COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 26 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 8,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni Silveri, sulle linee programmatiche del suo dicastero, per gli aspetti di competenza della Commissione.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni Silveri, sulle linee programmatiche del suo dicastero, per gli aspetti di competenza della Commissione.
Ricordo che l'audizione del ministro è stata avviata nella seduta del 6 luglio scorso ed è proseguita in quella del 19 luglio.
Nel ringraziare il ministro per la disponibilità manifestata, do la parola ai colleghi non ancora intervenuti che intendano formulare quesiti ed osservazioni.

ANDREA COLASIO. Ho riletto attentamente la relazione del ministro, che credo contenga, nella sua pacatezza argomentativa, profonde implicazioni di sistema. Essa, infatti, non vuol essere una mera radiografia dell'esistente, ma, nell'evocare e sottolineare le criticità del sistema, evidentemente, delinea anche una strategia implementativa di un processo normativo, che dovrebbe connotare una strategia coerentemente riformista, portato conseguente di quanto il programma - dell'Ulivo prima e dell'Unione poi - individua come elementi di criticità del sistema. Ciò va detto con chiarezza, nel senso che sono almeno due gli aspetti rilevanti che attengono alle competenze non solo del ministro ma anche di questa Commissione. Il primo aspetto attiene alle regole del sistema, al pluralismo informativo; la seconda dimensione, non meno rilevante, concerne quello che ritengo il nodo fondamentale - ben sottolineato dal ministro - dei contenuti dell'industria culturale. Regole del pluralismo e industria culturale, infatti, sono tematiche strettamente correlate.
Per quanto riguarda il primo punto - e mi dispiace che il collega Bono non sia presente in questo momento, lo dirò, comunque, ai presenti - anche lei ha individuato il problema nel nodo della transizione al digitale terrestre. La normativa introdotta dall'Ulivo, nel 2001, aveva una funzione meramente esortativa, nel senso che si indicava il 2006 come terminus a quo del processo (è sufficiente rileggerne il contenuto ) non come switch-off o terminus ad quem: non si diceva che nel 2006 si sarebbe passati al digitale. Ci si limitava, dunque, a sollecitare il sistema televisivo italiano, comparativamente agli altri modelli europei, ad incanalarsi lungo la strada del digitale terrestre.
Oggi, francamente, meraviglia che le opposizioni ci accusino di voler frenare il digitale terrestre. Abbiamo reiteratamente


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affermato, in sede di discussione della legge Gasparri, che il termine di riferimento per l'introduzione del digitale terrestre dovrebbe cadere tra il 2010 ed il 2012, ma questo non lo si decide normativamente; sono, infatti, le dinamiche dello sviluppo tecnologico a stabilirlo. In tal senso, in tutta Europa il 2010-2012 rappresenta un termine realistico di riferimento temporale. È evidente che qui vi è un altro problema (sotteso al termine definito in modo non perentorio dalla Gasparri), consistente nel fatto che allora si eludeva il nodo della legge n. 266, relativamente al pluralismo informativo. Lo ricordo al ministro, con cui si sono svolte diverse discussioni proprio in questa sala. Nella legge n. 266, si parlava di occupazione abusiva dell'etere, che è una risorsa scarsa, ed è una risorsa pubblica. Il termine del 2006, evocato dalla Gasparri, delineava una situazione di pluralismo informativo correlato alla moltiplicazione dei canali digitali che, di per sé, avrebbe dovuto, in modo palingenetico, garantire quel pluralismo informativo di cui difetta il nostro sistema. Quindi, siamo lieti, ministro, che vi sia questa consapevolezza - per quanto concerne le due regioni campione -, ovvero che il processo di convergenza è lungi dal realizzarsi, ma soprattutto che, a prescindere dalle modalità regolative del digitale terrestre, quello di cui necessita in chiave pluralistica il nostro sistema è oggi, qui e ora, una regolazione dell'analogico. Soltanto le modalità con le quali verrà regolato l'analogico, infatti, potranno garantire una transizione al digitale terrestre che non riproponga gli stessi vincoli di sistema e lo stesso scenario concentrazionista da cui lo stesso sistema analogico è stato sinora connotato. Ritengo sia proprio questo il punto che lei correttamente ha individuato, sostenendo come la legge Gasparri, di fatto, non fornisca nessuna norma o regola anticoncentrazione, sia sul fronte delle risorse pubblicitarie, sia su quello delle risorse frequenziali. Lei, giustamente, ha parlato di ridondanza frequenziale, di «buco nero», per quanto riguarda la stessa radiografia dei 20 mila impianti frequenza e della necessità di regolare diversamente le modalità allocative nel sistema delle risorse.
Diversi colleghi (penso al collega Vladimir Luxuria) hanno sottolineato l'aspetto problematico del drenaggio di risorse pubblicitarie da parte del sistema televisivo. Vorrei sottolineare che non solo si assiste all'anomalia del caso italiano - il famoso 32/52 contro il 36/32 della Francia, dove il mercato pubblicitario della carta stampata è prevalente rispetto a quello televisivo, come anche nel sistema tedesco - ma che il vero problema consiste nel fatto che questo squilibrio e queste asimmetrie di risorse si producono in un mercato che è asfittico. Comparativamente ai grandi mercati europei, infatti, noi abbiamo processi di concentrazione a fronte di un mercato che è sottodimensionato. Il dramma consiste nel fatto che questo sottodimensionamento del mercato affonda le sue radici proprio nella struttura del duopolio che, di fatto, impedisce il pluralismo. Il professor Tesauro evocava il pluralismo nella molteplicità dei soggetti, che ne è conditio sine qua non, è la precondizione per il pluralismo, ma, appunto, questa pluralità dei soggetti non è data nel sistema italiano, come non è dato neppure quel buon livello di competizione virtuosa che potrebbe creare condizioni di sviluppo del sistema. Nelle varie audizioni abbiamo avuto modo di acquisire ed esaminare anche i materiali prodotti dalle associazioni di categoria, che rappresentano le piccole e medie imprese. Sono passati trent'anni dalla rottura del monopolio, e la mancata regolazione del sistema ha compresso anche le potenzialità di crescita delle tivù locali, che avrebbero potuto rappresentare, come ricordavano diversi colleghi, un fattore di territorializzazione delle risorse pubblicitarie di sostegno alla piccola e media imprenditoria.
Non è presente il collega Del Bue, che si preoccupava del sottodimensionamento dei player italiani, ma la verità è che il SIC, come lei ricorda, non ha definito alcunché in termini di norme anticoncentrazione, bensì, essendo proprio definito da mercati non rilevanti, e poiché le


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posizioni dominanti si definiscono, a loro volta, in funzione dei mercati rilevanti, è evidente che il mare magnum di cui era composto il SIC fa sì che paradossalmente esistano ancora spazi di crescita all'interno del sistema (tutt'altro che norme anticoncentrazione!). È evidente che sulla legge Gasparri si dovrà intervenire molto velocemente per garantire la pluralità degli attori e regole cogenti, anticoncentrazione, sia sul fronte delle risorse pubblicitarie - come spesso evocava la FIEG in questa sede -, sia su quello di una maggiore regolazione delle risorse frequenziali.
Vorrei adesso venire al vero nodo, da lei sottolineato, che è quello del servizio pubblico e dell'industria culturale. Lei, ministro, giustamente ha ricordato come in una ricognizione ad ampio raggio in Europa, modello inglese e modello francese, BBC ed Hexagon rappresentino i modelli virtuosi di riferimento per la transizione al digitale.
Vorrei aggiungere, però, un'altra considerazione: BBC e modello francese, in quanto sistemi che hanno garantito una transizione positiva al digitale, possiedono una sottostante, qualificata, consolidata, articolata, differenziata, industria culturale. Quello che a noi sfugge in questo paese è che RAI, in modo particolare, avrebbe dovuto essere - forse lo è stata in una fase, e sicuramente ha le potenzialità per esserlo ancora, ma non lo è in questo momento - la principale industria culturale di questo paese. In tal senso, lei ha fatto molto bene, signor ministro, a sottolineare la centralità del servizio pubblico, e del contratto di servizio come elemento qualificante, nonché la connotazione di industria culturale del principale player italiano, in un contesto che caratterizza il nostro paese come sottodimensionato per tutte le variabili che possiamo utilizzare: pubblica lettura, lettura dei giornali, consumi culturali genericamente intesi. Proprio questo è il punto di caduta. Signor ministro, dobbiamo chiederci quale sia il vero nodo. Lei è molto chiaro quando dice addirittura che la nostra industria culturale è un'industria in fasce (lo ribadisce almeno tre volte nella sua relazione). Il problema è capire il motivo per cui essa non si sia consolidata e sviluppata. Bisognerebbe, forse, ipotizzare l'esistenza di un ritardo storico (direbbe il professor Morcellini) del processo di consolidamento, del processo di industrializzazione di questo segmento.
Ci sono modelli idealistici alle spalle che hanno impedito di comprendere che l'industria culturale è qualcosa di positivo, forse vi è un vizio genetico di fondo. Da quando è stata introdotta la dialettica dell'illuminismo nel nostro paese, e l'industria culturale si è connotata negativamente, non siamo più riusciti a cambiare modello. Mi rivolgo al presidente Folena, con il quale potrei discutere a lungo su questo punto, perché l'industria culturale è ambivalente: è consumo di massa ma anche creatività. Il problema è trovare un giusto equilibrio, grazie al quale l'industria culturale rappresenti quel fornitore di contenuti che lei evocava.
Desidero affrontare, ora, il tema del contratto di servizio. Intanto, è positiva la modalità con cui lei ha definito l'implementazione come atto trasparente e soprattutto pubblico. Il contratto di servizio, in altri paesi, è un momento non meramente tecnico, ma rituale, simbolico, di grande trasparenza, perché definisce le modalità con le quali le più grandi industrie culturali lavorano sui contenuti, sui processi formativi.
Allora, signor ministro, - mi avvio velocemente alle conclusioni - tutti i punti di criticità vengono a sovrapporsi. È evidente che vi è un'interpretazione distorsiva della legge n. 122, quando lei evoca rischi come l'asimmetria tra chi dispone delle risorse distributive e i fornitori di contenuti. È evidente che il problema della nostra industria culturale in fasce è tutto lì, nel senso che la legge n. 122, per esempio, che avrebbe potuto rappresentare un elemento virtuoso e di crescita della figura del produttore indipendente, è stata interpretata in modo riduttivo anche dalla delibera n. 9 del 1999 dell'Authority per le comunicazioni. In questa, le definizioni di opera cinematografica, per


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esempio, di fiction, di audiovisivo e al tempo stesso di produttore indipendente non sono tali da garantire quella giusta differenziazione di ruoli e funzioni tra chi ha le risorse frequenziali (il distributore) e il fornitore di contenuti.
Signor ministro, dobbiamo lavorare sui fornitori di contenuti, sui produttori indipendenti. Lei sa che come Unione abbiamo avocato, delineato e assunto come scenario di riferimento il modello francese, per quanto riguarda la produzione di contenuti. Lei giustamente ricorda il sottodimensionamento di contenuti della documentaristica, dei cartoni animati, della fiction, afferma che il sistema cinematografico, seppur in crisi, ha una sua specificità. Ma le ribadisco che il sistema dell'industria culturale va riaffrontato con una legge di sistema, che corregga le interpretazioni secondo me elusive dello spirito originario della legge n. 122, che segnalavano la necessità di far crescere i produttori indipendenti.
Lei sa bene che in Francia è impensabile: non c'è nessuna televisione che possa produrre fiction o cinema. Paradossalmente, la legge n. 122 si è tradotta, in Italia, in un consolidamento, attraverso la genesi di RAI Cinema e 01 da un lato, e la ridefinizione della mission di Medusa dall'altro, che nulla condividono con la filosofia originaria della n. 122 e comunque con un quadro comparativo nei riguardi dell'industria culturale europea. Questo è il dato critico. Ritengo, perciò, che lei ed il ministro Rutelli dobbiate definire una strategia interministeriale. Se vogliamo mettere mano al sistema cinema o - meglio - al sistema audiovisivo, all'interno del quale, proprio nella logica della convergenza e della digitalizzazione, va rivista l'industria dei contenuti culturali all'italiana, penso vi sia la necessità di procedere con atti coraggiosi e riformisti.
Lei, giustamente, sottolinea il problema della verticalizzazione dei diritti, ma, signor ministro, è evidente che nel nostro paese - e solo nel nostro paese - i produttori di fiction si vedono costretti a vendere le loro opere contra legem. Al riguardo, le ricordo che TV Sans frontières, la prima, era molto chiara nel dire che i diritti non possono superare i sette anni. Non è un caso che in Italia non si riuscisse a utilizzare le risorse media plus proprio perché la situazione di duopolio impediva ai nostri produttori indipendenti di fare coproduzioni. Spesso, infatti, i produttori europei sottolineano questa anomalia, per cui, mentre in Francia si compra il diritto di antenna per due o tre anni, da noi si acquistano le opere e i diritti a divinis. Ciò significa depotenziare la possibilità di consolidamento patrimoniale dei produttori indipendenti. È evidente che per i produttori indipendenti la library è il vero patrimonio: nel momento in cui i grandi players decidono sia nelle modalità di una verticalizzazione dei diritti, sia per quanto riguarda l'acquisto in fascia temporale, pregiudicano il consolidamento di un sistema articolato e plurale di produttori indipendenti.
Ammettiamo chiaramente la necessità di intervenire su queste anomalie di sistema che, tra l'altro, deprimono e comprimono la capacità di coniugare sistema imprenditoriale e creatività. Lei, signor ministro, giustamente dice che o si andava da RAI o da Mediaset o - come qualcuno avrebbe detto fino a poco tempo fa - dallo Stato per riuscire a implementare e a costruire un prodotto filmico o una bone fiction.
In merito, ricordo altresì che proprio in questi giorni il regista de Il commissario Montalbano ha connotato negativamente l'invasività di RAI nel definire non solo le risorse, ma addirittura il casting. Mi appare evidente la contraddizione per cui, da un lato, con la legge n. 122, evochiamo la figura del produttore indipendente, mentre, dall'altro, divergiamo completamente dal modello francese, in cui il produttore indipendente ha un grande margine di autonomia, perché il meccanismo è basato su automatismi allocativi di risorse. Al contrario, infatti, da noi esiste la discrezionalità del dirigente RAI o del dirigente Mediaset - quantomeno, in questo secondo caso, si tratta di soldi privati e non del canone, quindi della collettività -, ma è evidente che tale mancanza di differenziazione


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di ruoli e funzioni indebolisce notevolmente la possibilità di crescita di una nostra autonoma industria culturale, per non dire che l'Unione europea e la stessa Authority recentemente hanno stigmatizzato le criticità del sistema. Ritengo che un'industria culturale, un buon contratto di servizio, debbano lavorare su questo.
Mi permetto, inoltre, di ricordarle una questione che mi sta molto a cuore. Lei ha evocato, giustamente, il ruolo dei minori: ricordo agli amici dell'opposizione che, quando si discusse del primo testo della Gasparri, il ruolo dei minori era confinato in una mezza riga all'articolo 3. Siamo stati noi del centrosinistra a sollevare la necessità di una regolamentazione più chiara e analitica, che poi portò alla riscrittura di quel testo con il recepimento giusto e con effetti cogenti della Carta di Treviso, che ha cominciato a delineare una centralità dell'attenzione ai minori, anche se siamo ben lungi dall'avere una televisione pubblica attenta a questi.
Va, tuttavia, rilevato, signor ministro, che dobbiamo passare da quella che vorrei evocare come una sorta di tutela passiva del minore (per cui si impedisce qualcosa) a una forma di tutela attiva dello stesso. Ritengo che i nostri produttori indipendenti siano molto sensibili agli aspetti formativi, e che, in particolare, i cartoni animati abbiano una grande potenzialità di orientamento educativo, mentre i nostri sono drammaticamente penalizzati. In RAI, siamo a 18 milioni di euro e aggiungo anche un'altra cosa: i nostri produttori quando si muovono nei mercati europei, trovano in diversi paesi (penso alla Francia) difficoltà operative. Mi domando anche che senso abbia che RAI produca cartoni animati assumendo schemi, modelli e produzioni coreane. Dobbiamo smetterla con questo. Evochiamo uno spazio europeo, ma i processi formativi ed educativi dei nostri ragazzi passano attraverso contenuti che nulla hanno a che vedere con quella che dovrebbe essere una moderna logica di servizio pubblico.
Su Tv Sans frontières 2 sono d'accordo anch'io. Sarebbe meglio regolare il product placement. Tra l'altro, non mi pare di vedere nel cinema questi grandi risultati, anche se comunque ritengo che, come lei diceva, sia opportuno che ogni singolo sistema nazionale possa regolare in piena autonomia certi aspetti.
Credo che il tempo a mia disposizione sia scaduto, quindi aggiungo solo un'ultima considerazione. Lei ha giustamente citato gli indici di qualità e soddisfazione, che sono alla pari di un segreto di Stato. A mio parere, bisognerebbe cominciare ad introdurre elementi qualitativi nel contratto di servizio. A questa Commissione sta a cuore l'intreccio tra la nostra produzione culturale, i beni culturali, il teatro e il servizio pubblico. Abbiamo la sensazione che, spesso, quella che lei evocava come una grande potenzialità, il know how del nostro retroterra culturale, correlata alla diversificazione delle piattaforme attraverso la convergenza e digitalizzazione, rischi di rimanere inespressa, qualora non si introducano forti elementi correttivi nelle criticità del sistema e nei fattori di vincolo alla crescita autonoma di una forte industria culturale.
Lei giustamente dice che dovremo regolare l'invasività della politica, pensando a modalità con le quali, nel definire gli assetti di governo della RAI, si produca quel giusto equilibrio tra politica e impresa. Ha evocato questo aspetto, senza però declinarlo operativamente. Penso che sarebbe interessante per questa Commissione conoscere anche le implicazioni normative di questa sua riflessione.
La ringrazio, ad ogni modo, per la sua relazione, che trovo molto analitica ed esaustiva, ma soprattutto coerente con un programma fortemente innovatore, incentrato sulla crescita forte di una industria culturale italiana, che ha grandi potenzialità latenti e compresse da un sistema non regolato di duopolio. La ringrazio ancora e le auguro buon lavoro.

ALBA SASSO. Avevo chiesto la parola solo per rivolgere al ministro Gentiloni una domanda, che però ho notato esser stata posta anche dal collega Colasio. Specifico, anzi, che le domande sono due e


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riguardano due argomenti distinti. La prima concerne l'ufficio antitrust della Commissione europea, che ha aperto una procedura di infrazione contro l'Italia, perché nel passaggio al digitale si favorisce una situazione delicata. Ormai, da un anno e mezzo, Mediaset e in parte RAI acquistano frequenze sulle quali dovrebbe svilupparsi il digitale. Ovviamente, su alcune di queste frequenze dovrebbe trasmettere Mediaset, mentre altre dovrebbero essere cedute in fitto. Mi interesserebbe sapere dal ministro come il Governo intenda procedere riguardo tale questione. Paradossalmente, una tecnica come quella digitale, che dovrebbe permettere, nel nostro immaginario ma anche nelle intenzioni, il pluralismo, la creatività, l'attività dei piccoli produttori, finisce per essere una gabbia peggiore della televisione normale. Nell'ultimo anno e mezzo, attraverso l'acquisto delle frequenze, ho visto morire piccole TV private, magari certo neanche di grande qualità. Tuttavia, dobbiamo renderci conto che, con questa politica, RAI e Mediaset non solo avranno monopolio, una più dell'altra, ma decideranno, possedendo le risorse, anche i contenuti dei canali che daranno in cessione. Mi pare, ad ogni modo, che il collega Colasio già sia intervenuto su questo aspetto, quindi non mi dilungherò ulteriormente.
Vengo alla seconda domanda. Nel consiglio di amministrazione della RAI è presente una persona nominata dal precedente Governo - più esattamente dall'allora ministro dell'economia -, il dottor Petrone, in quanto esponente di quel Governo. Anche rispetto a questo le chiedo cosa intendiate fare lei e il nostro Governo.

PRESIDENTE. Colleghi, mi duole ora informarvi di un lutto, del quale ci è giunta notizia poco fa. È deceduta la moglie del deputato Tranfaglia, membro della nostra Commissione. Vorrei esprimere, dunque, a nome di tutti noi, la più affettuosa solidarietà e sentimenti di vicinanza a Nicola Tranfaglia per questa perdita molto grave. Per questa ragione, l'onorevole Tranfaglia - che avrebbe dovuto essere qui, oggi, per intervenire - non sarà presente. Credo di raccogliere il sentimento comune della Commissione nell'esprimergli il nostro cordoglio.
Prima di dare la parola al ministro Gentiloni, per la replica, vorrei aggiungere una domanda tesa a raccogliere un aspetto corale emerso dal nostro lungo confronto. Mi piacerebbe anche discutere con l'onorevole Colasio di industria culturale; non ho alcun timore non solo di affrontare tale questione, ma anche di affrontarla in termini assolutamente nuovi. Recentemente, in un'intervista a Finanza&Mercati proprio sul tema del rapporto tra i privati e lo sviluppo di un grande patrimonio comune della cultura, ho avuto modo di esprimere alcune mie opinioni che qui non intendo ripetere.
Il contratto di servizio credo sia davvero una gigantesca questione da affrontare. Mi piacerebbe - dal momento che, con molta probabilità, la questione si andrà a concludere l'autunno prossimo - che la nostra Commissione, chiamata ad occuparsi di contenuti e non di aspetti di sistema e di reti - nel passato si è molto parlato di sistema, di assetto, e di reti, aspetti su cui si aprono problemi enormi già citati -, riuscisse a dare un contributo serio in questa direzione.
Questo lo dico anche in rapporto al fatto che una parte molto ampia del cinema italiano ed europeo non ha la possibilità di arrivare nelle sale, non ha mercato (più esattamente, nella pura logica di mercato non avrà un solo giorno di proiezione nelle sale) e che una parte importante della produzione musicale non dispone di strumenti. Esiste una splendida piccola trasmissione, che a me capita di sentire viaggiando la sera tardi, Demo - credo l'unica trasmissione radiofonica della durata di 20 minuti - che dà spazio a gruppi musicali emergenti e che rappresenta l'unico contributo del servizio pubblico in questo campo. Non vorrei qui citare la lirica, che rappresenta un'enorme bandiera italiana nel mondo (parlando con i direttori degli istituti italiani di cultura, ho scoperto, peraltro, che l'esplosione della partecipazione ai corsi di lingua


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italiana in Asia è legata proprio alla musica lirica). Una parte importante di queste produzioni italiane potrebbe, dunque, accedere al servizio pubblico, senza poi citare la danza o il teatro.
Credo che il complesso di tali questioni dovrebbe trovare collocazione adeguata nel lavoro che porta alla definizione del contratto di servizio, sia in rapporto ad orari, anche notturni, della televisione in chiaro, sia rispetto agli investimenti che, nel corso dei prossimi anni, andranno fatti per quello che riguarda il digitale. Insomma, vorrei sollecitare il ministro, avendo ascoltato le sue parole e conoscendone la sensibilità, a studiare insieme la modalità attraverso la quale alcuni di questi aspetti (musica, cinema e teatro) possano trovare, nel servizio pubblico, spazi estremamente consistenti, anche in orari che non sono di grande audience, ma che possono rappresentare un primo volano significativo per produzioni italiane ed europee.
Do quindi la parola al ministro Gentiloni per la replica.

PAOLO GENTILONI SILVERI, Ministro delle comunicazioni. Ringrazio il presidente e mi associo alle condoglianze rivolte all'onorevole Tranfaglia. Ringrazio tutti voi per la pazienza, tenuto conto che questa audizione è stata svolta per tappe, nel senso che sono passate tre settimane dal suo inizio e, nel frattempo, alcuni elementi di cui avevo parlato nell'introduzione hanno avuto degli sviluppi.
Mi riferisco, ad esempio, alla legge sui diritti del calcio, di cui si era parlato nel corso dell'audizione come di un'ipotesi da sviluppare entro la fine di luglio, oppure ai tempi del digitale terrestre, divenuti, poi, oggetto dell'incontro di Napoli tra tutti gli operatori del settore, nel corso del quale sono state indicate alcune scadenze e alcuni temi discussi proprio in questa Commissione, nel nostro colloquio introduttivo.
Per quanto riguarda gli ulteriori sviluppi dell'azione governativa - mi riferisco, in particolare, alla domanda che poneva, nella prima delle nostre sedute, l'onorevole Giulietti, chiedendo al Governo chiarimenti sulla scansione temporale delle iniziative - è chiaro che i tempi dipendano dai calendari dell'azione di Governo e dai calendari parlamentari. Un ministro può indicare solo alcune linee di massima. Non c'è dubbio che ai primi di settembre - mi rivolgo all'onorevole Sasso - risponderemo con una lettera alla notizia di apertura di una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea, in particolare del commissario Kroes, relativa alla legge Gasparri.
Tale procedura mette in evidenza uno degli aspetti problematici sui quali il Governo intende intervenire con le proposte di modifica della richiamata disciplina. Come sapete, l'Unione europea si concentra sul rischio che, nella transizione dalla televisione analogica alla televisione digitale, il mercato non si apra, ma si confermino alcune posizioni di chiusura verso le attuali posizioni preponderanti nell'analogico. Chiede, quindi, al Governo italiano di chiarire in che modo si possa evitare il rischio di una transizione al digitale fatta per gli stessi operatori che hanno posizioni preponderanti nella televisione analogica. C'è poi una seconda procedura di infrazione, che non è ancora arrivata alla decisione collegiale della Commissione, ma è soltanto in fase istruttoria (seppur già comunicata in due passaggi al precedente Governo italiano) inerente agli aiuti di Stato al finanziamento per i decoder, realizzato nel nostro paese con due leggi finanziarie successive. Risponderemo al riguardo, ovviamente, quando la procedura verrà formalizzata in sede collegiale dalla Commissione stessa.
Sul punto, esistono dei precedenti dell'Unione europea, che è già intervenuta condannando in due occasioni alcuni Länder tedeschi per finanziamenti ai decoder. Siamo consci, dunque, del fatto che l'orientamento della Commissione sia assolutamente contrario a finanziare gli attuali decoder del digitale terrestre, in quanto violerebbero il principio della neutralità tra le diverse tecnologie. Entro l'autunno, invece, il Governo presenterà le


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sue proposte di modifica della legge Gasparri, di cui abbiamo parlato nell'introduzione al primo dei nostri incontri.
Prendo atto della posizione espressa da alcuni parlamentari, in particolare quella dell'onorevole Lainati, il quale sostiene che la legge Gasparri vada energicamente difesa nella sua attuale formulazione. Non lo ribadirò, ora, in sede di replica, ma credo di aver chiarito il punto di vista del Governo nella mia introduzione. A nostro avviso, alcuni punti molto importanti di questa legge (la quotazione in borsa e la privatizzazione della RAI, i tempi dello switch-off del digitale terrestre e il SIC) sono evidentemente sorpassati e, come tali, vanno accantonati. Dobbiamo poi discutere in Parlamento del contenuto delle modifiche. Però, sostenere la validità della legge ancora oggi non è una valutazione che personalmente possa condividere.
Condivido, invece, almeno dal punto di vista dell'ispirazione di metodo che deve orientare il Governo, la richiesta dell'onorevole Barbieri di abbandonare - se ben ricordo quanto da lui sostenuto - l'impostazione di procedere a testa bassa, a colpi di maggioranza, come a suo avviso sarebbe erroneamente accaduto nella precedente legislatura sulla legge Gasparri.
Da parte nostra, certamente presenteremo proposte puntuali in merito agli aspetti dell'argomento che consideriamo superati, cercando, quanto più possibile, di sviluppare un confronto positivo con tutto il Parlamento, quindi anche con l'opposizione. Lo faremo, se sarà possibile, giacché in questo paese non è sempre facile, in materia televisiva, aprire un dialogo tra i due schieramenti, trattandosi di una tematica che ha profonde implicazioni legate alle note vicende del conflitto di interessi. Tuttavia, penso che, almeno nelle Commissioni, sia possibile e soprattutto doveroso confrontarsi con tale impostazione.
Per quanto riguarda il contratto di servizio, credo che il presidente Folena ci richiami ad una necessità molto rilevante, che è l'ispirazione del Governo. L'esito positivo dipende naturalmente dalla collaborazione di tutti, e si sa che i tempi per riuscirci sono abbastanza ristretti. Potremmo anche decidere, infatti, di prenderci otto-nove mesi di tempo, ma, a mio avviso, dal momento che il contratto è scaduto alla fine dell'anno scorso e il Governo lo ha ereditato già con cinque mesi di ritardo, si dovrebbe evitare di aggiungere altri cinque mesi e, quindi, chiudere il contratto di servizio, se è possibile, in autunno, senza sforare troppo.
Dobbiamo, quindi, tenere presenti le due esigenze di agire in fretta e di imprimere il più possibile una svolta ad uno strumento che - ammettiamolo - nei 12 anni di utilizzo, a prescindere da quali siano stati i Governi che lo hanno definito insieme alla RAI, non è stato del tutto efficace (per usare un'espressione prudente). Credo che il rapporto migliore tra lo Stato e la RAI non sia quello finalizzato ad avere dei contratti deboli, poco rilevanti, e foriero di continue ingerenze tra il potere pubblico e l'azienda televisiva. Molto meglio sarebbe un sistema in cui i contratti siano seri, in cui si prendano degli impegni seri, con strumenti di verifica e controllo effettivi, per poi lasciar onorare il contratto all'azienda, nella sua autonomia.
Dobbiamo quindi lavorare per rendere più efficace il contratto di servizio - molti deputati ne hanno parlato, ad esempio l'onorevole Bono -, perché esso ci aiuta a definire meglio quale sia la missione di contenuto della RAI. Sono, pertanto, assolutamente disponibile alla proposta del presidente Folena di aprire un confronto - al di là della legge che prevede il parere obbligatorio della Commissione di vigilanza sulla RAI - con le Commissioni di merito, in particolare con la Commissione cultura, sul contratto di servizio, al cui interno si intersecano molte questioni delle quali si è parlato: dalla legge n. 122, al ruolo della RAI nella promozione dell'industria culturale, al tema dei minori e, in generale, alla definizione di ciò che è servizio pubblico. Un aspetto deve essere chiaro: come Stato italiano, non possiamo accontentarci di una definizione del servizio pubblico, che è quella attualmente


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contenuta nel contratto di servizio. Oggi, questo si limita a definire un elenco di 11 generi, individuando come servizio pubblico tutto ciò che in essi rientra. La RAI fa il suo dovere di servizio pubblico nella misura in cui una quota - superiore al 65 per cento per Rai Uno e Rai Due, e all'80 per cento per Rai Tre - dei suoi programmi fa parte di questo elenco di generi. Questo può essere un criterio ed ha anche il vantaggio di essere «quantificabile». Siamo tuttavia consapevoli di assistere all'evoluzione dei generi, alla loro ibridazione (ormai da 15 anni si parla di «infotainment», benché l'informazione abbia un certo valore di servizio pubblico e l'intrattenimento no). Detto ciò, credo che i valori di servizio pubblico vadano comunque definiti in modo diverso. Esistono modelli di altre televisioni pubbliche per definire il valore pubblico in modo meno datato e schematico della mera elencazione di generi.
Per quanto riguarda l'industria culturale, la legge n. 122 e temi ad essa attinenti, citati da molti parlamentari e, da ultimo, dall'onorevole Colasio con accenti che condivido, è evidente che potremo fare ben poco, ma dobbiamo attivarci anche con il contratto di servizio. Questa è materia su cui, a mio avviso, occorre una riflessione legislativa, nel senso che, da un lato, è necessario un bilancio della legge n. 122, che ha avuto effetti molto positivi, ma anche elementi «degenerativi» e, dall'altro, occorre un'azione rivolta al futuro sul tema dei diritti. È infatti evidente che l'evoluzione tecnologica non risolverà la questione della forza e dell'autonomia dell'industria culturale. Ciò significa che l'evoluzione dalla televisione generalista alla televisione del futuro non risolverà tale questione. La più «futura» tra le televisioni del futuro, la televisione su Internet, la IPTV, la piattaforma che molti ritengono appartenga al futuro e che invece è già vicina, in quanto Deutsche Telekom sta cominciando a venderla con 150 canali, presenta, tuttavia, i medesimi problemi di rapporto tra il possessore della rete e la embrionale (ancora in fasce, in Italia) industria dei contenuti. Quindi, occorre un intervento che valuti contemporaneamente la legge n. 122 e ulteriori progetti di tutela dei diritti di produzione culturale, che consentano ai produttori di essere più forti rispetto ai distributori, rispetto ai grandi broadcaster nella televisione analogica, rispetto ai possessori di piattaforme nella televisione del futuro. Con tutta l'importanza che ovviamente riconosco all'industria delle telecomunicazioni, non possiamo immaginare produttori di contenuti che siano semplicemente degli esecutori in mano alla grande impresa delle telecomunicazioni, in mano ai possessori delle piattaforme.
Altro tema su cui molti sono intervenuti è quello della pubblicità, dell'Auditel. È indubbiamente giusto essere passati, culturalmente, da un atteggiamento di rifiuto - e l'onorevole Luxuria citava questo, anche a proposito dell'evoluzione personale di un grande personaggio italiano come Federico Fellini - verso la pubblicità ad un atteggiamento positivo, ma critico, regolato nei confronti della pubblicità stessa. Penso che questo debba essere l'atteggiamento di tutti, e del Governo in particolare, anche sui dettagli. Mi riferisco, ad esempio, anche qui ad un accenno dell'onorevole Luxuria, per quanto riguarda il volume dei break pubblicitari. Questo argomento mi appassiona e quindi, poiché il Ministero delle comunicazioni dispone di un valido Istituto superiore delle comunicazioni che esegue analisi tecniche, ho chiesto appunto all'Iscom di controllare.
Sono consapevole del fatto che sia una vecchia storia, ma da telespettatore continuo ad avere la sensazione che, nel passaggio dal programma normale alla pubblicità, il volume aumenti significativamente, cosa che la normativa vietava in modo esplicito fino ad un anno fa, e che attualmente non vieta, ma scoraggia. Quindi, questo è un inciso, su cui penso si debba lavorare. Molti hanno parlato di riforma dell'Auditel, percorso che ritengo avviato e da sviluppare. È stato avviato soprattutto dall'Autorità delle comunicazioni, ma non credo in quanto l'Auditel rappresenti una truffa (mi rivolgo anche


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all'onorevole Barbieri che si chiedeva se si trattasse di dati scientifici o di frutto di intese tra azionisti). Non esiste una questione di truffa - questa è la valutazione mia e del Governo -, ma piuttosto il problema che l'Auditel ha avuto una governance molto chiusa, che soltanto recentemente comincia ad aprirsi sia all'Authority delle comunicazioni, sia ad altri editori. In secondo luogo, l'evoluzione del suo panel, costituito da 5 mila famiglie scelte con rotazione continua, non è mai stata effettivamente al passo con l'evoluzione tecnologica, quindi ha sempre registrato con ritardo l'ingresso di nuove piattaforme, di nuove offerte, di nuovi servizi.
Per quanto riguarda il Governo, al di là di queste valutazioni sull'Auditel, il nostro obiettivo, oltre a quello di rendere l'Auditel ovviamente più efficiente - ci sta lavorando l'Istat su mandato dell'Autorità delle comunicazioni - e più trasparente dal punto di vista della governance, deve essere quello (cominciando con il contratto di servizio) di dare legittimità, forza, visibilità anche ad altri indicatori, come la RAI. Il servizio pubblico non può avere come punto di riferimento, come giudice unico, l'indice di ascolto, che certamente deve valere, perché non c'è servizio pubblico - è stato ribadito - se il pubblico è altrove, ma il pubblico non può essere il suo punto di riferimento esclusivo. Se infatti lavoriamo e lavoreremo per una RAI in cui sia più chiara la distinzione tra ciò che è finanziato dal canone e ciò che è finanziato dalla pubblicità, giungendo anche, nell'ambito di un sistema RAI che conservi la sua unitarietà pubblica, a una distinzione societaria, ove la parte RAI più finanziata dal servizio pubblico abbia una quota di pubblicità meno rilevante, è evidente la necessità che la RAI disponga di indicatori diversi da quelli di ascolto.
Introdurremo, quindi, già nel contratto di servizio - questa sarà la proposta del Governo - indicatori dei quali esistono precedenti recenti (degli ultimi due o tre anni) sia nelle due televisioni pubbliche inglesi, la BBC e Channel 4, sia nella televisione pubblica francese, che costituiscono un mix tra gradimento e qualità, che si realizzano attraverso normali panel di telespettatori (magari non numerosi come quelli dell'Auditel, ma sollecitati quotidianamente) e che forniscono all'azienda di servizio pubblico un altro parametro di riferimento sul successo, sulla qualità, sull'utilità della propria programmazione. Credo che questa impostazione - di cui mi sembra abbia parlato anche Piero Angela in un'intervista su La Stampa - sia utilissima, non per rovesciare la scala delle priorità, ma per associare le tematiche riguardanti la qualità della produzione di contenuti ai discorsi sull'utenza pubblicitaria, il costo contatto, la Sipra e quindi l'Auditel. Sarebbe importante che tutto il mondo televisivo, dai critici che scrivono sui giornali agli investitori e alle strutture di produzione, la mattina alle 11, oltre ad avere - come succede da molti anni - il dato dell'Auditel che segnala com'è andato quel programma, potesse disporre anche del responso di come quel programma sia stato giudicato dal punto di vista del gradimento e della qualità. Non è presente l'onorevole Del Bue, che aveva posto questa stessa questione, riferendosi alla prima della Traviata, rilevando che, se allora fosse esistito l'Auditel, La Traviata non avrebbe mai avuto una seconda replica, giacché il suo esordio fu disastroso. Non è esattamente così, perché in televisione bisogna comunque commisurare i due indicatori, quello degli ascolti e quello della qualità-gradimento, ma, a mio parere, è certo fondamentale associarli.
Infine, diversi intervenuti (l'onorevole De Biasi, l'onorevole Giulietti, l'onorevole Bono, l'onorevole Colasio) si sono concentrati sul tema della televisione senza frontiere numero due, cioè della nuova direttiva. La direttiva ha tempi non brevissimi, l'intenzione della Commissione è di approvarla nel semestre di presidenza tedesco, che comincia la primavera dell'anno prossimo. Dopo la pausa estiva, quindi, saremo nel pieno della fase di confronto sia al Parlamento europeo, sia nell'ambito del Consiglio dei ministri della cultura, che si svolgerà su questi temi tra novembre e dicembre. È molto importante, quindi, che se ne discuta anche nella Commissione


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cultura della Camera facendo emergere un orientamento. Desidero solo sottolineare due questioni, la prima delle quali riguarda la televisione sans frontières. Questa, nella nuova versione, è molto utile perché stabilisce delle regole che riguardano sia la televisione lineare - che possiede un suo palinsesto che il telespettatore consulta passivamente, con orari e con menu predeterminati - sia, per la prima volta, anche la televisione non lineare, la televisione on demand, costituita dall'accesso a library nelle quali si chiede ciò che si vuole a qualsiasi ora del giorno. Anche quelle hanno bisogno di framework, di cornice, di regole. Questa parte della direttiva, a mio parere, è convincente, mentre non lo è la parte in cui vengono incrementate ulteriormente diverse forme di pubblicità televisiva.
Naturalmente, mi rendo conto che questa valutazione è figlia della realtà italiana, nel senso che siamo un paese nel quale il peso della pubblicità televisiva, rispetto ad altre forme di pubblicità, è largamente maggiore che negli altri paesi europei. In un paese come la Germania, ad esempio, in cui la pubblicità televisiva possiede il 30, 40 per cento del volume di tutta la pubblicità (quindi molto meno della pubblicità sulla carta stampata), capisco che il problema possa essere meno sensibile. Tuttavia, penso che il Governo italiano debba confermare la richiesta di possibili comportamenti autonomi dei singoli paesi, specialmente nell'ipotesi che si evolva questa impostazione di proliferazione delle forme pubblicitarie, compreso il product placement. Sebbene esista, infatti, un contenzioso tra diversi paesi, perché il Governo francese e molti altri Governi «latini» sono contrari all'introduzione del product placement, qualora dovesse esserci una maggioranza sufficiente per far passare questo e altre forme innovative di pubblicità inserite nella direttiva, sarebbe giusto che il Governo italiano (come eventuali altri) ottenesse la possibilità di misure più restrittive, più rispondenti alle esigenze dei singoli mercati.
Se ho ancora un minuto a disposizione, vorrei affrontare la questione, sollevata da diversi intervenuti, in particolare l'onorevole Bono, sul tema del potenziamento dei contenuti nella televisione digitale. Sono assolutamente d'accordo al riguardo e ritengo errato il modo in cui si sia cercato di sviluppare il digitale terrestre in Italia, ma anche chi intendesse difendere quanto realizzato negli ultimi 2 o 3 anni, deve prendere atto che quella strada è ormai preclusa. Una diffusione del digitale terrestre, attraverso distribuzioni gratuite o semi-gratuite dei decoder, è ormai irrealizzabile. Fu un errore, a mio avviso, perché anche ora la distribuzione gratuita di decoder, se non fosse preclusa, dovrebbe essere utilizzata per colmare lacune nella parte più difficile della popolazione, le persone più anziane, più resistenti all'introduzione di nuove tecnologie, le parti del paese meno raggiungibili. Giacché è economicamente impossibile estenderlo a tutti, quindi, non lo farei certo per i pionieri, per quelli più disponibili all'innovazione. Comunque, quella strada è preclusa e procediamo compiendo un grande investimento sui contenuti. Penso che nei prossimi giorni il Ministero, di intesa con tutti gli operatori, emanerà un decreto con cui provvederà ad istituire (spero prima della pausa estiva) una cabina di regia della transizione al digitale terrestre, in cui saranno presenti tutti i protagonisti, e la cui missione fondamentale sarà puntare sullo sviluppo dei contenuti autonomi, esclusivi della piattaforma digitale terrestre, come motore della transizione.
Infine, l'onorevole Sasso ha sollevato la questione relativa al consigliere della RAI, Petroni. Come sapete, la questione non riguarda il ministro delle comunicazioni ma l'azionista, ministro dell'economia. Mi limito ad una valutazione abbastanza banale, considerando che i rappresentanti dell'azionista del Ministero dell'economia, nelle aziende pubbliche e nelle aziende partecipate dal Governo, sono rappresentanti del ministro dell'economia. Normalmente, almeno sul piano formale, quando cambiano i Governi, quei rappresentanti rassegnano le loro dimissioni, mettono nelle mani dei nuovi ministri la loro disponibilità a dimettersi. Sono normalmente


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funzionari della direzione generale del Tesoro, sono rappresentanti portavoce del ministro pro tempore dell'economia. Questo è il ruolo che, in Poste italiane - per citare un'altra azienda di cui il mio Ministero si occupa -, ha il rappresentante del Ministero del tesoro. Si tratta, quindi, di un rapporto fiduciario: non a caso, è l'unico dei nove consiglieri di amministrazione della RAI che non è votato dal Parlamento, né a maggioranza semplice come gli altri sette consiglieri, né a maggioranza addirittura di due terzi come il presidente, ma è semplicemente indicato dal Ministero del tesoro.
Il ministro dell'economia deve, dunque, valutare se questo rapporto fiduciario sussista, ed è una valutazione che compete esclusivamente a lui.

PRESIDENTE. Colleghi, con la replica del ministro Gentiloni termina questa audizione. Vorrei abusare della vostra pazienza soltanto per un minuto, per dire che questo intervento conclude l'intera serie di audizioni con tutti gli esponenti di Governo - cinque ministri e un sottosegretario -, facenti riferimento, in ragione delle loro deleghe, al lavoro della nostra Commissione.
Vorrei altresì informare, le colleghe ed i colleghi della Commissione, approfittando del fatto che questo è l'ultimo passaggio delle audizioni ministeriali di inizio legislatura (i ministri, poi, saranno chiamati in seguito, su sollecitazione dell'opposizione e della maggioranza, a riferire in questa sede e saranno disponibili a intervenire), del fatto che, anche a dimostrazione del lavoro svolto, dal 15 giugno al 26 luglio, quindi in poco più di 40 giorni (tenuto conto della settimana impegnata dal referendum), abbiamo svolto 17 sedute di audizione con i ministri e i sottosegretari per una durata totale di circa 30 ore e 25 minuti. Sono intervenuti 91 colleghe e colleghi, 47 interventi dell'opposizione e 44 della maggioranza, per cui credo sia stato un impegno particolarmente faticoso. Chiedo scusa per le volte nelle quali (come ieri sera o questa mattina) abbiamo dovuto approfittare della pazienza e della collaborazione di tutti per quanto riguarda gli orari. In questo mese, si è svolto un confronto a tutto campo tra maggioranza e opposizione, tra Parlamento e Governo, che a mio avviso è stato estremamente utile.
Personalmente, ho imparato molto, ma i dati sono questi, anzi ancora più articolati e, quando ne avremo un bilancio definitivo, potremo fornirli ai membri della Commissione. A mio parere, questo pone ottime basi perché il confronto - conflitto democratico quando necessario, dialogo fruttuoso quando possibile - conduca a un positivo prosieguo del nostro lavoro.

GIUSEPPE GIULIETTI. Vorrei porre una comune domanda, presidente, che probabilmente deriva dalla mia ignoranza, approfittando anche della presenza del ministro Gentiloni. Abbiamo avuto una serie di audizioni col sottosegretario Levi, e, se non ricordo male, si era discusso di uno spostamento, in base al quale non sarebbe stato effettuato alcun taglio quest'anno, e gli eventuali tagli sarebbero stati spalmati sulle annualità successive. Già su questo nutrivamo delle perplessità (perché comunque, quell'intervento si sarebbe dovuto correlare ad un piano globale), che sono in seguito aumentate, giacché certi elementi - ricavati da una mia prima frettolosa lettura e da segnalazioni del Senato - lascerebbero desumere l'operatività di alcuni tagli già da quest'anno. Al riguardo, mi permetto solo di chiedere al presidente se sia possibile effettuare una verifica anche da parte sua sulle tabelle dell'editoria, che anch'io controllerò. Sottolineo questo problema anche al ministro, perché, benché tale questione non interessi la televisione, afferisce ad un aspetto che comunque riguarda numerose aziende italiane, con il rischio di generare un clima di confusione e di paura in una delle poche materie su cui si lavora di grande concerto.
Vorrei capire se sia possibile un supplemento di indagine e come, eventualmente, possiamo fare fronte a tale problema. Poiché ne abbiamo discusso a latere e so che il mondo del libro e dell'editoria


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non suscita grande passione - sebbene invece alcuni dei colleghi presenti condividano il mio pensiero, perché abbiamo sempre lavorato assieme -, sottopongo la questione al presidente e al ministro, almeno perché ne sia a conoscenza, perché sarebbe importante che esistesse una consequenzialità tra le audizioni svolte, il lavoro effettuato e ciò che, invece, andrà votato alla Camera.

PRESIDENTE. Vorrei esprimere due osservazioni sul problema sollevato dal deputato Giulietti: eravamo stati informati che i tagli, per l'anno 2006, erano di 1 milione di euro, e invece erano di 50 milioni per i due anni successivi. Eravamo stati informati anche di un errore - così ci aveva detto il sottosegretario Levi - riportato nella Gazzetta Ufficiale, che sarebbe stato corretto (l'ho domandato di nuovo anche direttamente) non con un'errata corrige, ma attraverso un decreto o un successivo strumento di modifica.
Per quel che riguarda il provvedimento, il cosiddetto decreto Bersani, è stato approvato nella notte con il voto di fiducia al Senato, quindi sarà esaminato, a breve, anche alla Camera (una parte del decreto è materia che riguarda questa Commissione). Ho già chiesto alla collega De Biasi di essere relatrice per la parte di competenza della nostra Commissione, quindi, nelle prossime ore, risponderemo anche a tale quesito. Personalmente, ero rimasto alla questione così come esplicitamente espressa dal sottosegretario.
Ringrazio nuovamente il ministro Gentiloni e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,45.