COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 28 giugno 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del ministro per i beni e le attività culturali, Francesco Rutelli, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro per i beni e le attività culturali, Francesco Rutelli, sulle linee programmatiche del suo dicastero, rinviata nella seduta del 15 giugno 2006.
Ricordo che in quell'occasione il ministro Rutelli, esposta la sua relazione, ha svolto una serie di considerazioni a conclusione della prima tornata di interventi.
Proseguendo nell'ordine delle iscrizioni giunte alla presidenza, do quindi la parola ai colleghi non ancora intervenuti perché possano porre eventuali domande al ministro.

NICOLA TRANFAGLIA. Presidente, vorrei porre alcune domande e svolgere una serie di considerazioni in riferimento alla completa e interessante esposizione del ministro. Il primo dei temi che vorrei esaminare riguarda una questione già richiamata dal ministro, sulla quale gradirei ricevere ulteriori risposte sul piano dei tempi e dei modi. Mi riferisco agli istituti italiani di cultura, su cui ritengo necessario un intervento del Governo e della maggioranza, che - in tempi ridotti - consenta di indicare criteri determinati e di predisporre concorsi adeguati affinché tali strutture possano svolgere un'azione positiva per la cultura italiana nel mondo. Da questo punto di vista - vi ha accennato giustamente il presidente - sarebbe molto importante tenere riunioni congiunte della Commissione cultura e della Commissione esteri, che possano affrontare il problema e mettere a punto progetti e criteri da presentare al ministro. Ritengo anche necessario, più di quanto si sia fatto in passato, effettuare un calcolo in modo da avere forse un numero minore di istituti ma più organizzati e in grado di svolgere attività concrete e rilevanti, piuttosto che un numero elevato di strutture provviste, però, di minori mezzi e possibilità di azione. Mi sembra si tratti di un problema rilevante, sul quale avrei interesse a conoscere la posizione del ministro.
La seconda questione riguarda un tema di cui si parla poco. Tutti noi - come i discorsi generali che facciamo sembrano indicare - puntiamo a incoraggiare il lavoro e l'attività delle nuove generazioni. Tuttavia, non mi sembra che negli ultimi anni ci siano state iniziative per incoraggiare effettivamente l'attività dei giovani. Mi occupo dell'editoria italiana: anche di recente, è successo che l'unico modo per pubblicare saggi di giovani sia stato quello di inserirli in un libro contenente scritti di persone che hanno già accesso all'editoria. Il Governo potrebbe esercitare una funzione


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di stimolo e di incoraggiamento delle iniziative dei giovani studiosi, che spesso trovano chiuse tutte le porte per poter pubblicare.
Il terzo aspetto che mi interessa sottolineare riguarda la consultazione delle associazioni di base, ogniqualvolta che il Ministero ritenga di prendere iniziative a livello di Governo. Sinora, la consultazione è molto mancata; pertanto è nostro dovere garantirla più di quanto si è fatto finora: mi pare, infatti, che la consultazione democratica possa essere molto utile per evitare fraintendimenti e incoerenze tra quello che vogliamo fare e quello che si aspettano i destinatari delle iniziative. Anche in questo caso possiamo adottare metodi specifici per conseguire il fine desiderato.
L'ultimo problema è quello del patrimonio museale. Girando l'Italia, andando a inaugurare mostre o partecipando a iniziative, verifico come spessissimo vi siano grandi musei in cui, però, una parte notevole del patrimonio non è visibile. Questo problema deve essere affrontato, perché altrimenti abbiamo un patrimonio visibile e un patrimonio invisibile; e spesso il patrimonio invisibile, per certi aspetti, è persino più interessante di quello visibile. Anche in questo caso mi pare che si imponga una razionalizzazione. Mi ha molto confortato sentire il ministro parlare della necessità di ringiovanire il personale del Ministero per i beni culturali: ritengo sia un obiettivo fondamentale, perché soltanto con l'arrivo di nuove leve sarà ipotizzabile la nascita di progetti che tengano conto del fatto che il patrimonio culturale italiano è veramente molto rilevante.

PAOLA GOISIS. Presidente, vorrei rivolgerle una richiesta preliminare. L'altro giorno, in questa sede, qualcuno, un deputato, è stato chiamato con un nome d'arte.

WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Si chiamano pseudonimi!

PAOLA GOISIS. Chiedo che ogni deputato sia chiamato con il proprio nome e cognome. Questa è una richiesta legittima.

PRESIDENTE. Onorevole collega, la questione riguarda non questa presidenza, ma la Presidenza della Camera. L'Ufficio di Presidenza della Camera si è già occupato della questione, e su di essa ha già stabilito un orientamento adottando una deliberazione.

PAOLA GOISIS. Presidente...

PRESIDENTE. La questione è già stata risolta definitivamente dall'Ufficio di Presidenza, in conformità alla prassi vigente e a tutti i precedenti. La prego di non sollevare la questione.

PAOLA GOISIS. Ho visto che in aula ognuno viene chiamato con il proprio nome e cognome.

PRESIDENTE. Ricordo che il Presidente della Camera - lo dico solo a titolo informativo - ha rammentato, in aula, i numerosi precedenti di membri del Parlamento che sono stati chiamati con il loro soprannome o nome d'arte o pseudonimo.
Ci sono moltissimi precedenti, che sono stati già documentati. La questione, in ogni caso, è chiusa e non è di competenza di questa presidenza né di questa Commissione.
La prego di proseguire col suo intervento.

PAOLA GOISIS. La Lega Nord è sempre stata critica verso lo Stato, il cui intervento a tutela delle attività culturali è stato caratterizzato sempre da posizioni centraliste e dirigiste, preferendo il controllo allo sviluppo, così da condizionare pesantemente attività che per le regioni del nord potrebbero senza dubbio costituire fonte di lavoro, reddito e credibilità internazionale.
La Lega Nord si è sempre battuta a favore del decentramento, della libertà e dignità dell'espressione culturale dei popoli e dei territori e secondo il principio di


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sussidiarietà ha confidato nell'affidamento ai territori competenti della promozione e gestione e tutela in tema di beni culturali. Questa opzione politica ha fatto breccia nella coscienza della collettività e ha creato una volontà di cambiamento nei territori del nord, dove si avverte la tensione verso l'affrancamento da modelli obsoleti, primo fra tutti la sistematica lottizzazione degli incarichi.
La creazione di istituzioni di controllo come le sovrintendenze, infatti, dimostra, per la Lega, l'assoluto disprezzo per le istanze popolari e la determinazione a lasciare tutto nelle mani di organismi diretti dallo Stato, a cui gli stessi rispondono, non in nome di una reale difesa della cultura, bensì per le sopracitate logiche di interesse e prevaricazione.
Al riguardo, ricordo che la sinistra di Governo, pur essendosi sempre vantata di voler ricercare soluzioni ad hoc per iniziare un vero processo federalista, ha riservato allo Stato diverse, molte prerogative. Ricordiamone alcune: l'apposizione di vincoli, diretti e indiretti, autorizzazioni, prescrizioni, divieti, approvazioni, tesi a garantire la conservazione, l'integrità e la sicurezza dei beni di interesse storico-artistico; il controllo sulla circolazione e sulla esportazione dei beni; l'occupazione d'urgenza, concessioni, autorizzazioni per le ricerche archeologiche; l'espropriazione di beni mobili e immobili di interesse storico-artistico; la conservazione degli archivi degli antichi Stati italiani.
Come si evince, è lo Stato con i suoi organi periferici, addirittura potenziati, a decidere la politica relativa ai beni culturali; e non serve a nulla affermare che la gestione è affidata a comuni, province e regioni, se praticamente questi non sono in grado di decidere alcunché. Il sistema delle decisioni a cascata e il continuo accavallamento delle competenze tra le varie soprintendenze hanno creato una sostanziale impossibilità di risposta alle esigenze del territorio in ambito culturale.
Infatti, l'istituzione delle soprintendenze regionali, supervisori delle soprintendenze di zona delegate alla programmazione degli interventi, delle spese ordinarie e straordinarie, contribuisce non alla razionalizzazione delle risorse, bensì all'aggravamento di questioni burocratico-ministeriali. Che l'attuazione del decentramento nel settore dei beni culturali sarebbe stata lunga e difficoltosa lo si era intuito nella fase immediatamente successiva all'approvazione della legge n. 59 del 1997. In realtà, ancor prima di questa legge si erano palesate le difficoltà intrinseche ai tentativi di perimetrazione delle competenze statali in materia di tutela, rispetto ad altre competenze regionali. L'impossibilità di uscire dal vicolo cieco delle possibili sovrapposizioni tra competenze statali e regionali aveva indotto spesso la Corte costituzionale a rincorrere affannosamente il principio della leale collaborazione, al fine di dare luce alle molte zone d'ombra provocate dalla latitanza del legislatore.
In questo contesto, la distinzione tra tutela e valorizzazione, assunta nell'articolo 117 della Costituzione come linea di confine fra le competenze legislative dello Stato e quelle delle regioni, non solo non è in grado di risolvere i problemi del settore, ma anzi, oltre alle vecchie resistenze della burocrazia ministeriale, attirerà a sé anche le nuove resistenze della maggioranza governativa che, a onor del vero, non ha mai fatto mistero di non gradire la riforma costituzionale, la cui attuazione la spoglierebbe di poteri assai significativi e penetranti, anche in questo settore.
L'articolo 117, del resto, costituzionalizzando la distinzione tra le due funzioni, ha consegnato agli interpreti il potere di definire il confine tra competenze statali e regionali. Come ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 90 del 2003, infatti, la distinzione tra tutela e valorizzazione dei beni culturali può essere desunta dalla legislazione vigente, in particolare dagli articoli 148, 149 e 152 del decreto legislativo n. 112 del 1998.
Il confine delle competenze Stato-regioni in materia di beni culturali è divenuto dunque mobile, modificabile a seconda delle interpretazioni conferite alle attività stesse. Il nodo principale e il


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terreno di più accesa dialettica è costituito dalla definizione di tutela; è questa la funzione che andrebbe maggiormente rivisitata alla luce delle trasformazioni sociali, economiche ed istituzionali avvenute nel paese. Purtroppo, è proprio sulla strada di questa ridefinizione che ci si imbatte negli ostacoli più insidiosi, quelli di natura culturale. Il maggior freno a una revisione del concetto di tutela è l'idea che il frazionamento dei poteri finalizzati alla conservazione del patrimonio culturale del paese coincide con il dissolvimento dello stesso patrimonio, per l'incapacità tecnica delle soprintendenze e l'immaturità politica del sistema locale di assolvere tali funzioni.
L'attuale maggioranza deve prendere atto che il mancato adeguamento della normativa sui beni culturali alle trasformazioni avvenute nel paese renderà insostenibili due fenomeni che si sono già evidenziati in questi ultimi dieci anni. Anzitutto, aggraverà l'isolamento del Ministero e il conseguente scollamento rispetto al sistema regionale e locale. Inoltre, perseguire in materia di beni culturali una politica simmetrica rispetto ad altri settori (il paesaggio, l'edilizia, l'urbanistica e via dicendo) costituirà un fattore di freno per lo sviluppo economico e sociale del territorio, poiché allontanerà progressivamente la comunità politica, sociale, civile dal patrimonio culturale.
La sentenza n. 90 del 2003 costituisce una sorta di incitamento alla drammatizzazione del rapporto tutela-valorizzazione. Con questa sentenza, la Corte mostra di non ritenere utilmente percorribile, ai fini della soluzione dei conflitti di competenze tra i diversi livelli di governo territoriale, il metodo di stabilire, di volta in volta, se concreti interventi, posti in essere sul bene o comunque previsti o possibili, rientrino in una delle definizioni normative vigenti.
La Lega Nord ipotizza per la politica dei beni culturali un sistema pluralistico basato su regioni, province, comuni. Alle regioni dovrebbero far capo i compiti riservati alle soprintendenze, comprese la gestione dei beni demaniali e le relative attività di valorizzazione; le province e i comuni avrebbero ruoli di amministrazione e di gestione del proprio territorio, interloquendo esclusivamente con la regione, che delegherebbe loro, quando richiesti, i lavori di ricerca, di ritrovamento e di restauro dei beni culturali, nonché la realizzazione delle opere necessarie alla loro conservazione.
L'affidamento della cultura alle istituzioni locali, secondo la Lega Nord, rappresenta l'unica soluzione in grado di proteggerla dai negativi modelli di clientelismo e immobilismo cronico. La regione, infine, si occuperà sempre meno di gestione e il suo ruolo di coordinamento dovrà favorire le proposte turistico-culturali che prevedono partnership tra più città o paesi, al fine di condizionare l'offerta attraverso politiche tendenti a favorire la realizzazione di strategie culturali, concertate mediante un reale scambio informativo fra tutti i soggetti coinvolti.
Il nostro impegno, rispetto all'attuale Governo, in materia di beni culturali sarà improntato ai criteri che ho appena enunciato.

VITO LI CAUSI. Onorevole ministro Rutelli, onorevole presidente, onorevoli colleghi, questa audizione mi sta particolarmente a cuore perché mi permette di affrontare problematiche che riguardano l'intero territorio nazionale e quindi anche il Mezzogiorno d'Italia e la Sicilia.
Ho condiviso pienamente il suo intervento nella precedente seduta, onorevole ministro: è necessario che, attraverso la VII Commissione (cultura scienza e istruzione), ma anche attraverso la costituzione di una commissione tecnica, il Parlamento individui strategie e azioni efficaci per tutelare e salvaguardare il patrimonio artistico e culturale.
I beni culturali, dopo un lungo periodo di sperimentazioni, possono costituire, secondo il mio punto di vista, la vera leva competitiva del marketing territoriale e - perché no? - anche dell'identità turistico-culturale italiana, per ottenere un riposizionamento competitivo sui mercati internazionali. L'azione da intraprendere dovrebbe ispirarsi alla considerazione che il


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patrimonio culturale va tutelato, conservato, valorizzato e reso fruibile avvalendosi dei fondi comunitari, quindi fondi pubblici, ma coinvolgendo, io ritengo, direttamente anche l'impresa privata.
Il privato però deve essere messo in condizioni di considerare conveniente l'investimento in opere di natura artistica e culturale, ad esempio, prevedendo una certa privatizzazione e una riduzione delle percentuali IVA da applicare, oppure il riconoscimento di crediti di imposta. Il coinvolgimento del privato appare necessario, perché come abbiamo convenuto un po' tutti, i fondi pubblici e comunitari da soli sono insufficienti. Ciò, peraltro, in questi anni ha comportato un ridimensionamento delle risorse disponibili, sia per lo spettacolo, sia per le nuove iniziative e per la stessa gestione del patrimonio culturale. Bisognerebbe pertanto sveltire le procedure amministrative, eliminando i passaggi burocratici superflui.
Inoltre, alcune indagini statistiche hanno evidenziato che l'età media del personale in tali settori è molto alta. Sarebbe dunque opportuno, onorevole Rutelli, che nel settore dei beni artistici e culturali i nostri giovani trovassero la possibilità di una occupazione, per la quale, come lei ha ricordato, sono tecnicamente preparati ed efficienti. Vi sono molti, moltissimi ragazzi con qualifiche specifiche che aspettano di dare attuazione agli studi fatti. Con il loro inserimento, si potrebbe godere di un personale qualificato nei musei e nelle biblioteche.
Un'attenzione particolare si dovrebbe riservare al turismo, in modo da diventare competitivi in questo campo. Se sino a oggi si è fatto leva sul nostro impressionante e maestoso patrimonio artistico e architettonico, d'ora in poi sarà necessario creare forme alternative e diverse di turismo. L'esperienza dei paesi esteri ci insegna che oggi il turista è interessato ad aspetti anche diversi da quello tipicamente culturale o ricreativo. Facciamo conoscere il nostro paese a tutto il mondo, creando un marchio nazionale, come è stato detto nella prima parte dell'audizione, e non marchi di venti regioni o di cento province. Il nostro paese presenta le più belle coste d'Europa, pertanto sarebbe opportuno dare rilevanza al turismo balneare, non dimenticando che i nostri fondali, sconosciuti ai più, sono ricchi di reperti archeologici e meraviglie sottomarine. Perché non creare o incentivare un turismo, per esempio, che si basi sulle nostre coste, sul mare, su percorsi e itinerari subacquei poco visibili, sulla ricchezza della pesca? Questi itinerari offrirebbero al turista la possibilità di pescare e di gustare il pesce pescato. Si può anche predisporre un progetto al tempo stesso turistico, archeologico, culturale, paesaggistico e termale, con la creazione di una zona franca estesa, ad esempio, da Castellammare del Golfo a Segesta, da Selinunte a Sciacca, da Agrigento a Siracusa, da Noto ad Acireale, in modo da perseguire anche il fine della piena occupazione, attraverso investimenti e l'utilizzazione di materie prime e prodotti locali di alta qualità.
Onorevole ministro, non dobbiamo tradire le attese di coloro che vivono di cultura e di turismo, il cui diritto al lavoro è sacrosanto. Occorre rispetto per i lavoratori del mondo del cinema e dello spettacolo, superando antichi e infondati pregiudizi sulla natura lavorativa di queste attività e gli assurdi timori che la cultura e la comunicazione possano deturpare le coscienze. L'industria musicale, cinematografica, culturale dovrà essere oggetto di una strategia di innovazione che non abbia necessariamente la forma del finanziamento, ma offra incentivi per sviluppare le potenzialità, la fantasia, la creatività. Quindi, è d'obbligo incentivare la produzione legislativa in tal senso.
Anche il teatro, non per ultimo, deve occupare un ruolo determinante nello sviluppo del nostro paese. È importante dare rilevanza al teatro che, nelle sue forme liriche, di danza, di musica, può diventare un mezzo di riabilitazione per i diversamente abili, può diventare uno strumento per attuare il principio della rieducazione della pena o il mezzo per occupare il tempo libero dei giovani e degli anziani.


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Oggi gli strumenti per incrementare la gestione del patrimonio culturale trovano il loro perno nell'AGIS e nel FUS, il fondo unico per lo spettacolo. Auspico che i tagli al bilancio dello Stato non impediscano la crescita di questi settori, che dovranno essere comunque supportati da energie pubbliche ma anche private.
La cultura, la scuola, l'università sono beni comuni che non appartengono alla politica di una parte, ma a quella di ambo le parti, e anzi costituiscono un patrimonio dell'uomo in quanto tale.
Concludo, onorevole ministro, confermando a nome del gruppo Popolari-Udeur piena fiducia alla sua azione governativa e politica. Sappiamo che la situazione è effettivamente difficile: a maggior ragione, lei ha la nostra comprensione e ampia disponibilità, affinché si possano dare risposte concrete a tutto il paese. Ribadiamo che il meridione e la Sicilia hanno un enorme valore culturale, architettonico e turistico, gli interventi di sviluppo in questi settori avrebbero effetti positivi in tutto il territorio nazionale, garantendo una maggiore competitività economica.
Riponiamo la nostra fiducia in lei che gestisce la cultura italiana: la riponiamo in lei non solo come ministro e leader di partito, ma anche come sindaco emerito della città di Roma, una città che dal punto di vista culturale, architettonico e archeologico non è seconda a nessuna città del mondo. Noi crediamo in lei e nelle sue alte qualità: non abbiamo dubbi che utilizzerà la sua eccellente esperienza nell'interesse di tutto il sistema culturale Italia.

GIAN FRANCO SCHIETROMA. Intendo esprimere l'apprezzamento, anche a nome della Rosa nel Pugno, per l'esposizione estremamente interessante del ministro Rutelli. La sua nomina è garanzia di attenzione per tematiche di fondamentale importanza. Il nostro paese non è secondo a nessuno per bellezze naturali e beni culturali ed è importante che alla guida di questo dicastero, così rilevante, ci sia uno dei più importanti leader della coalizione.
Anche l'altra volta ho ascoltato gli interventi dei membri della Commissione; credo che tutti abbiano offerto contributi estremamente importanti. Mi limiterò a qualche breve considerazione, che in altra occasione, successivamente, potrà essere approfondita, se qualche argomento verrà ritenuto meritevole di attenzione.
Ad esempio, credo sarebbe interessante promuovere una sorta di «stati generali» delle presenze extracomunitarie. Questa è una società che cambia, che muta in modo molto rapido. Ritengo, dunque, che il nostro paese debba farsi carico di un'attenzione particolare verso queste nuove presenze, anche ai fini di una nuova e diversa integrazione. Penso a una sorta di anagrafe del nuovo patrimonio culturale che potrebbe avere una ricaduta importante per la scuola. Per noi della Rosa nel Pugno è un punto fondamentale: credo che il contributo della stampa e della televisione, anche a questo riguardo, sia fondamentale.
L'iniziativa degli «Stati generali» delle presenze extracomunitarie potrebbe essere collegata anche all'istituzione di un festival internazionale delle diverse culture, a una serie di iniziative, convegni, seminari sul territorio nazionale. Credo che sia interessante confrontarci con i contributi provenienti da altri paesi, anche nei settori del cinema, della musica e della televisione. Intendo la multietnia non solo come occasione per gli altri, ma soprattutto come occasione per noi: può essere stimolante scoprire la ricchezza derivante da questa diversità culturale. Le professionalità davvero interessanti di cui tali culture ed etnie sono ricche potrebbero dare, inoltre, un apporto rilevante al nostro paese.
Per quanto riguarda il cinema, si dovrebbe affrontare la questione della pirateria, e in particolare dei DVD pirata. Ormai proliferano gli scaricamenti di film da Internet e questo provoca un impoverimento del nostro cinema e la perdita di posti di lavoro. Non solo da parte degli enti preposti, ma anche da parte del Governo dovrebbe venire un'iniziativa


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forte, tesa alla salvaguardia della nostra cultura cinematografica; e intendo anche un consumo di qualità.
Credo che un'iniziativa utile da parte del Governo potrebbe essere l'elaborazione di linee strategiche per una nuova politica di distribuzione dei film di qualità. Ci sono film di grande valore che dopo uno o due giorni scompaiono dalle sale cinematografiche: è un problema che ci dobbiamo porre. In che modo? Incentivando le iniziative, spingendo per un sostegno alle sale pubbliche e anche alle reti di sale pubbliche, magari con bollini di qualità, per salvaguardare la presenza, la proiezione di pellicole di qualità. Questo non solo è un fatto culturale di grande rilievo, ma è anche un modo per difendere posti di lavoro, anche di grossa entità.
A ciò possono essere collegate alcune strategie stagionali, invernali o estive; ad esempio, per quanto riguarda l'estate, una straordinaria possibilità può venire dalle varie manifestazioni locali, con la creazione di reti che possono essere indubbiamente utili.
Un'ultima questione volevo porre, che a mio avviso ha grande valore culturale: la necessità di potenziare e ampliare il numero delle cattedre universitarie di storia del cinema e di critica cinematografica. È un aspetto estremamente delicato, che può essere affrontato con altre iniziative culturali, per la diffusione di messaggi culturali importanti. Si può pensare alla creazione di cineteche provinciali, dove si proiettino le pellicole più datate e di carattere storico, senza entrare in contrapposizione con le sale commerciali, dove si proiettano film di altro tipo. Queste attività contribuiscono al rilancio di un'iniziativa culturale complessiva, utile al nostro paese.
In conclusione, la ringrazio, signor ministro, dell'attenzione che ha prestato al mio intervento, necessariamente breve per dare spazio agli altri commissari.

GUGLIELMO ROSITANI. Vorrei svolgere innanzitutto una breve considerazione. Le posizioni di Alleanza Nazionale sono state già illustrate dall'onorevole Bono. Prendo dunque la parola - sollecitato anche dall'intervento dell'onorevole Colasio, nella scorsa seduta - per ribadire l'impostazione che la mia parte politica - devo dire un po' tutti i gruppi parlamentari nella Commissione cultura - ha sempre dato ai lavori. La contrapposizione tra minoranza e maggioranza non impedisce l'individuazione di elementi di convergenza, l'amore verso il cinema, il teatro e la cultura accomuna tutti noi. Questo è il clima nel quale abbiamo lavorato nei cinque anni passati.
Mi ha fatto molto piacere che l'onorevole Colasio abbia messo in risalto questo aspetto: specialmente con alcuni partiti dell'allora minoranza c'è stato un colloquio molto proficuo e interessante. Purtroppo ostacoli oggettivi, non dipendenti dalla nostra volontà, non ci hanno consentito, ad esempio, di risolvere il problema del teatro, il problema della musica leggera, il problema della danza, il problema dello spettacolo dal vivo, come correntemente si chiama.
Eravamo arrivati alla discussione generale in Assemblea, quando, stranamente, la Ragioneria generale dello Stato, a mio parere sbagliando, ha interpretato le direttive dello Stato alle regioni come premessa per un aumento di spesa, futura, virtuale e ci ha tagliato, in sostanza, ogni tipo di intervento. Tre mesi prima della conclusione della legislatura abbiamo dovuto prendere atto della posizione della Ragioneria generale dello Stato e non abbiamo potuto approvare quel provvedimento.
Chiedo alle forze politiche dell'attuale maggioranza e al ministro se non ritengano che quel discorso debba continuare, per verificare, tra le altre cose, se l'attuale ministro sia più bravo del precedente. Lo dico senza ironia, nel senso che il peso politico indubbiamente conta moltissimo e le congiunture economiche incidono nel bene e nel male, in questo caso nel male. Ci siamo trovati dinanzi a difficoltà che, a mio parere, potevano essere superate e oggi ci troviamo di fronte a uno stallo.
La mia domanda è la seguente: il ministro Rutelli, Vicepresidente del Consiglio,


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è in grado di convincere il ministro dell'economia? Abbiamo letto in questi giorni le preoccupazioni del ministro Rutelli, il quale ha chiesto di evitare ulteriori tagli alla cultura. Siamo d'accordo con lui e siamo qui a sostenerlo, perché ci accomuna l'amore verso la cultura, specialmente per alcuni settori. Siamo pronti a lodare il ministro, ma l'impegno, a mio parere, deve essere concentrato per superare la contrarietà della Ragioneria generale a un provvedimento che tutti i gruppi parlamentari presenti in Commissione sono in grado di sottoscrivere.
So che l'onorevole Colasio ha già presentato la sua proposta, la mia è già pronta, è stata presentata, ma può essere tranquillamente rivista e modificata in un clima di convergenza corale. Un elemento ci trova in disaccordo: se usare l'espressione «sentita la Conferenza unificata» oppure «di intesa con la Conferenza unificata». È un punto sostanziale, non di poco conto, sul quale dovremmo confrontarci, verificando la possibilità di trovare un punto d'accordo.
L'altra questione sulla quale siamo tutti d'accordo - voglio che la sincerità del mio intervento le sia chiara - ma che ha comportato grosse difficoltà è di natura economica. La legge consente alcune detrazioni fiscali, come nel caso delle sponsorizzazioni, per alcuni settori dello spettacolo. Non siamo riusciti a estenderla a tutto il settore dello spettacolo: se vi riuscissimo, sarebbe comunque un passo avanti.
Vorrei segnalare al ministro che in tutte le nostre proposte di legge, maggioranza e minoranza, abbiamo tentato di introdurre benefici fiscali, i più svariati. Quando le cose andavano bene, il ministro Visco rispondeva che l'impostazione del sistema fiscale italiano non consente di prevedere il tax shelter. D'altra parte, sotto il Governo di centrodestra non c'erano le disponibilità. In tal senso, mi auguro che sul piano economico ci sia una ripresa, perché sarebbe molto utile riuscire a fare un passo avanti. Ho chiesto agli uffici della Commissione il testo del provvedimento del Governo belga sul tax shelter, ministro. Pare che abbiano trovato una formula diversa da quella settoriale a cui abbiamo sempre pensato, una formula che invece riguarda un po' tutto lo spettacolo. Spero che gli uffici ce la facciano avere presto; dovremo esaminarla, se facilita il compito potrebbe essere una strada da percorrere.
Siamo qui per sapere cosa intende fare a riguardo, ministro. La nostra disponibilità è totale e incondizionata.
Infine, vorrei rivolgerle una raccomandazione: visto il clima che esiste nella Commissione cultura, non tagliamo precocemente le teste, perché, anche in questo caso, c'è bisogno di un po' di stile.

FABIO GARAGNANI. Signor ministro, mi unisco ai colleghi che mi hanno preceduto e a nome del gruppo di Forza Italia le auguro buon lavoro, in presenza di problemi di particolare rilevanza e gravità, anche per il settore cui lei è preposto.
Desidero sottoporre alla sua attenzione tre problemi, a mio modo di vedere centrali, sui quali mi sono soffermato nella precedente legislatura, insieme al gruppo di Forza Italia. Il primo riguarda le fondazioni liriche. Ritiene che la legge istitutiva delle fondazioni liriche, che ha avuto un significato preciso nel coinvolgere i privati per tentare di risolvere i problemi dei maggiori enti lirici, abbia svolto un ruolo importante o debba essere modificata almeno in parte? Lo dico perché, a consuntivo, dopo alcuni anni dalla sua approvazione, i problemi degli enti lirici e sinfonici permangono nella loro gravità. Ritengo che non sia possibile sottrarci a un giudizio a riguardo. Da un lato, infatti, vi è la necessità di coinvolgere maggiormente i privati. Si è molto sperato nell'ingresso del privato, ma di tutti gli enti lirici d'Italia credo che solo la Scala di Milano, con molti limiti, abbia beneficiato di un qualche contributo significativo che però rimane, al momento, insufficiente a coprirne il fabbisogno. Tutti gli altri enti lirici hanno registrato una presenza dei privati, diversificata, ma comunque insufficiente a garantire un adeguato livello delle prestazioni.


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Devo registrare poi un calo globale del finanziamento degli enti locali e delle regioni e una forte differenziazione tra le diverse realtà. Per quanto riguarda, ad esempio, la mia città, Bologna, nell'ultimo anno regione e comune, soltanto per il Teatro comunale, che è una fondazione, hanno stanziato 2 milioni e mezzo circa di euro. In altre realtà - basta pensare al Teatro Massimo di Palermo, al Teatro di Cagliari o al Teatro Regio di Torino - c'è un maggiore impegno degli enti locali, ma vi sono forti differenziazioni.
In sede di verifica della legge, credo sia importante indicare i risultati ottenuti e assicurare una maggiore uniformità nell'impegno degli enti locali, che sono poi coloro che si fanno carico, ad esempio, del personale e dei lavoratori dipendenti. Anche in questo caso, peraltro, ci sono significative differenze tra fondazioni liriche che hanno pochi dipendenti, relativamente parlando, e altre che invece hanno centinaia e centinaia di dipendenti; con un risultato, anche dal punto di vista della produzione artistica e culturale, globalmente divergente.
Credo che a questo punto occorra favorire le sinergie, lo abbiamo detto, ma è anche necessario porsi il problema di fondo che la legge non ha conseguito gli obiettivi che si poneva, al di là di alcuni elementi positivi e significativi, come il coinvolgimento dei privati. La questione essenziale è salvaguardare questo importante aspetto della nostra cultura, in presenza, fra l'altro, di iniziative concorrenti. Dico questo proprio perché provengo da una regione che presenta tale fenomeno nel caso delle orchestre (si pensi all'orchestra Toscanini ad esempio) finanziate in concorrenza dagli enti locali.
Occorre fare un'opera di raccordo e soprattutto razionalizzare la presenza dello Stato e delle sue emanazioni periferiche, per evitare un dispendio inutile di energie e salvaguardare quei templi - il termine è abusato - della lirica o della musica sinfonica che hanno reso famoso il nostro paese. Non mi riferisco, ovviamente, solo alla Scala o alla Fenice di Venezia. Credo che siano necessari maggiori incentivi ai privati e una maggiore uniformità per quanto riguarda l'intervento degli enti locali, con alcune garanzie, dal punto di vista non solo dell'occupazione ma anche della produzione di questo bene culturale significativo.
La seconda domanda che intendo porre, che è anche la conferma di alcune perplessità, riguarda gli istituti culturali del nostro paese. Ci trasciniamo, ormai da quando sono qui, dal 2001, il problema del finanziamento agli istituti culturali. Una volta per tutte dobbiamo definire un criterio che non può essere semplicemente quello della conferma della spesa storica. La polemica che facevo con il Governo, pur essendo della maggioranza - il sottosegretario Bono mi è buon testimone - è che si privilegiano gli istituti storici di rinomata fama e consolidata esperienza, a prescindere da un giudizio di merito sulla validità complessiva dell'impegno culturale degli stessi. Era una sorta di elargizione oves et boves et universa pecora - tra gli altri, c'erano il Gramsci, l'Einaudi, lo Sturzo - che accontentava tutti, senza però entrare nel merito delle novità introdotte, lasciando fuori fenomeni culturali significativi, che riuscivano a beneficiare dei contributi con estrema difficoltà.
Le chiedo se l'approccio per la valorizzazione di questi istituti, molti dei quali hanno un patrimonio culturale significativo, sia il medesimo degli anni passati o se, anche attraverso una modifica della presenza nei consigli d'amministrazione o nelle commissioni incaricate di distribuire i fondi sulla base delle manifestazioni programmate, si intenda aiutare gli enti culturali che producono fatti effettivamente significativi, eventi storici e culturali. Molti di questi istituti, infatti, hanno una presenza consolidata nel paese, altri hanno uguale tradizione ma vengono sacrificati. Si tratta di consentire al nuovo di emergere, senza sacrificare chi nel passato ha meritato. Credo che dobbiamo misurarci con una rendita di posizione che di fatto penalizza spesso questo importante settore. Ci sono tanti enti che ormai di istituto culturale hanno ben poco, e la cifra limitata messa a loro disposizione lo


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conferma. Alcuni istituti si giustificano più per il mantenimento di qualche dipendente e della sigla che per la qualità dell'iniziativa culturale prodotta. È un altro punto sul quale torneremo presto. Si dovrebbe fornire una griglia seria, in modo che la Commissione possa misurarsi con chi attribuisce questi finanziamenti, attraverso una concreta valutazione delle proposte, sulla base di dati effettivi di riscontro, non con la sola conferma della spesa storica e dell'impegno pregresso.
L'ultima considerazione riguarda la fruizione di determinati beni culturali. Mi chiedo - faccio una proposta - se il Ministero intenda differenziare il suo impegno, già limitato, a proposito dei percorsi culturali. Mi riferisco alle mostre d'arte, contemporanea o antica. Molti capoluoghi di provincia hanno organizzato interessanti e significative esposizioni, anche negli ultimi tempi: ad esempio, a Treviso mostre di arte contemporanea, soprattutto per quanto concerne la pittura francese, a Mantova e a Rovigo altre significative manifestazioni curate da Sgarbi. Anche la città di Ferrara si è distinta, in passato. Mi si dirà che colpisco la mia amministrazione, ma Bologna, di fatto, è stata completamente by-passata e prescinde da questi eventi culturali. In tal senso, credo che sia indispensabile un'attenzione del Ministero agli enti locali che, a differenza di altri, svolgono un'opera significativa di sponsorizzazione e di promozione culturale. Questo - visto che si parla di spese superflue - anche per limitare le spese di molti enti locali la cui effettiva utilità è tutta da verificare, senza mortificare la loro autonomia.
La domanda conclusiva è come il Ministero intenda rapportarsi (nel rispetto dell'autonomia, ci mancherebbe altro) nei confronti di quegli enti locali che utilizzano in modo proficuo gli eventi culturali e ne fanno beneficiare la collettività, rispetto ad altri che invece sono completamente disinteressati a questi percorsi. In sostanza, una efficiente ed efficace opera di mediazione potrebbe essere svolta dal Ministero, non solo con il patrocinio, che è qualcosa di generico e gratuito, ma con qualcosa di più significativo, per fare sì che le lodevoli iniziative non siano limitate ad alcuni capoluoghi di provincia, fra l'altro marginali, ma interessino la globalità del paese. Questo, a mio modo di vedere, è mancato: laddove mancano gli enti locali, il Ministero può svolgere un'opera di promozione significativa. Questo è il senso dell'altra proposta che intendo rivolgerle con spirito costruttivo, proprio all'inizio del suo mandato.

MANUELA GHIZZONI. Signor ministro, nell'associarmi alle congratulazioni e agli auguri che le hanno rivolto i colleghi, desidero esprimerle apprezzamento per aver esposto le linee programmatiche senza inutili toni polemici e per essersi presentato con un'evidente attenzione e predisposizione al dialogo e all'ascolto.
Ho avuto modo di leggere e di valutare con attenzione l'introduzione e la replica finale. Ho apprezzato la coerenza con la quale ha dichiarato, anche se in un quadro di sintesi, i princìpi e gli orientamenti a cui intende ispirarsi ed attenersi e che, a partire dal dettato costituzionale, trovano sintesi in un imperativo, che trovo laconico ma assolutamente efficace e convincente (cito testualmente): «Bisogna fare tutto, tutelare, salvaguardare e valorizzare il patrimonio, creare grandi eventi e avvenimenti culturali di profilo internazionale, favorire la conoscenza del patrimonio diffuso, reperire risorse anche dal settore privato, senza diminuire la capacità del pubblico di fare la propria parte».
Questo «fare tutto» credo che evidenzi l'intenzione di affrontare la situazione attuale attraverso il presidio tenace di ogni segmento di cui si compone la missione del suo dicastero, con coerenza e determinazione, anche nella difficile situazione economica, che esige l'indispensabile tensione strategica che lei ci ha esposto.
Desidero porre alla sua attenzione e all'attenzione dei colleghi della Commissione alcuni temi. Taluni sono già stati trattati, altri sono inediti. Vorrei affrontarli dal punto di vista della mia passata esperienza di amministratore locale di una città di medie dimensioni, Carpi, che ha 64


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mila abitanti; una di quelle città che a buon titolo fanno parte delle cento città d'Italia, di cui ha parlato l'onorevole Colasio nel suo intervento, città che investono intensamente nella cultura per dare sostanza alla propria identità, alla propria coesione sociale, al proprio futuro, anche produttivo.
Del resto, credo che le politiche culturali degli enti locali siano quelle che più concretamente attuano la declinazione coesiva e identitaria del nostro patrimonio culturale. Non è il caso di entrare nel dettaglio, ma ad esempio l'istituzione di una sezione multimediale o multiculturale in una biblioteca per ragazzi credo che svolga questa funzione coesiva, dal punto di vista sociale; così i laboratori di lettura o i laboratori musicali creano nuova domanda, nuovi bisogni.
Sono città che investono molto in cultura, molto di più, in proporzione, rispetto allo Stato e alle regioni. Mediamente, i comuni italiani investono il 3 per cento del bilancio rispetto allo 0,3 per cento del PIL dello Stato (nella mia realtà locale si sfiora il 7 per cento). Questa esperienza, che come me vivono colleghi di entrambi gli schieramenti di molti comuni italiani, si misura con il governo degli istituti culturali, con la necessità di trovare nuove forme di gestione, che consentano, al contempo, una migliore valorizzazione e fruizione di questi istituti, l'auspicata realizzazione di economie di scala e l'attrazione, assai difficile, di risorse private. Si misura anche con la sfida del marketing territoriale, qui richiamato, soprattutto in una visione distrettuale, e con l'esperienza dei festival culturali; nel mio caso specifico il «Festival filosofia» e la valorizzazione del campo di concentramento e di transito di Fossoli, che insiste sul nostro territorio comunale, il campo che ospitò per qualche tempo anche Levi, prima della deportazione.
Mi permetta, signor presidente, due incisi brevissimi. Il primo per auspicare una disciplina che incentivi e aiuti la conservazione e la fruizione di questi luoghi della memoria, distribuiti in tutto il territorio nazionale, dalla Calabria al Friuli, siti e manufatti che, al pari appunto del campo di concentramento di Fossoli, testimoniano gli orrori della seconda guerra mondiale, della deportazione degli oppositori e degli ebrei nei campi di sterminio nazisti; inoltre, una disciplina per realizzare una rete nazionale ed europea di questi siti.
Il secondo inciso si collega al citato «Festival filosofia», all'esperienza dei festival culturali. Richiamo quanto ha paventato il collega Adornato, nel suo intervento, a proposito del consumo culturale e del vivere la cultura come evento. È un tema che credo meriti la nostra attenzione e che mi spinge a suggerire un'analisi dei cosiddetti grandi eventi, dei festival culturali; fenomeni estranei al puro marketing che rappresentano una forma contemporanea di produzione e trasmissione culturale. Questi fenomeni, peraltro, mettono in luce una relazione assai nuova e inedita tra la società e la cultura e non possono essere trascurati dalla VII Commissione e dal Ministero.
Riprendo il mio discorso. Il punto di osservazione privilegiato, quello appunto dell'esperienza amministrativa, mi porta a ritenere che i temi delle risorse e della governance siano prioritari e richiedano svolte coraggiose.
Sul tema delle risorse, in particolare quelle private, sono intervenuti anche altri colleghi. Voglio richiamare, perché lo ritengo condivisibile, quanto ha affermato il professor Settis nel convegno della settimana scorsa sui modelli di governance per i beni culturali. A conclusione del suo intervento, teso a chiarire gli ostacoli culturali e normativi che impediscono un diffuso sostegno dei privati alle attività culturali, il professor Settis ha affermato che ci vuole molto più Stato perché ci sia più privato, dove «Stato» sta per «azione pubblica». Credo che questa affermazione non abbia bisogno di commenti, perché è chiarissima.
Nella commissione mista annunciata, tra il Ministero dell'economia e quello per i beni e le attività culturali, vedo già una sponda concreta e operativa per dare concretezza all'affermazione del professor


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Settis, una commissione che dovrà affrontare l'aggiornamento della legge Ronchey sui servizi aggiuntivi, una nuova fiscalità per i sostenitori privati della cultura, oltre che una revisione delle detrazioni fiscali a favore della cultura.
Ritengo che ciò di cui si è sentita la mancanza negli ultimi anni sia stato soprattutto la certezza delle risorse. Senza tale certezza non è possibile fare alcuna programmazione, che nell'ambito culturale (si veda, ad esempio, il caso delle mostre) non può essere inferiore al triennio. I tagli sono sempre dannosi, ma lo sono ancora di più quando sfuggono a qualsiasi previsione e impediscono qualsiasi programmazione.
Concludo su questo tema delle risorse suggerendo alla commissione interministeriale anche l'analisi delle difficoltà delle province o delle zone periferiche, con riguardo alle sponsorizzazioni private nelle città d'arte, alle eccellenze. Si tratta di pensare a forme e quote perequative di interventi carismatici, a favore di realtà più defilate ma non per questo meno importanti.
Vengo alla seconda priorità, quella della governance, su cui si sono già soffermati in modo particolare i colleghi Colasio e Martella. Sono inscindibili il tema della governance del territorio e quello della minuziosa diffusione sul territorio di beni culturali, sotto forma di siti archeologici, archivi, biblioteche, beni religiosi. Il patrimonio culturale nazionale si distingue, tra l'altro, per la diversificazione dei regimi proprietari, come veniva ricordato anche dalla collega Goisis. A riguardo, un ruolo importante viene svolto dai comuni. L'enorme mole di beni da essi posseduti rende indispensabile un'attenzione particolare agli strumenti di gestione a loro riservati. È noto che il Titolo V della Costituzione affida allo Stato le competenze legislative esclusive sulla tutela, mentre stabilisce una condivisione di responsabilità con le regioni relativamente alla valorizzazione.
Tuttavia, è bene sottolinearlo, la Costituzione nulla stabilisce (e nemmeno potrebbe farlo, del resto) in merito alla distribuzione delle funzioni amministrative. Il codice dei beni culturali non risolve la questione della distribuzione delle competenze sulla valorizzazione, limitandosi a assegnare le funzioni amministrative ai diversi enti proprietari e a prevedere accordi finalizzati, cito, «a coordinare, armonizzare, ed integrare le attività di valorizzazione dei beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica». Però la particolare distribuzione dei beni sul territorio e il peso dei comuni e in particolare dei piccoli comuni, rende questa previsione del tutto insufficiente, anche considerando la vaghezza delle previsioni in relazione ai beni di appartenenza di privati.
Pertanto, divengono necessari quei luoghi di concentrazione di cui ha già parlato l'onorevole Martella, che coinvolgano non solo gli enti e le istituzioni pubbliche, ma anche i possessori privati di beni; fra i quali, è bene non dimenticarlo, vanno annoverati anche gli enti religiosi. In questo contesto il ruolo dei comuni, minimo comune denominatore delle realtà territoriali, diventa imprescindibile. Essi, singolarmente oppure in forma associata - se saranno disposti sia gli opportuni strumenti burocratici e finanziari, sia i luoghi e le modalità di concertazione tra gli enti superiori -, possono diventare il motore dell'organizzazione dei territori, anche attraverso la progettazione, lo stimolo e il sostegno delle attività culturali. Possiamo chiamarli distretti culturali o reti municipali per la valorizzazione del patrimonio culturale, però l'essenza della questione non muta.
Vengo velocemente all'ultimo tema che volevo affrontare e sottoporre alla vostra attenzione. Gli enti locali, se vogliono seriamente assumere funzioni e compiti di promozione e produzione culturale, devono dotarsi di risorse professionali di alta qualificazione, attenendosi agli standard stabiliti dal Ministero. Si apre in questo contesto anche la questione della formazione universitaria dei professionisti della tutela, per i quali, specie in una fase in cui si vanno moltiplicando i soggetti autorizzati o autorizzabili allo svolgimento di


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funzioni afferenti al patrimonio culturale, si devono garantire gli standard minimi di competenza a tutela dell'unitarietà dell'azione pubblica sul patrimonio culturale.
Contestualmente, nel più ampio ambito della regolamentazione delle professioni intellettuali, si deve considerare la questione, spesso dimenticata, delle professioni dei beni culturali. Architetti e ingegneri sono riuniti in un albo, i restauratori godono della definizione di cui all'articolo 29 del codice dei beni culturali; però, archeologi, storici dell'arte, antropologi, bibliotecari e archivisti vivono in un limbo di indeterminatezza che umilia le loro competenze e crea sperequazioni intollerabili con le professionalità più protette nel trattamento economico e nell'attribuzione di incarichi, sia dentro il Ministero, sia nella pubblica amministrazione, sia nel libero mercato. La certificazione di queste professioni attende una svolta normativa, che tuteli al contempo il professionista e il committente.
Concludo augurandole buon lavoro e auspicando che tra le molte urgenze che l'attendono possa trovare soluzione anche la querelle che ha visto opposti al Ministero per i beni e le attività culturali la giunta centrale e gli istituti storici, istituti nazionali rinomatissimi. Mi auguro che venga approvata al più presto una riforma (condivisa con gli istituti stessi) di queste istituzioni scientifiche apprezzate anche a livello internazionale.

FULVIO TESSITORE. Signor presidente, in primo luogo desidero anch'io formulare molti auguri al ministro Rutelli, auguri direttamente proporzionali alla rilevanza che tutti attribuiamo a questo Ministero e, se mi consente, che attribuisco in modo particolare io. Sono convinto, infatti, che proprio attraverso questo Ministero passi la difesa e il potenziamento non soltanto dell'identità nazionale, che io considero, contrariamente ad altri, molto forte, ma anche dell'identità statale, che al contrario è debole. Debbo anche dire che l'attuale straordinaria situazione di trasformazione - per non dire crisi - culturale, di cui il legislatore quantomeno dovrebbe prendere consapevolezza, rischia di indebolire ancora di più questi elementi che sono portanti.
Alla luce di queste considerazioni, non temo di sfidare la banalità se ribadisco la mia preoccupazione per una politica di alienazione del patrimonio storico, e vorrei essere chiaro. Quando denunciavo questa preoccupazione, l'amico Urbani mi rispondeva che nessuno avrebbe mai venduto il Colosseo. Ma io avevo buon gioco nel replicare che non mi preoccuperei tanto della vendita del Colosseo, che difficilmente può essere trasformato in un condominio, mentre mi preoccuperei di più dell'alienazione di qualche palazzetto storico, di qualche castello, così diffusi nei nostri centri minori, pezzi di quella identità storica alla quale facevo riferimento.
Vorrei precisare che, nel dire questo, cedo non a una retorica unitaria patriottarda ma, al contrario, al convincimento forte che la nostra unità sia caratterizzata dal pluralismo culturale e dal policentrismo, naturalmente non nel senso rozzo della divisione ma in quello della sintesi. A tale riguardo, vorrei rinnovare un richiamo all'unità che ho trovato anche nel suo intervento, signor ministro, che purtroppo ho potuto soltanto leggere e non ascoltare; il che non significa naturalmente mancanza di consapevolezza della diversità delle funzioni tra conservazione, tutela e gestione. Credo che vada rivendicata con forza questa unità e rivendicarla non significa scegliere una via di anti-economicità, ma anzi sottolineare un modo di intendere il bene culturale, che trova la sua valutazione, lo dico in senso tecnico, proprio in quella dimensione pluralistica e pluricentrica del nostro paese alla quale facevo riferimento. Si tratta di un modo di intendere il bene culturale che, a mio giudizio, poggia su un corretto rapporto tra centro e periferia, un rapporto che rischia di essere indebolito da una distinzione tra tutela e gestione.
Per riassumere su questo punto, credo si possa volere anche realizzare uno Stato «leggero», a condizione di non sconfinare in uno Stato «neutro». Chi si richiama alla tradizione liberale certamente sa che


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uno Stato neutro è un concetto negativo, anche per le concezioni della nostra destra storica. Quando parlo del nesso tra conservazione, tutela e gestione, mi richiamo a un altro punto, che è ritornato in alcuni degli interventi dei colleghi e sul quale vorrei insistere anch'io, vale a dire l'importante funzione che il suo dicastero svolge nella formazione, a cominciare dal rapporto con il mondo universitario. A tal fine sono rilevanti sia le cattedre di storia del cinema sia il corso di laurea in beni culturali.
Vorrei anche richiamare la necessità di una rinnovata attenzione per alcuni importanti istituti che fanno capo al suo Ministero, l'Istituto per il restauro, l'Istituto per la patologia del libro, che sono stati trascurati e penalizzati da una politica di invecchiamento e di mancato ricambio del personale, e che invece vanno rivitalizzati, anche perché rappresentano il canale più fruttuoso nel rapporto con la formazione e con il mondo universitario.
Se mi consente e sempre nello spirito metodologico di quanto detto finora, vorrei richiamare la sua attenzione su alcuni aspetti più particolari. Nella precedente legislatura fui relatore di un provvedimento che, peraltro, era condiviso anche da esponenti dell'allora maggioranza. Fu il Governo a bloccare l'iter del disegno di legge per la diffusione della cultura scientifica in ambito umanistico, che pure avrebbe comportato un impegno finanziario relativo. Nel ribadire la stessa esigenza, sia chiaro che non faccio una rivendicazione corporativa da umanista e meno che mai penso alla distinzione delle due culture, che ho sempre ritenuto un «romanzetto». Ritengo che un provvedimento sulla diffusione della cultura scientifica in ambito umanistico sia destinato a completare e a dare forza alla legge esistente sulla diffusione della cultura scientifica in ambito tecnologico, perché chiunque pratichi la ricerca o sappia qualcosa di questi problemi si rende conto che l'esigenza attuale è quella della interazione tra i saperi positivi sia di ambito tradizionalmente definito umanistico, sia di ambito tradizionalmente definito tecnologico, interazione che trova un punto di convergenza nella funzione conoscitiva di questi saperi positivi. Mi auguro, pertanto, che il ministro voglia consentire la ripresa di questo iter legislativo, con un destino migliore di quello della passata legislatura.
L'altro aspetto su cui vorrei richiamare anch'io la sua attenzione è la necessità di un'attenta revisione della normativa sugli organismi direttivi degli enti di ricerca. Lei sa che, sulla base di un'impostazione che non condivido, sono scomparsi i consigli scientifici, riassunti nei consigli di amministrazione, secondo un'idea degli enti di ricerca che considero mercantilistica. Si sono verificate situazioni addirittura comiche, quando la Commissione cultura di cui facevo parte nell'altro ramo del Parlamento si è trovata a dover esprimere il parere su alcune proposte. Per alleggerire il tono serioso del mio intervento, ricordo che per l'Istituto nazionale del dramma antico venne proposta una gentile signora: nel curriculum, oltre a indicare una laurea in giurisprudenza con 88 - vedo che l'amico Bono sorride, sorrise insieme a me anche in quella occasione -, segnalava l'appartenenza a una famiglia che produceva, pare, un'ottima qualità di vino. Naturalmente sono pienamente consapevole dell'importanza del vino nel mondo antico e nella cultura del Mediterraneo, a condizione, naturalmente, che non consenta sbornie, che non abbia una dimensione unilaterale.
Richiamo ancora la sua attenzione sui criteri di formazione e di funzionamento delle commissioni selezionatrici nella distribuzione dei fondi agli istituti culturali, soffermandomi, in particolare, sulle edizioni critiche e i centenari: abbiamo assistito a celebrazioni di centenari e cinquantenari di tutti i tipi e di tutte le specie. Credo sia importante tenere conto di elementi di novità, non trascurando - mi permetto di dissentire da un collega, che pure ha posto un problema rilevante - alcuni di quegli istituti storici. Ovviamente sono d'accordo sulla necessità di una verifica, ma in molti casi quello che mancava era proprio la verifica da parte delle commissioni (vedo che qualche autorevole


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collega concorda): era difficile stabilire in base a quali criteri fosse stata presa la decisione.
L'ultimo punto su cui richiamo l'attenzione del ministro concerne le fondazioni liriche. In un incontro al quale partecipai, il sindaco di Bologna, Cofferati, correggendo la mia dichiarazione che le fondazioni liriche erano in difficoltà, sostenne che si trattava di enti falliti. Temo, ahimé, che avesse più ragione di me. Senza chiuderci nel pessimismo e senza alcuna forma di timidezza, dobbiamo dunque prendere atto della necessità di rivedere la legge sulle fondazioni, non tanto perché il principio della legge sia sbagliato, ma perché nel nostro paese non esiste una cultura del privato a sostegno dell'attività culturale nel senso della continuità. In genere si privilegia il grande evento, ma questo è precisamente l'opposto di una politica culturale sistematica.
Aggiungo che non mi faccio illusioni sulla presenza nel consiglio d'amministrazione - ad esempio in quello della Scala, tanto per non fare nomi - di grosse personalità del mondo imprenditoriale. Quando si va a vedere da vicino, si scopre un fatto singolare: in molti casi, questi grandi esponenti del mondo privato rappresentano enti pubblici, sono nominati dalla provincia oppure dalla camera di commercio o da altri organismi analoghi.
Credo che sia necessaria una riconsiderazione. Il ministro sa sicuramente che in due anni il FUS è stato ridotto del 35 per cento...

FRANCESCO RUTELLI, Ministro per i beni e le attività culturali. Pure del 50 per cento...

FULVIO TESSITORE. Pure del 50 per cento. È una delle ragioni per cui le fondazioni liriche sono tutte, indistintamente, in difficoltà. Vorrei permettermi un suggerimento: forse non sarebbe sbagliato, perlomeno in partenza, aprire un tavolo che accanto ai rappresentanti del Ministero veda i sindaci, i presidenti e i soprintendenti; una riflessione va fatta, più che mai in una materia come questa, in modo condiviso, attraverso una ricognizione precisa della situazione reale.
Ci sarebbero molte altre cose da dire. Però, vedo lo sguardo cordialmente ammonitore del presidente e quindi taccio, perché non mancheranno altre occasioni. Ringrazio il ministro per l'attenzione.

PRESIDENTE. Il mio sguardo era autenticamente interessato, non ammonitore.

ANTONIO PALMIERI. Signor ministro, mi scuso con lei ma l'altra volta non ero presente, perché impegnato nella campagna referendaria. Ho letto, però, la sua dichiarazione e mi associo alla considerazione che forse non le si poteva chiedere di più; nel senso che inevitabilmente c'è molto vacuum in quello che lei ha detto, ma le facciamo sconto di questo, perché da pochi giorni ha preso in mano questo Ministero così importante e delicato, in un Governo che non è ancora in condizione di lavorare pienamente, a motivo delle sue profonde divisioni. Mi rendo conto che non sia facile prendere in mano la situazione e venire qui a proporci progetti già pronti da attuare. Di questo le diamo sicuramente atto.
In secondo luogo, vorrei esortarla a non cedere alla tentazione - uso un neologismo - del «cancellazionismo» rispetto a quanto fatto dal Governo precedente, solo perché fatto da quel Governo. È una tentazione molto seduttiva, da un certo punto di vista, pericolosa per un altro. Lo dico con riferimento al codice dei beni culturali, che è stato ed è un tentativo (sicuramente perfettibile) per ridare ordine alla materia e per facilitare il lavoro degli operatori pubblici e privati, e riprendo anche l'esortazione finale dell'onorevole Rositani sul discorso delle «teste»; anche oggi abbiamo letto sui giornali alcune dichiarazioni con riferimento ad Arcus: bisogna avere un minimo di cautela e ricordarsi della necessità di rendere conto a noi, come Commissione parlamentare, del funzionamento reale di questo tipo di strumenti, il cui carattere di novità comporta pregi, ma evidentemente anche limiti.


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Le rivolgo ora tre richieste precise seguite da una precisazione. La prima riguarda il portale nazionale del turismo, www.italia.it, voluto dal precedente Governo, in particolare dai ministri Stanca e Buttiglione (bando pubblicato, gara espletata, lavori assegnati, tumulti delle regioni che si ritenevano espropriate di alcune facoltà loro spettanti in virtù del famigerato Titolo V). Ritengo rappresenti - al di là di tutto - l'occasione di un marchio nazionale nel mondo, un'opportunità per far conoscere a costo zero la nostra bella Italia. Nella passata legislatura il progetto era in avanzata fase di realizzazione: le chiedo se può darci notizie del punto in cui siamo.
La seconda questione riguarda il diritto d'autore e la pirateria. Nella scorsa legislatura, in Commissione, abbiamo svolto un'indagine approfondita. Vale la pena sicuramente di tornarci, perché, evidentemente, la tecnologia non aspetta la politica. È un tema quanto mai caldo, in tutti i sensi e per tutti gli ambiti di protezione delle vecchie e nuove forme di sapere e di comunicazione culturale. Occorre tornare sul tema del diritto d'autore nell'era digitale e sulla conseguente lotta alla pirateria; si dovrà rivedere il famoso decreto Urbani (il presidente lo definirebbe forse «famigerato»), verificare a che punto siamo in Italia, in Europa e oserei dire nel mondo. È un messaggio importante, anche con riferimento a una vasta platea di giovani che usano le nuove tecnologie per fruire dei beni culturali.
Infine, vorrei riprendere alcune riflessioni dell'onorevole Garagnani, con riferimento alla verifica del funzionamento, non sempre efficace, delle antiche leggi di spesa a pioggia. Se si potesse finalmente e effettivamente attuare un sistema di verifica preventivo, non a cose fatte, credo che gioverebbe all'interesse di tutti.
La precisazione che intendo fare si riferisce a quanto riportato dal resoconto stenografico della seduta del 15 giugno scorso, nella parte in cui l'onorevole Guadagno ricordava l'uccisione, a Como, di un giovane cingalese di 18 anni, che avrebbe potuto essere un grande artista. Volevo consolare lui e noi tutti: non è morto, è vivo, sta meglio e si sta riprendendo dal gravissimo fatto che gli è capitato. È chiaro che il vigile ha sbagliato, ma il ragazzo, adesso, sta molto meglio e soprattutto è vivo. Una buona notizia per la Commissione: è giusto lasciare agli atti informazioni precise e non errate.
Rivolgo infine al ministro un augurio sincero di lavorare veramente al servizio di tutti. Nello spirito che caratterizza la VII Commissione, confermiamo la disponibilità a un lavoro comune su temi che stanno a cuore a tutti. Accordi bipartisan dovrebbero essere più facilmente raggiungibili in materie come la cultura, lo spettacolo, il turismo; forse più che per la scuola (anche se non dovrebbe essere così).
Concludo il mio intervento con l'augurio sincero di buon lavoro, caro ministro, o più probabilmente di un lavoro buono, perché è ciò di cui abbiamo bisogno.

PRESIDENTE. La ringrazio, deputato Palmieri, anche per la buona notizia che ha portato alla Commissione. Non possiamo che essere molto contenti di questo fatto. Evidentemente, questo non attenua minimamente (neanche da parte sua, è stato molto chiaro) la forza della denuncia della deputata Luxuria su come ci si pone di fronte al fenomeno dei writer in molte realtà del paese.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor ministro, ho apprezzato moltissimo la sua relazione. In particolare, ho apprezzato il metodo che lei ha cercato di illustrarci: un metodo che, mi pare di capire, valorizza molto il lavoro a rete e diventa interdisciplinare anche in relazione al sistema universitario e formativo, non esclusivamente a quello tradizionalmente culturale.
Ho apprezzato, altresì, l'idea di puntare sull'innovazione, che significa una nuova qualità del personale, più adatta ai tempi, e un'innovazione anche nei contenuti, nel metodo di lavoro.
Vorrei sottolineare soltanto alcuni punti. Il primo, che mi sta molto a cuore, è quello dell'autonomia della cultura. Personalmente,


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vengo dall'esperienza lombarda e milanese, e devo dire che, in quella terra, l'autonomia della cultura è un bene non sempre mantenuto ai livelli che si desidererebbero. In particolare, proprio per quel che riguarda ciò che è stata definita la «lottizzazione», posso soltanto citare - essendo meno lieve del professor Tessitore - il caso per me emblematico dell'espulsione dal consiglio di amministrazione del Piccolo Teatro, anni fa, di uno dei più grandi poeti italiani, Giovanni Raboni, per inserirvi, invece, personale legato alle maggioranze politiche.
Lo dico evidentemente non per spirito di polemica, ma perché ritengo si dovrebbe lavorare molto sull'autonomia della cultura, in relazione allo spoil system, per definire una sorta di zona franca della cultura stessa. In altre parole, nella definizione del sistema delle nomine e della valorizzazione delle competenze, credo si debbano individuare criteri nuovi rispetto al passato.
In secondo luogo, penso che un problema serio riguardi il profilo, il riconoscimento della professionalità e della funzione sociale degli operatori, non soltanto del sistema dei beni culturali ma anche di quello dello spettacolo e dello spettacolo dal vivo, che oggi, purtroppo, è ancora molto fondato sulla buona volontà e sulla passione.
In terzo luogo - procedo velocemente, per consentire al collega Giulietti di intervenire e per concludere il lavoro odierno -, quando si afferma la necessità di puntare sull'innovazione, penso al prodotto, ma anche all'elemento di divulgazione e di fruizione della cultura come forma di inclusione sociale e di crescita della cittadinanza. Vorrei che su questo punto ci fosse una riflessione particolare anche in Commissione, pensando agli avvenimenti di questi giorni e a tutto ciò che riguarda la vicenda donne, immagine femminile, sistema e ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo. Credo che questo non sia un tema che può appartenere solo ed esclusivamente a un comparto della comunicazione, ma che rientri nell'ambito di un ragionamento di crescita culturale del paese. Non penso soltanto alle pari opportunità, ma a una crescita della cittadinanza, del valore dell'individuo e del rispetto della persona nel sistema dei media complessivamente inteso, pubblico o privato che sia.
Il quarto punto sul quale vorrei sollecitare la sua attenzione, signor ministro, è quello del rapporto con i territori, di una capacità di agire in una concertazione non soltanto fra le grandi istituzioni nazionali, ma anche in una rete che comprende le regioni, in base alle competenze assegnate dal Titolo V, e il sistema dei comuni, che rischia di essere penalizzato ulteriormente dalla situazione economica, su cui non mi soffermo.
L'ultimo punto riguarda il sistema dei finanziamenti e il FUS. Penso ci si debba porre seriamente il problema di un ripristino del FUS. Si leggono sui giornali notizie alquanto inquietanti circa le tabelle (C, D...), ma io spero che non ci sia una penalizzazione proprio in questo campo. Sono d'accordo sul fatto che sia necessario reperire nuovi finanziamenti, ma da questo punto di vista ritengo occorra intervenire, in primo luogo, attraverso la razionalizzazione di ciò che abbiamo. Mi riferisco, in particolare, alla necessità di rivedere la legge sulle fondazioni e sugli enti lirici, ritenendo che quella sia una fonte di diseguaglianza molto profonda: penso al caso Scala, dove sappiamo che c'è un finanziamento pubblico superiore al 75 per cento, un finanziamento privato esiguo, una maggioranza dei privati nel consiglio di amministrazione. Qualcosa, evidentemente, non funziona, al di là di chi diriga o meno la struttura. Penso che sia arrivato il momento di rivedere, in modo perequativo, l'idea del rapporto pubblico-privato nel campo dello spettacolo e, in particolare, degli enti lirici.
Come dicevo, sono d'accordo sull'idea di ricercare nuovi finanziamenti. Sappiamo, però, che esiste una differenza, nel campo della defiscalizzazione, tra sponsorizzazioni e partecipazione al fondo di dotazione di una fondazione. L'aleatorietà della sponsorizzazione comporta inevitabilmente


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un trattamento fiscale differente, il che apre nuovi problemi e nuovi scenari.
Sono concorde, altresì, sulla necessità di mettere mano, finalmente, alla riforma dello spettacolo dal vivo, anche attraverso una semplificazione. Credo davvero che, in questo campo, la cooperazione sia molto importante e lo sia altrettanto definire nuove regole. Nella scorsa seduta, signor ministro, lei faceva cenno al premio della qualità, ma premiare la qualità nel campo dello spettacolo dal vivo - ad esempio, il teatro - comporta la definizione di una nuova tassonomia dei parametri. Mi pare che i parametri attuali rendano non semplice la ridefinizione di una griglia per i finanziamenti, in presenza soprattutto di una ritrosia dei privati rispetto al rischio di impresa.
Non credo che la cultura sia un'azienda, né che lo spettacolo possa essere trattato come un'azienda. Tuttavia, si tratta di un'impresa: un'impresa sociale, molto particolare, ma comunque un'impresa. Pertanto, credo che ci sia una dose di rischio che, esattamente come viene assunta dal pubblico, deve essere assunta anche dal privato. Non deve esistere il rapporto per cui il pubblico si accolla tutto e il privato si limita a intervenire in modo sussidiario. Se un rischio c'è, deve trattarsi di un rischio condiviso, anche con tutti gli ammortizzatori del caso.
Quello che mi interessa è individuare alcune strade possibili di reperimento dei finanziamenti da parte del pubblico. Personalmente, ritengo che, anche nel campo della cultura, come nel campo del sociale, solo un pubblico di qualità determina un privato di qualità. Nel caso della cultura, questo principio è ancora più valido. Ha ragione, signor ministro, quando afferma che non c'è paese, in Europa...

FRANCESCO RUTELLI, Ministro per i beni e le attività culturali. E nel mondo...

EMILIA GRAZIA DE BIASI. E nel mondo, in cui la cultura possa vivere senza l'intervento pubblico. Penso agli Stati Uniti, che pur avendo provato forme di fund raising, di fondazioni e partecipazione, mi pare stiano tornando indietro.
Quello che chiedo è se nel reperimento delle risorse, in particolare per lo spettacolo dal vivo, non sia il caso di riprendere alcune idee, come la compartecipazione al finanziamento dello spettacolo da parte di enti e servizi pubblici (ad esempio, la RAI). In pratica, qualunque istituzione si avvalga dello spettacolo dal vivo può avere una pertinenza nel finanziamento del medesimo, in modo da creare una dinamicità che, in questi anni in particolare, non abbiamo visto.
In altre parole, penso che tutto il campo della cultura richieda non compartimenti stagni, ma una grande capacità di lavorare in modo moderno, quindi un po' più a rete.

GIUSEPPE GIULIETTI. Signor ministro, svolgerò poche considerazioni, soprattutto sul metodo. Sono convinto che esista un problema di reperimento dei fondi, sollevato da molte colleghe e colleghi, ma sono anche convinto che lo si possa affrontare con un lavoro intelligente, all'interno del Governo. Trovo di grande rilievo che sia un Vicepresidente del Consiglio ad avere questa delega, perché ciò fa di questo comparto un grande investimento dal punto di vista della cultura e, secondo me, anche dell'impresa culturale.
Ritengo fondamentale risuscitare un certo entusiasmo, signor ministro. Questo non ha niente a che vedere con la cancellazione né con le liste di proscrizione, ma con il recupero dei migliori talenti della musica, del teatro, del cinema e dell'arte italiana, che si sentono partecipi di uno sforzo internazionale. Altro che cacciare qualcuno! Almeno ristabiliamo talvolta - il collega Bono sarà d'accordo con me - la centralità del congiuntivo in settori chiave come il cinema: o conosci la grammatica del cinema o non puoi amministrare! Ci sono straordinarie figure di intellettuali della destra italiana. Si utilizzi il meglio dei talenti, ma ripartendo da regole e criteri nuovi! Il cinema italiano non può restare in questo stato, pena la sua sopravvivenza.
Quanto al tema del metodo, dobbiamo stabilire se si tratta di un metodo che


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suscita il meglio nel paese o se è un metodo chiuso. So che anche dall'altra parte c'è chi vuole ragionare in questa direzione e questo mi appassiona in maniera particolare. Al riguardo citerò alcuni esempi, signor ministro. Nei giorni scorsi è accaduto un episodio che risulterà significativo a chi conosce il settore della musica, e il deputato Rositani, ad esempio, lo conosce meglio di me, avendo lavorato con garbo e intelligenza ad una proposta a riguardo (non importa se fossero diversi i percorsi, è il Parlamento che si confronta). Ebbene, per la prima volta il mondo della musica, delle associazioni industriali, imprenditoriali, ma anche della cooperazione e del mondo giovanile della musica, ha rivolto un appello per arrivare finalmente a una legge condivisa e per avviare una serie di politiche di promozione del prodotto musicale nelle reti internazionali e nazionali, di commercializzazione del prodotto, di educazione musicale nella scuola. Questo sarebbe il federalismo intelligente, quello di cui mi piacerebbe discutere: non solo il decentramento dei dialetti, ma anche della creatività, per far emergere il meglio delle nostre regioni (Commenti della deputata Aprea)! Vorrei che si mettessero insieme il dialetto e l'inglese, non le contrapposizioni. La tragedia è quando non si fa né l'uno né l'altro. Ad ogni modo, questo è un discorso che esula dall'argomento che stiamo discutendo. Mi interessa rivolgermi al ministro per interpellarlo su altre questioni. Rispetto a una proposta condivisa che emerge dal settore della musica, il ministro ritiene, ad esempio, di aprire porte e finestre non alla concertazione, ma all'audizione e all'ascolto di queste intelligenze, per recuperare i migliori talenti nel governo di questo settore?
Vi è una seconda questione che riguarda la musica, signor ministro. Ricordo che lei, nell'Europarlamento, seguì con attenzione questi temi. Lei sa che c'è una lunga questione, che non va impostata in modo demagogico - io non lo feci con il precedente Governo -, che riguarda il problema dell'IVA sulla produzione culturale. È possibile riprendere quell'attività di concertazione, in sede europea, che porti a una nuova direttiva? So che è un problema delicato, anche di concertazione con i vari ministeri. Come sa bene l'onorevole Bono, anche nella precedente finanziaria è stato contrapposto a questo problema quello della necessaria copertura. Tuttavia, io lancio una proposta di merito, quella di verificare con il ministro - d'intesa ovviamente con il Ministero corrispondente, essendovi il richiamato problema della copertura - se sia possibile una progressiva riduzione dell'IVA al consumo su alcuni prodotti. Come sapete, in particolare nel consumo multimediale, non solo musicale, si pone un problema drammatico di costo. Del resto, è inutile alzare la voce se qualcuno scarica dalla rete. Non possiamo, nello stesso tempo, imporre prezzi più alti e fare i poliziotti nella rete. Dobbiamo decidere su questo argomento, è davvero strana una società libertaria e liberale a corrente alternata.
Un'altra questione, qui condivisa, riguarda la legge sul libro e la lettura, sulla quale dobbiamo sapere che non siamo riusciti a portare a compimento nulla di concreto. Ci fu un impegno molto forte anche del sottosegretario Bonaiuti, che mi piace riconoscere, e un lavoro fatto di intesa; tuttavia, da dieci anni - si sono alternato diversi Governi - la legge sul libro è ferma in un cassetto.
Vede, signor ministro, alcune questioni chiamano in ballo il problema della spesa. Altre, però, come la promozione del libro, il libro nelle reti, il libro in televisione, l'invito all'abitudine alla lettura, non sono una questione di spesa, ma di atteggiamento, che dobbiamo favorire, in un modo o in un altro. Se si vive in una monocultura televisiva, il libro è un disvalore; se si condivide che il libro è fondamentale, in una comunità seria e forte, la promozione diventa fondamentale. Cito un esempio banale, che riguarda il contratto di servizio RAI. Ha mai notato, signor ministro, che nella fiction, in tutta la produzione nazionale, l'oggetto libro e l'oggetto giornale sono spariti, come se non facessero parte degli atti quotidiani? È molto più importante, come dicono gli esperti del


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settore, reintrodurre abitudini quotidiane a costo zero che non soltanto intervenire sul finanziamento. Spero di essere stato chiaro. La legge sul libro dovrebbe essere portata fuori dal cassetto insieme alla legge sull'editoria, d'intesa con il sottosegretario all'editoria, e credo che qui troverebbe un'accoglienza positiva. Certo, sappiamo bene che questo dovrebbe avvenire per gradi, sapendo che esiste un problema di copertura.
Mi permetto, ora, di affrontare sotto un altro versante la questione del cinema. Quello che mi sta più a cuore non è solo un problema di soggetti, ma un problema di oggetti, ossia capire la missione che viene assegnata alla produzione cinematografica italiana, la missione che viene affidata a Cinecittà e all'Istituto Luce. Come lei, sa, oltre a Cinecittà e all'Istituto Luce - qualche struttura andrebbe chiusa, avendo solo il significato di una proliferazione di posti -, abbiamo un grande ente come la Biennale di Venezia, la Casa del cinema di Torino, e sono nate varie strutture regionali.
Il punto non è soltanto capire chi governerà, ma qual è la missione generale del cinema italiano. Il cinema italiano guarda in casa o guarda all'estero? Qual è la commercializzazione possibile? Nel contratto di servizio della RAI - torno al punto - non sarebbe il caso di prevedere, finalmente, che grandi questioni come la fiction nazionale, il cinema nazionale, la produzione per l'infanzia (penso ai ruoli che potrebbero avere e che non hanno Milano e Torino) diventassero fabbriche di produzione nazionale colta e di qualità? Sono operazioni possibili se insediate nel passaggio chiave, che è il contratto di servizio, come accade in Francia e in altri grandi paesi. Questo potrebbe essere, signor ministro, un momento di confronto, in cui due ministeri si aprono all'ascolto delle diverse realtà regionali e produttive, per arrivare a ipotizzare un modello di contratto di servizio che, senza sovraccarichi clientelari, sviluppi la produzione in una certa direzione.
È mai possibile, signor ministro, che in Italia siamo ancora nell'era dei telegiornali divisi a seconda dello spazio più o meno grande assegnato alla destra o alla sinistra e che non ci sia un telegiornale della cultura? È mai possibile che non possiamo ipotizzare una grande campagna di produzione culturale? Non parlo solo della RAI, signor ministro - è pericoloso ragionare solo sulla RAI -, mi riferisco anche al ruolo che potrebbe avere Sky nella presentazione della produzione culturale italiana all'estero. Si pensi a che cosa è stata la rete ARTE per la produzione franco-tedesca. Insomma, dobbiamo ragionare sulla TV in modo diverso, chiederci come utilizzare le reti nazionali e internazionali per l'affermazione di qualcosa che non è solo estetica, ma è anche vita della nostra comunità.
Credo che questo possa essere un appuntamento, se lei lo condividerà. In questo senso, come dicevo, non c'è solo costo aggiuntivo, ma può esserci concertazione, convinzione, recupero delle risorse e proposte di questa natura.
Ricordo a tutti noi che gli stati generali della cultura, in Italia, negli ultimi anni - a volte anche con un rapporto positivo con i precedenti Governi ed altre in conflitto -, sono diventati una grande realtà, dagli autori ai produttori del cinema. In queste ore, tanta parte del cinema italiano sta reclamando la nostra attenzione: è preoccupata per il futuro del cinema e dell'audiovisivo italiano, reclama un netto passaggio, una netta inversione di tendenza - in questo ha ragione, a mio giudizio - soprattutto da un punto di vista metodologico. Mi domando, dunque, se non potrebbe essere un'idea da lei condivisa quella di riascoltare - come fu detto in campagna elettorale - gli stati generali, non solo a Roma, ma anche a Milano. Tanta parte della produzione culturale italiana meriterebbe di avere un ascolto molto attento. Sarebbe opportuno, quindi, prima di presentare le proposte, dedicare un momento all'ascolto di questa grande realtà che ha messo insieme produttori e autori in tutta Italia.
Concludo, signor ministro, con un complimento postumo al sottosegretario Bono (sto entrando anch'io in una fase decadente


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della vita, dunque introduco un elemento di buonismo disgustoso). Il sottosegretario Bono, quando era in carica, pose una questione - rientra sempre nel contesto degli interventi possibili a costo zero - della rivisitazione del patrimonio dell'Unesco in Italia, non solo nelle sue forme tradizionali dei siti protetti, con tutto quello che ne consegue, ma con riguardo a quelli che venivano chiamati i beni immateriali. Si tratta della certificazione delle grandi feste di tradizione secolare, di alcuni momenti di tutela della tradizione nel senso più alto e di un elenco che comprenda questa sorta di rete della tradizione europea, intesa non come contrapposizione, ma come valorizzazione reciproca.
So che, al riguardo, era stato avviato un lavoro presso il Ministero. Trattandosi di un lavoro degno di attenzione e degno di essere portato avanti, che peraltro ha richiamato anche un interesse in sede internazionale, credo che varrebbe la pena di non lasciarlo cadere nel vuoto.

NICOLA BONO. Colgo l'occasione per ringraziare l'onorevole Giulietti e per sottolineare che si tratta della ratifica della lista del patrimonio immateriale dell'Unesco. Una ratifica che ancora non è stata fatta dal nostro paese, ma che occorrerebbe sollecitare al più presto, in quanto il Ministero ha già in avanzata fase di istruttoria la certificazione di parecchi siti di patrimonio immateriale.
Ho chiesto di intervenire brevemente - la ringrazio, signor presidente, di avermi dato la parola - perché mentre siamo impegnati nell'audizione sono arrivate le conferme ufficiali di ciò che è avvenuto a Cinecittà Holding. Questo argomento è emerso in diversi interventi - in maniera incidentale ne ha parlato, con riferimento molto sfumato, il collega Rositani, in maniera più puntuale e precisa ne ha parlato l'onorevole Giulietti - ed io credo che, in fase di replica, su un fatto così rilevante sarebbe utile capire qual è l'orientamento del Ministero.
Innanzitutto, chiediamo come si sia potuto operare, all'interno di una normativa che comunque è disciplinata in gran parte dal codice civile, con sue regole e suoi limiti di intervento, e poi se questo sia semplicemente un aperitivo rispetto ai piatti forti preparati per l'eventuale introduzione del principio dello spoil system in tutti gli altri enti strumentali del Ministero.

WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Sarò brevissima, presidente, essendo già intervenuta nella scorsa audizione. Voglio solo precisare che accolgo con felicità la notizia che Rumesh non è morto. Mi piacerebbe accogliere con la stessa felicità la notizia che la figura istituita da quel comune, il vigile anti-writer, armato di pistola, in borghese, con auto civetta, è stata abolita.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al ministro Rutelli per la replica, vorrei fare qualche brevissima considerazione, più che altro qualche riflessione a voce alta, scaturita dal dibattito che abbiamo sviluppato nel corso di questa audizione.
Credo che, al di là delle posizioni politiche opposte che si confrontano all'interno della Commissione, ci sia data obiettivamente una forte opportunità, derivante dalla circostanza - non casuale - che il ministro per i beni e le attività culturali sia anche Vicepresidente del Consiglio. Se nell'attuale compagine di Governo sono molti i dicasteri impegnati sul fronte culturale - fatto che costringe la Commissione ad un importante lavoro di audizione (sono cinque i ministri interessati, cui si aggiunge il sottosegretario delegato all'editoria, Richi Levi) -, tale circostanza offre obiettivamente, al di là delle competenze specifiche del Ministero per i beni e le attività culturali, l'opportunità di costruire un discorso in rete sulla cultura, e sulla cultura italiana, capace di superare alcune compartimentazioni troppo rigide, forse perfino insuperabili, in rapporto alla struttura ministeriale, amministrativa, dello Stato italiano (così come organizzato) e, in qualche modo, delle regioni, per ciò che riguarda tutte le competenze assunte da queste e dagli enti locali. Il fatto


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che l'onorevole Rutelli sia anche ministro con delega al turismo, settore su cui ha competenza anche la Commissione attività produttive della Camera dei deputati, obiettivamente rafforza questo tipo di considerazione.
Ho riletto una parte importante degli atti della passata legislatura, non avendo fatto parte di questa Commissione e dovendo recuperare, con un corso accelerato, un gap di informazione circa il lavoro svolto. Nel farlo ho constatato in tale ambito uno spirito di collaborazione che non ha caratterizzato tutti i settori di competenza della VII Commissione. Lo auspicheremmo anche sulla scuola, sull'università, ma non v'è dubbio che, in questi settori, dal mio punto di vista, «fazioso», di parte, si confrontano comunque grandi idee generali, e si confrontano con passione (la stessa che avremo nei prossimi giorni, a partire da domani, quando riceveremo il ministro Fioroni in questa sede).
Sul tema dei beni culturali, invece, sebbene non siano mancati punti di vista anche molto diversi, devo dare atto che nella scorsa legislatura si è registrato un certo spirito bipartisan, per usare un termine che, per cultura politica, per esperienza e per collocazione, non mi entusiasma. Capisco, però, che questo termine possa risultare adeguato quando si tratta di una materia come il bene culturale, che per sua definizione è bene comune. Quella di «beni comuni» è una terminologia che ci viene dal mondo anglosassone - common good -, ma tutta la riflessione politica, culturale, anche filosofica, sui beni comuni, a mio modo di vedere va esplorata.
La riflessione sui beni comuni, a mio modo di vedere, può interessare tanto la sinistra quanto la destra, tanto il centrosinistra quanto il centrodestra, e riguarda non tanto il tema della proprietà del bene, né, come diceva giustamente il collega Tessitore, della vendita, molto improbabile, del Colosseo - più probabile, come diceva il collega, di qualche palazzetto storico di qualità - per rimpinguare le casse molto dimagrite della pubblica amministrazione. Quella sui beni comuni, dunque, è una riflessione che non riguarda tanto il tema della proprietà e neanche solo il tema della gestione. Ci sono stati importantissimi convegni, in questi giorni, sulla questione della governance, cui ha partecipato anche il ministro Rutelli. Esistono scuole di pensiero anche molto diverse sulla gestione dei beni culturali. Debbo dire che, al di là delle discussioni di principio, sento la concretezza di quanto ancora il collega Tessitore ha detto, di come in tante esperienze concrete la presenza dei privati non abbia rappresentato quel volano che il legislatore si attendeva al momento in cui sono state fatte le riforme.
Non entro nel tema del finanziamento, delle sponsorizzazioni, della partecipazione diretta dei privati, della gestione, ma entro su un terreno di carattere più generale che dovrebbe ispirare la nostra attività legislativa: la cultura non è una merce. Questo non vuol dire, evidentemente, che non ci sia un consumo culturale, che non ci sia un'attività culturale che è anche mercato e che non ci sia un'industria culturale nella quale il pubblico potrebbe intervenire, come il collega Giulietti ha detto con grandissima efficacia, riferendosi in modo particolare al rapporto con la RAI. Sicuramente, se si guarda, sulla carta, qual è l'industria pubblica culturale che potenzialmente ha il nostro paese, ebbene la RAI rappresenta un volano e un'opportunità ancora straordinaria, pur con la crisi che sappiamo. Di questo, oltre che con il ministro Rutelli, discuteremo nei prossimi giorni con il ministro Gentiloni.
Credo che abbiamo sicuramente un comune interesse nel sostenere il ministro Rutelli - non dico in un braccio di ferro, perché non di questo si tratta, con il ministro dell'economia, ma sicuramente all'interno dell'azione di governo - nel rivendicare il fatto che, per ciò che riguarda la cultura, non si applichino meccanicamente dei criteri che possono essere validi per il complesso della pubblica amministrazione. Inoltre, pur in una tendenza che avrà di fronte margini molto


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limitati - ne siamo tutti consapevoli - nel breve periodo, ci piacerebbe che alla fine della legislatura su questo terreno l'Italia riuscisse a marcare, con una presenza pubblica e con una diversa presenza privata, un salto di qualità rispetto a quanto è avvenuto.
Ci sono, poi, delle emergenze, sottolineate dai colleghi dell'opposizione e della maggioranza, come quella del taglio al FUS, su cui intendiamo collaborare, spingere, lavorare per sopperire agli effetti drammatici che tutto questo comporta. Inoltre, sottolineo la volontà della Commissione di intervenire per ciò che riguarda le ristrutturazioni, gli interventi, le nomine. In proposito, c'è stata una discussione e si è parlato di tagliare le teste, di cancellare, e via dicendo. Devo dire che non sempre auspici legittimi, come quelli di questa Commissione - lo dico senza vis polemica -, hanno ispirato le scelte del precedente Governo in questo campo, che si è comportato, in molti settori, secondo la logica di tagliare le teste e i talenti.
Sottolineo il valore dell'appello espresso dal collega Giulietti a riconoscere il merito e il talento. Lo sottolineo in particolare in rapporto ai giovani talenti e, in generale, a ciò che è fuori dalle istituzioni culturali consolidate. Il collega Garagnani ha sollevato un problema che ha un grosso fondamento, facendo riferimento a una serie di istituzioni culturali che storicamente hanno consolidato un loro rapporto con le istituzioni pubbliche. Tuttavia, non c'è dubbio che il sistema, così come è organizzato e pensato oggi, favorisce la conservazione di ciò che esiste e difficilmente dà la possibilità di valorizzare un nuovo dinamismo culturale, associativo, di istituti, di fondazioni. Parliamo adesso di giovani talenti, ad esempio nel campo musicale. L'onorevole Giulietti ha citato il tavolo delle associazioni e delle imprese sulla musica, che ho incontrato nei giorni passati, che ha predisposto una sorta di disegno di legge quadro sulla musica italiana. Bisogna discuterne e capire se si tratta di un percorso da prendere in considerazione. In ogni caso, come Commissione, penso che dovremo rapidamente incontrare questi soggetti e, in raccordo col ministro, capire quali scelte dobbiamo operare in questo settore.
Infine, io credo - esprimo un'opinione personalissima, che il collega Palmieri conosce, e del resto con grande garbo si è riferito a queste mie posizioni, che ho sostenuto in Parlamento nella passata legislatura - che si debba riflettere seriamente sul valore straordinario che ha la libera circolazione del sapere e il libero accesso al sapere nella società di oggi.
Un conto è la lotta alla pirateria e alla criminalità organizzata, che costituisce un'imprenditoria illegale che compete slealmente con l'imprenditoria sana, altro conto è la spinta, che ha anche qualcosa di libertario, di anarchico, ma ha di per sé una connotazione positiva, alla libera circolazione del sapere. A mio modo di vedere, dobbiamo trovare il modo - contemperandolo con una riforma, che non comprima in alcun modo il diritto d'autore - di aprire le porte a questa libera circolazione del sapere, che avviene soprattutto all'interno della rete, che è una straordinaria opportunità per tutti, in particolare per i giovani, che ne fanno un uso straordinario. Del resto, tutti noi siamo stupiti dalla facilità con cui i giovani, i nostri figli, accedono alla rete. Credo che questo meriti, da parte nostra, un'attenzione non conservatrice, senza evidentemente far pagare il prezzo della domanda di libera circolazione della cultura e del sapere, per esempio, agli autori, che invece vanno assolutamente tutelati. Il tema della tutela degli autori oggi si pone con grande forza. A mio parere, alcune grandi multinazionali - sia detto senza spirito ideologico - che si occupano di contenuti culturali hanno pensato di usare a proprio vantaggio il diritto d'autore, con uno spirito più da copyright statunitense che da diritto d'autore italiano, che è una cosa diversa. Questo rischia di metterci di fronte a una sorta di privatizzazione dell'accesso alla cultura.
Penso, invece, che tale libero accesso alla cultura debba essere garantito. Mi piacerebbe molto - non so se esista e, in tal caso, chiedo scusa - che potesse esistere


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un portale del Ministero per i beni e le attività culturali o comunque delle istituzioni, che mettesse, ad esempio, in rete tutti i musei. Non penso solo ai musei statali, ma a tutti i musei presenti in ogni piccolo comune. Dovremmo riuscire, per quanto riguarda il rapporto con la storia e con la memoria, a fare un'operazione che potrebbe, credo abbastanza rapidamente, aiutarci nella direzione di agevolare una forte socializzazione di beni culturali, oggi largamente sconosciuti. In questo senso, la rete è una grande opportunità anche per noi.
Do ora la parola al ministro Rutelli per la replica.

FRANCESCO RUTELLI, Ministro per i beni e le attività culturali. Ringrazio molto il presidente e tutti i colleghi presenti. Sono un parlamentare con una certa esperienza, quindi conosco bene la differenza tra un dibattito che è durato circa cinque ore, proprio di una battaglia parlamentare - nella quale non sempre spiccano gli argomenti, chiunque la conduca -, e un dibattito come questo, nel quale non si è sprecato nemmeno un minuto. Intendo dire che tutti gli interventi hanno avuto un carattere specifico, sia per la visione d'assieme, sia per gli argomenti estremamente puntuali che sono stati sollevati (in molti casi, si è trattato di argomenti tecnici di primaria grandezza).
Penso che il resoconto stenografico delle due sedute debba costituire una base per il lavoro che cercheremo di portare avanti nella legislatura in corso e che cercheremo di svolgere in comune, tentando di rintracciarne temi e priorità nel corso del tempo, per verificarne i risultati progressivi. Questa va intesa come premessa, ma anche come sottolineatura dell'estrema difficoltà di una replica.
Di quanto tempo dispongo, presidente?

PRESIDENTE. I lavori dell'Aula non sono ancora ripresi, ma in ogni caso non incombono votazioni immediate. Sono state annunciate dai gruppi dell'opposizione ventisei dichiarazioni di voto sull'IRAP.

FRANCESCO RUTELLI, Ministro per i beni e le attività culturali. Cercherò di rispondere nel merito e tuttavia, evidentemente, spero di farlo in modo non disordinato. Ricordo che, nella prima seduta, ho svolto una replica - non brevissima - che riguardava i temi principali che erano stati sollevati da più voci. Tuttavia, vi sono ancora alcuni temi - spero di non trascurarne troppi - rimasti insoddisfatti nel dibattito della seduta precedente.
Ripercorrendo l'ordine degli interventi svolti e partendo dall'onorevole Bono, comincerò dal tema del rapporto tra risorse private e risorse pubbliche. Non c'è dubbio che dobbiamo mettere mano ad una priorità fondamentale, quella di accrescere le risorse pubbliche. Questo è il compito che abbiamo e che ci accomuna. Come è stato correttamente ricordato dalla collega che ha evocato il professor Settis, soltanto un'elevata qualità del pubblico porta con sé un'elevata qualità del concorso dei privati per la promozione della cultura. La nostra responsabilità è di creare le premesse perché vi sia la prima e conduca con sé la seconda.
C'è una serie di iniziative cui dobbiamo mettere mano. Il collega Bono - nel corso della replica affronterò anche il tema di Arcus -, ad esempio, ha citato il 5 per mille. Non c'è dubbio che il 5 per mille ha una platea eccessiva. Tireremo le somme dopo i risultati delle dichiarazioni dei redditi in corso, ma non sfugge a nessuno che se i soggetti abilitati a fare ricorso al 5 per mille sono decine di migliaia, l'effetto è inconcludente. Comunque, dobbiamo ragionarci sopra.
Ricordo - accenno a un tema che affronterò con più precisione in seguito - che abbiamo deciso di varare una commissione, insieme Ministero dell'economia e Ministero per i beni e le attività culturali, proprio per favorire il reperimento di risorse aggiuntive attraverso modifiche normative.
Il collega Bono mi ha chiesto di quale intervento si tratterà a proposito del FUS. Credo che dobbiamo cercare di recuperare almeno una quota limitata di


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risorse. Ho chiesto al ministro dell'economia che nella prossima manovra innanzitutto non ci siano tagli, che sarebbero insostenibili per un Ministero che ha toccato il fondo quanto alla disponibilità di risorse. Tagli, quindi, non possono esserci semplicemente perché non si tratterebbe di operare riduzioni di spese inutili o economie di gestione, ma di scatenare una crisi, in questo comparto veramente non sostenibile.
Il mio augurio è che ci sia la possibilità di iniziare un'inversione di tendenza già nelle prossime settimane. Non c'è dubbio - raccolgo indicazioni che sono venute da più parti - che l'inversione di tendenza deve essere accompagnata da una riforma che riguardi tutti i principali settori dello spettacolo.
Debbo una risposta sul festival di Roma, definito «antropofago» dal collega Bono. A Venezia, dove ho incontrato il sindaco Cacciari e i responsabili della Biennale e della Mostra del cinema, ho detto che le iniziative di qualità non devono essere temute come concorrenziali e, tantomeno, distruttive di altri eventi culturali.
In Italia conosciamo i rischi e le conseguenze concrete derivanti dalla proliferazione, ad esempio, di premi letterari (non sempre la quantità soccorre il buon esito). Tuttavia, se parliamo di iniziative di vertice, di livello internazionale - certo, vanno studiate per quanto riguarda i tempi di programmazione e per quanto riguarda un'auspicabile non concorrenzialità, ma complementarietà - penso sinceramente che nel nostro paese ci siano le condizioni per avere una Biennale più forte e una Mostra del cinema più forte, ma anche un'eccellente iniziativa come quella promossa dal comune di Roma e dalle istituzioni del territorio nel contesto nell'Auditorium, che si terrà tra pochi mesi. Lo vedremo, lo verificheremo, ma io sono certo che questo potrà avvenire e che possiamo lavorare tutti per qualificare, specializzare e rendere autorevoli le iniziative maggiori della cultura italiana.
Sul tema del libro, che è stato affrontato dall'onorevole Bono e da altri colleghi, tornerò più avanti. L'onorevole Bono è intervenuto anche sull'archivio multimediale per il Mediterraneo, a proposito del quale posso confermare che si tratta di un'iniziativa interessante. L'idea di individuare dei percorsi tematici dentro l'enorme mole dei documenti conservati negli archivi dello Stato offre opportunità importanti sia di fruizione, sia di valorizzazione di questo enorme patrimonio documentario. Approfondiremo con spirito molto costruttivo anche questa idea.
Per quanto riguarda il tema del maggior numero di siti per il patrimonio dell'Unesco, sottolineo questo come un bilancio positivo della passata legislatura e anche dell'azione del precedente Governo. Naturalmente questo comporta anche alcune preoccupazioni, nel senso che l'ampliamento del numero di siti che costituiscono patrimonio mondiale della cultura, secondo la classificazione dell'Unesco, comporta anche interventi di tutela e di protezione, oltre che di valorizzazione. Comporta anche, secondo me, una certa attenzione nello sceverare iniziativa pubblica da iniziative private, che non sempre sono perfettamente coerenti con quelle finalità, e comporta infine che l'Italia prosegua una sua azione di promozione di questo cammino. Del resto, se ci riferiamo alla dimensione precedente, era insufficiente la qualificazione dei nostri siti nazionali rispetto alla dimensione e alla qualità reale che essi hanno nel nostro territorio. Questo, quindi, è un impegno che manteniamo, con alcuni caveat, a qualcuno dei quali abbiamo fatto riferimento.
Il collega Adornato - diversa è stata l'opinione del collega Ciocchetti - si è riferito alla omogeneità del Ministero alla luce dei cambiamenti. Ho ascoltato bene molte delle considerazioni svolte e direi che, forse, la più articolata è quella espressa dal collega Li Causi sulla relazione tra turismo e politiche della cultura. È una novità importante, che generalmente viene apprezzata. Ho spiegato nella scorsa seduta - e non ci ritorno - quali possono essere i rischi, vale a dire che sia il turismo a trainare le politiche per la


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cultura e non, piuttosto, le politiche della cultura a qualificare l'industria turistica nazionale. Penso che sia il secondo indirizzo quello che dobbiamo seguire.
Voglio ricordare che ormai è molto difficile distinguere turismo culturale da altri segmenti. Ho ricordato, l'altra volta, le cifre sulla crescita del turismo culturale delle città d'arte, ma è evidente a tutti noi che il nostro paese ormai diviene un fattore attrattivo anche per gli altri segmenti turistici, che è impossibile distinguere autonomamente. Non si può dire che il turismo balneare, per non parlare di quello congressuale, di quello dei viaggi incentive, di quello religioso, possano essere qualificati come estranei, se non in misura minima, all'attrattività dei nostri luoghi d'arte e del territorio italiano. È una scelta, quindi, che viene prima.
In tal senso vorrei rassicurare sia il collega Adornato, per un verso, sia il collega Ciocchetti. Noi intendiamo effettivamente la cultura come corso di una narrazione, di una continuità della storia del paese o, come ha detto correttamente il collega Tessitore, come un fattore di identità di un paese che è policentrico, pluralista e pluralistico nelle sue espressioni culturali. La conoscenza e la valorizzazione del territorio diffuso, quello che la cultura più avveduta definisce scientificamente il contesto, è l'obiettivo fondamentale del nostro lavoro, e in fondo si rintraccia già nella Costituzione, nel fondamento di tutela che viene attribuito alle funzioni a cui ci dedichiamo.
Abbiamo eliminato lo sport dal Ministero che ho l'onore di dirigere, ritenendo che fosse, francamente, disomogeneo rispetto alla struttura dei beni e delle attività culturali. A mio parere, è stato corretto attribuire, come è avvenuto, al ministro Melandri la responsabilità di sport e politiche giovanili.
Vorrei sottolineare, en passant, a proposito di testo e contesto, una questione che mi sta molto a cuore e che vorrei riprendere, anche per il legame che i colleghi della Commissione hanno con il territorio. Mi riferisco all'idea, presentata in un libretto bellissimo da Umberto Eco, del museo di un solo quadro. Questo spunto, che non è di oggi - Umberto Eco ha scritto diversi anni fa questo piccolo saggio -, oggi ha conquistato un'attualità straordinaria, e vale anche per la cultura scientifica, non soltanto per un fatto artistico specifico. Abbiamo visto, nel corso del tempo, il successo enorme di mostre incentrate su un solo manufatto, in quanto attorno a quel manufatto - non parlo soltanto del territorio, ma anche degli eventi, delle mostre - si costruisce un contesto, si analizzano le condizioni che lo hanno creato, la dialettica con cui ha vissuto, i contrasti e le contraddizioni che ha suscitato. Usando anche strumenti multimediali e riproduzioni, dunque non soltanto opere originali, questo è un modo per introdurre il grande pubblico in una maniera decisamente efficace e la riflessione di Eco è stata anticipatrice e significativa.
L'amico Del Bue ci ha stimolato, tra l'altro, a non essere romanocentrici. Sono d'accordo con lui e spero che anche le cose che ho appena detto gli permettano di avere fiducia nel lavoro che cercheremo di svolgere. È giusto, altresì, quello che il collega ha affermato a proposito del ruolo della lirica nel riparto delle somme del FUS: oggi siamo a circa il 48 per cento. È chiaro che, in tempi di vacche grasse, non ci sottrarremmo a un aumento delle risorse, conoscendo peraltro qual è la forza del bel canto e il suo significato. Non dobbiamo mai dimenticare che non sono tanti i momenti nei quali la lingua italiana viene pronunciata nel mondo, a parte quando il Papa, accettando la decisione del conclave, parla in italiano davanti a qualche miliardo di persone. Indubbiamente, a parte l'irriverenza, non ci sono molti altri momenti, oltre che il bel canto, in cui la lingua italiana viene ascoltata in Giappone, in Cina, negli Stati Uniti e in ogni parte del mondo.
Questa è una delle motivazioni all'origine della nostra volontà di tutela e continuativa promozione della lirica e della sua straordinaria tradizione. Non c'è dubbio, però, che in tempi di vacche magre quel 48 per cento incide assai duramente


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sugli altri comparti: sul teatro, sul cinema, sulla danza, sulla musica concertistica, sulla musica contemporanea. Sappiamo, quindi, che il quadro è molto preoccupante. Raccogliendo l'indicazione del collega Del Bue, dico con franchezza che esistono e si registrano anche sprechi nei settori che abbiamo citato. Penso che sia compito dello Stato e degli enti regionali e locali individuare una serie di criteri di valutazione. Noi siamo pronti a farlo insieme a questi soggetti.
Abbiamo convocato per una riunione - il 6 luglio, presso il Ministero - le categorie interessate: la mattina incontreremo le categorie di cinema e spettacolo, nel primo pomeriggio quelle di musica e lirica. È l'occasione per iniziare a parlare anche di una revisione dei criteri. Non nascondo che, nel pieno rispetto dell'autonomia degli enti, le coproduzioni, quando riescono, danno molta soddisfazione. Ad esempio, nei giorni scorsi, i teatri di Genova e di Torino hanno segnato, con coproduzioni di successo, ottimi risultati, anche qualitativi.
Non vedo alcun motivo per cui il teatro di Trieste e il teatro di Cagliari - cito un esempio assolutamente casuale - non debbano prevedere coproduzioni. In particolare, possono farlo quei teatri che abbiano una struttura scenica compatibile. Quella delle coproduzioni è una delle carte da giocare, sebbene non risolutiva. È un contributo, non è il criterio esclusivo. Altre iniziative possono e debbono essere messe in campo, tuttavia dobbiamo sapere che ci sono anche dei momenti eccezionali, in cui una realizzazione costa molto ed è un grande evento, ma ha una sua traduzione mediatica qualificatissima, dunque va sostenuta.
Mi riconosco pienamente nelle considerazioni del collega Colasio, a partire dal concetto della strategicità del ruolo del patrimonio e della produzione culturale per il nostro paese. Condivido, altresì, le sue notazioni critiche sugli aspetti del codice dei beni culturali e sull'incongruenza del silenzio-assenso. Apprezzo il fatto che il collega abbia ricordato l'inserimento del paesaggio, in relazione con i beni culturali, e anche l'elencazione dei punti critici che ancora permangono. Dobbiamo esaminarli e modificarli, Governo e Parlamento insieme. Alcuni passi in avanti sono stati fatti, di più credo che si possa e si debba fare.
Condivido, inoltre, per quanto riguarda la struttura organizzativa del Ministero, la sottolineatura del collega Colasio circa l'eccessiva quantità di passaggi decisionali, che diventano perdita di qualità nel processo. Troverete un emendamento al decreto n. 181, quello sui Ministeri, che modifica addirittura la denominazione del Ministero. In un primo momento lo avevamo ribattezzato «Ministero dei beni e delle attività culturali», ma siamo ritornati alla dizione originaria per una motivazione pratica: cambiare la dizione da «per i beni e le attività culturali» a «dei beni e delle attività culturali» avrebbe significato, innanzitutto, rifare le targhe e la carta intestata in tutta Italia. Ve lo dico per sottolineare come ci siamo atteggiati con grande pragmatismo, sulla base di quello che oggi esiste. Questo discorso vale anche per l'inquadramento del Ministero in quattro dipartimenti. Se mi chiedete se lo considero razionale, la risposta è negativa. Penso che anche i miei predecessori avessero un'opinione non dissimile. Tuttavia, possiamo dare a questo Ministero, che ha già conosciuto 2 o 3 elettroshock di riforma complessiva e non li ha ancora assorbiti, un ulteriore shock? Non mi sembrerebbe opportuno. Lavoriamo, dunque, con quello che c'è, lo modificheremo razionalmente nel tempo. Non vi sfugga, però, e mi riferisco alle considerazioni dell'onorevole Colasio, che troppi passaggi significano uno spreco amministrativo ed organizzativo, come credo possa testimoniare l'avvocato Palmieri, capo di gabinetto, che amabilmente mi assiste.
Lo ribadisco, dobbiamo lavorare con quello che c'è, cercando di introdurre una razionalizzazione. Sono d'accordo con il collega Ciocchetti quando dice che si tratta di ragionare non tanto su chi gestisce, quanto su come si gestisce. Questo mi fa entrare nel merito di una questione sollevata dal collega Rositani e dal collega


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Bono, e riguardo alla quale, nel merito, è intervenuto il collega Giulietti: Cinecittà Holding. Ho trasmesso al presidente una copia dell'atto di indirizzo che questa mattina il ministro ha trasmesso a Cinecittà Holding SpA; se il presidente è d'accordo, chiedo che venga trasmesso, per opportuna conoscenza, a tutti i membri della Commissione che fossero interessati.
Spiego rapidamente qual è l'impostazione che abbiamo seguito. Noi non abbiamo applicato lo spoil system, questa mattina, semmai è stato applicato precedentemente (ciascuno valuterà se con riuscita più o meno buona). Abbiamo fatto quello che, credo, il collega Giulietti ha ben riassunto, non intraprendendo, collega Bono, un'azione di giusta causa, ma applicando la legge Frattini. Se si aprisse un contenzioso, ci riserveremmo ogni azione necessaria.
Questa mattina abbiamo predisposto e presentato all'Assemblea un atto di indirizzo basato su tre pilastri. Il primo consta di dieci punti essenziali di valutazione critica - da parte del Ministero - sul bilancio di Cinecittà Holding. Come vedrete dal documento che vi trasmetto, si tratta di un'analisi esclusivamente tecnica, non legata a valutazioni politiche, concernente la missione pubblica di questa SpA.
Abbiamo poi formulato, secondo la nuova responsabilità, nuovi indirizzi, che pensiamo siano corrispondenti all'interesse pubblico e al dovere di questa importante istituzione. Si tratta di 14 punti, analitici, seri, precisi (confido che vengano considerati come tali), che indicano preliminarmente quello che dovrebbe essere il lavoro da fare negli anni a venire. Sulla base di queste due premesse - un giudizio critico analiticamente indicato su alcuni aspetti della gestione precedente e la formulazione contestuale di un atto di indirizzo positivo e propositivo - applichiamo la legge Frattini, la legge n. 145 del 15 luglio 2002, procedendo alla revoca del consiglio di amministrazione, senza dare corso a nomine politiche, ma alla nomina, come amministratore unico, del direttore generale per il cinema. Sto parlando del dottor Gaetano Blandini, persona universalmente stimata, tant'è che anche i precedenti ministri lo avevano mantenuto, anzi accrescendone la posizione. Il dottor Blandini ha delegato contestualmente i suoi poteri di vigilanza ad un funzionario dirigente della direzione generale per il cinema, il quale svolgerà per 30 giorni - non oltre il 30 luglio 2006 -, a titolo gratuito, il compito di amministratore unico.
In questo mese il dottor Blandini dovrà svolgere quattro attività: effettuare una due diligence sulla situazione patrimoniale ed economica della holding e delle controllate; verificare, con la più ampia consultazione di tutte le categorie interessate, la nuova missione, quella indicata nei 14 punti dell'atto di indirizzo, e proporre all'azionista - al ministro - un quadro coerente delle iniziative necessarie per attuare queste nuove linee programmatiche; avviare incontri con i vertici delle controllate - come sapete, ci sono alcune aziende direttamente controllate dal Ministero e altre con una partecipazione del Ministero - al fine di verificare la compatibilità con i nuovi indirizzi ed obiettivi e, soprattutto, fornire all'azionista ogni utile elemento di valutazione, con riferimento alle successive determinazioni da assumere; infine, tenere informato costantemente l'azionista delle iniziative che dovranno essere assunte per gestire le criticità che dovessero manifestarsi.
In conclusione, non abbiamo nominato la nuova leva fiduciaria del nuovo Governo e del nuovo ministro, ma abbiamo insediato, con un dialogo con le controllate esistenti, un'attività di verifica motivata e orientata ad un nuovo piano culturale. Per quanto ci riguarda, il nostro problema non è di fare un «taglio di teste», ma di scegliere. Ci saranno sicuramente, all'interno dell'attuale situazione, persone che meritano di essere confermate nel loro incarico, e ci saranno sicuramente da inserire nuove energie, sulla base di una valutazione di qualità. Vi prego di leggere con attenzione l'analisi che abbiamo fatto sul bilancio di questi anni e le motivazioni che ci spingono a sollecitare un mutamento nella responsabilità.


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Vengo alle considerazioni del collega Martella e ai dubbi su Arcus. Come risulta dal programma dell'Unione, Arcus non verrà soppresso. Occorre, tuttavia, fare una valutazione critica su come ha funzionato questo strumento. Questa valutazione è resa, ahinoi, più urgente e più pregnante a causa della decisione della Corte dei conti, che ha rimandato indietro al Ministero sia l'integrazione del programma 2006, sia il programma 2007, con osservazioni talmente critiche, in radice, da rendere per noi necessaria una valutazione estremamente attenta. La porterò, signor presidente, davanti alla Commissione, perché le decisioni future siano coerenti ed utili, sapendo che non si tratta di sopprimere questa istituzione, ma di farla funzionare bene, coerentemente con gli indirizzi indicati dal Parlamento e, ovviamente, dal Governo.
Sempre il collega Martella ha fatto riferimento al tema dei giovani, ma ci tornerò in seguito, richiamando anche le considerazioni finali del presidente Folena.
Collega Luxuria, è molto giusto quello che lei ha detto sul fatto che i tagli non riguardano soltanto direttamente il mondo dello spettacolo. Molto spesso parliamo del bilancio della cultura, così come del bilancio del turismo, per altri versi, riferendoci - mi si passi l'espressione - al core business, ma c'è un indotto gigantesco, di artigianato, di servizi, di forniture, di know how. Quando parliamo dei tagli e delle loro implicazioni, dobbiamo pensare che quei tagli, purtroppo, vanno molto più in profondità e toccano alcuni settori molto sensibili.
Sono anche d'accordo sul tema che riguarda l'acquisto di opere di giovani artisti. Non c'è dubbio che l'arte contemporanea è una delle frontiere tradizionalmente neglette, dal punto di vista della ricchezza del nostro patrimonio. È certamente una banalità quella secondo la quale anche Leonardo da Vinci è stato un grande artista contemporaneo, al suo tempo, ma contiene una verità fondamentale.
Quando sono diventato sindaco di Roma ho scoperto che la Galleria civica di arte moderna e contemporanea non faceva acquisti da quarant'anni. Uno dei primi impegni, dunque, è stato quello di recuperare, ovviamente con costi enormi. È evidente, infatti, che se si comprano opere di un artista contemporaneo quarant'anni dopo, quell'artista nel frattempo è diventato Colla, Burri, Dorazio, quindi le sue opere non valgono più mille ma 400 mila euro. Tuttavia, bisogna acquistare quelle opere, per ricostituire continuità nelle dotazioni.
A riguardo, non c'è dubbio che lo sforzo che si sta facendo con il MAXXI è davvero notevole. Su questo tema chiedo un'alleanza della Commissione, anche nei confronti della Commissione trasporti, trattandosi di un'opera che viene finanziata direttamente dal Ministero dei lavori pubblici. Il MAXXI, dunque, sta acquistando opere, pur non essendo completata la struttura, affinché quando questa sarà terminata possa esistere un museo nazionale del XXI secolo all'altezza delle esigenze.
Segnalo ai colleghi che il fatto che non ci siano risorse per completare i lavori ci costa milioni di euro buttati dalla finestra ogni anno. Ricordo che si tratta di un'opera tecnologicamente complessa, dell'architetto Zaha Hadid. Il fatto che i macchinari siano tenuti fermi e che i lavori non vadano avanti a pieno regime ci costa milioni di euro ogni anno. Penso che convenga assumersi un grande impegno per concludere quest'opera. Il Ministero si impegnerà e sono certo che avremo il sostegno del Parlamento.
Quanto al tema della promozione della cultura in TV, sono d'accordo con il collega Giulietti, oltre che con l'onorevole Luxuria, per quanto riguarda la spinta da effettuare nell'ambito del contratto di servizio con la RAI - vi prego di interpellare al riguardo il collega Gentiloni, anch'io ovviamente gliene parlerò - affinché siano presenti opportunità di divulgazione, di informazione, di conoscenza su eventi e patrimonio assolutamente propri della


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funzione di servizio pubblico. È molto più importante questa che tante altre azioni che possiamo intraprendere.
Ringrazio il collega Lainati per l'atteggiamento costruttivo che ha dimostrato nel sottolineare una disponibilità, che poi è affiorata - voglio dirlo specialmente al collega Rositani - nell'intervento del presidente Folena, su una questione su cui è davvero difficile litigare. Si può litigare su Cinecittà o su altre vicende, ma non su Mantegna. Si può discutere se Sgarbi, curatore delle mostre su Mantegna, abbia fatto tutto bene, se i sindaci di Mantova, di Verona e di Padova abbiano fatto tutto bene. In linea di principio, però, è molto più facile litigare su altri temi che non su materie che, alla fine, ci vedono fondamentalmente accomunati e su cui possiamo svolgere un ottimo lavoro.
Collega Tranfaglia, mi sembra un'ottima idea quella di mettere insieme le Commissioni esteri e cultura per programmare una reimpostazione delle finalità degli istituti italiani di cultura. È un tema che è affiorato a più riprese, rispetto al quale io e i colleghi sottosegretari ci rendiamo volentieri disponibili. Voglio ricordare che avrete a che fare con i colleghi Montecchi, Mazzonis e Marcucci, che sono a disposizione vostra e del Parlamento. Vorrei sottolineare che le deleghe attribuite ai tre sottosegretari sono sicuramente più ampie di quelle che si sono registrate da parte di precedenti ministri. Avrete a che fare, quindi, con sottosegretari che parlano a ragion veduta, avendo un settore di competenza effettivo.
Sono anche d'accordo sul tema dell'editoria. È previsto un incontro del ministro con gli editori dei libri, sui cui esiti riferirò in Commissione. L'ultima indagine realizzata dall'Associazione italiana editori nel 2005 evidenzia che i lettori in Italia sono solo il 41 per cento della popolazione, e questo è un problema nazionale. Per lettori, peraltro, si intendono coloro che hanno letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi. Questo dato ci fa riflettere anche sull'enorme validità delle iniziative che allegano libri ai quotidiani. Tuttavia, questo non sposta il problema. È vero che la diffusione dei libri tra i lettori di quotidiani indubbiamente non ha arrecato quel danno che molti paventavano al settore librario e alle librerie, ma ha significato una diffusione ulteriore, tuttavia è sempre un segmento di lettori che sono già tali, e anzi di lettori molto avvertiti. È un tema importante, sul quale credo che la collaborazione con la Commissione sia necessaria.
Condivido anche le considerazioni del collega Tranfaglia sulla partecipazione di base, su cui tornerò in seguito, a proposito della questione posta infine dal presidente Folena. Sulla visibilità del patrimonio, collega Tranfaglia, si è fatta molta strada. Quanto al tema dei cosiddetti «magazzini», ricordo una bellissima mostra curata dal compianto assessore alla cultura del comune di Roma, assessore Battistuzzi, intitolata «Invisibilia», che denunciava giustamente - parliamo di oltre 15 anni fa - il trionfo dei magazzini sulle sale e sugli spazi espositivi. Da questo punto di vista, in questi ultimi 15 anni si è fatta molta strada, da parte dello Stato, dei musei civici, degli enti locali. Si sono aperti centinaia di nuovi musei. Permettetemi anche di sottolineare che si sta creando una cultura della rotazione, dell'alternanza, nelle esposizioni permanenti di opere dei magazzini. Non tutte le opere debbono essere esposte, non tutte le opere debbono essere in esposizione permanente... (Commenti del deputato Tranfaglia).
Sono d'accordo con le parole del deputato Tranfaglia, tuttavia, si sono fatti dei passi in avanti, dobbiamo riconoscere l'immenso lavoro che è stato fatto dai responsabili scientifici e politico-amministrativi. Il tema esiste, ed esiste in particolare per il Mezzogiorno, collega Tranfaglia. Nel sud abbiamo una grave scarsità di personale, che ci sta portando a chiudere anche nuove acquisizioni, come le aree archeologiche, e abbiamo una quantità di musei e di spazi espositivi indiscutibilmente inadeguata. Abbiamo musei in costruzione da lunghissimo tempo.
La collega Goisis ha dato un'impostazione molto politica e politico-istituzionale,


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propria del suo partito, al rapporto tra centro e territorio. Posso assicurarle che il messaggio cui l'amministrazione si ispirerà è quello di un'armonizzazione tra le esigenze del territorio, come variamente è emerso nel dibattito, e le responsabilità dell'amministrazione centrale.
Aggiungo una considerazione, rivolgendomi al collega Li Causi, che ha sottolineato specialmente il tema della cultura e delle ricchezze del mare, in particolare dei territori siciliani. Sappiamo che in Sicilia vi è una speciale competenza della regione, dal punto di vista gestionale e amministrativo, ma questo è un tema che considero tra i più affascinanti. Saluto il gemellaggio che si è avviato tra la regione Sicilia e la regione Sardegna per le rotte dei Fenici, per segnalare come molti dei luoghi ancora oggi praticati da grandi masse di turisti abbiano una radice profonda. Siamo pronti a fare del tema che il collega Li Causi ha sollecitato uno degli argomenti principali di questa sinergia, che lui stesso ha richiamato, tra cultura, beni culturali e turismo.
Ringrazio il collega Schietroma per il riferimento al rapporto con le nuove culture che vengono a vivere nel nostro paese. È vero che noi abbiamo sempre la tendenza a considerare questo aspetto in termini economici, pure fondamentali, ma molto meno in termini culturali. È anche vero che la polemica, non sempre immotivata, che spesso affiora su tensioni e difficoltà di integrazione culturale deve trovare nel terreno culturale una possibilità di soluzione.
È una sfida enorme, e accoglierei molto volentieri eventuali iniziative, atti del Parlamento, per richiamare il Governo, nelle sue diverse responsabilità, ad una valorizzazione di questo ambito, che è assolutamente pieno di potenzialità. Vi segnalo la bellissima copertina, non ricordo se di Time o di Newsweek, di questa settimana, che ritrae una fanciulla indiana perfettamente abbigliata secondo la tradizione di quel paese e, nello stesso tempo, dotata dei più fantastici gadget tecnologici. Se guardiamo ad alcuni mondi che vengono a interloquire con noi secondo un approccio tradizionale, possiamo avere spesso sorprese negative, ad esempio quella di ritrovarci indietro e con una retorica un po' ammuffita.
Prendo a pretesto questa considerazione sulle diverse culture del mondo stratificato per ricordare che in Italia abbiamo grandi istituzioni internazionali permanenti, ma tendiamo a dimenticarcene. Abbiamo istituti esteri di cultura, accademie, università straniere, che rappresentano un patrimonio importantissimo. Sapete benissimo che le restrizioni finanziarie riguardano, in molti casi, anche queste istituzioni, non solo le nostre, ma sapete anche come la leadership scientifica e universitaria, anche quella della creazione culturale del XX secolo, abbia avuto un suo passaggio, per queste accademie, decisivo per la cultura del secolo scorso. L'Italia non deve dimenticare che cosa hanno significato Villa Medici, l'Accademia americana, Villa Massimo per la cultura germanica. Mi fermo qui, sottolineando che abbiamo in Italia una tradizione che deve essere tenuta viva. È responsabilità anche della Repubblica italiana favorire il dialogo con queste grandi istituzioni, che hanno scelto di insediarsi in Italia e che invitano centinaia di persone a studiare l'Italia, come patrimonio universale. Attenti a non disperdere questa opportunità.
Rispondo alla questione sollevata sulla commissione economia e cultura che abbiamo deciso di insediare con il ministro Padoa Schioppa. Il mandato per questa commissione, che io confido di insediare nel giro di pochi giorni, è quello di innovare la normativa. Naturalmente si tratta di raccogliere proposte, dal momento che le leggi le fa il Parlamento. È evidente che la normativa attuale in campo di incentivazione, sponsorizzazione, defiscalizzazione non funziona, non è adeguata.
È evidente, altresì, che la normativa riguardante le fondazioni ed enti lirici ha funzionato assai poco. Non c'è dubbio che è cambiato il nome, ma non la sostanza. Sono stato presidente del Teatro dell'Opera di Roma, in quanto sindaco, e voi sapete bene qual è la differenza tra la


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responsabilità di un soprintendente, di un direttore, e del presidente che rappresenta generalmente l'istituzione locale. Comunque, ho conosciuto bene questa realtà e so che ci sono pochi mondi nei quali il concorso dei privati porta davvero un contributo sostanziale alla gestione. Addirittura, anche laddove ci sia un retroterra economico-produttivo di primaria grandezza - e sono situazioni molto rare nel contesto territoriale italiano -, in realtà sono gli enti pubblici a fare la grandissima parte della contribuzione.
Molto spesso, come si è detto giustamente, si finisce per avere una rappresentanza dei settori privati attraverso la designazione degli enti pubblici. Questo è un tema reale e credo che, tra le cose di cui questa Commissione dovrà occuparsi assai rapidamente, vi è una valutazione onesta, schietta, anche attraverso benchmarking con altri paesi, per vedere cosa funziona in altri paesi, per migliorare la nostra normativa e permettere l'afflusso di maggiori risorse dal mondo privato.
Ribadisco quello che ho detto prima, interrompendone l'intervento, alla collega De Biasi: non c'è un paese al mondo dove istituzioni culturali siano autofinanziate. Anche quando fossero interamente autofinanziate, lo sono perché c'è una fondazione all'origine, e la fondazione è riconosciuta attraverso una procedura pubblica. I soldi lasciati da un privato o le istituzioni che vengono create godono di un regime di esenzioni e di defiscalizzazioni che rendono conveniente tale attività. Anche le più straordinariamente efficienti istituzioni musicali, museali, che hanno grandi manager e condizione vantaggiosa dal punto di vista fiscale, se sono davvero straordinariamente efficienti arrivano ad un contributo privato intorno al 30, 35, 40 per cento nelle ipotesi più luminose. Insomma, dobbiamo sapere con che cosa facciamo i conti.
Il collega Garagnani chiede se ci saranno nuovi tagli. Dobbiamo lavorare insieme sui principi e sui criteri che riguardano i tagli che arrivano tra capo e collo sul 2006 e le previsioni per il 2007, ma anche con un'impostazione progettuale generale. Confido che non ci siano nuovi tagli, che sarebbero insostenibili.
Per quanto riguarda gli istituti culturali, sono d'accordo con quello che ha detto il collega Folena. Aggiungerò solo una considerazione sugli anniversari, richiamati in particolare dal collega Tessitore. C'è stata una dinamica comprensibile di ampliamento eccessivo degli anniversari che vengono riconosciuti. Poiché le risorse sono limitate, è evidente che è interesse di tutti concentrare i riconoscimenti e i finanziamenti in direzione di quegli anniversari che siano veramente portatori di un messaggio scientifico e culturale adeguato. In età di vacche certamente non grasse, i giudizi di merito, che siano legati ai titoli e agli esami, ma anche alla qualità dei progetti, debbono diventare più pregnanti, più significativi.
Collega Ghizzoni, condivido il taglio del suo intervento e mi associo all'impostazione che lei ha dato. Riprendo la sottolineatura sul fenomeno dei festival culturali: sicuramente può esservi un sostegno e un indirizzo da parte del Ministero, ma credo che la ricchezza e l'efficacia di questi eventi consista proprio nell'essere un frutto che nasce dal territorio. Non credo che sarebbe ben accolta una nostra interferenza in questo ambito da parte degli enti locali, che hanno l'orgoglio di essere stati i creatori di questi eventi.
In Umbria - ho incontrato, qualche giorno fa, a Terni i sovrintendenti e il direttore regionale - si tiene un Archeofestival davvero sorprendente. È diventato, per Perugia, il secondo evento più affollato, dopo la fiera del cioccolato, Eurochocolate. Una bella battaglia. È un evento, nato da pochissimo tempo, di divulgazione dell'archeologia. Eppure, chi avrebbe immaginato che l'archeologia fosse un best seller della partecipazione popolare? È un fatto straordinariamente positivo, è un segno di vitalità del territorio. Il ministro è disponibile, ovviamente, a collaborare, ma con questo rispetto fondamentale del ruolo degli enti locali.
Sottolineo che il fenomeno dei festival ha una caratteristica speciale, che è la


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presenza dei giovani. Mentre gli eventi culturali tradizionali generalmente sono frequentati da gente di mezza età, nei festival si vedono decine di migliaia di ragazzi, di studenti. Questo è un fatto estremamente significativo, che dimostra la sete di innovazione nei modi di riferirsi alle politiche culturali.
Considero giusto il richiamo dell'onorevole Ghizzoni a non sottovalutare la grande importanza degli enti religiosi e del patrimonio culturale ecclesiastico del nostro paese. A tal proposito, possiamo fare molto nella promozione di itinerari: penso alla Via Francigena e ad altri itinerari propriamente religiosi. Giusta, altresì, è la sua sottolineatura sulle professioni dei beni culturali. È davvero opportuno sottolineare come ci siano alcune professioni che hanno il giusto riconoscimento ed altre che, ancora oggi, sono in mezzo al guado, in maniera insostenibile.
Onorevole Tessitore, oltre al richiamo generale - al quale aderisco - sull'unità nazionale e sulla cultura pluralistica e policentrica di cui siamo portatori e custodi, come nazione, riprendo il riferimento alla diffusione della cultura scientifica. Sono d'accordo sul tema della legge sulla cultura scientifica e umanistica, dunque ben venga un'iniziativa parlamentare in questo senso. Sottolineo la grande opportunità - lo accennavo già l'altra volta, ma lo ripeto, trattandosi di un'occasione di rilievo mondiale - che ci viene dal centenario di Galileo Galilei, nel 2009. È un'occasione di convergenza di tutto il paese, non solo delle tre città interessate, Firenze, Pisa e Padova, che può permetterci di dare un messaggio a favore della cultura scientifica alle giovani generazioni, che altrimenti credo siano prevalentemente indirizzate verso altri modelli, non necessariamente producenti per il futuro e la competitività del nostro paese.
Ho già detto che il tavolo per il fondo unico per lo spettacolo è stato avviato e che si terrà una riunione il 6 luglio.
Onorevole Palmieri, i grandi scultori del medioevo avevano l'horror vacui, che li portava a riempire gli spazi con bassorilievi, e anche noi abbiamo analogo atteggiamento, rispetto ad un'opposizione che denuncia i vuoti delle politiche della maggioranza. Come ho già chiarito, vi assicuro che non è nostra intenzione cancellare in modo ideologico, tantomeno in modo ostile.
A proposito di Arcus, credo che dovremo occuparcene molto seriamente. Raccolgo il richiamo ad occuparci del diritto d'autore, insieme agli altri ministri che ne hanno competenza.
Quanto al portale nazionale del turismo, su cui l'onorevole Palmieri mi interpellava, siamo in serio ritardo. Si è tenuta, dopo la nostra precedente audizione, una riunione del Comitato nazionale del turismo. In verità, si è tenuta in clandestinità, perché il Comitato nazionale del turismo è stato dichiarato dissolto dalla Corte costituzionale a seguito di alcuni ricorsi delle regioni. Tuttavia, a dimostrazione di una buona volontà di costruire rapporti fra Stato, regioni e categorie produttive, ci siamo riuniti ugualmente e abbiamo individuato dei compiti di lavoro. Tra questi, abbiamo chiesto a un rappresentante delle regioni e al rappresentante del ministro Nicolais, che ne ha la competenza, di preparare, per la prossima riunione che si terrà fra meno di un mese, un rapporto molto preciso sullo stato di attuazione del portale Italia.it.
Non sfugge all'onorevole Palmieri - come a tutti i colleghi, ad esempio vedo l'onorevole Li Causi molto attento al tema del turismo - il problema serio dell'omogeneità dei dati. Personalmente, un paio di settimane fa ho inaugurato il portale turistico della provincia di Firenze, all'interno del Museo degli Uffizi. Una bellissima iniziativa della provincia, che ha messo in rete tutte le strutture ricettive del territorio. In quell'occasione, ho fatto in diretta la prenotazione per un bed & breakfast nella zona del Chianti, naturalmente simbolica.
Voi stessi vi rendete conto come un portale nazionale debba omogeneizzare i dati delle oltre cento province italiane e le diversità di classificazione nelle diverse regioni italiane. Purtroppo, uno degli elementi di disomogeneità del nostro sistema


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deriva dal fatto che non sempre un albergo a tre stelle che si trova in una determinata regione ha le stesse caratteristiche di un albergo a tre stelle di un'altra regione. Lo stesso discorso vale per le modalità di informazione. È un tema molto importante, poiché senza portale nazionale del turismo l'Italia è azzoppata nella competizione. Conto, al riguardo, di poter riferire alla Commissione in modo completo al più presto.
L'onorevole De Biasi ha svolto considerazioni interessanti sul lavoro in rete, sul rapporto con i territori e su un'autentica concertazione con gli enti locali. Sugli enti lirici ho già risposto e sono assolutamente d'accordo anche sul fatto che, in nessun modo, da parte del nuovo Governo e del nuovo Ministero, si debba provvedere a sostituzioni di figure che afferiscono alla nostra responsabilità, quanto ai loro compiti, per una motivazione di ghigliottina politica. Ha ragione la collega a sottolineare che, forse, questo è avvenuto in passato, ma episodi di questo genere non debbono ripetersi. Sono anche perfettamente d'accordo sulla impostazione premiale per la qualità che deve attraversare tutto l'operato del Ministero e sulla necessità di trovare nuove strade per il reperimento delle risorse.
All'onorevole Giulietti ho già risposto su una serie di argomenti che egli ha sollevato nel suo intervento. Condivido in pieno la sua sollecitazione sulla necessità di una legge per la musica. Su questo c'è un terreno comune largamente condiviso e vorrei che fosse percorso costruttivamente. Sono d'accordo, altresì, con l'onorevole Giulietti a proposito della necessità di aprire porte e finestre all'ascolto dei talenti.
Il tema dell'IVA sarà uno dei temi che verranno affrontati dalla commissione comune con il Ministero dell'economia. È un tema molto difficile. Ricordo all'onorevole Giulietti che il Governo spagnolo lanciò un taglio dell'IVA sui cd e dvd, che si è infranto contro gli ostacoli sollevati in sede comunitaria. È bene, dunque, studiare molto attentamente questa questione.
Riprendendo la riflessione del collega Colasio, ricordo che la legge francese sul cinema si riferisce, molto correttamente, anche al tema della televisione. Come ha sottolineato anche il mio predecessore Rocco Buttiglione, ed io sono accordo con lui, una delle strade fondamentali è che vi sia, senza intenti punitivi, una responsabilizzazione delle diverse reti, satellitari e via cavo, perché una quota delle trasmissioni e delle emissioni possa essere utilizzata per il finanziamento del cinema.
Quanto alla musica, non c'è dubbio che la frontiera tecnologica richiamata dal presidente Folena è estremamente affascinante, ma allo stesso tempo difficile. È chiaro che l'accesso è libero, ma è anche chiaro che tale accesso deve essere condizionato attraverso un accordo con i produttori, che permetta di tutelare il diritto d'autore e di non mortificare questa straordinaria libertà, che è diventata non solo costume, ma anche un processo di crescita culturale di massa. Come si vede, si tratta di un tema reale, non di un tema politico o ideologico.
Un esempio, che può sembrare blasfemo e poco attinente, è quello che riguarda i brevetti dei vaccini anti-Aids. Ricordo che alcuni paesi, guidati dal Sudafrica, dissero alle grandi industrie farmaceutiche che, considerate le decine di milioni di ammalati di Aids, loro non potevano tenersi i vaccini secondo criteri di mercato. Le imprese risposero che avevano investito sulla ricerca miliardi di dollari. Un'esigenza vitale la prima, un'esigenza da non ignorare la seconda. Alla fine si è trovato un compromesso e, attraverso un movimento molto importante, si sono attribuiti dei brevetti ad alcuni paesi emergenti.
Penso che anche quando due esigenze così clamorosamente dissonanti, come la libertà di accesso alla rete e il diritto di trarre un frutto dall'opera di ingegno, si scontrano in un modo così clamoroso (la tecnologia corre molto più velocemente della capacità di imbrigliarla), occorre individuare soluzioni condivise. Alcune erano contenute in una proposta di legge dell'onorevole Colasio, nella passata legislatura.


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Se questo tema verrà posto al centro del lavoro della Commissione, anche con riferimento alla competenza degli altri ministri, siamo disponibili ad affrontarlo.
Condivido la proposta, contenuta nell'intervento dell'onorevole Giulietti, che un'iniziativa di stati generali della cultura si possa promuovere nella città di Milano. Questo potrà permetterci di dialogare anche con la nuova amministrazione civica. La proposta, ovviamente, deve essere fatta propria dai mondi associativi, che sono stati a più riprese richiamati.
Presidente Folena, al di là della competenza formale della Commissione, sono disponibile a darvi informazioni sul tema del turismo. Sono d'accordo sul fatto che si debba dare corso ad un aggiornamento del portale del Ministero - anche su questo riferirò prossimamente e prego il capo di gabinetto di prenderne nota - per quanto riguarda tutte le informazioni concernenti i musei, non solo statali, ma anche civici, il patrimonio ecclesiastico e, in generale, la disponibilità diffusa di siti, aree e istituzioni culturali nel territorio.
Mi fa molto piacere che tanti colleghi abbiano usato l'espressione «bene comune», che ha molte radici e molte matrici d'ispirazione culturale nel nostro patrimonio nazionale, come leitmotiv dell'ampia discussione che si è svolta (e vi chiedo scusa della troppo ampia replica che ho fatto). Bene comune della nazione spero sia anche lo spirito con cui interpreteremo insieme il lavoro che ci attende.

PRESIDENTE. Credo di poter ringraziare, a nome di tutta la Commissione, il ministro Rutelli per l'attenzione e il rigore con cui ha voluto interloquire con ciascuno degli intervenuti. Le assicuro, signor ministro, uno spirito di comune collaborazione.
Nell'esprimere ancora un ringraziamento al ministro per i beni e le attività culturali, Francesco Rutelli, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 17,30.