COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 15 giugno 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
(Così rimane stabilito).

Audizione del ministro per i beni e le attività culturali, Francesco Rutelli, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro per i beni e le attività culturali, Francesco Rutelli, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
All'onorevole Rutelli voglio formulare gli auguri della Commissione e del presidente per questo lavoro molto impegnativo assicurando la più assoluta collaborazione, nella distinzione dei rapporti tra il Parlamento ed il Governo. Vorrei, inoltre, sottolineare il valore della sua scelta per la quale il ministro per i beni e le attività culturali, con delega al turismo, è anche Vicepresidente del Consiglio dei ministri: questo è già un annuncio importante.
Do ora la parola al ministro Rutelli per lo svolgimento della sua relazione.

FRANCESCO RUTELLI, Ministro per i beni e le attività culturali. Signor presidente, saluto e ringrazio la Commissione: anche la denominazione della Commissione stessa indica quelli che saranno compiti comuni con altri rappresentanti del Governo e che penso voi potrete, per quanto riguarda le funzioni del Parlamento, affrontare in un modo adeguato, incrociando competenze che accomunano le politiche per la cultura con le politiche della ricerca, dell'innovazione, della formazione, della scuola, dell'università ed altre importanti connesse alla comunicazione. Questa Commissione, così come quella del Senato, è veramente un crocevia particolarmente denso e vitale per l'attività del Governo e per il rapporto corretto con il Parlamento. Sono, quindi, lieto, anzi onorato, di inaugurare in questa sede la funzione che mi è stata attribuita nel rapporto con la Camera dei deputati.
Farò un'introduzione «a volo d'uccello», se il presidente è d'accordo, tratteggiando i grandi temi che mi riservo di approfondire rispondendo alle domande che verranno poste dalle colleghe e dai colleghi deputati. Mi avvarrò dell'assistenza del mio Capo di gabinetto, l'avvocato Gabriella Palmieri Sandulli, che è stata fino a pochi giorni fa il Segretario generale dell'Avvocatura dello Stato e che mi coadiuva assieme ad altri valenti collaboratori nell'impegno che ci attende. Sarò, dunque, lieto di rispondere alle vostre domande in libertà, vista la grande importanza dei temi all'ordine del giorno.
Tratterò alcuni principi ed orientamenti ai quali intendiamo ispirarci ed attenerci. Il primo, naturalmente, è quello che scaturisce dal testo della Costituzione: promuovere lo sviluppo della cultura, la tutela del paesaggio, del patrimonio storico


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ed artistico della nazione è tra i principi fondamentali della Carta costituzionale e per noi questa è la bussola, questo è l'orientamento strategico del lavoro che ci attende e che penso dobbiamo svolgere per molte parti assieme. Intendiamo, naturalmente, sgombrare il campo dall'idea che la gestione dei beni culturali e, dunque, la tutela del nostro patrimonio siano una specie di incombenza legata al passato, come se la promozione e la valorizzazione di tale patrimonio possano prescindere dalla tutela e dalla salvaguardia. Sapete che nel nostro paese sono aperte alcune discussioni, tutte assolutamente legittime, che tendono di volta in volta a spostare l'attenzione sul tema di una conservazione che sia non soltanto la missione principale, come ho detto, ma quasi la missione esclusiva della nostra politica culturale.
Viceversa, vi sono polemiche che riguardano la crescita di eventi, di avvenimenti e di mostre, talune di altissimo livello - non sempre lo sono -, e l'idea di intendere il patrimonio culturale in senso piuttosto economico, se non commerciale, che talvolta ha fatto immaginare che si debba alienare, se non cartolarizzare, una parte del patrimonio che invece è indisponibile, perché, come lo abbiamo ricevuto, così lo dobbiamo consegnare migliorato, nel senso della sua tutela e fruibilità, a chi oggi ha la responsabilità di Governo, ossia una generazione che assume una responsabilità pubblica.
È un dibattito - se mi permettete - che ha fondamento in tutti i suoi capitoli, ma in Italia dobbiamo fare insieme tutte queste cose; dobbiamo tutelare e salvaguardare il patrimonio, creare grandi eventi e avvenimenti culturali di profilo internazionale e favorire la conoscenza del patrimonio diffuso. Spesso si parla di un «museo diffuso» nel nostro paese. Qualcuno, scherzando, dice che dobbiamo uscire dal «triangolo dei bermuda», riferendosi alle grandi masse che, con i pantaloncini corti e i sandali, vanno a San Pietro, al Colosseo, agli Uffizi e a Piazza San Marco. Invece, dobbiamo far conoscere l'Italia dei mille borghi, l'Italia degli itinerari storici, artistici, culturali e religiosi, l'Italia delle produzioni tipiche, l'Italia dalle capacità produttive ed economiche straordinarie e dalle straordinarie capacità coesive - fatemelo dire - per quanto riguarda il nostro tessuto nazionale, che pure meritano di essere vissute, conosciute, tutelate e promosse.
Dobbiamo anche migliorare la nostra capacità di reperire risorse private. Ciò non è in contraddizione con l'esigenza di accrescere la capacità del pubblico di fare la sua parte, dalla quale non si può prescindere, perché un paese che destinasse una quota irrisoria del bilancio pubblico alle politiche della cultura sarebbe un paese inconsapevole di ciò che tali politiche valgono e contano, anche per la sua identità.
Non c'è dubbio che dobbiamo anche agevolare e sostenere, attraverso procedure innovative, la cultura. Alla fine degli anni Novanta abbiamo effettuato degli esperimenti che hanno prodotto risultati parziali: per esempio, la defiscalizzazione, ossia gli incentivi fiscali rivolti ai privati, che possono detrarre dalla propria dichiarazione dei redditi una parte a favore della cultura, sia che si tratti di persone fisiche, sia che si tratti di imprese.
Bisogna incentivare le sponsorizzazioni e sostenere la nascita di istituzioni miste, pubbliche e private, per far vivere tutta una serie di istituzioni culturali. Penso ovviamente allo spettacolo e alla musica, non soltanto all'arte e ai monumenti.
Nel dire questo, non possiamo tuttavia nasconderci un punto fondamentale. Vi preannuncio un'iniziativa molto forte volta a stimolare tutte le nuove opportunità che permettano di ampliare il reperimento di risorse, attraverso fondi comunitari pubblici e attraverso la sinergia con tanta parte del settore privato. Ma non possiamo nasconderci che in ogni parte del mondo la cultura innanzitutto è finanziata dal settore pubblico e che in nessuna parte del mondo vi è la possibilità di interventi sulla cultura autosufficienti che non siano fortemente e solidamente sorretti dalla responsabilità pubblica, nel senso più alto e nobile di questo termine, attraverso le


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articolazioni statali, regionali e locali e gli altri enti e soggetti che hanno la responsabilità del settore.
Il nostro problema numero uno è dunque quello di riequilibrare le risorse. Lo dovremo fare insieme. So bene che il Governo si trova davanti traguardi molto difficili, dal punto di vista, caro presidente, della disponibilità di risorse e che si trova di fronte ad urgenti esigenze di aggiustamento dei conti pubblici. Tuttavia, dobbiamo sapere che negli ultimi anni il bilancio della cultura è in rosso, sia per quanto riguarda la tutela del patrimonio, sia per l'attività ordinaria del ministero, sia, infine, per il fondo unico per lo spettacolo, relativamente alla musica, al teatro e al cinema, settori che hanno problemi ed esigenze di cui questa Commissione, in particolare, si è occupata egregiamente e spesso con un approccio bipartisan nella passata legislatura.
Quindi, con una responsabilità mi auguro condivisa, dobbiamo gradualmente correggere tale situazione e riportare la cultura - che, come si evince dai numeri, pesa pochissimo sul bilancio dello Stato - al posto che le compete.
La prima missione è accrescere le risorse attraverso tutte le leve che saranno disponibili: in tale ambito, l'apporto del legislatore è veramente determinante. Il problema del nostro ministero è il gravissimo invecchiamento del personale: l'età media dei dipendenti si attesta intorno ai 55 anni e, se non si bandiscono concorsi, assumendo personale e, soprattutto, giovani tecnicamente specializzati, non saremo in grado di dare le risposte che ci vengono richieste. Anche in questo caso, con gradualità, dobbiamo assorbire, nelle forme opportune, le posizioni di lavoro precario che in alcuni casi si protraggono da troppi anni. Dobbiamo innovare la struttura del ministero attraverso assunzioni mirate e concorsi qualificati, per consentire l'impiego di un certo numero di persone all'altezza della situazione. Ciò, signor presidente, comporta un dialogo molto importante con le università e, in generale, rispetto ai processi di formazione e di specializzazione, che pure la vostra Commissione è chiamata a discutere con altri ministri.
Non faccio polemiche - non è questo il momento - e non esibisco tabelline: le conoscete benissimo e le avete già esaminate. Chi nella passata legislatura, come nelle precedenti, ha fatto parte di questa Commissione conosce bene i dolori e le sofferenze che hanno accompagnato il ridimensionamento delle risorse. Lo ripeto: mi riferisco sia agli investimenti, sia all'attività ordinaria, sia alle politiche per lo spettacolo e specialmente alle attività legate al FUS.
Vorrei, invece, dare un messaggio fondamentale di collaborazione e di impegno comune. La prima scelta che ho operato come ministro è stata quella di indicare nella persona del professor Settis il prossimo presidente del Consiglio superiore dei beni culturali. Tale organo è stato istituito cento anni fa, quando la cultura del paese era molto diversa: compierà cento anni nel 2007. Esso ha accompagnato una visione potrei dire post-risorgimentale della nascita di una concezione unitaria della cultura. Ma oggi vi sono esigenze profondamente diverse: abbiamo bisogno di coinvolgere professioni, rappresentanze sociali, realtà produttive, e non soltanto le virtù accademiche. Credo che dovremmo farlo nel modo che si addice a quell'organismo di alto indirizzo.
Dobbiamo mettere mano al Codice dei beni culturali e migliorarlo con alcune modifiche mirate, volte a risolvere alcuni problemi che restano aperti. Dobbiamo procedere ad una riorganizzazione funzionale del ministero che presenta certamente molte aree di disfunzionalità, sovrapposizione e confusione di competenze.
Vi comunico che nella giornata di oggi ho attribuito le competenze ai tre sottosegretari, che saranno responsabili proprio in base alle aree degli attuali dipartimenti, ciò in modo da avere una unità di indirizzo in ordine a quelle aree, anche se è evidente che nel corso del nostro lavoro riorganizzeremo queste funzioni, cercando di renderle più snelle.


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Non vi nascondo che si sono registrati aggravi dal punto di vista burocratico: vi è un eccesso di passaggi amministrativi e, anche per le attività più semplici, il numero di passaggi amministrativi è assolutamente sproporzionato, inutile ed eccessivo e spesso influisce assai concretamente sulla capacità di spesa.
I sottosegretari sono tre persone di valore. Conoscerete le deleghe nel dettaglio; essenzialmente, l'onorevole Elena Montecchi si occuperà del dipartimento che fa riferimento allo spettacolo, Danielle Mazzonis dei due dipartimenti che sono un po' il core business - mi si passi l'espressione - del ministero, cui sovrintendono il professor Sicilia e il professor Italia, mentre l'onorevole Andrea Marcucci si occuperà del dipartimento cui oggi sovrintende il direttore Proietti e cioè quello relativo all'organizzazione, all'innovazione e, fra l'altro, alle attività internazionali.
Le priorità fondamentali sono quindi le risorse e l'acquisizione di nuove energie a livello centrale e territoriale; noi abbiamo una leva di sovrintendenti, di direttori, di personale tecnico di primissimo rango a livello mondiale. In relazione ai beni archivistici - infatti, non dobbiamo parlare solo dei monumenti, delle aree archeologiche, ma anche dello straordinario patrimonio di conoscenze -, ricordo che quando occasionalmente incontrai un dirigente dell'archivio di Stato e gli chiesi come facessero ad andare avanti data la drammatica situazione del personale, egli mi rispose che si andava avanti con i giovani del servizio civile. A quel punto gli domandai come venissero formati questi ragazzi ed egli mi disse che non si trattava di personale formato, ma di ragazzi volenterosi che davano una gran mano.
È facile quindi rendersi conto che c'é tanto da fare, ma grazie anche all'accenno che vi ho appena fatto potete capire che il servizio civile è una struttura specifica di grande importanza e l'apporto che ci viene dal volontariato, dall'Arma dei carabinieri e dalle associazioni culturali è strepitoso.
Relativamente alla mia esperienza di sindaco di Roma, ricordo che una settimana dopo essere stato eletto mi trovai in difficoltà a tenere aperti i musei capitolini a causa della carenza di personale. Mentre attivavamo il dialogo con le parti sociali per concordare la riorganizzazione dei ruoli, delle funzioni del personale ci siamo avvalsi per molti mesi degli anziani, del volontariato fornitoci dall'Auser; quindi, un panino e una bibita al giorno ci aiutarono a tenere aperti alcuni dei luoghi più cari a tutte le persone di cultura e - direi - a tutti i cittadini del mondo. Anche in questo caso, quindi, c'è bisogno di integrare, ma non dobbiamo dimenticarci che occorre essere autosufficienti; infatti non possiamo affidarci a situazioni occasionali per far vivere le nostre istituzioni.
L'Archivio di Stato, così come i grandi archivi del territorio e le grandi biblioteche, ha bisogno di personale adeguato, formato e in grado di reggere una missione che non diminuisce, non si restringe, ma anzi cresce, si amplia e diviene sempre più sofisticata, complessa, importante.
Esprimerò un'ultima considerazione e poi avrò modo di rispondere su tutti gli argomenti specifici legati ai temi che, come ho detto prima, ho affrontato veramente, signor presidente, a «volo d'uccello»: mi riferisco al tema del turismo. Mi è stata donata un'inserzione che è apparsa su gran parte dei giornali italiani; questo che ho con me è un settimanale popolare di grande diffusione che evidenzia il legame tra la cultura e le attività turistiche. È raffigurata una famiglia che va in bicicletta e il tutto è intitolato «Sorridi sei in Galizia». È presente in questa immagine il logo della Spagna e cioè lo schizzo di Mirò, che rappresenta per la penisola iberica il simbolo che da anni si è affermato in tutto il mondo.
Non possiamo chiedere ai turisti italiani, tanto più ai turisti che vengono nel nostro paese, di conoscere l'articolazione del nostro ordinamento. Però, come vedete, gli spagnoli lo fanno bene perché spiegano cos'é la Galizia - una regione autonoma dai grandi poteri e dal grande orgoglio autonomistico: lì, tra l'altro, si trova Santiago di Compostela - e collocano


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la fisionomia del turismo culturale e religioso nell'ambito di una strategia nazionale.
Come sa bene anche la Commissione, poiché con il suo presidente abbiamo parlato dell'opportunità di incrociare le competenze in materia di turismo tra questa Commissione e quella delle attività produttive, ho chiesto e ottenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri che la responsabilità del turismo tornasse alla Presidenza del Consiglio dei ministri come coordinamento; ciò proprio perché si tratta di una competenza trasversale che riguarda attività produttive, infrastrutture, ambiente e cultura.
Non ci nascondiamo quale sia il profilo prevalente dei turisti che vengono in Italia, che rappresenta il punto di crescita più elevato: il turismo culturale non è il primo turismo nel nostro paese, che resta invece quello balneare, insieme ad altri segmenti fondamentali. Sappiamo però che anche il turismo balneare interagisce in modo strepitoso con le capacità del turismo culturale e le altre opportunità che offre il nostro paese.
Oggi il valore aggiunto più alto viene dato, in termini di ricchezza, di occupazione e di identità, dal turismo culturale. Non intendo, nelle mie nuove funzioni, portare le politiche del turismo all'interno dei beni culturali, anche se tecnicamente ci sarà una direzione che farà riferimento ai beni culturali, ma in qualità di Vicepresidente del Consiglio cercherò di creare una sinergia che farà molto leva sulle politiche per la cultura.
Permettetemi di dire che la pubblicità che vi ho mostrato è eloquente. Noi dobbiamo dare il messaggio dell'Italia, per quanto riguarda il turismo ed il turismo culturale. All'interno di questo messaggio, dobbiamo poi far sì che ciascun territorio, che ha i suoi organismi (e sappiamo bene che in materia di turismo la competenza delle regioni è esclusiva!), promuova i propri atout, le proprie qualità.
Ci tenevo però a chiarire, anche dal punto di vista istituzionale (e, se vorrete, potrò precisarlo meglio), che l'obiettivo che abbiamo è appunto quello di integrare politiche, di farlo come Presidenza del Consiglio, facendo leva attraverso questa coincidenza importante, ovvero il fatto che il ministro per i beni e le attività culturali ha oggi la delega per il turismo in quanto Vicepremier, e dunque è al lavoro e sarà al lavoro con tutti i suoi collaboratori per valorizzare una opportunità formidabile per il nostro paese, fatta, ripeto, di identità, ma anche di creazione di ricchezza e di lavoro. Vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor ministro, anche per la sintesi con cui ha illustrato le linee programmatiche.
Do la parola ai colleghi che intendano formulare quesiti o esprimere osservazioni.

NICOLA BONO. Signor ministro, lei è riuscito a stupirmi questa mattina, perché avevo letto alcune sue dichiarazioni, appena insediato, circa le linee programmatiche per l'attività del suo ministero, e le avevo trovate francamente un po' fumose, un po' superficiali e un po' approssimative, ma oggi è riuscito a battere perfino quella impressione. Credo non si trattasse, in questa sede, di scegliere fra una sintesi ed una logorroica relazione su quello che si vuole fare. Si trattava di far capire in primo luogo come si vuol intervenire, e lei questo non lo ha fatto capire assolutamente.
Il primo incontro con le Commissioni parlamentari si dovrebbe articolare sulla impostazione del Governo in ordine ai suoi obiettivi, i quali non vanno solo elencati, ma anche spiegati per grandi linee. Soprattutto, andrebbe spiegato come si vuole arrivare a raggiungere quei risultati, e questo francamente non è emerso dalla sua relazione. Allora, mi permetto di farle alcune domande, per capire un po' meglio, se possibile, le sue linee di orientamento.
Comincio da una dichiarazione, che oggi lei non ha ripetuto, ma che ho letto in precedenza: lei ha parlato di un profondo rimaneggiamento del Codice dei beni culturali. Questo codice è nato nel clamore di grandi polemiche, di grandi


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proteste: c'è stato (lei lo ha accennato per altra questione) chi diceva che serviva ed era funzionale alla svendita del patrimonio nazionale. Qualcuno ha ricordato, Totò, che in un famoso film, cerca di vendere la Fontana di Trevi all'americano di passaggio, tra l'altro sbagliando pure l'esempio perché Totò, in quella scena, voleva vendere la Fontana di Trevi in considerazione del reddito che si sarebbe tratto dalle monetine raccolte tutti i giorni, mentre l'accusa di svendita era riferita semplicemente all'obiettivo di fare cassa e cercare di fronteggiare così le carenze dell'erario. Ora lei propone di rimaneggiare in maniera profonda questo codice, che, in due anni, non ha consentito la vendita di alcunché, che non ha determinato alcuna deturpazione ed ha dimostrato di essere, a parere di tutti gli esperti di settore, una efficiente, moderna ed intelligente normativa, che riesce a mettere insieme tutela e valorizzazione del patrimonio a livello mondiale, copiata per altro da diversi altri paesi. Nessuno ha mai ritenuto di chiedere scusa per le stupidaggini dette quando fu varato.
Vorrei capire quali siano, a suo avviso, i punti del codice che non funzionano e come intenda modificarli, per vedere quali possano essere le ricadute di una tale iniziativa.
Lei ha fatto cenno alle polemiche sollevate a proposito della concezione mercantile o meno del patrimonio culturale. C'è una polemica in atto in queste settimane sul cosiddetto «bene-culturalismo», che viene definito da alcuni come una sorta di morbo che aggredisce il concetto stesso di sacralità del nostro patrimonio culturale e dei suoi valori, rispetto ad una presunta esigenza di avere dalla gestione del bene culturale una ricaduta di carattere economico. All'interno di questa visione, al di là degli slogan, desidero capire il ministro dei beni culturali che concezione abbia della gestione del patrimonio culturale in rapporto al codice. Veda, il Codice dei beni culturali, tra le varie questioni, ne ha introdotta una fondamentale, che è quella di distinguere la tutela dalla gestione, nel senso che la tutela rimane una competenza esclusiva dello Stato, dando la garanzia che la gestione avvenga entro i limiti, i contorni, i condizionamenti e le garanzie che ne conseguono.
Tra l'altro, in un paese come l'Italia, considerato il rapporto tra il patrimonio culturale che appartiene allo Stato e quello dei privati, non si scopre l'acqua calda nel momento in cui si afferma un principio, che è elementare: il patrimonio culturale va innanzitutto tutelato, valorizzato, fruito e occorre creare anche le condizioni, laddove possibile, per determinare quelle ricadute economiche e sociali, che la consistenza e la dignità dello stesso patrimonio impongono, purché si abbia la capacità di pensare a politiche sostenibili. Rinunciare a questo significa fare un danno oggettivo al paese. Cosa ne pensa il ministro di questo aspetto? Ritiene che questo si possa fare?
Onorevole Rutelli, chi ha mai sostenuto che il capitale privato debba sostituire il capitale pubblico? Nessuno mai ha dichiarato una cosa del genere! Il Governo di centrodestra, che ha preso atto delle difficoltà congiunturali e, quindi, delle esigenze di bilancio generale, che si sono ripercosse in tutti i settori, ha cercato risorse aggiuntive, statali e pubbliche, e ha cercato di trovare strumenti idonei per «iniezioni» di capitale privato nel settore dei beni culturali.
Desidero sapere se il ministro per i beni e le attività culturali in carica sia intenzionato a seguire la strada della individuazione di nuovi strumenti, e quali, per incrementare la disponibilità di risorse economiche a sostegno delle attività di tutela del patrimonio culturale e di attività culturali latu sensu, cioè a sostegno delle attività del cinema, del teatro, della danza, della musica e quant'altro.
A suo tempo ci abbiamo pensato e abbiamo individuato degli strumenti, tra cui, per esempio, l'Arcus. In proposito ho letto parecchie cose, signor ministro; ho letto anche di una sua posizione di attenzione nei confronti di questo strumento.
Non ho alcuna difficoltà a pensare che delle modalità di gestione della Arcus si


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possa discutere e che si possano trovare forme per migliorare la portata della sua azione; tuttavia, credo sia indiscutibile che si tratti di uno degli strumenti che hanno fatto in modo che il settore dei beni culturali ottenesse risorse aggiuntive.
Allora, mi sembra molto difficile mantenere il 3 per cento delle risorse destinate alle opere pubbliche per le attività di carattere culturale assorbite dalla Arcus senza quest'ultima. Inoltre, non possiamo pensare che l'Arcus divenga - come mi pare di aver capito da alcune sue dichiarazioni, signor ministro - una sorta di fondo di riserva dei beni culturali: istituzionalmente e concettualmente, l'Arcus non può essere una sorta di fondo aggiuntivo alle risorse dei beni culturali! O ad essa si attribuisce una funzione strategica diversa - e in ordine alle modalità di attuazione di tale funzione strategica abbiamo il dovere di interrogarci tutti, perché nessuno è convinto a priori del fatto che le scelte di merito finora effettuate siano tutte valide -, oppure dobbiamo capire cosa occorra fare. Signor ministro, onestamente, lei non ha neanche menzionato questo aspetto tra quelli da approfondire.
Quindi: quali strumenti per reperire nuove risorse? Con quali mezzi si ritiene di poter dare risposta alle esigenze di maggiori capitali da investire nella gestione della cultura nazionale?
Quanto al turismo, io credo, signor ministro, che l'unica nota positiva - desidero sottolineare che si tratta di un'idea intelligente e valida del Governo di centrosinistra - sia quella di abbinare il turismo ai beni culturali. Per quanto mi riguarda, si tratta di una vecchia battaglia che ho sostenuto per molto tempo. Ora, prendo atto che è stato fatto, con rammarico perché l'avete fatto voi, ma con grande soddisfazione, perché si coglie, in tal modo, un aspetto strategico ed importante della gestione dell'economia del nostro paese.
Tuttavia, mi sfugge la spiegazione di un fatto: non si può - con tutto il rispetto - venire in Commissione ad esibire un manifesto della Galizia...! Se lei vuole, signor ministro, gliene porto altrettanti, anche molto più belli, realizzati, negli ultimi venti anni, dalla Sicilia o - che so? - dal Trentino o da altre regioni italiane. Non abbiamo nulla da imparare dalla Galizia per quanto riguarda i manifesti pubblicitari! D'altra parte, questa Commissione non si riunisce per discutere sulle strategie di marketing per il turismo: semmai, noi facciamo le leggi per agevolare il marketing; (forse, questo le era sfuggito...). Ma non è questo il punto.

FRANCESCO RUTELLI, Ministro per i beni e le attività culturali. Se mi permette, ho soltanto detto che converrebbe al nostro paese avere un marchio nazionale del turismo...

NICOLA BONO. Ci stavo arrivando!

ROBERTO GIACHETTI. Lui capisce dopo...!

FRANCESCO RUTELLI, Ministro per i beni e le attività culturali. ...oltre che i venti marchi delle regioni, che sono fondamentali (come quello della Galizia), ed i centotto delle province.
A tale proposito, ricordo l'episodio che raccontò, una volta, il mio buon Presidente del Consiglio, Romano Prodi: sbarcato all'aeroporto di Dubai, prima di ogni altro cartellone, si imbatté in un grande manifesto in cui campeggiava la scritta: «Visitate la Basilicata»! Ora, prima di arrivare in Basilicata, e persino a Roma, bisogna arrivare in Italia. Questo è mancato nel nostro paese (vale per il Trentino e per parte dei territori che ciascuno di noi ama). Le chiedo scusa.

NICOLA BONO. Prego, signor ministro! Anzi, apprezzo la capacità di relazionarsi in questo modo.
Non mi era sfuggito il senso dell'esibizione del manifesto: l'avevo trovato inopportuno (ma questo è un altro paio di maniche) e, soprattutto, avevo trovato inconsistente il modo in cui si vogliono perseguire gli obiettivi. La mia opinione è che non si possono pubblicizzare la Basilicata,


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il Molise o le altre regioni, perché, nel mondo, le uniche due regioni italiane note ed individuate sono la Sicilia e la Toscana! Le altre regioni non sono individuabili per quello che sono.
Il problema non è il brand italiano: il problema è che, nel nostro paese, dobbiamo individuare un meccanismo per fare rete, perché abbiamo una molteplicità di centri decisionali.

PRESIDENTE. Onorevole Bono, non abbiamo stabilito dei tempi, ma i colleghi che intendono prendere la parola sono molti. Poiché lei sta già parlando da quindici minuti...

NICOLA BONO. Non è mia intenzione monopolizzare il dibattito...

PRESIDENTE. Il mio è soltanto un invito, proprio in considerazione del fatto che molti colleghi, anche dell'opposizione, desiderano intervenire, a lasciare spazio anche agli altri.

NICOLA BONO. La ringrazio per la puntualizzazione, signor presidente, ma, sebbene non voglia parlare più di tanto, credo che alcune cose vadano dette. Sto rivolgendo alcune domande al ministro e non vorrei che si comprimesse la possibilità che si realizzasse uno scambio di vedute.
Tra l'altro, il mio intervento è inversamente proporzionale a quello del ministro: se il ministro avesse svolto una relazione più ampia e diffusa, allora sarei intervenuto per un tempo più breve!

FRANCESCO RUTELLI, Ministro per i beni e le attività culturali. Non ne sarei sicuro...!

NICOLA BONO. Il dato che volevo evidenziare, quindi, era che la molteplicità dei centri decisionali esistenti nel settore del turismo comporta l'esigenza di adottare una strategia per fare «rete». Ecco il motivo per cui ritenevo importante porre sotto un'unica direzione turismo e beni culturali, tenendo conto della competenza esclusiva delle regioni, di tutto ciò che occorre fare e delle modalità di azione.
Tuttavia, siccome il brand riguarda l'Agenzia del turismo, mentre la strategia «a rete» riguarda il Comitato per il turismo, non può sfuggire né a questa Commissione, né a lei, signor ministro, che esistono organismi nell'ambito dei quali si è già tentato di mettere tutti i soggetti istituzionali competenti intorno ad un tavolo, ed è in quella sede che va definita una proposta.
In questo senso, allora, qual è la sua proposta, signor ministro? Soprattutto, qual è la sua proposta in ordine all'anarchia, assolutamente intollerabile, costituita dalla proliferazione dei ticket nelle città d'arte? Stiamo arrivando a forme di schizofrenia, poiché vi è qualcuno che teorizza l'ingresso ai musei gratis (qualcuno, poi, mi deve spiegare perché ciò debba essere gratuito in Italia, mentre è a pagamento in tutto il resto del mondo); ricordo, peraltro, che abbiamo già una normativa, diffusissima, che consente a numerose categorie di ottenere (meritoriamente) ingressi ridotti o gratuiti.
Non accetto la logica degli ingressi gratuiti nei musei, e rifiuto e rigetto anche l'ipotesi di pagamento dei ticket per l'ingresso nelle città d'arte. Ma cosa vuol dire ciò? Gestendo in questo modo il turismo, stiamo ormai trasformando l'Italia una sorta di paese medievale, nel quale si doveva passare da una castello all'altro, o da un feudo all'altro, pagando balzelli doganali!
Vorrei altresì ricordarle, signor ministro, che, proprio questa mattina, un articolo comparso su La Repubblica faceva riferimento al fatto che, ad esempio, per far entrare un pullman a Roma si paga un ticket che può arrivare fino a 650 euro (mentre costa 310 euro a Venezia o 230 a Firenze). Spesso, tutto ciò viene deliberato a ridosso della stagione estiva, per cui i tour operator non sono neanche in grado di prevedere, nell'ambito della vendita dei loro «pacchetti», l'ammontare di tali costi. Vorrei segnalare che, sempre più spesso, assistiamo a «collette» promosse dalle


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compagnie turistiche dinanzi all'ingresso delle città, per raccogliere fondi aggiuntivi.
Si tratta di un boomerang terribile per l'immagine del nostro turismo, e ritengo che ciò abbia una priorità assoluta rispetto alle scelte che vanno compiute per sostenere la nostra attività principale, vale a dire la promozione del nostro paese...

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Bono...

NICOLA BONO. Sto concludendo, signor presidente. Non ho visto...

ROBERTO GIACHETTI. Dobbiamo trovare un modo per procedere!

NICOLA BONO. Scusate, se volete che non parliamo neanche in questi casi...

PRESIDENTE. No, no...

NICOLA BONO. ...vi sbagliate di grosso, perché voi avete fatto molto peggio...

PRESIDENTE. No, onorevole Bono...

NICOLA BONO. ...e noi, se vogliamo, sappiamo fare molto di meglio (Commenti del deputato Giachetti)!

PRESIDENTE. No, no! Onorevole Bono, non è questo il tema...

NICOLA BONO. Quindi, non cominciamo a porre problemi di tempi (Commenti del deputato Giachetti)...

PRESIDENTE. Onorevole Bono, permetta un attimo al presidente della Commissione di intervenire.
Siamo in sede di audizione - e ne avremo molte - ed ho evitato di fissare dei tempi per gli interventi, come sarebbe possibile fare in linea teorica. Semplicemente, ho rivolto a lei un cortese invito a concludere, onorevole Bono, visto che sta intervenendo da ormai 20 minuti. Dal momento che abbiamo a disposizione un lasso temporale limitato, ed hanno chiesto di parlare numerosissimi deputati dei gruppi di opposizione, compresi altri del suo stesso gruppo, per distribuire equamente il tempo disponibile o vi è una autoregolamentazione dei colleghi e delle colleghe, oppure dovremmo ripartire i tempi per gli interventi.
È solo questa l'osservazione che mi permetto di formulare: si tratta di un invito cortesissimo a concludere il suo intervento, esponendo ciò che aveva intenzione di affermare.

NICOLA BONO. Signor presidente, io sono disponibile, e lei lo sa (Commenti)...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Bono, ma vorrei segnalare che il ministro Rutelli ha dichiarato di essere disponibile per un paio d'ore, e quindi potrà rimanere fino alle ore 16...

FRANCESCO RUTELLI, Ministro per i beni e le attività culturali. Anche fino alle 16,20, signor presidente.

PRESIDENTE. Benissimo: possiamo proseguire l'audizione fino alle ore 16,20. Resta inteso, come è accaduto in altre circostanze (mi viene d'aiuto anche il deputato Adornato, che ha ricoperto prima di me l'incarico di presidente della VII Commissione), che, nell'eventualità in cui non potessimo concedere la parola a tutti coloro che l'hanno chiesta, il ministro Rutelli replicherebbe oggi per i quesiti posti nella seduta odierna e successivamente fisseremmo una nuova data per il prosieguo dello svolgimento dell'audizione.

NICOLA BONO. Signor presidente, lei sa che sono una persona disponibile e ragionevole: gliel'ho dimostrato in questi giorni e credo che glielo dimostrerò ulteriormente. Il mio non è un intervento ostruzionistico, non dobbiamo, infatti, votare. Sto ponendo una serie di questioni che ritengo fondamentali e sto ponendo questioni diverse, non sto ripetendo concetti, non sto perdendo tempo. Vi è modo e modo per capire quando vi sono interventi che debbono essere interrotti e quando vi sono interventi di sostanza, che


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debbono essere ascoltati. Ribadisco, dunque, che non voglio far perdere tempo. Come lei, signor presidente, ha giustamente rilevato, un'audizione si può anche articolare in più di una seduta, non è necessario esaurirla in un solo giorno. Non accetto, tuttavia, il principio che, quale gruppo di opposizione, si debba essere costretti ad autolimitarsi nelle modalità di espressione, quando non vi è alcuna finalità ostruzionistica, ma è oggettivamente l'entità delle questioni a comportare tempi congrui.
Riguardo al FUS, non ho capito quale tipo di intervento intenda porre in essere il ministro per recuperare risorse, al di là delle dichiarazioni di principio, ma soprattutto non ho compreso se egli ha intenzione di riformare i criteri di distribuzione delle risorse, che sono il cuore del problema. Non tanto, dunque, e non solo più risorse, ma come esse vengono utilizzate. Nell'ambito di tale problema vi è, poi, quello - fondamentale - del risanamento delle fondazioni liriche su cui il Governo precedente ha posto in essere molte - e, credo, corrette - iniziative, ma non ha completato il quadro.
Per quanto riguarda la riforma dello spettacolo dal vivo, ci domandiamo se si possa partire, a giudizio del ministro, dal testo che era stato definito in Commissione, alla fine della scorsa legislatura, che aveva riscontrato un corale consenso da parte di tutte le forze politiche. Ritengo che partendo da tale testo, potremmo giungere velocemente ad una soluzione positiva, per riformare finalmente lo spettacolo dal vivo.
Per quanto riguarda la legge del cinema, il ministro vuole modificarla, o no? Sul festival del cinema, voglio rilevare che il festival di Roma sta facendo l'«antropofago» nei confronti di tutti gli altri. Il ministro che pensa di ciò? È un dato che deve essere sostenuto, oppure messo in discussione? È possibile svolgere una riflessione più corretta in merito?
Per quanto riguarda, ancora, la legge sull'editoria, per la diffusione della lettura, per il sostegno della lingua italiana all'estero, essa è una tra le priorità, è un elemento fondamentale. Non si tratta di parlare delle biblioteche o del loro personale, che pure è argomento fondamentale, ma di capire se ci vuole dotare di uno strumento a regime per promuovere la nostra produzione editoriale ed allargare lo striminzito «zoccolo duro» di lettori che vi sono storicamente nel nostro paese.
Circa gli archivi, concordo con lei, signor ministro, su tutto ciò che ha detto, ma le ricordo che vi è un progetto ambizioso: l'archivio multimediale del Mediterraneo, già avviato. Su tale progetto il ministero ha intenzione di insistere, o no?
Infine, signor ministro, abbiamo raggiunto, nel corso della nostra legislatura il primato quale paese avente il maggior numero di siti nella lista del patrimonio Unesco. Su tale tema occorre un'attenzione particolare, anche perché strettamente connesso all'obiettivo dello sviluppo del turismo culturale. Quali orientamenti ha il ministro per sostenere e potenziare il primato raggiunto in ambito Unesco dal nostro paese?

PRESIDENTE. Abbiamo, dunque, chiarito quali sono i tempi della discussione. È lontana dal presidente l'idea di limitare in alcun modo la discussione. Tuttavia, il deputato Bono ha parlato quattro minuti più del ministro. Dobbiamo, dunque, capire come ci vogliamo organizzare. Lo ripeto, non ho alcuna intenzione né di conculcare né di limitare, ma di ordinare, per permettere, ad esempio, che in questa prima seduta - pur potendo essere proseguita - possano parlare almeno un rappresentante per gruppo. Ciò mi sembra garantire a tutti un diritto democratico. Resto, quindi, dell'idea di non fissare tempi determinati, ma invito i colleghi e le colleghe a concentrarsi, in modo che si possa utilizzare l'ora e mezza che abbiamo ancora a nostra disposizione nel modo più utile.

FERDINANDO ADORNATO. Signor presidente, nessuno meglio di me capisce le sue «spine», ma credo che in genere, in questi casi, sia saggio ciò che lei ha affermato, ossia che se vi è la possibilità di


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più sedute - e la disponibilità del ministro, in merito, mi sembra non mancare - il problema della tempistica può risolversi in tal modo.
Cercherò, in ogni modo, di essere breve, procedendo «per titoli» e riservandomi di svilupparli in una prossima seduta. Signor ministro, a mio avviso, vi dovrebbe essere una «prossima volta», al di là della questione dei tempi.
Signor ministro, ho apprezzato moltissimo la tempestività con la quale lei ha scelto insieme al presidente di venire in Commissione, però è del tutto evidente, ma non gliene faccio minimamente una colpa, che deve avere il tempo di prendere possesso del ministero. Immagino quindi che la sua relazione di oggi sia solo propedeutica ad una più generale, nella quale vedere in modo più preciso gli impegni ai quali lei intende assolvere. A questo proposito, mi consenta di cominciare facendole gli auguri per il suo lavoro, che non è facile.
Lei non avrà da noi un'opposizione preconcetta. Non ripeteremo quello che in parte il centrosinistra ha fatto nella scorsa legislatura, anche se devo precisare non in Commissione, ma nella polemica politica generale. In Commissione invece, come lei ha ricordato, ci sono state diverse occasioni e diverse possibilità di colloquio, di dialogo ed anche di operatività comune.
Consideriamo positivo il fatto che lei sia Vicepresidente del Consiglio dei ministri, oltre che ministro per i beni e le attività culturali, anche se lei è sufficientemente esperto per sapere che questa può essere un'arma a doppio taglio, perché lei avrà tante cose di cui occuparsi: lei dà peso al Ministero per i beni e le attività culturali, ma vi è un rischio - questo dipende da lei, non è una questione obiettiva - che abbia minore tempo da dedicare al ministero. Apprezziamo però che lei abbia scelto di esercitare il ruolo di Vicepresidente del Consiglio dei ministri, scegliendo il Ministero per i beni e le attività culturali. Non ci convince invece lo «spacchettamento». In questa Commissione, nella scorsa legislatura seguivamo le competenze di due ministeri e mezzo: beni e attività culturali, istruzione e «mezzo» ministero delle comunicazioni. Adesso invece ne abbiamo quattro e mezzo: beni e attività culturali, sport, istruzione, università e ricerca, e sempre «mezzo» comunicazioni. A mio modo di vedere, ciò non aiuterà il lavoro del Governo in questi delicati terreni.
La situazione è molto complicata - e quindi gli auguri erano davvero sinceri -, perché di fatto i settori della cultura e dell'istruzione sono rimasti negli scorsi anni, forse anche decenni, pressoché fermi. Il centrodestra è un soggetto giovane - questa è la prima considerazione che vorrei fare di carattere politico - e dunque, un po' per questo e un po' per motivi storici del nostro paese, ha scarsa consuetudine con gli apparati culturali, anche perché questi sono dominati in modo più evidente da una tradizione diversa da quella che il centrodestra rappresenta.
Il centrosinistra ha troppa consuetudine con gli apparati culturali ed ha finito per limitarsi ad accontentarsi di gestire il consenso nei settori della cultura, non producendo innovazione. Quindi, nel primo caso considero in qualche misura miracoloso il lavoro fatto dal precedente Governo, in particolare dal precedente Ministero per i beni e le attività culturali, perché una coalizione che aveva scarsa consuetudine con questi terreni è riuscita ad imporre un'innovazione; poi questa si potrà analizzare e giudicare, ma comunque si è riusciti ad imporre un'innovazione, pur non avendo ascolto per esempio sui fondi. D'altronde la situazione era difficile ieri e sarà difficile per lei oggi. Peraltro siamo contenti che lei sia Vicepresidente del Consiglio, anche perché forse riuscirà ad ottenere qualcosa in tal senso da parte del Governo. Su questo ho letto sulle sue labbra uno «speriamo». Mi creda, non c'è nessuna strumentalizzazione politica, perché lo spero anch'io, lo speriamo anche noi davvero. La situazione sarà difficile, però il suo ruolo può aiutarla.
Il risultato di questa equazione politica, che ho cercato di rappresentare, di scarsa


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consuetudine da una parte e di eccessiva consuetudine dall'altra, è stato a mio avviso un po' una paralisi dell'innovazione. Non è che non si sia fatto nulla, del resto anche il nostro Governo ha fatto parecchio, ma in generale si può dire che l'atteggiamento di interesse per l'Italia rispetto a questo ministero, così come anche quello dell'istruzione, è un elemento su cui riflettere. Al riguardo, mi consenta una parentesi. L'istruzione sembra un settore irriformabile: ci prova il ministro Berlinguer e non ci riesce; ci prova il ministro Moratti e non ci riesce. Forse c'è qualcosa di più, che travalica la responsabilità dei due ministri. In questi settori della cultura e dell'istruzione c'è forse un atteggiamento generale del paese, di corporativismo, di chiusura e di scarso interesse all'innovazione.
Io credo, dunque, che il primo suo banco di prova, da questo punto di vista, sia proprio una concezione generale di gestione del ministero (intendo dire dei terreni di competenza del ministero e non, ovviamente, dei funzionari interni), che è quella dello svecchiamento, perché il risultato è quello di vecchiezza, oltre che di vecchiaia, del nostro atteggiamento generale, di classe politica e dirigente sui beni culturali e su tutto lo spettro delle questioni ad essi connesso.
Vengo ora ad una seconda riflessione generale: la filosofia dominante degli ultimi decenni è stata quella che comunemente chiamiamo post modern. Ebbene, io credo che il post modern (che è stata un po' la cifra che hanno usato anche gli organizzatori degli eventi, cui si è fatto riferimento in tantissime circostanze) è discutibile - ma non ho il tempo qui di farlo - che fosse una filosofia adeguata ai tempi, ma sicuramente - questo mi sento di dirlo con maggiore precisione - è superata; e, in ogni caso, ci fa correre un rischio molto grosso, che è quello di vivere la cultura come evento, sottraendo però alla cultura quello che è storia e narrazione, anche nel rapporto col passato.
Non ho nulla contro il vivere la cultura come evento - mi piace - ma, secondo me, la filosofia generale di questo paese non può essere solo questa. Il rapporto con il passato, anche nella fruizione dei beni culturali, è una circostanza importante: non si può andare a vedere una mostra di Antonello da Messina e decontestualizzarla o viverla con ignoranza generale riguardo al resto. Non c'è nessuna accusa nei confronti di chi la organizza, né nei confronti di chi ci va: credo e spero di non essere equivocato sul fatto che c'è un problema di filosofia generale.
Da questo punto di vista, io mi domando che tipo di rapporto il suo ministero debba tenere con il Ministero dell'istruzione, se non vi sia qui un terreno nuovo da esplorare - o, perlomeno, da esplorare di più o meglio di quanto si fosse fatto finora - del rapporto tra un ministero come quello dei beni culturali e quello dell'istruzione. Troppi eventi poco cultura: secondo me questo può essere uno slogan degli ultimi decenni; e l'elevazione culturale del paese, da questo punto di vista, mentre aumenta la fruizione di alcuni eventi, decade, c'è un decalage.
Mi fermo qui per quanto riguarda queste due riflessioni generali e le elenco alcuni dati precisi (le consideri anche come questioni o domande, come preferisce). Innanzitutto il Codice dei beni culturali; anch'io penso, come l'onorevole Bono, che sarebbe necessario analizzare meglio questo strumento, al quale tra l'altro ha lavorato Settis, che credo possa essere anche un elemento di continuità rispetto al codice stesso. Non sono un esperto al dettaglio di questa materia, però mi è sembrato, lo diceva anche Bono, nell'impianto una novità (pur correggibile, come tutto). Lì io visto un'innovazione: se poi sia stata fatta bene al cento per cento o al settanta per cento, questo lo si può vedere insieme, ma sul punto la inviterei a riflettere con attenzione (se pensa ad eventuali modifiche) perché l'impianto con il quale è stato fatto è serio e Settis ed Urbani mi hanno garantito questa serietà.
Altra questione, il FUS: nella precedente legislatura si è tentato di cambiare il sistema del finanziamento al cinema (adesso parlo solo del cinema), ma non credo che ci si sia riusciti del tutto.


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Personalmente, avevo un'altra filosofia che sottoposi privatamente (perché nel ruolo di presidente non volevo intervenire nel merito) ai ministri che si sono succeduti. Ritengo che bisogna uscire da un equivoco in modo molto netto: se si ha una concezione liberale, lo Stato non deve finanziare il cinema ma se si passa ad una concezione più realistica e pragmatica, se lo Stato non finanzia il cinema, il cinema italiano non esiste (per motivi che adesso è troppo lungo elencare). Si può scegliere la prima strada, ma ci vuole una riconversione produttiva molto forte. Se si sceglie però la seconda, e lo Stato deve produrre il cinema, ma allora che sia produttore a pieno titolo! Non si può essere produttori sostenendo la spesa e rinunciando agli incassi. L'ho detto in modo molto rozzo, se vuole, ma mi premeva segnalarle il problema, adesso, non la soluzione.
Non si tratta solo della questione di chi è più o meno amico - questo può semmai essere un dettaglio - bensì della filosofia stessa con cui noi aggrediamo il problema, che non è convincente. Il Governo precedente ha fatto un passo avanti importante ma ritengo che serva uno sforzo ulteriore in questa direzione (ne avevamo già discusso in Commissione durante lo scorso periodo).
Un'altra questione che vorrei porre alla sua attenzione, essendo lei vicepresidente del Consiglio, insieme all'onorevole Massimo D'Alema, non ha mai destato troppo interesse se non nel sottoscritto e riguarda gli istituti italiani di cultura: si tratta di capire chi li gestisce e che cosa devono fare. Infatti, essi dipendono dal Ministero degli esteri ma, per alcuni versi, anche da quello competente per la cultura. Mi auguro che la sua gestione riesca a risolvere tale questione. Personalmente, penso che debbano dipendere dal Ministero che si occupa delle attività culturali, naturalmente in rapporto con le nostre ambasciate, ma seguendo una filosofia che deve ritrovarsi in quella politica e culturale del Governo (non parlo della politica diplomatica ma della politica culturale del nostro paese).
Ciò detto, mi rivolgo ora direttamente al presidente per ricordare che in merito alla gestione sportiva, nella scorsa legislatura, è stato fatto un lavoro bipartisan encomiabile e se il mondo del calcio avesse aderito alla riforma da noi proposta, forse (lo dico anche per interesse personale posto che tifo per la Juventus), non si sarebbero verificate alcune delle circostanze cui tutti abbiamo assistito. Anche in questo caso mi preme osservare che l'innovazione non è di casa: c'è vecchiezza e vecchiaia (non parlo di fenomeni che non conosco)! Forse, signor presidente, potremmo riprendere insieme quel lavoro cominciato.
Infine, permettetemi di notare come ciascun ministro che arriva ad occupare la poltrona su cui siede lei oggi, ripete la stessa frase riguardo al turismo: lo hanno fatto Urbani, Buttiglione (anche se per un periodo più breve di gestione) e, giustamente, lo ha fatto anche lei.
Senza meno, si tratta di considerazioni ineccepibili, che condivido - particolarmente quella sul marchio italiano - ma, più in generale, il problema non viene affrontato né dal Governo né, tanto meno, dalla classe dirigente del paese (per classe dirigente intendo non solo la classe politica ma anche quella imprenditoriale, che è molto più incline a sponsorizzare eventi post modern piuttosto che ad occuparsi della crescita culturale del paese): benemeriti i fondi per gli eventi ma l'altro problema non può essere accantonato.
C'è, per esempio, la questione che riguarda le infrastrutture e la loro gestione. A parte le polemiche di carattere politico - in questa sede non mi interessa sapere se deciderete di bloccarle o meno - è chiaro che ogni piano per le infrastrutture deve essere collegato anche con uno volto all'espansione del turismo: le strade per arrivare in certi luoghi e l'uso delle infrastrutture nei medesimi sono due problemi intrecciati. Quindi, vorrei sperare che tale questione possa venire affrontata: ne dubito - con tutta onestà - perché il problema non riguarda lei bensì tutta la classe politica e dirigente del paese. Tuttavia, è chiaro che qui c'è la «California


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italiana» ed anche in un periodo nel quale si parla di mancanza di risorse, di necessità di unire il rigore allo sviluppo, un atto di coraggio da questo punto di vista, di investimento sul terreno del turismo e della cultura quale volano economico - ma anche culturale - per l'immagine del paese sarebbe davvero una novità. Dubito che ciò possa avvenire per motivi politici generali ma non vorrei fare della propaganda perché si sa ciò che pensiamo di questo Governo e della sua nascita. Mi rivolgo invece a lei direttamente per invitarla a mettere in campo tutte le energie e le risorse intellettuali e politiche di cui dispone - dirigendo anche un partito della coalizione - affinché la questione esposta venga tematizzata. Se lei farà ciò, non incontrerà da parte nostra, così come su tanti altri temi, alcuna opposizione preconcetta. Viceversa, incontrerà un'opposizione ferma e significativa.

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Adornato e ne approfitto per dargli una risposta. Proprio perché considero che il lavoro svolto dalla VII Commissione nella passata legislatura in materia di sport abbia portato alla stesura di un documento estremamente avanzato, in cui si riconosceva la totalità dei gruppi parlamentari, l'ufficio di presidenza della Commissione, su mia proposta, ma con il concorso positivo di tutti i gruppi parlamentari, sia di maggioranza sia di opposizione, ha deliberato questa mattina una nuova indagine conoscitiva, molto breve (terminerà il 31 ottobre), con l'obiettivo di riprendere le conclusioni della precedente indagine conoscitiva e creare le condizioni affinché si operino quelle scelte che, purtroppo, allora le autorità deputate non raccolsero.

FERDINANDO ADORNATO. Ne sono lieto.

MAURO DEL BUE. Innanzitutto formulo al ministro Rutelli gli auguri per il duplice incarico affidatogli, quello di Vicepresidente del Consiglio e quello di ministro per i beni e le attività culturali con delega per il turismo: Vicepresidente del Consiglio di un Governo che oggi, leggendo i giornali, qualche autorevole componente della sua stessa maggioranza pronostica addirittura che non arriverà al panettone. Vi auguro di arrivare anche all'uovo di Pasqua e oltre, ma sarebbe importante che in una materia come questa lei, nella sua seconda funzione di ministro per i beni e le attività culturali con delega al turismo, venisse spesso in questa sede per fornire idee e contributi e per ascoltare i suggerimenti dei membri della Commissione cultura della Camera dei deputati. Conoscendo il suo rapporto con il Parlamento, non ho dubbi che ciò avverrà.
Parto da una semplice considerazione, cioè dalla provenienza dei ministri del centrosinistra nel settore dei beni culturali: Melandri e Veltroni sono di provenienza romana, e inoltre si era sentito parlare di Bettini e di Borgna come possibili candidati. La prima raccomandazione è di non avere una visione «romanocentrica» della questione dei beni culturali, non perché Roma sia un fatto secondario: Roma, per i suoi monumenti, per la sua storia e per il fatto di essere la capitale d'Italia, deve certamente avere un ruolo fondamentale in questa materia, ma non può svolgere un ruolo esclusivo. Occorre una visione nazionale del problema della cultura in Italia.
La seconda premessa alle considerazioni che svolgerò parte da un dato di cronaca. Quando sono entrato in Parlamento, nel lontano 1987, esisteva il Ministero del turismo e dello spettacolo. Ministro era l'ex presidente della Federcalcio, Franco Carraro, e già allora il gruppo cui appartenevo, il gruppo socialista, propose (lei lo ricorderà) in dibattiti ed iniziative pubbliche la creazione di un ministero della cultura. Si guardava allora alla Francia come ad un modello e ci si chiedeva come mai, in un paese in cui la cultura era predominante (si parlava di «giacimenti culturali» per indicare la ricchezza dei beni culturali del territorio italiano), non vi fosse un ministero della cultura. È quindi con grande piacere che ho registrato il passaggio dal Ministero dei beni


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culturali al Ministero per i beni e le attività culturali, che accorpa anche le attività riferite allo spettacolo ed alla cultura nel suo complesso.
Ho registrato, da ultimo, con piacere il fatto che di questo Governo faccia parte un ministro che si occupa di sport. Anche in relazione alle ultime vicende del mondo del calcio (alla crisi ed allo scandalo che hanno interessato questo settore) e considerando che l'esecutivo ha sempre avuto, per legge, solo un potere di vigilanza sul CONI, ritengo che un Governo debba possedere gli strumenti per regolare il rapporto con l'autogoverno dello sport e del CONI e, quindi, considero un fatto positivo che vi sia un ministero specifico che si occupi di sport. È positivo far sentire la voce e la presenza del Governo anche in una materia in cui, come nel settore della magistratura, esiste una sorta di autogoverno, in questo caso da parte delle società sportive.
Non riesco invece a capire perché si sia voluto fare un passo indietro, reintroducendo nel suo Governo la delega al turismo, accorpandola con i beni e le attività culturali. Ho sempre considerato il turismo un fatto economico e, come diceva giustamente prima il collega Adornato, infrastrutturale.
Certo, in Italia può essere un fatto anche culturale, ma non credo che oggi il turismo culturale sia il traino, il veicolo principale per l'espansione del turismo in Italia. Lei è partito da una valutazione di carattere finanziario sul suo ministero ed ha registrato il venir meno di risorse pari - l'ho letto nell'approfondito studio che ha fornito la Commissione - al 15,5 per cento di taglio, con una riduzione di 340,7 milioni di euro, a cui rimanda l'ultima legge di bilancio. Per alcuni anni, oltre che parlamentare, sono stato anche presidente di teatri importanti dell'Emilia-Romagna ed ho assistito alla protesta nel mondo dei teatri, in particolare degli enti lirici ma non solo, per la riduzione delle risorse destinate al FUS. Noto come questo mondo, che conosco abbastanza bene, sia sempre particolarmente sensibile ogni volta che viene operato un taglio anche minore di quello registrato quest'anno. La prima riduzione venne decisa nel 1988 dalla finanziaria di allora, era molto minore e provocò analoghi momenti di mobilitazione e di protesta.
È giusto quindi puntare ad investimenti privati, anche attraverso agevolazioni fiscali, come lei ha detto nella sua relazione, ed è giusto puntare a nuove possibilità di investimento che provengono da altri strumenti. Da questo punto di vista mi piace ricordare l'istituzione della società Arcus con la legge n. 291 del 2003, che stanzia il 3 per cento - poi elevato al 5 per cento - della spesa per le infrastrutture, introducendo un concetto nuovo delle infrastrutture in Italia, che devono essere concepite non più come uno strumento di invasione dell'ambiente ma addirittura come mezzo di tutela anche dei reperti archeologici che sottendono la costruzione di ponti, di ferrovie, di strade e come occasione di finanziamento della cultura nel suo complesso. In qualità di sottosegretario per le infrastrutture mi sono occupato di questo argomento e della società Arcus ed ho notato i limiti dei finanziamenti, spesso a pioggia, che vengono erogati da tale società e come, di fatto, alla fine tutto si riduca ad una serie di finanziamenti su decreto dei due ministri che si dividono gli stanziamenti (50 per cento il Ministero per i beni e le attività culturali e 50 per cento il Ministero delle infrastrutture).
Ritengo che occorra invece pensare a progetti che consentano di risolvere questioni e situazioni, a progetti tesi non solo a manifestare intenzioni ma anche a realizzare obiettivi importanti e fondamentali. Da questo punto di vista mi sento in dovere di chiedere - credo che tale richiesta possa essere condivisa da tutti i commissari - anche per ciò che riguarda i programmi di Arcus un coinvolgimento della Commissione cultura della Camera dei deputati in merito ai finanziamenti che verranno erogati da questa società attraverso i decreti che saranno firmati da lei e dal ministro Di Pietro per le parti di rispettiva competenza. Il ministro Di Pietro ha sempre dichiarato di non voler


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entrare nella dimensione della cultura e che non avrebbe mai fatto il ministro dei beni culturali, ma si ritrova assieme a lei a dover partecipare ad una società che eroga finanziamenti ai beni culturali: conoscendo la propensione di Di Pietro a non occuparsi di cultura, penso che dovrà essere soprattutto lei ad occuparsi di Arcus.

FRANCESCO RUTELLI, Ministro per i beni e le attività culturali. Lo dobbiamo spingere a fare più opere possibili!

MAURO DEL BUE. Il paradosso, come lei sa e come ha detto, è che meno strade, ponti e ferrovie verranno realizzati, minore sarà la risorsa a disposizione della società Arcus anche per la cultura. In qualche misura - lo spieghi bene anche a Pecoraro Scanio, a Rifondazione comunista e ai Comunisti italiani -, istituendo questa società che finanzia la cultura, se ci saranno meno infrastrutture e opere pubbliche, minore sarà anche la spesa per la cultura in Italia.
Da ultimo vorrei porre una questione che riguarda il mondo dei teatri. Ho parlato di tagli e di proteste nel mondo del teatro italiano, soprattutto di quello lirico. Lei sa che la «torta» del FUS, che si è ristretta nel corso degli ultimi anni, prevede una parte cospicua per il teatro musicale, in particolare per il settore degli enti lirici. In passato (non so se anche recentemente), si è prodotto un conflitto tra le diverse parti di questa «torta».
Il mondo del cinema, quello della prosa e quello della danza hanno sempre protestato contro il prevaricante ruolo del mondo della musica e, in particolare, degli enti lirici - meno dei teatri di tradizione -, per quanto riguarda il riparto delle somme previste dal FUS.
Conosco in parte le recenti modifiche apportate alla legge sulla musica (il FUS è l'architrave attorno al quale si è ruotato nel corso di questi anni). Tuttavia, il retaggio di tutte le modifiche legislative resta sempre la legge 14 agosto 1967, n. 800, voluta dal ministro Corona, che istituì il FUS ed introdusse, per la prima volta in Italia, una normativa di finanziamento ai teatri, alle attività di prosa e di danza e al mondo del cinema. Credo che meno automatismi ci sono nell'ambito dei finanziamenti nel mondo del teatro meglio sia per il teatro italiano. Anche per quanto riguarda il cinema, è difficile stabilire quali siano i film di interesse culturale, come recita la normativa. Con riferimento al mondo del teatro, appare difficile entrare nel merito delle produzioni dei singoli teatri. Tuttavia, credo sia sbagliato mettere tutti sullo stesso piano e finanziare enti lirici che hanno una storia, dei programmi, delle valenze e dei significati internazionali e nazionali assolutamente dispari tra loro.
Ritengo altrettanto difficile sostenere che il mondo del teatro possa evitare di porsi il problema di limitare gli sperperi. Infatti, non é giusto pretendere finanziamenti cospicui da parte dello Stato senza porsi il problema di evitare gli sperperi che in questo settore esistono. Basterebbe pensare ai teatri di tradizione che si permettono di spendere 300 mila euro a sera per produrre, per esempio, Il flauto magico (cito Mozart perché l'anno scorso, in diversi teatri italiani, sono state realizzate molte produzioni mozartiane), quando difficilmente riescono a reperire la stessa cifra attraverso sponsorizzazioni, biglietteria o abbonamenti. Resta, quindi, un disavanzo fondamentale; nel caso dei teatri di tradizione è chiamato il singolo comune a porvi rimedio; nel caso dell'ente lirico, invece, sono chiamati il Governo e lo Stato.
Il problema è, dunque, quello di misurare la qualità delle produzioni teatrali e di commisurare il finanziamento alla qualità, alla capacità produttiva, alla capacità di circuitazione del prodotto (è inutile, infatti, realizzare Il trovatore in tre teatri distanti dieci chilometri l'uno dall'altro, quando lo stesso prodotto potrebbe circuitare in tutti e tre, evitando di far lievitare i costi).
Sono problemi di cui ci occupiamo da una vita, non certamente da oggi, e che in passato non abbiamo mai risolto. Si tratta di questioni che nei momenti di «vacche


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grasse» si possono non risolvere, ma che nei momenti di «vacche magre», quando non ci sono finanziamenti a sufficienza, bisogna assolutamente porsi.
Concordiamo, quindi, sull'ingresso dei capitali privati attraverso defiscalizzazioni, sulla limitazione dei tagli (ove sia possibile), ma anche degli sperperi, nonché sull'esigenza che il mondo della cultura, in particolare del teatro, del cinema, della prosa e della danza, eviti di sperperare le risorse che lo Stato mette a sua disposizione.

ANDREA COLASIO. Nel ringraziare il ministro, vorrei sottolineare un aspetto che mi sembra emblematico: il fatto di avere ricondotto alla stessa persona la Vicepresidenza del Consiglio ed il Ministero per beni e le attività culturali sta ad evocare in modo non meramente simbolico, immagino, ma pratico ed operativo, che per il centrosinistra, per l'Unione, le politiche dei beni e delle attività culturali non vengono definite in modalità residuali e paritetiche, ma assumono quel ruolo strategico che la ricchezza del patrimonio culturale e della produzione culturale del nostro paese impone. Mi auguro che ciò sia di buon auspicio, ho motivo di ritenere che sia così.
Per quanto concerne la griglia analitica e interpretativa che il ministro ha delineato, francamente ho riconosciuto molti dei punti salienti che sono stati individuati nel programma concertato con tutti i colleghi dell'Unione: vi è concretezza operativa.
Ai colleghi dell'opposizione vorrei ricordare il nostro stile, le nostre modalità relazionali e la strategia concertativa, ossia la neutralizzazione del conflitto, sempre da noi cercata in questa Commissione (lo dico al presidente Adornato, lo dico al collega Rositani, lo dico, in particolare, all'onorevole Bono), nel tentativo di individuare un percorso il più possibile condiviso su alcuni grandi obiettivi definiti unitariamente. Vorrei citarne alcuni e dare talune indicazioni sulle quali avremo modo di operare una concertazione con il ministro. Vedete, è vero: il nostro patrimonio rappresenta un unicum, un qualcosa di irripetibile. Il collega Adornato, citando gli Annales, giustamente evocava la differenza tra l'événementielle e la «lunga durata»: noi siamo per la lunga durata perché siamo consapevoli che il patrimonio va, come ricordava il ministro, restituito. Giustamente il ministro evocava l'indisponibilità del patrimonio culturale del nostro paese. Vorrei ricordarvi, colleghi, che la Patrimonio Spa non l'abbiamo inventata noi. Dunque, non era polemica, ma la presa d'atto di una politica strategicamente sbagliata.
Onorevole Bono, se il ministro Buttiglione saggiamente - e noi l'abbiamo elogiato in questa sede - ha abrogato definitivamente il silenzio assenso, era la presa d'atto che il silenzio assenso era incongruente anche rispetto alla struttura logico-operativa del codice che, come voi ben sapete, aveva eliminato la presunzione di culturalità del bene. Aver eliminato la presunzione di culturalità del bene correlandola al silenzio assenso significava mettere a rischio il nostro patrimonio. Correttamente - e ve ne abbiamo dato atto - il ministro Buttiglione ha eliminato il silenzio assenso. Il problema è che il demanio culturale, come diceva il ministro, è e deve restare indisponibile perché, come ricordava il Presidente Ciampi, rappresenta elemento costitutivo della nostra identità: l'identità non è negoziabile, non è vendibile. Quindi, bisogna fare grande attenzione rispetto ad un elemento fondativo delle nostre politiche: la centralità del patrimonio culturale in termini identitari.
Veniamo al codice: il ministro diceva che alcune correzioni vanno apportate. Ciò è evidente: alcune correzioni sostanziali sono già state apportate e hanno recepito gli indirizzi metodologici e la critica politica dell'opposizione. Voglio essere onesto: ritengo che aver correlato paesaggio e beni culturali sia stato un salto qualitativo che va riconosciuto al Codice dei beni culturali. Ciò ha ricondotto ad unitarietà il testo ed il contesto, il singolo bene culturale, il bene architettonico, il bene museale ed il paesaggio che costituisce elemento inerente ed intrinseco ad una politica di


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tutela-valorizzazione. Noi andremo in quella direzione. Dov'è il limite sostanziale del codice? Innanzitutto, per quanto concerne la tutela paesaggistica. Collega Bono, siete ricorsi contro la legge urbanistica della regione Veneto e contro la legge urbanistica della regione Lazio, illo tempore, che definivano la contaminazione tra testo e contesto. Vorrei essere molto chiaro: nella pianificazione paesaggistica le regioni assumono i vincoli ex legge n. 1089, ex legge n, 1497 ed i vincoli di Galasso come elementi ordinatori e voi ci fate ricorso. Voi capite che qualche esigenza di intervento sul codice c'è. È evidente che avete portato a monte e non più a valle il parere dei sovrintendenti, ma voi sapete che si tratta di parere obbligatorio ma non vincolante. Dunque, si impone una correzione di rotta.
In tutti questi anni avete criticato il Titolo V e la valorizzazione. L'elemento innovativo, l'elemento di forza qualificante del codice Urbani, guarda caso, è la compiuta declinazione di un rapporto centro-periferia che si articola e si sviluppa proprio lungo le linee che abbiamo definito con la riforma del Titolo V. Il nodo della tutela-valorizzazione ed il nodo della gestione era stato sciolto dalla legge Bassanini. Il vero problema, ed è il grande problema che il ministro Rutelli ha delineato, è come trovare una leale collaborazione tra centro e periferia nell'implementazione di una politica di tutela che non può non essere anche di valorizzazione, così come una moderna politica di valorizzazione non può non essere adeguatamente di tutela. Il problema è che, forse, bisogna definire meglio quello che noi chiamiamo, nel programma dell'Unione, il corpo di azione tecnico, cioè gli standard. Faccio riferimento agli standard museali che il vecchio Governo di centrosinistra aveva assunto come criterio di unitarietà nella gestione. Dal centro, al nord, al sud dell'Italia dobbiamo definire criteri unitari perché il vero pericolo delle sovrintendenze, spesso e volentieri, è la discrezionalità. Bene, il nostro obiettivo è quello di ricondurre ad unitarietà metodologica: si chiamava conservazione programmata e la teorizzava Giovanni Urbani, grande punto di riferimento di Settis. Su tali questioni chiediamo la vostra collaborazione: su molte grandi questioni in questa Commissione abbiamo tentato di scavare un terreno comune perché ci interessa la centralità del patrimonio. Dunque, colleghi, ci auguriamo veramente di poter lavorare assieme. Però, è bene dirci alcune cose, perché il ministro, giustamente, ha svolto una relazione poco problematica rispetto al passato. Tuttavia, se dobbiamo discutere problematicamente di alcune questioni, vi ricordo tre passaggi, per amore di chiarezza.
La Arcus: nel programma dell'Unione abbiamo chiarito che essa è strategica. Ricordo, collega Del Bue, che abbiamo voluto noi la legge n. 291 del 2003 e che vi abbiamo sostenuti perché la ritenevamo un elemento aggiuntivo di risorse.
Mi dispiace che non ci sia il collega Pescante, perché lui, il Governo, il ministro Urbani, l'onorevole Adornato e l'onorevole Bono ci raccontarono che avevate reperito 2.550 milioni di euro aggiuntivi rispetto al bilancio ordinario dello Stato quali risorse strategiche per il patrimonio e le attività culturali, tanto è vero che avevate evocato la legge sul libro - rispondo al collega Adornato -, 100 milioni di euro da Arcus, e risorse crescenti per il FUS. Non sono stati 2.550 milioni di euro nel quadriennio, come è agli atti di questa Commissione, ma sono stati di 5 milioni di euro e, a regime, 80 milioni di euro. Ben venga! Nulla quaestio. Resta il fatto che, mentre abbiamo assunto positivamente i primi interventi di Arcus come strategici (piano merchandising, piano Galileo), successivamente - concordo con il collega Del Bue -, qualcosa non ha funzionato. Arcus è diventato un grande assessorato di provincia. Così non funziona. Quindi, il ministro Rutelli propone di ricondurlo ad un nuovo atto di indirizzo. Ricordo al collega che facemmo un emendamento che imponeva che le attività di Arcus tornassero a questa Commissione; noi siamo favorevoli a definire strategicamente l'attività di Arcus in questa Commissione.


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Diversamente da altri - il ministro non l'ha fatto - noi non evochiamo risorse che non esistono.
Ancora un'altra cosa, signor ministro: è evidente che vi troverete in una situazione difficile. Dovete prendere atto, per quanto concerne il FUS, realizzato dalla legge n. 163 del 1985, che ci si confronta con una riduzione drastica delle risorse. Vi ricordo il ciclo della legislatura. Noi vi lasciammo 516 milioni di euro. Voi avete restituito al paese 374 milioni di euro e, per il 2007 e il 2008, 300 milioni di euro.
Mi fa piacere che adesso l'opposizione ci chieda cosa faremo per il FUS. Ma voi avete già fatto il taglio, che è a regime. Poi, possiamo lavorare insieme per recuperare le risorse. Siamo qui e penso che il ministro Rutelli darà dei segnali...

FERDINANDO ADORNATO. Siccome i 24 mila erano tutti operatori dello spettacolo, abbiamo capito la lezione (Si ride)!

ANDREA COLASIO. Questa è simpatica! L'avete capito dopo, però, intanto, avete perso! Stiamo già collaborando!
Veniamo al FUS. Signor ministro, noi ci confrontiamo coerentemente con il programma dell'Unione circa la definizione di interventi di tipo strategico. Penso all'industria musicale, su cui si è lavorato con il collega Rositani. Ma voglio ricordare un'altra cosa e mi permetto di dare una risposta indiretta, visto che attiene al lavoro parlamentare. Noi abbiamo apprezzato e lavorato assieme al collega Rositani su un punto fondamentale: la legge quadro per lo spettacolo, signor ministro, che le categorie del teatro, del mondo della lirica, le ICO, i teatri stabili e di innovazione si attendono. È evidente che non c'è solo il taglio del FUS, già di per sé problematico. Vi è un'altra cosa su cui è opportuno mettere mano e non siamo riusciti a farlo, pur riconoscendo al collega Rositani di aver cercato una soluzione. Siamo arrivati ad un testo unificato. Per quanto ci concerne riteniamo doveroso partire dal testo consegnato ai lavori di questa Commissione, con una precisazione rivolta ad alcuni colleghi della ex maggioranza: mi riferisco al testo Rositani prima degli interventi a gamba tesa del Governo, che, sbagliando - per cui avete perso, onorevole Adornato! -, avevano ridefinito il rapporto tra centro e periferia. Noi siamo a favore della Conferenza unificata, dell'intesa, non del «sentite».
Noi crediamo che i rapporti tra centro e periferia sulle politiche per lo spettacolo siano strategici e vadano fondamentalmente riscritti. Vanno rafforzate altre funzioni strategiche. Lo dico con grande chiarezza. La riforma Urbani è una cosa; ma la riforma del ministero, signor ministro, non ha dotato questo dicastero di un centro di sistema, e noi ci aspettiamo da lei grandi innovazioni. È evidente che non sia un centro di sistema. Infatti, non abbiamo ancora stabilito compiutamente come definire una politica concertativa con i governi territoriali - comuni, regioni e province - che, a nostro giudizio, oggi svolgono una funzione strategica nelle politiche di tutela e valorizzazione. Ben vengano le direzioni regionali! Signor ministro, è vero quanto lei dice, ossia che il livello della decisionalità comprende sette passaggi ed è eccessivo. Vanno tutelate e rafforzate le direzioni regionali, ripensando la loro funzione a 360 gradi, anche per quanto attiene le altre politiche di settore. Infatti, le direzioni regionali non possono e non devono rappresentare esclusivamente le esigenze della tutela; devono rappresentare anche la contemporaneità con le politiche di valorizzazione.
Per quanto concerne il cinema evocato dal collega Adornato, anche in questo ambito si è tentato di lavorare assieme. Vi sono state alcune discontinuità e mancate convergenze. Crediamo sia possibile e doveroso lavorare su un terreno condiviso (e, a tal proposito, avevamo iniziato un dialogo), che assuma l'esigenza di coniugare industria culturale e creatività.
Signor ministro, così come ribadito nel programma de L'Unione, ci aspettiamo un chiaro e preciso riferimento alla normativa sul modello francese, per intenderci. Ciò non perché ci piaccia la Francia, ma perché la produzione francese ha un peso pari al 38 per cento, contro il 22 per cento


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di quella italiana. Vi è il problema di rafforzare i produttori, di rompere gli oligopoli, di creare condizioni per la crescita dei talenti. Questo ci aspettiamo! Ci aspettiamo segnali che vadano chiaramente in tale direzione.
Infine, vorrei riconoscere un fatto: aveva ragione il collega Bono a dire di prestare attenzione ai siti Unesco. Mi permetto di riconoscere all'allora sottosegretario di aver lavorato con grande intelligenza, perché è cresciuto in modo esponenziale il numero di tali siti. Credo che i lasciti positivi vadano considerati con grande attenzione, perché hanno dato un segnale di centralità internazionale al nostro patrimonio. Riconosco al collega Bono di aver lavorato correttamente in questa direzione.
Un'ultima considerazione: la lettura e il libro. Il presidente Folena, giustamente, in questi giorni, nel suo intervento su Liberazione, ha ricordato come l'accesso al bene cultura sia correlato al capitale culturale. Il problema impone uno stretto intreccio tra le politiche del suo ministero e le politiche dell'istruzione. Allora: più storia dell'arte (che ha conosciuto una scarsa attenzione), maggiore centralità all'inglese, ma anche centralità per le nuove tecnologie. Se, oggi, pensiamo che i ragazzini vengono socializzati ai consumi culturali attraverso le nuove tecnologie, è evidente che dobbiamo saper creare condizioni per cui le politiche ministeriali siano attente anche alla contemporaneità. Questo mi sembra veramente un passaggio importante.
Daremo segnali innovativi, se saremo in grado di creare condizioni di crescita complessiva del capitale culturale. Il nostro paese è strano: si dice, spesso, che è diverso dalla Francia, dove vi è Parigi ed il deserto francese. Noi abbiamo il policentrismo e le cento città: è vero. Però, abbiamo anche le cento periferie. Quanto diceva il collega Del Bue mi convince: stiamo attenti a non declinare una politica su base romanocentrica! È fondamentale che le politiche siano messe nelle condizioni di dialogare con tutti i territori. Penso alla mostra del cinema di Venezia - per rispondere al deputato Del Bue - che rappresenta un fiore all'occhiello nelle politiche di comunicazione internazionale del nostro cinema. Quindi: cinema, spettacolo dal vivo, ridefinizione del cosiddetto codice Urbani, attenzione all'industria musicale, grandi strategie di innovazione.
Signor ministro, ci sembra che questa sia la declinazione della sua cornice, che del resto rappresenta una fedele ed innovativa interpretazione degli elaborati de L'Unione. Non posso che augurarle buon lavoro.

LUCIANO CIOCCHETTI. Signor presidente, innanzitutto vorrei rivolgere un augurio al ministro e Vicepresidente del Consiglio dei ministri Rutelli per il lavoro che dovrà svolgere in questo settore importante e fondamentale.
Noi dell'UDC faremo un'opposizione costruttiva e non di rottura, perché riteniamo che in questo settore - come mi pare sia emerso anche nei lavori della passata legislatura - sia possibile, pur nello scontro permanente cui purtroppo il nostro paese è costretto, svolgere un lavoro comune e importante.
Credo anche che vi sia la necessità di portare avanti alcune questioni che sono state abbozzate, discusse e già affrontate nell'ambito di un ampio dibattito portato avanti in cinque anni di legislatura. Si tratta di questioni che non hanno trovato risposte e che credo possano registrare una condivisione complessiva all'interno di questa Commissione ed all'interno delle forze politiche rappresentate in questo Parlamento.
Non entrerò adesso nel merito specifico delle questioni poiché avremo tempo di confrontarci nel merito dei provvedimenti che il Governo ed il Parlamento porteranno avanti. Anche con l'intento di svolgere un breve intervento volevo soltanto fare una serie di domande e di considerazioni in merito ad alcune questioni - in parte già espresse dalla relazione del ministro - che ritengo centrali nell'ambito di una più ampia riflessione riguardante questo settore.


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Credo sia importante il più forte rapporto di collegamento tra la delega al turismo, le attività culturali ed il loro sviluppo: stiamo parlando, infatti, di una delle più grandi risorse che il nostro paese ha a disposizione. Ritengo invece sia sbagliato - questo però è un ragionamento più generale concernente il decreto per lo «spacchettamento» dei ministeri - distogliere lo sport da un rapporto tradizionale e storico - che superava ormai i cinquant'anni - con il ministero dei beni e delle attività culturali. Creare un ministero ad hoc è stata una scelta sbagliata, ma spero che l'attuale maggioranza tornerà a ragionare e a riflettere nel merito della questione poiché non credo si tratti della creazione di una poltrona in più, ma dell'offerta di politiche di sviluppo in grado di concedere opportunità al nostro paese.
Credo sia anche giusto apprezzare il tono della relazione del ministro; si è trattato, infatti, di un rapporto che non ha guardato a polemiche politiche elettorali ma che ha cercato di individuare, in qualche modo, ciò che bisognerà fare per il futuro; si è trattato del giusto tono da tenere in Commissione, una sede parlamentare, istituzionale. È chiaro che, in seguito, per ciò che concerne i confronti che si terranno in Assemblea sui singoli provvedimenti si potranno sicuramente registrare idee e realtà diverse, ma credo che in questa sede sia giusto aprire un dialogo, il quale ci consentirà di entrare nel merito delle grandi questioni che abbiamo di fronte.
Signor ministro e Vicepresidente del consiglio, sui temi specifici credo che, forse, qualche collega ha capito male, quindi le faccio una domanda in merito al cosiddetto codice Urbani, relativo alla tutela del paesaggio e dei beni culturali. Nel merito certamente lei ha parlato di modifiche, ma sinceramente non credo di aver sentito la locuzione «importanti modifiche». Poiché credo che nessun testo legislativo sia il Vangelo, sono invece d'accordo su interventi che possano promuovere verifiche e dibattiti. Oltretutto, quando per la prima volta il codice è stato approvato prevedeva una serie di verifiche in corso d'opera, in applicazione di un rapporto tra lo Stato, le soprintendenze e le regioni.
Per quanto mi riguarda ho ricevuto un breve mandato come assessore all'urbanistica della regione Lazio, quindi ho avuto modo di applicare la normativa relativa al codice Urbani, specificamente alle questioni del paesaggio; credo che tale normativa abbia fondamentalmente cambiato alcune questioni, collegando in maniera più forte la tutela del paesaggio, dei beni culturali.
Oggi abbiamo un punto di riferimento organico importante su cui lavorare, non possiamo assolutamente distruggerlo anche se possiamo sicuramente apportare innesti, miglioramenti e definire il diverso rapporto tra le regioni e le soprintendenze. Inoltre, vi può essere un maggiore chiarimento su alcune competenze e sui ruoli monocratici e discrezionali - tra virgolette - che caratterizzano ancora il ruolo dei sovrintendenti; credo che ciò debba essere in qualche modo mitigato attraverso strumenti di coinvolgimento più generale nelle decisioni.
Credo sia importante la questione della defiscalizzazione e della detassazione - tema cui il ministro ha accennato nel suo intervento, passandoci un po' sopra (ma credo che bisognerà ritornarci) - , sia nel campo della tutela e della valorizzazione dei beni culturali, sia nel campo dello spettacolo. Se questo paese vuole diventare strategico, deve sviluppare le sue attività culturali, anche nel campo dello spettacolo. Nessun ministro e nessuna maggioranza, con un patrimonio archeologico e monumentale eccezionale ed incredibile (quasi la metà del patrimonio culturale del mondo) come il nostro, potrebbero pensare di fare questo con le risorse pubbliche (potremmo anche raccontarlo in giro, ma credo che ci crederebbero in pochi). Non siamo riusciti ad ottenerlo fino ad oggi, ma credo che qui serva un coinvolgimento più forte delle fondazioni, di realtà economiche private e pubbliche che possano investire, traendone un beneficio. Lo fanno paesi che non hanno il nostro


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patrimonio culturale, che non hanno la nostra storia e la nostra tradizione di spettacolo! Credo che tale questione debba essere considerata centrale e spero che - lei lo ha detto nel suo discorso - possa essere sviluppata nell'ambito di questa Commissione in maniera importante.
Qui esiste anche il tema del rapporto tra pubblico e privato. Da questo punto di vista, lei, quando è stato sindaco di Roma, ha sperimentato alcune iniziative nella gestione dei musei capitoli, e penso che questo discorso debba essere allargato e approfondito in termini più generali.
Credo che la questione ruoti intorno al tipo di tutela offerta, per mantenere e lasciare ai posteri questo patrimonio ingente. Il problema non è chi gestisce questo patrimonio, ma come riusciamo a gestirlo, nel modo migliore possibile.
Lei parlava di riequilibrare le risorse e non c'è dubbio che questo sia un tema centrale per il paese, non soltanto per questo settore e non soltanto perché oggi governate questo paese; credo sia un tema centrale del passato, del presente e, purtroppo, anche del futuro. Per questo, bisogna anche avere una capacità di innovazione che consenta di trovare strumenti diversi.
Credo che il FUS, nel campo dello spettacolo, abbia svolto un'attività importante e centrale, che ha consentito di sviluppare iniziative fondamentali, però esso ha deresponsabilizzato complessivamente molte realtà. Possiamo dirlo anche fuori dalle righe: vi è stata una deresponsabilizzazione degli enti lirici, dei teatri di tradizione, delle compagnie, che, sapendo che ogni anno ci sarebbe stato questo tipo di intervento dello Stato, non hanno neanche tentato di risparmiare e di trovare un equilibrio maggiore (lo diceva prima il collega Del Bue). È un argomento su cui credo occorra aprire una discussione. Non si tratta solo di discutere sulle risorse per riportare il FUS al vecchio finanziamento, ma anche di individuare interventi innovativi, anche attraverso la defiscalizzazione e la detassazione. Si tratta anche di ridefinire una volta per tutte il ruolo dello Stato e delle regioni nel campo dello spettacolo.
Da quando, in una precedente esperienza parlamentare (più precisamente, nel 1996), il sottoscritto ha svolto le funzioni di relatore sul disegno di legge di conversione del decreto-legge di riordino delle funzioni in materia di turismo, spettacolo e sport, a seguito della consultazione referendaria che aveva determinato l'abrogazione della legge istitutiva del Ministero del turismo e dello spettacolo - il decreto-legge fu convertito nel 1995; in quella occasione, si cercò di definire, all'unanimità, nell'ambito del rapporto tra regioni e Stato, un certo percorso nella gestione tanto delle risorse quanto delle competenze in materia di spettacolo -, mi pare che il tema, in tutti questi anni, sia rimasto, purtroppo, aperto.
Credo si tratti di una delle nostre priorità: possiamo fare mille riforme (compresa quella dello spettacolo dal vivo, sulla quale la Commissione ha lavorato) ma, se non si definisce la questione del rapporto tra regioni e Stato, con riferimento alle competenze ed alla gestione delle risorse, esse non serviranno assolutamente a nulla! Un'altra domanda è volta a sapere, quindi, come si intenda procedere al riguardo.
Il ruolo della Arcus è stato oggetto di molti interventi. A mio avviso, si è trattato di uno strumento importante, mediante il quale è stato fatto il tentativo di innovare e di trovare nuove risorse per sviluppare non soltanto eventi, ma anche iniziative, strutturali e stabili, capaci di dare risposte dal punto di vista dello spettacolo, dei beni culturali e della tutela e riqualificazione delle realtà culturali del nostro paese. Probabilmente, dopo questa esperienza, è arrivato il momento di capire, al di là dei punti sintetici dei famosi programmi, quale vera idea il Governo ed il ministro intendano portare avanti al riguardo.
Quelle che ho esposto sono, per il momento, le riflessioni e le domande che desideravo porre. Spero che vi siano altre occasioni per approfondire le questioni sollevate, magari in un dibattito più ampio


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(anche in sede di esame di provvedimenti specifici) nel quale questa Commissione potrà far valere la sua concreta esperienza.

PRESIDENTE. Procederei ancora con un paio di interventi.
Ad ogni modo, il ministro indicherà un'altra data per la prosecuzione dell'audizione, dal momento che sono ancora numerosi i colleghi che hanno chiesto di intervenire. Se il ministro vorrà, riterrei utile già oggi una sua prima breve risposta, per favorire l'interlocuzione.
Interverranno quindi, nell'ordine, i colleghi Martella e Luxuria e, successivamente, il ministro.

ANDREA MARTELLA. Signor presidente, come hanno già fatto i colleghi degli altri gruppi, desidero rivolgerle, a nome del gruppo de L'Ulivo, gli auguri di buon lavoro. Esprimo anche la certezza che gli indirizzi programmatici che ci ha esposto oggi saranno da lei e dall'Esecutivo tradotti in provvedimenti ed in atti concreti. Credo che tali atti serviranno a fare in modo che un settore decisivo per la competitività, per la coesione e per la crescita del nostro paese riceva l'attenzione che è assolutamente necessaria.
Signor ministro, debbo dire che ho condiviso anche l'impostazione che ha dato al suo intervento. Sono certo che la Commissione cultura avrà in lei un referente costante per quel confronto, del quale anche in questa sede si è parlato, che è necessario su questi temi e che - così credo - potrà rendere più forti molte delle decisioni che dovranno essere assunte.
Giustamente, signor ministro, ha evitato di sollevare polemiche. Lo condivido, ma credo valga la pena di dire che la situazione è molto difficile. Come dire? La cosa non può certo sorprendere l'onorevole Bono e l'onorevole Adornato, i quali hanno qualche responsabilità al riguardo (nella maggioranza di centrodestra, l'onorevole Bono è stato addirittura sottosegretario per i beni e le attività culturali) e, quindi, ben conoscono la situazione.
Gli effetti dell'ultima legge finanziaria e delle quattro precedenti si vedono in maniera molto chiara. Credo che costituisca un cimento molto importante, per il ministro, rispettare il dettato costituzionale del quale ha parlato all'inizio del suo intervento. Rispettare l'articolo 9 della Costituzione, infatti, è più complicato, dopo le scelte compiute dal Governo di centrodestra nel corso di questi anni.
In secondo luogo, credo sia nota a tutti - poiché si è trattato di un tema molto discusso, anche in questa sede - l'insufficienza del Fondo unico per lo spettacolo; risulta altresì drammatico - perché non è sufficiente dire che si tratta di una situazione molto difficile - lo stato di salute nel quale si trovano fondazioni, enti, istituti ed organismi culturali non statali che godono dei contributi pubblici.
Le leggi finanziarie degli ultimi anni, infatti, hanno determinato una progressiva diminuzione delle risorse disponibili, e sappiamo quanto tali istituzioni culturali siano importanti e quanto assolvano ad una funzione pubblica nel campo della diffusione della cultura, della conservazione di importantissimi patrimoni archivistici e librari, dell'organizzazione di convegni e di grandi eventi.
Vi è, dunque, un grande lavoro da compiere. Tale lavoro è stato già richiamato dal signor ministro: muovendomi lungo la sua linea, vorrei formulare qualche ulteriore indicazione, ricollegandomi in parte all'intervento svolto dal collega Colasio. Ritengo necessario, innanzitutto, un lavoro di produzione legislativa; ciò, naturalmente, vedrà protagonista questa Commissione, anche se il Governo dovrà assumere un forte ruolo propositivo.
Ricordo, infatti, che, a quattro anni dall'approvazione della legge n. 137 del 2002, la quale delegava il Governo all'adozione di norme specifiche per il settore dello spettacolo, è stata approvato solo il decreto legislativo in materia di attività cinematografiche. Si tratta di un provvedimento che, a parte l'assenza di copertura finanziaria, ritengo ancora inefficace, poiché non ha certo risolto i problemi del


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settore, causati da un mercato distorto dalla presenza di due soli competitori nel campo della produzione.
Occorre, pertanto, affrontare tale questione. È stato svolto un lavoro in tal senso: ricordo anch'io l'impegno profuso dai colleghi Rositani, Chiaromonte e Colasio, ma il problema della legislazione relativa allo spettacolo dal vivo non è stato ancora risolto. È necessario, pertanto, approvare norme a favore della prosa, della musica e della danza. Ciò perché bisogna far sì che vi siano regole e, accanto ad esse, anche un accesso certo ai finanziamenti.
Vorrei segnalare, infatti, che senza regole non sono garantiti né la parità di accesso ai finanziamenti pubblici, né il pluralismo dell'offerta; senza la certezza di finanziamenti, inoltre, risulta impossibile programmare e progettare su base pluriennale, premessa imprescindibile per tutelare e valorizzare efficacemente il settore.
Pertanto, come già affermato dal signor ministro, ritengo necessario ridefinire un sistema moderno di sostegno pubblico al comparto dello spettacolo, in grado di garantire non soltanto finanziamenti, ma anche infrastrutture, servizi, accesso al credito per le imprese culturali e sistemi di osservazione finalizzati a razionalizzare gli obiettivi e gli aiuti finanziari. Ciò per stimolare, in ultima istanza, non soltanto la creazione di un'offerta, ma anche la crescita di una domanda. Abbiamo bisogno di tutto questo al fine di garantire l'ulteriore sviluppo di tale settore.
Vi è, inoltre, il grande tema di una nuova governance del sistema dei beni e delle attività culturali nel nostro paese. Credo, signor ministro, che, assieme al riequilibrio delle risorse, questo dovrà essere il grande impegno che dovrà caratterizzare il Governo in carica. Occorre, dunque, rilanciare la governance dell'azione pubblica, tenendo conto dei nuovi assetti istituzionali e secondo forme che corrispondano ai bisogni sia dei cittadini, sia della produzione.
Credo si debba fuoriuscire da un modello di subordinazione degli enti periferici allo Stato; ritengo, altresì, che si debba abbandonare anche un'impostazione competitiva tra le parti, per adottare, invece, un impianto organizzativo cooperativo e coordinato, così come stabilito anche dal Titolo V della Costituzione. Si tratta, insomma, di creare luoghi di concertazione, di codecisione e di cooperazione, che siano in grado di impedire la frammentazione, la dispersione degli investimenti, la sovrapposizione di competenze e la mancata programmazione. Mi riferisco, in altri termini, all'assenza di finalità comuni, che poi produce inefficienza.
Sotto questo punto di vista, credo che debba essere svolta una riflessione più approfondita sull'Arcus Spa. Nutro, infatti, più di qualche dubbio sull'utilità di tale struttura e sul suo impiego, nonché sul fatto che si siano sovrapposte alcune sue funzioni a quelle attribuite al ministero; ritengo, pertanto, che si tratti di un tema da affrontare. Credo, inoltre, che il nuovo Governo dovrà utilizzare diversamente la società Arcus, affinché possa essere davvero utile alla tutela e alla diffusione della cultura del nostro paese, perché questa dovrebbe essere la sua nuova e ridefinita missione.
Concordo anch'io che vi debba essere - su ciò il ministro ha speso parole molto intelligenti - un nuovo rapporto tra pubblico e privato, una cooperazione che deve essere vantaggiosa per entrambi. Il pubblico deve pretendere che i privati assicurino efficienza, qualità e rispetto delle regole quando assumono funzioni esternalizzate; il privato, per decidere di investire in cultura deve necessariamente avere certezza rispetto alle finalità dei suoi investimenti e, nel contempo, deve poter godere di vantaggi fiscali e materiali. È stata richiamata la Francia; basta osservare ciò che avviene in quel paese per incontrare un modello importabile nel nostro. Lei, signor ministro, ha detto che questo sarà un settore di grande impegno del ministero; sono certo che questa sia davvero una chiave di volta per affrontare in maniera seria il tema delle risorse.
Vi è, inoltre, un problema di personale e della relativa formazione. Ciò significa


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riaprire un rinnovamento, una nuova fase di assunzioni, pur con tutte le difficoltà che vi sono, sia nel comparto statale, sia in quello degli enti locali. Si tratta di stabilire nuovi parametri per la formazione e la qualificazione professionale per molte figure e per dare soluzione al problema di molte migliaia di lavoratori che vivono ancora in una situazione di grande precarietà. Si tratta anche di sostenere e promuovere la creatività di molti giovani, tutelare e valorizzare i giovani talenti, la sperimentazione. Si tratta di un elemento fondamentale per combattere quella «vecchiezza» di cui si è parlato in questa sede e cui accennava anche l'onorevole Adornato.
Per concludere, penso si tratti di muoversi su tale linea, di stabilire da subito un equilibrio delle risorse, con una programmazione almeno del reintegro di quelle stanziate per il Fondo unico per lo spettacolo pre-centrodestra. Si tratta di riconsiderare le distribuzioni di competenze amministrative, di creare nuovi luoghi di concertazione, di sanare - le definirei così - le contraddizioni che esistono e le disarmonie interne al Codice dei beni culturali. Il ministro ha parlato di miglioramenti; penso si tratti di sanare alcune contraddizioni esistenti. Si tratta di approvare una disciplina nazionale di indirizzo e di sistema per lo spettacolo dal vivo, come affermavo in precedenza, per disegnare nuove relazioni, competenze e per sostenere ed incrementare la domanda.
Concludo, svolgendo anch'io una considerazione di piena condivisione rispetto alla scelta compiuta, ossia di affidare a lei, signor ministro Rutelli, anche la delega per tutto ciò che riguarda le politiche del turismo nel nostro paese, per il made in Italy, per lo sviluppo della nostro «marchio». Ciò credo sia particolarmente significativo e risponde ad un'esigenza più volte manifestata da molte parti, ed ultimamente richiamata in questa sede anche dall'onorevole Bono. Ritengo che anche per quanto riguarda gli interventi che dovranno essere posti in essere in ambito turistico la nostra Commissione debba essere una sede di confronto prioritario. Se è vero, come lei, signor ministro, ha detto, che molte di tali politiche possono essere svolte in collegamento con le attività ed i beni culturali, credo che la nostra Commissione debba essere un interlocutore privilegiato, insieme - naturalmente - alla Commissione attività produttive.
Sono davvero convinto che questo nuovo filone possa essere decisivo anche al fine di un recupero di competitività economica del nostro paese, in cui il turismo rappresenta una parte fondamentale.
Il gruppo de L'Ulivo, che rappresento in questa sede, sosterrà la linea menzionata e credo potrà compartecipare ed ottenere i risultati di cui lei, signor ministro, ha parlato e che credo avvantaggino non L'Ulivo, né il centrosinistra, ma tutto il nostro paese e di cui vi è assolutamente bisogno.

WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Signor ministro, intanto esprimo la mia contentezza nel vedere finalmente un ministro competente. L'ho conosciuta come sindaco della città in cui vivo, una città che lei ci ha lasciato più bella; è una convinzione che si rinnova ogni volta, ad esempio, che passo davanti a Piazza Vittorio Emanuele II, come mi è accaduto oggi.
Sono anche contenta dell'esempio spagnolo che lei ha fatto. Ogni volta che farà esempi spagnoli, lei mi troverà sempre d'accordo.
Dopo le premesse, intendo subito farmi portavoce delle preoccupazioni di tutto il mondo dello spettacolo, che è un mondo che io conosco, per i tagli dell'ultima finanziaria che ci sono stati sul FUS, Fondo unico per lo spettacolo, tagli che si sono resi ancora più drammatici, perché molto spesso i comuni non hanno potuto sopperire a questi tagli, visto che anche le risorse dei comuni sono state tagliate. Quando si parla di spettacolo non bisogna solo considerare le persone visibili, quelle che si vedono su un palcoscenico, su un'arena estiva o su uno schermo. Si parla di un indotto di migliaia e migliaia di persone. Si parla di costumisti, truccatori,


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registi, aiutoregisti, uffici stampa, cassiere, maschere di teatro, scenografi, trasportatori di scenografie, tecnici. Parliamo di famiglie, che oggi temono per il loro futuro, proprio per i tagli che ci sono stati con il precedente Governo.
Le chiedo, signor ministro, di farsi carico del rispetto e della salvaguardia dei lavoratori dello spettacolo, penalizzati da tagli pesantissimi, ai quali sono stati aggiunti anche i tagli alle sovrintendenze per i beni culturali. Si tratta di un gesto che, in una nazione bellissima come la nostra - e non c'è bisogno di essere campanilisti per dire che l'Italia è bella dalla Sicilia alla Valle d'Aosta -, una nazione anche intellettualmente molto attiva, non può che avere un'unica giustificazione, che si chiama masochismo, considerando la potenzialità occupazionale ed economica, che il settore può avere appunto in una nazione che, come è stato ricordato, detiene un patrimonio artistico e paesaggistico di un'entità incommensurabile, dove arte e ambiente dovrebbero andare in realtà sotto un'unica dicitura, quella della cultura.
I tagli allo spettacolo sono stati il corrispettivo dei tanti, troppi, condoni edilizi, che hanno deturpato il nostro paesaggio. I tagli imbruttiscono la mente. La cultura e la conoscenza non devono fare paura a nessuno, perché sono l'unico mezzo per la crescita del nostro capitale personale e per la salvaguardia della nostra memoria.
Mi auguro, signor ministro, che si possa stanziare una congrua percentuale del prodotto interno lordo per la cultura e per l'ambiente, per dare il segno che questo Governo non intende il mondo dello spettacolo come qualcosa di superfluo, ma come necessario alla tradizione culturale del nostro paese. Le chiedo, signor ministro, che la cultura e lo spettacolo siano slegate da logiche di mercato e che si dia spazio ai giovani talenti - è stato già detto nell'intervento precedente -, alle forme d'arte nuove, agli stencil, ai writer. Apro una parentesi, per ricordare che a Como un giovane cingalese di 18 anni che poteva essere un nuovo Keith Haring è stato ucciso da un vigile urbano, che era stato dotato proprio di una pistola per combattere contro il fenomeno dei writer, che quando non deturpano il patrimonio artistico sono una forma d'arte anche quella.
Chiedo, signor ministro, che ci sia una più equa distribuzione delle risorse rispetto a quelle odierne, anche rispetto agli enti stabili, perché molto spesso c'è anche un'ingiustizia: alcuni enti stabili hanno più risorse, altri enti stabili ne hanno di meno. Abbiamo bisogno di più produzioni teatrali, magari meno costose, e non di poche produzioni teatrali molto costose, prevedendo anche un aiuto per i teatri stabili di innovazione e per i tanti teatri che non hanno sovvenzioni da regioni, comuni o province, ma che contano soltanto su aiuti di tipo ministeriale. Le chiedo, signor ministro, una maggiore attenzione anche al mercato delle opere d'arte, dando maggiori possibilità di mercato ai giovani artisti di arte contemporanea, ad esempio attraverso una maggiore defiscalizzazione delle opere d'arte. Oggi la vendita di un'opera d'arte contemporanea è considerata un bene di lusso.
Le chiedo, signor ministro, di aprire un dibattito sull'abbassamento dell'IVA sulla musica e sui DVD. Anche un CD o un DVD dovrebbe essere considerato un'opera d'arte, non qualcosa di inferiore o comunque da mettere in competizione rispetto al mondo dell'editoria, che è tassato al 7 per cento, mentre la musica e i DVD hanno una tassazione molto più alta. Anche questo potrebbe essere un buono strumento per combattere la pirateria ed inserirsi in un discorso più generale contro l'evasione fiscale.
Chiedo, signor ministro, anche di aprire un dibattito sul concetto di copyleft, che non è contrario al diritto d'autore, ma un sistema scelto da un autore per consentire la riproduzione, totale o parziale, di un'opera e la sua diffusione, non a scopo commerciale, senza considerare necessariamente l'ingegno come una proprietà privata. La cultura è un mezzo di conoscenza e questa è l'arma più efficace contro l'ignoranza ed il pregiudizio. La cultura, al pari della scuola pubblica, non


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deve essere considerata come elitaria o destinata solo ad una classe, ma dobbiamo impegnarci per una maggiore fruibilità, disponibilità, comprensibilità e, io direi anche, appetibilità delle opere d'arte di cui abbiamo già avuto degli esempi, anche di contaminazione tra generi. Penso all'esempio del premio Nobel Dario Fo, che ha tenuto delle lezioni-spettacolo davanti al duomo di Modena e poi ancora su Leonardo, su Caravaggio e, il 6 luglio al Palazzo del Te di Mantova, sul Mantegna; penso agli esempi, anche televisivi, di un Piero Angela o di un Minoli; penso a queste contaminazioni di forme d'arte, come il teatro-musica, teatro-danza, la coreografia che entra nel teatro, senza dimenticare il fatto che non solo i luoghi, diciamo, già deputati come sede di spettacolo possono essere usati a questo fine. È un esperimento che si sta facendo in molti settori, con il recupero ad esempio di aree industriali, ed è l'esperimento di grande successo che si sta tenendo in molte associazioni per la teatroterapia, per esempio, per i soggetti diversamente abili oppure per la rieducazione ed il reinserimento sociale dei detenuti con esperimenti teatrali nelle carceri.
La cultura è l'unico mezzo che ci resta per dare a tutti gli strumenti cognitivi del passato e del presente che, finora, hanno fatto paura solo a chi ha prediletto un popolo di tossicodipendenti da intrattenimento di distrazione di massa, che non può considerarsi come l'unica forma di espressione comunicativa. Le ricordo, signor ministro, che ci sono ancora troppe sale teatrali e sale cinematografiche che chiudono e che si trasformano in sale bingo; le ricordo, signor ministro, che molte volte non si riesce a distinguere la RAI di servizio pubblico dalle televisioni private. Ad esempio, ricordo quando la RAI faceva i telegiornali e l'ultimo servizio lo dedicavano a pubblicizzare opere d'arte, spettacoli cinematografici o teatrali. Oggi, seguendo l'esempio della televisione commerciale, gli ultimi servizi dei telegiornali sono dedicati ad autopromuovere le proprie fiction.

FRANCESCO RUTELLI, Ministro per i beni e le attività culturali. Ha ragione, non c'è più spazio sui telegiornali per la cultura.

WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Gli operatori del teatro dicono che la televisione spesso fagocita, perché la gente se ne resta a casa a vederla. Se in più la televisione non dà una mano a pubblicizzare spettacoli teatrali, mostre d'arte e cinema, allora chiaramente questo è un danno.
Concludo il mio intervento facendole gli auguri di dare il segno di un Governo di cambiamento, per non tradire le attese di chi ha voglia di cultura e chi di cultura in questo paese vive.

PRESIDENTE. Darei la parola anche al collega Lainati, che mi ha garantito un intervento telegrafico, una specie di piccola provocazione...

GIORGIO LAINATI. Non lo so, signor presidente, mi sembra che la provocazione l'abbia fatta in questo momento chi ha appena terminato di parlare. A tale proposito, sono certo che il Vicepresidente Rutelli, che riconosco come una persona garbata ed educata, nel corso della sua replica saprà trovare nei confronti dei suoi predecessori parole diverse rispetto a quelle usate dal rappresentante di Rifondazione comunista poco fa. Inoltre, sono certo che il ministro Rutelli ha un giudizio molto diverso sui professori Urbani e Buttiglione rispetto a quello che ha espresso nell'esordio del suo intervento l'onorevole Luxuria. Sono altresì certo che se l'onorevole Luxuria prestasse una maggiore attenzione ai rispettivi curriculum accademici dei professori Urbani e Buttiglione dovrebbe ricredersi rispetto al giudizio assai ingeneroso, al limite dell'offesa, espresso nei loro confronti. Comunque, confido molto nella cortesia e nell'attenzione del Vicepresidente Rutelli.
Devo poi ammettere che ho molto apprezzato l'intervento dell'ex sottosegretario Bono e del collega Adornato, perché entrambi hanno dimostrato al ministro Rutelli


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e ai membri di questa importante Commissione che quando una legislatura è caratterizzata dallo stesso Governo per l'intero quinquennio e la presidenza della Commissione è anch'essa affidata per cinque anni alla stessa personalità politica, evidentemente vi possono essere dei frutti estremamente positivi. Dunque, avendo i colleghi Bono e Adornato fatto un excursus estremamente puntuale e avendo rivolto al ministro Rutelli domande esaurienti, mi limiterò a poche osservazioni.
Il 10 dicembre scorso, un gruppo di attori multimiliardari, la maggior parte dei quali da un ventennio collabora con Canale 5, Italia Uno e Retequattro, si è riunito presso il cinema Capranica di Roma per poi arrivare a Palazzo Colonna. A guidare tale formazione c'era l'attore Benigni. Costoro hanno urlato contro il Governo Berlusconi e contro il suo predecessore, il ministro Buttiglione, uno slogan del seguente tenore: «La cultura vi fa paura», riferito ai tagli al settore della cultura e dello spettacolo.
Ebbene, che a promuovere questa manifestazione sia stato un gruppo di protagonisti del mondo della cultura, accomunati dal detenere grandi patrimoni personali, ottenuti in decenni di collaborazione con il gruppo Mediaset - ma anche con la televisione pubblica - per la produzione e la diffusione di film e fiction in numero assolutamente rilevante, non mi stupisce minimamente. Ritengo tuttavia che nel corso della sua replica costoro debbano essere rassicurati. Se poi mi permettete la battuta, costoro dovrebbero essere rassicurati più per le intenzioni del partito di Rifondazione comunista di tassare i grandi patrimoni che per il loro futuro di protagonisti del mondo dello spettacolo. Naturalmente, chiedo di fare questo non al ministro Rutelli bensì al presidente della Commissione.
Per quanto riguarda, invece, la risposta che la invito a fornire, a me come agli altri colleghi che sono intervenuti, sul settore della cinematografia, ricordo che a settembre, in occasione del Festival del cinema (in una serata in cui veniva peraltro presentato un bellissimo film italiano che ha avuto un discreto successo), ero a Venezia insieme al professor Buttiglione, al sindaco di Roma Veltroni e a quello di Venezia Cacciari. Il sindaco di Roma si era recato lì per illustrare l'imminente Festival di Roma.
Non le nascondo che sia il ministro per i beni e le attività culturali sia il sindaco di Venezia avevano perplessità su questo progetto, che comunque è andato avanti. Lei, ministro Rutelli, avrà letto i giornali di oggi, su cui è riportata la polemica del direttore del Festival del cinema di Taormina, che si è visto sottrarre 500 mila euro della «consueta» sponsorizzazione della Banca Nazionale del lavoro, orientati verso il Festival di Roma. Dunque, ritengo che il futuro Festival di Roma corra il rischio di diventate un competitor molto forte sia del Festival di Venezia sia di quello di Taormina, che merita tutta l'attenzione del caso. Potrebbe fare chiarezza su queste diatribe che si annunciano imminenti, dato che si svolgerà prima il Festival di Venezia e poi quello di Roma?
Peraltro, alcuni colleghi della maggioranza, Colasio per il suo partito e Martella per i DS, ma in realtà entrambi per il gruppo de L'Ulivo, hanno posto quesiti precisi: Colasio ha parlato della necessità di rompere oligopoli nel settore della cinematografia e Martella di due competitori soli nel campo della produzione cinematografica. Vorrei capire come lei intenda orientarsi per far fronte anche alle richieste che i rappresentanti della sua maggioranza hanno avanzato. Nel suo intervento lei ha dichiarato che le risorse sono assai limitate. Immagina che esistano alternative per aumentare le risorse in un settore così delicato ed importante per la cultura ma anche per il mondo dell'industria cinematografica, che rappresenta decine di migliaia di operatori?

PRESIDENTE. Visto che lei, collega Lainati, mi ha chiamato in causa direttamente, vorrei rassicurarla che non è nelle intenzioni della nostra parte politica, della maggioranza che mi ha eletto, sostituire ad un regime che aiuta grandi patrimoni un regime che aiuti grandi patrimoni di un


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altro colore politico. Ciò che ci interessa, invece, è trovare le risorse - come ha detto molto bene, dal mio punto di vista, la collega Luxuria - per aiutare i giovani talenti e fare in modo che tutti coloro che hanno capacità e creatività possano sentire questa come la loro patria e il luogo in cui il proprio talento possa esprimersi. Di questi temi discuteremo, comunque, in altre sedi.
Avverto che, grazie alla disponibilità manifestata dal ministro Rutelli, l'audizione odierna proseguirà nella settimana successiva allo svolgimento del referendum. Vi sono molti altri colleghi e colleghe iscritti a parlare e nella prossima seduta dovremo organizzarci in modo da concludere l'audizione.
Chiedo al ministro Rutelli se, pur riservandosi di svolgere una replica più compiuta al termine dell'audizione, non ritenga opportuno effettuare un breve intervento anche per favorire un'interlocuzione più fluida tra il Governo e la Commissione.

FABIO GARAGNANI. Sarebbe più saggio che il ministro replicasse nella prossima seduta, al termine di tutti gli interventi.

FRANCESCO RUTELLI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Colleghi, io sono a vostra disposizione. Innanzitutto permettetemi di ringraziare perché il dibattito è stato molto ricco e, presidente, di riaffermare la disponibilità e l'impegno ad essere a vostra disposizione. Quindi, mi riservo di fare una replica esauriente al termine del dibattito, partendo dall'argomento dell'onorevole Bono su Fontana di Trevi e Totò, sino ad arrivare all'ultimo del collega Lainati sul Festival di Roma (passatemi lo scherzo). Se il presidente è d'accordo, voglio brevemente fornire dei titoli che possono permettere nella prossima riunione di non ripetere alcuni argomenti. Ripeto, vorrei fare una replica attenta ed ascoltare tutte le osservazioni, ma in tutti gli interventi sono stati posti dei quesiti rispetto ai quali vorrei dare un accenno essenziale.
Per quanto riguarda il Codice dei beni culturali e i criteri, onorevole Bono, è evidente che si tratta di rafforzare la qualità della tutela, anche attraverso l'unitarietà metodologica, di snellire le procedure e di dare maggiore efficienza ai rapporti centro-periferia. All'interno di questi grandi capitoli discutiamo e, naturalmente, la responsabilità del ministero sarà esercitata con un dialogo molto serio e costante con il Parlamento e con le Commissioni.
Ho risposto da subito sul tema del cosiddetto «bene-culturalismo» ed ho ribadito che si tratta di non escludere alcun filone culturale di iniziativa. Per quanto riguarda le risorse, intendo attivare una commissione tecnica - la proporrò lunedì al ministro dell'economia - per fare quello che è affiorato in tantissimi interventi, da ultimo con riferimento all'arte contemporanea quello del collega Luxuria: riordino degli incentivi, defiscalizzazioni, sostegno alle sponsorizzazioni, cioè per affrontare quel capitolo e filone naturalmente aggiuntivo ma così determinante per tanti aspetti (rapporti con le fondazioni). Sussistono tante questioni e vorrei affrontarle in modo organico e portare anche qui, presidente, nella forma che lei riterrà opportuna, le riflessioni operative necessarie.
È evidente che l'Arcus è utile nella misura in cui è aggiuntiva e, come diceva l'onorevole Colasio, sulla base di un atto di indirizzo del ministero - che sarà presentato qui - nel contesto della programmazione dei beni culturali perché, altrimenti, diventa aggiuntiva ma sostenendo una «pioggerellina» di interventi piuttosto casuali. Poiché sono stato fortemente sollecitato praticamente da tutti, anche in questo caso accettate che nella mia risposta vi dia solo un titolo e, poi, svilupperemo questo tema anche alla luce del seguito del dibattito, al termine e nella replica.
Per quanto riguarda il turismo e la cultura, l'onorevole Del Bue sottolineava la positività di alcuni aspetti e i rischi di altri, ma vorrei evidenziare che la delega è del Vicepresidente del Consiglio in


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quanto è trasversale. Vorrei però sottolineare in questa Commissione - in questo caso faccio una sola eccezione riportando alcuni dati specifici, forse utili - che il vero fatto nuovo degli ultimi anni nella politica del turismo riguarda proprio il turismo culturale, che ha avuto un boom e che va letto molto diversamente da come si faceva fino a qualche anno fa. Noi consideriamo il turismo balneare, il turismo montano, i vari segmenti dei turismi (religioso, sportivo): ce ne sono tanti ed hanno una loro specificità. Esiste anche un turismo in bicicletta che cresce enormemente e che noi dobbiamo intercettare. Comunque, quando parliamo del turismo culturale e delle città d'arte, consideriamo due aspetti che mi permettono di dare anche un'altra risposta fondamentale. In primo luogo, ormai si impone una visione - dobbiamo prenderne atto - diversa da quella del passato, in quanto il turismo culturale, superando una impostazione settoriale, presuppone una contaminazione diversificata di aspetti che attraversano tanti settori della vita economica, sociale e produttiva nei nostri territori. La visita culturale non è più solo quella «mordi e fuggi» che conoscevamo ed è nostro interesse svilupparla proprio con riferimento a quella preoccupazione che è affiorata da più parti sul rischio, qualcuno dice, «romanocentrico»: naturalmente, in parte ci può essere per la potenza dell'attrazione del patrimonio della capitale, ma allo stesso tempo anche dal punto vista dei grandi itinerari e dei grandi attrattori storico-artistici.
Se mi capiterà - come mi capiterà - di andare in Germania, mi farò promotore, caro presidente, delle visite lungo itinerari diversi. Le mostre su Mantegna che si terranno a Padova, a Verona e a Mantova, quello che si annuncia per Piero della Francesca tra Arezzo, Sansepolcro e Montecchi, ma anche Urbino e Rimini, ci permettono di dialogare con mondi che non vanno ad ingrossare soltanto i filoni «tradizionali» delle visite culturali ed artistiche. Considerate che, solo tra il 2002 ed il 2004, in Italia, il turismo nei luoghi della cultura, che riguarda solo una parte di ciò che vi sto dicendo, ha registrato una crescita degli arrivi dell'8,3 per cento e delle presenze del 5,6 per cento: doppi gli arrivi, mentre, nel complesso, le presenze in Italia sono rimaste ferme, anzi registrano un meno 0,1. Quindi, c'è una capacità di prolungare le presenze, di destagionalizzare gli arrivi e di promuovere una ricchezza diffusa sul territorio. Avrei molte altre cose da dire, ma mi fermo su questo punto. Volevo darvi solo questo riferimento.
Per quanto riguarda il FUS, condivido pienamente le osservazioni del collega Colasio: esse corrispondono all'impostazione che il Governo intende assumere anche in base al programma dell'Unione. Condivido la visione che l'onorevole Martella ha riassunto molto efficacemente e le osservazioni che sono emerse da tutti gli interventi a proposito del contributo della cultura alla crescita economica del paese e degli aspetti sociali ed occupazionali: si tratta di fattori vitali. È evidente che dobbiamo recuperare risorse e riformare i criteri. Credo che possiamo metterci d'accordo su questo aspetto, con un grado di ragionevolezza che, francamente, ho visto presente in tutti gli interventi; tutti sono consapevoli dei problemi esistenti.
Per ciò che riguarda il cinema italiano, vi sono determinati criteri. Rispetto al 2005, anno in cui abbiamo conosciuto una certa crisi degli incassi, il 2006 è andato meglio: sono stati proiettati film di successo. Non cito i titoli, ma si tratta di film sia di cassetta, popolari, sia di qualità. Attenzione, per l'industria del cinema vanno bene gli uni e gli altri. Ovviamente, di fronte alla scarsità delle risorse, occorre destinare tali risorse prioritariamente ai giovani, agli esordienti, ad un cinema che ha meno possibilità di avere successo. Allo stesso tempo, dobbiamo sapere che, nel nostro paese, sono stati previsti finanziamenti per decine e decine di film che non sono mai entrati in una sala cinematografica. Anche questo è un problema. Dobbiamo riordinare il sistema.
Considerate che il 70 per cento dei contributi che quest'anno potremo dare a legislazione vigente riguardano quattro o


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cinque film di successo. Ci rendiamo tutti conto dei problemi ulteriori che si creeranno con una restrizione delle risorse, un'applicazione dei criteri in vigore che portano, come si suol dire, l'acqua per l'orto ad alcuni film di successo e riducono ancora di più le potenzialità per una produzione cinematografica anche di qualità che non ha conosciuto queste opportunità. Quindi discutiamone. Questo vale per tutto il FUS. Da più parti ho sentito considerazioni in merito ad un numero superiore di produzioni. Io aggiungo più coproduzioni ed una serie di criteri che ci permettano di migliorare, anche sulla base delle prestazioni qualitative, le erogazioni, sapendo che dobbiamo fare i conti con una restrizione enorme, lo ripeto, enorme.
Fatemi dire solo una cosa per quanto riguarda il merito: accendendo la televisione conosco la ricchezza, la bellezza, l'inventiva e l'originalità delle nostre produzioni, sia quelle popolari, sia quelle di qualità. Quando accendendo la televisione non vedo mai il teatro mi rendo conto dell'immensa disparità che vi è rispetto alla generosità del teatro: prestazioni uniche, dedicate a quei pochi - mille? trecento? - che sono davanti ad una compagnia. Si tratta di prestazioni irripetibili, perché ognuna è originale. Ci rendiamo conto che di fronte alla generosità delle persone del teatro abbiamo una «matrignità» della mano pubblica che non significa contrapporre generi ed opportunità, ma significa sapere che non possiamo far chiudere i nostri teatri. Nello stesso tempo, dobbiamo dire alle nostre compagnie teatrali che, forse, alcune produzioni è bene metterle in comune, che alcuni parametri bisogna stabilirli e rispettarli, che alcune spese eccessive sono giustificate magari in circostanze di altissimo vertice qualitativo, ma non se diventano una regola.
Penso che sulla base del buon senso, presidente, potremo rivedere i criteri, sapere che potremmo ottenere, forse, qualche risorsa in più ma che ora - lo voglio dire con grande schiettezza alla Commissione - ci attendono settimane di fuoco per quanto riguarda la scelta della ripartizione delle risorse del FUS. Infatti, quelle risorse non sono sufficienti ad affrontare esigenze già avviate, programmi già stabiliti. Nei prossimi giorni ci troveremo di fronte a scelte drammatiche da assumere. Quindi, ben venga se nel contesto di questa riflessione avremo anche, in parallelo, una riflessione che ci spinga ad un impegno comune per recuperare una parte di quelle risorse (ma non ci possiamo fare troppe illusioni) ed a rivedere i criteri per il riparto. Sono tre temi: l'urgenza, una prospettiva di graduale recupero delle risorse ed una revisione dei criteri che vale per tutti i mondi produttivi e creativi, cui in particolare l'onorevole Colasio si è richiamato con estrema chiarezza.
Ripeto, ho risposto solo ai grandi titoli cui sono stato richiamato, a partire dall'intervento del collega Bono, ma risponderò a tutte le questioni che sono state poste. Fatemi fare una sola considerazione unitaria: tra i grandi temi che ci accomuneranno vedo quello degli anniversari, e lo dico anche per evitare un rischio di accentramento di appuntamenti. Come avete sentito ne ho citati due - Piero della Francesca e Mantenga - ma vorrei che ne considerassimo anche altri, con la loro diversità: penso a Pascoli, Pasolini, Carducci. L'anno prossimo è il bicentenario di Garibaldi: pensate che significato enorme ha per il nostro paese. Fatemi dare come traguardo unificante il 2009 con Galilei. Penso che la preparazione dell'anniversario di Galileo Galilei sia una grande opportunità per il paese riguardante il rilancio della cultura scientifica. Ci sono grandi nazioni del mondo che hanno visto un rilancio delle politiche culturali attraverso la divulgazione scientifica. Con la preparazione del suddetto anniversario - che riguarderà specialmente Firenze, Pisa e Padova, ma sarà un appuntamento nazionale - abbiamo una grandissima opportunità di ricordare, soprattutto ai nostri giovani, che della cultura nazionale fa parte in una maniera decisiva la cultura scientifica. Penso che questo sia un altro dei temi che la Commissione, presidente, debba affrontare in modo decisivo perché in essa si incontrano il ministro dei beni


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culturali ma anche il ministro della ricerca, il ministro dell'istruzione e dell'università. Penso che su questo potremmo dare al paese un grande messaggio, soprattutto rivolto ai nostri giovani, di fronte alla crisi della cultura scientifica ed al ridimensionamento delle attività, delle professioni, degli studi in materia scientifica che ci vede andare molto indietro. Lo dico a tanti colleghi che seguiranno meno i beni culturali. È un momento di incontro molto significativo per il lavoro che ci attende e che intendo proporvi attraverso gli appuntamenti e gli anniversari. Sappiamo che altri paesi, come la Francia, che è stata citata, fanno della cultura degli anniversari uno degli elementi qualificanti dell'identità del paese. Noi dovremmo apprenderlo e lo possiamo fare con un atteggiamento ampiamente unitario. Ho colto nei lavori della Commissione lo spirito giusto.
Ripeto: la mia non è una replica completa, ma una prima replica per non eludere alcuni temi abbastanza incalzanti che sono stati posti. A questo proposito, fatemi ricordare che nella giornata del 2 giugno, con l'apertura gratuita dei musei, gli accessi ai nostri musei e ai siti archeologici sono raddoppiati, pur essendo stata un'iniziativa divulgata in maniera molto limitata, a dimostrazione del fatto - sono d'accordo con l'onorevole Bono - che non possiamo far entrare le persone gratis nei musei, perché deprezzeremmo quel valore. Secondo me, ciò è concettualmente sbagliato. Non è vero che si accrescerebbe l'amore per la cultura e la frequentazione dei nostri luoghi d'arte e dei musei. Se noi rendessimo gratuito l'accesso, daremmo quasi l'impressione che ciò vale poco.
Ricordo la mia esperienza di sindaco: vi era l'accesso a pagamento nei fori romani e quello gratuito al Colosseo. Tale meccanismo fu invertito e in alcune parti archeologiche fu creato un accesso libero, quasi fossero dei parchi, e, quindi, una passeggiata, tutelata e protetta. Il successo fu enorme, perché veniva meno un sentimento quasi di sacralità, che allontanava la partecipazione, la visita e l'accesso delle famiglie e delle persone.
Invece, giustamente, con il mio successore, Veltroni, si è introdotto l'ingresso a pagamento al Colosseo e i visitatori sono di gran lunga aumentati. Quindi, dobbiamo dare ai cittadini e ai turisti il sentimento di ciò che vale e, in molti casi, ciò che vale, costa, nella gestione, nella manutenzione, nella cura, nella prevenzione, nella sicurezza e nelle nuove tecnologie necessarie. Dunque, certamente, ci sono itinerari che saranno accessibili gratuitamente per tutti, ma ci sono beni storici, artistici e archeologici che debbono essere valutati per ciò che valgono e per quanto costano.
Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Rutelli per queste prime risposte. Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 16,45.