COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta pomeridiana di giovedì 13 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 19,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del ministro dell'istruzione, Giuseppe Fioroni, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro dell'istruzione, Giuseppe Fioroni, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Ricordo che nella seduta del 29 giugno scorso si sono svolti la relazione del ministro ed un intervento.
L'ufficio di presidenza della Commissione ha concordato per la seduta odierna la gestione più sobria possibile della durata degli interventi, per permettere a tutti i colleghi e le colleghe di formulare domande ed esprimere opinioni e al ministro di svolgere la sua replica.
Do la parola ai colleghi che intendano porre questioni o formulare osservazioni.

ALBA SASSO. Poiché voglio stare nei tempi e non sottrarre, a quest'ora tarda, molto spazio alla discussione dei colleghi, procederò per punti sull'impianto della relazione del ministro Fioroni.
Condivido e apprezzo molto tale impianto, soprattutto laddove - come dicevo nella scorsa seduta - il ministro apre il suo intervento riconoscendo la vitalità della scuola italiana, nonostante i problemi che vi sono, ma che esistono in tutti i paesi dell'Europa e del resto del mondo. I problemi dell'istruzione, dell'aumento del numero di diplomati e laureati furono uno dei temi della conferenza di Lisbona del 2000. L'affanno dei sistemi scolastici è, dunque, comune.
Mi sembra importante che il ministro abbia detto che, comunque, bisogna ripartire dalle esperienze scolastiche migliori, dalle migliori pratiche per ripensare il sistema scolastico e aiutarlo a crescere. Se posso aggiungere una mia valutazione su questo aspetto, voglio sottolineare che spesso la scuola è più avanti dei Governi che se ne sono occupati. La scuola reale è fatta di 9 milioni di studenti e di circa 750 mila docenti che ogni giorno lavorano per il futuro del paese, se posso usare questa immagine retorica. Condivido anche l'idea che la scuola torni ad essere una questione nazionale. La scuola che, come dice il ministro, è un'anima laica della società, deve riprendere la funzione, che non ha mai perduto in questi anni, non solo di istruzione, ma soprattutto di educazione.
Siamo in un momento difficile della globalizzazione, in cui si mondializzano gli interessi economici, ma non si riesce a mondializzare l'interesse per i diritti della persona. Vorrei citare - si sono fatte tante citazioni - un filosofo educatore spagnolo, Savater: «Il mondo si unifica sulle carte di credito, sui fucili, ma continua a non


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essere in grado di affrontare, da un punto di vista globale, il rispetto delle libertà, la lotta per i diritti».
Credo sia giusto dire che la scuola ricopre una funzione essenziale nell'educazione, nel confronto con le diversità, che sono tante, a partire dalla diversità di genere. Il ruolo della scuola pubblica è fondamentale per far crescere il paese e non solo la sua economia, ma anche la sua democrazia.
Per quanto riguarda l'autonomia, il ministro Fioroni dice che essa è la madre di tutte le riforme. Possiamo anche essere d'accordo, ma ad alcune condizioni. L'autonomia ha bisogno di personale stabile, altrimenti non c'è possibilità progettuale delle scuole. Mi riferisco all'organico funzionale che fu tagliato dal precedente Governo, cioè quella quota di docenti in grado di progettare, articolare progetti, diversificare il lavoro della scuola.
Soprattutto, l'autonomia ha bisogno di un governo del sistema diverso, che non sia né centralizzato né gerarchico e che veda la sinergia tra strutture decentrate del Ministero, enti locali e scuole autonome. Le scuole autonome sono difatti soggetti al pari degli altri. Tutto questo all'interno di una definizione di linee unitarie di governo del sistema.
Credo che quanto è stato fatto nella scorsa legislatura nel rendere il sistema, più che autonomo, fidelizzato alle decisioni del ministro vada messo in discussione, semplicemente facendo funzionare le strutture e le leggi già esistenti.
Nel programma dell'Unione, sul quale abbiamo vinto le elezioni, il progetto e le scelte da compiere sono già definiti. Mi preme, però, sottolineare alcune urgenze che, secondo me, vanno tenute in considerazione se vogliamo operare quel cambio culturale, prima ancora che legislativo, di cui c'è bisogno.
Credo che nel corso di questi anni la scuola e l'università siano tornate indietro: si sono abbassati i livelli di solidarietà sociale e di sostegno alla vita delle famiglie. In questo Parlamento non si fa altro che parlare di famiglia, ma le politiche per la famiglia sono rappresentate anche dalla generalizzazione della scuola dell'infanzia, dagli asili nido, dal tempo pieno. Credo che occorra un'inversione di tendenza, ma è un problema culturale, prima ancora che di scelte legislative. È l'idea che la scuola debba garantire l'uguaglianza del diritto di tutti all'istruzione: di tutte le bambine e i bambini, di tutti i ragazzi e le ragazze, ovunque e da qualsiasi famiglia siano nati.
Nel programma abbiamo inserito la generalizzazione della scuola dell'infanzia, il ripristino del tempo pieno, l'aumento dell'orario della scuola elementare e della scuola media, l'eliminazione di quelle assurde indicazioni curricolari per la scuola elementare e media. Ebbene, nella passata legislatura ho chiesto più volte a me stessa e agli altri come mai gli intellettuali italiani non abbiano alzato un solo grido di dolore rispetto a tali questioni, che sono molto più indietro rispetto alle misure reali che la scuola adotta.
Un'altra questione, a mio avviso, è fondamentale: è un'urgenza che segnalo al ministro. Mi riferisco all'elevamento dell'obbligo scolastico, nel quale secondo me risiede il vero cambio culturale. Anche nella scorsa legislatura ci siamo chiesti molte volte cosa significhi oggi innalzare l'obbligo scolastico. Viviamo in una società in cui cambiano i modi di produzione e riproduzione del sapere ed è in atto una rivoluzione informatica. Tutte queste cose fanno parte della società della conoscenza, che non esiste in natura se non vi sono politiche, scelte e strategie che la rendono possibile. Dobbiamo entrare nella logica di un'educazione permanente e ricorrente, di un'educazione per tutta la vita e in ogni momento della vita lavorativa: c'è bisogno che tutti sappiano di più ad ogni livello della loro vita e in ogni fase del lavoro. Per rendere possibile l'educazione per tutta la vita, è necessario elevare le quote di sapere di base, che permetteranno di continuare a imparare nel corso della propria vita. La terza media oggi non basta più: occorrono almeno altri due anni di consolidamento e approfondimento delle conoscenze.


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In un bellissimo libro, scritto da Attilio Stajano - non è ancora tradotto in italiano, io ne ho letto solo una parte - si parla di un male della nostra società: l'analfabetismo tecnologico. La cultura tecnologica non è saper «smanettare» o utilizzare un computer, perché si può rimanere prigionieri di quelle gabbie, ma è possedere quei saperi di base che permettono di continuare ad imparare e ad utilizzare le tecnologie, senza incorrere nella cosiddetta «sindrome della casalinga» di fronte allo sviluppo delle tecnologie. L'aumento dell'obbligo scolastico in un biennio fatto a scuola è fondamentale per garantire uguaglianza di diritto all'istruzione a tutte le ragazze e i ragazzi.
Il ministro dice che vi sono delle esperienze di bienni integrati: in ordine a ciò voglio essere molto chiara (probabilmente la discussione sarà forte anche all'interno del centrosinistra). Il biennio integrato può essere un'esperienza in alcune limitate situazioni e da lasciare all'autonomia delle scuole, ma non può costituire la regola. Non si può organizzare un sistema scolastico a partire dai ragazzi che avvertono maggiori difficoltà. Le difficoltà dei ragazzi in difficoltà - scusate il bisticcio di parole - vanno risolte con una complessità di soluzioni. La prima soluzione delle difficoltà e della dispersione del biennio non sta nel biennio stesso, ma deve essere individuata precedentemente, nella scuola media, nella generazione della scuola dell'infanzia e nella scuola elementare, cioè nel percorso. Se pensiamo che il percorso della scuola media ed elementare debba già separare i ragazzi tra quelli che ce la fanno e quelli che non ce la fanno, commettiamo un errore gravissimo. La dispersione maggiore si verifica negli istituti professionali e tecnici, in cui vengono mandati i ragazzi che hanno già manifestato una serie di problemi e di carenze a livello di scuola media.
Ministro Fioroni, la vera dispersione si combatte con la generalizzazione della scuola dell'infanzia. È provato che chi ha frequentato una buona scuola dell'infanzia, con quelle capacità - le cosiddette preabilità - ha un percorso scolastico regolare e migliore. È lì che va affrontato il problema della dispersione scolastica.
Credo di essere già andata troppo avanti rispetto alle osservazioni che volevo esprimere; tuttavia, signor presidente, mi consenta di analizzare un'altra questione.
Nel DPEF - a parte la questione del precariato, che conosciamo molto bene e su cui non intervengo più perché su di essa si è già svolto il question time e vi sarà una risoluzione la settimana prossima - si dice che con la diminuzione degli organici, il livello del precariato è aumentato, che in Italia vi sono troppi insegnanti e che, a fronte del livello di spesa pro capite, vista la ricerca OCSE-PISA, i risultati non sono dei migliori. Vorrei invitare a pensare che i risultati nella scuola non sono immediati, del tipo causa-effetto. Come sostengono molti pedagogisti e come confermano le ricerche internazionali, adesso, dopo quaranta anni, verifichiamo gli effetti della riforma del 1962. Nella scuola gli effetti sono a lungo termine; non come disse il ministro Moratti, che sosteneva che dopo aver cambiato i programmi, i livelli di conoscenza della matematica dei ragazzi erano migliorati immediatamente. Si tratta di processi lenti, con azioni e retroazioni complesse che dipendono dall'educazione informale, dalla famiglia, dal luogo e via elencando. Non si può fare un ragionamento di questo genere, poiché la questione è molto più complessa.
Sicuramente scontiamo anche il fatto che il nostro sistema produttivo - i dati Unioncamere lo sottolineano - spesso rifiuta laureati e diplomati e si attesta su richieste di basso livello di conoscenze. Questo è un problema con cui dobbiamo fare i conti.
Per quanto riguarda la questione degli insegnanti, come spesso è stato detto, le riforme non si fanno per gli insegnanti, ma per gli studenti, per il paese. Aggiungo tuttavia che le riforme non si fanno senza gli insegnanti o contro di essi. Occorre quindi riflettere sulla questione della prima formazione, del reclutamento, su cui non voglio soffermarmi perché mi


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porterebbe molto lontano. Non possiamo pensare di mantenere il decreto attuativo dell'articolo 5 della legge n. 53: non fa che confondere la situazione della prima formazione con riguardo alle SSIS e alle scuole di specializzazione. Bisogna mettere un punto fermo. Vi sono delle esperienze che possono essere valutate positivamente o negativamente, ma che non si possono cancellare ogni volta, facendo la fine delle talpe che scavano continuamente cunicoli ciechi che non vanno da nessuna parte. La prima formazione e il reclutamento sono un problema che dobbiamo affrontare e sul quale bisogna fare chiarezza.
Vi è poi il problema della rivalutazione della funzione del docente: non parlo solo di soldi - anche se costituiscono comunque un problema - ma del fatto che gli interventi degli ultimi anni hanno mortificato l'immagine di chi opera nella scuola. Non mi riferisco solo agli ultimi cinque anni, ma voglio fare un discorso più generale: sono stati imposti adempimenti che nemmeno i proponenti riuscivano a definire nella loro effettiva portata. Frustrazione e sottrazione di responsabilità sono state, spesso, le conseguenze di una gestione verticistica e burocratica che ha ridotto l'autonomia della scuola alla gestione di piccole cose. Bisogna ridare ai docenti sicurezza circa le condizioni del loro lavoro e valorizzare le soluzioni più interessanti. Il ministro Fioroni l'ha già detto proponendo di partire dalle migliori pratiche. Credo che tale questione sia molto importante, come pure è importante valorizzare l'autonomia organizzativa didattica, cioè la funzione della ricerca educativa fondamentale per fare andare avanti la scuola.
Le priorità, che ho già segnalato, sono l'elevamento dell'obbligo scolastico, la lotta al precariato, migliori condizioni di lavoro degli insegnanti e degli studenti. Sono d'accordo sulle altre questioni che il ministro Fioroni ha affrontato, quali l'edilizia scolastica e via discorrendo.
Un'ultima osservazione: credo che la scuola italiana e il sistema dell'istruzione abbiano bisogno di una legge sull'educazione permanente e ricorrente. È una necessità ed una urgenza per il nostro sistema scolastico e adesso è divisa in mille rivoli tra province e regioni. A mio avviso, una legge quadro su tali questioni sarebbe necessaria: credo che l'educazione permanente e ricorrente sia una condizione essenziale per far crescere la cultura del paese e, quindi, la sua economia e la sua democrazia.

ANTONIO PALMIERI. Mi scusi, signor presidente, ma il vicepresidente Barbieri fuma. Allora, una vecchia battaglia...

PRESIDENTE. In questa sede non si può fumare. Comunque, non vedo nessuno che fuma.

ANTONIO PALMIERI. Presidente Folena, si sta assumendo una responsabilità! Capisco che avete cancellato tutte le leggi del Governo Berlusconi, ma non proprio tutte...

PRESIDENTE. È vietato fumare. Non è una decisione del presidente, ma una legge, una di quelle che non vanno abrogate.
Proseguiamo con gli interventi dei colleghi.

TITTI DE SIMONE. Signor ministro, la sua relazione mi ha convinta; è molto articolata e presenta elementi di novità molto importanti. Vorrei ringraziarla innanzitutto per aver cominciato a svolgere le sue funzioni da ministro rimettendo la parola «pubblica» a capo del suo Ministero. Credo sia stato un atto molto importante, riconosciuto da tutto il mondo della scuola. È un segnale che apprezziamo molto: sta nel solco del rispetto dei principi costituzionali a noi molto cari, che attribuiscono alla nostra scuola, alla scuola della Repubblica, funzioni e un ruolo fondamentali per il nostro paese e la nostra democrazia.
Affronterò poche questioni che ritengo prioritarie: penso che un discorso così complesso come quello sulla scuola, futura


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e presente, non si possa esaurire in dieci minuti. Comunque, avremo altre occasioni per confrontarci.
In primo luogo, la seguiremo molto attentamente. È una dimostrazione di attenzione, affetto, stima e collaborazione nei confronti del lavoro del ministro Fioroni. Siamo molto affezionati al programma con cui abbiamo vinto le elezioni; riteniamo che sia molto buono e che, soprattutto sul terreno della scuola, sia portatore di elementi importantissimi, che sono stati costruiti grazie a un grande confronto con il mondo della scuola negli anni precedenti, quelli del Governo Berlusconi. A me pare che la sua relazione confermi questo, quindi non posso che esserne contenta.
A proposito di un aspetto della sua relazione che mi è sembrato tra i più interessanti, vorrei segnalare la questione della dispersione scolastica. Credo si tratti di un fatto reale, molto serio, che la scuola deve affrontare senza approcci ideologici, altrimenti non riusciamo a risolvere concretamente i problemi. Nella sua relazione lei osserva che la nostra scuola, soprattutto nel passaggio tra il primo e il secondo ciclo, porta con sé un dato abbastanza singolare nel contesto europeo: già nella scuola media vi sono deficit di competenze di base molto elevati rispetto alla media europea. Con l'ingresso nel secondo ciclo, poi, questi deficit portano alcuni studenti a vivere una situazione di grande disagio, che a volte non riescono a superare; si produce quindi un effetto di dispersione, di evasione. Penso che questo sia un problema molto importante, su cui bisognerà lavorare. Ma dovremmo farlo senza immaginare le scorciatoie che, in qualche modo, ci hanno portato fuoripista nei cinque anni del Governo Berlusconi. Bisogna cercare di affrontare il problema alla radice, cioè partendo dalle cause.
Il fenomeno della dispersione si determina soprattutto nel primo ciclo della scuola, in cui cominciano a prodursi questi deficit. È lì che bisogna intervenire per evitare di arrivare al punto di maggiore crisi, che poi produce la dispersione. È nel potenziamento della generalizzazione della scuola dell'infanzia, nell'importantissimo approccio didattico e pedagogico del tempo pieno nella scuola elementare che risiedono gli strumenti utili, l'antidoto culturale necessario per affrontare in modo corretto il problema della dispersione. Come dice il nostro programma, le ricette utilizzate fin qui dal Governo precedente, in particolare quelle della canalizzazione, che riproduce un sistema di selezione di classe, o del biennio integrato nell'accezione di una generalizzazione di questo sistema, sono sbagliate e non producono gli effetti che, invece, in una logica di canalizzazione e di selezione di classe, si diceva avrebbero potuto generare. Diciamo con molta convinzione che bisogna abbandonare la strada della canalizzazione precoce e della selezione di classe che il Governo Berlusconi e la riforma Moratti hanno tentato di introdurre nel sistema scolastico pubblico. Questo è un problema fondamentale: non fa bene alla scuola e non fa bene al paese, al nostro sviluppo sociale e culturale.
Riteniamo quindi molto importante che vi sia un elemento di discontinuità da questo punto di vista. Il tema dell'innalzamento dell'obbligo scolastico a 16 anni in un sistema di biennio unico è, a nostro avviso, la strada giusta da seguire. Tra l'altro, non abbiamo inventato nulla di rivoluzionario: abbiamo semplicemente seguito la strada già sperimentata con ottimi risultati in gran parte del contesto europeo, basandoci sui parametri che richiedono un innalzamento della conoscenza di base per affrontare le sfide complesse che la società attuale richiede a noi e alla scuola. Il tema dell'innalzamento dell'obbligo scolastico - lo ribadisco - è un tema fondamentale, in un contesto di biennio unico (14-16 anni) che escluda un sistema di canalizzazione precoce, all'interno di un percorso di istruzione che punti all'innalzamento della conoscenza delle competenze di base.
Penso che un aspetto della sua relazione meriti attenzione particolare: l'introduzione nel potenziamento del percorso didattico di alcuni elementi che sono stati


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espulsi, soprattutto sotto l'effetto della controriforma Moratti. Mi riferisco alla musica, allo sport, discipline che non possono continuare ad essere concepite come marginali nel percorso formativo dei ragazzi e delle bambine, ma che sono parte integrante di esso, per lo sviluppo della personalità e cultura di base e per una presa di coscienza rispetto alle scelte future che i ragazzi dovranno intraprendere. Le discipline della musica e dello sport ci sembrano dunque fondamentali e devono essere potenziate e reintrodotte.
Per quanto riguarda la questione del precariato, ne parleremo con maggiore approfondimento nei prossimi giorni in questa Commissione, in occasione della discussione sulla risoluzione che abbiamo presentato. Siamo di fronte ad una emergenza enorme. Se non pensiamo ad un'idea di funzionamento della scuola diversa da quella che si è venuta a delineare in questi ultimi cinque anni, se non torniamo all'idea dell'organico funzionale, questione fondamentale per confermare e consolidare la qualità del sistema pubblico dell'istruzione, avremo una serie di effetti a catena che poi andrà a scaricarsi sulla questione del precariato.
Lei, come noi, parla di superamento: è importante, però dovrà essere accompagnato da interventi progressivi e precisi nel tempo. Dovremmo fare lo sforzo di stabilire un percorso certo in questa direzione, che rispetti una determinata tempistica. Mi riferisco, per esempio, al fatto che nei prossimi mesi, quindi anche rispetto al prossimo anno scolastico, avremo un turn over, una quantità enorme di pensionamenti: si parla di circa 45 mila pensionamenti, a cui pensiamo si debba dare una soluzione. Abbiamo salutato con favore le 23.500 immissioni in ruolo che lei ha disposto, però pensiamo che occorra integrarle almeno fino a coprire il turn over che si verrà a determinare nei prossimi mesi. Bisognerà poi stabilire un piano programmatico di immissione in ruolo che vada all'esaurimento della questione.
Non entrerò nello specifico di altri temi, di cui parleremo più avanti.
Ascolti, ministro, come cercheremo di fare anche noi, gli studenti: essi rappresentano una parte del mondo della scuola che spesso ha avuto meno attenzione. Ritengo invece che gli studenti siano una grande risorsa, innanzitutto della scuola pubblica: non bisogna vederli solo nella funzione di coloro che usufruiscono della scuola, ma anche come attori protagonisti del mondo della scuola. Si tratta di una risorsa reale, anche in termini di autogoverno, di istituzioni scolastiche, di partecipazione alle scelte, di maggiore democrazia e rappresentanza. Penso che dovremo affrontare anche l'aspetto della rappresentanza, della partecipazione, della democrazia nella scuola e che dovremo fare delle scelte.
Mi convince poi il discorso sulla scuola della cittadinanza da lei prospettato, anche nel segno di una scuola aperta al pluralismo culturale, a bambini e ragazzi che provengono da culture e religioni differenti. La scuola deve affrontare il tema della cittadinanza, che è importantissimo. Ministro, penso ad una scuola che di fronte all'imbarbarimento dei tempi sia garante della capacità di coscienza critica propria di un paese libero e democratico. Si tratta di un aspetto molto delicato, degno di grande attenzione.
Non so se lei ci stupirà nel suo lavoro. Penso alla questione del rapporto con le religioni all'interno della scuola, altro tema molto delicato. So che lei ha molta sensibilità da questo punto di vista e forse sarebbe il caso di cominciare ad affrontare una discussione fuori da qualsiasi steccato ideologico, che sarebbe solo controproducente. Il tema della religione all'interno della scuola pubblica, a mio avviso, è degno di attenzione ed è diventato di estrema attualità. Personalmente, credo sia condivisibile una riflessione sull'inserimento dell'ora di storia delle religioni nella scuola. Su questo argomento si deve cominciare ad aprire un dibattito o quantomeno un confronto, che viene sollecitato ormai da più parti.
Spero che avremo modo di affrontare anche questi temi, che non ritengo affatto


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marginali, ma importanti per la scuola pubblica, quella della Costituzione, e per il lavoro che dovremo svolgere.

FULVIO TESSITORE. Cercherò di essere il più rapido possibile. Parto da una constatazione che ho apprezzato nell'intervento del ministro e mi riferisco alla difficoltà in cui egli si trova ad operare. Credo che tale difficoltà non derivi solo dalla conseguenza della straordinaria trasformazione o, se piace di più, crisi culturale in atto, che non può essere compito del legislatore risolvere, ma di cui il legislatore dovrebbe avere piena consapevolezza per non correre il rischio di ridurre le riforme a ruderi retorici di una cultura che non esiste più o, nella migliore delle ipotesi, a provvedimenti di carattere architettonico che casomai sistemano persone. Non che questo non sia un fatto importante, ma le persone non si sistemano davvero se non si affrontano i problemi strutturali!
Sono convinto, signor ministro, che una delle difficoltà, forse la maggiore, in cui lei si trova è il fatto di essere di fronte ad una riforma voluta da una maggioranza che non si è confrontata con l'opposizione e che ha operato nella sostanziale contrarietà della scuola, senza esitare ad abrogare una legge in vigore e senza consentire una sperimentazione, per poi assumere le sue decisioni. Da questo punto di vista, dico con molta chiarezza che trovo strano che quella maggioranza, oggi diventata minoranza, gridi allo scandalo, perché si vuole modificare una legge di parte.
Sostanzialmente lei è stretto tra questa riforma, che - ripeto - è di parte e ha contraddetto il principio secondo cui la scuola non è terreno di scontro ideologico, e la serietà di forze politiche che sanno che non si può cambiare una legge sulla scuola, in quanto bene di tutti, di cui nessuno ha o può ritenere di avere l'esclusiva rappresentanza ad ogni cambio di maggioranza.
Se mi consente una battuta, ho molto apprezzato la sua dichiarazione nella quale ha affermato che non intende presentare una nuova riforma della scuola. Mi sembra una dichiarazione di saggezza e di prudenza: molti dei suoi predecessori, presumendo di riformare la scuola italiana per entrare nella storia d'Italia, in quest'ultima non sono entrati, ma sicuramente sono entrati nell'antistoria d'Italia.
In coerenza con l'opposizione che cercai di manifestare a quel disegno di legge, metto da parte la mia valutazione personale secondo cui si tratterebbe di una riforma da smantellare e vengo ad alcuni punti specifici sui quali mi permetto di richiamare la sua attenzione. Sarò molto rapido, trattandosi solo di due o tre argomenti.
Anzitutto, invito a riflettere attentamente sul rapporto tra diritto, dovere e obbligo. Ho apprezzato molto la sua dichiarazione di non voler attenuare in nulla la universalità dell'istruzione, il rifiuto di una segmentazione territoriale, che non significa non riconoscere il carattere pluralistico, pluricentrico della nostra cultura, ma la dimensione essenziale della scuola. Così come non ho nulla in contrario sulla difesa delle esigenze degli individui. Naturalmente, si tratta di mettersi d'accordo su ciò che si intende per individuo, giacché il principio del diritto-dovere è soggettivo. Se si ha una concezione di tipo solipsistico dell'individuo, le conseguenze non possono che essere negative. Invece, la mia concezione dell'individuo non è solipsistica, ma alteristica e credo sia conciliabile con il principio dell'obbligo e non faccia riferimento alla dimensione costituzionale, che, a mio giudizio, è stata intaccata, privilegiando il diritto-dovere.
L'obbligo è un principio oggettivo e consente di realizzare la funzione pubblica. Lei ha usato questa espressione, che voglio sottolineare: «funzione pubblica» non significa carattere pubblico. Mi sono meravigliato nel sentire dire che l'intenzione di intitolare il Ministero come «Ministero della pubblica istruzione» significa non prevedere la scuola privata. Anche la scuola privata, però, deve svolgere una funzione pubblica: questo è il significato dell'obbligo come principio oggettivo.


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La sottolineatura del diritto-dovere, del dato individualistico, ci fa correre il rischio di mantenere fisse alcune condizioni di difformità e, addirittura, di determinare delle discriminazioni.
A proposito di discriminazione, vi è un cenno nella sua relazione che voglio sottolineare, tanto è vero che mi sono permesso di presentare al presidente una proposta di indagine conoscitiva su interculturalità e multiculturalità. Credo che una indagine conoscitiva di questo genere sia importante, ma vorrei sottolineare la necessità che vi siano entrambi i profili: interculturalità e multiculturalità. Talvolta, i due aspetti si confondono, ma non possiamo ridurre la questione al semplice problema dell'integrazione. Ancora una volta - è per tale motivo che mi richiamo al principio dell'obbligo - bisogna andare ai contenuti. Per usare una formula, visto che devo essere rapido, sono convinto che non si possa essere compiutamente interculturali, se non si è rigorosamente multiculturali, cioè se non si riconosce il carattere intrinsecamente pluralistico della cultura. Fanno ridere le posizioni che oggi sostengono i nostri neoconservatori a proposito della diversità delle culture, come se fossero degli assoluti: è una contraddizione storica.
Un altro punto su cui mi permetto di richiamare la sua attenzione - e lo dico con molta determinazione - è che sono assolutamente contrario ad ogni forma di panpedagogismo. Non sono stato un incondizionato ammiratore delle scuole di specializzazione, ma non lo sono affatto neanche delle lauree specialistiche per gli insegnanti. La formazione degli insegnanti è un problema fondamentale: non funziona nessuna scuola se non si favoriscono le figure dello studente e dell'insegnante, in relazione alle esigenze che la scuola deve soddisfare.
Nel parlare di panpedagogismo, corro il rischio che insegnare ad insegnare - cosa certamente importante - si risolva nella pretesa di distinguere ciò che si insegna da come si insegna. È un assurdo logico che non ha senso comune.
Per quanto riguarda le lauree specialistiche per gli insegnanti, nessuno, neppure nella precedente legislatura, è riuscito a spiegarmi se ciò dovesse significare mettere in parallelo, per esempio, la laurea in matematica e quella per l'insegnante di matematica. Tant'è vero che si approvò un ordine del giorno, a mio giudizio ridicolo, nel quale si sosteneva l'approvazione di lauree specialistiche, purché il Governo non mettesse mai in discussione gli elementi di ripetizione di ambiti disciplinari.
Sono convinto - premetto che sono un sostenitore della segmentazione - che 3 più 2 più x o 1 più 2 più 2 restano formule cabalistiche, se non si interviene su contenuti, metodi e modalità della didattica, nel pieno rispetto dell'autonomia della scuola.
Vorrei esprimere alcune rapidissime osservazioni in merito all'intervento della collega De Simone sul problema della religione, che mi solletica molto. Riprendo una formula da un recente intervento di un cardinale: distinguendo il concetto di religiosità da quello di religione come cultura, la religione come cultura - che significa anche lo studio storico delle religioni - deve trovare un posto nella nostra scuola, non solo universitaria, ma anche secondaria. Per quanto riguarda la religione intesa come cultura, occorre capire - cito testualmente il documento che se per avventura non avesse conosciuto mi permetterò di inviarle - che una cosa è la catechesi, altra sono i processi di evangelizzazione, altra ancora la religione come cultura. Credo che su questo tema anche le forze laiche possano dare un contributo importante.
Desidero inoltre richiamare la sua attenzione su un problema che ha angosciato la scuola italiana negli ultimi anni: sono stati operati dei tagli negli stanziamenti per gli insegnanti di sostegno. Lo considero un intervento infame e non ho nessuna esitazione a dirlo. Non è possibile intervenire con tagli in situazioni che coinvolgono persone che hanno già problemi per loro conto. In una situazione di difficoltà, in cui si debbono definire delle


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priorità, questo ambito deve rappresentare una priorità assoluta, sulla quale, a mio giudizio, non è possibile fare sconti o discutibili interventi.

VITO LI CAUSI. Onorevole ministro Fioroni, la sua relazione è stata ampia ed articolata, quindi meritevole di compiacimento. Mi permetta, però, di esprimere qualche veloce riflessione per individuare gli strumenti più idonei a superare il periodo di difficoltà che sta vivendo il sistema non solo educativo, ma anche formativo, delle nostre scuole.
Pongo alla sua attenzione il problema del precariato. Ritengo che debba iniziare un processo di innovazione e riqualificazione per risolvere uno dei problemi che maggiormente assillano il sistema scolastico. Moltissimi docenti, infatti, rischiano di andare in pensione da precari. La collega Sasso si è trattenuta ampiamente su questo tema, quindi ho voluto parlarne succintamente.
Vorrei accennare anche al problema del conferimento a tutto il mondo scolastico di una giustizia e di una dignità di studi che abbiano un cammino di crescita umana, culturale ed educativa.
Mi chiedo poi, come molti del resto - oggi ho presentato una interpellanza in tal senso - quale coerenza o serietà possa caratterizzare il sistema attuale, che di fatto fa coincidere chi accompagna quotidianamente gli studenti nel loro processo formativo con chi dovrebbe giudicare i loro obiettivi e la maturazione raggiunta. È immediato considerare l'inequivoca debolezza di un metodo di valutazione che non sappia far proprio il criterio elementare e, soprattutto, imparziale della differenziazione tra l'insegnante e il giudicante in sede d'esame: uno insegna, l'altro giudica.
Per quanto concerne l'autonomia, sento parlare di progetti affidati ai dirigenti scolastici. Ritengo che essi debbano farne buon uso, anzi devono fare qualcosa di meglio per destinare tali progetti al corpo docente. Insomma, ci vuole più visibilità e vivibilità per il corpo docente nella nostra scuola ed in lei, ministro, vedo molta volontà, qualità e capacità.
Proseguendo per concetti, è auspicabile avere più asili nido e micro-nidi, che soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, sono quasi assenti. Del tempo prolungato si è già parlato, così come del tempo pieno nelle elementari e dell'elevamento del limite di età degli studenti.
Concludo, augurandovi buon lavoro e garantendo fin da ora il nostro appoggio. Chiedo scusa se non potrò prendere parte al prosieguo della seduta.

GUGLIELMO ROSITANI. Signor ministro, mi perdonerà se mi permetto di formulare alcuni giudizi sulla sua relazione. Sono un po' sorpreso negativamente e dispiaciuto: ho dovuto condizionare il mio intervento, che avrei voluto svolgere in termini diversi, in base alla sua relazione ed al modo in cui è stata scritta. Mi sarei aspettato una relazione più ministeriale, più serena, equilibrata e ragionata, non aggressiva o fortemente polemica, come invece è, con spunti demagogici. Ciò mi ha sorpreso, perché la conosco e so come ragiona. Mi dispiace, e al posto suo, mi sarei comportato in modo diverso: infatti, improntare una relazione soltanto sull'obiettivo di smantellare o, comunque, denigrare o svilire una riforma delineata e già in fase attuativa - con tutto il rispetto per la sua persona - non è dignitoso. Un ministro non svolge le sue relazioni per denigrare altri che hanno lavorato per cinque anni; avrebbe potuto dire di non essere d'accordo e ciò sarebbe stato più che corretto.
Al posto suo, avrei fatto cenni concreti ai contenuti della riforma Moratti, mettendo comunque in risalto i tentativi di quella riforma, gli strumenti e i mezzi utilizzati per attuarla. Invece lei è partito con una bella e roboante affermazione secondo cui la scuola italiana non è morta. Ne prendiamo atto, signor ministro. La scuola italiana non è morta, ma nel primo periodo lei attacca, mettendo in risalto le grandi deficienze della scuola italiana, ed aggredisce - uso proprio questo termine -


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la riforma Moratti, addirittura attribuendo la gravità della situazione in cui versa la scuola italiana all'aggressione indotta dalla riforma Moratti. Da parte di persone che hanno il senso dello Stato, moderate nel modo di concepire le cose e ragionevoli, a mio parere, queste considerazioni non dovevano essere espresse.
Fermo restando il mio rispetto per la sua persona, non condivido - e lo ripeto con molto dispiacere - questo brutto approccio, signor ministro. Se questi sono i suoi modi o quelli del centrosinistra, di concepire un rapporto con la minoranza, partendo da queste premesse, posso assicurarle che è un approccio sbagliato e che la minoranza non è disponibile ad accettare aggressioni di questo genere.
Lei ha fatto, in sostanza, una dichiarazione di guerra, seppur coperta da distinguo e precisazioni. Al posto suo, avrei fatto riferimento alla riforma della scuola - ripeto - a quello che comunque il Governo di centrodestra ha fatto a favore della scuola. Mi permetto rapidamente di ricordarglielo, affinché rimanga agli atti, anche se è un fatto ufficiale, che però evidentemente i suoi collaboratori non le hanno rappresentato.
Le ricordo che, malgrado il buco che abbiamo trovato quando il nostro Governo si è insediato - nella scuola si parla addirittura di 10 mila miliardi di vecchie lire - , con l'avvento del centrodestra le scuole italiane hanno iniziato a svolgere la loro attività il primo giorno di scuola. Prima ciò era impensabile e parla uno che ha trascorso trent'anni della sua esistenza a fare il professore: si arrivava al mese di dicembre per riuscire ad avere supplenti disponibili ad insegnare. È, quindi, un fatto di non poca rilevanza. Le spese in favore del mantenimento della scuola, rispetto al periodo dei cinque anni del centrosinistra, sono aumentate del 27 per cento, con 9.726 milioni in più.
Per quanto riguarda il problema del personale (ci si è ormai incentrati sulla problematica dei precari), mi sarei aspettato dal ministro il riferimento a quanto ha completato in questi giorni con l'immissione in ruolo di 23.500 persone, ma si tratta di una decisione e di una previsione del Governo del centrodestra e non sua! Altre 10 mila persone dovranno essere assorbite nel 2007-2008. Avrei anche gradito un accenno da parte sua alle 160 mila immissioni in ruolo operate dal Governo di centrodestra. La responsabilità della situazione del precariato in Italia non è attribuibile al centrodestra. Con la legge n. 124 e tutto ciò che è stato fatto (concorsi indetti per 60 mila posti a cui hanno partecipato 427 mila persone), il centrodestra, a fronte di 400 mila professori precari, ne ha sistemati 160 mila in cinque anni. Mi auguro che lei possa continuare su questa strada e che tra cinque anni risulteranno sistemati altri 160-200 mila precari.
Per quanto concerne l'edilizia scolastica, cui lei ha fatto cenno, sono stati spesi 1.350 miliardi di vecchie lire. Sono stati rinnovati i contratti nazionali degli insegnanti, con un aumento mai pensato, nemmeno ai miei tempi: una media di 277 euro al mese in più è piuttosto cospicua!
Avrei gradito che lei avesse fatto riferimento alla destinazione di circa 250 milioni di euro (questa era la situazione che ha trovato nei bilanci del suo Ministero) all'attuazione della riforma Moratti, in particolar modo con riferimento alla legge finanziaria per il 2004. Signor ministro, tra queste risorse finanziarie, 67 milioni di euro erano destinati ai comuni per i servizi per la scuola dell'infanzia. Lei, irresponsabilmente - mi deve consentire - ha bloccato l'anticipo scolastico per l'infanzia, dimenticando che l'anno scorso sono state presentate circa 50 mila richieste di iscrizione anticipata dei bambini. Con questo provvedimento, lei ha bloccato i desideri di 50 mila famiglie, tra l'altro, mettendo in gravi difficoltà chi aveva programmato la propria esistenza in virtù dell'offerta che lo Stato aveva previsto nei confronti delle famiglie.
Nella sua relazione non solo tenta di denigrare la riforma Moratti, ma addirittura disconosce il lavoro compiuto dal Parlamento e dal Governo in cinque anni e ciò, sul piano politico, mi dà estremamente


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fastidio. Mi dispiace, perché non è l'approccio più corretto che un ministro dovrebbe avere con il Parlamento e con l'opposizione, in particolar modo.
Mi permetto di ricordarle che era stata già avviata la scuola dell'alternanza, la scuola-lavoro: oltre 20 mila studenti hanno partecipato a 1.772 percorsi formativi in 412 istituti scolastici. Sono stati attivati 20 poli formativi di intesa con le regioni; nell'ambito dell'accordo quadro tra Stato, regioni e autonomie locali del giugno 2003 sono stati attivati e sperimentati percorsi di istruzione e formazione professionale di durata triennale nei seguenti settori: alimentare, aziendale, amministrativo, commerciale, elettrico, elettronico, estetica, grafica, multimediale, legno, arredamento, meccaniche e così via. È stata raddoppiata l'istruzione e formazione tecnica superiore; sono stati attivati 2.330 corsi, oltre 41 mila laboratori, di cui 24 mila di informatica, distribuiti in 29 mila sedi scolastiche, con un incremento rispetto al centrosinistra, del 35 per cento rispetto al 2001. Sono stati acquistati oltre 560 mila computer ed è stata varata l'intesa MIUR-Ministero per i beni culturali per la realizzazione di 3.500 nuovi impianti sportivi.
La scuola è stata considerata come una comunità sociale (anche lei ama definirla in questo modo), con milioni di ragazzi e ragazze coinvolti nei progetti «Missione e salute», «Scuola e volontariato», «Educazione alla legalità e alla convivenza civile», «Integrazione alunni stranieri». Inoltre, 830 mila studenti hanno conseguito gratuitamente il patentino per la guida dei ciclomotori. Per quanto riguarda l'istruzione per adulti, di cui lei parla abbondantemente, i corsi serali hanno interessato 750 istituti, 215 in più rispetto al 2001, 66 mila utenti, 24 mila in più rispetto al 2001. I 522 centri territoriali permanenti sono stati frequentati, caro ministro, da 460 mila utenti, 130 mila in più rispetto al 2001.
Rispetto agli abbandoni scolastici - non sarà merito della riforma, ma comunque il clima era diverso - abbiamo registrato che nei cinque anni si è passati dal 25,3 al 22,3 per cento, con un calo del 3 per cento.
Per quanto riguarda il completamento degli studi secondari, c'è stato un aumento del 3 per cento; negli iscritti alla formazione professionale iniziale si è registrato un incremento del 13 per cento; nella partecipazione ad attività di formazione permanente l'aumento è stato dell'1,3 per cento. La spesa a favore della scuola è aumentata del 13 per cento rispetto al 2001. Non avrei citato questi dati se lei non avesse impostato la sua relazione in quel modo.
Entro rapidamente nel merito. Mi soffermo sul concetto di autonomia scolastica, che lei ha richiamato in quattro o cinque circostanze (vedi la scuola a tempo pieno). Siamo tutti d'accordo sull'autonomia scolastica: guai a chi si permette di criticarla, ma non dobbiamo esagerare nel creare qualcosa di sacro. È chiara la legge sull'autonomia scolastica: il principio dell'autonomia è sancito dall'articolo 117 della Costituzione, ma il significato dell'autonomia scolastica va ricercato nell'articolo 21 della legge Bassanini, che parla non di autonomia dallo Stato, ma di autonomia scolastica nel rispetto delle indicazioni didattico-organizzative e degli indirizzi che lo Stato fornisce. Lo dico per chiarezza, signor ministro (Commenti del deputato Colasio).
Caro deputato Colasio, lei sa quanto rispetto ho per lei, ma il ministro ha affrontato questo argomento con leggerezza!
Signor ministro, ho aspettato le ore 20,45 per parlare con lei e per farlo non ho né mangiato né bevuto. Non mangi e non beva neanche lei: l'accordo è questo ed è scorretto che qualcuno mangi...!
Vorrei ricordare che sono l'unico deputato di Alleanza Nazionale che interviene su questo argomento, mentre per gli altri gruppi interverranno due o tre deputati.
Deputato Colasio, lei conosce la stima e i rapporti che intercorrono fra di noi; sono dispiaciuto di dover svolgere questo tipo di intervento. Ma se aveste letto veramente la


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riforma costituzionale, avreste notato che c'era lo zampino del recupero del significato della identità e degli indirizzi nazionali. Avete combinato voi i guai con la riforma del Titolo V della Costituzione ed in seguito a ciò non riusciamo ad uscire da questa situazione! Ecco perché ci stiamo preoccupando di chiarire la vicenda, che pensavamo si potesse risolvere; infatti, avevamo inserito tali questioni nell'elenco delle cose da modificare e riportare al giusto alveo. Invece, dobbiamo tenerci il Titolo V e lei sa cosa ha provocato anche nella scuola. Perciò, mi sono preoccupato di precisare il significato dell'autonomia scolastica, altrimenti aggrediamo gratuitamente le situazioni, senza assumerci le responsabilità storico-politiche delle vicende che ci interessano.
Per quanto riguarda i diversamente abili, avrei gradito che lei avesse precisato che la questione era nata con una legge voluta da Berlinguer e che il rapporto tra studenti e professori di sostegno era di 1 a 138. Il criterio di scelta è stabilito da quella legge: vengono considerati tutti gli studenti e, di conseguenza, il numero dei professori di sostegno. Posso essere d'accordo con lei che tale criterio sia sbagliato, ma lei avrebbe dovuto dire - come ha fatto in altre circostanze - che questa non era volontà del Governo di centrodestra, ma la conseguenza di una scelta operata da altri Governi. Avrebbe, inoltre, dovuto rilevare che noi, continuando quanto iniziato nel 2000 dal Governo di centrosinistra - vede quanto sono onesto? - abbiamo portato il rapporto studenti-professori di sostegno da 1 a 138 a 1 a 95-96. Si tratta di un grande risultato, signor ministro, sul quale avremmo gradito la correttezza dell'informazione.
Per quanto riguarda l'immigrazione ed i figli dell'immigrazione, la sua posizione è corretta: è in sintonia con le indicazioni internazionali, europee e nazionali. Quindi, su questo argomento ci metteremo d'accordo: ho sentito un discorso di multiculturalità ed interculturalità, differenza importante che chiariremo al momento opportuno.
Lei, ministro, parla di dispersione scolastica; sono preoccupato quanto lei. Nel corso dei cinque anni almeno l'abbiamo abbassata di tre o quattro punti percentuali, ma ciò non significa niente, perché tra l'altro sono pochi. Ritengo che la dispersione scolastica sia dovuta ad una causa importante, che lei forse avrebbe dovuto sottolineare, ma che invece ha trattato sotto altri aspetti, in riferimento a don Milani e agli studenti poveri. In sessant'anni, l'unica riforma che la Repubblica italiana ha introdotto è stata quella del 1962, relativamente alla scuola media inferiore e agli organi collegiali. Ritengo che quella riforma sia stata la prima causa dell'abbassamento del livello culturale degli studenti della scuola media. Mi fa piacere che lei parli della valorizzazione degli studenti più bravi - in questo ci troviamo perfettamente d'accordo - ma quella legge prevedeva un abbassamento del livello culturale. All'epoca insegnavo non nella scuola media, ma in quella superiore e mi rendevo perfettamente conto che la scuola media costituiva una sorta di corpo estraneo tra quella elementare e quella superiore. I ragazzi della scuola media inferiore avevano infatti un livello di preparazione bassissimo ed incontravano grosse difficoltà nell'affrontare le materie degli istituti superiori, che non erano stati oggetto di modifica.
Il 25 per cento di dispersione negli istituti superiori, di cui lei parla, a mio parere è dovuto allo scarso approccio che gli studenti della scuola media inferiore hanno con quella riforma. Il valore del ragazzo non viene esaltato, ma appiattito. Pertanto, quella competizione, di cui lei parla e che condivido, avrebbe potuto determinare un attaccamento verso la scuola e la voglia di imparare, di andare avanti e crescere. Noi vi abbiamo messo le mani con la riforma che abbiamo delineato e che non vi piace.
Chiedo poi al ministro di spiegare il significato di quel passaggio della sua relazione in merito alla scuola di base e alla scuola media inferiore. Quando parla di collegamenti verticali e orizzontali, vorrei


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capire a cosa si riferisca: può darsi che lei abbia ragione, ma questi collegamenti sono già presenti nella riforma Moratti. Lei potrebbe intendere cose diverse, ma vorremmo renderci conto di quanto siamo distanti e di quanto invece potremmo essere vicini.
Per quanto riguarda il tempo pieno, lei ha criticato lo «spacchettamento», come lo definisce, del monte ore. Non ho sposato cause che devo difendere a tutti i costi, ma la scuola è rivolta ai nostri figli ed ai nostri nipoti; la situazione è talmente problematica e seria, che dobbiamo cercare di impegnarci tutti.
Ministro, a lei che parla di scuola-comunità, del coinvolgimento delle famiglie e degli enti locali, porto l'esempio concreto delle 40 ore settimanali, su cui in campagna elettorale è stato detto tutto e il contrario di tutto. Qui siamo tra persone serie e sappiamo che non si trattava di spese in più per gli studenti, le famiglie o gli enti locali, ma di una soluzione che consentiva il coinvolgimento delle famiglie nelle scelte da adottare nei confronti dei propri figli. Lei - e non mi è piaciuto - approfittando di questa circostanza, aggredisce gli indirizzi dello Stato e parla di autonomia scolastica. Invece, da quel punto di vista, la decisione del Ministero era più che corretta: il ministro, per fortuna, può dare gli indirizzi. Allora, si trattava di tempio pieno, quindi di tempo scuola e, pertanto, quale migliore occasione per ottenere il coinvolgimento della famiglia? Devo ammettere che gli organi collegiali avevano già cominciato a prevederlo inizialmente in maniera seria, anche se poi si è ridotto moltissimo. Signor ministro, dobbiamo rimettere mano agli organi collegiali perché si tratta di tematiche importanti.
Un collega intervenuto precedentemente - non lo conosco, quindi parlo con grande riguardo - ha detto che sono stati licenziati gli insegnanti di sostegno. Ringraziando Dio, non abbiamo licenziato, ma abbiamo aumentato il personale di circa 18 mila unità, con 8 mila assunzioni.
Ministro, sono d'accordo con lei quando afferma di voler arrivare alle 18 ore, ma è già previsto. Così come condivido la sua proposta di portare da 15 a 16 anni il limite di età per quanto riguarda il diritto ad entrare nell'attività lavorativa; a mio avviso, dovremmo portarlo a 18 anni. È un ragionamento che vi sto sottoponendo; comunque, condivido il problema, che lei ha posto bene e quindi, sono disponibile a discutere sull'argomento.
Per quanto riguarda la scuola secondaria superiore, lei ha effettuato due interventi: innanzitutto, ha procrastinato a 18 mesi e bloccato una sperimentazione che 60 scuole avevano richiesto di fare; poi, nella sua relazione, ha affrontato il problema degli istituti tecnici. Con grande rispetto, ministro, vorrei pregarla di fare attenzione, perché, altrimenti, incorreremo nello stesso errore compiuto dal legislatore cui si addebita la riforma del 1962, cioè abbassare il livello culturale. Non si tratta del tentativo di valorizzare la parte tecnologica e l'approccio al lavoro, ma di mortificare l'educazione, la preparazione umanistica e l'elevazione del ragazzo, dell'individuo, come elemento della società. Temo che quella impostazione potrebbe creare grandi problemi.
Condivido la sua idea di modificare gli esami di Stato, ma ad una condizione. Se lei pensa di inserire lo stesso criterio che veniva adottato prima della riforma Moratti, cioè i tre commissari d'esame, non solo non si risolverebbe niente, ma aggraveremmo la situazione. Io sono favorevole all'ipotesi di una commissione d'esame composta totalmente da membri esterni; si ritornerebbe così al passato, quando chi vi parla faceva il commissario d'esame.
Signor ministro, ho letto con molta attenzione la sua relazione ed alcune misure importanti sono in comune con quelle previste nella riforma Moratti: mi riferisco alla promozione ed all'elevazione della capacità individuale, al tema dei diversamente abili ed alle opportunità per quanto riguarda l'accesso. Lei ha sposato la premessa dell'Unesco, che costituiva la base di partenza della riforma Moratti: sapere, saper fare, saper essere.


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Come vede, vi sono molte idee in comune, signor ministro. Perché non ci ragioniamo sopra con la serenità necessaria ed evitiamo di intervenire con quel sistema che lei ha definito «di cacciavite», che è il peggior sistema che si possa seguire? Avrei preferito, signor ministro, che lei avesse dichiarato la sua contrarietà all'intera riforma e che avesse manifestato l'intenzione di ricominciare tutto daccapo. Invece, le «pecette» ed i tagli gettano la scuola nella confusione in cui si trovava prima.
La vorrei pregare, signor ministro - si sarà accorto che ho un tono diverso da quello usato in partenza -, di valutare con la necessaria serenità la vicenda della scuola italiana, perché tutti abbiamo a cuore le sorti dei nostri figli e siamo d'accordo su molte importanti tematiche. La ringrazio e mi dispiace di non poter ascoltare la sua replica, dovendo rientrare in sede con l'automobile.

CARLO COSTANTINI. Presidente, cercherò di essere molto breve. Certo, faccio fatica ad intervenire dopo il discorso dell'onorevole Rositani che conosco da poco, ma stimo tantissimo. Credo però di aver letto ed ascoltato una relazione diversa. Le conclusioni, in qualche modo, mi convincono che, forse, ho letto una relazione solo parzialmente diversa, nella quale ho visto, infatti, tanto coraggio, tante dimostrazioni di apertura, un modo nuovo di approcciarsi ad un tema così complesso, come quello della scuola.
Nella relazione è contenuta un'analisi oggettiva delle difficoltà e dei ritardi della scuola italiana, rinunciando esplicitamente a risalire alle responsabilità. Anzi, in alcuni casi vi è un riferimento, più o meno diretto, a responsabilità che risalgono ad epoche antecedenti all'ultimo Governo. Questa è un'assunzione di responsabilità, un segnale di apertura totalmente nuovo, con riferimenti a soluzioni che affermano il valore non solo quantitativo degli interventi, ma anche qualitativo, come ha accennato l'onorevole Rositani: il merito dello studente, dell'insegnante, della scuola.
Nella relazione è costantemente ribadita l'esigenza di seguire il metodo dell'ascolto e della concertazione, rinunciando al sistema delle decisioni calate dall'alto, che trovano perciò una resistenza solo nei confronti delle strutture territoriali. In più occasioni è stata affermata l'esigenza di partire dall'ascolto, dalla concertazione, dalla condivisione degli obiettivi, per poi avviare processi di riforma vera. Mi sembra un metodo nuovo e diverso rispetto al passato, perché non si tende a calare ed imporre soluzioni dall'alto, ma ad avviare una sorta di confronto costruttivo con i territori e - presumo - con le forze politiche presenti nella Commissione.
L'aspetto più interessante che caratterizza questa relazione, a mio avviso, è la rinuncia espressa alla prospettiva di presentare un'ennesima riforma. Il ministro Fioroni afferma di non voler presentare l'ennesima riforma e con questa assunzione di responsabilità tradisce la piena consapevolezza del fatto che gli obiettivi nella scuola, che vive un momento di grande difficoltà in Italia, non si raggiungono in tempi brevissimi. Lo hanno affermato tutti i colleghi che sono intervenuti prima di me: i risultati delle riforme nel campo scolastico si ottengono nel medio-lungo termine.
Considero quindi scorretto che ogni ministro presenti la sua riforma, perché ad ogni cambio di legislatura si correrebbe il rischio di aprire una controriforma e di gettare la scuola italiana nell'immobilismo, dal momento che - lo ripeto - i risultati non si raggiungono in tempi brevi. Un'affermazione come quella fatta dal ministro - «non sono qui a presentare l'ennesima riforma, ma ad affermare il metodo dell'ascolto, della concertazione e del dialogo» - rappresenta un grande elemento di novità, del quale dobbiamo farci carico all'interno di questa Commissione, sia noi rappresentanti della maggioranza sia i rappresentanti dell'opposizione.
Nel merito vi sono elementi di assoluto interesse, che fanno parte del programma dell'Unione: l'affermazione piena


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del valore dell'autonomia scolastica e della sua integrazione con i territori e con le autonomie locali, nonché l'affermazione dell'esigenza che la scuola torni ad assicurare la mobilità sociale. Sono indicati obiettivi, dei quali si è parlato negli interventi che mi hanno preceduto - non voglio quindi ripetermi - , che tendono al recupero di chi è rimasto indietro, dai diversamente abili ai figli degli immigrati, agli adulti.
È posto finalmente in primo piano il problema dei precari, non solo per il dramma che vivono i lavoratori, ma anche per l'affermazione del diritto degli studenti ad avere docenti stabili.
Viene affrontato in termini nuovi anche il rapporto con il bilancio del ministero, aspetto che mi ha colpito molto perché è veramente un fatto nuovo. Il bilancio del ministero non è più vissuto come un fatto passivo, che tende a coprire le falle e i buchi che ogni volta si determinano, ma come uno strumento di sviluppo, per l'identificazione e il finanziamento di obiettivi e per il monitoraggio dello stato di attuazione degli stessi. Questa credo che rappresenti la vera svolta, l'aspetto più positivo della relazione del ministro.
Tutti i temi, secondo me, sono trattati con la moderazione di chi ha la consapevolezza che intervenire in settori così delicati richiede cautela, prudenza, ascolto e condivisione.
Questa è la lettura che ho dato alla relazione del ministro, che non solo ho ascoltato, ma ho anche letto. A mio parere, il risultato maggiore è che il profilo del suo intervento predispone me e, credo, tutta la Commissione ad un atteggiamento propositivo, costruttivo e di ascolto, che parte dal confronto, ma che deve concludersi inevitabilmente con l'assunzione di una grande responsabilità.
Personalmente, chiedo al ministro di continuare su questa linea e con questo approccio e mi auguro che da parte dei componenti della Commissione vi sia sostegno. Anche l'onorevole che mi ha preceduto alla fine del suo intervento ha colto questi aspetti: gli ultimi 15 minuti del suo intervento sono stati caratterizzati da una serie di «condivido», anche se forse la partenza è stata un po' troppo brusca. Voglio però ricondurmi alla sua conclusione, che è stata di grande apertura, di grande assunzione di responsabilità. Cogliamo questi aspetti positivi, questa apertura al dialogo, questo modo nuovo di porsi del ministro nei confronti del Parlamento e diamoci da fare tutti insieme per il bene della nostra scuola!

FABIO GARAGNANI. Condivido ben poco di quanto affermato dal ministro, a differenza di alcuni colleghi dell'opposizione; in realtà condivido più quello che non è stato detto che quello che è stato detto. Noto un gioco delle parti rispetto a ciò che non ha detto il ministro e ciò che, invece, hanno rilevato esponenti della sua maggioranza, anche in riferimento alla caricatura della riforma Moratti (su cui non mi soffermerò: la collega Aprea e il collega Rositani ne hanno già evidenziato i punti fondamentali) che è stata fatta da molti colleghi dell'attuale maggioranza, snaturandone i contenuti fondamentali e presentando un approccio totalmente difforme dal vero.
Ribadisco solo un punto che mi pare fondamentale: la riforma che il Governo Berlusconi ha realizzato, che porta il nome del ministro competente e che noi, come maggioranza, abbiamo appoggiato, è il primo serio tentativo - non esente da critiche, da lentezze, forse da un attardarsi eccessivamente sul passato - di riformare radicalmente la scuola italiana, con i limiti oggettivi che ho evidenziato anche nella passata legislatura e che ripropongo in questa sede. Si tratta di limiti oggettivi derivanti anche dal non sufficiente coraggio in un'opera di reale pluralismo della scuola italiana. I condizionamenti politici e sindacali di fatto hanno impedito al ministro Moratti e al Governo di portare fino in fondo un'opera di riforma che doveva essere necessariamente attuata. Lo dico al ministro Fioroni, ma non mi illudo della sua comprensione: conosco l'orientamento della sua maggioranza in termini


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politici, però il rapporto tra scuola pubblica e scuola paritaria ed in genere il concetto di servizio pubblico scolastico si doveva e si poteva concepire in modo totalmente diverso. Su questo punto dobbiamo soffermarci.
È stata una riforma seria che ha cercato di innovare la scuola italiana, riformando certe abitudini inveterate, certe consuetudini, anche con alcune spinte innovative che forse non sono state colte sufficientemente.
Mi preme ribadire alcuni punti che contengono domande al ministro e osservazioni implicite. La prima osservazione riguarda il problema della legalità nella scuola italiana. Riattivando un numero di telefono verde che avevo già predisposto tre anni fa, ho raccolto materiale contenente numerosissimi esempi di continua e costante violazione delle principali leggi che presiedono alla scuola italiana. Nella mia regione, l'Emilia-Romagna, ma anche in altre realtà d'Italia, abbiamo vissuto in un clima di costante dispregio della legislazione scolastica vigente, in nome di un'ideologia che, molto spesso, mirava a demonizzare il Governo in carica e le sue principali realizzazioni.
Il suo attuale viceministro, signor ministro, nel gennaio di quest'anno ha esplicitamente invitato le scuole a boicottare la sperimentazione scolastica, nonostante fosse assessore regionale alla scuola ed alla cultura. Bisogna distinguere il ruolo del politico da quello dell'assessore, problema che ho posto in una interpellanza. Comunque, credo che uno dei problemi di fondo della scuola italiana sia il rispetto della legge, nonché l'applicazione di sanzioni quando sono necessarie e indispensabili per riportare ad uno stato di diritto una situazione di profonda illegalità, condizionata dall'arbitrio di molti dirigenti scolastici e dalla prevalenza della CGIL-scuola, tesa, spesso, ad esautorare le legittime autorità preposte alla libertà dei docenti. Nella scuola italiana i principi di libertà, di ancoraggio alla Costituzione, molto spesso non sono applicati, perché minoranze faziose e settarie impongono la propria visione.
Non mi illudo, ripeto, di una risposta positiva del ministro, ma ritengo che sia mio dovere civico porre questi problemi e lo farò, presentando denunce all'autorità giudiziaria o alle autorità scolastiche competenti. Questi problemi esistono e dobbiamo affrontarli. Buona parte del corpo docente - non tutto: vi sono tanti insegnanti validi - in questi anni si è qualificata per un'azione, non di ostruzionismo, ma di violenta disapplicazione della legge. I casi, al riguardo, sono tanti, ma la brevità del tempo che ho a disposizione non mi consente di andare avanti. Tuttavia, ritengo che dobbiamo porci questo problema, del quale mi farò carico e che rappresenterò al ministro con la segnalazione di casi particolari (sono tanti).
Il secondo problema riguarda la distinzione nella scuola fra cultura, approfondimento culturale, confronto ideale, politica ed ideologia. È indubbio che, se vi è un settore della società italiana in cui la politica viene intesa come ideologia e ha uno spazio rilevante, esso è la scuola. Su questo aspetto dobbiamo interrogarci, visto che si parlava di necessità di liberarsi da condizionamenti ideologici.
In realtà, siamo tutti condizionati da certe visioni della società, ma bisogna avere presente il rispetto della personalità del discente nei confronti di un docente che, molto spesso, si avvale della sua anzianità, cultura ed opinione politica per imporre determinate visioni della società, condizionando famiglie e studenti. Uno dei mali, se non il peggiore, della scuola italiana è la prevalenza dell'ideologia sulla visione culturale. Il decadimento della scuola italiana deriva proprio da questa prevalenza ossessiva dell'ideologia, portata avanti da sessantottini frustrati in cattedra - non voglio offendere nessuno, ma è ciò che penso e questo è il momento della chiarezza - o da altri, a volte anche ex terroristi. Certo, si tratta di casi limite, ma molto spesso l'ideologia di fatto ha prevalso su un'effettiva dimensione culturale della scuola italiana.
Non a caso, l'alto numero di bocciati denunciato nella mia regione evidenzia un


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fatto: nelle scuole, molto spesso, sono prevalsi alcuni slogan, parole d'ordine, rispetto ad una effettiva dimensione di crescita culturale delle giovani generazioni. Ognuno può avere le sue idee, anzi le deve avere ed il confronto deve essere garantito; ma sono numerosissimi i casi, soprattutto nelle scuole superiori e nelle medie inferiori, in cui il confronto non tiene conto della peculiarità del giovane discente, ma premia un'ideologia che sacrifica tutto, in nome di se stessa. Il ruolo di una parte del sindacato è molto grave a tale riguardo.
Credo che dobbiamo essere rigidi custodi della legalità, pur essendo all'opposizione, e, forse, il Governo Berlusconi ed il ministro Moratti su questo punto hanno fatto poco: gliel'ho rimproverato allora come adesso. Basti pensare a certe sciocchezze che vengono dette a proposito della Resistenza, della ricostruzione del dopoguerra e via discorrendo.
Un altro punto che voglio ricordare al ministro, punto al quale tengo molto, è che nella scuola italiana non vi è più la difesa della nostra tradizione culturale, della nostra identità e dei nostri valori. Questo non significa essere né razzisti né fautori di un nazionalismo esasperato, ma significa difendere l'orgoglio dell'appartenenza ad una tradizione culturale giudeo-cristiana, ad una tradizione europea. Oggi, invece, viene portata avanti una forma di relativismo culturale o di nichilismo assoluto - come direbbe Del Noce - che omologa tutte le culture, penalizzando la nostra e privilegiandone altre. Questo è tipico della mia regione, l'Emilia-Romagna, ma il fenomeno si sta diffondendo anche altrove ed è già diffuso in altre realtà. Credo che sia quanto di peggiore possa accadere ad un popolo. Alla scuola spetta il compito della formazione, ma se un cittadino, che deve essere orgoglioso dell'ancoraggio alle proprie radici e alla propria tradizione culturale, non viene formato, un domani che cosa diventerà?
Per quanto mi riguarda - più che da capogruppo di Forza Italia, parlo come deputato -, fra chi vi parla, lei - signor ministro - e la maggioranza che la appoggia vi è una contrapposizione totale. Mi rendo conto che, a volte, mi isola, ma lo ribadisco in questa sede, perché credo sia una battaglia di civiltà. Non possiamo rinunciare a questi presupposti culturali, che nella scuola italiana vengono non solo trascurati, ma violentemente misconosciuti, in nome di un'uguaglianza fra tutti che, alla fine, trasforma il tutto in un melting pot, in un meticciato. Uso la parola «meticciato» in modo proprio, non improprio. Alla fine, non si tutela neanche la personalità dei giovani studenti emigrati, che tutti vogliamo integrare, ma che, di fatto, penalizza la nostra ragione di essere, la nostra esistenza.
In Italia, vige uno statalismo giacobino nella scuola che non ha riscontro in altri paesi d'Europa, tranne la Grecia. Sono stanco di sentir dire che il sistema scolastico italiano ha le sue basi nella Costituzione. A parte che la Costituzione può essere modificata, perché tante sue parti non sono più attuali: la Costituzione deve essere concepita in un'ottica evolutiva e non di conservazione dell'esistente. Il sistema scolastico italiano uscirà da questa empasse soltanto il giorno in cui lo Stato garantirà ad una pluralità di proposte formative di competere nell'interesse del cittadino medesimo, il quale potrà scegliere tra di esse. Penso a varie offerte formative, garantite dallo Stato, paritarie e non, all'interno di regole comuni. Sgombro così il campo da alcune ipotesi, ad esempio, sulle scuole confessionali musulmane. A mio avviso, devono esserci delle regole, ma il livello culturale potrà crescere soltanto se vi saranno sistemi formativi contrapposti o in competizione, non in presenza di un monopolio di Stato come quello attuale che noi abbiamo cercato in parte di modificare senza riuscirci e che, di fatto, comprime la libertà di insegnamento e di apprendimento, abbassando il livello culturale.
Molti miei discorsi vanno anche oltre quelli che facciamo in questa sede. Non si tratta, a mio modo di vedere, di migliorare la legge Moratti o di metterci d'accordo


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sull'esistente, ma si deve andare oltre. Mi si potrebbe dire che è il libro dei sogni, che sono come don Chisciotte contro i mulini a vento, ma è ciò che penso e credo che l'esperienza europea dimostri lo stesso.
Tra l'altro, una legge di autentica parità non è circoscritta negli ambiti limitati della legge n. 72, ma è qualcosa che, ad esempio, stante anche la difficile situazione economica, si potrebbe realizzare, ipotizzando un passaggio degli insegnanti di Stato che desiderano un sistema diverso a carico dello Stato. Il sistema francese lo ha fatto da tanti anni ed è ottimo. Qui invece prevale l'ideologia laicista post-marxista che impone ancora un atteggiamento cattocomunista, di origine dossettiana. Non a caso è stato citato don Milani; io, invece, pur senza essere un componente di CL, citerei don Giussani, la cui esperienza è molto più originale, mentre le altre sono ormai trascorse e, a mio modo di vedere, non hanno fatto il bene della collettività e non possono farlo.
Credo che bisogna osare di più. Non mi illudo, signor ministro, che lei possa o voglia farlo, stante la linea giacobina della sua maggioranza su questa materia. Chiedo però almeno, da parte sua, ministro della Repubblica, di far rispettare la legge per come è configurata, di evitare abusi e forzature ed, eventualmente, di confrontarsi con noi a tale riguardo. Quando le saranno segnalati casi, e sono tanti, chiedo una sua reazione precisa.
Non lei, ma alcuni esponenti della sua maggioranza hanno fatto una certa confusione fra catechesi e religioni come cultura. Mi pare che l'insegnamento della religione sia facoltativo: gran parte degli studenti italiani l'ha scelto ed è un insegnamento che presuppone una catechesi. La legge attuale, quella del 19 febbraio 2004, fa riferimento esplicito alla religione cattolica. Io chiederei di essere molto più decisi e duri nell'insegnamento della religione cattolica, non nell'insegnamento delle varie religioni, che è cosa diversa e può essere compresa in altre materie.
La ringrazio per l'attenzione e mi riservo di farle avere un dossier corposo di tutti i casi di violazione della legge che spero non getti nel cestino.

PAOLA GOISIS. Rivolgo innanzitutto un saluto a tutti i presenti. Anche se ho già perso alcuni treni, questa sera mi sono trattenuta in Commissione perché ci tengo a dare il mio contributo, per quanto limitato.
Per ciò che concerne la questione del livello della scuola, si è parlato di attenzione nei confronti di coloro che hanno più difficoltà e che non riescono a stare alla pari con gli altri studenti. Tuttavia, a me sembra di intravedervi un equivoco, che risale alla legge che è stata citata oggi e che avevo già ricordato nei giorni scorsi in occasione di un'altra audizione: la riforma del 1962, che ha introdotto l'obbligatorietà della scuola media. Il principio è giusto, validissimo: tutti hanno il diritto ad accedere all'istruzione, alla scuola, all'educazione. Secondo me, però, è stato compiuto uno sbaglio molto importante: volendo portare tutti a fruire dell'istruzione, non si è tenuto conto (e qui noto anche una contraddizione) delle diversità. Da una parte, si vuole prevedere l'uguaglianza del diritto all'educazione, alla scuola, all'istruzione; dall'altra, non ci si rende conto che vi sono diversità enormi fra ragazzi che dipendono dal luogo di origine, dal substrato culturale, se c'è (molte volte non è così). Nei nostri paesi di campagna, infatti, spesso non esiste - o è molto difficile che vi sia - alcuna forma di cultura, educazione ed istruzione. Come è stato risolto questo problema? Con il concetto secondo cui scuola dell'obbligo vuol dire promozione per tutti. Ecco che si è arrivati a quella normativa, citata prima dagli altri colleghi, che prevede l'inserimento nella scuola superiore, con enormi difficoltà.
Si è così prodotta una situazione per cui i professori universitari sono costretti a tenere corsi di italiano - che sono previsti, non so se per legge o per scelta, all'interno degli atenei - perché i ragazzi che arrivano dalle superiori non sanno più


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scrivere: non conoscono più la sintassi e la grammatica. D'altra parte, le stesse difficoltà si notano anche leggendo i giornali: molto spesso, i giornalisti si trovano nelle medesime condizioni.
Faccio questo discorso per dire che, come notava prima la collega De Simone, gran parte del disagio e della difficoltà della scuola risiede proprio nel primo ciclo di studi. Portando tutti avanti o inserendo materie diverse - chiamiamole così - come educazione musicale o educazione fisica, che dovrebbero essere più semplici (quindi dovrebbero fare alzare la media dei voti), non ci si accorge che il livello della scuola, elementare prima, media poi e successivamente delle superiori e dell'università, decade inevitabilmente.
Cosa si potrebbe fare a questo proposito? Porto l'esperienza delle scuole private, intendendo per esse anche quelle gestite dalle organizzazioni religiose o le scuole cattoliche. Esse ricoprono una funzione enorme: riescono a supplire a certe situazioni di disagio sociale. Moltissimi ragazzi provengono da situazioni di enorme difficoltà e se non venissero accuditi con lo spirito di don Bosco - tanto per intenderci - rimarrebbero abbandonati a se stessi. Il problema della dispersione viene risolto con queste scuole, molte volte di carattere professionale, che organizzano corsi per dare un indirizzo a tanti ragazzi che, per vari motivi (questioni personali o relative all'ambiente in cui vivono), non sarebbero in grado di seguire un percorso di educazione e di formazione finalizzato ad uno sbocco professionale.
A questo proposito, mi allaccio al riferimento al biennio integrato. Esso non risolverà il problema dell'istruzione e non porterà questi ragazzi ai livelli a cui vorremmo condurli, ma è un modo per dare loro una possibilità. Non vogliamo chiamarlo «riscatto», sociale o culturale, ma intendiamo dare loro la possibilità di avere una professione che permetta loro di proseguire nella vita sociale, senza cadere nelle tentazioni della droga o in altre forme di disagio.
Vorrei aggiungere un'altra osservazione. Ho sentito dire che la scuola deve essere laica. Questo termine non mi piace molto: mi fa pensare alla multiculturalità, quasi come se si preferisse la multiculturalità alla nostra tradizione culturale. Mi sembra che oggigiorno multiculturalità voglia dire privilegiare le culture degli extracomunitari rispetto alla nostra. Non nascondiamoci dietro un dito: in nome della multiculturalità, assistiamo al decadimento del livello della scuola, anche superiore, laddove ci si viene a dire di inserire nella programmazione questi aspetti multiculturali.
A questo punto, darei un suggerimento: noi abbiamo duemila anni di storia che hanno un certo indirizzo e sono caratterizzati, volenti o nolenti, dalla cultura cristiano-giudaica. In nome della laicità o della multiculturalità, si vuole mettere un po' ai margini la nostra cultura per non mancare di rispetto e non offendere questi altri ragazzi che vengono a scuola (ne ho incontrati, quindi parlo con cognizione di causa). Si arriva cioè alla situazione nella quale si afferma che non si può studiare più Dante perché parla di religione cristiana, né la storia dell'arte che non è altro che l'esplosione della cristianità, della nostra cultura cristiano-giudaica occidentale. Come facciamo a studiare la nostra storia, che narra due millenni di guerre, di rivalità, di dialettica? In nome della multiculturalità e della laicità constato il pericolo di sentirci quasi colpevoli di sviluppare e portare avanti la nostra cultura, la nostra storia, le nostre tradizioni; altrimenti offendiamo gli altri.
Sono molto aperta alle nuove esperienze. Ho smesso di insegnare perché tale professione è incompatibile con l'incarico parlamentare, ma ho insegnato fino all'altro ieri e avevo studenti musulmani, non musulmani, marocchini e slavi. Senza mancare di rispetto a nessuno di loro, di mia iniziativa ho insegnato anche storia delle religioni e senza voler frenare o mortificare la nostra religione. Ho fatto imparare i brani della


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Divina Commedia anche ai ragazzi musulmani; ho fatto portare in classe il Corano e il Vangelo.
La mia preoccupazione, e quella della Lega Nord, è che, in nome della multiculturalità o della laicità della scuola, si venga a limitare ed a mortificare la nostra religione. Ritengo di dover approfondire questo aspetto in modo molto forte.
Per quanto riguarda la questione dell'autonomia della scuola, chiedo se la scuola pubblica sia in contrapposizione con quella privata. Scuola pubblica è sinonimo di scuola laica, mentre scuola privata è sinonimo di scuola cattolica, cristiana? Spero che non sia così, anche se concordo con la collega che prima ravvisava forme di prepotenza nella scuola. Anche io, infatti, ho assistito a forme quasi di prepotenza ideologica di una certa parte, a forme di oppressione da parte dei docenti, tanto che i ragazzi si sentono quasi costretti a dire di sì, ad aderire ad una determinata ideologia, mentre la loro posizione è tutt'altra. Questo avviene perché all'interno della scuola non c'è la libertà dell'insegnamento, laddove si registra la preminenza dei sindacati: della CGIL, ma a volte anche di altri.
Questa è una verità sacrosanta, non raccontiamoci barzellette! Credo che tutti i colleghi e tutti coloro che sono stati o sono insegnanti possano darmi ragione in questo senso.
Desidero rivolgere tanti auguri al ministro per il lavoro che deve affrontare. Confesso di non invidiarlo, perché è un lavoro molto importante e complesso.
Vorrei ora accennare alla debolezza della nostra scuola. Purtroppo, per tanto tempo non si è detto che l'elevamento dell'obbligatorietà delle medie, prima, e del biennio, poi, è un fenomeno che ha portato a considerare la scuola come un parcheggio. Tanti genitori non sanno dove inserire i ragazzi, ma l'importante è che stiano a scuola; bravi o non bravi, che studino o meno, non importa. Vi è un'altra questione molto grave che si riconduce all'abbassamento del livello scolastico, alla omologazione degli studenti. Tutti gli studenti diventano uguali, non importa che alcuni siano eccellenti; basta che siano tutti ad un certo livello, meglio se molto basso!
Per quanto concerne la questione degli esami di maturità, ho già avuto occasione di dire che la ritengo molto importante. Si dovrebbe riformare il sistema della valutazione. Forse gli ex insegnanti presenti non svolgono questo lavoro da tanti anni e non hanno avuto questa esperienza, ma, con riferimento ai criteri di valutazione, vi è la questione dei crediti e dei debiti. I ragazzi vengono valutati e si assegna loro un punteggio. Ad esempio, appena terminato l'anno scolastico, i ragazzi possono essere promossi con uno, due, tre o quattro debiti. Che cosa significa? Significa che sono promossi con l'illusione, l'equivoco e - dico io - l'inganno, sia per i ragazzi sia per le famiglie, che riusciranno a superare questi debiti nel giro di un mese o due, mentre l'anno successivo - ad esempio, in seconda superiore o nel triennio - avranno anche altre materie, quindi un carico di lavoro superiore. Nasce così un sistema perverso: se i ragazzi riescono a superare il famoso debito, viene attribuito loro un punto in più. Accade allora che gli studenti che hanno lavorato tutto l'anno, magari in maniera mediocre, ma arrivando alla sufficienza in tutte le materie, si vedono scavalcati nell'assegnazione dei crediti da coloro che hanno avuto tre o quattro debiti che poi, in qualche maniera, vengono sanati. Arriviamo cioè alla mortificazione di coloro che hanno studiato con volontà, forza e impegno: gli studenti che non hanno fatto niente ricevono un punteggio superiore a loro e, di conseguenza, agli esami di maturità ottengono voti migliori. Questo è il quadro che io, essendo fresca di scuola, sento di dover tracciare come contributo.
Chiedo scusa se ora devo allontanarmi, ma non vorrei perdere un altro treno...!

ANTONIO PALMIERI. Svolgerò solo tre considerazioni, perché gli interventi degli onorevoli Aprea, Garagnani, Rositani e Goisis sono stati ampi ed esaurienti.


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La prima considerazione è che a quest'ora si possono parafrasare soltanto I Giganti, in quanto l'ora è quella che è ed anche i deputati di Forza Italia notoriamente hanno un livello culturale che è quello che è. Se mi è consentita una confidenza, «mettete Fioroni nei vostri cannoni» e mi spiego. La campagna elettorale è finita e, come ho già detto in aula, siete temporaneamente al Governo. Invece continuate, come risulta anche nella relazione del ministro - in questo l'onorevole Rositani ha ragione - ad utilizzare un certo tono, distinguendo i buoni ed i cattivi, coloro che hanno a cuore il bene della scuola, dei ragazzi, delle famiglie e degli insegnanti (che sareste voi) e coloro che invece (saremmo noi) non avrebbero mai avuto a cuore il bene di queste persone, il futuro delle nostre generazioni italiane, di chi lavora nella scuola e delle famiglie. Non è più accettabile: la campagna elettorale è finita, l'opposizione per voi è temporaneamente finita, quindi non c'è motivo di continuare di questo passo.
In ordine a questo aspetto, l'onorevole Rositani aveva ancora ragione: se lo slogan è la serietà del Governo, lei avrebbe dovuto smettere di trattare la scuola come un campo di battaglia politica, ed avrebbe dovuto portare in questa sede dati statistici riferiti non solo ai cinque anni del nostro Governo, ma anche ai cinque anni precedenti. Poiché la riforma della scuola va avanti da tanto tempo e le innovazioni hanno bisogno di anni per mostrare i loro frutti, sarebbe stato interessante verificare i risultati delle varie iniziative intraprese nel corso degli anni. Sarebbe stato utile confrontarsi su dati, non su prese di posizione; su cifre, dislivelli, modifiche avvenute - ripeto - dopo 5, 10 anni e non su argomenti, come la reintroduzione dell'obbligo scolastico, quando, con il diritto-dovere, abbiamo innalzato - se vi piace la parola - l'obbligo scolastico a 18 anni, fino al conseguimento del diploma.
Da questo punto di vista, perché continuare con questo tono? Perché pensare di tornare indietro con un biennio uguale per tutti, con la quarta e quinta media, senza andare incontro ad un'impostazione di riforma, come ha detto l'onorevole Garagnani, che con tutti i limiti ed i pregi di ogni tentativo di riforma, si proponeva comunque di costruire una scuola che fosse, al tempo stesso, per tutti e di ciascuno, dove ognuno potesse trovare una risposta alla propria vocazione e fosse in grado di cambiare, qualora avesse verificato che la strada scelta era quella sbagliata?
È un rammarico da parte mia e da parte nostra non potersi confrontare sulle questioni, ma su un atteggiamento di scontro politico.
Lo stesso vale per la questione del rapporto degli insegnanti: non si parla di merito, di distinzione di ruoli e carriere tra chi lavora e si impegna e chi non lavora e non si impegna. Onore ai primi e demerito ai secondi! Non si dice di voler riprendere il tentativo che abbiamo fatto noi, fallendo, di distinguere nel contratto il personale ATA da quello docente: è sotto gli occhi di tutti che le responsabilità sono grandemente differenti. Non si parla delle assunzioni di ruolo, degli aumenti di stipendio. È come se la scuola cominciasse oggi, dopo il disastro del Governo Berlusconi, una volta insediati voi, che siete buoni!
Poiché non voglio essere richiamato dal presidente, svolgerò le mie ultime due considerazioni, attraverso alcune domande.
Anzitutto, signor ministro, a pagina 4 della sua relazione lei afferma che la scuola è l'anima laica della società. Cosa vuol dire «laica»? È un modo per dire che lei intende seguire il modello francese, con riferimento alla presenza e all'utilizzo di segni di pertinenza religiosa nelle scuole? Con «laica» intende affermare di essere dalla parte di coloro che non celebrano il Natale e che non fanno il presepio perché non vogliono urtare presunte suscettibilità? Nelle scuole del Regno Unito, al posto del Natale, si celebra la festa della luce, ma gli immigrati sono curiosi di conoscere la nostra tradizione e di capire cosa sono il Natale o la Pasqua. Allora cosa vuol dire «anima


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laica»? Come ha detto il Presidente Bertinotti nel suo discorso di insediamento, vuol dire che la nostra tradizione ha origine con l'illuminismo, con la rivoluzione francese? Certamente c'è stato il passaggio di don Milani, ma prima non c'è stato niente?
L'ultima considerazione è la seguente: a pagina 22 della relazione, lei fa riferimento alla privatizzazione familistica del curriculum. Avete portato in piazza la gente, le televisioni, comprese quelle del presunto dittatore mediatico Berlusconi, davano ampio spazio ai bambini, alle famiglie che manifestavano con cartelli che recitavano: «Rivogliamo il tempo pieno»! Se lei avesse esaminato le statistiche, avrebbe notato che le richieste, quindi le erogazioni di tempo pieno sono aumentate. Ma io mi chiedo cosa voglia dire privatizzazione familistica del curriculum! Se si intende riconoscere che, forse, un genitore è in grado di richiedere per il proprio figlio degli insegnamenti che giudica conformi al talento che mostra di avere, si tratta della privatizzazione familistica del curriculum? Non è, invece, il tentativo di dare una risposta per tutti, in termini di possibilità, e per ciascuno, in termini di offerta personale?
Su questi temi di fondo noi vogliamo confrontarci. Non faremo quello che avete fatto voi per due motivi, anzitutto perché non abbiamo la vostra organizzazione e la vostra presenza nelle scuole; il secondo motivo, quello principale, è che non intendiamo trasformare la scuola in un campo di battaglia politico, ma vogliamo svolgere un lavoro serio, di confronto sul merito delle cose perché ci teniamo alla scuola!
A nostro avviso, la scuola è pubblica nel senso previsto dalla legge n. 62, quindi vengono comprese le scuole gestite dallo Stato e quelle gestite dai privati e riconosciute come paritarie.
La preoccupazione è comune a tutti; mi rendo conto che alcune componenti della sua coalizione non possono smettere di avere un certo atteggiamento, un certo tono, ma credo che lei, in forza della sua storia personale e delle responsabilità che ha, sia obbligato a far cessare una guerra che voi avete impostato, che noi abbiamo subìto e che hanno pagato le famiglie, gli allievi e i docenti della scuola italiana!

ANDREA COLASIO. Non mi stupisce che il collega Rositani, che avrà modo di leggere il mio intervento, si scagli contro la riforma del 1962, ma che altri colleghi, di ben altra storia ed altra matrice, non si rendano conto che stiamo parlando della riforma di Gui. È abbastanza problematico, collega Garagnani. Se vi è un problema di sistema nel nostro paese, che l'amico Gui, tra l'altro padovano, capì perfettamente, è che se non si fosse avviata quella riforma, il nostro paese non avrebbe potuto governare le fasi della modernizzazione. Oggi prendiamo atto a livello comparativo del ritardo del nostro capitale culturale complessivo; ebbene, il ritardo comparato con gli altri paesi europei nasce proprio dal ritardo con cui si arrivò alla scuola media unica.
Precedentemente c'era l'avviamento professionale, come ben ricorderete; prima ancora si chiamava «scuola di scarico», termine orribile coniato dalla riforma Gentile, che di fatto delineava un modello di darwinismo sociale che, francamente, poco ha a che vedere con i valori che ispiravano la riforma voluta da Gui.
Nella relazione del ministro si fotografa la realtà con grande onestà intellettuale. In essa non ho letto dichiarazioni di guerra, ma piuttosto un ponte teso alla scuola e anche a voi di opposizione, ma o non volete capirlo o non volete assumere l'onere di condividere alcuni importanti passaggi. Nella relazione si prende atto con grande onestà politica delle posizioni critiche delle opposizioni in questi ultimi cinque anni rispetto a una riforma «di sistema», che avete evocato, ma non praticato. Se vogliamo essere onesti - a me piace la chiarezza nei rapporti politici - cominciamo dalla prima legge finanziaria. La legge n. 23 del 1996, il vostro primo atto, fa sparire 60 miliardi come limite di


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impegno per l'edilizia scolastica. E venite qui a parlare di interventi sull'edilizia scolastica?
Per quanto riguarda l'autonomia scolastica, evocate impropriamente l'articolo 21: si tratta caso mai del decreto del Presidente della Repubblica n. 275, che di fatto, fortunatamente, come dice il ministro, è stato costituzionalizzato. E per fortuna, perché comunque avrebbe posto un freno ad un certo delirio ideologico! L'autonomia scolastica è una grande conquista, un punto strategico di non ritorno, su cui il ministro Fioroni ha saggiamente individuato fasi evolutive. Autonomia scolastica - mi dispiace che non sia presente la collega Goisis - significa tenere rapporti con i territori, definendo ed incrociando la domanda dei territori e l'offerta formativa. Significa, lo dico al collega Garagnani, corresponsabilizzazione della comunità educante.
Devo ricordarvi cosa avete fatto sugli organi collegiali? Dov'è la genitorialità? Avete eliminato il presidente del consiglio di istituto, che non era più il genitore. Invito il ministro Fioroni a valutare attentamente la necessaria definizione degli organi collegiali. Abbiamo lavorato e definito un processo innovativo e mi riferisco agli organi dell'autonomia dell'autogoverno scolastico. Questo è un terreno condiviso, nel senso che voi stessi avevate preso atto di una inefficacia e sottorappresentanza - vi ricordo l'iter di quel provvedimento trasmesso in aula, poi fortunatamente tornato in Commissione - delle varie componenti del sistema scolastico.
Devo continuare? Sì, devo farlo. Voi evocate una riforma ed erroneamente parlate di incremento di risorse. Di quali risorse parlate? Degli 8.360 milioni di euro che avete evocato per tre anni, che il Consiglio dei ministri del 12 settembre 2003 ha evocato come impegno strategico programmatico? 4.200 milioni di euro erano a regime, gli altri - ve lo ricordo - dovevate reperirli di legge finanziaria in legge finanziaria! E venite qui a parlare di incremento delle risorse? Dei 4.200 milioni di euro che avete evocato, amici, ne avete recuperati 200 in finanziaria!
Credo che occorra un po' di serietà: quando si assumono e si evocano riforme di sistema, se ne pagano le conseguenze. Il ministro Fioroni si è ben guardato, molto saggiamente, dall'evocare una riforma di sistema: ha affermato di non avere questa pretesa, limitandosi a definire, molto più laicamente politiche di correzione al margine. Mi sembra che la scelta strategica sia corretta: ha focalizzato, dal mio punto di vista, i grandi problemi della scuola italiana.
Il capitale complessivo del paese è in ritardo rispetto alle grandi democrazie europee. Noi abbiamo la metà dei diplomati della Germania; il nostro tasso di scolarizzazione è del 40 per cento per quanto concerne i diplomati, contro l'80 per cento della Germania ed il 65 per cento della Francia, caro collega Garagnani. E questo, purtroppo, affonda nel ritardo con cui si avviò la riforma della scuola media unica. Il ritardo si evidenzia anche per quanto concerne i laureati: siamo all'8-9 per cento, mentre i valori di Francia e Germania sono superiori al 20 per cento.
Qual era, dunque, la nostra critica di sistema alla cosiddetta riforma Moratti? Era il fatto che non traguardava, come ricordava la collega Sasso, l'obiettivo, fissato per il 2010, per quanto riguarda la Strategia di Lisbona, vale a dire l'Europa come grande società della conoscenza. Se non aumentiamo le competenze cognitive complessive del paese, non saremo in grado di governare i processi post-fordisti. Lo dico al collega Palmieri, sempre molto attento a questi temi. Lo si fa con la regressività, tornando alla scuola di scarico, all'avviamento professionale? Ci preoccupava, e ve l'abbiamo sempre detto, una canalizzazione precoce, ma non in chiave ideologica, che avrebbe ridotto le competenze cognitive.
Voi che siete esperti di analisi comparata - lo dico al collega Palmieri - sapete benissimo che le ricerche PISA ci dicono che i sistemi più efficienti e più equi sono


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quelli comprensivi, che, senza soluzione di continuità, garantiscono un processo formativo fino a quindici, sedici anni. Si tratta dei sistemi nordici che hanno saputo coniugare efficienza ed equità. Noi scontiamo un grandissimo ritardo e, purtroppo, la riforma Moratti era regressiva: non faceva alzare il capitale culturale. Di fatto, era in ritardo rispetto alla riforma della scuola media unica, considerati i quaranta anni che ci dividevano dall'Italia della prima modernizzazione. Questo è il problema politico.
Oggi il ministro Fioroni dice una cosa molto saggia: pragmaticamente, dobbiamo traguardare l'obiettivo della crescita del capitale culturale complessivo, ma stando attenti che il biennio informativo sia integrato. Mi fa piacere che la collega Goisis abbia percepito questo aspetto, come pure il collega Rositani. Se decliniamo un processo curricolare attorno a discipline generali di indirizzo, rischiamo di incrementare la dispersione scolastica.
La nostra grande preoccupazione, amici, non è dare risposte ideologiche, ma fornire risposte pragmatiche. Il limite vostro e della riforma Moratti è aver fornito una risposta troppo carica ideologicamente. La scuola è un grande sistema complesso e ha bisogno, collega Garagnani, di interventi non connotati ideologicamente. La scuola è il luogo della neutralizzazione del conflitto o perlomeno dovrebbe esserlo. Pertanto, è evidente che se il 25 per cento dei ragazzi in età tra i quattordici e i diciotto anni, con scansioni temporali diverse, esce dal sistema, è un problema!
Come si afferma nella relazione, focalizziamo le criticità! Quante regioni - lo dice benissimo il ministro Fioroni - hanno attivato, ad esempio, l'anagrafe dell'obbligo? Non tutte, e non vi sto a dire quali non l'hanno fatto, ma ve lo lascio immaginare e vi sono seri problemi al riguardo.
Esistono grandissimi problemi anche rispetto ad un'altra questione che mi sta a cuore. Spesso evochiamo l'universalità del diritto all'istruzione; il vero problema, ministro Fioroni, è che questa universalità purtroppo è disomogenea per aree territoriali. La Lombardia presenta standard qualitativi eccellenti rispetto al modello europeo; molte regioni meridionali - diciamolo con chiarezza - hanno una qualità dell'offerta formativa, nel rapporto domanda-offerta, fortemente penalizzante e lo confermano tutti gli indicatori.
Voglio essere ancora più chiaro. Prima rimproveravo la devolution scolastica, ma, se aveste saputo intelligentemente valorizzare la riforma del Titolo V della Costituzione, invece di far finta che non ci fosse, insieme all'autonomia scolastica, questa avrebbe potuto rappresentare il modello di risposta flessibile. Il nostro sistema scolastico ha bisogno - e con l'autonomia scolastica abbiamo iniziato a destrutturarne la logica piramidale - di risposte flessibili: mi riferisco all'autonomia scolastica, alla sentenza n. 14 del 2004, che ci dice che con la riforma del Titolo V si possono cominciare a delineare degli organici regionali. Il che vuol dire una forte attenzione alla domanda dei territori ed è la strada verso cui comunque dovremmo procedere.
Come sostiene il ministro Fioroni e come hanno ricordato le colleghe De Simone e Sasso, stiamo attenti ad una variabile strategica che, purtroppo, voi avete evocato. Ad esempio, avete meramente evocato la generalizzazione della scuola dell'infanzia. Vi ricordo che quando si discuteva della legge n. 53, fu l'ANCI a dirvi di fermarvi e di non fare certe affermazioni, in mancanza di copertura. Come ben sapete, la generalizzazione della scuola dell'infanzia significava avere delle risorse, che lo Stato non metteva a disposizione dei comuni. Nel passaggio in Commissione bilancio vi si disse di stare attenti, perché mancava la copertura finanziaria per quella legge. Fu per tale motivo che si rinviò di legge finanziaria in legge finanziaria. Però, il quantum l'abbiamo verificato.
Trovo veramente sconcertante il fatto di non assumere l'autonomia scolastica


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come principio di sussidiarietà, cari colleghi Garagnani e Palmieri. Noi l'abbiamo praticato, voi cosa avete fatto?
Nella sua relazione, ministro Fioroni, non mi convince un passaggio in cui lei afferma di capire quali possono essere state le cause della riduzione della legge n. 440. Le conosciamo: non avete compreso quanto sia centrale l'autonomia scolastica. La legge n. 440 riguarda l'arricchimento dell'offerta formativa: era lo strumento operativo con cui si davano dotazioni e risorse agli istituti.
Ho molto apprezzato, invece, la variabile strategica che non si era compresa la centralità dell'autonomia scolastica, tant'è vero che la quota regionale che avete evocato nella legge n. 53 e che avreste voluto costituzionalizzare con la devolution secondo noi contrastava con l'autonomia scolastica, perché introduceva un principio ideologico e sbagliato di quota regionale. Bene ha fatto il ministro Fioroni a portare il vecchio decreto ministeriale n. 134 dal 15 al 20 per cento per quanto riguarda l'autonomia scolastica. Questa è la strada giusta: incrementare l'autonomia scolastica.
Dopodiché, cari colleghi, le modalità con cui si garantisce non solo l'accesso, ma il successo scolastico, sono correlate al capitale culturale della famiglia, al reddito, al territorio; bisogna mettere in moto una molteplicità di attori. La strategia della concertazione vuol dire proprio questo: se non mettiamo in moto una molteplicità di sistemi locali, difficilmente riusciremo a garantire una qualità dell'offerta formativa.
Le vostre rigidità ci spaventano. Ripeto, non ho intravisto rigidità politiche o volontà di dichiarazioni di guerra, ma ho notato una grande sensatezza nel fotografare e radiografare le criticità di un sistema, che in parte sono imputabili a vostre scelte sbagliate (il tempo pieno, il tempo prolungato, l'eliminazione dell'organico funzionale) che hanno ridotto l'autonomia scolastica.
Al tempo stesso, con grande onestà, il ministro Fioroni individua nel nostro sistema scolastico alcune criticità di lungo periodo. Guai a noi se considerassimo il sistema scolastico solo come scatola nera, come elemento di conversione: il ministro Fioroni parla giustamente di comunità. Dobbiamo lavorare sul risultato e sul processo, ma non dobbiamo sottovalutare le professionalità che compongono questa scatola nera. Il precariato rappresenta un elemento di crisi del sistema, perché non garantisce la continuità didattica, che costituisce il vero problema.
Per quanto concerne il tema dei diversamente abili, credo che possa esservi un grande terreno di intesa.
Vi è poi il punto delicatissimo dei 300 mila ragazzini extracomunitari, a cui il nostro sistema ha garantito certi livelli formativi. Inopinatamente, almeno da noi in Italia, si parlava di ragazzini di seconda generazione, ma in realtà sono di terza o quarta generazione. Qual è il problema? È che noi non siamo un paese a matrice coloniale, ma rischiamo di esserlo tra quindici, venti o venticinque anni. O affrontiamo il problema dell'integrazione e dell'inclusione con categorie ideologiche, oppure approntiamo una strategia fortemente inclusiva che sappia far sì che la scuola sia un grande vettore di inclusione.
La scuola come la intendeva l'amico Gui era un'altra cosa. Lo dico a voi, amici di Forza Italia, in particolare al collega Barbieri dell'UDC: la scuola era il grande democratizzatore. So che a voi piace poco sentir parlare di pari opportunità, tanto che il premier Berlusconi nel confronto con Prodi ha quasi connotato negativamente il fatto che il figlio dell'operaio dovesse avere le stesse chance di chi non lo è, ma francamente non è così. Noi fortunatamente apparteniamo ad un'altra tradizione e siamo convinti che la scuola funziona se riallinea le opportunità, se rimette in gioco i talenti. Crediamo che questo sia il percorso, il terreno su cui continuare a definire una strategia di crescita complessiva del paese.
Concludendo, signor ministro, credo che la sua analisi costituisca una fotografia reale e rigorosa dei punti di criticità, ma anche delle grandi potenzialità che


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ancora attraversano la scuola italiana. Non possiamo quindi che essere con lei, sostenerla ed augurarle sentitamente buon lavoro.

EMERENZIO BARBIERI. Mi dispiace che la replica del ministro Fioroni si svolga in una seduta di Commissione in cui sono rimasti pochi «superstiti». Per la verità lo dico più all'opposizione che alla maggioranza: se pensiamo di fare opposizione con la presenza di quattro su ventuno deputati in sede di Commissione, credo che Prodi possa dormire tranquillo per cinque, forse dieci anni.
Non ho fatto gli auguri a nessun ministro che abbiamo ascoltato, ma mi sento in dovere di formularli al ministro Fioroni per il ruolo che ricopre. Rispetto ad altri ministri che abbiamo audito (mi riferisco in modo particolare al ministro Rutelli e al ministro Melandri), sono molto critico nei confronti della relazione del ministro Fioroni - come tenterò di dimostrare -, ma almeno un manifesto di intenti esiste (cosa che non ho colto né nel ministro Rutelli né nel ministro Melandri); è un manifesto di intenti che ha una sua logica, una sua determinazione.
Ministro Fioroni, non la penso come la sua collega Bindi: non credo che lei faccia il ministro dell'istruzione perché ha più tessere della Bindi. Anche perché ad avere più tessere della Bindi non si fa fatica e non è un merito, considerato che, da quando ha cominciato la sua carriera, grazie a Bernini, presidente della regione Veneto, ha fatto certe cose!
Provenendo dalla scuola di un grande leader della Democrazia Cristiana che lei ha conosciuto, Donat-Cattin, mi fa piacere che lei sia ministro dell'istruzione: guai se un medico facesse il ministro della salute o se un professore facesse il ministro della scuola!
Questo dibattito - credo di aver ascoltato la pluralità degli interventi della maggioranza e dell'opposizione - ha risentito di un grandissimo limite che non riguarda il Governo, e quindi il ministro Fioroni, ma il Parlamento, maggioranza ed opposizione. Qualcuno è intervenuto nel dibattito, anche a lungo, non per contestare la relazione del ministro Fioroni, ma per spiegare la bontà delle iniziative legislative del Governo Berlusconi. Ma se non dimostriamo che 24.745 voti possono essere ribaltati, è inutile che rimpiangiamo il tempo che fu e che non c'è più. Oggi c'è un altro Governo, un'altra maggioranza!
Specularmente, da parte di alcuni colleghi della maggioranza si è evocato tutto quello che, a loro giudizio, era sbagliato nell'impostazione dei cinque anni del Governo Berlusconi.
Se la relazione del ministro Fioroni ha un pregio, è quello di avere fatto giustizia di questo schema. Il ministro Fioroni ha spiegato in modo molto brutale, piaccia o non piaccia, che cosa intende fare. Il collega Costantini ha detto di aver ascoltato e letto la relazione; anch'io l'ho ascoltata e letta. Lo ripeto: se questa relazione ha un pregio, è che non c'è una riga o una pagina nella quale il ministro Fioroni affermi di voler contrastare la riforma Moratti. Il ministro Fioroni ignora la riforma Moratti e il Governo Berlusconi, ed illustra quello che vuole fare più in termini di intenti che di proposte concrete.
All'amico Colasio dico che fa bene a citare l'onorevole Gui; però deve ricordare tutto, compreso quando, in questa piazza, coloro con i quali oggi l'onorevole Colasio è alleato sostenevano che l'onorevole Gui era responsabile delle tangenti Lockeed. Vorrei che ciò non sfuggisse, altrimenti citiamo i fatti sempre a metà tra la verità e l'opportunismo. Come l'onorevole Colasio saprà, un grande rivoluzionario, che risponde al nome Lenin, diceva che il moralismo è l'anticamera dell'opportunismo. Quindi, è sempre bene non dimenticare queste cose.
Entriamo nel merito della relazione del ministro Fioroni. Vi colgo alcuni grossi limiti, che mi permetterò di enunciare in termini molto corretti.
Mi dispiace che non sia presente, ma ha ragione il collega Rositani a citare i piccoli partiti. Capirei se me lo dicessero L'Ulivo o Forza Italia, ma mi è stato detto


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da un partito che ha l'11,8 per cento rispetto al nostro 6,8 per cento. Comunque, il collega Rositani, dimostrando grande stile, interviene e poi se ne va, tanto per non saper né leggere né scrivere.
Dalla sua relazione, ministro Fioroni, colgo anzitutto una grande preoccupazione. Conosco la scuola dalla quale lei proviene, che non è molto distante dalla mia. Quando lei nella sua relazione insiste ripetutamente sulla necessità di ascoltare chi vive la scuola e la fa concretamente, mi viene un grande dubbio, ma soprattutto esprimo una grande preoccupazione. La scuola non può essere gestita da chi vive con lo stipendio della scuola. Per essere più chiari, il Governo di cui lei fa parte in questi giorni ha strombazzato il fatto che il decreto Bersani distrugge le corporazioni perché aiuta i consumatori. Ministro Fioroni, lei ascolti studenti e genitori, non gli insegnanti, che sono come i ferrovieri: sono coloro che vivono con lo stipendio della scuola. Se vuole essere coerente con l'impostazione di questo Governo, è suo dovere ascoltare i consumatori! E i consumatori della scuola sono gli studenti e le famiglie, non gli insegnanti!
Quando le leggo, mi accorgo che le mie e-mail sono inoltrate a tutti i colleghi. Ogni giorno riceviamo decine di e-mail di qualcuno che dice di aver frequentato la SSIS e di non avere il punteggio, oppure di essere stato piazzato come insegnante a Ustica. Non c'è nessuno di costoro, con un nome ed un cognome, che ponga un problema di carattere generale: pongono il problema della loro convenienza.
Oggi ho avuto una giornata terribile: ho dovuto anche occuparmi dell'episodio degli escrementi davanti agli uffici di Italia dei Valori; figuratevi in che condizioni sono. Vi prego quindi di non interrompermi.
Il ministro Fioroni ha capito di cosa intendo parlare. Ho il timore che vi siano corporazioni che si occupano attivamente di mettere le mani sulla scuola.
Veniamo alla seconda questione che intendo porle, ministro. Lei ha ragione nel parlare di una cosa di grandissimo interesse: mi riferisco alla «mortificante precarietà dei modesti livelli retributivi». Signor ministro, cosa intende fare per modificare la mortificante precarietà dei modesti livelli retributivi? Oggi ho ascoltato, o meglio ho letto, l'audizione del suo collega ministro dell'economia e delle finanze. Se le agenzie hanno trasmesso bene, il ministro Padoa Schioppa ha detto che non c'è trippa per gatti: soprattutto il pubblico impiego si scordi di avere aumenti. Ministro Fioroni, che cosa è in grado di dire ai «superstiti» di questa Commissione rispetto ad un'analisi che io condivido, con riguardo ai modesti livelli retributivi?
Terza questione: credo che aver distrutto il MIUR sia stato un colossale errore. Lei che, come me, proviene dalla stessa matrice politico-culturale, sa che fin dagli anni sessanta la Democrazia Cristiana poneva il problema dell'unificazione in un ministero unico della pubblica istruzione, della ricerca scientifica e dell'università. Non faccio polemica, che sarebbe da un lato banale, dall'altro scontata, ma il fatto di aver voluto dividere questo ministero per accontentare la sinistra diessina, per darla vinta al ministro Mussi, è un errore strategico colossale, che fa da pendant all'errore che commettemmo nel 2001, quando, contravvenendo alla legge Bassanini, tornammo a mettere in piedi il Ministero della salute e quello delle comunicazioni, cosa che io non avrei fatto. Signor ministro, è un errore: in capo al suo dicastero dovevano rimanere l'università e la ricerca. Non c'è persona non schierata che non riconosca come questo fosse un aspetto fondamentale. È un errore gravissimo che questo Governo ha compiuto e che andava evitato.
La quarta questione è la seguente. La penso in modo diametralmente opposto - non è una novità - al collega Colasio: non sono per niente d'accordo sul fatto che lei scriva che non vuole elaborare la riforma complessiva del sistema. Ha ragione quando dice che non vuole elaborarla perché non vuole legarvi il suo nome e di questo le do atto per l'assoluta onestà intellettuale. Ma un Governo che ha la pretesa di durare cinque anni ha il dovere


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di spiegare al Parlamento e agli italiani a che tipo di scuola pensa. Dichiarare quindi di non pensare di elaborare una riforma complessiva del sistema è un errore. A mio giudizio, lei ha il dovere di dire a noi e agli italiani a che tipo di scuola pensa: ciò consente un dibattito che non è legato al fatto che al CSA di Reggio Emilia - la mia città - da quando è cambiato il Governo si ricevono più volentieri gli esponenti di Rifondazione Comunista che quelli dell'UDC. Non me ne importa nulla, tanto so molto bene che le cose vanno così in Italia: il mio maestro politico diceva che è molto più facile che cambi idea un pubblico dipendente che un operaio. Sono rimasto legato a questa idea: è molto più facile che un operaio della FIAT resti democristiano, che non un insegnante, che corre dietro alle convenienze. Però lei ha il dovere di spiegare a quale tipo di riforma della scuola sta pensando.
Quinta questione. Signor ministro, quando ho letto che lei sostiene che nei quartieri metropolitani più difficili l'esperienza comunitaria in molti casi costituisce il presidio più importante contro l'isolamento e la solitudine urbana, ho ricavato la convinzione che lei pensi alle eccezioni, non alla regola. Non so cosa accade a Roma di venerdì, sabato e domenica sera perché in quei giorni non ci sono, ma la prego di rendersi conto di cosa accade al nord. Non a caso lo giustifica come titolo di merito, ma per me non lo è. Venga a vedere le città dell'Emilia-Romagna il venerdì sera, il sabato sera e la domenica sera: sono una tragedia. Siamo distrutti dall'immigrazione selvaggia; non c'è un ente locale in grado di contrastare tale fenomeno. Nelle nostre città - credo che il collega Garagnani, essendo bolognese, possa confermarlo - accade esattamente l'opposto rispetto a quello che lei scrive nella sua relazione: non c'è integrazione, la prego di credermi, signor ministro. Siamo di fronte a una situazione nella quale i ghetti, intesi da tutti i punti di vista, sono ancora esistenti e permanenti.
Non so quale sia la verità rispetto alla storia Zidane-Materazzi, però oggi leggendo i giornali mi ha drammaticamente colpito una cosa, e qui prevale molto di più la mia anima cristiana. Se anche fosse vero ciò che Materazzi ha detto a Zidane e che Zidane ha riferito nelle due conferenze stampa di ieri (lo avete letto sui giornali), mi pongo un grave problema di coscienza: giustificare Zidane. Se fosse vero che Materazzi ha offeso la sorella e la madre di Zidane, allora lo schema francese è fallito, come d'altra parte dimostra anche la rivolta delle banlieues.
In Italia che schema proponiamo? Ministro Fioroni, lei ci dice che la seconda lingua è l'italiano. Sono in dissenso radicale: la prima lingua è l'italiano. Per coloro che frequentano le scuole italiane, la prima lingua deve essere l'italiano e devono impararlo bene. Se non vogliono impararlo, li si carica e li si rimanda al loro paese d'origine. Non mi interessa se hanno due mesi o vent'anni, tornino a casa loro, ma la prima lingua deve essere l'italiano. Non posso accettare, signor ministro, che gli enti locali in Emilia-Romagna spendano fior di milioni di euro per lo svolgimento di corsi di arabo. Che senso ha fare corsi di arabo? Si devono organizzare corsi di italiano per gli arabi, non corsi di arabo per i figli degli immigrati arabi che vengono in Italia! Per rimanere in Italia devono assolvere ad un dovere prioritario: imparare la lingua del paese nel quale vivono. Devono quindi andare a scuola, parlando l'italiano.
Signor ministro, lei lo sa molto bene: presumo che la sottosegretario Bastico - che tale è stata nominata dopo i disastri e i danni incommensurabili che ha provocato in Emilia-Romagna, ma so per certo che lei non ha alcuna responsabilità al riguardo - le avrà fornito i dati relativi ad un comune della mia provincia caratterizzato dalla percentuale più alta in Italia di bambini, figli di immigrati extracomunitari che frequentano le scuole elementari. Nel comune di Luzzara, infatti, il 38 per cento dei bambini che frequentano le scuole elementari è figlio di immigrati extracomunitari. Bisognerebbe avere un insegnante


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per il cinese, uno per l'arabo, uno per l'ucraino e così via. Secondo voi, si può vivere in un paese del genere? Onorevoli Costantini e Colasio, come si fa ad immaginare una cosa del genere? Non è immaginabile, non è sostenibile!
L'italiano deve essere non la seconda, ma la prima lingua. I figli degli immigrati devono imparare l'italiano: è la conditio sine qua non per rimanere nel nostro paese, altrimenti che tornino a casa loro! I discorsi pietistici non mi interessano: ripeto, se non imparano l'italiano, devono tornare a casa loro.
Vorrei che non sfuggisse - mi rivolgo all'onorevole Colasio, un uomo che ha studiato - che, quando nel 1912 i nostri immigrati arrivarono alla famosa isola di New York, era prioritario imparare l'inglese, altrimenti dovevano tornare a casa e lo facevano in certe condizioni: li rimettevano non sulla nave, ma dove si sbatteva il carbone per far muovere la nave. Lo schema al quale penso è esattamente questo, ed è fatto di grandissima civiltà.
Passo alla sesta questione. Ministro Fioroni, mi deve spiegare il seguente slogan: «la scuola può diventare l'anima laica della società». Non l'ho capito, non so proprio cosa voglia dire. Ritengo che nello scrivere questa affermazione abbia ceduto alla sottosegretario Bastico. Per me, la cosa in sé è drammaticamente negativa.
Per quanto riguarda gli organi collegiali, vorrei ricordarle, signor ministro, che nella precedente legislatura eravamo arrivati ad un testo dell'onorevole Bianchi Clerici, attuale consigliere di amministrazione della RAI, che pur suscitando delle obiezioni nella struttura era abbastanza condiviso. Perché non ripartiamo dal testo dell'onorevole Bianchi Clerici per portare avanti la riforma degli organi collegiali?
Vengo all'ultima questione. Lei scrive che il diritto all'istruzione deve essere indipendente dal luogo in cui alle persone sia capitato di nascere e di risiedere. Sono totalmente d'accordo con lei, a patto che comprendiamo cosa sia il diritto all'istruzione. Il diritto all'istruzione deve essere così come viene riconosciuto ai nostri ragazzi. Per quale motivo dobbiamo avere realtà e situazioni nelle quali, con la scusa del multiculturalismo, di fatto ghettizziamo? Signor ministro, si rende conto di cosa vuol dire tenere corsi di cinese a Prato o a Reggio Emilia? Vuol dire ghettizzare ulteriormente queste comunità. Dopo i fallimenti francese, del Regno Unito e olandese, non è possibile che non ci rendiamo conto che la ghettizzazione è di fatto la conseguenza logica del multiculturalismo. In che modo ci si integra?
In questi giorni, e concludo, ho letto della vicenda personale di Zidane, che è francese a tutti gli effetti: è figlio di coloni francesi che abitavano in Algeria, ma ha lingua e cultura francesi. Questa è l'integrazione! L'altro giorno ho ascoltato un'intervista del suo collega Ferrero - che non so neanche di cosa sia ministro: della solidarietà sociale, un Ministero che esiste solo nella fantasia di questo Governo - e sono rimasto allibito quando ha affermato che l'integrazione avviene nel rispetto delle diverse culture. Ma cosa vuol dire?
Lei ha un dovere, ministro Fioroni, perché - se mi consente - come parecchi di noi, anche lei è cristiano. Mi dispiace che, nell'evocare le radici comuni dell'Europa, nella sua relazione scritta non abbia mai usato l'aggettivo «cristiano». Do per scontato che sia stata solo una dimenticanza, non certamente una volontà politica. Però, se è vero che in questo paese, in questo continente, le radici sono cristiane - ci aggiungiamo l'aggettivo «giudaiche» tanto per far contenti, ma sono cristiane - abbiamo un dovere: spiegare a chi viene in questo continente e in questo paese che si parte da questi presupposti.
Credo che se ci si muove su questa linea, si può pensare di ottenere risultati positivi. Non voglio coinvolgere Forza Italia, Alleanza Nazionale e la Lega, che sono presenti in questa Commissione, ma per quanto riguarda l'UDC, se lei si muoverà su questa linea, da noi avrà contrapposizione ma con un apporto leale e sincero!


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALBA SASSO

PRESIDENTE. Do ora la parola al ministro Fioroni per la replica.

GIUSEPPE FIORONI, Ministro dell'istruzione. Vorrei anzitutto ringraziare per il dibattito che si è svolto questa sera, anche con riferimento al lunghissimo intervento da controrelazione che ho avuto l'opportunità di ascoltare nella prima seduta. Vi risparmio il doverlo raccontare questa sera all'onorevole Aprea, che è assente; glielo riferirò quando la incontrerò.
Vorrei partire dalle considerazioni svolte dall'onorevole Barbieri per precisare un paio di punti che forse non sono risultati chiari. Quando ho ripetuto - l'ho fatto in tutte le salse - che non intendo fare una nuova riforma, l'ho detto perché sono veramente convinto (e non solo per quanto riguarda la scuola: i tanti colleghi che ho frequentato in questi anni in Parlamento sanno bene che questa era una mia profonda convinzione anche nel campo della sanità) che siamo condannati a vivere in un paese in cui, dopo una riforma, corre l'obbligo di controriformarla, di riformarla ancora, senza che vi sia mai un periodo di stabilità, tranquillità e certezza per poter correggere, modificare o migliorare. Se il nostro paese è indietro in alcune realizzazioni dal punto di vista riformatore, lo si deve a questo comportamento.
Porto l'esempio della sanità, così non si inquieta nessuno dei presenti: nonostante la tanto sbandierata volontà di distruggere la riforma della legge n. 229 - e mi dispiace che l'onorevole Rositani sia andato via - dichiarata nel programma del Governo Berlusconi, chi ha operato in quel settore si è reso conto che forse era utile e nell'interesse del paese procedere ad interventi o modifiche mirate, senza rimettere mano e sfasciare per l'ennesima volta l'intero impianto.
Sono convinto che rimettere mano a una riforma della scuola, da parte del ministro e del Governo, sia un atteggiamento pretenzioso ed errato. Ritengo che dobbiamo mettere mano a qualcosa di condiviso e dinamico, che ci faccia essere la scuola della riforma nella quotidianità. Questa è la convinzione che ho in testa; potrà lasciare contenti alcuni e scontenti altri, ma credo che la scuola della riforma che quotidianamente migliora, modifica e integra sia un atteggiamento che può portare a risultati anche più significativi e migliori per mettere in piedi qualcosa dal carattere epocale.
Non voglio nemmeno entrare nel dibattito sulla concezione tra persone e comunità, ma una considerazione la vorrei svolgere, visto che qualche amico mi ha «tirato per la giacca». Ho già spiegato la differenza tra la scuola intesa come un'azienda o una comunità (la concezione è diversa). Una comunità scolastica è portatrice di comportamenti, di un certo modo di relazionarsi, di capacità di intervento, ancor prima dell'autonomia scolastica, i cui proprietari sono lo studente e la famiglia, che in un sistema universale e solidaristico, come quello dell'istruzione, in base a quello che hanno non pagano la propria scuola, ma contribuiscono a pagare la scuola di tutti. In un sistema comunitario la pubblica istruzione è garantita da un meccanismo di solidarietà reale su scala nazionale, non da fondi perequativi o integrativi. A mio avviso, questo è qualcosa di diverso dall'azienda.
Mi preoccupano alcune osservazioni, da qualunque parte provengano, secondo cui, ad esempio, si considerano soldi mal spesi quelli utilizzati per finanziare le scuole montane o per tenere in piedi i servizi scolastici sull'Appennino tosco-emiliano, piuttosto che in Piemonte o in Lombardia. Credo che, nel rispetto della Costituzione, sappiamo tutti che i servizi pubblici nei comuni sotto i cinquemila abitanti e nei comuni montani in prevalenza hanno costi superiori tra il 25 e il 35 per cento. Se a quelle comunità locali, che già si sono mosse per realizzare unioni comunali ed istituti policomprensivi, togliamo anche questo, abbiamo realizzato il cittadino di


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serie B. Dobbiamo ridisegnare la nostra convinzione, quella di essere il paese dei mille campanili.
La stessa cosa vale per gli insegnanti di sostegno e lo dico polemizzando con alcune espressioni che provengono dalla mia parte politica e dalla mia maggioranza. L'Europa è una linea di tendenza importante, perché è la nostra casa comune; ma non è scritto da nessuna parte che l'Italia non possa ambire a portare elementi di peculiarità, civiltà e modernità anche nella Comunità europea. Vi sono circa 80 mila insegnanti di sostegno che garantiscono l'ingresso, l'integrazione e l'abbinamento del recupero terapeutico alla capacità di formazione del diversamente abile. Ritengo che tutto ciò non costituisca uno spreco della scuola, ma sia una scelta che ha un certo significato in una scuola. In quale scuola? In quella che viene considerata come una comunità! Logicamente, se nella scuola si dovesse adottare un criterio di tipo aziendalista, si ragionerebbe in termini costo e beneficio: quanto investo e quanto ottengo. Il modello che ci troveremmo a dover realizzare sarebbe quello per il quale più lasciamo indietro e più facciamo una scuola di ragazzi che non hanno problemi familiari, personali, economici o sociali, più la scuola costa meno e ottiene di più. Questo è il motivo per cui ho usato il termine «comunità» in antitesi a quello di «azienda».
La persona è al centro di questa comunità. Chi viene dalla mia formazione culturale sa bene che il personalismo cristiano tra Maritain e Mounier ha sempre inquadrato la definizione ed il rispetto della persona in quella splendida persona relazionale che sta all'interno della comunità di cui fa parte. Altrimenti, non si potrebbe fare riferimento né a Mounier né a Maritain, ma all'individualismo stirneriano, che in periodi precedenti ha segnato la storia degli individualismi e degli egoismi nel nostro paese.
L'altra citazione, che mi sembra abbia fatto l'onorevole Rositani e sia stata poi ripresa dal collega Garagnani, riguarda la deriva familistica dei curricula. Pensavo di essermi spiegato rispondendo all'onorevole Aprea. Ritengo che il ruolo della famiglia nell'istruzione dei propri figli sia fondante, però, proprio perché siamo rispettosi della dignità della persona umana, dobbiamo capire che la scuola rappresenta una straordinaria opportunità per il ragazzo. Soprattutto essa deve rappresentare un'opportunità in relazione alle capacità, aspirazioni e stili cognitivi. Non c'è nessuno, che meglio di chi è chiamato a formarlo, istruirlo e aiutarlo a crescere, può essere rispettoso delle capacità che il ragazzo vorrebbe avere, con una giusta presenza familiare che impedisca di considerare il ragazzo, non come il figlio, una persona diversa da sé, ma come la proprietà oggetto per la quale se ne predetermina lo sviluppo, in base alle proprie aspettative.
La deriva familistica è quindi data dalla differenza che esiste nel giusto equilibrio tra quello che la famiglia rappresenta di insostituibile per la persona umana e per il figlio e chi ritiene, invece, che il figlio possa essere un oggetto, da questo punto di vista.
Rispetto alle considerazioni dell'onorevole Sasso, vorrei evidenziare un aspetto che fra i tanti mi ha colpito in particolare: la relazione tra la scuola dell'infanzia e la dispersione, che poi è stata ripresa dal collega Rositani, ponendo l'accento soltanto sulle vicende della scuola media inferiore. La scuola dell'infanzia, oltre e anche per il fenomeno della dispersione, rappresenta l'emergenza nel nostro paese. Mi auguro che in questa Commissione vi siano anche colleghi provenienti dal sud: dopo aver fatto un giro in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, mi sono reso conto che la scuola dell'infanzia è un diritto ancora da costruire. Quindi, è un dovere cui lo Stato e le regioni non hanno ancora adempiuto al fine di garantire tale diritto al cittadino.
Ci dobbiamo porre questo problema, che non riguarda solo l'istruzione, ma anche la stabilità familiare, le pari opportunità e una serie di vicende, ivi compresa quella che un ragazzo parta con una difficoltà oggettiva. Mi fa piacere sentir


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dire che faremo i nidi da zero a tre anni; faremo tutto, basta che sappiamo che vi è la priorità di colmare un gap. In un paese che si sente comunità nazionale, quel gap va colmato. Ci vorranno il tempo e le risorse, ma la scuola dell'infanzia è il posto dove si denota di più la differenza tra il sud e il nord del nostro paese.
Anche le scuole materne private, parificate e paritarie sono in difficoltà. Ho visitato la scuola elementare di Cirò, comune sciolto per mafia e appena ricostituito, e l'unica cosa che il sindaco, disperato - tralascio le situazioni ambientali e di sicurezza in cui la scuola versava - mi ha chiesto era la possibilità di parlare con una persona (un superiore). Difatti, se per sbaglio si dovesse chiudere pure questa scuola, non avrebbero più nessuna risposta da dare agli abitanti né di Cirò superiore né di Cirò Marina, perché non avrebbero alcuna possibilità di realizzare una scuola per l'infanzia.
Ho ascoltato con attenzione le questioni da più parti sollevate circa l'anticipo della scuola materna. Parliamo della scuola che c'è, non di quella che vorremmo: credo che ci spetti almeno il dovere di essere realisti nelle azioni che intendiamo compiere. Non mi metto a disquisire se sia corretto o meno ipotizzare che un bambino si iscriva a scuola all'età di due anni e mezzo, ma credo di avere il dovere di disquisire di fronte alla certificazione dei comuni italiani (di ogni ordine e grado, dimensione e parte politica), i quali - così mi dicono - non sanno se a settembre riapriranno le scuole, perché il 50 per cento degli edifici non è a norma e non sono in grado di garantire neanche le attuali scuole materne, poiché è diventata la norma avere 30 alunni per sezione. L'anticipo dell'iscrizione a due anni e mezzo prevederebbe dimensioni di classe di scuola materna non compatibili con la realtà dell'edilizia scolastica e delle risorse dei comuni. Non ritengo moralmente corretto neanche fare lo scaricabarile dicendo che certe cose rientrano nei compiti della provincia, mentre altre spettano ai comuni. In periodi storici diversi, qualcuno con qualche accanimento terapeutico di più, abbiamo contribuito in diverso modo a massacrare i bilanci di comuni e di province, e non per le auto blu o i concerti: i 7 mila comuni con meno di 5 mila abitanti non hanno né le macchine blu né i concerti. Li abbiamo massacrati sui soldi: hanno triplicato l'addizionale IRPEF e l'ICI, con i cui incassi pareggiano a malapena il bilancio; figuriamoci se possiamo pensare di dire loro di costruire nuove aule di scuola materna!
Questo non vuol dire che non lo si farà, ma credo che, realisticamente, mentre aspettiamo gli anticipi, dovremmo almeno lavorare e avremo dovuto farlo, e senza che il collega Rositani si inquieti: ritengo che la moderazione sia nei toni e nel rispetto della persona, che non significa non essere convinti delle cose che si dicono.
Diciamoci la verità: l'edilizia scolastica è un'altra grande emergenza di questo paese. Negli ultimi quattro anni sulla legge n. 23 non è stata investita una lira, non sono stati attivati i circuiti virtuosi con le regioni e sono stati massacrati i bilanci di comuni e province. Non lo dico io, ma lo sostengono coloro che di queste cose si occupano quotidianamente. Oggi il paese è in una vera situazione d'emergenza, e lo è da quando concediamo le proroghe, per capirci.
Questa mattina ho incontrato l'ANCI e l'UPI e mi sono inteso certificare che avrebbero scritto a Prodi, a me e ai due Presidenti di Camera e Senato, dicendo che se non riattiveremo un piano triennale che garantisca la sicurezza, a settembre le scuole non si apriranno. Non si tratta più di avvisi di garanzia, ma di condanne alla velocità della luce: dopo dodici anni di proroghe è difficile spiegare ancora.
Il collega Rositani dice che all'epoca il Governo ha stanziato i soldi per le zone sismiche. Ci mancherebbe altro, credo che siamo rimasti tutti scioccati e colpiti da quello che è successo. Peccato, però, che anche in quel caso tra quanto è stato stanziato e quanto è stato speso e tra


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quanto è stato speso e quanto è stato realizzato di mezzo non ci sia il mare, ma un oceano.
Anche su questi temi ci si mette a fare polemiche strumentali fra di noi, mentre credo che il problema oggettivo sarà rappresentato dallo stato economico in cui si trova il paese. Comunque questa è un'emergenza vera, ed è forse la principale delle emergenze.
In merito quindi all'anticipo della scuola materna e della scuola elementare, mi auguro di dover chiedere al ministro Moratti - con la quale non ho motivi di polemica personale, che ha visto soltanto il collega Rositani - se sia disponibile a realizzarlo per le materne di Milano e della sua periferia, e se il comune di Milano abbia i fondi per poterlo realizzare. Credo che, insieme a Veltroni, Chiamparino, Jervolino e quant'altri, firmerà convintamente il rinvio dell'anticipo: purtroppo ritengo che tra l'idea della scuola che vorremmo e la scuola esistente oggi passi la scuola della riforma, che è qualcosa di diverso dalla presunzione di poterla dichiarare già attuata.
Vorrei sottolineare due aspetti sollevati dall'onorevole De Simone. Il primo, che è stato toccato anche da altri, riguarda la vicenda dei precari. Negli ultimi cinque anni di Governo si è pensato di risolvere il problema in una torre eburnea - e do anche per scontato che la finalità poteva essere oggettivamente protesa ad una risoluzione -, dimenticando di concertare con vittime e artefici di quella situazione e provocando un meccanismo che ha accelerato del 300 per cento il sistema precarizzante che la scuola italiana genera. Il problema non è sistemare i precari, ma è riuscire a sistemare i precari degni di questo nome dal punto di vista del servizio storico che hanno erogato alla scuola italiana. Inoltre, bisogna impedire che contemporaneamente vi sia un meccanismo per cui ogni giorno si sistemano cento precari e se ne generano mille. Negli ultimi cinque anni ne avrete pure sistemati 160 mila, ma ne avete generati 480 mila, e lo avete fatto perché chi ha messo mano alla situazione non si è posto il problema che non bastava far finta di non coprire il turn over e poi dare incarichi annuali e a dieci mesi in continuazione.
Non credo che ci sia qualcuno in questo Parlamento che non abbia a cuore la sistemazione dei precari; penso che anche il collega Rositani non ce l'abbia con loro. L'altro giorno ho disquisito un pochino con la SIR, che ha fatto una splendida agenzia - almeno saranno contenti quelli che dicono che sono la terza colonna del Vaticano, poiché la SIR è l'agenzia dei vescovi - la quale mi additava come ministro della conservazione, perché sistemo i precari. Questo mi ha colpito un pochino: presumo che nell'essere cristiani, oltre al principio della giustizia sociale, rientri anche il sacrosanto diritto di tutelare i più deboli. Se nella scuola c'è un soggetto debole, dopo l'alunno, questi è l'insegnante che non ha la certezza di fare il proprio lavoro, che è a lungo e a medio termine, poiché qualcuno a settembre lo assume e a giugno forse lo licenzia.
Mi auguro che sul problema dei precari vi sarà uno sforzo comune da parte del Parlamento. Il problema è sistemarli e non farli più formare; è mettere mano all'autonomia scolastica, uno splendido principio inserito nella nostra Carta costituzionale. Mi auguro che tale principio non faccia la fine di tanti splendidi diritti che abbiamo solo scritto nella parte prima della Carta costituzionale, ma a cui vorremmo dare attuazione. Per darne attuazione, occorre che l'autonomia si colori degli oneri e delle responsabilità; a noi spetta fornire le risorse, garantire l'autonomia didattica e finanziaria.
A tale riguardo, mi ha sconvolto, anche se sarà una cosa che i più esperti sapevano, trovare un bilancio della pubblica istruzione composto da 1.700 capitoli con sub-unità previsionali e 3.000 capitoli: è una cosa folle. Si tratta di un bilancio non rigido, ma impossibile da gestire a livello centrale. Poi esso viene riportato negli uffici scolastici regionali e fatto gestire all'autonomia scolastica con una cinquantina di capitoli di bilancio.


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Credo che un compito impegnativo del collegio dei docenti e del preside sia governare l'autonomia scolastica, ma non essere un esperto di contabilità. L'aver scelto come scappatoia per snellire le procedure di bilancio - e anche qui molto probabilmente l'avremmo fatto prima noi, quindi non è una critica - la progettualizzazione, per cui si fa un «progettificio» in ogni scuola, non serve all'autonomia. Forse serve a far favori a qualche amico dell'amico, che legittimamente lavora. Ma autonomia significa attribuire le risorse all'inizio dell'anno, prevedere un capitolo di entrata e uno di uscita e, dal momento che esiste l'autonomia, verificare come sono stati spesi quei soldi e quali risultati sono stati ottenuti. Credo che questo faccia parte dell'autonomia.
L'ultima parte dell'autonomia riguarda l'innovazione, la ricerca e la modernizzazione, che sono state centralizzate. Credo che, invece di centralizzarle, dobbiamo ridarle alle nostre scuole, che ritengo abbiano la capacità di svilupparle pienamente.
Ho sentito ricordare dal collega Rositani i soldi spesi per realizzare non ho capito bene cosa nell'ambito della formazione tecnica e professionale. Vi era un progetto che, appena presentato, aveva destato in me grande interesse e per il quale avevo espresso apprezzamento anche alla Moratti: la scelta di realizzare gli IFTS in numero di 130 nelle sei regioni del sud. La creazione di 130 centri di IFTS nel sud del nostro paese, in sei regioni, a partire dal Molise fino alla Sicilia, era un progetto serio per creare strutture in grado di recuperare una parte del gap. Fatta la selezione delle scuole, la gara e tutto il resto, ho riflettuto e ho detto che se si devono inaugurare questi 130 centri bisognerà darne conto al Governo che li ha finanziati. Una volta, quando si faceva il cambio di amministrazione e dei sindaci, era un'abitudine farlo, a prescindere da chi l'aveva realizzato. Poi, senza che nessuno mi avesse comunicato niente, stamattina ho scoperto che questi soldi non ci sono più: sono spariti nelle ultime due riunioni del precedente CIPE. È un problema di non poco conto: ci sono 130 centri IFTS pronti e i 400 mila euro a testa con cui dovrebbero funzionare non ci sono più.
Il CIPE ha un funzionamento a prescindere: ci sono stato una sola volta e credo che mi avrebbero potuto pure togliere le scarpe mentre ero seduto e non me ne sarei accorto. Sono rimasti in tre o quattro capaci di capire quello che succede al CIPE; comunque, quei soldi sono spariti. Preferirei non fare polemica, però sono quasi indotto a farla. Questo è un problema che riguarda tutte le regioni del sud, e Sicilia e Calabria in maniera pressante.
Per quanto riguarda il problema dei disabili, ricordato più volte dal collega Rositani, già nel rispondere all'onorevole Aprea mi era sembrato di aver chiarito che la norma non l'abbiamo introdotta noi. Non è un problema di numero. Per quale motivo assumiamo insegnanti di sostegno? In base al numero di ragazzi diversamente abili che dobbiamo integrare. Non so se sia giusta la proporzione 1 a 138 o 1 a 97 sui sani; siamo bravi non se la facciamo diventare 1 a 10 sui sani, ma se garantiamo il numero di insegnanti di sostegno che occorre per i diversamente abili.
In un paese che ha speso miliardi per informatizzarsi, i disabili che ci sono oggi nella scuola li conosciamo tutti; quelli che non frequentano la scuola li conoscono le aziende sanitarie locali che li assistono e ne hanno inserito i dati nei computer. Non è una violazione della privacy fare l'incrocio tra le anagrafi dei comuni e le anagrafi degli assistiti diversamente abili. Potremmo impiegare un anno a fare un organico degli insegnanti di sostegno basato sul numero dei diversamente abili esistenti, invece che su una predittività statistica fatta sui sani. Non sono bravo se gli insegnanti di sostegno diventano in proporzione 1 a 10, perché possono essere un'enormità o enormemente pochi rispetto ai bisogni e a seconda delle regioni.


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Lascio alla riflessione dell'opposizione il consiglio di innalzare l'obbligo scolastico fino a diciotto anni. Credo che sia un elemento di riflessione su cui potreste lavorare, dato dal collega Rositani. Il programma di Governo si ferma a sedici anni, quindi non mi esercito ad andare oltre per il momento.
Per quanto riguarda gli esami di Stato, spero di presentare un disegno di legge nell'ultimo Consiglio dei ministri. Intendiamoci, non pretendo di fare la modifica sostanziale degli esami di Stato, ma credo sia doveroso dare un segno di inversione di tendenza. Vogliamo che quell'esame, previsto dalla Costituzione, torni ad essere una cosa seria non per questa modifica, ma per la volontà di farlo. La questione riguarda anche il numero di commissioni che un presidente può presiedere. Devo ammettere la mia ignoranza, ma ho scoperto solo in questi giorni, girando in qualche scuola, che un presidente aveva venti commissioni d'esame: non è un notaio, è uno che firma e che non è riuscito a capire cos'è successo. È necessario che ci sia un numero di commissari esterni, ma - diciamoci la verità - in base ai soldi che ci potranno essere.
Un dubbio credo sia di tutti: se abbiamo un sistema dove ci sono i debiti e i crediti, quando si lascia la struttura, il debito deve essere stato saldato. Credo che qualcuno che certifichi che quel debito, in qualunque anno sia avvenuto, sia stato superato fa parte della credibilità che il diploma deve avere. Non è una cattiveria, ma deve esservi un criterio per il quale se al quinto anno un ragazzo ha sette debiti, forse qualcuno dovrebbe dirgli che non può sostenere l'esame di maturità e che sarebbe bene che si preparasse per un altro anno. Anche quello dell'ammissione è uno degli aspetti su cui riflettere.
Considero il rapporto con l'università estremamente singolare, anche se a noi sembra tutto normale. Con il ministro Mussi ne abbiamo parlato a lungo in questi giorni: non è normale un paese in cui un ragazzo che ha studiato cinque anni e sul quale lo Stato ha investito, se decide di fare il medico, il farmacista o il biologo si deve sottoporre a quiz psico-attitudinali e di cultura generale. La ritengo una cosa che nella forma, e voglio sperare che lo sia solo in quella, non è corretta. Occorre individuare un criterio per cui il corso di studi e il voto di maturità abbiano un'incidenza nella legittima ammissione, che è in relazione al numero chiuso, ma che deve avvenire. Lo dice uno che ha fatto parte di decine di commissioni in una facoltà singolare come quella di medicina. L'ultima volta che sono stato in commissione, l'esame di maturità e gli ultimi due anni valevano al 50 per cento del punteggio. Da 50 a zero significa dire che hai perso tempo cinque anni, e questo non può essere.
Il criterio con cui si facevano i quiz quando l'autonomia universitaria non c'era, ma le università si comportavano come preferivano, era cercare di capire con i docenti delle scuole medie superiori quali fossero le cose che potevano essere chieste: un rapporto tra quello che i ragazzi hanno studiato e quello che si chiede loro dovrà pure esistere. Credo che questa forma di continuità ci dovrebbe essere.
Una osservazione che ha espresso il collega Garagnani mi ha colpito: la legalità. Sono d'accordo, se ci sono violazioni e se competono a noi si debbono sistemare. Mi auguro però che tutti insieme, senza demagogia, ma con profonda convinzione, riteniamo di educare i nostri ragazzi alla cultura della legalità, che non è una cultura strana; è la cultura del rispetto delle norme e delle regole, è una cosa che non fa essere né di sinistra né di destra, ma fa essere cittadini. Se gli studenti si abitueranno fin da piccoli che il rispetto della legge è una norma che fa la differenza, credo che avremo dato un contributo al paese.
Mi auguro inoltre che non nascano polemiche sull'iniziativa della lettura della Costituzione: secondo me, approfondire e far conosce la Costituzione ai nostri ragazzi è un'iniziativa utile. Non storciamo la testa: si è faticato tanto per avere la Costituzione, è ancora una delle migliori e, soprattutto, gli italiani ci hanno dimostrato


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che le vogliono bene. Credo che la classe dirigente, sia del centrodestra sia del centrosinistra, abbia il dovere di volerle bene. Questo non significa che non potrà essere modificata, ma va custodita con il rispetto che merita una cosa che sta a cuore agli italiani, e se sta a cuore dopo sessanta anni vuol dire che è una delle poche cose fatte bene in questo paese.
Per quanto concerne la partita su multiculturalismo e integrazione, pensavo di aver detto cose chiare, ma evidentemente non è così. Sono geloso dell'identità culturale del mio paese, della sua storia e dei suoi valori; sono geloso anche del mio essere cristiano, ma ritengo che la misura dell'intelligenza di un popolo, che è nel DNA degli italiani, è di aver saputo sempre costruire i percorsi e i ponti su cui far camminare insieme a noi chi è diverso da noi. Più siamo orgogliosi della nostra identità, più possiamo essere in grado di capire che (e faccio uno dei tanti esempi) in una società in cui abbiamo bisogno degli altri per pensare a quelli di noi che sono meno giovani, molto probabilmente possiamo cominciare ad apprendere un'identità in divenire. Tale identità non significa essere meno orgogliosi di quello che siamo, ma non avere paura di prendere il meglio di ciò che sono gli altri. È logico che gli stranieri devono studiare come prima lingua l'italiano, e dobbiamo certificargliela e fare anche formazione per adulti. Però, se hanno anche l'opportunità di ricordare la loro storia, le loro tradizioni, la loro lingua, ciò fa capire loro meglio l'orgoglio di essere italiani: come noi amiamo le nostre tradizioni, essi amano le proprie.
Il collega Palmieri è rimasto meravigliato dalla terminologia «anima laica». A me sembra chiaro il significato: siamo italiani ed europei, ma la cosa migliore che ciascuno di noi sente, il primo tipo di appartenenza che diamo, è ricordarci il comune dove siamo nati. Quella è la comunità a cui ci sentiamo più legati in senso assoluto, anche dopo che abbiamo vissuto in tutte le parti del mondo. Queste sono le nostre autonomie locali, e l'autonomia scolastica esiste: può stare accanto a quella autonomia locale e generare la stessa appartenenza che genera la comunità locale, che è fatta di storia, valori, tradizioni e identità. E l'identità, quando c'è, è espressione di un'anima. Siccome nell'accezione comune l'anima, per me credente, è quella religiosa, ho specificato «laica» perché credo che sia un modo comune di sentire. L'ho detto per questo; se ho sbagliato, me ne farete grazia.
Tutti coloro che sono intervenuti, dal collega Colasio in poi, hanno parlato degli organi collegiali. Se avete fatto un lavoro nella precedente legislatura, metteteci mano subito: se si fosse già in grado di approvare la riforma degli organi collegiali in un ramo del Parlamento, potremmo anche sperare di avere un'autonomia scolastica gestita, che diventa più serena e tranquilla nel modo di andare avanti. Potremmo avere famiglie e studenti che escono dalla rappresentanza di nicchia e una partecipazione più vera. Devo ai decreti delegati del 1976 il mio impegno sociale e politico e ritengo che sia un valore aggiunto della scuola se, tra le tante cose che apprendono nella cittadinanza attiva, i nostri giovani sono in grado di amare la partecipazione e la democrazia in una fase pre-politica, che poi diventa impegno politico o sociale e comunque voglia di esserci e di autodeterminarsi.
In riferimento alle considerazioni dell'onorevole Barbieri circa lo «spacchettamento» del Ministero, farei una moratoria di due anni di lavoro per vedere se sia poi così male. A consuntivo di cinque anni dell'esperienza della riforma Moratti, riconosco le grandi capacità di guida dell'azienda del ministro: avere qualche decina di direttori generali dispersi su Roma, in giro per le regioni, è facile per chi è abituato a dirigere un'azienda. Per me che non vengo da quell'esperienza professionale, seguire i due Ministeri nella programmazione e quindi in una integrazione di programma tra il ministro dell'università e il ministro dell'istruzione è una cosa indispensabile e obbligatoria. Non ritengo semplice seguire allo stesso modo tutti e due gli indirizzi.
Per quanto riguarda le periferie metropolitane, quando ho preparato la relazione


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pensavo esattamente a due scuole che avevo visitato, a Forcella e a Scampia, e al ruolo che esse avevano avuto nel creare il superamento del ghetto in una realtà di famiglia. Forse ha ragione il deputato che ha detto che è una generalizzazione.
È stato poi sollevato il problema della musica, dello sport e dell'educazione artistica, su cui chiederò al presidente Folena di costituire due piccolissimi gruppi di lavoro, per potervi riferire e avere suggerimenti al riguardo.
Vi ringrazio ancora per l'eroicità di essere rimasti in Commissione fino a quest'ora.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Fioroni anche per la puntualità delle sue risposte e per alcune sollecitazioni che ci ha rivolto nella fase finale della sua replica.
Abbiamo svolto una discussione molto ampia, in cui sono intervenuti dodici deputate e deputati di otto gruppi parlamentari, quattro della maggioranza e quattro dell'opposizione. Oltre alle domande e al dialogo con il ministro Fioroni, si è svolto anche un primo confronto fra due impostazioni molto diverse sulle questioni della scuola. Lo considero positivo: il Parlamento deve essere anche un'arena di questo tipo. Poi fa un po' parte del gioco che in questo match possa succedere - anche se non l'ha fatto qui - che l'onorevole De Simone citi Sturzo e l'onorevole Barbieri Lenin.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 23,10.