COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta antimeridiana di marted́ 11 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 11,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del ministro per le politiche giovanili e le attività sportive, Giovanna Melandri, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro per le politiche giovanili e le attività sportive, Giovanna Melandri, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Ricordo che, nella seduta del 6 luglio scorso, il ministro ha concluso la sua relazione, il cui testo è stato pubblicato in allegato al resoconto stenografico di quella seduta.
Vorrei, inoltre, approfittare dell'occasione per esprimere, a nome di tutta la VII Commissione - la seduta è trasmessa anche sul canale satellitare della Camera dei deputati -, i sentimenti di riconoscenza alla squadra italiana, la nazionale di calcio, che ha costruito un'impresa meravigliosa, ci ha fatto emozionare, ha riunificato le italiane e gli italiani attorno ad un evento così grande e bello. Dico questo pensando anche al modo in cui molti dei nostri atleti hanno commentato la vittoria. Penso, ad esempio, alle parole commoventi di Rino Gattuso, che richiamano i politici della destra e della sinistra, cioè tutti noi, a pensare davvero a cosa vuol dire investire, in termini di strutture pubbliche, per i giovani del Mezzogiorno, e dare un'opportunità ai tanti ragazzi che vorrebbero affermarsi e realizzarsi.
È un monito che voglio esprimere in senso assolutamente comune, considerato il lavoro che, sullo sport, abbiamo cominciato a fare con questa Commissione, lavoro che ci ha permesso di deliberare all'unanimità un'indagine conoscitiva così importante come quella sul calcio professionistico (a riguardo, l'incontro con il professor Guido Rossi, fissato nella giornata di domani, inaugurerà la serie di audizioni previste su questo tema).
Vorrei poi dire, anche alla presenza del ministro Melandri - la cui lunga audizione ha accompagnato la fase finale del mondiale -, che questi messaggi che ci giungono, anche direttamente dagli atleti, a mio modo di vedere vanno assolutamente raccolti con serietà, da parte di tutti noi.
Do quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre eventuali domande al ministro.

NICOLA BONO. Signor presidente, mi associo alla generale soddisfazione per il grande risultato conseguito dalla nazionale di calcio. È ovvio, trattasi di un risultato che nasce da un lungo lavoro, fatto nel tempo, di costruzione di una compagine che, non a caso, il commissario tecnico Lippi, quando è stato invitato a definire


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con un'aggettivazione, ha chiamato «compatta». La squadra ha dato la sensazione di un'articolazione estremamente armoniosa che è riuscita a raggiungere un risultato assolutamente eccezionale, ed ha riempito di gioia e soddisfazione l'intero popolo italiano. Credo sia importante che il Parlamento, davanti ad un risultato del genere, esprima la sua convinta soddisfazione.
A dire il vero, avremmo sperato in una più sobria gestione della vicenda da parte di chi aveva responsabilità istituzionali. Il ministro, infatti, ci è parso un po' troppo coinvolto. A parte questo, comunque, colgo un dato generale di soddisfazione che voglio sottolineare.
Per entrare nel merito dell'audizione, vorrei individuare alcuni punti essenziali e rivolgere alcune domande al ministro. Innanzitutto - questo riguarda anche lei, presidente Folena -, credo che questa Commissione si debba pronunciare in maniera definitiva in ordine al cosiddetto spacchettamento delle competenze sulle politiche giovanili.
Come dirà la collega Meloni, che sulla questione specifica interverrà in maniera più puntuale, riteniamo che non possa accadere che, tra le competenze del Ministero per le politiche giovanili, ci siano una serie di attività da distribuirsi in una molteplicità di Commissioni. Non si capirebbe, in questo caso, come il Parlamento possa esercitare il suo diritto-dovere di verifica, in ordine agli indirizzi del Governo, ed avere una visione dell'unitarietà dell'azione del Governo stesso.
Credo, tra l'altro, che la Commissione cultura abbia già tutte le competenze specifiche in materia di scuola, università e sport. Questo comporta una presa di posizione, da parte della nostra Commissione, nel rivendicare (così come abbiamo fatto in ordine al turismo) una oggettiva competenza in questo ambito. Dico subito che non condivido - né personalmente, né a nome del partito che rappresento, Alleanza Nazionale - il modo con cui si è proceduto alla distribuzione di deleghe ministeriali e alla creazione di dicasteri; un modo che non ha precedenti o, se ne ha, non sono certo positivi.
A questa proliferazione di deleghe e di competenze sta corrispondendo una oggettiva confusione di gestione anche da parte del Parlamento. Allora, o cerchiamo di ricondurre ad unità e razionalità il lavoro istituzionale, oppure rischiamo di non capirci più nulla. Non ha molto senso che il ministro per le politiche giovanili e le attività sportive sia venuto nella nostra Commissione e abbia relazionato solo sullo sport, dando per scontata una competenza «polverizzata» in almeno altre due, tre o quattro Commissioni. Mi domando come il Parlamento possa capire su quali linee di indirizzo il ministro intenda muoversi.
Una seconda osservazione che mi sento di esprimere, in ordine alla relazione del ministro, riguarda l'affermazione secondo la quale questa sarebbe la prima volta che viene istituito un Ministero per le politiche giovanili e le attività sportive. Credo, invece, vi sia stato un precedente, negli anni settanta, che non ha portato fortuna: era il secondo governo Andreotti, ed il ministro Caiati si interessava dei problemi della gioventù. Quell'esperienza non ebbe fortuna, durò pochissimo. Non voglio augurare la stessa sorte al ministro Melandri, non sarebbe di buon gusto, ma obiettivamente il precedente non è dei migliori e, forse per questo, il ministro lo ha rimosso dalla sua relazione, facendo apparire il suo Ministero come il primo della storia. Non è il primo, dunque, ma è il secondo, e tutti noi siamo ancora in attesa di capire esattamente con quali competenze e con quali criteri possa articolare una sua azione. Tuttavia, il Ministero esiste e con esso dobbiamo confrontarci.
Prendiamo atto della relazione, della quale - questo la stupirà, signor ministro - condividiamo molti punti. Si tratta di questioni fondamentali, che Alleanza Nazionale, in passato, in tempi non sospetti, ha rivendicato e proposto anche attraverso atti formali, proposte di legge, iniziative parlamentari e dibattiti pubblici.


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Tuttavia, noi ci saremmo aspettati da lei, signor ministro, un pizzico di autocritica. Invece, non solo non ha fatto autocritica sulle questioni di cui ora dirò, ma addirittura ha cercato di scaricare sul precedente Governo di centrodestra alcune responsabilità che non ha. Nella relazione, lei ha affermato che l'esito dell'indagine conoscitiva sui problemi del calcio, presentato nel luglio del 2004, non ha avuto riscontro in atti del Governo. Mi pare che, a luglio del 2004, mancasse un po' meno di un anno alla fine della legislatura. Mi sembra, dunque, che la sua sia stata un'affermazione abbastanza strumentale. Al contrario, non affermare (o far finta che non sia così) che gran parte dei problemi da cui il calcio è investito siano nati da scelte politiche e legislative dei Governi di sinistra mi pare grave. Non è certo questo un modo corretto di affrontare un dibattito in Parlamento. Un pizzico di autocritica non guasta.
Passo, quindi, alle domande. Stiamo gestendo, in queste settimane, uno scandalo di proporzioni gigantesche, una situazione che ha lasciato stupiti per l'eccezionale gravità delle accuse rivolte ai soggetti indagati. Noi di Alleanza Nazionale siamo dell'idea che non si possa procedere a colpi di amnistia; occorre che chi ha sbagliato venga punito, perché dobbiamo dare a questo mondo un'idea precisa della responsabilità, dei doveri e della correttezza che debbono presiedere ad un'attività così delicata.
Tuttavia, questa situazione scandalosa nasce, in gran parte, da scelte politiche e legislative assolutamente devastanti. Uno degli aspetti, ad esempio, oggetto di grande contestazione è quello della vendita individuale dei diritti televisivi. Ho notato con piacere, ascoltando la sua relazione, che esiste una coincidenza di opinioni tra quello che lei sostiene e quello che Alleanza Nazionale ha sostenuto qualche anno fa, anche attraverso la presentazione, nel 2004, di una proposta di legge, nell'ambito della quale si affermava, ai fini della moralizzazione del settore del calcio, l'esigenza della vendita collettiva dei diritti televisivi. Tale vendita collettiva avrebbe dovuto riparare all'errore gravissimo commesso allorquando si stabilì la vendita individuale dei diritti, creando così una disparità enorme tra grandi club milionari e piccole squadre, costrette ad accontentarsi delle briciole. La succitata modifica, come è noto, fu introdotta dal Governo D'Alema. Questa è l'autocritica che ci saremmo aspettati: se è vero, come lei stessa dichiara nella sua relazione, che la vendita individuale dei diritti televisivi era ed è uno degli elementi che hanno determinato le condizioni di corruzione e di deriva verificatesi nel settore del calcio, dobbiamo pur dire in quale epoca fu introdotta e a chi risale quella modifica. Prima del 1999, di certo non esisteva questo aspetto grave che noi e lei abbiamo individuato.
Come intende il Governo procedere su questo terreno? Io mi auguro che non intenda farlo con il sistema del decreto-legge. Faccio notare che esiste da tempo una proposta di legge presentata da Alleanza Nazionale, giacente in questa Commissione, al cui esame è necessario mettere mano al più presto. Insieme al Governo e alle forze politiche di maggioranza e di opposizione sarebbe opportuno procedere celermente all'individuazione di percorsi di fuga rispetto all'attuale situazione.
Un secondo aspetto che ho notato con piacere essere presente nella sua relazione, ma che risale, anche questo, ad un'antica posizione - e proposta - di Alleanza Nazionale, riguarda la contrarietà alla quotazione in borsa delle società sportive professionistiche. Questa è una vecchia battaglia che abbiamo portato avanti e, anche riguardo a tale argomento, esiste una proposta di legge, depositata a suo tempo da Alleanza Nazionale.
Abbiamo più volte sollevato il problema di quanto sia stata devastante la modifica introdotta, anche questa, da un Governo di centrosinistra. Mi riferisco al decreto-legge n. 485 del 1996, voluto fortemente dal Vicepresidente del Consiglio di allora, l'onorevole Veltroni, il quale sostenne l'esigenza di trasformare le società sportive che svolgevano attività


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onlus, non lucrative, in società lucrative, che potevano essere quotate in borsa. A ciò si aggiunga l'elemento devastante dell'introduzione nei bilanci societari delle quotazioni dei giocatori, che ha determinato bolle speculative spaventose, nonché l'ingestibilità sul piano economico-finanziario di queste strutture, e che ha portato oggi a parlare di un diffuso sistema di corruzione. È chiaro, che quando si tratta di milioni di euro, in relazione al valore delle quotazioni in borsa, è giocoforza che scattino meccanismi perversi. Anche questo è stato individuato come uno dei fattori alla base della corruzione del sistema. Esiste, dunque, l'esigenza di procedere immediatamente alla modifica dell'attuale normativa, voluta dal ministro Veltroni, nel senso di eliminare le finalità di lucro delle società, il che automaticamente farebbe venir meno il presupposto tecnico-giuridico della quotazione in borsa. Anche su questo punto chiedo, quindi, al ministro come intenda procedere, attraverso quali strumenti - penso alle proposte di legge depositate - e con quale tempistica.
Da ultimo, si è parlato dell'istituzione di un contributo allo Stato - anche questa è una vecchia proposta di Alleanza Nazionale - da parte delle società sportive professionistiche, per sostenere parzialmente i costi del servizio di ordine pubblico. È una proposta che è stata avanzata anche dal ministro Amato e che noi riteniamo importante. Peraltro, è stata richiamata anche dall'onorevole Melandri nella sua relazione. Anche da questo punto di vista bisognerebbe muoversi, sebbene su tale aspetto vi sia una competenza di altre realtà istituzionali del Parlamento che, ovviamente, comporta la scelta di un luogo e di un metodo di lavoro comuni.
In conclusione, onorevole Melandri, credo che l'introduzione di principi elementari di autocritica non guasti in un dibattito parlamentare franco e sereno. Oggi abbiamo preso atto della sua volontà di operare nel settore dello sport ed abbiamo individuato alcuni punti che riteniamo più importanti e che condividiamo, avendoli più volte sollevati in passato. Essi, peraltro, rappresentano l'oggetto di posizioni precedentemente assunte dal nostro partito.
Riteniamo che si debba fare presto, perché il calcio e tutto il mondo dello sport italiano attendono risposte. Occorre intervenire con strumenti che impediscano, in futuro, la formazione di quel terreno culturale che ha creato le condizioni dell'attuale scandalo, che mi auguro possa vedere presto i responsabili esemplarmente puniti.

PRESIDENTE. La ringrazio del suo contributo, onorevole Bono. A proposito della questione che lei ha sollevato in merito a questa presidenza e alla nostra Commissione, è del tutto evidente che la stessa sia competente, oltre che per le attività sportive, anche per una parte di quanto indicato all'articolo 1, lettera a) del decreto presidenziale del 15 giugno 2006, ovvero coordinare le azioni di governo - queste le competenze del ministro Melandri - volte ad assicurare l'attuazione delle politiche in favore dei giovani in ogni ambito, ivi compresi gli ambiti (ci sono anche ambiti non di nostra competenza, come quello economico, fiscale e del lavoro) dell'istruzione e della cultura, anche mediante il coordinamento dei programmi finanziati dall'Unione europea.
Siamo competenti, quindi, per la parte surrichiamata, per quanto riguarda le politiche giovanili e il fondo che è stato istituito.

NICOLA BONO. Signor presidente, il punto era proprio questo. Con un simile sistema noi accettiamo, di fatto, lo spacchettamento del Ministero per le politiche giovanili e le attività sportive. Questo significa che tale Ministero dovrebbe operare con pezzi di competenza istituzionale distribuiti in varie Commissioni. In questo modo, si perde la visione dell'unitarietà dell'azione e viene meno il principio elementare alla base della valutazione del Parlamento: la possibilità di discutere con un interlocutore certo. Contestavo proprio questa parziale competenza, ponendo un problema politico ed istituzionale. Esiste


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un luogo dove possiamo discutere con un ministro del suo dicastero? Questo è il problema. Al limite, si trovino delle formule di gestione congiunta. Presidente, si tratta di una interlocuzione di carattere procedurale, ovvero dobbiamo capire come dobbiamo muoverci.
Tra l'altro, il ministro Melandri non ha relazionato in ordine a tutti gli aspetti riguardanti i problemi della gioventù. Si è limitata a trattare il tema dello sport, pur avendo una parte delle competenze della nostra Commissione, proprio per la difficoltà, che immagino abbia anche lo stesso ministro, di interloquire su questi temi.

GIORGIA MELONI. Presidente, mi permetta di intervenire a riguardo...

PRESIDENTE. Ha già parlato l'onorevole Bono...

GIORGIA MELONI. Presidente, si tratta solo di un chiarimento...

PRESIDENTE. Ripeto che per il suo gruppo è già intervenuto l'onorevole Bono, comunque, prego.

GIORGIA MELONI. Chiedo scusa ai colleghi, ma quello di cui si discute è un problema che avevo già posto anche direttamente al ministro Melandri. Quando questo Governo ha istituito un Ministero per le politiche giovanili, privo di portafoglio, io mi sono lungamente interrogata su quale fosse l'utilità di tale istituzione.
La risposta che mi sono data - e immagino sia la risposta che si sono dati tutti quanti - è che questo Ministero posa avere un grande ruolo laddove riesca a fornire un'indicazione complessiva degli interventi da effettuare in termini di politica giovanile. In altri termini, gradiremmo avere un interlocutore, attraverso il quale, a trecentosessanta gradi, il Governo spieghi come intende agire rispetto al mondo giovanile.
Il ministro Melandri, in questa Commissione, nella sua relazione ha parlato, ad esempio, del rapporto fra i giovani e lo sport, laddove lo sport può rappresentare un valido deterrente rispetto ai problemi legati al disagio giovanile. Non ha parlato, purtroppo, del ruolo che può avere la scuola rispetto a questo problema. In Commissione affari sociali, invece, ha affrontato il problema del disagio giovanile, problema di cui non si può discutere in Commissione affari sociali senza farlo anche in Commissione cultura, dove appunto si parla di scuola e di università, ovvero proprio di quelle strutture che devono dare una risposta a questo disagio.
Il problema politico che stiamo ponendo, dunque, riguarda la possibilità di avere una Commissione che si occupi specificamente del tema delle politiche giovanili nella sua complessità. Noi riteniamo che la Commissione preposta sia questa, perché è quella che vanta la maggior parte delle competenze relative alle politiche giovanili. Diversamente, non so se sia il caso di costituire una Commissione speciale per le politiche giovanili! L'unica cosa che non si può fare è discutere in questa sede di sport e giovani, discutere in Commissione lavoro di giovani e lavoro, discutere in Commissione affari sociali di giovani e droga, perché ciò significherebbe aver istituito un Ministero dei giovani privo di alcun tipo di utilità.

PRESIDENTE. Onorevole Meloni, lei ha svolto un intervento di merito già abbastanza consistente. La mia precisazione in risposta al deputato Bono è ineccepibile. Ho semplicemente detto che, allo stato delle cose, formalmente, la nostra Commissione non è competente per il complesso delle politiche giovanili. Il problema non dipende dal ministro Melandri.
Ad ogni modo, appurata la necessità, mi farò carico di investire della questione il Presidente e l'Ufficio di presidenza della Camera. Faccio, comunque, rilevare che anche in altre materie vi sono sedi congiunte di Commissione, senza che ciò costituisca scandalo. Non è escluso, quindi, che si possa lavorare anche in seduta congiunta sulle politiche giovanili, insieme ad altre Commissioni competenti.


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Dopodiché, mi piace ricordare - solo perché ero un giovanissimo parlamentare e segretario nazionale della Federazione giovanile comunista, nel 1987 - che, su nostra iniziativa, fu istituita una Commissione speciale monocamerale per le politiche giovanili, che ebbe un grosso rilievo e avanzò delle proposte molto importanti.
Esiste, quindi, anche un precedente di segno diverso. Queste sono alcune delle possibilità che con il Presidente della Camera e con l'Ufficio di presidenza potremmo discutere. Allo stato delle cose, tuttavia, finché non interverrà un'altra determinazione da parte della Presidenza, rimaniamo competenti solo su questa parte delle deleghe relative alle politiche giovanili.
Ricordo che, in occasione dell'incontro con il ministro Rutelli, fu sollevato un problema analogo - l'onorevole Bono lo ricordava - sul turismo: ebbene, a conclusione di quella audizione, sottolineammo non già la nostra esclusiva competenza - nessuno può pensare di sottrarre le competenze del turismo alla Commissione attività produttive - ma il nostro concorso di competenza sulla questione.

VALENTINA APREA. Intervengo sull'ordine dei lavori. Signor presidente, potremmo avanzare al ministro la proposta di integrare la sua audizione sullo sport con quella parte di interventi a favore delle politiche giovanili che hanno a che fare con le nostre competenze. Noi, in fondo, ci occupiamo di scuola, di scuola dell'infanzia, di tutti gli ordini scolastici, di università e del mondo giovanile.
Pregherei il ministro Melandri, pertanto, di integrare la sua audizione nella nostra Commissione, parlandoci di disagio giovanile, ma soprattutto delle politiche, che immagino dovrà concordare con i ministri Fioroni e Mussi, inerenti alla vita dei giovani.

ANDREA MARTELLA. Sull'ordine dei lavori, intervengo per far notare ai colleghi, precedentemente intervenuti sul punto, che la risposta data dal presidente, in questa sede, è assolutamente ineccepibile.
Con questo tipo di configurazione, abbiamo svolto, in maniera esaustiva e non ancora conclusiva, l'audizione del ministro Melandri sulla questione relativa allo sport. Il ministro è già intervenuto in Commissione affari sociali, dove ha presentato le sue linee programmatiche sulle politiche giovanili.
Il Ministero dello sport e delle politiche giovanili è un Ministero di coordinamento, come ha spiegato il ministro Melandri nell'audizione in corso e in Commissione affari sociali. Sono emerse, nei testi presentati in questa sede e nella Commissione affari sociali, una serie di possibilità di coordinamento che riguardano le politiche del lavoro, dell'università, della ricerca, con particolare riferimento alle questioni relative al disagio giovanile e, naturalmente, allo sport. Dovremmo perciò ammettere che il Governo ha fatto esattamente la propria parte fino in fondo e il presidente della Commissione non ha potuto fare altro che rispettare l'attuale impostazione. Rimane la proposta che voi avete avanzato. A me sembra...

NICOLA BONO. La mia non era un'opposizione, era una proposta...

ANDREA MARTELLA. Onorevole Bono, come ho detto, in accordo con lei, quando abbiamo parlato di turismo, credo che la strada più opportuna sia quella di non avere una competenza esclusiva, probabilmente, ma di essere anche noi compartecipi dei dibattiti su questi temi ed avere, su di essi, discussioni congiunte con la Commissione affari sociali.

GIORGIA MELONI. Ma non c'è solo la Commissione affari sociali...

ANDREA MARTELLA. Appunto, c'è pure la Commissione lavoro. È stato posto un problema, sul quale esiste anche una condivisione. Mi preme sottolineare, però, che non è responsabilità del Governo e neppure del presidente della Commissione


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se la situazione è questa. Il problema è stato sollevato ed io lo condivido. Sicuramente troveremo le formule più adeguate e lei, onorevole Meloni, come Vicepresidente della Camera può sicuramente svolgere un ruolo propositivo in tal senso, a patto che questo non sia il punto di partenza per sostenere l'inutilità del Ministero.
L'obiettivo deve piuttosto essere quello di porre, in tutte le forme opportune, le premesse perché le politiche che il Ministero può mettere in campo siano discusse in più sedi, nelle varie Commissioni della Camera. La condizione è che si faccia un lavoro veramente costruttivo.

PRESIDENTE. Rappresenteremo il tema all'Ufficio di presidenza. Sarà poi la Giunta per il regolamento - lei diceva sottovoce che non c'è solo la Commissione affari sociali, onorevole Meloni - a cercare di definire le modalità attraverso cui il Parlamento vorrà affrontare questo complesso di deleghe.
Non è una prima volta; non è un'eccezione; non è un'anomalia. Ad esempio, di agricoltura e di salute alimentare possono occuparsi le Commissioni agricoltura e affari sociali; o anche quella che si occupa di salute. È un fatto normale. Noi stessi condividiamo con la Commissione trasporti e telecomunicazioni, grosso modo, il 50 per cento delle competenze in materia di comunicazioni. Con l'aiuto che ci giungerà dall'Ufficio di presidenza e dalla Giunta per il regolamento vedremo come meglio affrontare una materia così complessa, interdisciplinare e trasversale qual è quella delle politiche giovanili.
Così come il Governo ha un suo punto di vista autonomo sulle politiche giovanili, anche il Parlamento è giusto che abbia - e su questo condivido lo spirito delle vostre osservazioni - un'unitarietà nel modo di affrontare i temi. Potremo discutere e discuteremo, però, le forme di questa unitarietà.
Quanto alla proposta, costruttiva, avanzata dalla deputata Aprea, abbiamo due ipotesi. Già in corso di audizione, il ministro Melandri si è dichiarato disponibile ad integrare la sua relazione con questi aspetti. Ma noi potremmo, proprio per terminare nella mattinata di oggi la parte relativa allo sport, organizzare nei prossimi giorni, sulla base delle disponibilità del ministro, un'audizione sui temi di nostra competenza, che diventi anche una forma di illustrazione del piano d'azione per i giovani presso questa Commissione. Ciò anche per avere una discussione più generale.
In effetti, oltre ai temi classici, che riguardano il sapere, la cultura e l'istruzione, ve ne sono altri concernenti il digital divide, la comunicazione, i contenuti delle produzioni televisive, l'accesso dei giovani talenti al mondo della musica e del teatro, di cui abbiamo anche parlato con il ministro Rutelli. Abbiamo, dunque, un complesso di questioni che, a mio avviso, merita di essere esaminato in un'occasione specifica.

WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Intanto, vorrei subito rivolgere gli auguri di buon lavoro alla signora ministro, anche perché si tratta di un nuovo dicastero. Sono contenta che, in occasione dei mondiali di calcio, l'Italia sia stata rappresentata da questo dicastero, che costituisce una novità e ci allinea un po' di più agli altri paesi europei.
Vorrei cominciare parlando di una mia esperienza personale, al tempo in cui facevo ginnastica nelle medie inferiori. Vivevo ancora a Foggia e, ormai, sono passati un po' di anni. Purtroppo, molte volte, quelle ore si trasformavano in una dimostrazione di virilità. Si creava un'atmosfera di cameratismo, soprattutto a causa del fatto che vigeva la divisione tra uomini e donne, che, in qualche modo, tendeva a dileggiare e a disprezzare non solo i diversamente abili, ma anche i «diversi» più in generale. Somigliava un po' a quella dimostrazione di virilità di storica memoria mescolata alla propaganda e all'idea di una razza superiore, perché più prestante atleticamente, ad esempio propugnata nelle Olimpiadi di Berlino del 1936 sia da Hitler sia da Mussolini.


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Mi sento, quindi, di doverle porre subito la questione del «genere». Credo che, ancora oggi, lo sport sia un'attività dove prevale un'eccessiva divisione dei generi. Mi chiedo perché non si sia mai pensato di proporre delle squadre sportive miste. Sono infatti convinta che il non creare divisioni così nette tra i generi potrebbe essere un ottimo rimedio contro l'omofobia e agevolerebbe il coming out per molti gay e molte lesbiche, che ancora oggi una certa mentalità è come se considerasse non capaci di fare sport. Invece, alcune esperienze hanno dimostrato il contrario. Penso ai Gay Games di Amsterdam, o all'esperienza italiana di nuoto omosessuale «Gruppo Pesce».
E a proposito di maschilismo nello sport, voglio ricordare che alle donne, oltre ad aver dovuto aspettare molto tempo prima di avere il diritto al voto e allo studio, storicamente non veniva garantito accesso all'educazione fisica. Per ottenerlo, poiché venivano considerate fisicamente non adatte a fare sport, hanno dovuto aspettare il 1867. In quell'anno, l'istruttore svizzero Rudolf Obermann scrisse un trattato dal titolo «La ginnastica femminile». Solo dopo quella data, a Torino, è stata fondata la prima squadra di ginnastica preparatoria femminile.
Ora, ritengo sia arrivata l'ora di discutere anche sulla competizione sportiva mista per genere. Lo dico proprio perché credo nel valore pedagogico dello sport, che non è solo divertimento. Anche se, etimologicamente, la parola sport - così tradotta da Walter Scott nel 1829 dal termine déport - è connessa al termine italiano diporto, che ancora si usa riferito ad alcuni tipi di imbarcazione. Non è neanche solo agonismo, ma ha un valore esemplare e coinvolge più aspetti.
Sono, quindi, d'accordo sul rigore etico in relazione alle vicende del calcio, di cui mi sembra di aver anche letto nelle linee programmatiche da lei presentate. Mi sento molto vicina alle recenti dichiarazioni fatte da Gattuso. Sono certa che il problema non è nato oggi, ma c'era già ieri, quando la corruzione esisteva e non si sapeva o, peggio ancora, si faceva finta di non sapere: in tal senso, credo che dovremmo dare piena autorità alla magistratura, che deve andare fino in fondo nel suo lavoro. Né credo che buttarla in politica serva a molto: siamo un po' stanchi del solito vittimismo della serie: «Ci vogliono punire perché apparteniamo a questo o a quello schieramento politico». Invece, ancora una volta abbiamo dovuto ascoltare alcune dichiarazioni che fanno riemergere il problema del conflitto di interessi: quando parla qualcuno non si sa mai se parli come leader di partito, come manager di una grande azienda o come presidente di una squadra sportiva.
Lei ha riportato nelle linee programmatiche il lavoro che ha svolto la Commissione in sede di indagine parlamentare. Anch'io credo, come è stato precedentemente detto, che le quotazioni in borsa abbiano avuto più ombre che luci. Ebbene, le dinamiche meramente aziendali nel calcio sono state non solo causa dei problemi di oggi, quindi della corruzione, ma anche del doping. Faccio notare che quando si sostituisce il concetto secondo il quale «il tempo è denaro» con quello per cui «la resistenza fisica è denaro», sottoponendo i calciatori a turni massacranti, in qualche modo è come se lo stesso mercato costringesse certi calciatori a dover dare più di quello che un fisico è in grado di offrire naturalmente. Sconfiniamo nel campo in cui la capacità fisica diventa «utile agli utili».
Credo che tutti i tifosi preferiscano una squadra che perde, ma con regole certe, a una che vince con regole incerte. Lo affermo a nome di tutti quei ragazzi, mio fratello compreso, che seguono le trasferte delle squadre di calcio portandosi dietro il panino preparato dalla madre, facendo viaggi lunghissimi su pullman non sempre comodi; quelli che dopo la partita tornano subito indietro, magari passando la notte in viaggio. Proprio a queste persone si deve ridare la gioia di seguire la propria squadra e di credere che le vittorie, o le sconfitte, siano meritate.
Il calcio, lo abbiamo visto in queste ultime vicende, ha un valore molto forte di


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coesione sociale. Questo lo sapevano già gli antichi greci, nel 776 a.C., quando celebrarono le Olimpiadi anche allo scopo di rendere più coese le città greche, così diverse fra loro. Abbiamo visto momenti bellissimi di dimostrazione dell'unità italiana nel nome del tricolore. E credo che non sia un caso che un'emittente privata, Radio Padania, quando si è svolta la partita contro la Germania, inizialmente tifasse per questa, salvo poi passare a festeggiare il tricolore con tutti gli altri.
Rilevo, inoltre, come ancora una volta non finiscano di sorprendermi alcune dichiarazioni del senatore Calderoli, che riesce a rovinare anche i momenti di gioia, dicendo che abbiamo battuto una squadra di negri e di islamici.
Sono d'accordo con il concetto di salary cap, non solo per i giocatori, ma anche per gli allenatori e per l'apparato sportivo che lavora a supporto. Sono infatti sicura che i calciatori non abbiano mai pensato di svolgere questa attività per soldi. Credo invece si tratti di una predisposizione naturale, di una necessità, di qualcosa di inconfutabile che a loro deriva non già da una licenza, ma dalla propria natura. Sono molto spesso figli del proletariato, che magari giocavano in campi di calcetto improvvisati in qualche periferia (in proposito c'è una pubblicità davvero bella, che mostra, appunto, un ragazzo molto povero che gioca a pallone). Si tratta di ragazzi anche osteggiati dai genitori, più inclini a promuovere una vita e un lavoro ordinari.
Al riguardo vorrei anche rivolgere un pensiero - so che lei è molto sensibile su queste tematiche, altro che negri e islamici - ai bambini africani che spesso si vedono giocare con scarpe di plastica e palloni rimediati, i quali trovano proprio nel calcio l'unico momento di svago, di distrazione dalla fame, dalla miseria e, molto spesso, dalla guerra. È molto bello vedere un bambino africano che gioca a pallone; è molto triste vedere un bambino africano con le armi in mano.
Ritengo quindi necessario restituire al calcio quella cosa meravigliosa che è la catarsi. Quel momento irripetibile in cui, nello stesso istante, tutti guardano la stessa partita di calcio, avendo tutti le stesse emozioni. È la vera «livella», come l'ha voluta definire Totò. È l'unico momento in cui non ci sono orientamenti sessuali, non ci sono fedi politiche, non ci sono ceti sociali. È l'unico momento in cui veramente ci sentiamo uniti. Vedete, io a Roma vivo al Pigneto, un quartiere multietnico. Di fronte, ho il palazzo dei senegalesi, gli arabi sotto casa, i rumeni all'altro angolo. Ed è stato bellissimo vedere che quando c'è stato il gol, erano tutti a tifare l'Italia. Un momento davvero molto emozionante.
Lei, signora ministro, ha ricordato, nelle sue linee programmatiche, che sono 33 milioni gli italiani che, in maniera più o meno assidua, frequentano lo sport. Aggiungendo tutti quei milioni di italiani che fanno sport passivo, da spettatori, si ha netta l'idea di quanto lo sport sia connaturato alla nostra stessa natura umana. Non è un caso - e in questo senso credo che anche il Ministero dello sport possa lavorare insieme alla Commissione cultura - che siano state ritrovate a Baghdad delle statuine raffiguranti il gioco del pugilato e risalenti al terzo millennio avanti Cristo.
C'è quindi una connessione molto forte tra beni archeologici, rappresentazione sportiva attraverso l'arte e sport. Mi auguro che queste statuine siano rimaste a Baghdad e non siano state trafugate da qualche militare americano.
Lo sport - e mi avvio alla conclusione - non è, né deve esserlo, una dimostrazione di virilità, bensì di umanità, di rispetto per le regole, di gioia per le vittorie e di accettazione delle sconfitte. Tutto ciò, a volte, può rappresentare anche un monito per la politica.
Lo sport è rieducazione. Personalmente mi auguro che al tavolo nazionale istituito sulla materia si prenda a cuore l'idea dello sport come rieducazione nelle carceri. Sono stata a Rebibbia, dove ho visto un grande spazio con campi per il tennis e altre attività sportive. Vorrei approfittarne anche per ricordare che,


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purtroppo, la popolazione transessuale reclusa nel carcere di Rebibbia non può accedere a tali strutture. Mentre, infatti, i detenuti uomini hanno diritto a due ore d'aria al giorno, le detenute transessuali hanno diritto ad una sola ora il lunedì e ad una sola ora il venerdì, per cui non possono svolgere attività sportive, sebbene, ad esempio, a loro piacerebbe fare un po' di footing.
Vorrei, quindi, ricordare, a proposito di disagio giovanile - veniva anche rammentato prima -, le esperienze della provincia di Milano. Ma a citarle tutte sarebbero tantissime le esperienze dei numerosi centri che fanno proprio dell'attività sportiva uno strumento per distrarre i ragazzi dalla droga, dalla delinquenza abituale o dalla criminalità organizzata. Vi è, ad esempio, una comunità educativa che si chiama Valentino Mazzola per il recupero dei ragazzi abbandonati, che, insieme a professionisti psicologi, opera a Milano e in provincia di Isernia.
Lo sport ha una grande funzione anche per il problema della disabilità fisica. Al riguardo la invito, signora ministro, se potrà, a visitare un centro sportivo che si chiama Assori, nella mia città, a Foggia. È stato istituito da due genitori, Costanzo Mastrangelo, che è un pediatra, e la moglie che è un'insegnante. Questi due genitori - che 31 anni fa hanno avuto un bambino, Marco, affetto da sindrome di Down - hanno aperto un centro per offrire a questi ragazzi il nuoto come possibilità di considerare il corpo non più come mezzo di impedimento. Marco, nel 1994, ha gareggiato nell'ottava corsia del Foro italico, ottenendo un trofeo. In questo centro, ci sono anche bambini autistici, sordomuti, con problemi di disagio mentale: io mi auguro che il tavolo nazionale dello sport si occupi anche del volontariato, che molto spesso lavora in condizioni difficili per rendere efficienti centri come questi.
Auspico inoltre che vengano risolti i problemi del precariato, molto spesso legati al mondo delle palestre, dove ancora oggi numerosi istruttori e personal trainer lavorano in condizioni di lavoro nero assoluto.
Le rinnovo nuovamente gli auguri, signora ministro, perché credo che - soprattutto oggi, in un periodo in cui tutto è fast, tutto è «voglio tutto e subito» - lo sport possa essere cultura e possa insegnare a tutti che il tempo è un galantuomo e che esercitandosi, impegnandosi, dandosi da fare si possono ottenere dei risultati.

ANDREA MARTELLA. A nome del gruppo dell'Ulivo voglio augurare alla signora ministro di proseguire l'ottimo lavoro da lei iniziato nel corso di queste settimane, ricordando che ha rappresentato in maniera davvero positiva il Governo italiano al fianco della nostra nazionale, riuscita nell'impresa straordinaria di vincere i campionati del mondo.
Assieme ad un augurio di buon lavoro a lei, desidero rivolgere lo stesso augurio ai sottosegretari De Paoli e Lolli (già autorevole esponente della Commissione che tutti quanti abbiamo apprezzato per il lavoro svolto su queste tematiche e non solo): sono certo che i due sottosegretari saranno un punto di riferimento per l'attività istituzionale della Commissione e per il confronto con il Parlamento.
Ho parlato prima dell'enorme soddisfazione e del sentimento di grande gioia che accomuna tutti quanti noi per la vittoria della nostra nazionale nei campionati del mondo. All'inizio di questo mio intervento voglio dire che la soddisfazione per la vittoria ai mondiali della nostra nazionale è davvero molto grande, ma ciò non deve avere ricadute sulla giustizia sportiva che, invece, deve fare il suo corso. E se non vi è dubbio che esiste all'ordine del giorno il problema della riforma della giustizia sportiva, adesso, però, è il momento di accertare le responsabilità di chi ha portato il calcio italiano in questa difficile situazione e di prevederne le giuste sanzioni. Un'amnistia, pertanto, è davvero improponibile. Lo dico perché, almeno da parte nostra, su questo ci possa essere chiarezza: gli italiani si aspettano che la vittoria in Germania generi per tutti gli


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sportivi un mondo del calcio pulito, rinnovato, in grado di non far tramontare, in loro, la passione e la gioia di seguire i nostri campionati.
Condivido in maniera completa le linee programmatiche che lei, signora ministro, ci ha presentato. Mi auguro che, entro breve, si possa entrare nel merito di alcuni provvedimenti che devono essere assunti. A riguardo, vorrei mettere in rilievo un aspetto che mi pare fondamentale: con la nascita di questo Ministero, con le dichiarazioni programmatiche del ministro, si è voluto dare un posto centrale nel sistema pubblico alle politiche sportive, dando così allo sport una dignità che, finora, evidentemente, non sempre ha avuto nel Parlamento e nell'attività di governo. Mi pare che ci sia la scelta di mettere al centro le politiche pubbliche per lo sport; la scelta di rimetterci in rete con una dimensione europea, la scelta di non scaricare su altri (CONI, regioni, enti locali, enti di promozione sportiva) tutte le politiche dello sport. C'è invece l'idea di svolgere un'azione di coordinamento che credo possa essere molto utile per mettere in campo una nuova politica, una nuova governance del fenomeno.
Per pura oggettività, e non certo per amor di polemica, ricordo che, nell'ultima audizione tenuta in Commissione cultura con il ministro per i beni e le attività culturali di allora, l'onorevole Rocco Buttiglione, la parola «sport» non fu mai pronunciata. Non so se ricordo bene, ma forse non lo fu neanche dal suo predecessore. Questo dà l'idea di come, nel corso di questi ultimi anni, le politiche dello sport siano state scaricate su altri e quanto oggi sia necessario rimettere in campo un'azione di governo molto più forte e molto più incisiva. Non credo che si debba ritornare ad una dimensione statalistica, ma quantomeno ci dev'essere un coordinamento. In questo senso, credo sia molto giusta la previsione di un tavolo di coordinamento per far emergere e attuare il progetto di governo dello sport nel nostro paese, punto saliente della relazione del ministro Melandri.
È necessario, altresì, contribuire, sviluppare e sostenere una cultura dello sport, molto di più di quanto non si sia riusciti a fare finora, nella consapevolezza che questo rappresenta un valore, nonché uno strumento di crescita umana e di maggiore coesione sociale. È poi necessario un coordinamento con la scuola, con le università, con la salute, con le politiche complessive di welfare che riguardano il paese. È stato detto che lo sport è un fenomeno sociale di grandissima rilevanza, una forma di associazionismo di massa che nasce spontaneamente e che riguarda milioni di persone. Può anche essere uno strumento di inclusione sociale. Affinché lo sia occorre, però, mettere in campo politiche pubbliche che, a loro volta, permettano ai cittadini di esercitare quello che il ministro Melandri ha chiamato «il diritto allo sport». I cittadini, ormai, percepiscono questo come un diritto. Pertanto, devono esserci politiche che, per quanto riguarda la scuola, l'impiantistica, l'accesso, la possibilità di avere risorse a disposizione, mettano i cittadini stessi nelle condizioni di poterlo vivere pienamente come tale. Da questo punto di vista, accanto all'istituzione di un tavolo che faccia da coordinamento per far emergere un progetto di governo dello sport, credo debba essere definita una nuova governance complessiva, che trovi nel Ministero un riferimento fondamentale per le politiche dello sport, che faccia chiarezza sul ruolo del CONI, che definisca l'attribuzione alle regioni, agli enti locali e che renda nitidi obiettivi e funzioni che possono essere dati alla promozione sportiva e alla pratica di base.
Ebbene, se ci muoveremo in questo modo (esercizio di un diritto, politiche pubbliche capaci di mettere in campo un'azione incisiva del Governo per far divenire lo sport uno strumento centrale per la promozione e la coesione sociale), credo che centreremo un obiettivo fondamentale per una società contemporanea, obiettivo che, senza quest'azione forte di coordinamento da parte del Governo centrale, non potrà essere raggiunto.


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In questi giorni, abbiamo parlato molto di calcio. Aggiungo, oltre a quanto detto all'inizio, che il ministro ha usato parole giuste, equilibrate, che condivido. Domani avremo l'audizione del commissario della Federcalcio, professor Rossi. Il Parlamento ha già svolto un lavoro, come peraltro ha fatto anche la nostra Commissione. Ora si tratta di riprendere questo lavoro, con la consapevolezza che il Governo e il Parlamento devono assecondare il processo di riscrittura delle regole - di cui c'è necessità -, così come di sanzioni chiare; ben sapendo che il sistema del calcio si riforma in parte con le regole, in parte con l'ordinamento e che occorre compiere uno sforzo di questo genere, affinché ci possa essere, a fronte del lavoro svolto dal commissario, quello del Parlamento, che, per quanto ci riguarda, si innerva su molte delle cose fatte in precedenza.
Anch'io penso si tratti di tornare alla vendita collettiva dei diritti televisivi. Se si decidesse per questa soluzione, signora ministro, con quali criteri, o su quale base, si ripartirebbero tra le singole società i relativi proventi?.
È stato qui introdotto il tema del salary cap, sul quale sono d'accordo. È giusto prevedere un tetto massimo per gli ingaggi dei calciatori. Naturalmente, occorre applicare sanzioni precise nel caso in cui questi tetti non vengano rispettati. Sulla base del ragionamento così sviluppato, chiedo, dunque, al ministro, se e come - in caso di introduzione del salary cap -, si possa prevedere un sistema di sanzioni per i soggetti che non rispettano i parametri previsti.
Onorevole Bono, vorrei ricordarle - come al solito, con la cordialità dei rapporti che ci contraddistingue - come le iniziative dei Governi passati, che lei ha richiamato chiedendo al ministro di fare un po' di autocritica, siano state votate anche da voi. Quindi, questa stessa autocritica che oggi chiedete a noi, alla luce di quanto è avvenuto, dovreste chiedere anche a voi stessi.
È stato detto che, per riformare il sistema dello sport, bisogna ripartire dalla scuola. Mi pare che questo sia un tema fondamentale. A tal fine, occorre innanzitutto dare maggiore valorizzazione alle attività motorie - adeguando il monte ore rivolto agli studenti in tutti gli ordini scolastici -; e prevedere l'educazione motoria nella scuola elementare, anche con insegnanti di educazione fisica o laureati in scienze motorie. A riguardo, annuncio di aver ripresentato una proposta di legge già presentata dall'onorevole Lolli nella precedente legislatura, che considero fondamentale affinché possa essere introdotto l'insegnante o il consulente per l'attività motoria nella scuola elementare.
Si deve, infine, approntare un piano per l'edilizia scolastica e sportiva, sia per le scuole elementari che per le altre scuole, e comunque a partire dalle prime. Non c'è dubbio che solo in presenza di strutture e di impianti sportivi, scolastici e non, c'è la possibilità di svolgere, in maniera massificata, l'attività sportiva. Per fare questo, come ha detto il ministro, bisogna dare nuovamente al credito sportivo delle risorse. A causa degli errori commessi dal precedente Governo, il credito sportivo, ossia la banca dello sport, che prevedeva contributi per l'impiantistica sportiva nei confronti degli enti locali, è stato svuotato di risorse. Solo reperendo nuove risorse per il credito sportivo sarà possibile mettere in campo un piano di sviluppo dell'impiantistica sportiva e scolastica.
Mi preme, poi, fare un riferimento anche al tema della salute. Per accrescere il benessere dei cittadini bisogna inserire la promozione della pratica sportiva all'interno del piano sanitario nazionale. Il ministro ne ha in qualche modo parlato, ed io credo che le politiche dello sport debbano diventare parte integrante di un welfare rinnovato ed inclusivo. È evidente, quindi, che nel piano sanitario nazionale anche lo sport deve trovare un adeguato spazio.
Come è stato ricordato, va riformata la legge sul doping, che è stata evidentemente una buona legge, ma non ha previsto una sufficiente attenzione per gli sport dilettantistici e, quindi, per la promozione e la salvaguardia della salute di milioni di


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sportivi. Da questo punto di vista, la legge va riformata, per affrontare seriamente anche il tema dello sport dilettantistico.
Infine, va messa in campo, a partire dalla prossima legge finanziaria, una nuova politica delle risorse: risorse aggiuntive, ma anche risorse che possono essere distribuite meglio, con una serie di strumenti (cessione di quote sulle scommesse sportive, tassazione di scopo, tassazione sui diritti televisivi). Per affrontare il tema dello sport come diritto e come promozione della crescita sociale e, allo stesso tempo, per inserire una maggiore e più forte programmazione nell'ambito scolastico e nell'ambito della programmazione sanitaria nel nostro paese, è necessario sicuramente reperire nuove risorse. In questo senso, il Ministero dovrà reperire, pur nella difficile situazione finanziaria in cui versa il nostro paese, anche quelle risorse che gli permettano di funzionare e di compiere scelte precise per esercitare questo diritto su tutto il territorio
Su queste linee, ovviamente ci riserveremo, nel corso dell'attività legislativa e della discussione dei provvedimenti che proporrà il Governo, di intervenire nuovamente. Se queste saranno le direttrici, signora ministro, lei avrà il consenso, l'appoggio, il pieno sostegno dell'Ulivo, naturalmente a favore dello sport nel nostro paese, dei cittadini, dei giovani e di una crescita complessiva della società italiana.

MAURO DEL BUE. Credo che oggi sia difficile iniziare un intervento senza fare riferimento alla gioia che ci ha pervaso nell'assistere alla vittoria della nostra nazionale di calcio, ai mondiali di Germania. Lo faccio anche visivamente, indossando una cravatta azzurra che il sottosegretario Lolli ha definito un po' troppo laziale (probabilmente è romanista...). Ricordo che questo quadratino bianco potrebbe essere in linea con la tenuta indossata dalla nostra nazionale in occasione della partita con l'Australia: maglia azzurra e calzoncini bianchi. Dunque, la mia cravatta è assolutamente poco laziale e molto nazionale...!.
Il ministro Melandri bagna il suo debutto nel neoministero dello sport con la vittoria più importante per lo sport italiano, conseguita nello sport più popolare e nella manifestazione più seguita dagli italiani e, ormai, da tutte le popolazioni del mondo, anche quelle poco propense ad innamorarsi del gioco del calcio, come la statunitense, o addirittura da parte di popolazioni africane o indiane, che ho visto esultare per la vittoria dell'Italia.
Bisognerebbe consigliare a De Gregori di riscrivere il verso di una sua famosa canzone: «Mino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore». Ebbene, i mondiali li abbiamo vinti proprio grazie a questo particolare, che non è affatto insignificante e ci ha consentito di portare a casa la coppa del mondo e di esultare in tutte le nostre città.

ANDREA MARTELLA. Anche grazie all'altruismo e alla fantasia...

MAURO DEL BUE. Certo, anche per l'altruismo e la fantasia. In questo caso, però, se non ci fosse stata la freddezza dei nostri cinque frombolieri in occasione dei calci di rigore, difficilmente avremmo portato a casa la coppa. Certo, con l'ausilio di Trezeguet. Probabilmente aveva ragione Domenech a non volerlo mettere in squadra: Trezeguet è nato tra la fine di novembre e la fine di dicembre e Domenech, essendo uno studioso degli astri, lo riteneva poco propenso a fare il bene della sua squadra.
Al di fuori della retorica, mi preme sottolineare alcuni aspetti che mi paiono abbastanza nuovi. Premetto che ormai non c'è più solo la televisione, ma anche i maxischermi. Dai conti fatti dai giornali sportivi - lo leggevo oggi su La gazzetta dello sport -, ad aver visto quella partita sarebbero stati 35 milioni di italiani, 8 milioni in più del record raggiunto da Italia-Argentina, semifinale della coppa del mondo del 1990. Sono 23 milioni e 900 mila coloro che hanno guardato la partita sulla RAI, 1 milione e 900 mila coloro che l'hanno seguita su Sky, mentre il resto si


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sarebbe radunato di fronte ai maxischermi. Dico questo perché, contrariamente agli altri campionati del mondo, in particolare a quello vinto nel 1982, ma anche a quello disputato in Italia nel 1990, il nuovo fenomeno dei maxischermi produce un incremento ulteriore del pubblico televisivo, poiché di fronte ai maxischermi si concentrano decine di migliaia - a volte, come nel caso di Milano e di Roma, centinaia di migliaia - di sportivi.
A riguardo, la prima cosa che vorrei sottolineare, fuor di retorica, è la seguente: c'è stata una riscoperta del tricolore. Sono uno di quelli che, essendo nati prima del 1982, hanno vissuto anche l'emozione di quell'anno, ma rispetto a quella vittoria c'è stata una riscoperta non problematica del tricolore. Mentre, nel 1982, l'aver accettato di sventolare la bandiera italiana era quasi il frutto di una discussione, di una scelta che veniva dopo gli anni in cui il tricolore, per molti aspetti, aveva significato il simbolo di una parte politica contro un'altra, oggi l'aver accettato il tricolore come simbolo nazionale è un fatto di tutti. Non credo ci sia qualcuno che possa mettere in discussione questo, e la quantità dei tricolori sventolati ieri al Circo Massimo - lei, signor ministro, era presente - ne è un'eloquente dimostrazione.
In secondo luogo, ho visto nella mia città - la cosa mi ha anche emozionato - molti uomini di colore con la maglia azzurra e la bandiera tricolore in mano. Ormai le nostre città, soprattutto al nord, hanno un'alta percentuale di extracomunitari, soprattutto di colore. Ciò non si era verificato certamente nel 1982, dunque anche questa è una novità: uomini di colore in Italia, che non solo sono italiani e parlano la nostra lingua, addirittura con la nostra cadenza e con i nostri dialetti, ma che si identificano a tal punto con la storia del nostro paese da scendere in piazza, in occasione della vittoria più bella, con la bandiera tricolore in mano. Non so se noi fra 10, 15 o 20 anni saremo o meno - non lo ritengo assolutamente un male - nelle condizioni della Francia, che registra la presenza di un'altissima percentuale di uomini di colore nella sua nazionale. Certamente, anche l'Italia, nel giro di un numero di anni che non so precisare, potrà avere una nazionale di calcio multietnica.
La terza considerazione - penso al pluricitato Gattuso - è che questa grande prova di orgoglio e di forza della nazionale italiana si è manifestata dopo la vicenda di «calciopoli», che pareva aver messo in ginocchio la nostra nazionale nel momento della prova più difficile, quella di un campionato del mondo. Gattuso, però, sostiene che, se non ci fosse stata quella vicenda, i giocatori non avrebbero trovato la forza e la grinta per compattarsi e per dimostrare all'Italia intera di essere calciatori seri, professionisti seri, una nazionale in grado di corrispondere alle attese vere, genuine e pulite degli sportivi. Quindi, dobbiamo dire «grazie» a Moggi se abbiamo vinto i mondiali. Naturalmente è un paradosso - a mio parere anche piuttosto divertente -, ma se si sostiene che, senza «calciopoli», non avremmo vinti i mondiali, allora grazie a chi ha creato «calciopoli», che ci ha dato la possibilità di farlo...!.
Vengo, quindi, alla questione dell'amnistia. Oggi ci troviamo di fronte a un problema, nel senso che alcuni (pochi, per la verità) esponenti politici, come è successo in occasione di altre vittorie importanti della nostra nazionale - penso all'amnistia del 1968, dopo la vittoria agli europei -, propongono una misura di perdono generalizzato. Personalmente, sono contrario all'amnistia, anche se non sono mai stato contrario al perdono, perché l'amnistia è uno strumento che non ripaga i torti. Permettetemi di chiarire questo concetto: mentre nell'amnistia extrasportiva noi possiamo perdonare, amnistiare o fare indulto, nei confronti di una popolazione che è in carcere, in condizioni particolarmente disastrate, pur avendo commesso, nella maggior parte dei casi, reati non gravissimi, qui ci troviamo di fronte ad una serie di società che hanno subito dei torti. L'amnistia riporterebbe tutto al punto di partenza, perdonerebbe coloro che hanno commesso dei reati, ma


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non risarcirebbe coloro che hanno subito dei torti. E questo mi pare sbagliato.
Ci sono squadre che, alla luce di certi sistemi, hanno subito delle retrocessioni. Tali retrocessioni, in una gara non truccata, sono assolutamente normali e accettabili, ma in una gara truccata non sono accettabili, dunque queste società devono essere risarcite. Ecco perché sono contrario, in questo momento e in questo settore, all'amnistia. Penso, però, che vi debbano essere - non è mio compito entrare nel merito delle condanne richieste dall'accusa - delle sentenze eque e giuste. Al collega Bono voglio dire che noi non dobbiamo avere delle sentenze esemplari, perché queste, a volte, non rappresentano una misura di giustizia. Sono, piuttosto, per avere sentenze eque e giuste. A me è parso - parlo da lettore non solo di giornali politici, ma anche di giornali sportivi - che tali richieste fossero, in qualche misura, un poco esagerate.
Ci troviamo di fronte - faccio un paragone che potrebbe sembrare azzardato, ma a mio giudizio non lo è -, sia nel mondo del calcio, sia nel mondo del ciclismo (del quale ho seguito la vicenda doping), a delle crisi di sistema. Mi rifiuto di pensare che, tranne qualche eccezione da me ricordata (coloro che hanno subito i torti), la maggior parte delle società calcistiche non sapesse dell'esistenza di questo sistema o che pure, sapendolo, non lo avesse in qualche misura utilizzato. Né credo che, senza utilizzarlo ma conoscendone l'esistenza, non lo avesse denunciato per paura. Questo implica una qualche forma di responsabilità complessiva, con le dovute eccezioni, nel mondo del calcio.
Citavo il paragone con la vicenda doping del mondo del ciclismo. Questa vicenda assomiglia alla storia del finanziamento illecito della cosiddetta prima Repubblica. Ogni tanto si ferma qualcuno, lo si accusa di aver fatto uso di Epo, di emotrasfusioni, di avere un valore di ematocrito superiore alla soglia consentita, e lo si blocca prima del Giro d'Italia o del Tour de France. Eppure si sa benissimo - lo dicono scienziati e corridori - che l'uso di sostanze dopanti nel mondo del ciclismo è stato, nel corso di questi ultimi anni, un fatto piuttosto generalizzato. Non siamo più ai tempi della «bomba» a cui faceva riferimento Coppi nelle interviste - caffeina o, al più, simpamina -, quando diceva che non c'era nessuno che non l'avesse mai presa, si parla piuttosto di sostanze la cui assunzione è capace di alterare fortemente le prestazioni sportive. Insomma, se prendi queste sostanze - diceva un vecchio corridore, se non erro Chiappucci - hai il motore, se non le prendi non ce l'hai. Chi non le ha mai prese, dunque, difficilmente poteva essere competitivo con chi, invece, le aveva assunte. Il discorso, quindi, è più generale, è di sistema. Come si fa a concepire ancora un Tour de France senza la partecipazione dei quattro migliori corridori, tutti responsabili di essersi serviti del medico spagnolo Fuentes, che manipolava il sangue? Lo stesso Fuentes, peraltro, in un'intervista ha detto che ci sono molti corridori che stanno partecipando al Tour de France che sono stati suoi clienti, così come lo sono stati molti calciatori e molti sportivi di altre discipline.
Voglio solo far notare, su questo punto, che una giustizia parziale è peggio di un'ingiustizia totale. Se si vuole perseguire questo aspetto del doping nel ciclismo, si sappia che lo si deve perseguire a centottanta gradi, andando in profondità. Capisco che finora non siamo stati in grado di rinvenire l'Epo, o comunque sostanze dopanti, attraverso l'uso delle analisi, se non fissando dei parametri che riguardano l'ematocrito, ossia la densità del sangue. Il problema è talmente grave che investe l'insieme del mondo del ciclismo. Sport come il ciclismo o l'atletica sono molto più condizionati dal doping di quanto non lo sia, per alcuni aspetti, lo stesso calcio. Se nel calcio la tecnica, l'abilità, la tattica possono avere una funzione importante, nel ciclismo, senza fiato e senza gambe, pur con tutta la tecnica del mondo, difficilmente si può scalare l'Alpe d'Huez. Il problema del rapporto tra doping e prestazione sportiva, in un mondo come


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quello del ciclismo o dell'atletica leggera, è certamente molto più incisivo e molto più determinante.
Auguro naturalmente al ministro Melandri i migliori successi di questo nuovo dicastero. In passato, alla fine degli anni ottanta - all'epoca, quando io e il ministro ci siamo conosciuti, mi occupavo di ambiente -, avevo auspicato la nascita di un Ministero dello sport. Mi fa piacere che finalmente questo Ministero sia nato, come in Francia e in altri paesi europei. Dico questo non già perchè non creda all'autogoverno e all'autonomia dello sport, ma perché non ho mai creduto alla sua autosufficienza.
Badate, lo schema su cui si regge il governo dello sport in Italia, che è quello del CONI - su cui il Governo, in base alle leggi vigenti, ha soltanto un potere di vigilanza -, è uno schema che, a mio modesto parere, può essere una delle fonti della corruzione. Il CONI viene eletto dalle federazioni, le leghe sono elette dalle società sportive, ovvero, vi è un livello di dipendenza di chi è eletto da chi è elettore talmente forte che, poi, è difficile pensare che il primo non debba in qualche misura rappresentare gli interessi del secondo. Lo schema dell'autogoverno è importante, ma il rapporto tra eletto - presidente di una lega, di una federazione o dello stesso CONI - ed elettore è talmente forte che può determinare delle deviazioni. Non c'è dubbio su questo punto. Allora, la vigilanza va esercitata nel modo più rigoroso possibile. E che non ci sia autosufficienza è provato dalla nomina di un uomo che tutto è stato tranne che uomo di sport - Guido Rossi - come commissario della Federazione giuoco calcio. Perché non si è scelto un uomo di sport, ma un uomo che nella vita ha fatto tutt'altro? Perché, evidentemente, in questo momento si aveva il sospetto che il mondo dello sport non potesse più esercitare, soprattutto nel calcio, il suo autogoverno attraverso la sua autosufficienza. L'autosufficienza poteva essere concepita - e a mio avviso deve essere concepita - come una delle fonti delle possibili deviazioni, per i rapporti sbagliati che si instaurano sempre tra colui che è eletto e colui che è elettore. L'elezione ultima del presidente della Federazione giuoco calcio ne è una dimostrazione, come lo sono, mi pare, le intercettazioni telefoniche tra gli amici e i nemici.
Già in passato, questo discorso sull'autonomia del mondo sportivo era di fatto messo in discussione attraverso una grande ipocrisia, perché da un lato si diceva che lo sport era autonomo, ma dall'altro i presidenti delle federazioni e delle leghe erano quasi tutti parlamentari, esponenti di partiti politici (ricordo Colucci alla pesca, Fracanzani alla pallavolo, De Michelis al basket, Matarrese presidente della federazione). Questo determinava un'autonomia solo formale e, di fatto, una commistione piuttosto discutibile fra partiti, Parlamento e sport.
Riprendendo la questione dei processi - mi avvio alla conclusione -, l'errore di aver messo Borrelli in quella posizione non deriva dal fatto che Borrelli nutra un pregiudizio nei confronti di Berlusconi, come qualcuno sostiene. L'errore di scegliere Borrelli per quel compito è che, qualora fosse entrato nelle questioni del Milan e di Berlusconi, qualcuno avrebbe avuto certamente questo sospetto. Siccome si sapeva che, se fosse uscito il nome del Milan, essendo Borrelli l'istruttore, qualcuno avrebbe certamente potuto nutrire un sospetto simile, è stato un errore aver fatto ricorso a questo magistrato.
Nel 1988, sono stato relatore di una legge - l'ultima, credo - che elargiva contributi a fondo perduto all'impiantistica sportiva: mi riferisco alla legge sui mondiali, la n. 92, che stanziava soldi per gli stadi dei mondiali, ma anche in generale per l'impiantistica sportiva. Ne ha dati un po' a pioggia, se volete, ma distribuiti in due o tre annualità, per costruire anche palazzi dello sport, campi da gioco, e per contribuire a riammodernare l'impiantistica sportiva nel nostro paese.
Adesso, come ricordava prima la signora ministro, abbiamo la possibilità di ospitare i campionati europei di calcio del 2012. Tuttavia, per ospitare tale manifestazione è necessario - ci fanno sapere -


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un sostanziale riammodernamento dell'impiantistica sportiva, nella fattispecie degli stadi. Molti stadi, infatti, non hanno i requisiti richiesti dalla Federazione internazionale, in particolare per ciò che riguarda le barriere fra pubblico e campo di calcio, e anche per ciò che riguarda la sicurezza. Dei mondiali che si sono svolti in Germania mi hanno colpito due cose: la sicurezza, gestita direttamente dalle società sportive, e gli stadi pieni, senza vuoti, come accade spesso in Italia, tra opposte tifoserie. Vedevo italiani e francesi vicini, tedeschi e italiani vicini, senza nessuna paura, senza nessun pericolo. In Italia, li avrebbero ingabbiati, secondo le norme degli stadi, uno da una parte, uno dall'altra, con mille poliziotti e dieci gradini vuoti tra loro: ecco, mi sembra che possiamo in qualche misura importare questo modello.
Avrei altre cose da dire, ma non aggiungo altro, per evitare di farvi perdere molto tempo. Farò ulteriori considerazioni quando parleremo dei giovani e dello sport.

PRESIDENTE. Avverto che abbiamo ancora sei deputati iscritti a parlare, e ricordo che, prima della ripresa dei lavori d'Assemblea, la Commissione dovrà pronunciarsi in sede consultiva su un atto molto significativo. Pertanto, in quest'ultima fase inviterei i colleghi a contenere il più possibile i loro interventi.

FABIO GARAGNANI. Rivolgo gli auguri al nuovo ministro, pur non nascondendo che la sua relazione, che ho ascoltato attentamente, ha destato in me molte perplessità, anzi la contrarietà netta su alcuni punti.
Per quanto riguarda il Ministero, ritengo che sia stata del tutto inutile l'istituzione di un Ministero per le politiche giovanili e le attività sportive. Tale scelta rientra in un'impostazione politica di questo Governo, tesa a moltiplicare i Ministeri e i sottosegretariati, ma non mi soffermerò su questo punto.
È il concetto politico di fondo che presiede alla concezione dello sport che mi trova dissenziente rispetto al ministro Melandri e, più in generale, alla risicata maggioranza che governa questo paese. Innanzitutto, desidero precisare alcuni punti fermi. Per quanto riguarda le vicende che hanno caratterizzato il mondo del calcio, associandomi anch'io al gaudio generale per i mondiali, devo dire che sono d'accordo sulla necessità di una giusta riprovazione e di atteggiamenti conseguenti in merito agli episodi a dir poco di malcostume che si sono verificati.
Registro, però, che la giustizia sportiva deve comportarsi in modo adeguato e certe nomine, come quella di Borrelli, sono faziose e settarie e danno l'idea che siano state definite con l'obiettivo di penalizzare una determinata squadra o determinate persone. Questo a proposito del conflitto di interessi a cui prima ci si richiamava: c'è un conflitto di interessi evidente, a contrariis, nella maggioranza di centrosinistra, che in questo momento è al Governo. Anch'io sono contrario ad un'amnistia, ma quando si chiede di dare una valutazione obiettiva con le necessarie e conseguenti sanzioni - sono di Bologna, dunque sono interessato alle vicende del Bologna calcio, e sono sotto gli occhi di tutti la denuncia giusta dell'ex presidente Gazzoni Frascara e del presidente Cazzola - dobbiamo obiettivamente tener presente che la nomina di alcune persone, di fatto, contribuisce ad appesantire un clima di diffidenza e al calcio dà tutto, fuorché serenità e sicurezza, e lo si vedrà nelle valutazioni finali che verranno espresse. Sono sicuro - dite pure che faccio un processo alle intenzioni, ma è ciò che penso - che saranno valutazioni prettamente politiche, non improntate ad uno spirito di giustizia.
Entrando nel merito di alcune scelte delineate dal ministro, sono innanzitutto contrario ad una estensione del monte orario dell'insegnamento di educazione fisica - uso questo termine - nelle scuole, per la ragione che ho prima esposto e che da sempre sostengo: sono a favore del principio di sussidiarietà e ritengo che lo Stato debba assumere un ruolo di coordinamento e di garanzia di certi servizi


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essenziali, ma non gestirli in prima persona. In tal senso, ritengo che l'approccio dato dal ministro Moratti, nella passata legislatura, sia stato migliore, nel senso di favorire l'aggregazione, l'autonoma organizzazione di iniziative - le più varie, da parte di enti locali, privati, oratori parrocchiali - per dare la possibilità ai giovani e ai meno giovani di praticare l'attività sportiva. Non condivido, invece, la gestione in primis del livello ministeriale, di cui sentivo dire da parte di alcuni colleghi - non lo dico per polemica, ma per differenziarci, non tutti dobbiamo pensarla nello stesso modo - che parlavano addirittura di una certa compressione del ruolo degli enti locali a favore di una centralizzazione del Governo. Mi pare di aver interpretato in questo modo l'intervento del collega Martella.
Ecco, tale spirito centralizzatore, di gestione diretta dello sport, è contrario a quanto credo possa richiedere una società moderna. Del resto, fa parte del programma di questo Governo un'esasperata pubblicizzazione di tutte le principali attività che hanno un riferimento culturale e sociale. Su questo non sono assolutamente d'accordo.
Credo, pertanto, che - nei limiti ristretti del nostro bilancio - sarebbe stato molto più utile profondere,l'impegno economico e finanziario che dovrà essere esercitato nel caso di aumento del monte ore dell'insegnamento delle attività sportive nelle scuole di ogni ordine e grado, per adeguare l'impiantistica sportiva, garantendo, ad esempio, al privato sociale - prima facevo riferimento anche ai centri parrocchiali - la possibilità di avere strutture proprie da offrire alla collettività, ai comuni e agli enti locali, senza la gestione diretta delle medesime, ma affidandole ai privati, con una serie di interazioni che credo utilissime.
A mio modo di vedere, è antistorico pretendere di gestire, addirittura, l'attività sportiva a livello di scuola di Stato, ed è antistorico il mantenimento di una scuola pubblica come noi la conosciamo: forse questa è la tradizione giacobina che rimane in Italia, a differenza di tutti gli altri paesi europei, ad eccezione della Grecia. Ma questo è un discorso che farò con il ministro Fioroni.
Mi pare sia importante, nel favorire il moltiplicarsi e il crescere di una dimensione sportiva, pure già diffusissima nel nostro paese, non introdurre troppi vincoli attraverso minuziosi regolamenti, che finiscono con l'impedire il sorgere di queste iniziative. Ciò che vedo con timore è che, in nome di un presunto rispetto di regole che debbono - lo sottolineo, debbono - essere rispettate, in realtà si vincoli l'attività sportiva in modo da renderla impossibile. L'introduzione di determinati parametri, di fatto, non aiuta il moltiplicarsi delle attività sportive, che, lo ricordo, non sono solo il calcio, ma anche l'alpinismo, il nuoto e tante altre, che rendono molto ricco e articolato il complesso panorama sportivo italiano.
In tale contesto, credo che il CONI - su questo aspetto mi differenzio dal collega Del Bue - abbia svolto una funzione essenziale e possa, con alcuni adattamenti, continuare a svolgerla, perché l'attività sportiva non deve essere mediata o gestita più di tanto dal settore pubblico, dal Governo agli enti locali ai vari livelli. Il Ministero, gli enti locali, le regioni, le province e i comuni - sono stato consigliere regionale per sedici anni - hanno un compito di coordinamento, di garanzia, di tutela di tutti i cittadini nei confronti della fruizione di determinate attività, non di gestione, non di politica sportiva, che non compete a loro.
Mi pare, invece, di aver percepito dalle parole sia dei colleghi di maggioranza intervenuti, sia del ministro Melandri, una volontà di ripristinare questo primato del pubblico, che, a mio modo di vedere, è il maggior nemico dell'attività sportiva, il maggior nemico dello sport.
Il mio dissenso, insomma, è piuttosto netto rispetto all'impostazione che è stata delineata. Si dirà che questi sono processi alle intenzioni, ma mi pare che la volontà della maggioranza si sia manifestata in maniera abbastanza chiara. Sulle politiche giovanili e sul senso di un'iniziativa giovanile anche nel mondo sportivo credo che


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dobbiamo confrontarci lungamente. Credo che l'esperienza che si è avuta con l'esercizio dell'attività sportiva, nelle scuole di ogni ordine e grado, sia un'esperienza negativa che nessun ministro riuscirà a cambiare, perché l'attività sportiva non può costituire materia di insegnamento. Su questo sono molto fermo e molto deciso. Ritengo di poter dire che l'approccio del Governo Berlusconi e del ministro Moratti, nella passata legislatura, è stato quello più saggio, anche nelle impostazioni di fondo delle leggi di riforma e dei decreti attuativi. Il monte ore di relativa libertà non impedisce l'esercizio dell'attività fisica; al contrario, la favorisce, ma senza imporla come disciplina obbligatoria.
Ricordo tutte le polemiche che si sono innescate sulla questione, ma si trattava di un approccio sbagliato, che era da correggere nel senso di una maggiore duttilità ed elasticità. È chiaro che, all'interno dell'autonomia scolastica, ci siano ampi spazi per definire una politica sportiva nelle scuole, però l'errore sarebbe di definirla a priori, in un modo cogente, vincolante, che alla fine non favorisce nessuno.

VITO LI CAUSI. Ministro Melandri, noi del gruppo Popolari-Udeur la ringraziamo per essere venuta più volte, in Commissione ad illustrare le linee programmatiche del suo dicastero. A tal proposito, esprimo la mia piena condivisione circa la scelta fatta dal Presidente del Consiglio di dotare il Governo e, quindi, l'Italia di un dicastero dedicato ai giovani e allo sport. Che esso sia il primo o il secondo nella storia, francamente, non ha significato, questo non è un problema. L'importante è che lei ci sia, caro ministro Melandri, perché in questo modo ci ha potuto rappresentare, e tanto egregiamente, in Germania e in Italia, in questa coppa del mondo di calcio. Noi lo avremmo gradito anche se il titolare del dicastero fosse stato di colore politico diverso; sono comunque certo che i tifosi abbiano apprezzato molto la sua gradevolezza, ministro.
La costituzione di un tavolo nazionale dello sport di indirizzo leggero ed efficiente, come lei nella precedente audizione ci ha ampiamente illustrato, dovrà perseguire questi obiettivi: garantire una sicura concertazione tra tutti i soggetti coinvolti nel governo dello sport, in maniera tale da poter individuare la totalità degli eventuali correttivi da apportare ad un sistema di regole risalente, nel suo impianto, al 1942; valutare i problemi volti a promuovere, diffondere e facilitare la pratica sportiva, che è cosa diversa dall'educazione motoria (fra poco ne parlerò, anche per contestare le affermazioni dell'onorevole Garagnani); valutare, insomma, tutti i programmi che possano essere utili e adoperarsi per invertire la tendenza, verificatasi negli ultimi anni, verso un ridimensionamento dell'attività motoria e sportiva nella scuola pubblica. Per questo, concordo pienamente con il suo progetto della ripresa dei giochi della gioventù nelle scuole.
È superfluo affermare che l'attività fisica rappresenti uno strumento per accrescere il benessere dei cittadini, aiutando a promuovere determinati stili di vita, a prevenire concretamente tante malattie. Al contrario, non è superfluo condividere la necessità di prevedere un effettivo inserimento dell'educazione motoria nelle scuole primarie. Ad onor del vero, signor ministro, è opportuno sottolineare che si sono impiegati decenni a dibattere dell'esigenza dell'insegnamento delle scienze motorie nelle scuole elementari. Questo è un obiettivo mai raggiunto in Italia, anche se l'insegnamento delle scienze motorie nelle scuole elementari esiste in tanti paesi della Comunità europea. Ciò consentirebbe, comunque, a migliaia di diplomati ISEF, nonché di laureati in scienze motorie, di trovare un inserimento professionale, che ancora oggi per la verità non è chiaro. Intanto, si dovrebbe concretamente pensare di estendere a tre ore settimanali le attuali due ore di insegnamento delle scienze motorie previste nelle scuole. L'onorevole Garagnani, a mio avviso, ha un concetto superato dell'educazione motoria nelle scuole elementari. Noi non parliamo di attività sportiva nelle scuole; l'attività sportiva è complementare con i giochi della gioventù e con altre attività,


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ma l'educazione motoria non è solo pratica, è anche teoria. Le tre ore di insegnamento settimanali, come avviene in quasi tutti i paesi europei, ritengo che siano l'obiettivo da perseguire.
Insomma, signor ministro, sarebbe molto utile considerare quale sarà concretamente il futuro dei laureati in scienze motorie, affinché si possa legiferare sulle loro competenze.
Ritengo poi che non sia possibile omettere ciò che sta accadendo nel mondo del calcio. Da un lato, viviamo un momento magico per il risultato che la nostra nazionale ha ottenuto in Germania, laureandosi campione del mondo, dall'altro è molto negativa l'immagine che la gestione di quel mondo sta mostrando. Il mondo del calcio è uno dei beni collettivi a cui gli italiani tengono di più, e ieri ne abbiamo avuto una prova, guardando il coinvolgimento di centinaia e centinaia di migliaia di tifosi, di persone che si sono raccolte per festeggiare questo grande evento. Dunque, gli italiani tengono molto al calcio, e gli scandali recenti rappresentano un allarme grave. In tal senso, mi sia permesso brevemente di precisare che il ministro della giustizia, onorevole Mastella, leader dei Popolari-Udeur, non ha mai parlato di amnistia nel mondo del calcio, bensì di un atto di clemenza, sempre nelle forme della tutela della trasparenza e della legalità. Onorevole ministro e onorevoli colleghi, le responsabilità penali appartengono ai singoli che commettono i reati. Tali reati sono individuali, dunque si deve condannare chi ha sbagliato, ma non è giusto punire indiscriminatamente. Questo ha affermato il ministro Mastella. Comunque, dobbiamo rimetterci alla clemenza della Corte, perché non è nostro il compito di giudicare. Dopo questa gioia incontenibile che la nostra nazionale di calcio ha saputo regalare a milioni di italiani, dico che bisogna restituire onore e trasparenza al calcio italiano, perché i giovani, i meno giovani e gli anziani - siano essi spettatori volontari, amatori o professionisti del mondo dello sport - risultino protagonisti, e la dimensione sociale delle attività sportive possa aspettarsi, come per lo sport professionistico, attraverso i proventi dei diritti televisivi, un sostegno anche economico.
Infine, una legge a favore degli oratori e delle associazioni studentesche e universitarie sarebbe cosa utile e importante per le politiche giovanili.
Termino il mio intervento, signor ministro, augurandole buon lavoro e garantendole il nostro più ampio sostegno.

PRESIDENTE. Colleghi, dovendo riunirci in sede consultiva e pronunziarci su un provvedimento all'esame della I Commissione, apprezzate le circostanze e sentiti i gruppi parlamentari, sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 13, è ripresa alle 13,10.

PRESIDENTE. Riprendiamo i lavori, con il seguito degli interventi e la successiva replica del ministro.

PAOLA GOISIS. Mi associo volentieri ai colleghi nel rivolgere gli auguri al ministro Melandri, per l'attività che dovrà svolgere, unitamente ai complimenti per il risultato conseguito dalla nazionale italiana.
Richiamandomi a quanto ha detto prima il collega, relativamente a Radio Padania - ho colto nelle sue parole una nota non so se di ironia o di rimprovero -, voglio precisare che il tifo, per fortuna, non ha colore. Chiunque è libero di tifare per qualunque squadra. D'altra parte, io che non mi intendo di calcio vedo spesso i miei amici discutere animatamente proprio perché parteggiano per squadre diverse. Il fatto che qualcuno abbia tifato per la Germania o per qualche altra squadra non ritengo che sia una questione da addebitare alla Lega.
È stata citata l'affermazione di Calderoli secondo la quale quella francese è una squadra di neri e di musulmani. Ebbene, questo è un dato di fatto. «Negri» o «neri» non cambia niente, sono sempre uomini di colore. Del resto, chiamarli «di colore» non credo cambi qualcosa, sempre di colore, appunto, sono. Quando ho guardato


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le fotografie dei calciatori francesi sono rimasta effettivamente stupita nel verificare che almeno otto su undici sono di colore. È una semplice constatazione, che a qualcuno può piacere, ad altri no. Ognuno è legittimato a fare le osservazioni che ritiene. Qualcuno ha ricordato che, fra qualche anno, anche noi avremo una squadra «colorata», ma è da anni che diciamo che stiamo assistendo ad un'invasione vera e propria. E anche questo è un dato di fatto: l'Europa è soggetta a un'invasione da parte di popolazioni provenienti da altri paesi, come in passato ci sono state invasioni di altre popolazioni. Noi che crediamo in certi valori e che pensiamo che la nostra storia, le nostre tradizioni e la nostra cultura debbano essere difese, ci muoviamo in questa direzione. Nulla toglie che, se uno vuole, può essere musulmano, ma non pretenda di voler imporre la propria religione a noi, cristiani cattolici, magari costringendoci a tornare nel chiuso delle catacombe per professare la nostra religione, per non offendere i musulmani.
Entrando nel tema dello sport, ho ascoltato l'invito del collega Guadagno relativo alle squadre miste. Sono totalmente contraria a questa proposta, non tanto per questioni sessuali, di omofobia, o motivi analoghi, ma perché i maschi e le femmine hanno caratteristiche completamente diverse. Mettere in una stessa squadra uomini e donne, maschi e femmine, non credo che produrrebbe risultati equi: i maschi sarebbero certamente avvantaggiati rispetto alle femmine, che hanno meno forza, meno resistenza muscolare. Indipendentemente dalle preferenze sessuali, parlare di squadre miste mi sembra dunque eccessivo.
Non sono d'accordo, inoltre, con quello che mi pare essere un tentativo di omologazione dei vari livelli scolastici. Negli anni, sono state varate diverse riforme, necessarie ed utili. Penso, ad esempio, all'estensione a tutti gli studenti dell'obbligo della scuola media. Una scelta valida, utilissima, necessaria, ma che, purtroppo, ha ingenerato l'equivoco di pensare che, trattandosi di scuola obbligatoria, si dovessero promuovere tutti. Credo che da questo equivoco si sia lentamente originata quella situazione di disagio nelle scuole, per cui abbiamo assistito anche ad un abbassamento della qualità dei risultati scolastici.
Credo che tutti sappiano che, presso alcune università, in modo particolare nelle facoltà di architettura, ingegneria, e materie di questo genere, si organizzano corsi preliminari di lingua italiana, perché i ragazzi non sanno scrivere né parlare in italiano, non conoscono la grammatica e la sintassi.Ritengo che questo sia il risultato di certe scelte che hanno portato - volutamente o no, ne potremo discutere in altro momento - ad un livellamento non tanto verso l'alto, quanto piuttosto verso il basso, della preparazione scolastica. Per questo sono contraria alle tre ore settimanali di attività sportiva nelle scuole. Per carità, sappiamo bene che lo sport è utilissimo, per le ragioni che sono state elencate fin qui. Tuttavia, portare a tre il numero di ore di insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole - ore che spesso si traducono in un vero e proprio relax - significherebbe mettere in discussione il resto degli insegnamenti, considerando, peraltro, che già alcune ore sono state sottratte a diversi discipline. Insomma, dico sì allo sport nella scuola, ma si tratta di verificare l'organizzazione del monte ore. Vedo, almeno nelle nostre realtà di provincia, che lo sport - principalmente il calcio, ma anche il nuoto, il rugby, - è molto seguito e valorizzato da tante forme di associazionismo, di patronati, ed altre realtà. A mio avviso, si dovrebbe prevedere una maggiore valorizzazione, anche dal punto di vista delle risorse, dello sport da esercitare nelle ore extrascolastiche. Riconosciamo, dunque, il valore dello sport, ma non vogliamo, con questo, andare contro l'insegnamento scolastico, che già dal punto di vista qualitativo tende ad essere molto riduttivo.
Per quanto riguarda la posizione della Lega relativamente allo sport, voglio sottolineare che, già nel marzo 2004, con l'intento di acquisire una visione di insieme delle complesse dinamiche evolutive


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del fenomeno calcistico, che permettesse al Parlamento e al Governo di sottrarsi alla logica di interventi emergenziali e di definire linee di indirizzo condivise da tutte le parti interessate, si è svolta un'approfondita indagine conoscitiva nel mondo del calcio professionistico, al termine della quale sono state formulate numerose proposte di intervento di tipo strutturale, tese a superare lo stato di evidente disagio finanziario e conseguente inadempienza fiscale, e le annose problematiche di natura sociale e di ordine pubblico che sono all'ordine del giorno.
Le problematiche economiche delle società calcistiche avevano prodotto interventi di urgenza, sotto molti aspetti rivelatisi importanti, quali la capitalizzazione delle svalutazioni delle prestazioni sportive dei calciatori nel cosiddetto decreto spalma-debiti, disposizione in seguito debitamente abrogata dalla legge n. 168 del 2005 di conversione del decreto-legge n. 115 del 2005. La Lega si è battuta con forza per l'eliminazione di questa norma iniqua.
A partire dal primo anno di lavoro di questo Governo era subito emerso un crescente interesse istituzionale nei confronti delle problematiche legate alla cultura dello sport, di chi lo sport lo pratica e di chi lo guarda. In particolare, dopo la legge-quadro di contrasto al doping del 2000, della precedente legislatura, il Governo ha puntato a completare la disciplina del settore, ed è già stata approvata la legge contro la violenza nell'ambito delle manifestazioni sportive, per prevenire fenomeni di violenza tra tifoserie e contro le forze dell'ordine. In particolare, viene disposto il divieto di accesso, con obbligo di firma, ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive per coloro che risultino denunciati o condannati negli ultimi cinque anni per reati legati ad una serie di atteggiamenti e comportamenti finalizzati alla violenza o a destabilizzare l'ordine pubblico.
Restando nel settore calcistico, con la legge finanziaria 2005, il Governo ha autorizzato, per lo stesso anno, una spesa di 1 milione 700 mila euro a sostegno delle realtà calcistiche femminili di serie A, A2 e B, per ciascuna stagione calcistica, a condizione che, in dette società, siano iscritte almeno tre squadre giovanili e, nelle società di serie B, almeno una. La Lega, favorevole a questa disposizione, ha sempre puntato sulla valorizzazione e sull'importanza dei vivai giovanili nello sport, che considera un serbatoio di ricchezza per il futuro.
Per quanto riguarda le associazioni sportive dilettantistiche, che da sempre godono dell'attenzione della Lega, per il forte legame con il territorio, la legge n. 128 del 2004 ha specificato alcune condizioni nell'ambito del riordino del settore dettato dalla legge finanziaria 2003. In particolare, oltre alla mancanza di scopo di lucro, è stato ribadito, anche per le società sportive dilettantistiche di capitali, l'obbligo di devoluzione ai fini sportivi del patrimonio in caso di scioglimento della società e il divieto agli amministratori di ricoprire cariche sociali in altre società e associazioni nell'ambito della medesima disciplina.
Inoltre, le società dilettantistiche in possesso dei requisiti per lo statuto potranno ancora provvedere all'integrazione della denominazione sociale, con verbale dell'assemblea dei soci. Potrei continuare, ma certamente avremo altre occasioni per approfondire tutti gli argomenti.

ANTONIO RUSCONI. Innanzitutto, ritengo che tutta la Commissione debba ringraziare il ministro Melandri per l'attenzione significativa e discreta e la vicinanza alla nostra nazionale, che ha restituito - lo diciamo tutti in questi giorni - orgoglio e dignità al nostro sport più importante. Ricordo, però, che il ministro Melandri, il 27 e il 28 maggio era a Coverciano, in un clima totalmente diverso, quando occorreva coraggio per dire: «Viva l'Italia, viva la nazionale di calcio!». Penso che oggi si debba riconoscere al ministro Melandri l'appoggio che ha voluto dare alla nazionale, da parte del Governo, in un momento di grande difficoltà.
Penso inoltre che la Francia ci abbia dato una lezione che forse ci servirà in futuro: essere fieri e orgogliosi del proprio


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paese, nel cantarne l'inno, pur provenendo da culture diverse.
Da uomo di sport quale sono - il 27 e 28 maggio, quando lei visitava la nazionale, ricevevo il riconoscimento per vent'anni di impegno nello sport dilettantistico - posso dirle che siamo rassicurati dalla sua presenza e, in particolare, dalla nomina dei due sottosegretari, che desidero ringraziare. Il sottosegretario Giovanni Lolli mi ha guidato nella definizione delle nuove norme sullo sport dilettantistico - poi recepite dalla Commissione - lavorando insieme a lui nell'ambito dell' indagine sul calcio professionistico. Ringrazio, altresì, il sottosegretario Elidio De Paoli, allora senatore, perché se non passarono il finanziamento e la vergognosa copertura dello Sportass fu grazie al suo impegno. Peraltro, so che il sottosegretario De Paoli è molto stimato da persone autorevoli del mondo dilettantistico, e con piacere oggi ho l'occasione di conoscerlo di persona. Siamo rassicurati da queste due nomine, signor ministro, oltre che dalla sua presenza.
Il presidente Folena, a mio parere, ha dato subito inizio all'indagine conoscitiva sul calcio professionistico, con tempistica certa, rifiutando sia l'idea scandalistica del disegno di legge Maroni, sia la soluzione «condonistica» di un'impropria amnistia proposta dall'onorevole Paniz. Eppure, chi come me e Lolli ha lavorato nella precedente Commissione, nel 2004, può giustamente stupirsi che la gente si stupisca - permetttemi il gioco di parole - di quanto avvenuto. Si erano a quel tempo evidenziati i controlli solo formali dei bilanci di importanti squadre di serie A, che non dovevano essere ammesse nei campionati; le plusvalenze usate; la necessità del salary cap; la necessità di ammodernamento e di gestione degli stadi; la proprietà degli stessi sul modello inglese; i diritti televisivi collettivi, o almeno vicini al modello inglese; l'incompatibilità della figura del presidente della Lega calcio con l'amministratore delegato del Milan. Quest'ultimo punto spiacerà al collega Garagnani, ma lo sostenemmo in molti e trasversalmente. Vorrei anche ricordare che il dottor Borrelli non è stato nominato dal Governo, dal ministro, o dal Parlamento, ma dal mondo del calcio, autonomamente (vorrei chiarirlo dopo taluni interventi apparsi, a mio parere, fuorvianti).
Il dato vergognoso dell'enorme debito IRPEF verso lo Stato, da parte delle società di calcio, è dovuto allo status di dipendenti dei calciatori professionisti e al dato che l'IRPEF devono pagarla le società. Tutto questo - il ministro Melandri ne è a conoscenza, ma qualcuno oggi lo ha dimenticato - è evidenziato nel documento conclusivo adottato dalla Commissione cultura, al termine dell'indagine del 2004, approvato all'unanimità. Nulla è stato fatto, allora, da parte del governo del calcio, nonostante gli impegni presi da Carraro e Galliani, nulla è stato fatto dal Governo e dalla maggioranza di allora.
Nel documento della Commissione si parla, a pagina 21, di un «sistema di controlli apparentemente tollerante» - questo spiega tutto sui bilanci delle società - e dell'«iscrizione a bilancio delle plusvalenze». A pagina 25, si chiarisce in che cosa consista lo scandalo: dopo che il presidente della Lega calcio, il dottor Galliani, era venuto in Commissione a dire che avrebbe tutelato sui diritti anche le società minori, pochi giorni dopo, quando ancora era in corso l'indagine, Milan, Inter e Juventus vendevano i propri diritti singolarmente a Sky Tv fino al 2007, firmando un contratto con Mediaset per la vendita dei diritti delle partite interne delle tre squadre.
Negli indirizzi conclusivi, alle pagine 39 e 40, si legge: «I principali fronti di intervento - significa che dovevano intervenire il Governo e il governo del calcio - individuati dalla Commissione sono tre: a) una revisione del sistema di mutualità tra le società professionistiche [...], il potenziamento del sistema dei controlli sull'andamento finanziario delle società [...], la promozione di nuove modalità di utilizzo e valorizzazione degli stadi [...]». Sul sistema di mutualità si afferma che «da questo punto di vista la proposta più diffusamente sostenuta è quella di un ritorno alla cessione collettiva dei diritti


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televisivi criptati. La Commissione valuta positivamente questo obiettivo». Quindi, apprezzo che il ministro Melandri, in accordo con il ministro Gentiloni Silveri, intenda proporre al più presto una revisione dei diritti televisivi. Sarebbe importante che la nuova legge prevedesse la destinazione allo sport dilettantistico del 5 per cento dei proventi dei diritti televisivi. Il 99 per cento di chi opera nel mondo dello sport dilettantistico, infatti, svolge un vero e proprio servizio sociale, aiutando a far crescere tanti giovani che non diventeranno mai campioni. Nel 1995, prima della flessione dei concorsi pronostici, un oratorio che faceva giocare quattrocento ragazzi aveva due milioni di trasferimenti dal CONI e dalla FIGC, mentre oggi non riceve nulla. Per quanto riguarda il sostegno alle attività dilettantistche, il sottosegretario Lolli sa bene l'importanza dell'articolo 90 della legge n. 289 del 2002, che derivava da un emendamento del centrosinistra, ma fu ridimensionato dall'allora Governo.
Dobbiamo ringraziare questa attività educativa e sociale: dobbiamo ringraziare i dirigenti, gli atleti, ma anche gli arbitri del mondo dilettantistico, che arbitrano per 30 euro ogni sabato e domenica.
Quanto al problema delle visite mediche, signor ministro, la competenza è demandata alle regioni. Ad esempio, nella mia regione, la Lombardia, fino a diciotto anni le visite sono gratuite, dopodiché sono a pagamento. È qualcosa, ma non è tutto. In molte regioni le visite sono a pagamento anche fino a diciotto anni. Non ci sono più visite nelle scuole, non c'è più la visita militare. La vista medica per motivi sportivi è l'unico screening serio per i ragazzi.
Vorrei ricordare che abbiamo 80 mila società della federazione, 25 mila enti di promozione sportiva, 800 mila soggetti che io chiamo «volontari», anziché dirigenti del mondo dilettantistico, 12 milioni di tesserati. Il problema è come valorizzare questo mondo, come lavorare organicamente ad un disegno di legge trasversale sullo sport dilettantistico - penso che si possa lavorare bene con il suo Ministero - e come, invece, evitare vergogne come quella che ci era stata proposta lo scorso anno dallo Sportass: si pretendeva di sanare il buco dell'assicurazione obbligando - altro che liberismo! - tutti gli sportivi dilettanti a un'assicurazione ad un costo eccessivo e fuori mercato.
Anche in qualità di vicepresidente del gruppo interparlamentare «Amici della montagna», voglio esprimere una considerazione. Il ruolo dell'alpinismo italiano è importante. So che alcune deleghe sono in capo alla Presidenza del Consiglio, altre in capo alla collega Lanzillotta. Penso però - e credo di poter parlare anche a nome del collega Quartiani, presidente di questa associazione -, sia importante dare occasione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica di valorizzare il ruolo della RAI come televisione pubblica. Ritengo altresì importante, in questi giorni e in questi mesi, proporre esempi positivi per i giovani, come testimoni.
La lotta al doping non è facile. Il sentiero è sempre più stretto. È chiaro che dobbiamo capire l'importanza dello sport professionistico e che sul doping devono esserci leggi più chiare. Tre anni fa presentai un'interrogazione, perché per lo stesso prodotto di banco, in quegli stessi giorni, uno dei nostri atleti più forti nell'atletica leggera, Andrea Longo, fu squalificato per due anni, mentre due calciatori famosi, Stam e Guardiola, furono squalificati rispettivamente per quattro e cinque mesi. Non ci può essere, per il doping, una giustizia di serie A ed una giustizia di serie B, a seconda dell'ingaggio dell'atleta.
Sono preoccupato, sottosegretario Lolli, perché il decreto ministeriale del 15 marzo 2005, il decreto Maroni sugli obblighi all'ENPALS, ha previsto costi insostenibili per i piccoli centri sportivi e per le palestre dei piccoli comuni, che obbligheranno alla chiusura queste strutture. Siccome il termine è il 17 luglio prossimo, pur sapendo che alcune competenze riguardano anche il fisco, invito i sottosegretari presenti e il ministro Melandri a dare una rassicurazione in queste ore, per


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evitare che nei piccoli comuni chiudano tante strutture che hanno anche un valore sociale.
Infine, una breve considerazione sullo sport per i disabili. La RAI ha svolto un grande servizio - di questo la ringraziamo - trasmettendo le paralimpiadi di Torino del 2006. Tuttavia, siccome per questi ragazzi si tratta di passare dal «vivere», ovvero accettare la propria condizione magari di infelicità, all'«esistere», ovvero sentirsi realizzati attraverso lo sport, è giusto che la RAI, che è un servizio pubblico, dia più spazio allo sport per disabili.
Concludo con un altro ringraziamento. Lei, ministro Melandri, è stata brava e fortunata a credere nella squadra nazionale di calcio, da 45 giorni fa fino all'altro giorno. Con lei - e con i suoi due sottosegretari - abbiamo una certezza: a differenza dei suoi predecessori, Urbani e Buttiglione, che delegavano il pur bravo sottosegretario Pescante, ma non capivano e non parlavano di sport, lei ha dimostrato, anche nei momenti più difficili, di saper essere vicina allo sport italiano. Di questo le sono grato, come persona che da tanti anni si impegna nello sport italiano.

FULVIO TESSITORE. Il mio sarà un intervento molto breve, che apro con gli auguri al ministro. Faccio una rapida premessa: non considero negativo il fatto che più Commissioni si interessino di problemi plurifattoriali, come quelli facenti capo al dicastero del ministro Melandri. Ritengo che nessuna Commissione possa ritenersi una sorta di reincarnazione di Leonardo da Vinci o di Pico della Mirandola, ma che più Commissioni debbano affrontare i vari profili di questi problemi plurifattoriali, e toccherà poi al ministro Melandri, che non a caso è un politico, il compito del coordinamento tra i diversi elementi.
Questa premessa mi è utile per richiamare l'attenzione del ministro sui CUS, i centri sportivi universitari. Si tratta di strutture molto importanti, attraverso le quali passa lo sport universitario, e riguardano studenti e docenti. I CUS sono uno dei luoghi importanti d'integrazione tra studenti ed anche tra studenti e docenti. Come lei sa, il Ministero dell'università attribuisce all'università di competenza il finanziamento per l'edilizia sportiva, che è prevalentemente quella relativa ai CUS. L'università di competenza si assume tutte le responsabilità, e lo so bene per i lunghi anni del mio rettorato. Tuttavia, non sono mai riuscito a stabilire come venga eletto il presidente del CUS, chi lo elegga, quali siano i periodi di vigenza delle presidenze. Aggiungo, inoltre, un'ulteriore considerazione: l'università che si assume queste rilevanti responsabilità non ha nessuna competenza effettiva di gestione, persino per quanto concerne le tasse di ammissione. Il rettore nomina un proprio rappresentante, e costui presiede un consiglio che ha, nella migliore delle ipotesi, un compito di «consolazione», - ammesso che ne abbia bisogno - del presidente del CUS, il quale, però, fa quello che ritiene.
In proposito, credo sia importante, nel momento in cui si istituisce un Ministero per le politiche giovanili e le attività sportive, un coordinamento molto forte con il Ministero dell'università, anche al fine di dare chiarezza a questo problema rilevante.

GIUSEPPE GIULIETTI. Innanzitutto, mi appello al ministro Melandri, che ha avuto finora il senso della misura, affinchè nelle prossime ore ciascuno di noi lasci perdere la squadra di provenienza e una serie di aggettivi, smettendo così di fare pressioni sulla giustizia sportiva, che non ha bisogno dei nostri consigli.
Credo di essere tra i pochi tifosi del Venezia in Italia, una delle squadre cacciate indegnamente in C2. Se dovessi ragionare da tifoso, dovrei chiedere che tutti vengano cacciati dalla serie A. Ho sentito persino parlare di islamici, comunisti, negri. Ho l'impressione che l'antidoping andrebbe fatto ad alcuni di noi. Mi auguro che l'ex ministro Calderoli scherzasse, altrimenti è bene faccia lui l'antidoping: la politica è una cosa un poco più seria!
Il primo appello, dunque, è che si faccia una convenzione con il CONI, in


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modo tale che ci sia un controllo delle condizioni di salute di tutti noi. Il secondo controllo andrebbe fatto sugli aggettivi che vengono utilizzati. Il professor Ruperto non è un passante, è una persona seria alla quale non va chiesto né mitezza, né rigore, né altro, se non il rispetto delle regole della giustizia sportiva.
Non dobbiamo dimenticare la quantità di immondizia che si è registrata in questi mesi e il messaggio etico devastante inviato a numerosi ragazzini: questioni che mi sembrano più appassionanti delle sorti di un general manager. Dirò di più: ho più simpatia per il giudice Borrelli che per i concussori - che resti agli atti - altrimenti, alla fine, ci convinceremo che in questo paese spioni e spiati, concussori e concussi siano diventati uguali. Non è così, ed è un po' indegno che lo si pensi. La pregherei, signor ministro, di insistere su questo elemento. Non abbiamo bisogno né di cortei, né di magliette, in nessun luogo. Decidano nel modo migliore. Chi vuole, eventualmente, farà ricorso.
La seconda questione riguarda i diritti sportivi. Mi è capitato di leggere a verbale alcune affermazioni infondate rispetto alla cosiddetta legge D'Alema. Tignoso come sono, vorrei ricordarle a tutti e porre una domanda. La cosiddetta legge D'Alema sui diritti sportivi è nata in un contesto tecnico e tecnologico, presidente, assai diverso, in cui si rischiava il monopolio dei diritti. Era una fase di grande contrasto tra gruppi internazionali e si correva il rischio che un solo gruppo, su una sola piattaforma, acquisisse l'intero pacchetto dei diritti. Capisco che l'Italia abbia una grande abbondanza di liberali «all'amatriciana», ma la preoccupazione era esattamente quella di evitare questo rischio, in un paese sconquassato, nel settore televisivo, dal conflitto di interessi e in un paese nel quale alcuni hanno fatto affari anche sui diritti sportivi. Vi chiederei, dunque, di valutare con grande attenzione anche le virgole di quel provvedimento sui diritti sportivi. Vi ricordo che è stato incentivato l'acquisto dei decoder, in questa Repubblica, per accelerare un passaggio al digitale che tutto aveva a cuore meno che lo sviluppo della tecnologia digitale. Voglio evidenziarlo, altrimenti sembra che non sia successo nulla.
Le ricordo, signor ministro, che l'originario decreto nacque non solo dalla volontà del Governo - lo seguì con molta attenzione il sottosegretario Lolli - ma anche da un suggerimento fornito dall'allora presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, professor Tesauro, tra gli studiosi più seri del mercato in Italia, che richiamò alla necessità di operare proprio per impedire ogni distorsione di mercato. Poco fa, al piano inferiore, anche il nuovo presidente dell'Autorità, professor Catricalà, è tornato con la sua relazione su questo tema.
Innanzitutto, è necessario - so che lo state facendo - un coinvolgimento pieno delle Autorità, verificando che esse dispongano di tutti gli strumenti dal punto di vista della vigilanza, del monitoraggio, del potere ispettivo e della sanzione in tempo reale per intervenire di fronte alla più piccola distorsione del mercato. Il problema non è soltanto la vendita collettiva: occorre, infatti, impedire che il ritorno a questo tipo di vendita possa nuovamente determinare un accordo interno tra società, magari ai danni della mutualità o delle società meno forti, tale da configurare nel futuro il rischio - mi permetto di dirlo oggi perché siamo in tempo per prevenirlo - che ci sia un'alterazione interna, un accordo di cartello. Diventa, dunque, fondamentale il parere delle Autorità, ma è anche necessario chiedere alle stesse se, in caso di distorsione, siano pronte ad usare il cartellino rosso. Insomma, la tutela del consumatore è garantita dalle norme attuali? Le Autorità sono in grado di intervenire? In tal senso, potrebbe essere utile - probabilmente lei, presidente Folena, l'ha già predisposto - acquisire il parere delle associazioni dei consumatori e verificare se, annualmente, sia possibile, da parte del Ministero, effettuare una verifica presso le società sulla vendita dei diritti, ma anche presso l'utente finale. Esiste un problema di decoder, di tecnologia e di costi. Occorre


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verificare che le nuove forme di accordo portino un beneficio all'utente finale, che è il cittadino consumatore.
Ministro Melandri, in questi giorni è in discussione il contratto di servizio, e come sa il ministro Gentiloni tornerà in audizione domani sera. Nel contratto di servizio esistono molti generi, definiti e fissati circa venti anni fa per la televisione. Se ricordo bene, però, non c'è una voce specifica per lo sport, come se lo sport fosse acquisizione di diritti e grandi eventi. Siccome conosco la sensibilità - non solo vostra ma anche dei colleghi dei diversi schieramenti - per altri sport che non sono il calcio, come pure per gli sport minori, ad esempio per la programmazione di RAISAT e per i canali digitali, credo potrebbe essere di grande utilità, nella definizione del contratto di servizio, un'attenzione particolare agli accordi con la concessionaria non rispetto ai grandi eventi, ma rispetto anche alla pratica quotidiana, all'uso dell'archivio, alla promozione di immagini positive nello sport. Penso a quella straordinaria trasmissione che è Sfide che, usando l'archivio e raccontando tante storie, forse ha fatto molto più di tanti nostri interventi nella promozione di immagini positive e di memoria della cultura sportiva italiana.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al ministro Melandri per la sua replica, vorrei svolgere poche, brevissime considerazioni, senza l'intento di intervenire nel merito di una discussione cui hanno preso parte tutte le parti politiche, anche con accenti molto diversi su alcuni punti, ma devo dire con un certo grado di ricerca comune. È stata una discussione molto ricca, interessante, stimolante, per cui voglio ringraziare le colleghe e i colleghi della Commissione.
Non dirò quindi nulla sul programma che il ministro Melandri ha qui presentato; mi permetto solo di raccogliere due spunti. Il primo proviene dal collega Martella e ha a che fare con qualcosa che ho provato a dire all'inizio della seduta di oggi, citando le parole di Rino Gattuso a proposito degli impianti, della possibilità di realizzare il sogno - un po' come quello di fare gol nella finale di coppa del mondo (oggi, sono state fatte anche citazioni musicali sul tema) - di avere delle strutture sportive adeguate. Su questo, soprattutto nel Mezzogiorno, abbiamo ancora una strada lunghissima da percorrere.
Da come riusciremo ad operare nel corso dei prossimi anni sul terreno del credito sportivo e del rapporto con i privati, pur nelle grandi difficoltà finanziarie del paese, di cui il Parlamento è consapevole, dipenderà anche quel salto di qualità necessario per garantire maggiori opportunità di fare sport, moto, ma anche attività agonistica per un numero crescente di ragazze e di ragazzi, specie in un paese in cui il calcio, oggi in particolare, e lo sport, in generale, hanno una funzione così significativa.
La seconda considerazione riguarda un tema toccato dall'onorevole Rusconi: egli ha ricordato la tempestività - cui aggiungo l'unanimità dei pareri, di cui ancora ringrazio tutti i gruppi di maggioranza e opposizione - con cui è stata deliberata l'indagine conoscitiva. Non spetta a me esprimere un giudizio di merito sulle proposte di inchiesta parlamentare con i poteri dell'autorità giudiziaria. Personalmente, ero molto scettico e nutrivo grandi riserve sulla sua opportunità,. semplicemente perché la ponevo di fronte all'atto di rifondazione del calcio che ha compiuto il CONI, chiamando il professor Guido Rossi come commissario, e a tutte le scelte coraggiose - di cui l'onorevole Del Bue ha parlato prima - fatte da un uomo che al mondo del calcio è completamente estraneo. Si sono poste così le condizioni per un intervento capace di non guardare in faccia ad alcuna squadra di calcio, ad alcun interesse, alcuna incrostazione, alcun privilegio. Dobbiamo, tuttavia, avere la consapevolezza che la questione non è finita e non finirà neanche col processo sportivo di primo e secondo grado in corso in questi giorni. La rifondazione del calcio, per ciò che riguarda l'autonomia


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delle organizzazioni sportive e della Federazione italiana giuoco calcio, è solo agli inizi.
L'onorevole Rusconi, però, ha giustamente ricordato le conclusioni della precedente indagine conoscitiva, cui collaborarono l'allora deputato Lolli, il deputato Rusconi stesso, l'allora sottosegretario Pescante e tante altre colleghe e colleghi, come pure lo stesso presidente della Commissione di allora, Ferdinando Adornato, che ebbe un ruolo assolutamente decisivo e importante. Conclusioni tuttavia - e questa non deve essere una ragione di polemica con nessuno - che, obiettivamente, sono rimaste lettera morta nell'anno e mezzo successivo rispetto al luglio 2004. Di questo, comunque, parleremo nell'ambito della nostra indagine conoscitiva, che, come sapete, comincerà domani. Essa, come il ministro Melandri sa, affronterà diverse questioni cruciali: dai diritti televisivi, ai problemi di mutualismo e solidarismo connessi all'esercizio dei diritti collettivi; dal caso dei procuratori - penso ai problemi sollevati poc'anzi dal deputato Giulietti, come anche a più riprese dal garante Catricalà - al finanziamento delle società e alla loro quotazione in borsa. Su quest'ultimo argomento alcuni colleghi hanno voluto segnalare un intervento molto duro e severo che il presidente della Consob ha fatto nei giorni scorsi, anche con riferimento agli interessi dei risparmiatori, rispetto alla quotazione in borsa delle società, di cui ha parlato anche l'onorevole Bono.
Sono comunque problemi molto complessi, perché il delisting non è una passeggiata, ma comporta una riflessione su tutti questi aspetti articolati, che dobbiamo approfondire e non improvvisare. D'altro canto, a ciò serve un'indagine conoscitiva.
Tuttavia, è assolutamente indispensabile - ed io sento il bisogno di dirlo, condividendo le opinioni del deputato Del Bue e, nell'ultimo intervento, del collega Giulietti -, che, al di là delle opinioni che ciascuno può avere sulla vicenda consumatasi nel mondo del calcio, sono indebite le pressioni da parte di esponenti politici, così come da parte del Parlamento e del Governo. Insomma, sono indebite le pressione operate a qualsiasi livello, che avvengono prima che sia pronunciata una sentenza di primo grado. Si è parlato in questa sede di Borrelli, nominato per ricostruire l'ufficio indagini da parte del commissario Guido Rossi, ma egli non è neanche minimamente comparso nell'ambito del procedimento in corso. L'accusa è stata sostenuta dal pubblico ministero, Stefano Palazzi. Ora la corte è riunita in camera di consiglio e sta per prendere le sue decisioni, come leggiamo dai giornali.
Ebbene, se quello che spesso si invoca nei confronti della magistratura penale o civile da parte del mondo politico è un atteggiamento di rispetto e di riserbo, credo che lo si debba tanto più in una vicenda come questa, carica di tantissimi significati. Ciascuno, in cuor suo, soprattutto chi è autenticamente garantista e chi ha la consapevolezza dei problemi, può anche auspicare che ci sia equità, giustezza, ma anche mitezza - nell'accezione usata da Piero Calamandrei, quando parlava della giustizia - e si tenga conto della quantità enorme di emozioni che ruotano attorno al mondo del calcio. Tuttavia, la giustizia sportiva ha un suo ordinamento autonomo, separato. Non sono in gioco valori di libertà personale. È una giustizia che, quindi, per sua natura, ha anche bisogno di procedure celeri, senza le quali non funziona lo sport.
Ed il primo giudice sportivo è l'arbitro in campo. Che poi questi, come ha dimostrato il bravissimo Elizondo, debba avere l'intelligenza, non dico di introdurre di fatto la moviola in campo, ma di avvertire qualcosa che era sfuggito alla sua e all'altrui attenzione, dimostra proprio che è possibile contemperare la rapidità della decisione con la documentazione probante. Vorrei che questo piccolo esempio, regalatoci dalla vicenda calcistica di queste ultime ore, ci aiutasse a capire che la giustizia sportiva necessita, a mio modo di vedere, di una funzionalità che va messa fortemente al riparo dai tentativi di ribaltare


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sulla stessa regole, procedure e tempi propri della giustizia ordinaria, civile e penale.
Questo è quanto volevo dire. Lascio ora la parola al ministro Melandri per la replica sulle materie trattate.

GIOVANNA MELANDRI, Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive. Ringrazio il presidente Folena, così come ringrazio le deputate e i deputati che, intervenendo in Commissione, hanno arricchito il confronto e dato un contributo importante e prezioso: me ne avvarrò senz'altro nella definizione degli interventi del nuovo Ministero per le politiche giovanili e le attività sportive, sulla cui istituzione non voglio assolutamente polemizzare. Ci sono state esperienze diverse: c'è stata quella di un pezzo dell'amministrazione centrale destinato alle politiche giovanili; ci sono state diverse configurazioni delle competenze legate allo sport. È la prima volta, però, che in Italia esiste un Ministero che si occupa congiuntamente dei due versanti, concependoli come integrati in questa duplice chiave di coordinamento e di indirizzo.
Anch'io voglio iniziare questa replica facendo qualche brevissima riflessione sulle ore e le giornate che abbiamo alle spalle. Innanzitutto, vorrei ricollegarmi ai molti interventi che hanno fatto riferimento al valore e al significato straordinario della grande partecipazione emotiva, popolare che ha accolto il successo della nazionale. In questo fenomeno, credo ci sia qualcosa di nuovo e di imponente. Come è stato ricordato dall'onorevole Del Bue, ma anche da altri di voi, c'è qualcosa che suscita una domanda di identità e di unità nazionale; una domanda di condivisione che lega tutti i cittadini intorno a questo abbraccio. Ritengo che la partecipazione di tutti gli italiani al successo degli azzurri sia stata commovente, come lo è stata quella di tanti cittadini immigrati, che qualcuno di voi ha citato, cosa che voglio fare anch'io. Ieri e l'altro ieri ne abbiamo visti tanti accorrere nelle strade e nelle piazze di tutte le città italiane. Purtroppo, devo ricordare - mi sembra doveroso farlo - che dietro questa grande festa, questo grande fenomeno identitario, questa grande domanda di unità attorno al tricolore - che, come qualcuno ha detto giustamente, è stato esposto con fierezza, con orgoglio, ma anche con semplicità -, si sono registrati episodi che devono essere condannati. Non so se ne siete stati informati - se non lo siete vi informerò io utilizzando questa sede istituzionale formale -, del fatto che, nel ghetto ebraico di Roma, dopo i festeggiamenti di ieri, sono apparse svastiche e altri orrendi simboli. Credo che questa provocazione sia intollerabile e che tale oltraggio alla comunità ebraica di Roma vada condannato in tutte le sedi. Lo faccio anche qui oggi. Credo che uno dei doveri istituzionali del nuovo Ministero per le politiche giovanili e le attività sportive sia quello di riverberare un po' della gloria e della forza che questa vittoria straordinaria ha consegnato all'Italia sulla realtà dei movimenti di base dello sport italiano.
In effetti, se oggi potessi decidere come sintetizzare la mia replica in Commissione, direi così: Governo e Parlamento, tutti insieme, in questa ampia opera di riforma e di iniziativa politica e legislativa che dovrà essere assunta nei prossimi mesi e nei prossimi anni, cerchiamo di far riverberare una parte di questa forza, di questa dimostrazione di capacità, di professionalità, di autorevolezza sulla dimensione sociale diffusa dello sport. È qualcosa che ci chiedono persino i giocatori della nazionale. È stato ricordato che alcuni di loro si sono espressi in maniera esplicita da questo punto di vista. Ma io sono convinta che sia qualcosa che ci chiede tutto il paese.
Mi fa piacere, in una sede istituzionale come questa, ricordare quanto sia stato doveroso da parte del Governo - e ringrazio coloro che l'hanno voluto menzionare - separare e distinguere fin da subito, nel pieno rispetto dell'autonomia dello sport, il cammino della nazionale nell'avventura tedesca che ci ha portato a questo straordinario successo, dal cammino dell'«altra squadra», quella capitanata dal commissario Guido Rossi, cui è


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affidato il compito di sottrarre opacità e restituire trasparenza al mondo del calcio. Come è stato ricordato in alcuni interventi, scelsi di andare a Coverciano in un giorno in cui sulla nazionale pioveva non solo acqua. Ritenni, infatti, doveroso e importante affermare questo principio: il Governo italiano era accanto agli azzurri in questo cammino sportivo. Peraltro, già allora mi colpirono la compostezza e la serietà di un gruppo che, giustamente, comprese, anche grazie alla serenità che ha saputo trasmettergli l'allenatore, che il suo ruolo era quello di apprestarsi ad affrontare la sfida sul campo. Ma ero anche consapevole che l'altra partita, quella dedicata a ridare trasparenza al mondo del calcio, era affidata ad un'altra squadra, capitanata, appunto, da un altro commissario tecnico, Guido Rossi: per entrambi il Governo tifava.
Oggi, all'indomani di questa grandissima vittoria, mi associo anch'io a quanti affermano che ogni collegamento tra il successo della nazionale e il cammino della giustizia sportiva è improprio. Sono d'accordo con quanti, dall'opposizione e dalla maggioranza, hanno fatto riferimento all'esigenza di lasciare al suo corso un procedimento della giustizia, che peraltro è una giustizia autonoma. È un procedimento in corso, dunque è bene rispettarne lo svolgimento. Credo che al mondo della politica e delle istituzioni, oggi, si debba chiedere questo.
Avevo consegnato il testo scritto della parte della mia relazione relativa alle politiche per lo sport, soprattutto nella sua dimensione sociale, e alle linee di indirizzo e di azione del Governo al netto della bufera del calcio. Mi dicono che il testo è stato pubblicato integralmente, in allegato al resoconto stenografico della seduta del 6 luglio , ma io vorrei ugualmente dedicare questa mia replica in particolare a questo aspetto. Come ho detto anche nella relazione introduttiva, il calcio è la locomotiva dello sport italiano, ed è una locomotiva che ha deragliato, dunque va rimessa sui suoi binari, anche per dare forza al movimento sportivo nel suo insieme.
È per questo, tra l'altro, che nel provvedimento allo studio del Governo - posso anticipare che sarà presentato in Consiglio dei ministri nelle prossime settimane - in materia di disciplina dei diritti televisivi è rivolta un'attenzione particolare a questo aspetto. I diritti televisivi, in particolare, riguardano il valore economico, nel suo riflesso sul mondo della comunicazione e del calcio. Comunque, in quel provvedimento ci sarà l'attenzione necessaria ad un aggiornamento del concetto della mutualità nei tempi della globalizzazione, della spettacolarizzazione, ma anche di quell'ampia dimensione sociale dello sport diffuso. Anche attraverso la riforma della legislazione sui diritti televisivi, intendiamo intervenire su questo terreno.
A mio avviso, l'istituzione del tavolo nazionale dello sport rappresenta un'occasione preziosa per ripensare, oltre al governo dello sport, l'attuale modello istituzionale, organizzativo e finanziario dello sport italiano. Come ho scritto nella relazione, è un modello che è il risultato di una giustapposizione e di una sedimentazione di un impianto istituzionale risalente al 1942, su cui si è intervenuti con la modifica del Titolo V della Costituzione (il quale, peraltro - sollecito una riflessione al riguardo - affida agli enti territoriali competenze importanti in materia di promozione dello sport). Stiamo parlando di uno schema e di un impianto organizzativo e finanziario che non tengono conto di quella straordinaria ricchezza che oggi si identifica nella vastità dell'esperienza associativa degli enti di promozione sportiva, di quella capillare presenza sul territorio di associazioni che, anche a titolo gratuito e volontario, rendono possibile la pratica sportiva diffusa. Uno schema che non tiene conto, e qui non posso non riferirmi ad alcuni interventi che ho ascoltato, di una relazione sufficientemente stretta tra il fenomeno della pratica sportiva diffusa e il mondo della scuola e dell'università. Credo che il tavolo servirà finalmente a «fare il tagliando» e a ripensare complessivamente il governo dello sport.
Sono state sollevate molte questioni specifiche e di dettaglio, su alcune delle


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quali posso già dare delle risposte. Il problema dell'ENPALS è un problema importante, all'attenzione del Governo e del Ministero proprio in queste ore. Dobbiamo assolutamente saper distinguere con nettezza tra quella imponente e fondamentale realtà associativa, che è un architrave del modello di governo dello sport italiano, e ciò che dentro quella maglia si è inserito, anche indebitamente. Penso, in particolare, a grandi attività commerciali che si sono trasformate e autorinominate. Al riguardo, stiamo appositamente studiando una soluzione, insieme al Ministero del lavoro. Proprio in queste ore, è al lavoro, su questo tema, un gruppo interministeriale. Sarebbe totalmente incoerente con l'obiettivo che ho testè ribadito, quello del rafforzamento della dimensione sociale dello sport, non riuscire a distinguere questi due ambiti.
Quanto alle riflessioni dell'onorevole Bono, sono lietissima di sapere - e d'altra parte non è una novità - che il gruppo di Alleanza Nazionale ha condiviso e condivide alcune nostre posizioni. Anzi, è stato persino grazie all'iniziativa politica di questo gruppo parlamentare - devo dire che, nella scorsa legislatura, anche altri gruppi parlamentari depositarono analoghi disegni di legge - che c'è stato un ripensamento critico evolutivo rispetto al tema dell'attuale legislazione in materia di diritti televisivi. Ricordo, ancora una volta, che, nella scorsa legislatura, quando il centrodestra era al Governo, c'è stato un cambio di orientamento molto importante, un cambio di pronunciamento dell'Autorità antitrust europea e italiana, in materia di formazione dei cartelli e di abuso delle posizioni dominanti in questa materia. Noi partiamo da questo orientamento diverso e, naturalmente, dal pregevole lavoro della Commissione cultura e dalle conclusioni dell'indagine conoscitiva sul calcio condotta nella scorsa legislatura. Onorevole Bono, il pregevole lavoro della Commissione cultura, terminato con la stesura di un documento conclusivo unanimemente approvato, è rimasto - stiamo parlando di quasi due anni di attività parlamentare - inascoltato dal Governo e, naturalmente, dalle organizzazioni sportive. Ricordo, inoltre, che, nella scorsa legislatura, un altro gruppo parlamentare dell'allora maggioranza - non il suo, lo riconosco - impedì di calendarizzare un provvedimento che avrebbe potuto già portarci ad una revisione della materia dei diritti sportivi. Dico questo non mossa da un desiderio polemico, anche perché intendo, come ho già detto in avvio di audizione, avvalermi del concorso di una grande convergenza tra maggioranza e opposizione su tale terreno, convergenza che anche in questa Commissione abbiamo registrato.
Un altro tema delicatissimo, peraltro affrontato recentemente dal presidente Cardia, è quello della situazione di fragilità patrimoniale delle società professionistiche di calcio, da un lato, e dall'altro della legislazione, anch'essa adottata in una stagione molto diversa. Ricordo che fu più volte invocata dall'autorità sportiva, all'epoca, quando, peraltro, il dottor Pescante ricopriva un ruolo molto importante nel mondo dello sport. Era una delle risposte che l'Italia diede alla sentenza Bosman, come ricorderete.
È passata un'intera legislatura in cui il Governo non ha messo mano alle riforme secondo noi necessarie (Commenti del deputato Bono). Colleghi, non sto negando nulla, sto solo dicendo che si trattò di una domanda che venne dal mondo dello sport, dal CONI di Pescante e che, peraltro, voi approvaste insieme a noi. Non ho problemi a fare autocritica, ma permettetemi di dire che sono passati cinque anni, c'è stata un'intera legislatura per calendarizzare un intervento organico di riforma del sistema calcistico e del sistema dello sport in Italia. Questo non è stato fatto, perciò mi auguro che, anche con il concorso dell'opposizione, lo si faccia in questa legislatura.
Un segno per noi straordinariamente importante dell'azione del Governo in materia di politica sportiva riguarda, come ho già detto, il collegamento molto più stretto che deve essere costruito con il mondo della scuola, della formazione e dell'università. Credo che l'Italia debba recuperare


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un ritardo strategico, che comincia dai bambini e da quella impressionante lacuna che tuttora permane nel sistema scolastico primario. È chiaro - permettetemi di aprire e chiudere una parentesi - che le materie di competenza fra il Ministero per le politiche giovanili e lo sport e questa Commissione sono molte di più: ci sono quelle che riguardano la scuola, l'istruzione, la formazione, quelle che riguardano la comunicazione, l'accesso alla cultura, la creatività giovanile. Esprimo la mia totale disponibilità a riferire in Commissione anche su questo versante dell'azione del Governo sulle politiche giovanili. Parlavo di quella lacuna che pesa come un macigno anche nella discriminazione fra scuola pubblica e scuola privata: l'assenza dell'educazione motoria nella scuola primaria. Credo che, con il concorso e con uno sforzo del Parlamento, dobbiamo superare tale grave carenza del sistema scolastico italiano.
Due ultime considerazioni, una sul doping, una sulla dimensione internazionale della politica per lo sport. Quanto al doping, come ho già detto, sono naturalmente affezionata a quella legge che nacque da un'iniziativa dell'allora ministro Bindi e di chi vi parla. Sono lieta che quella legge abbia resistito ai tentativi di modifica, nella scorsa legislatura, per depenalizzare il reato di doping. È una legge che ci ha consentito di partecipare a testa alta alle Olimpiadi invernali di Torino e a numerosi eventi sportivi, e che ha permesso di avviare una vera e propria politica contro il doping in Italia. Però, io stessa voglio sottolineare la necessità di affrontare la questione di una dimensione diffusa, sociale, vorrei dire perfino domestica, del ricorso all'alterazione della prestazione sportiva, nella sua dimensione sanitaria ma anche della lealtà sportiva e agonistica. Credo che questo ci imporrà un'integrazione dell'attuale legislazione ed un'attivazione del sistema degli enti locali per un intervento molto più incisivo.
Dobbiamo, infine, rafforzare l'iniziativa politica verso i movimenti sportivi di base, verso i settori giovanili. Come ho già detto, ai settori giovanili dobbiamo far arrivare una parte della forza del successo dello sport italiano di questi giorni. Lo si può fare immaginando diverse forme di interventi e di meccanismi redistributivi interni al mondo dello sport, e lo dobbiamo fare anche sapendo sostenere i tanti altri sport che sono praticati in maniera sempre più diffusa nel nostro paese. Indubbiamente l'esperienza delle Olimpiadi di Torino, che ha fatto onore al nostro paese, ha portato nella comunicazione e nella percezione sociale l'esistenza di sport anche minori, con un rafforzamento delle strutture sportive e federali in questi ambiti. L'Italia, oggi, anche grazie alla vittoria ai mondiali di calcio, può concorrere a testa alta alla candidatura per ospitare alcuni grandi eventi internazionali. Come sapete, è sul tavolo una candidatura dell'Italia per gli europei di calcio del 2012. Raccolgo le riflessioni dell'onorevole Del Bue e invito la Commissione a riflettere, anche nell'ambito dell'indagine conoscitiva, su come un evento di quel tipo possa rappresentare una grande occasione per rivedere complessivamente la materia del governo dell'impiantistica sportiva e degli stadi italiani. Non possiamo sottrarci dal considerare quello che sono diventati gli stadi europei. I mondiali in Germania, da questo punto di vista, sono stati una rivelazione, anche per la mia limitata esperienza (ho visto solo quattro partite). Abbiamo bisogno di aprire una grande discussione anche sulla funzione urbanistica e sociale degli stadi. Penso che si debba andare nella direzione di una gestione più diretta degli stadi stessi da parte delle società calcistiche, in una dimensione che possa rafforzare il legame tra le società professionistiche e lo stadio, anche dal punto di vista della responsabilità sul fronte della sicurezza interna, dell'ordine pubblico, e via elencando.
Proprio oggi, all'indomani di questo grande successo mondiale, credo di dover riferire a questa Commissione di un'esigenza. Questa mattina, il sindaco della capitale ha annunciato che la città di Roma non intende imbarcarsi in un'avventura molto complessa - mi riferisco alla candidatura per le Olimpiadi del 2016 -, se tutto


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il paese non condivide questa candidatura e se la stessa può essere elemento di divisione e non di unità. Voglio, dunque, ribadire, in questa sede, l'appello alle forze dell'opposizione affinché in questo momento siano archiviate dispute o polemiche di campanile e si possa trovare, attorno alla candidatura della città di Roma, un'unità di tutto il paese, che permetta di superare i problemi di ordine politico che si potrebbero presentare. È infatti mio dovere affrontare tale argomento in questa Commissione. Come si è fatto per gli europei del 2012, anche per la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2016 si deve trovare un'ampia convergenza fra tutte le forze politiche. Risulterebbe davvero incomprensibile a tutti gli italiani, soprattutto in queste ore di grande festa e felicità per tutto il paese, la mancanza di una totale unità delle forze politiche attorno a tale candidatura.

PRESIDENTE. Su quest'ultimo aspetto suggerisco alle colleghe e ai colleghi di tutti i gruppi parlamentari della maggioranza e dell'opposizione di studiare insieme, nei prossimi giorni, un'ipotesi - qualora vi fosse un'intesa - di una risoluzione bipartisan in Commissione.
Rinvio il seguito dell'audizione del ministro Melandri, sugli altri aspetti di competenza della Commissione, ad altra seduta.

La seduta termina alle 14,20.