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COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 25 luglio 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PAOLO DEL MESE

La seduta comincia alle 15,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Massimo Tononi, sull'attuazione della direttiva 2004/25/CE.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Massimo Tononi, sull'attuazione della direttiva 2004/25/CE.
In esecuzione dell'impegno assunto dal Governo in sede di recepimento della direttiva CE in materia di OPA, il Governo stesso, con una nota a firma del Viceministro Pinza e del Sottosegretario Tononi, ha comunicato la propria disponibilità ad illustrare presso la nostra Commissione gli orientamenti del Ministero in merito al recepimento della predetta direttiva.
Do la parola al Sottosegretario Tononi per l'illustrazione dei criteri.

MASSIMO TONONI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor presidente con questa illustrazione vorrei presentarvi gli orientamenti del Ministero dell'economia e delle finanze sul tema della richiamata direttiva comunitaria e del suo recepimento in materia di OPA.
Credo sia importante premettere, sotto l'aspetto del metodo e della sostanza, che questi orientamenti non sono stati condivisi in sede di Consiglio dei Ministri. Del resto, questa era l'intesa che avevamo concordato con la Commissione: venire a riferire i nostri orientamenti e raccogliere domande e commenti prima di andare in Consiglio dei Ministri. Questo è esattamente il caso.
Ad oggi, il nostro Ministero ha elaborato gli orientamenti che trovate riportati nel breve fascicolo che ho fornito alla Commissione, che potrà essere utile per seguire l'illustrazione dei principali temi della direttiva oltre che i nostri intendimenti per adeguarci ad essa.
La direttiva, come sapete, è scaduta da molto tempo. Se non erro, il termine ultimo per il suo recepimento era maggio dello scorso anno, ma siamo ormai in dirittura di arrivo.
Confidiamo di poter provvedere in termini molto rapidi.
Per analizzare i temi più rilevanti vi chiedo di andare a pagina 6 dello stampato.
Il primo è quello dell'OPA obbligatoria. Due aspetti sono rilevanti: il prezzo e la soglia al di sopra della quale scatta l'obbligo di OPA.
Per quanto riguarda il prezzo, la direttiva è molto esplicita. Prescrive, infatti, agli Stati membri di imporre, in sede di offerta, a tutti gli azionisti un prezzo uguale a quello più alto pagato dall'offerente in un periodo compreso tra i sei e i dodici mesi antecedente la data dell'offerta stessa.


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Per quanto riguarda, invece, la soglia, la direttiva lascia libertà agli Stati membri di stabilire quella che ritengono di dover adottare.
L'orientamento del MEF, riportato a pagina 7, per quanto riguarda il prezzo, va nella direzione prescritta dalla direttiva comunitaria. Noi, quindi, ci adeguiamo, con un'innovazione rispetto all'ordinamento vigente in Italia, alla norma del prezzo più alto nei dodici mesi precedenti l'offerta stessa. Come sapete, oggi non è così. In sede di OPA obbligatoria l'offerente è chiamato a pagare un prezzo pari alla media tra il prezzo più alto da lui pagato nei dodici mesi precedenti e la media di borsa del dodici mesi precedenti. Il risultato di questo calcolo non coincide per definizione con il prezzo da lui pagato nei dodici mesi precedenti più elevato.
Per quanto riguarda la soglia al di sopra della quale scatta l'OPA obbligatoria, noi pensiamo di confermare l'ordinamento vigente in Italia, ossia di stabilire la soglia della misura del 30 per cento, che è quanto previsto anche nel TUF del 1998.
Il 30 per cento è una soglia ragionevole, anche confrontandola - pagina 8 - con i principali paesi europei. Regno Unito, Germania e Spagna, infatti, hanno anch'essi stabilito nel 30 per cento la soglia che rende obbligatoria l'offerta pubblica di acquisto, quindi è la soglia che qualifica ai fini OPA il controllo da parte del nuovo soggetto. In Francia la soglia è un terzo del capitale, quindi poco distante. In generale, in tutti i paesi europei, la forchetta oscilla in linea di massima tra il 25 e il 33 per cento. Ci sono alcune eccezioni, ma assolutamente irrilevanti. Abbiamo ritenuto di rimanere al 30 per cento e di confermare quella soglia assolutamente in linea con le consuetudini comunitarie.
Il secondo tema affrontato nella direttiva su cui vorrei esporre gli orientamenti del Governo è quello della passivity rule - di cui abbiamo parlato in varie occasioni anche in questa Commissione - che sostanzialmente è il divieto, per la società soggetta ad un'offerta, di intraprendere azioni difensive che contrastino gli obiettivi dell'offerta stessa senza passare attraverso l'autorizzazione degli azionisti opportunamente convocati in assemblea per deliberare su tali misure difensive.
La direttiva comunitaria prevede la passivity rule nei termini che ho poc'anzi citato, ma consente ai singoli Stati membri di non imporla obbligatoriamente. Consente, cioè, di prevederla in via esclusivamente opzionale, ferma restando, però, la facoltà per le singole aziende di prevedere in statuto l'obbligo della passivity rule.
Quindi, sostanzialmente la direttiva comunitaria ha lasciato mano libera ai singoli ordinamenti di recepire o meno la passivity rule; però vale comunque il principio che le singole aziende possono stabilire all'interno del loro statuto, qualora nel loro ordinamento la passivity rule sia opzionale, di applicarla obbligatoriamente.
L'orientamento del Ministero dell'economia e delle finanze è di confermare l'assetto normativo vigente e, quindi, di confermare la passivity rule. Questo vuol dire che le azioni difensive volte a contrastare le offerte pubbliche di acquisto ritenute ostili dal management, non sono consentite a meno che non intervenga una delibera assembleare che le autorizzi. Lo spirito sottostante questo nostro orientamento è che la scelta, in merito alle misure difensive di contrasto rispetto ad un'offerta che può o non può valutare adeguatamente un'azienda, deve essere lasciata agli azionisti e non al management delle aziende. Questo ero lo spirito della legge Draghi, del TUF e questo è lo spirito che intendiamo confermare.
Intendiamo lasciare inalterato, quindi, l'articolo 104 del TUF il quale prevede che, in sede assembleare, occorre il voto favorevole di almeno il 30 per cento del capitale per approvare le misure difensive proposte dal consiglio di amministrazione dell'impresa oggetto di offerta pubblica d'acquisto.
L'orientamento del Ministero dell'economia e delle finanze è sostanzialmente coerente con quello adottato da molti, non tutti, paesi europei. Come trovate riportato a pagina 13, tutti i paesi hanno adottato la passivity rule, con alcune eccezioni, un paio anche importanti: la Germania, la


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Danimarca, il Belgio e il Lussemburgo. Alcuni paesi non hanno ancora stabilito se adotteranno o meno la passivity rule. Riteniamo che Olanda e Polonia probabilmente non la adotteranno. Quindi, Francia, Spagna, Gran Bretagna e Italia (se naturalmente l'orientamento del Ministero dell'economia e delle finanze troverà conferma) adotteranno la passivity rule, mentre altri paesi, tra cui in particolare la Germania, gli altri sono meno rilevanti, hanno deciso di lasciare alla scelta delle imprese se adottare o meno la passivity rule in statuto.
L'altra norma di carattere difensivo è la cosiddetta breakthrough rule, la regola di neutralizzazione. Sostanzialmente, è una regola che prevede che, a fronte di un'OPA di successo che ecceda in termini di adesioni il 75 per cento del capitale, vengano automaticamente meno le barriere di tipo difensivo che possono esistere nello statuto di una società, tipicamente azioni a voto plurimo, piuttosto che limiti ai diritti di voto, che sono tra l'altro delle fattispecie che in Italia non esistono. Comunque, sono evidentemente considerate nella direttiva.
Anche per la breakthrough rule vale quanto detto per la passivity rule: la direttiva l'ha prevista, però ha anche stabilito che i singoli Stati membri possono decidere se avvalersene obbligatoriamente, oppure in via facoltativa, ferma restando ancora la facoltà per le singole aziende di prevedere obbligatoriamente la breakthrough rule nel loro statuto qualora nell'ordinamento del loro paese non sia obbligatoria.
La breakthrough rule è una norma piuttosto complessa dato che vi sono tutta una serie di esenzioni che vanno forse menzionate perché un paio sono rilevanti. Innanzitutto, la breakthrough rule non si applica, quindi non vengono meno i meccanismi esistenti in statuto, alle azioni di risparmio e alle azioni privilegiate; non si applica ai limiti di possesso azionario, ma si applica ai limiti al diritto di voto; non si applica alle golden share, laddove ovviamente le golden share siano riconosciute dai trattati comunitari, che rappresentato tutto un altro tema e c'è tutto un altro dibattito in corso. Non si applica alle società cooperative, quindi alle nostre banche popolari per fare l'esempio più rilevante.
Il principio di «una testa, un voto» delle banche popolari non viene messo in discussione neanche in presenza di un'OPA che riscuote un grande successo, oltre il 75 per cento.
Il principio rimane. Non può essere infranto dal successo dell'offerta pubblica di acquisto.
In Italia, in realtà, siccome di fattispecie rilevanti ai fini della breakthrough rule ce ne sono poche, l'unico elemento veramente rilevante è quello dei patti di sindacato. In Italia di azioni a voto plurimo non ne abbiamo; in merito al limite al diritto di voto, non è consentita introdurre questa facoltà in statuto. L'unica fattispecie rilevante, che rappresenta indubbiamente un elemento di difesa per le imprese oggetto di OPA, è quella dei patti di sindacato i quali prevedono dei vincoli al trasferimento delle azioni tra i soci, o nei confronti di terzi.
L'ordinamento italiano, come sapete, prevede che, in presenza di offerta pubblica di acquisto, i patti di sindacato vengano meno, o quanto meno che i soci aderenti al patto possano recedere dal patto di sindacato e possano cedere ad azioni, sebbene ciò non sia in ottemperanza alle norme del patto di sindacato stesso.
Questa è l'unica fattispecie rilevante. Noi, come Ministero dell'economia e delle finanze, riteniamo di confermare questo stato di cose lasciando - come oggi è previsto - ai soci aderenti al patto la facoltà di cedere le proprie azioni in presenza di un'offerta pubblica di acquisto. I patti di sindacato, come sapete, rappresentano una fattispecie importante nel nostro Paese. Il 10-15 per cento delle nostre aziende, alcune delle quali molto importanti, hanno dei patti di sindacato.
Indubbiamente, si è riflettuto molto su questo punto, ma alla fine si è ritenuto di confermare l'assetto esistente, ancora una volta nell'ottica di consentire agli azionisti


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di minoranza di beneficiare di offerte convenienti, senza che un gruppo di controllo sia impedito, da patti preesistenti, nell'aderire ad un'offerta pubblica di acquisto.
Nella sostanza l'orientamento, non ancora condiviso in Consiglio dei Ministri, per il nostro Paese da parte del Ministro dell'economia e delle finanze è di adottare anche la breakthrough rule nella consapevolezza che questa regola per noi significa esclusivamente confermare il regime esistente sui patti di sindacato dato che altre fattispecie non esistono.
Questo mi aiuta anche ad argomentare in favore di questa scelta rispetto a quello che è l'orientamento assunto dalla maggior parte dei paesi europei che, invece, hanno ritenuto di adottare la breakthrough rule solo in via facoltativa con l'accezione poco significativa dei tre paesi baltici: Lettonia, Lituania ed Estonia. Per l'Italia, lo ripeto, se dovesse trovare compimento quanto detto in termini di orientamenti del MEF si intende confermare in via obbligatoria la breakthrough rule.
A breve tornerò su questi temi parlando di reciprocità che è un tema fondamentale. Credo, però, che sia importante prima chiarire altri due aspetti della direttiva che sono molto tecnici, ma al tempo stesso molto significativi. Il primo riguarda la clausola di squeeze out che sostanzialmente consente, ad un compratore che acquisisce una parte preponderante del capitale di un'azienda, di acquisire, di diritto, le azioni residue, in modo tale da arrivare al 100 per cento del capitale e procedere ad operazioni di ristrutturazione straordinaria e quant'altro. È una clausola che in Italia esiste. La soglia è al 98 per cento, che è una soglia inusuale dato che in tutti i paesi europei si colloca tra il 90 e il 95 per cento. Negli Stati Uniti, tanto per dare un'idea, la soglia è solitamente del 67 per cento. Noi avevamo raggiunto dei livelli che rendevano difficili le operazioni di ristrutturazione societaria.
La direttiva impone che lo squeeze out non solo debba sussistere, ma che si debba collocare in termini di soglia tra il 90 e il 95 per cento. L'orientamento del Ministero è di ridurre la soglia per l'Italia dal 98 a 95 per cento. Badate, non si tratta di un esproprio, ma stiamo parlando del diritto di acquisto ad un prezzo congruo stabilito dalla Consob. Solitamente è lo stesso prezzo dell'offerta pubblica precedente.
L'altra faccia della medaglia è il sell out, cioè il diritto per i soci di minoranza di una società partecipata da un socio in misura assolutamente preponderante, di vendere le poche azioni che gli sono rimaste. Anche in questo caso, nella direttiva è previsto che lo si possa fare e che il prezzo venga stabilito con delle procedure che ne assicurino la trasparenza e la correttezza attraverso un intervento della Consob.
La soglia al di sopra della quale scatta l'obbligo per il soggetto di controllo di comprare le azioni offerte dagli azionisti di minoranza è il 95 per cento, specularmente a quanto detto prima per lo squeeze out.
Come sapete, in Italia vi è un'ulteriore norma che è quella dell'OPA residuale, che scatta obbligatoriamente allorché il flottante di un'azienda, quindi le azioni che sono trattate sul mercato di un'azienda, si riduce al di sotto di una soglia minima fissata al 10 per cento. Quindi, in realtà, c'è anche un'altra fattispecie, che è quella dell'OPA residuale: quando un soggetto arriva ad avere più del 90 per cento è chiamato obbligatoriamente a fare un'offerta pubblica residuale per quello che è il residuo sul mercato, a meno che non ripristini il flottante entro novanta giorni al di sotto del 90 per cento di soglia.
Per quanto riguarda la reciprocità, è il tema sicuramente più complesso. Vi devo confessare che, nelle settimane passate, non è stato facile manifestare orientamenti certi, perché, come vedrete, la complessità della norma è abbastanza significativa.
La direttiva prevede che laddove le società siano vincolate alla passivity rule o alla breakthrough rule, possano invocare il principio di reciprocità qualora ricevano offerte da parte di società che non abbiano gli stessi vincoli e che quindi, per effetto


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del loro ordinamento o per effetto del loro statuto, non siano obbligatoriamente nelle condizioni di applicare la passivity rule oppure la breakthrough rule.
Nel caso in cui una società dovesse invocare la reciprocità per motivi di cui sopra, questa società potrà adottare le misure difensive stabilite dalla sua assemblea di azionisti nei diciotto mesi precedenti. Sostanzialmente, le società quotate, italiane e non italiane, dovranno andare in assemblea - sempre se questa direttiva verrà introdotta a tutti gli effetti anche nel nostro ordinamento - e deliberare un menù di misure difensive che potranno essere utilizzate nei diciotto mesi successivi e poi ovviamente rinnovate qualora fossero oggetto di attacco da parte di un'azienda estera che non è gravata dagli stessi vincoli di passivity e di breakthrough rule.
Anche per quanto riguarda la reciprocità, la direttiva consente ai singoli Stati membri di stabilire se adottare o meno la clausola di reciprocità. L'orientamento del Ministero dell'economia e delle finanze è di adottare la clausola di reciprocità. Questo anche perché si vuole, in qualche modo, cogliere il senso più profondo della direttiva comunitaria, la quale deve penalizzare quei paesi e quelle società che adottano le misure difensive. Se quelle società attaccano delle aziende che invece non adottano misure difensive, chi viene attaccato, dal nostro punto di vista, deve avere la facoltà di poter adottare le stesse misure e, quindi, di invocare il principio della reciprocità.
La complessità operativa non è indifferente, come dicevo inizialmente, e abbiamo cercato di riassumere alcuni temi a pagina 23. Innanzitutto, vale il principio stabilito dalla direttiva che, se qualcuno mi attacca e non è sottoposto alla passivity, posso invocare la reciprocità sulla passivity. Stesso dicasi per la breakthrough. Non posso farlo, però, in modo incrociato, quindi non posso invocare una cosa che non tocca il soggetto attaccante che non sia quella che, invece, lo prova. Quindi, passivity con passivity e breakthrough con breakthrough.
Le misure difensive che possono essere adottate nei diciotto mesi precedenti devono essere coerenti con il nostro ordinamento. Parlavo prima del fatto che in Italia le azioni a voto plurimo non esistono, non si possono emettere e non si possono inserire nel menù misure difensive delle azioni a voto plurimo. Si può inserire, evidentemente, ciò che il nostro ordinamento rende possibile. Ad esempio, immissioni di capitale aggiuntivo, fusioni, scissioni, entrate di un nuovo socio con aumento di capitale in assenza di diritto di opzione e via elencando.
Inoltre, la clausola di reciprocità - è importante ribadirlo, perché sono fattispecie rilevanti - non può essere invocata se l'attaccante estero non è quotato a sua volta. La direttiva comunitaria, correttamente, nei fatti regola il mondo delle aziende quotate. Quindi, impone la passivity, la breakthrough e la reciprocità alle aziende quotate. Se l'attacco proviene da un'azienda non quotata non si può invocare la reciprocità. Tuttavia, si può invocare la reciprocità nell'eventualità che l'azienda non quotata, che effettua l'offerta, sia controllata a sua volta da aziende quotate, nei confronti delle quali la reciprocità può essere invocata e che quindi non applichino la passivity rule e la breakthrough rule.
Da ultimo, un tema delicatissimo e complicatissimo è quello degli «attacchi» - forse il termine è un po' eccessivo - provenienti da soggetti non comunitari, che quindi sono soggetti a ordinamenti completamente diversi. Il tema delle reciprocità è stato dibattuto a Bruxelles. Noi riteniamo che la reciprocità possa essere invocata anche se dovrà essere compatibile con gli accordi internazionali in termini di rapporti commerciali. Vi sono dei rapporti tra paesi che, ovviamente, la Comunità europea al suo interno può regolamentare come meglio ritiene, come ha fatto con la direttiva; accordi bilaterali con altri paesi e a livello complessivo che possono consentire a soggetti che si ritengono penalizzati dall'invocazione della reciprocità, di avanzare una contestazione presso le opportune sedi.


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Quindi, non vi è l'assoluta certezza che, a fronte dell'attacco da parte di un'azienda americana, che ovviamente è soggetta a regolamentazioni completamente diverse e non paragonabili - non c'è la passivity rule, non c'è la breakthrough rule come le intendiamo noi, ma ci sono altre cose -, si possa invocare la reciprocità con successo. Questo vale per noi, ma vale per chiunque.
Su come pensiamo operativamente di gestire il tema della reciprocità, noi riteniamo che ciascun soggetto coinvolto nell'operazione possa far valere le sue ragioni e che lo debba fare innanzitutto rivolgendosi alla Consob. Quest'ultima, poi, dovrà valutare se sussistono i presupposti della reciprocità. La valutazione della Consob, inoltre, non può essere necessariamente la fine del dibattito, nel senso che se la parte si ritiene danneggiata dalla decisione della Consob può, se lo ritiene, presentare ricorso presso il Consiglio di Stato.
Negli altri paesi - ultima pagina del testo - la reciprocità, come dicevo, è facoltativa. Noi intendiamo adottarla sicuramente. La Francia l'ha adottata solo per la passivity e non per la breakthrough rule; la Germania l'ha adottata per entrambe le fattispecie; lo stesso dicasi per la Spagna; la Gran Bretagna per nessuna delle due.
Questi sono i nostri orientamenti su cui ogni domanda e ogni commento è benvenuto.
Se me lo consentite, un po' per togliere enfasi a quello che ho appena detto, vorrei richiamare alcuni dati statistici. Innanzitutto, i flussi di acquisizione di aziende italiane da parte di soggetti esteri e viceversa, sono sostanzialmente equivalenti. Se si guarda all'evidenza empirica degli ultimi sette-otto anni, si può constatare che più o meno noi compriamo all'estero quanto l'estero compra in casa nostra. Ci sono esempi importanti di aziende italiane che sono state comprate da soggetti esteri (Antonveneta e BNL), come vi sono aziende estere (Endesa o Gitec in America) comprate da protagonisti dell'economia italiana.
Inoltre, vorrei richiamare un aspetto che talvolta viene sottovalutato. Offerte ostili, non amichevoli ce ne sono davvero pochissime. Se si va indietro con la memoria, probabilmente ci vengono in mente Olivetti-Telecom, o Generali-INA, ma dal '99 ad oggi operazioni veramente rilevanti di tipo ostile ve ne sono state ben poche. C'è ne sono alcune, poi, che partono come non amichevoli e diventano amichevoli con il tempo. Per carità, non voglio sottostimare eccessivamente il problema, ma la casistica è veramente molto modesta.
Se poi si cercano nella memoria soggetti esteri che abbiano attaccato in modo ostile soggetti italiani, si fa ancora più fatica a trovare dei precedenti significativi. Questo a dimostrazione del fatto che quello di cui abbiamo discusso è molto importante. Il tema della passivity e della breakthrough rule, quindi dell'equilibrio tra i nostri ordinamenti e quello di altri paesi va salvaguardato, ma nei fatti in questi anni non ha ingenerato fenomeni particolarmente significativi di acquisizioni ostili in Italia e, francamente, neanche al contrario.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ANTONIO BORGHESI. Signor presidente, intervengo semplicemente per dire che, anche alla luce di quanto è accaduto nel passato un po' più lontano, credo sia fondamentale introdurre la clausola di reciprocità. In passato, più di una volta, ci siamo trovati in difficoltà proprio per l'impossibilità di opporci a situazioni di paesi che, invece, avevano una regolamentazione che permetteva alle loro società di comportarsi in modo diverso dalle nostre. Volevo solo sottolineare questo aspetto dato che ritengo importante che venga considerato.

ALBERTO FLUVI. Signor presidente, vorrei fare solo una domanda. Credo che questo lavoro abbia necessità di approfondimento anche se, sulle linee generali, mi sembra condivisibile. Rivolgo una domanda specifica relativa al 30 per cento sull'OPA.


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Sappiamo che nel dibattito accademico ci sono state anche diverse posizioni. Fra le altre, la possibilità di non individuare la soglia del 30 per cento, ma di limitarsi ad un concetto, forse non così definito come il 30 per cento, che riguarda il controllo della società che avviene, nel nostro Paese, oltre che attraverso i patti di sindacato, anche tramite un possesso azionario inferiore al 30 per cento.
Vorrei un chiarimento a tal riguardo, se è possibile.

MASSIMO TONONI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Ha perfettamente ragione, e si è anche aperto un ampio dibattito sul tema. Peraltro, credo che sia stato presentato, forse il mese scorso, un disegno di legge a firma del senatore Zanda ed altri che, tra le varie cose, toccava in particolare il tema delle scatole cinesi, ma ipotizzava anche una soglia OPA che non fosse necessariamente al 30 per cento, ma potesse essere inferiore, in una forchetta fra il 15 e il 30 per cento sulla base di una valutazione della Consob.
Ricordo anche che, prima del 1998, prima della legge Draghi, del TUF, era proprio così. Non c'era una soglia fissa, ma c'era un meccanismo particolarmente complicato per cui la Consob doveva, in qualche modo, elaborare delle conclusioni e ne derivavano dei numeri un po' ballerini.
La mia opinione personale sull'argomento - naturalmente come ho già detto nel mio intervento introduttivo si deve ancora predisporre un disegno di legge, quindi, è un dibattito che continuerà a lungo, ne sono convinto - è che l'elemento fondamentale è la certezza per gli investitori e per i risparmiatori. In tutti i paesi che adottano il regime delle offerte pubbliche di acquisto - e non sono tutti i paesi del mondo, ad esempio gli Stati Unito non hanno le OPA - c'è una soglia fissa. In passato molti paesi hanno sperimentato delle soglie variabili, ma il risultato è che si creava una tale incertezza sul mercato, con i titoli borsa che non sapevano bene come orientarsi, perché si temeva che da un giorno all'altro il soggetto, potenzialmente destinato ad un'offerta, non lo fosse più, e viceversa, che alla fine si è ritenuto di intraprendere la strada della soglia fissa, che ha delle controindicazioni. È, infatti, evidente che le società non sono uguali fra di loro: con il 29,9 per cento talvolta non si controlla un'impresa, talvolta la si controlla abbondantemente. Questo è indubbiamente vero. Un regime di certezza, secondo me, è importante. Questo almeno è il mio punto di vista.

GIANFRANCO CONTE. Vorrei chiedere alcune delucidazioni.
Per quanto riguarda la storia dei patti di sindacato, a quanto ho capito, sostanzialmente la passivity rule potrebbe essere interpretata nel senso che si esce fuori dalla logica del patto sindacale per cui ognuno è libero di vendere le proprie azioni. Ho capito bene?

MASSIMO TONONI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Sì, così accade oggi e verrebbe confermato.

GIANFRANCO CONTE. Verrebbe, dunque, confermato.
Non mi è chiaro, però, il passaggio che avete compiuto sul voto favorevole di tanti soci che rappresentano il 30 per cento del capitale sociale per esercitare la passivity rule.
È chiaro che i patti di sindacato si stipulano entro il 30 per cento per evitare di fare le OPA. Tuttavia, se come succede spesso anche da noi - penso a Generali, piuttosto che ad altri schemi consolidati, Mediobanca e quant'altro - ci sono gruppi che sono dentro il patto di sindacato e hanno fuori alcuni soggetti che sono pronti a intervenire, questo 30 per cento non è poco? Se un soggetto è al di sotto del 30 per cento, gliene basta uno non dico con un cavallo bianco, ma anche con un somaro, che lo aiuti ad esercitare la passivity rule.

MASSIMO TONONI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Su questo aspetto abbiamo attentamente riflettuto.


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C'è una logica, per cui io convengo con quello che lei ha detto circa il fatto che il 30 per cento può sembrare poco. Vorrei chiarire che, comunque, è la soglia più alta di tutti i principali paesi europei.
Le delibere degli azionisti che, in ossequio alle proposte del consiglio di amministrazione di un'azienda, adottano misure difensive (Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna) vengono accolte con dei quorum più bassi.
In Italia, abbiamo già previsto con il TUF un quorum elevato al 30 per cento perché vorremmo confermare l'idea che siccome in Italia vi sono molte aziende dove dei gruppi più o meno coesi esprimono una quota importante del capitale, bisogna rendere la vita relativamente difficile a questi soggetti. Quindi, abbiamo stabilito la soglia del 30 per cento.
D'altro canto, rendere la vita troppo difficile ai soggetti di quelle aziende, vuol dire impedire agli azionisti di approvare misure di difesa per quelle aziende che, invece, non sono in quel contesto dal punto di vista dell'azionariato e che, quindi, hanno l'azionariato più diffuso.
Faccio, ancora una volta, un esempio unico, storico ed empirico. Che io sappia, una sola volta nella storia italiana delle OPA c'è stata un'azienda che ha convocato un'assemblea per adottare delle misure difensive. È stata Telecom Italia nel '99, quando l'amministratore delegato Bernabè, di fronte all'azione che lui riteneva ostile di Colaninno, ritenne di adottare le misure difensive - all'epoca era una complessa operazione societaria - e dovette convocare l'assemblea in rispetto alla legge Draghi. In realtà, ci fu un voto abbondantemente favorevole verso le misure in questione, ma al di sotto del 30 per cento. Quindi, le misure difensive non vennero adottate.
Bisogna contemperare due esigenze diverse. Noi siamo francamente, nell'ambito europeo, certamente più orientati, con il nostro 30 per cento, a rendere la vita difficile ai gruppi variegati di pseudo controllo. Potremmo esserlo ancora di più, ma rischieremmo di rendere impossibile l'attuazione di queste misure difensive.

GIANFRANCO CONTE. Da noi i casi di public company sono piuttosto limitati. Sono più frequenti i patti di sindacato. A me piacerebbe che ci fosse un livello più alto.
L'altra questione è sullo squeeze out e sul sell out. Perché vi siete fermati al 95 per cento e non avete uniformato quel principio dell'OPA residuale e quindi non siete scesi intorno al 90 per cento per applicare lo squeeze e il sell?

MASSIMO TONONI, Sottosegretario per l'economia e le finanze. Credo che il motivo prevalente sia una certa coerenza con l'ordinamento vigente, che prevedeva addirittura il 98 per cento. È una cosa che io personalmente ho sempre contestato. Trovo ridicolo che un azionista con il 2,1 per cento possa impedire le ristrutturazioni societarie che a volte sono assolutamente ragionevoli e auspicabili. Per coerenza, nella forchetta prevista dalla direttiva, siamo rimasti nella parte alta.
Devo aggiungere che il tema dell'offerta residuale l'ho accomunato, ma è lievemente diverso. Il tema è quello di garantire un minimo flottante, per cui il 90 per cento è la soglia al di sopra della quale il flottante diventa modesto. In quel caso si dà la possibilità al soggetto di controllo di ripristinare il flottante, vendendo un po' di azioni e scendendo sotto il 90 per cento.
Sono, quindi, due fattispecie in qualche misura diverse: in un caso è il diritto all'acquisto senza domande; nell'altro caso è il diritto alla vendita sempre con il 95 per cento. Abbiamo fissato al 5 per cento la soglia al di sotto della quale si può intervenire con questi meccanismi. L'altra è una situazione potenzialmente temporanea di flottante carente, che può essere ripristinato.

IVANO STRIZZOLO. Signor presidente, esprimo una sostanziale condivisione sull'impostazione di fondo illustrata dal Sottosegretario Tononi, che tenta di dare un giusto equilibrio tra la necessità di tutelare il risparmio degli azionisti e, allo stesso tempo, di non impedire, anzi di assicurare regole certe, trasparenza, concorrenza.


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Vorrei rivolgere una domanda al Sottosegretario che mi è venuta in mente pensando alle ragioni opposte a quelle indicate dal collega Conte circa la soglia del 30 per cento nella passivity rule. Secondo me - può darsi che mi sbagli clamorosamente - proprio perché ci siamo addentrando presumibilmente in una fase di rapporti economici e finanziari in Europa, ma anche fuori, che non dico che sarà turbolenta, ma che necessiterà di un periodo di assestamento, non sarebbe stato meglio fissare una soglia più bassa del 30 per cento, proprio per le ragioni opposte sostenute dal collega Conte?

MASSIMO TONONI, Sottosegretario per l'economia e le finanze. Ha ragione. Ho cercato di esporre le ragioni a favore dell'una e dell'altra tesi. Non so se esiste una risposta scientificamente corretta. A noi sembra che il 30 per cento, per quanto sia una percentuale potenzialmente ambiziosa, anche perché ad oggi parte dal nostro ordinamento, rappresenti un dato che può essere confermato.
Questo orientamento potrebbe però cambiare. Ci sono argomentazioni in entrambe le direzioni, dipende da come si vede la cosa.

PRESIDENTE. Quando intende il Governo esercitare la delega?

MASSIMO TONONI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Potrebbe andare in Consiglio di Ministri anche la settimana prossima, ma non ne sono certo.

PRESIDENTE. Ringraziamo il Governo per aver ottemperato all'impegno assunto, anche se attraverso una procedura anomala che naturalmente rafforza maggiormente la possibile e auspicabile collaborazione tra Parlamento e Governo. Ringrazio il Sottosegretario Tononi. Il testo da lui fornito sarà allegato al resoconto della seduta odierna.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,15.

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