approfondita discussione. La ringrazio, signor presidente, per il tempo che mi ha concesso.

MARIO BALDASSARRI. Mi associo anch'io al ringraziamento al ministro Padoa Schioppa per questa prima audizione, che ha già raggiunto - credo - il risultato positivo di mettere fine ad un inutile dibattito, forse più pericoloso per il Governo che per l'opposizione, relativamente al tema dello sfascio dei conti pubblici.
Riconosciuta l'onestà intellettuale e aritmetica della Commissione Faini, condividendo però gli aspetti critici sollevati dal collega Tremonti, prendiamo atto che questa volta viene sostanzialmente confermata l'ultima trimestrale di cassa del precedente Governo. Lei stesso, signor ministro, ha precisato che la differenza fra il 3,8 e il 4,1 per cento deriva addirittura da un arrotondamento contabile, perché lo sforamento, o comunque il «di più», ammonterebbe a 0,26. Francamente, credo che nessun collega possa entusiasmarsi - tanto meno posso farlo io - in un dibattito in cui dobbiamo discutere se questo scostamento è di 0,26, arrotondato a 0,3. Quindi, la finanza pubblica italiana non è allo sbando, in relazione all'indebitamento netto.
Le sue preoccupazioni, che possono anche essere condivisibili, sono legate non tanto all'indebitamento netto - semmai alle prospettive, per l'anno in corso e per i prossimi anni, di mantenere questo indebitamento e ripiegarlo verso il 3 per


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cento -, quanto all'andamento del debito pubblico, che ha cominciato a risalire e, di conseguenza, all'andamento dell'avanzo primario.
È su questo elemento che lei, signor ministro, ha ripetuto oggi quello che aveva già detto in precedenza, ossia che la situazione attuale è tanto preoccupante quanto quella del 1992, o addirittura di più.
Su questo aspetto mi permetto di aggiungere una precisazione tecnica, che assume rilevanza politica, riguardo all'indebitamento netto di cui abbiamo parlato finora e a proposito del quale abbiamo portato a casa un risultato di chiarezza e trasparenza. Dato atto dell'onestà intellettuale della Commissione Faini che ha svolto questo lavoro, va ricordato che, stranamente - come ha già sottolineato il collega Tremonti -, alcuni suoi membri autorevoli, attualmente considerati indipendenti, qualche anno fa erano rappresentanti di istituzioni che non si sono accorte che l'ultima trimestrale di cassa dell'ultimo Governo di centrosinistra riportava come dato lo 0,8 per cento, quando l'indebitamento netto era del 3,2 per cento, ossia quattro volte tanto! Il dato dello 0,8 è stato corretto il 5 aprile 2001 a 1,0 per cento, ma la realtà é che esso ammontava al 3,2 per cento. Questo è il dato storico.

ANTONIO BOCCIA. Dopo 6 mesi di Governo Berlusconi, dopo la politica dei primi 100 giorni!

PRESIDENTE. Onorevole Boccia, la prego. La calma è la virtù dei forti. Avrà modo di intervenire successivamente. Prego, onorevole Baldassarri.

MARIO BALDASSARRI. Non capisco perché ci si affanni a contestare dei numeri storici. Il problema tecnico è che la preoccupazione del ministro Padoa Schioppa riferita al debito e all'avanzo primario deriva dal fatto che l'indebitamento netto di cui parliamo è in conto competenza e il debito pubblico cresce nella sua dinamica per il fabbisogno di cassa.
So perfettamente che il ministro è ben più informato di me su questo tema, ma mi permetto di segnalare l'esistenza di un problema strutturale, che riguarda la differenza tra il fabbisogno di cassa che alimenta il debito pubblico e l'indebitamento netto di competenza. Questo è un fenomeno che va avanti da circa dodici anni, perché nella seconda metà degli anni '90 si attuò un'operazione cosiddetta di risanamento dei conti pubblici, bloccando la cassa e lasciando la competenza più ampia.
Successivamente, verso la fine degli anni '90, avvenne l'opposto e cominciò l'esplosione del fabbisogno di cassa. Sto parlando di differenze, che vanno da due a due volte e mezza, tra l'indebitamento netto di competenza e il fabbisogno di cassa.
Quando si parlava di un indebitamento netto dell'1,5 per cento, il fabbisogno di cassa era già al 4 per cento. Ovviamente lei, signor ministro, sa meglio di me che questo fenomeno può essere originato dalla riduzione dei residui passivi: si accelera la spesa in conto cassa e si riducono i residui passivi. Ma questo non risulta statisticamente. Vi è una montagna di residui passivi ed anche attivi - la cui entità e certezza andrebbero verificate -, che costituiscono la vera mina nell'andamento della finanza pubblica, in particolare riferita allo stock di debito pubblico.
Come è già stato detto da vari colleghi, non possiamo discutere di proposte di intervento che ancora non sono state presentate, però vorrei soffermarmi sulla «impalcatura», facendo riferimento alle esperienze condivise e alla comune formazione. Al riguardo, noto almeno due motivi di preoccupazione. Il primo deriva da una certa incoerenza tra l'urgenza e la necessità di aggiustare, in corso d'anno, l'andamento dell'indebitamento e l'obiettivo finale, peraltro modesto, di una crescita al 2 per cento.
Una manovra di correzione in corso d'anno, dimensionata intorno a 7-10 miliardi di euro, che va a collocarsi esclusivamente nell'ultimo trimestre dell'anno, significa, in ragione d'anno, un'operazione


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da 25-27 miliardi di euro. Se questo viene in gran parte ottenuto con aumenti di prelievo fiscale, qualunque ne sia la natura (equa o non equa, giusta o ingiusta, diretta o indiretta), ciò significa sottrazione di reddito disponibile, quindi freno alla ripresa economica. Questo è in contraddizione con l'obiettivo di raggiungere, almeno strutturalmente, il 2 per cento di crescita.
La seconda incoerenza che desta preoccupazione - è un silenzio che spero lei potrà riempire nelle prossime occasioni di incontro con la Commissione - è che dall'analisi del mondo si passa a quella dell'Italia, sottolineando peraltro il giusto legame tra il nostro paese e il resto del mondo. Tuttavia, c'è un grande assente in questa impalcatura, che si chiama Unione europea, così come mancano il ruolo della Banca centrale europea, l'andamento del tasso di cambio dell'euro e l'impatto che questo determina sulla crescita di Eurolandia e non solo su quella italiana.
È evidente che una sopravvalutazione dell'euro delle dimensioni che stiamo sperimentando implica 1,5 o 2 punti di crescita in meno in tutta Europa.
È ovvio che dobbiamo procedere alle riforme strutturali, però qualcuno deve spiegare perché, per poter fare riforme strutturali, che aumentino la produttività e migliorino la competitività, ci dobbiamo nello stesso tempo togliere 1,5-2 punti di crescita, solo a causa di ciò che personalmente ritengo un errore di politica monetaria della Banca centrale europea, come qualche comune maestro aveva insegnato a qualcuno, anche in quest'aula.

DANIELA GARNERO SANTANCHÈ. Mi rendo conto delle esigenze di tempo e, quindi, sarò velocissima. Innanzitutto ringrazio il signor ministro, perché credo che quella di oggi sia stata un'occasione importante. In particolare, devo esprimere apprezzamento per l'introduzione del suo discorso, per le parole che ha speso per questo Parlamento.
Devo, tuttavia, aggiungere subito la mia grande delusione per questa audizione. Tenendo conto delle cose che lei oggi ci ha detto, sarebbe stato forse più interessante che al suo posto si fosse seduto il presidente della Commissione che lei ha istituito, Riccardo Faini. Considerato che in questo periodo si è molto impegnato nella due diligence dei conti, avrebbe potuto spiegarcela anche meglio.
Sono sicura, signor ministro, che la richiesta che sto per farle non potrà che trovarla d'accordo, considerata l'immagine che ho di lei, di uomo di rigore e trasparente. Sono certa che, proprio per andare incontro alle esigenze del Parlamento e della Commissione, vorrà lasciare agli atti di questa audizione la lista dei componenti della Commissione da lei istituita che, non so se per una mia lacuna personale, non mi è ancora nota.
Ritenevo che, nel nostro primo incontro, lei potesse illustrarci le linee programmatiche del suo Ministero; che nella nostra prima riunione avremmo dovuto capire meglio quale sia la linea politica del Ministero che rappresenta. Lei è il ministro dell'economia e delle finanze e in questo particolare momento credo abbia un ruolo assolutamente importante.
Voglio concludere ponendo una questione, alla quale mi auguro lei sarà così cortese da rispondere. Più volte nel suo discorso - e diverse volte è stato rimarcato anche sui giornali - lei ha segnalato con vigore l'esistenza di un extra deficit. Avrei voluto capire, in questa riunione, come lei intenda ripianarlo. Avrei voluto capire se intenda aumentare le entrate, e quali siano queste entrate, o se intenda tagliare le spese e quali siano queste spese.
Mi auguro, inoltre, che potremo incontrarla nuovamente, per capire meglio quali sono le direttive del suo Ministero.

PRESIDENTE. Do la parola al ministro per la replica.

TOMMASO PADOA SCHIOPPA, Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie, presidente, cercherò di essere estremamente breve. Quella del ministro Tremonti è stata una vera e propria relazione, che penso vada studiata attentamente leggendo il resoconto della seduta, cosa che certamente


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farò con la cura che la profondità delle sue osservazioni merita. Non gli farò, quindi, la scortesia di rispondere con qualche battuta. Certamente, il tempo è denaro e com'è difficile non sforare nella spesa pubblica, è altrettanto difficile non farlo nei tempi.
Sulla questione di fondo non mi sembra esserci disaccordo in nessuno degli interventi fin qui ascoltati. Non per caso ho fondato l'essenziale della mia valutazione di una situazione grave sullo stato dei conti nel 2005. Questo stato dei conti impone un cambiamento di direzione al rapporto tra il debito pubblico e il PIL e una creazione, nei tempi più rapidi possibili, di un avanzo primario, che ho indicato nell'ordine del 3 per cento, se non di più.
Ieri ho incontrato il primo ministro belga, uomo estremamente tranquillo. Vi ricordo che l'avanzo primario in Belgio si attesta al 4,2 per cento, mentre il rapporto tra debito pubblico e PIL è sceso fortemente al di sotto del 100 per cento. Al momento dell'entrata nell'euro, il Belgio stava molto peggio dell'Italia, in quanto aveva un rapporto debito/PIL molto più alto e non aveva la via d'uscita rapida della discesa dell'inflazione. Il suo disavanzo era tutto disavanzo vero, non gonfiato dall'inflazione. Ebbene, il primo ministro belga mi ha detto che questo aggiustamento è ciò che ha fatto crescere l'economia: oggi l'economia cresce perché non c'è più la preoccupazione di correzioni forti che devono ancora avvenire.
Quindi, concordiamo tutti sul fatto che, anche se non guardiamo il 2006, occorre un intervento molto serio.
Per quanto riguarda il 2006, possiamo constatare che siamo d'accordo sul fatto che oggi la stima più conservativa sul disavanzo dell'anno in corso è del 4,1 per cento, mentre all'inizio dell'anno era del 3,5 per cento.
Se proiettassimo - l'ho detto prima, ma forse l'onorevole Tremonti non ha colto esattamente il senso delle mie parole - su tutto l'anno una velocità di apertura di divario come quella che abbiamo constatato nei mesi per i quali possiamo fare un consuntivo, ci troveremmo a dover fare un intervento correttivo ben superiore ad un punto percentuale. Dovendolo fare a metà dell'anno, se volessimo che avesse effetto su tutto l'anno, l'intervento dovrebbe addirittura essere doppio. Anche su questo siamo d'accordo e lo considero un risultato quasi miracoloso, perché nessuno ha contestato questa osservazione.
Dunque, abbiamo una situazione molto grave ereditata nei conti del 2005 e un serio scostamento nel 2006, di ordini di grandezza che, nelle stime più conservative, sono tuttavia notevoli e molto difficili da affrontare.
Questo mi sembra un risultato molto importante del mio primo incontro con il Parlamento. Quanto al resto, lo vedremo. Capisco benissimo che piacerebbe a tutti - in primo luogo a me - sapere esattamente, in questo momento, qual è l'elenco degli interventi e come essi si strutturano esattamente. Se così fosse, agiremmo subito, ma questi interventi non sono pronti in questo momento, e dubito che qualsiasi Governo, o ministro, che mi ha preceduto in questa carica, abbia potuto anticiparli a tre o quattro settimane dal momento in cui il DPEF e la manovra vengono presentati.
A mio avviso, quindi, il risultato di oggi è molto importante, mentre il resto dovrà venire nei nostri incontri successivi.

ETTORE PERETTI. Lasciamo le considerazioni politiche ad un'altra seduta, magari in occasione della discussione del documento di programmazione economica e finanziaria.
Chiedo, invece, al ministro alcune delucidazioni, per quel che sarà possibile, in maniera molto breve, a proposito della futura politica fiscale del Governo. Dal momento che si è parlato di intervenire sulla tassa di successione, sulle rendite finanziarie, sui ticket della sanità e sulla defiscalizzazione dell'aumento del prezzo del petrolio, vorrei avere qualche indicazione circa il suo orientamento al riguardo.
Per quanto riguarda, invece, il cuneo fiscale, al netto della difficoltà politica di


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poter intervenire - adesso è entrata in campo la CGIL con una nuova proposta, lei ha parlato di cuneo selettivo, mentre la Confindustria lo vuole esteso a tutti -, lei non crede che uno strumento di questo tipo, che produrrà un effetto abbastanza simbolico e marginale nell'aumento della competitività, costi troppo rispetto all'andamento della finanza pubblica in questo paese, in questo momento?
Poi si è parlato di ridurre lo scalone delle pensioni e di un riallineamento dei contributi anche del lavoro autonomo. Ci può dare alcune indicazioni anche da questo punto di vista, se è possibile?
Inoltre, signor ministro, lei ha parlato dell'avanzo primario, formulando diverse ipotesi (1, 2, 3, 4 per cento). A tal proposito, secondo lei, qual è l'avanzo primario sostenibile, data la condizione economica e sociale del nostro paese ed anche la praticabilità politica nella sua maggioranza?
Vorrei sapere, altresì, se lei ritenga appropriata la politica monetaria della Banca centrale europea e se esista un rischio inflazione nell'Unione europea. Vorrei sapere se ritenga la politica monetaria in questo momento appropriata, oppure se, a suo avviso, convenga sostenere la crescita senza un aumento dei tassi di interesse.
Infine, si è accesa una polemica garbata - diciamo una dialettica - tra lei e il suo predecessore, l'onorevole Tremonti, a proposito dell'entità dello scostamento, anche in relazione all'analisi della Commissione Faini. A questo riguardo, chiedo se non faccia riflettere il fatto che comunque gli scostamenti - si parla di 1.250 milioni di euro di interessi, di 2.150 milioni di euro per la sanità, di 1.800 milioni di euro per il patto di stabilità interno - non sono direttamente controllati dall'attività di Governo, ma sono di finanza derivata. Questo significa che c'è una grande difficoltà ad intervenire, calmierare e rendere compatibili questi aumenti con il livello di sostenibilità della finanza pubblica.

LUCIO BARANI. Signor ministro, se un suo studente le avesse portato questa relazione, quando gli avrebbe fatto sostenere nuovamente l'esame? Perché penso che l'avrebbe cacciato fuori! Quella che ci ha presentato è una relazione che contiene solo delle mere affermazioni di principio, non ha delle pezze giustificative o dei documenti di appoggio. Si tratta di notizie che noi, da mesi, leggiamo su tutti i giornali e che non ci rivelano sicuramente lo stato della nostra economia e della nostra finanza.
La Commissione Faini ha preso in esame cinque punti (le entrate, la spesa sociale, eccetera), che lei conosce perfettamente, ma perché non ha mai preso in considerazione l'indebitamento degli enti locali? Lei sa che le regioni, le province, i comuni, le comunità montane e le strutture intercomunali hanno un indebitamento incredibilmente sommerso e nascosto?
A proposito di sanità lei ci parla di spese - che peraltro sono un parametro effimero, poiché non sappiamo cosa succederà, né quali saranno i virus che attaccheranno la nostra popolazione - ma sa che abbiamo un indebitamento incredibilmente alto anche nella sanità? Non servono i patti con le regioni, ma delle legislazioni di spesa.
Se lei afferma che la nostra economia è ammalata, allora avrebbe dovuto provvedere alla manovra già a maggio. Non può aspettare luglio!
Faccio il medico di professione e le dico che in questo modo lei fa morire l'ammalato, il paziente. Dal punto di vista professionale, se è vero quel che ci dice, non si sta comportando con adeguata efficacia. Lei doveva intervenire subito! Luglio è troppo distante, se è vero quel che ci ha detto. Lei doveva intervenire subito, altrimenti la sua è mera propaganda politica.
Non credo che una situazione come quella descritta debba essere affrontata in questo modo. Bisogna favorire lo sviluppo, non intervenire sulla spesa. Questo è il postulato. Quando un industriale è in difficoltà, ha dei debiti, deve aumentare il fatturato e non comprimere le spese!


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Insomma, nel rapporto deficit/PIL, si deve cercare di intervenire solo sul denominatore.
È questo che la invitiamo a fare, altrimenti il nostro sviluppo si troverebbe ad essere bypassato da mere discussioni di ordine politico.
Aggiungo, infine, un'ultima considerazione, che credo possa chiarirle meglio le idee. Se ad un contadino nasce un figlio, e ne ha già tanti, non deve dar da mangiare di meno a tutti gli altri o spogliarli, ma deve cercare di lavorare di più, alzandosi un'ora prima la mattina. Impariamo dalla cultura contadina e cerchiamo di andare avanti nel risanamento, ma con la serietà che merita questo paese.

MAURIZIO SACCONI. Signor ministro, lei ha opportunamente promesso, anche sulla base del Protocollo del 1993, che accompagnerà la manovra con il dialogo o l'ascolto delle parti sociali. Credo che questo possa essere opportuno, soprattutto se lei vorrà porre alle parti sociali il tema della produttività del lavoro. Ritengo - e le domando - che lei possa condividere l'osservazione che proprio la Banca centrale europea ci ha sempre rivolto, circa l'obsolescenza del nostro modello contrattuale, del nostro sistema di relazioni industriali, che a suo dire sarebbe responsabile della bassa produttività del lavoro, non a caso calante a partire dagli infausti anni settanta.
Le chiedo, quindi, anche a proposito del cuneo fiscale e dell'eventuale suo selettivo impiego, se non ritenga utile dare impulso alla competitività, attraverso non tanto una moderazione salariale piatta - oltretutto, come sappiamo, sarebbe un'illusione attendercela dalla contrattazione in corso -, quanto piuttosto uno stretto collegamento fra i salari e la produttività, quindi tramite un modello con queste caratteristiche.
Sempre a proposito del cuneo fiscale, lei sa che il tema si connette strettamente - lo dice oggi perfino il segretario della CGIL - a quello del sistema contributivo, che credo possa definirsi una scelta irreversibile.
Abbiamo già un sistema caricato da una straordinaria dimensione di contributi figurativi, che mi pare difficile appesantire ulteriormente, pena il fatto che salterebbe il metodo contributivo per il nostro sistema previdenziale, sul cui rilievo a proposito della sostenibilità di medio-lungo periodo dei conti pubblici credo che lei convenga, come ha osservato prima l'onorevole Tremonti.
A quest'ultimo proposito, lei pensa di garantire l'efficacia finanziaria della riforma già effettuata, cioè di non scendere al di sotto di quell'efficacia finanziaria?

MASSIMO POLLEDRI. Ben trovato, signor ministro. Credo che il risanamento sia ormai un obbligo di tutta la Repubblica, quindi dei comuni, delle province, del Governo. Il problema è che tutti, a cominciare dal Governo, pensano che debba provvedervi il vicino di casa, quindi chiederemo ai comuni e agli altri enti di essere virtuosi. Proprio oggi con il viceministro Pinza parlavamo di invarianza. Ora, convincere qualcuno ad essere virtuoso è un esercizio molto difficile, signor ministro. Non ci riescono i mariti e le mogli, che possa riuscirci lo Stato con qualche legge possiamo solo auspicarlo.
A questo fine, si possono usare due strumenti. Il primo è rappresentato dai tavoli, dove il centrosinistra forse è più bravo del centrodestra. Lei parlava della sanità e dello sforamento. In materia di sanità, questo sarebbe il terzo patto, dopo il primo nel 2000 ed un altro nel 2001. L'anno scorso si sono registrati 2 miliardi di extra deficit, e adesso proviamo con un ulteriore patto.
Il secondo strumento, che coniuga efficacia e responsabilità, è il federalismo fiscale. Si tratta di uno strumento di efficacia che, lì dove viene applicato, in Europa, funziona bene: c'è sviluppo e c'è controllo.
Come lei sicuramente sa, signor ministro, esiste un dossier aperto con le regioni, scritto dal professor Giarda, che è stato un illustre esponente del Governo di centrosinistra. Cosa pensa del federalismo fiscale, ministro?


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ANTONIO BOCCIA. Innanzitutto mi complimento con i presidenti delle Commissioni per la scelta di iniziare il lavoro della legislatura dicendo in questa sede la verità sui conti pubblici, e non altrove! Mi limiterò a porre una domanda strettamente legata alla scelta che è stata fatta per questa riunione.
Credo che sui numeri ci sia, ormai, poco da discutere. Al termine del quinquennio precedente, abbiamo dovuto registrare una ripresa dell'aumento del debito. Tra il 1996 e il 2001 si era riusciti a scendere di 14 punti, tra il 2001 e il 2005 siamo scesi di 2 punti, con l'aggravante che adesso si risale. L'indebitamento viaggia verso il 4,5 per cento e, se non si interviene, a fine anno potrà essere anche peggiore. Inoltre, l'avanzo primario è pressoché azzerato.
Ora, signor ministro, mi consenta di fare una critica costruttiva, per chiudere la fase delle polemiche e per preparare il lavoro che ci apprestiamo a svolgere. Quello che manca, nella sua relazione, è un'analisi dei motivi che hanno determinato questa situazione sciagurata.
Per capire bene cosa dobbiamo fare e come raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti, indicati nell'ultima pagina della sua relazione, noi dovremmo sapere - probabilmente le intenzioni dei colleghi del centrodestra erano buone - che cosa non ha funzionato. Dobbiamo capire come mai non si sia raggiunto l'obiettivo, a fronte di provvedimenti anche «capestro» (taglio del 2 per cento, abbattimento del turn over) e di leggi anche rigorosissime, che lasciavano prevedere in qualche caso forti capacità di riduzione strutturale della spesa. Dobbiamo capire cosa non ha funzionato.
Se non approfondiamo i motivi del fallimento delle politiche poste in essere negli ultimi cinque anni, diventa difficile individuare le terapie giuste per evitare che quegli errori si ripetano. Pertanto, in questa fase sarebbe stata necessaria un'analisi molto puntuale, che prendesse in esame le carenze che hanno segnato l'azione del Governo negli ultimi cinque anni, non tanto per muovere delle critiche, quanto per evitare di ripetere errori già commessi.
Le sarei grato, quindi, se ci desse delle indicazioni per non cadere negli stessi errori.

MAURIZIO LEO. Innanzitutto rivolgo i miei migliori auguri al ministro Padoa Schioppa, ma al tempo stesso vorrei manifestare alcune perplessità sulle schede che ci sono state gentilmente fornite.
Ad un certo punto di tali schede, si afferma che, tra i rischi di efficacia della manovra finanziaria per il 2006, c'è il gettito atteso dal concordato fiscale. A questo proposito - e mi ricollego a quello che diceva prima l'onorevole Tremonti -, mi piacerebbe capire quale esperto fiscale sedeva nella Commissione Faini. Come sappiamo, infatti, il concordato fiscale riproduce in qualche modo i meccanismi del 1995 ed il dipartimento delle politiche fiscali, che ha fatto parte della Commissione, ha sicuramente testato che da questa misura si potevano realizzare circa 2 miliardi di euro di gettito. Teniamo presente che il concordato va di pari passo con la programmazione fiscale concordata per gli anni dal 2006 al 2008.
Quindi, se si potevano reperire circa 2 miliardi di euro di gettito, occorre capire che cosa non ha funzionato e perché si evidenzia questa criticità, che forse è da collegare allo stato di attuazione. Per far funzionare un'operazione, occorre predisporre tutti gli strumenti amministrativi adeguati. Nelle precedenti programmazioni fiscali erano state avanzate delle proposte da parte degli uffici finanziari, a cui i contribuenti hanno dato adesione.
Questo stato di incertezza, dunque, sicuramente potrà comportare un pregiudizio per le casse erariali, perché i contribuenti sono disorientati. Essi non sanno in questa fase che è delicatissima, perché si stanno pagando gli acconti 2006 e i saldi 2005, se per il 2006 ci sarà o meno la programmazione fiscale.
Un altro punto importante è quello del cuneo fiscale. Al di là delle boutade che ci sono state, il problema del cuneo fiscale è


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collegato al suo finanziamento, ossia al reperimento delle risorse. Si parla di tassa di successione, di elevazione dei contributi e di lotta all'evasione.
Signor ministro, come lei sa la lotta all'evasione non si improvvisa, ma la si conduce con l'amministrazione finanziaria, che ha una capacità operativa - i suoi uffici glielo riferiranno sicuramente - che non supera il 2 per cento del dichiarato. Quindi, l'amministrazione finanziaria può controllare dichiarazioni per un ammontare massimo del 2 per cento del dichiarato. Questo non riguarda solo l'Italia, ma anche altri paesi dell'Unione europea. È chiaro che, con il 2 per cento del dichiarato, non possiamo pensare di ottenere grandissimi risultati.
Si parla di IVA lorda e IVA netta, termini abbastanza stravaganti. Chi si occupa di materia tributaria sa che esiste un'IVA versata, un'IVA dovuta, un'IVA detraibile. IVA lorda e IVA netta sono espressioni più che altro di carattere generale.
A questo punto, occorrerà verificare bene come si attua la lotta all'evasione fiscale. Se facciamo rientrare in questa lotta l'elevazione degli studi di settore, signor ministro, non siamo d'accordo, perché rischiamo di inasprire ancora di più la tassazione per un certo comparto, che rappresenta la stragrande maggioranza delle imprese italiane.
L'ultima notazione che intendo fare - che ci allarma notevolmente - riguarda ciò che sta succedendo in materia di IRAP. Come lei sa, signor ministro, in queste ore i contribuenti stanno versando gli acconti per il 2006 e adottano, in aggiunta al meccanismo di tassazione con il metodo storico, anche il metodo previsionale.
Per le regioni che hanno sforato la spesa sanitaria, si è già detto che bisogna applicare un'aliquota più elevata: non il 4,25 per cento, bensì il 5,25 per cento. Se è così, in queste ore i contribuenti sono in massima ambascia, in quanto non sanno quanto dovranno versare. Pertanto, inviterei il ministro a chiarire la questione in tempi rapidissimi.
Oggi solleverò il problema in occasione del question time, in quanto i contribuenti non possono più attendere - il 20 giugno è alle porte - ed hanno il diritto di sapere quanto dovranno pagare per l'IRAP.

MICHELE VENTURA. Signor ministro, ho apprezzato la sobrietà e lo stile con cui ha descritto la situazione, non caricandola di particolari significati polemici. Il punto a cui siamo - non contestato, e questo mi sembra un dato molto rilevante - è riassumibile nell'annullamento dell'avanzo primario, nel rapporto deficit/PIL e via dicendo, dati che indicano la gravità della situazione.
Lei sostiene che sia obbligatorio partire da questo punto. Infatti, potremmo anche svolgere un dibattito retrospettivo infinito sulle responsabilità ma a questo punto non ci interessano. Guardiamo, invece, a quello che dobbiamo fare. Questo mi sembra il messaggio da cogliere; un messaggio non di poco conto dal punto di vista dell'approccio a queste problematiche.
Come è ovvio, la curiosità di tutti noi riguarda quella parte che lei ha giustamente rinviato: trattandosi di problemi strutturali, occorrono misure strutturali. Ci piacerebbe sapere a che cosa ci riferiamo quando parliamo di misure strutturali.
Le pongo poche e semplici domande. La prima riguarda il fatto che, negli ultimi anni, abbiamo registrato un'esplosione della spesa pubblica, che è passata da oltre il 37 per cento rispetto al PIL, ad oltre il 40 per cento. In tale valore se riflettiamo, troviamo gran parte dei problemi del quadro complessivo.
Secondo lei, si tratta di mancato controllo - come diceva il collega Boccia -, di errato modo di affrontare questa questione, o ci sono anche automatismi che vanno rivisti, perchè portano alla lievitazione dei livelli di spesa?
In questi giorni abbiamo assistito a un dibattito, assai lungo e preoccupante, a proposito delle opere pubbliche avviate e in corso e sul rischio relativo al rifinanziamento


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delle stesse. Anche su questo argomento vorrei conoscere la sua opinione.
Infine, vorrei capire se il Governo intenda attuare, stando a quanto abbiamo appreso dai giornali, un'azione molto stringente nei confronti delle regioni che hanno avuto sforamenti certificati - non mi riferisco tanto al debito sanitario sommerso -, per quello che riguarda il possibile rientro.

MARIO FRANCESCO FERRARA. Signor ministro, le pagine dei giornali negli ultimi tempi hanno riportato le intenzioni del Governo di intervenire sul prelievo fiscale. Mi sono più volte chiesto se le dichiarazioni in ordine alla necessità di coniugare le esigenze di equità e risanamento con quelle della crescita fossero così lontane da un convincimento, che un esimio economista come lei certamente conosce. L'intervento sull'IVA, che da ultimo è stato realizzato in Giappone e che ne ha determinato un blocco della crescita, non è stato poi privilegiato in nessuno dei paesi occidentali. Il fatto che ci siano stati degli indicatori di crescita è indubbio: non ultimo, l'aumento del gettito fiscale del 6,7 per cento - lo si è letto ieri in molte agenzie di stampa e ne è stata data ufficiale comunicazione - sta a significare che una certa crescita si è realizzata. La crescita, si sa, ha tre componenti essenziali: i consumi delle famiglie, gli investimenti delle imprese e la domanda estera. Per quanto riguarda gli investimenti dell'intrapresa, il fatto che l'aumento delle scorte è leggermente aumentato nel primo trimestre dello 0,1 per cento, significa che la crescita comunque comincia ad esserci.
Ascoltando gli interventi dei colleghi e, in ultimo, la sua replica, ho maturato un convincimento che, per quello che è il programma della mia parte politica, finisce per essere una preoccupazione. Mi riferisco alla possibilità che questo Esecutivo, rispetto al governo della crescita, intenda privilegiare la necessità della diminuzione del debito pubblico rispetto al PIL. Vista l'incapacità di governo della crescita degli ultimi interventi legislativi non solo del Governo precedente ma anche di quello che lo ha preceduto, vorrei sapere se il Governo attuale intenda privilegiare esclusivamente la diminuzione del debito pubblico. Questo mi è parso di capire, anche da una certa enfasi che ho ravvisato nel suo racconto dell'incontro con il premier belga.
Come dicevo, questo convincimento, del tutto legittimo, finisce per essere una preoccupazione, che si riflette anche nelle considerazioni di diversi analisti del mondo occidentale (negli ultimi tempi, le pagine dei giornali sono piene di consigli al Governo). Infatti, sembrerebbe che il privilegio della diminuzione del debito pubblico sul PIL possa, senza una certa attenzione nei confronti dei presupposti di crescita, azzerare completamente un percorso che era stato iniziato.
Non crede, signor ministro, che questa inversione totale di tendenza possa essere più pericolosa rispetto all'onestà del suo convincimento in ordine alla necessità di riduzione esclusiva del debito pubblico sul PIL?

MAURIZIO EUFEMI. Signor ministro, oltre a rivolgerle i miei auguri, che comunque fanno parte del fair play parlamentare, non nascondo la mia delusione per le contraddizioni presenti nel quadro descritto, soprattutto per l'assenza di linee strategiche del suo Ministero, che - non lo dimentichiamo - è un super Ministero dell'economia.
In primo luogo, la correzione che abbiamo riscontrato è assolutamente marginale - 0,25 per cento -, un aspetto quasi fisiologico di tutte le manovre di finanza pubblica. Lo scostamento tra obiettivi e risultati ha dimensioni certamente maggiori.
In secondo luogo, abbiamo registrato l'assenza di linee di intervento, non tanto dal punto di vista della quantità dell'intervento stesso e dell'intensità della manovra, quanto dal punto di vista di come si intende agire. Dunque, vorremmo capire se questo 0,3 per cento sia un alibi per evitare interventi coerenti rispetto alla


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drammaticità della situazione che lei ha esposto e al paragone improprio con il 1992. Ricordo che la situazione del 1992 portò a una manovra di 92 mila miliardi di lire, con un intervento tra 4 e 5 punti sul PIL. Ora, si vuole recuperare questa dimensione di intervento? Se è questa l'intenzione, come si intende farlo e qual è la coerenza tra correzione marginale, rischi paventati di efficacia, misure per lo sviluppo e promesse elettorali? Come si può rendere coerente tutto ciò, se non si interviene in maniera forte sulla spesa corrente? Diversamente rischiamo veramente di vanificare tutto il nostro lavoro.

PRESIDENTE. Do la parola al ministro per la replica.

TOMMASO PADOA SCHIOPPA, Ministro dell'economia e delle finanze. Svolgerò qualche considerazione che credo coglierà gran parte delle osservazioni sollevate in quest'ultima serie di interventi. Vorrei anche esporre le conclusioni che traggo da questo incontro, in particolare da quanto detto in questa audizione e non solo dal mio pensiero.
L'economia italiana ha un problema grave di crescita; ce l'ha da molti anni, ma si è sicuramente aggravato negli anni 2000. Mi si è chiesto come siamo arrivati a questa situazione dei conti pubblici. Credo che la bassa crescita sia un elemento fondamentale. È chiaro che sarebbe sufficiente fare delle simulazioni in cui si ipotizza un tasso di crescita ogni anno superiore di un punto a quello che ha avuto luogo, per avere un quadro di finanza pubblica molto diverso.
Purtroppo questa bassa crescita non dipende solo dal mondo, ma in larga misura dipende dall'Italia. Altri paesi, in Europa e nell'area euro sono cresciuti più di noi, hanno accresciuto la loro competitività e hanno trovato nello sbocco su mercati esteri un fattore di crescita forte. Anche la nostra ripresa attuale, che è in larga parte trascinata dalla dinamica dell'economia mondiale, è una ripresa nel corso della quale l'Italia non guadagna, ma perde quote di mercato. Il problema della competitività, quindi, è estremamente acuto.
Si è ritenuto - lo capisco, e non è mia intenzione, nemmeno in questo caso, dire qualcosa che assomigli ad un rimpallo di responsabilità - che la bassa crescita fosse un fenomeno temporaneo, che quindi bisognasse colmare quel momento di attesa e che il modo appropriato per farlo fosse usare misure temporanee.
Purtroppo, guardando indietro negli anni, si deve constatare che non è stato così. Quindi, ci si trova in una situazione in cui l'utilizzo di quelle misure si è esaurito, non solo perché il campo possibile delle operazioni una tantum non è illimitato, ma anche perché è cessata la sua accettazione da parte dell'Europa.
Contemporaneamente la spesa pubblica ha avuto una forte dinamica, veramente inconsueta. L'insieme di questi fattori ha portato all'esaurimento dell'avanzo primario e all'inversione della tendenza del rapporto tra il debito e il PIL. Lo ripeto, questi sono i due elementi fondamentali - sui quali nessuno di noi ha espresso disaccordo - che dobbiamo affrontare. Non sono gli elementi che ci ha lasciato il Governo passato, ma quelli che caratterizzano situazioni dell'Italia in questo momento. Qualunque Governo ci fosse in Italia, li dovrebbe affrontare, e questa è l'unica cosa che mi interessa. Come possiamo farlo? Non è questo l'oggetto della mia esposizione di oggi, semplicemente perché questo è il lavoro che stiamo ancora svolgendo. Del resto, lo avete riconosciuto quasi tutti: dico quasi perché capisco che per molti di voi sarebbe stato interessante - e lo sarebbe anche per me, se potessi farlo - avere già delineato l'insieme di quello che si farà.
Non abbiamo nemmeno una proiezione, né macroeconomica, né di finanza pubblica, aggiornata per il 2007. L'unica cosa che posso fare è riconfermare l'impegno che, come è nella buona pratica del rapporto tra Governo e Parlamento, in occasione del DPEF tornerò in questa sede e completerò la mia esposizione.
Tuttavia, sappiamo alcune cose. Intanto, sappiamo che esiste un serio problema


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di trasparenza dei conti pubblici, come peraltro è stato osservato. Quando qualcuno di voi ha detto che non si conosce esattamente l'entità del debito degli enti locali, diceva la verità. Non sarà colpa di nessuno, ma è un dato di fatto che va assolutamente corretto e che è necessario per poter governare la finanza pubblica in Italia. Questo ci pone in pessima luce rispetto agli altri paesi, nel confronto internazionale.
Pensare che io dia poco valore all'Europa e molto ai mercati è assolutamente fantasioso. La mia biografia mostra esattamente il contrario. Quello che ho voluto dire è che la mia interlocuzione con Bruxelles è un'interlocuzione tra amministrazioni e organismi politici. In questo senso, ho usato un'espressione che ha colpito la fantasia del presidente Tremonti.

GIULIO TREMONTI. Non la fantasia... risulta dai verbali!

TOMMASO PADOA SCHIOPPA, Ministro dell'economia e delle finanze. I mercati hanno un altro modo di ragionare, un altro tipo di aggressività, (lo sappiamo benissimo, per averlo vissuto molte volte, in maniera anche molto dolorosa).
Sappiamo che, oltre a un problema di trasparenza, ci sono alcuni grandi nodi nel sistema dei conti pubblici italiani. Uno di questi è il rapporto tra i conti pubblici del centro e i conti pubblici degli enti locali. È un problema annoso, che non è nato adesso. Per certi versi, esso si è aggravato negli ultimi anni - e dirò come -, per altri versi, invece, è stato affrontato.
Qualcuno ha parlato degli aumenti automatici delle aliquote: questa è una disposizione della finanziaria che ho - per cosi dire - ereditato, messa in atto dal Presidente del Consiglio della precedente legislatura. Quello che avrei dovuto fare sarebbe stato fermare un elemento di rigore e di responsabilità fiscale, che era stato meritoriamente inventato dall'ex ministro e dall'ex sottosegretario qui presenti, e attivato dal loro Presidente del Consiglio negli ultimi giorni della legislatura: sarei stato un irresponsabile se l'avessi bloccato, date le attuali difficoltà. Ho agito senza considerare la parte politica di chi amministrava le regioni; peraltro, non è questa la sede in cui si possono far valere argomentazioni di questo tipo.
Ci sono, tuttavia, anche aspetti negativi: la responsabilità fiscale deve essere reale. Ad esempio, l'aver spostato certi limiti dai saldi alla spesa consentita alle autorità territoriali non è coerente con un'impostazione di serio federalismo fiscale e neanche con una rivendicazione, che personalmente condivido, di autonomie locali forti. Il motivo è che non deve essere il centro a decidere quanto deve spendere un'autorità locale. Il centro deve stabilire qual è l'entità del suo contributo e sappiamo che nella spesa sanitaria questo è fondamentale; quindi l'elemento di solidarietà, insito nel sistema della finanza pubblica, dal centro verso la periferia, è pienamente presente.
Oltre quel limite, però, deve esserci una responsabilità fiscale dell'ente territoriale, che è stata sostanzialmente bloccata; è vero che è stata attivata nel meccanismo che ho descritto un momento fa, ma per altri versi è stata soppressa in una maniera che, a mio avviso, non è opportuna e che sarà probabilmente da rivedere.
Sappiamo che esistono altri aspetti importanti, come i blocchi della spesa corrente. Sappiamo, ad esempio, che nel settore amplissimo e complesso dell'impiego pubblico si sono sviluppate forme precarie e di trasformazione dell'impiego pubblico in acquisto di servizi. Quindi, certi elementi che sono stati inseriti per frenare l'espansione hanno trovato, poi, vie di sfogo laterali, perché non tutte le valvole erano state chiuse in maniera appropriata, nonostante il fatto che siamo in un'epoca in cui la demografia dell'impiego pubblico permette operazioni di una certa importanza, senza creare particolare sofferenza sociale.
Al momento, dunque, per i motivi che ho ripetuto più di una volta, non sono in grado di anticiparvi ciò che vi presenterò tra qualche settimana. Tuttavia, è chiaro che l'analisi e la diagnosi delle cose da fare sta procedendo, con la consapevolezza che


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esiste una notevole difficoltà, legata al fatto che ormai sono possibili solo interventi di tipo strutturale.
Per quanto riguarda la questione della crescita, è stato già detto in maniera chiarissima che non c'è «politica dei due tempi». Certo, nessuno dispone di una bacchetta magica che fa aumentare di mezzo punto, per l'anno prossimo, il tasso di crescita dell'economia. I conti pubblici in qualche modo li governiamo, ma la crescita è qualche cosa che viene dall'economia e che l'azione della politica economica può solo stimolare, favorire, ove possibile eliminando impedimenti. Coloro che hanno esperienza diretta della vita economica sanno perfettamente che il meccanismo attraverso il quale un'economia riprende a crescere è qualcosa di inafferrabile.
Sottolineo che parlo di crescita, ossia di un processo di espansione della produzione e del reddito prolungato negli anni, quindi non semplicemente una ripresa congiunturale.
Non solo penso che non ci siano i «due tempi», ma penso che - questo ho voluto dire citando l'esempio belga - l'economia cresce perché, come ha detto il Primo ministro belga, i conti sono a posto, perché c'è un elemento di salute nel sistema economico che è favorevole alla crescita. Noi dobbiamo ritrovare questo elemento di salute, per poter ricominciare a crescere, nonostante la difficoltà nel momento iniziale in cui la terapia viene assunta.
Non c'è assolutamente nulla, né nelle cose che ho detto in queste settimane né in ciò che ho fatto nella mia vita, che mi renda incline ad accettare l'idea che la crescita sia in conflitto con l'equilibrio dei conti pubblici. Questo non è nella storia dell'Italia, non è nella storia degli altri paesi. Gli anni in cui l'Italia è cresciuta di più sono anche quelli in cui le finanze pubbliche erano a posto. E non si pensi che i conti erano a posto perché l'economia cresceva; è altrettanto vero il contrario, ovvero che l'economia cresceva perché le finanze pubbliche erano a posto.
Questo è ciò che dobbiamo fare.

MARIO FRANCESCO FERRARA. Lei ha detto «è altrettanto vero». Il problema è se è «altrettanto vero» o solo «vero», se le due cose...

TOMMASO PADOA SCHIOPPA, Ministro dell'economia e delle finanze. Le due cose stanno insieme, questo ho voluto dire. Oggi abbiamo strozzature alla crescita di cui abbiamo conoscenza e di cui si potrebbe fare la diagnosi, nel caso in cui volessimo capire come mai esse sono state lasciate nel nostro sistema economico attraverso gli anni (anche gli ultimi). Abbiamo un urgente problema di risanamento, che è quello che ho descritto e che era l'oggetto dell'incontro di oggi. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei, signor ministro. La aspettiamo a breve per l'appuntamento relativo al DPEF. Ringrazio anche tutti i colleghi che hanno consentito questo approfondimento e il presidente Morando.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,50.