COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 19 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 8,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni Silveri, sulle linee programmatiche del suo dicastero, per gli aspetti di competenza della Commissione.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni Silveri, sulle linee programmatiche del suo dicastero, per gli aspetti di competenza della Commissione.
Ricordo che nella seduta del 6 luglio scorso, oltre alla relazione del ministro Gentiloni Silveri, sono stati svolti alcuni interventi di colleghe e di colleghi.
Do quindi la parola ai colleghi che intendano formulare quesiti ed osservazioni.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Innanzitutto, signor ministro, le rivolgo tanti auguri di buon lavoro. È un lavoro complicato, ma molto affascinante. Ho apprezzato molto la sua introduzione, che condivido integralmente. Mi permetto, però, di fare qualche sottolineatura, su cui penso sarà poi opportuno lavorare insieme anche come Commissione.
Condivido il fatto che il sistema della comunicazione sia un sostegno alla democrazia consapevole, al pluralismo, e che esistano problemi molto seri di diritto di accesso e di qualità dei contenuti. Concordo anche con l'obiettivo di una revisione di sistema, accettando la sfida dell'innovazione.
Un primo punto da considerare riguarda le modalità in base alle quali gestire la transizione da un sistema ad un altro. Tale problema ci coinvolge non solo e non tanto rispetto alle politiche dei Governi precedenti, quanto, piuttosto, rispetto al mutamento epocale del sistema della comunicazione verificatosi all'interno del mondo globalizzato.
In questo senso, ritengo esista una problematica di transizione politica e legislativa, ma anche di come si possa gestire la transizione tecnologica (ossia il passaggio dall'analogico al digitale), che riguarda da vicino l'intera missione del servizio pubblico e la sua ridefinizione.
Da questo punto di vista, vorrei evidenziare un primo aspetto. Mi permetto di dire che forse, nel ragionare di sistema, dovremmo ammettere l'esistenza di una missione del servizio pubblico che non appartiene soltanto al servizio pubblico. Tematiche quali la libertà di informazione, la correttezza nel campo dell'informazione, la valutazione della professionalità e la qualità del prodotto in relazione al target di popolazione (penso ad esempio ai minori) non riguardano esclusivamente la funzione del servizio pubblico.


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Ritengo che esista una funzione pubblica di bene condiviso e di etica pubblica condivisa, che debba riguardare anche l'intero sistema privato della comunicazione. Questo se vogliamo evitare che il sistema dei valori che uniscono nell'azione coinvolga esclusivamente ciò che è gestito dal pubblico. Credo, infatti, in sintonia con quanto constatiamo negli altri campi, che l'etica pubblica condivisa nel campo dell'informazione e della comunicazione debba interessare anche quel sistema che, altrimenti, diventerebbe del tutto dipendente da una logica commerciale, con la conseguenza che il cittadino sarebbe visto solo in qualità di consumatore. Questo è un punto che ci riguarda molto da vicino.
Il secondo aspetto che sottolineo attiene alla società della conoscenza, questa immersione del tutto inedita nelle proporzioni e nelle potenzialità, ma anche nelle grandi diseguaglianze. Nel nostro paese, infatti, siamo purtroppo ben lontani dalla capacità di rispondere alle sollecitazioni innanzitutto di inclusione sociale di cittadinanza, che la società della conoscenza comporta.
Accanto a questo, credo esista una domanda - inedita rispetto al passato - di informazione, di partecipazione e, soprattutto, di interattività. L'aumento esponenziale della scelta delle pay TV in confronto al canone esprime chiaramente (proprio dal punto di vista economico), nell'era della transizione di sistema tecnologico, un desiderio molto forte di essere protagonisti nel campo dell'informazione, di poter scegliere il prodotto e di poter interagire con esso.
Questo protagonismo individuale deve essere coniugato in modo forte - questo credo sia un problema che riguarda il futuro del sistema - ad un servizio pubblico a vocazione nazionale. L'elemento del glocal nel momento della transizione, nell'era della convergenza, diventa uno dei punti principali.
È chiaro che la tecnologia trasforma anche il contenuto. Vi è una domanda centrale che riguarda come debba proporsi il servizio pubblico nell'era della convergenza multimediale e come coniugare il bene della capacità trasmissiva del sistema con la qualità del prodotto. Questo mi sembra oggi il grande tema da dibattere, anche meditando una riforma del servizio pubblico radiotelevisivo. Un tema interessante, che riguarda l'industria della rete e la democrazia della rete, consiste appunto nei modi di utilizzazione del bene della capacità trasmissiva del sistema.
Tuttavia, vi è un'altra tematica, che non mi sembra conflittuale - su questo c'è un ampio dibattito, come lei sa - rispetto alla protezione della rete e alla fruizione del bene della rete, che è proprio quella della qualità del prodotto dell'industria culturale. Su questo lei ha espresso considerazioni che condivido fino in fondo, con particolare apprezzamento per un elemento sul quale, a mio parere, si è sinora riflettuto poco, ma che è esempio di straordinaria modernità. Mi riferisco alla rottura dei generi, che consente un grosso passo in avanti dal punto di vista della riorganizzazione della qualità del prodotto e può davvero rendere il servizio pubblico protagonista di una nuova industria culturale.
Accanto a questa consapevolezza, vi è anche quella che la liberalizzazione della concorrenza non dovrebbe essere un aspetto che riguarda solo le frequenze o l'hardware, ma anche il livello qualitativo, che dovrebbe essere più elevato. Dovremmo avere, quindi, una concorrenza a salire, una competizione verso l'alto - e non la triste competizione verso il basso, cui assistiamo in questo periodo -, consapevoli del fatto che il servizio pubblico ha sì il dovere di informare, ma anche quello di esprimere il mondo e il nostro paese così come sono, nella loro complessità. A fronte di queste consapevolezze, mi permetto di sottolineare quello che è oggi, a mio avviso, uno dei problemi più rilevanti: la territorialità.
Vengo dalla Lombardia, abito a Milano, dove, come lei ben sa, abbiamo assistito al tramonto della capacità produttiva del servizio pubblico radiotelevisivo e, contemporaneamente, all'ascesa - non cito questo in termini polemici, ma limitandomi


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a descrivere una situazione - dell'altro grande polo di comunicazione, Mediaset.
Non mi rassegno alla maliziosa idea che vi possa essere una suddivisione del territorio, in base alla quale al nord deve esistere ed essere molto forte una televisione di tipo commerciale, mentre al centro-sud può vivere un servizio pubblico. Non mi arrendo a quest'idea, per rispetto del concetto di Repubblica come concepita dalla Costituzione, ma anche del Titolo V della Costituzione stessa, dunque per rispetto di un concetto di federalismo solidale, che non può appartenere esclusivamente al sistema fiscale o ad un sistema di welfare tradizionalmente inteso.
Credo vi sia la necessità di un protagonismo di questi territori, che, nel momento in cui esprimono cosa essi sono realmente, valorizzando le capacità professionali ivi esistenti, testimoniano una vocazione nazionale.
Per esempio, sottolineo con grande franchezza che Milano ha delle eccellenze nel campo culturale. Ebbene, non voglio riaprire la polemica presente oggi sulla stampa a proposito della selezione poco qualitativa della programmazione di Raidue, però considerando che a Milano esiste un sistema musicale, teatrale e della lirica fra i più importanti d'Europa (non solo d'Italia), ma che tutto questo non ha visibilità e non viene usato sinergicamente dal servizio pubblico a vocazione nazionale, vuol dire che ciò rappresenta un passo indietro rispetto alla possibilità di considerare la cultura un bene nazionale partendo dalla valorizzazione dei territori. Lo stesso sistema della conoscenza, dell'università e della ricerca, che potrebbe essere utilizzato per una produzione a vocazione nazionale partendo dalle specificità di quel territorio, è assolutamente sottovalutato, se non inesistente, e questo naturalmente deprime l'intero sistema.
Non credo che sia giusto continuare a ragionare nei termini di una contrapposizione fra Milano e Roma. In questi anni, peraltro, abbiamo visto come anche i tentativi compiuti dal precedente Governo di spostare su Milano settori di servizio pubblico si siano limitati all'apertura di un ufficio (se mi concedete di essere sommaria a questa ora del mattino!). Credo, quindi, che la soluzione non possa essere solo quella di spostare un pezzo da un'altra parte; ho citato Milano, ma potrei ricordare macroaree territoriali (non necessariamente regionali) e, quindi, anche culturali.
Occorre invece cogliere l'opportunità dell'innovazione tecnologica e della digitalizzazione, per aprire nuove possibilità di produzione e di funzione dello stesso servizio pubblico. Mi riferisco alla televisione di servizio, al rapporto con gli enti locali, già esistente in molte regioni e, quindi, al fatto che per ricoinvolgere l'intero tessuto del servizio pubblico radiotelevisivo si debba non togliere, ma aggiungere; ciò per arrivare a modificare l'intero sistema.
Da questo punto di vista, poiché la Conferenza Stato-regioni si occupa di molte materie, quali la sanità o le relazioni fra Stato e regioni nei diversi campi, mi sembrerebbe una proposta interessante quella di aprire un canale di dialogo con il sistema delle regioni nel loro complesso, per capire come possa essere redistribuita una funzione del servizio pubblico, partendo dalle opportunità che le tecnologie oggi offrono e sapendo anche che un'industria culturale moderna (al riguardo condivido la sua opinione) deve muoversi su una tastiera molto più ampia rispetto a quella del passato.
Mi premeva sottolineare questi elementi, perché la situazione vissuta dalla RAI e, in generale, dal sistema della comunicazione a Milano, considerata una delle aree capitali della comunicazione, è davvero deprimente. Con tutta l'autonomia, naturalmente, della RAI, sarebbe importante, però, partire dalle considerazioni da lei espresse, signor ministro, per introdurre un'innovazione nell'idea stessa di territorialità, che faccia progredire non solo il servizio pubblico, ma l'intero sistema.
Credo che questa sia una parte molto particolare del welfare, cioè il welfare della conoscenza. Come per le politiche culturali, ritengo che solo un servizio pubblico


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di qualità possa garantire un elevamento di qualità dell'intero sistema. Non credo che affidare tutto ad una logica di mercato o muoversi esclusivamente nella dimensione del superamento del duopolio - obiettivo, oltre che nobile, necessario - sia oggi sufficiente per restituire centralità al cittadino (non solo al consumatore). Bisogna fare in modo che il sistema della comunicazione, nell'era della globalizzazione, non ci parli soltanto del mondo lontano, ma anche dell'Italia, così com'è; questo per far progredire la qualità della produzione e, quindi, della politica.

NICOLA BONO. In linea con gli altri ministri del Governo Prodi, anche il ministro delle comunicazioni si pone in termini critici rispetto alle leggi che ha trovato insediandosi al Governo. In particolare, abbiamo ascoltato una serrata critica alla legge n. 112 del 2004 (cosiddetta legge Gasparri) ed una proposta di radicale modifica della stessa.
Intanto, però, sul digitale terrestre il ministro prevede uno slittamento dal 2008 al 2010-2012. Si ha, quindi, la sensazione che l'intero Governo Prodi proclami urgenze di intervento, ma poi proponga rinvii di messa a regime di riforme, che pure lo stesso Governo ritiene essenziali, perché vuole che queste siano diverse da quelle attuate dal centrodestra. Basta pensare alle audizioni dei ministri Fioroni e Mussi, per avere un quadro abbastanza preciso della strategia di questo Governo. Si tratta di una demolizione, accompagnata dalla contemporanea declamazione del fatto di avere poco tempo a disposizione e dell'urgenza di intervenire. Intanto i provvedimenti si rinviano sine die.
Si assiste, dunque, ad un Governo impegnato a gestire l'immobilità, in un paese che dovrebbe, invece, recuperare velocemente gap in tutti i settori. Condivido l'esigenza che il passaggio tra l'analogico e il digitale avvenga attraverso il potenziamento dei contenuti, signor ministro, ma non mi è chiaro come questo possa essere concretamente realizzato. Le sarei grato se volesse chiarirlo in modo più approfondito.
Sul tema della RAI, credo sia condivisibile l'obiettivo di scindere il più possibile il rapporto con la politica. Anche qui, però, non mi sembra che dalla relazione del ministro emergano proposte concrete ed idonee all'obiettivo, ma solo vaghe aspirazioni alla sua realizzazione. Stesso discorso per quanto concerne l'esigenza di distinguere le missioni di servizio pubblico rispetto a quelle più aderenti alla visione di una televisione commerciale.
In tal senso, mi sembra praticabile (ma probabilmente insufficiente) la via del rinnovo del contratto di servizio, che regola i rapporti tra Governo e RAI. Per essere ancora più preciso, mi sembra di rilevare un'eccessiva enfatizzazione di uno strumento a mio avviso limitato, a meno che non serva solo per giustificare l'aumento del canone, di cui in questi giorni si parla con insistenza, tema al quale nella sua relazione lei non ha fatto cenno. Le chiedo, dunque, se sia sua intenzione procedere all'aumento del canone ed eventualmente in virtù di quale motivazione ed in quale misura.
Condivido, inoltre, l'esigenza di valutare attentamente la corretta identificazione degli obiettivi e dei contenuti del servizio pubblico. Anche qui, però, è mancato un riferimento di merito, che fosse utile alla Commissione per operare una prima valutazione del modo in cui lei intende attivarsi. Concordo assolutamente, invece, sull'esigenza di una corretta definizione e pubblicità, oltre che dell'Auditel, anche degli indici di qualità e soddisfazione da parte degli utenti del servizio pubblico, perché è giusto rendere noto il grado di soddisfazione di ciò che viene finanziato dal canone rispetto a ciò che viene finanziato dalla pubblicità.
Fondamentale appare il tema della tutela dei minori, sia per la necessità di regolamentare alcuni strumenti, come i videofonini - oggi in grado di trasmettere materiale di un certo tipo, il cui eccesso va eliminato con appositi meccanismi -, sia in termini di maggiori controlli e verifiche. Credo che, per quanto utili, non bastino


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solo le promozioni, per rendere possibile il controllo delle attività nei confronti dei minori.
Appare, invece, sempre più attuale l'esigenza di una maggiore creatività sul terreno della promozione culturale, signor ministro. Questo devo segnalarglielo, perché ho notato una certa sufficienza sotto questo aspetto. Siamo la Commissione cultura della Camera e non possiamo prescindere dal fatto che una quota importante della nostra competenza nel settore delle comunicazioni sia collegata alla funzione delle comunicazioni (soprattutto della televisione) nella promozione culturale.
Le trasmissioni culturali sono spesso noiose e inguardabili. Occorre, invece, produrre uno sforzo eccezionale per la diffusione della lettura. Ne abbiamo trattato diffusamente in questa Commissione qualche giorno fa, anche nel corso dell'audizione con il sottosegretario Levi. Lo stesso sforzo deve essere compiuto per la difesa e la diffusione della lingua italiana.
RAI International, che non mi pare lei abbia considerato nel suo intervento, è invece, a mio avviso, un'emittente strategica. Deve essere potenziata e posta nelle condizioni migliori per curare i rapporti con i nostri connazionali all'estero. Le nostre comunità all'estero rappresentano una moltitudine importante sul piano strategico. Con esse abbiamo il dovere etico e morale di dialogare, rammentando come rappresentino anche un vantaggio competitivo, che però non utilizziamo, mentre esse potrebbero costituire un elemento di forza anche per quanto riguarda il made in Italy ed il sostegno alle nostre attività produttive. Questi connazionali sono i primi testimonial che ha l'Italia all'estero, sono «figli» che operano e vivono in tutto il pianeta. È incredibile che non sia mai stata studiata una strategia di collegamento e di cura di rapporti con questi soggetti, specialmente in un mondo globalizzato, in cui essi potrebbero costituire un grande vantaggio.
Auspico tale collegamento anche sulla falsariga di ciò che, ad esempio, viene da anni realizzato dalle emittenti ispanofone, che hanno raggiunto livelli di eccellenza, e alle quali si deve la crescita della conoscenza della lingua spagnola non solo negli USA, ma anche nel resto del mondo.
Sul product placement avrei una posizione meno ideologica e più duttile della sua, signor ministro, non solo perché, com'è noto, il Governo Berlusconi inserì il product placement nell'ambito della possibilità di supporto finanziario alla produzione cinematografica - sono consapevole del fatto che i produttori televisivi hanno minori problemi di natura economica rispetto ai produttori cinematografici -, ma anche perché affrontare un tema di questo genere in maniera ideologica si rivela, a mio avviso, sbagliato.
Uno dei motivi per i quali, a suo tempo, introducemmo il product placement all'interno della normativa italiana era anche la considerazione del fatto che, essendo esso ammesso praticamente in tutti i paesi del mondo, si creava un'oggettiva disparità di trattamento tra i produttori cinematografici italiani, che non potevano usufruire di questo istituto, e il resto del mondo. La conseguenza era che i meccanismi di pubblicità inseriti nei film venivano tranquillamente gestiti dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, da qualunque altro paese che poi, attraverso i suoi prodotti filmici, li diffondeva anche in Italia, mentre i produttori italiani non potevano farlo.
Allora, con lo stesso criterio e con lo stesso sistema, se a livello europeo si decide di introdurre questo meccanismo, mi pare sbagliato escluderlo a priori. Consiglierei, invece, di regolamentarlo, di ragionare su ipotesi di compensazione di varia natura, perché arrivare al punto di rivendicare in Europa il diritto di escludere questo strumento nel nostro paese mi sembra un errore inutile, finalizzato solo a danneggiare i nostri operatori.
In conclusione, la delicatezza del settore e le sue indiscutibili implicazioni socio-politiche impongono atti più articolati della semplice demolizione delle leggi promosse dal centrodestra, nonché analisi serie e condivise. Finora, noto una certa approssimazione ed una sostanziale carenza di contenuti, nell'esprimere in quale


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direzione operi questo reale cambiamento. Mi auguro, nell'interesse degli italiani, che i futuri comportamenti mi consentano di cambiare opinione.

MAURO DEL BUE. Innanzitutto, al di là delle proteste, che l'onorevole Bono - anche per iscritto - ci consegna, vorrei segnalare, obiettivamente, una difficoltà nella quale soprattutto i piccoli gruppi si trovano ad operare. Ieri non ho potuto partecipare ai lavori della Commissione, perché impegnato nel dibattito in Aula sul delicato tema della politica internazionale. Noi siamo un piccolo gruppo (siamo sei, ma praticamente ridotti a cinque, a causa di una grave malattia che ha colpito uno dei componenti del nostro gruppo) e dunque dobbiamo coprire tutti gli argomenti dibattuti in Aula con una mole di impegni notevole, e, quando ciò diventa incompatibile con la presenza nelle Commissioni, capita che dobbiamo saltare i lavori della Commissione.
La mancata partecipazione di ieri mi ha colpito e addolorato, ma non avevo modo di evitarla. Credo, signor presidente, che, quando in Assemblea si svolgono discussioni così importanti, come il tema della politica estera, piuttosto che la finanziaria, o il DPEF, o comunque si affrontano gli argomenti di maggior rilievo che vedono i gruppi particolarmente impegnati, sarebbe opportuno sollecitare preventivamente un confronto dei capigruppo per discutere dell'opportunità di riunire ugualmente la Commissione; questo al fine di garantire la possibilità di partecipare anche a coloro che sono impegnati nel dibattito in Aula e d'altronde non possono intervenire e poi scappare. Quando in Aula si svolge un dibattito, bisogna seguirlo, per poter anche rispondere a coloro che sono intervenuti prima.
Vengo alla discussione sulla relazione del ministro Gentiloni Silveri, una relazione completa, dettagliata, apprezzabile, così come apprezzabile è anche la documentazione fornitaci dalla Commissione. Meno apprezzabile, invece, è la mancanza di una traduzione della seconda parte; quindi abbiamo una documentazione in francese, in inglese, in tedesco e in spagnolo, che crea difficoltà a chi non è multilingue.
La lettura di questo materiale mi ha suscitato una considerazione, che mi pare obiettiva dal punto di vista storico, e cioè che le forze politiche in Italia sono giunte molto in ritardo a comprendere il fenomeno della libertà dell'informazione radiofonica e televisiva.
Ricordo che alla metà degli anni settanta, quando esplose in Italia il fenomeno delle radio private e, poi, alla fine degli anni settanta-primi anni ottanta, quando si verificò quello delle televisioni private locali, le forze politiche erano attestate - almeno quelle di sinistra come il mio ex partito, il partito socialista italiano - su una posizione assolutamente arretrata, di difesa del monopolio statale della televisione e della radio. Allo stesso modo anche le istituzioni giunsero in forte ritardo a comprendere la necessità di una normativa che regolamentasse questo fenomeno diffuso delle radio e delle televisioni, che, per anni, si sono scontrate con la mancanza di una legislazione che le regolamentasse.
Nella relazione del ministro Gentiloni Silveri ho apprezzato l'apertura al contesto internazionale, che mi pare un fatto obiettivo. Le nostre analisi, oggi, vanno inserite nell'ambito di un processo di riorganizzazione, che interessa la società dell'informazione a livello internazionale, prevista dall'Agenda di Lisbona (come è stato ricordato) e che trova nel mercato dell'audiovisivo il suo traino fondamentale. Ciò significa che tutti i paesi sono competitori e che l'Europa è in competizione, oggi, con gli Stati Uniti e con il Giappone, che con le loro caratteristiche, sia tecnologiche che produttive, sono fortemente presenti sul mercato internazionale. Nostro compito è, dunque, inserire il sistema Italia in questo contesto.
Ai fini delle soluzioni, che il ministro propone, dobbiamo, dunque, tenere presenti due livelli di interazione, ma anche di contraddizione. Il primo, il più forte, è quello rappresentato dal sistema Italia nel rapporto con il contesto internazionale. Il


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secondo riguarda, invece, la riorganizzazione all'interno del sistema Italia. Bisogna stare attenti che non prevalga una logica da cortile, perché, mentre i generali romani combattono per avere insegne più appariscenti e luminose, Annibale è alle porte!
Lei, signor ministro, ha parlato di limitazione delle posizioni dominanti. Naturalmente, si tratta di definire cosa significhi «dominanti» e in rapporto a che cosa. Il termine, infatti, risulta ambiguo, se non precisa qual è il mercato di riferimento. Se il mercato di riferimento è quello italiano, allora RAI e Mediaset sono competitor dominanti. Se, invece, il contesto è il mercato europeo, o addirittura quello internazionale, questi due soggetti economici sono poca cosa, a fronte delle grandi multinazionali dell'informazione e dell'intrattenimento.
Insomma, il conflitto interno in Italia - questo mi sembra il punto fondamentale - non deve degenerare in un indebolimento del sistema paese a fronte della concorrenza internazionale. Sottolineo, dunque, questo aspetto, che ovviamente riguarda tutti, in quanto interessati a fare in modo che il sistema dell'informazione italiana regga nel confronto con la concorrenza europea ed internazionale, evitando che il conflitto del duopolio dominante in Italia generi conseguenze negative per il sistema Italia nel rapporto con il sistema europeo ed internazionale.
Il terreno dell'informazione e più in generale dell'audiovisivo è indubbiamente un terreno di confronto e di polemica politica. Sempre nell'ambito dei riferimenti storici, lei ha citato la legge Mammì del 1990 e la legge Gasparri del 2004. Naturalmente le faccio tanti auguri come ministro delle comunicazioni, però pensi che la legge Mammì nel 1990 - allora ero già parlamentare - determinò quasi una crisi di Governo, con l'uscita della sinistra democristiana dal Governo Andreotti. La legge Gasparri, non so se questa sia stata la causa principale, ma insomma determinò l'uscita di Gasparri dal Governo Berlusconi. Entrambe le leggi, che hanno toccato un nervo importante, anche dal punto di vista politico, che è quello dell'informazione e della comunicazione nel nostro paese, hanno determinato «scombussolamenti» di carattere politico nelle compagini di Governo. Spero che a lei non accada quello che è accaduto a Gasparri, e mi auguro per voi - giacché non faccio parte della maggioranza - che non capiti al vostro Governo quello che è capitato al Governo Andreotti dopo l'approvazione della legge Mammì.
Come dicevo, il terreno dell'informazione e in generale dell'audiovisivo è indubbiamente un terreno di confronto e di polemica politica, ma deve soprattutto divenire una trincea in cui si affermano i grandi valori della coesione nazionale. RAI e Mediaset devono trovare sinergie per garantirsi una caratura di carattere internazionale, che permetta loro di difendersi dall'offensiva di grandi gruppi (vedi Murdoch ed altri), ai quali altrimenti, sia pure inconsapevolmente, spalancheremo le porte che sono peraltro già aperte.
Alla luce di queste considerazioni di carattere generale, metodologico e politico, non ci convince la divisione manichea che lei opera tra l'analogico e il digitale. Lei pone un problema di specializzazione di contenuti, risolvendo il problema del rapporto tra l'analogico e il digitale in una sorta di specializzazione. È evidente che esista un problema di specializzazione, ma bisogna discutere meglio delle forme di integrazione, anche per offrire un mercato ottimale ai produttori di contenuto.
Non ci convince neppure - l'ha sottolineato prima l'onorevole Bono - questo slittamento del digitale dal 2008 al 2010-2012. Questo discorso di diversificare nei contenuti l'analogico e il digitale comporta, infatti, una segmentazione del mercato e una riduzione delle possibilità dell'offerta. Ai produttori di contenuto dobbiamo, invece, garantire un mercato il più ampio possibile, a prescindere dallo strumento di trasmissione. La stessa ripartizione delle risorse pubblicitarie, che rappresenta il tessuto connettivo della produzione di contenuti, deve tener conto di questo aspetto.


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Non siamo eccessivamente innamorati, signor presidente e signor ministro, del cosiddetto SIC. Siamo invece propensi a valutare diverse ipotesi di ripartizione delle risorse, ma in un'ottica rivolta a potenziare, non ad indebolire, il sistema Italia.
La RAI va certamente riorganizzata, senza depotenziarla, uscendo da una visione provinciale tutta razionale e, dunque, conflittuale, in larga parte anche lottizzata tra le diverse forze politiche. Occorre una vera apertura al mercato ed un potenziamento dell'industria nazionale, e questo è un orientamento comune agli altri paesi europei e mondiali.
Lei ha parlato di dati quantitativi Auditel - cambio rapidamente argomento, ma solo per essere sintetico - che dovrebbero essere sostituiti da dati qualitativi. È evidente che nella rilevazione statistica è molto difficile passare dalla quantità alla qualità, anche perché un'indagine sulla qualità, se l'avesse condotta Giuseppe Verdi alla prima de La Traviata al teatro La Fenice di Venezia nel 1851 - sono presidente di teatri, mi occupo di lirica - sarebbe stata un'indagine disastrosa, dalla quale avrebbe dedotto che si trattava di un prodotto di scarsa qualità, da cestinare (per usare un termine da computer). La Traviata oggi è una delle opere più rappresentate nei teatri di tutto il mondo, a prescindere dal giudizio di qualità immediatamente espresso da quel pubblico, in quell'occasione. Se quell'opera nel 1851 fosse stata trasmessa in un'ipotetica televisione e si fosse fatta un'inchiesta di mercato sulla qualità di quel prodotto, sarebbe emerso certamente un giudizio analogo a quello espresso dal pubblico de La Fenice di Venezia. Quindi, alla luce di queste considerazioni, le inchieste sulla qualità mi lasciano piuttosto perplesso.
La qualità deve essere valutata nel tempo, non sul momento. Una trasmissione può essere giudicata di qualità soltanto dopo un certo lasso di tempo. Questo, naturalmente, implica un giudizio che può essere anche quantitativo, ma soprattutto qualitativo. Il film di Fellini Otto e mezzo, per esempio, è stato certamente meno visto in Italia dei film di Boldi e di De Sica. Questo non significa che il successo di una trasmissione sul piano della qualità possa essere sempre rapportato al numero di persone che la seguono e la apprezzano. Bisogna valutare anche l'impatto della qualità nel tempo, quello che un prodotto riesce a dimostrare sul piano qualitativo, perché cambia il gusto del pubblico, perché introduce delle novità che segnano una svolta nella produzione culturale. Questo non risulta quasi mai valutabile attraverso un'indagine quantitativa, che interessa un limitato numero di persone.
Naturalmente, non si tratta di fare delle trasmissioni o delle produzioni di élite. Anche qui, però, la distinzione tra programmi culturali e programmi di intrattenimento mi sembra abbastanza discutibile, nel senso che ormai nella televisione non esiste più la divisione di generi come c'era un tempo, per cui si assisteva alla trasmissione sportiva, a quella di intrattenimento musicale, a quella politica, a quella culturale. Ormai, i talk-show sono un po' tutto questo, fondendo musica, politica, cultura e a volte anche sport. Quindi, ci sono dei contenitori polivalenti; al limite, lo spettatore può scegliere di cambiare con il telecomando, a seconda dei propri gusti.
Pensate a cosa era divenuto nel tempo il salotto di Maurizio Costanzo, nato come trasmissione unicamente di intrattenimento e di disimpegno e poi diventato trasmissione politica e musicale, avvalendosi di una serie di ingredienti per renderla completa e articolata in quasi tutti i generi che incontrano l'apprezzamento del pubblico.
Per quanto riguarda il discorso del pluralismo all'interno della gestione dei mezzi di informazione, vorrei solo rilevare come la riforma oggi renda praticamente impossibile una prevaricazione per quanto riguarda la nomina del presidente della RAI, attraverso la Commissione di vigilanza. Questo, però, rende assai facile - come è stato evidenziato e, in parte, fatto - una sorta di lottizzazione a due nella gestione della RAI TV per ciò che attiene


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ai massimi vertici (presidente e direttore). Ciò potrebbe determinare nel tempo una situazione simile a quella automatica, che ci trovammo davanti in Parlamento, in occasione dell'elezione del Presidente della Repubblica nel 1992, quando venne scelto, quasi all'unanimità, Scàlfaro, perché questi era già stato eletto quasi all'unanimità Presidente della Camera. Potrebbe accadere, quindi, che il presidente della Commissione di vigilanza diventi il primo pretendente logico, per la qualità della sua nomina, alla presidenza della RAI.
Questo si è verificato spesso all'interno delle fondazioni e delle SpA nel sistema del credito, in cui il presidente della fondazione, dal momento che nomina se stesso, diventa automaticamente presidente della SpA. Ciò costituisce certamente un limite. Capisco che si tratta di un'innovazione importante per garantire pluralismo e non prevaricazione di una parte sull'altra, ma alla fine il rischio obiettivo mi pare sia proprio questo.
Termino il mio intervento facendo una raccomandazione. Quando si parla di pluralismo, si richiamano rapporti a due, così come due sono i poli e come due rischiano di diventare i grandi partiti nel tempo. Esiste, tuttavia, la necessità di tutelare tutte le voci, tutte le forze politiche, tutte le tendenze politiche. Noi, come piccolo partito, come piccola comunità, Nuovo PSI, abbiamo denunciato al presidente della RAI TV e al garante per le comunicazioni il silenzio assoluto in cui è stata costretta una forza come la nostra, che, secondo le rilevazioni dei mesi di maggio e di giugno, non ha avuto alcuna citazione in nessun telegiornale RAI e in nessun telegiornale Mediaset, mentre formazioni politiche anche più piccole della nostra hanno ricevuto ben altro trattamento.
Si tratta di una prevaricazione, a nostro giudizio assolutamente inaccettabile, contro la quale intendiamo combattere una battaglia di libertà e di pluralismo, nel modo più rigoroso e deciso possibile.

PRESIDENTE. Il seguito dell'audizione è rinviato ad altra seduta, sulla base delle disponibilità del ministro Gentiloni Silveri. In quell'occasione credo potremo concludere l'audizione del ministro, perché vi sono ancora quattro colleghi iscritti a parlare, ai quali seguirà la replica del ministro.

La seduta termina alle 9,25.