COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 13 febbraio 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 9,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del ministro della pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, in ordine all'esame del disegno di legge C. 2201, di conversione del decreto-legge n. 7 del 2007, con specifico riferimento alle disposizioni relative alla materia dell'istruzione tecnico-professionale e di valorizzazione dell'autonomia scolastica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro della pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, in ordine all'esame del disegno di legge C. 2201, di conversione del decreto-legge n. 7 del 2007, con specifico riferimento alle disposizioni relative alla materia dell'istruzione tecnico-professionale e di valorizzazione dell'autonomia scolastica.
Voglio ringraziare il ministro Fioroni per essersi reso disponibile, di fronte al mio immediato interessamento e alla mia richiesta, a svolgere questa audizione - che abbiamo programmato nel giro di qualche giorno - prima che nella Commissione attività produttive, ossia la Commissione competente, termini la fase preliminare e scada il termine per la presentazione degli emendamenti, e prima che la vicepresidente Sasso svolga la sua relazione, propedeutica al parere rinforzato che, a norma del comma 1-bis dell'articolo 73 del regolamento, la nostra Commissione è chiamata ad esprimere.
Non c'è alcun dubbio - il ministro lo sa, ne abbiamo parlato - che il fatto che questa Commissione si trovi ad affrontare una parte rilevantissima di riforma del sistema della scuola secondaria superiore, senza avere la possibilità di svolgere un esame in sede referente, rappresenti un'anomalia. Così come un'anomalia, a mio giudizio, rappresenta il fatto che la materia scolastica sia stata inserita in un decreto-legge sulle liberalizzazioni (sebbene l'aspetto delle donazioni sia sicuramente relativo alle liberalizzazioni richiamate). Ad ogni modo, noi ribadiamo un punto di sofferenza: questa audizione con il ministro è utile non certo per riparare a tali anomalie - rimane, infatti, il problema della procedura parlamentare -, ma per aprire quantomeno una discussione politica su una materia centrale.
Ricordo, fra l'altro, un precedente: nel corso della sessione di bilancio abbiamo esaminato questioni rilevantissime sulla riforma della scuola, sempre in sede consultiva. La VII Commissione, storicamente, è sempre stata la sede in cui si è discusso delle riforme della scuola: nel suo ambito, si sono confrontate opinioni anche fortissimamente contrapposte. Insomma, questa Commissione è stata il luogo principe del confronto fra le posizioni politiche sulla riforma del sistema scolastico: tale confronto, dunque, deve essere riportato pienamente in questa sede.


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Fra l'altro, non mi sembra ottimale esaminare separatamente il decreto-legge e il disegno di legge. Ad esempio, la materia delle donazioni, con tutta la questione interessantissima del fondo perequativo, contenuta nel disegno di legge, non potrà essere esaminata nell'ambito del decreto-legge, sebbene andrebbe letta proprio in connessione con quanto previsto a proposito delle donazioni liberali disciplinate da quest'ultimo. Si tratta, comunque, di questioni di merito delle quali potremo discutere successivamente.
Fatta questa premessa, do la parola al ministro Fioroni, affinché svolga la relazione.

NICOLA BONO. Signor presidente, intervengo sull'ordine dei lavori per sottoporle una questione. Vorrei ricordare che avevo chiesto l'audizione del ministro - oltre che sui temi che lei ha ricordato - anche sulla questione specifica dell'annunciata riforma dei programmi scolastici. Rappresento dunque l'esigenza di un chiarimento al riguardo.

PRESIDENTE. Deputato Bono, lei ha ragione. Non abbiamo inserito formalmente il tema nell'oggetto dell'audizione, ma il ministro è stato avvertito per vie informali e, grazie alla sua cortesia e disponibilità, credo che potremo rispettare questa richiesta del gruppo di Alleanza Nazionale.
Prego, dunque, il ministro Fioroni di intervenire.

GIUSEPPE FIORONI, Ministro della pubblica istruzione. Signor presidente, ringrazio lei e la Commissione per l'opportunità di questa audizione e anche per la sua premessa, che mi consente di fare alcuni chiarimenti. Come molti di voi, ho trascorso diverso tempo in Parlamento e sono pienamente convinto della centralità del suo ruolo. Oltre a questo, ritengo che quando le Commissioni di merito - al di là del regolamento parlamentare, e di quale sia la Commissione chiamata ad esprimersi in via definitiva - approvano i loro pareri, questi ultimi, specialmente se rafforzati, difficilmente vengono disattesi dalla Commissione che deve affrontare l'esame del provvedimento. Provengo da diverse esperienze, ma le Commissioni di merito hanno sempre costituito un punto di riferimento di base: se questo non avvenisse, dovremmo credere che ciascuno di noi abbia impegnato ed impegni il proprio tempo in maniera poco produttiva, ma è difficile pensarlo.
Avevo ipotizzato e richiesto un pronunciamento diverso dal parere rafforzato, ma purtroppo il regolamento parlamentare va osservato e compete a chi è chiamato a governare la Camera far rispettare le regole. Si è ritenuto, quindi, che il parere da esprimere, nella consuetudine di questo ramo del Parlamento, fosse, appunto, quello rafforzato.
Vorrei, poi, specificare alcuni punti richiamati dal presidente: mi preme sottolineare che, per quanto riguarda chi vi parla ed il Governo, il parere rafforzato è un parere importante e fondante rispetto alle questioni che saranno affrontate dalla X Commissione, quella a cui spetta il parere definitivo. Questo, peraltro, si è verificato anche in occasione dell'esame del disegno di legge finanziaria, allorché il Governo ha sostenuto, anche all'interno della Commissione competente (la V), la posizione che comunemente e congiuntamente avevamo espresso nella Commissione di merito. Naturalmente, il Parlamento è sovrano e la maggioranza, sebbene la Commissione di merito avesse sostenuto questioni che personalmente ritenevamo importanti, ha ritenuto di recepire molta parte, ma non tutto quel parere: credo che questo faccia parte del rispetto che dobbiamo alle istituzioni e alla vita democratica all'interno del Parlamento.
Per quanto riguarda la vicenda del decreto, ritengo necessaria una preventiva osservazione: ognuno di noi ha giuste e legittime aspettative di ruolo, di merito e di funzione, ma credo che tutti dobbiamo mettere ciò che facciamo al servizio del bene comune. Ed il bene comune fondamentale di cui ci occupiamo è la scuola italiana. A mio parere, noi abbiamo la


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necessità di perseguire il meglio. Tuttavia non vorrei che, nel perseguire il meglio (in proposito, sicuramente avremmo potuto svolgere una maggiore riflessione, maggiori approfondimenti, dibattiti lunghi, audizioni infinite, con l'ausilio di supporti tecnici e politici, sempre estremamente importanti) su alcune questioni, si faccia mancare il bene, con il rischio di far precipitare la scuola, quella che vive e lavora bene - fortunatamente per noi e nonostante noi -, nel caos.
Non avendo alcuna intenzione di realizzare riforme strutturali complessive, ho scelto una linea di tendenza che, per alcuni, può essere molto minimale, ma che a me pare adeguata considerando i processi di riforma attuatisi, a diverso livello, negli ultimi 15 anni. Come purtroppo ho scoperto in questi otto mesi, molti di questi processi si sono «stratificati», con la tecnica della conservazione dei beni culturali: in altre parole, si è agito secondo il principio che una riforma, più che essere abrogata, può essere semplicemente «stratificata», nel senso che quella successiva si sovrappone alla precedente senza preoccuparsi se questa abbia prodotto effetti e se gli effetti siano stati bloccati. Avendo probabilmente una mentalità di amministratore, che mi porta a ritenere che il ministro debba rispettare le leggi, ho provato un disagio notevole nel vedere una stratificazione di strumenti e di ordinamenti introdotti da successive riforme, sostanzialmente mai applicate oppure sospese in maniera impropria.
Partendo da questa premessa, sottolineo che alcune situazioni di emergenza avrebbero meritato di essere affrontate; la prima di esse riguarda l'istruzione tecnica e professionale del nostro paese. Capisco il dibattito di merito di chi ritiene che l'istruzione tecnico-professionale di questo paese dovrebbe essere annullata e sostituita con altre impostazioni, nell'ambito della scuola media superiore; ciò nonostante, nel programma di Governo è stato inserito il rilancio di questo percorso formativo, un rilancio che io ritengo fondamentale per il sistema paese. A partire da tale iniziativa e dai suoi sviluppi, la scuola italiana potrà contribuire ad essere il volano della ripresa e del futuro nazionale.
Cosa fare, dunque, per rilanciare l'istruzione tecnica e professionale? Personalmente, mi sono trovato di fronte a un dilemma che mi riguarda, perché quest'anno, come ministro della pubblica istruzione, ho dovuto sottoscrivere la prima circolare delle iscrizioni. Vi prego di riflettere sul dato seguente: per rilanciare l'istruzione tecnica e professionale è necessario che gli istituti tecnici e professionali esistano nel nostro ordinamento. Dopo l'approvazione della legge n. 53, in assenza di norma transitoria, a fronte di decreti legislativi tesi a ricostruire un diverso sistema, e alla luce del rinvio - stabilito dal Parlamento - dell'entrata in vigore della riforma Moratti, noi avevamo la necessità di ribadire che se i ragazzi avessero inteso iscriversi agli istituti tecnici e professionali avrebbero potuto farlo in ragione del reinserimento di tali istituti all'interno delle scuole medie superiori del nostro paese.
Credo, dunque, sia del tutto evidente il motivo dell'urgenza, giacché l'abrogazione di un istituto ordinamentale nel nostro paese non può essere rimandata, né lo stesso può essere prorogato per essere corretto: le abrogazioni entrano in vigore nel momento in cui lo strumento legislativo è stato approvato, quindi il decreto tende a ripristinare gli istituti tecnici e professionali e a farlo nell'ordinamento vigente. Trattandosi di un decreto-legge, le norme che vi si inseriscono hanno notoriamente carattere di urgenza. Nel disegno di legge correlato, però, il Parlamento potrà decidere in ordine all'opportunità che le due esigenze seguano due corsie diverse o possano, invece, essere riunificate al proprio interno.
Comunque, a nostro avviso, è necessario che il Parlamento stabilisca gli indirizzi per l'ammodernamento e la ristrutturazione degli istituti tecnici e professionali, conformemente alle necessità derivanti dalla crescita e dallo sviluppo del paese, e all'esigenza di incrociare gli stili cognitivi dei nostri ragazzi. È necessario, altresì, impedire la diffusione di quel pregiudizio


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ideologico in base al quale sarebbero gli stili cognitivi dei ragazzi - che negli istituti tecnici e professionali raggiungono punte di dispersione scolastica preoccupante, come riporta in questi giorni la stampa - a doversi piegare all'offerta formativa della scuola, anziché il contrario (ampliando, integrando e modificando quell'offerta per rispondere all'obbligo - insito nella missione degli istituti di istruzione e nel dettame costituzionale - di incrociare gli stili cognitivi dei giovani).
A questo mira il combinato disposto del decreto-legge e del disegno di legge: ripristinare gli istituti tecnici e professionali, dando certezza del diritto ai ragazzi che a tali istituti si iscrivono in questo anno scolastico; chiedere al Parlamento indirizzi di delega, con lo strumento del regolamento, per poter riformare e riordinare gli istituti tecnici e professionali, renderli adeguati ai bisogni dei nostri ragazzi, combattere la dispersione scolastica ed ottenere il risultato di renderli gambe portanti del processo dell'istruzione nel nostro paese.
Il motivo dell'urgenza, ripeto, si rinviene nell'esigenza, non procrastinabile, di dare la certezza del diritto ai nostri giovani. In altri termini, la ragione di questa scelta, che il Parlamento potrà far propria, nel disegno di legge di conversione, risiede nell'esigenza di avere uno strumento che, in tempi rapidi, possa rendere gli istituti tecnici e professionali moderni e adeguati alla lotta alla dispersione e ai bisogni di crescita e di sviluppo del nostro paese. Questo è il motivo della scelta del decreto-legge, riservato, appunto, ad interventi caratterizzati dall'urgenza, mentre nel disegno di legge si provvede al riordino degli istituti.
Si può non concordare con il merito, ma questo era nei miei indirizzi programmatici ed era nel programma di Governo. Inutile dire che si trattava di una misura urgente: tutto si può fare, meno che far iscrivere i nostri ragazzi presso istituti che non esistono. Forse, avremmo potuto individuare strumenti diversi, ma questi probabilmente sarebbero stati utili al dibattito parlamentare e non a dare la certezza del diritto ai nostri figli. Siccome lavoriamo nell'interesse dei giovani del nostro paese, la necessità di dare la certezza del diritto è la prima da soddisfare: credo che chi si approccia a questo tema debba sentire tutta intera questa responsabilità, per quanto pesante. Chi dovesse decidere di non far rivivere gli istituti tecnici e professionali e di non prevedere il tempo per poterli riorganizzare, si assumerebbe la responsabilità di gettare nell'incertezza i ragazzi che quest'anno e negli anni precedenti si sono iscritti agli istituti tecnici e professionali e di non perseguire l'obiettivo fondante del nostro programma, che è quello di rilanciare l'istruzione tecnica e professionale.
In questo contesto, credo che il ripristino degli istituti tecnici e professionali abbia un senso all'interno delle liberalizzazioni. Ciò significa, infatti, consentire una libertà di scelta in più ai nostri ragazzi e dare loro un'opportunità ulteriore che sia anche una certezza e non, invece, il frutto di una stratificazione di riforme approvate, sospese, prorogate, nell'ambito delle quali le inefficienze dei ritardi amministrativi o legislativi ricadono sui ragazzi stessi.
Anche per quanto riguarda i poli tecnico-professionali si rinviene un motivo di urgenza. Tutti sappiamo, infatti, che i poli tecnico-professionali si inseriscono in un ambito del rapporto tra Stato e regioni. Nell'ambito della manovra finanziaria, anche con le sottolineature espresse dalla Commissione di merito, abbiamo riordinato gli IFTS: lo abbiamo fatto nel senso di rafforzare le risorse, non limitandole a quelle del Ministero della pubblica istruzione e delle regioni, ma creando un apposito fondo in cui confluiscono quelle dello sviluppo economico e del CIPE. Gli IFTS, come voi sapete, nel concordato tra Stato e regioni acquisiscono i caratteri di elementi di qualificazione professionale post-diploma, ma con le caratteristiche del tempo determinato e della periodicità: in tale quadro, i fondi del Ministero e delle regioni contribuiscono alla realizzazione


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dei poli formativi che autonomamente, e d'intesa con il Ministero, le regioni portano avanti.
La realizzazione dei poli tecnico-professionali consente - anche questo, ovviamente, d'intesa con le regioni - di dare un carattere di stabilità, di tipo ordinamentale, a quel rapporto che, a nostro avviso, deve esistere tra i soggetti della filiera tecnico-professionale (ossia della formazione professionale e dell'alta qualificazione tecnico-professionale post-diploma), così che vi sia un tempo indeterminato di valenza per le vocazioni specifiche dei territori provinciali, in connessione con il mondo del lavoro (d'altronde, parliamo di autonomie scolastiche che si declinano con le autonomie locali e si integrano con le esigenze di crescita e sviluppo di un territorio), ed i poli tecnico-professionali possano rispondere ad istanze di crescita, sviluppo, formazione e istruzione stabile di quel territorio.
Questo avviene quando di trasformano gli IFTS in istituti tecnici superiori e quando la formazione professionale specifica e l'alta qualificazione tecnico-professionale assumono la caratteristica di stare in rete e in filiera, appunto, con l'istituto tecnico e professionale. Ad esempio, l'Accademia del mare di Genova o il polo marittimo di Trieste soddisfano tali requisiti, ma non disponevano dello strumento giuridico per una realizzazione caratterizzata dalla stabilità. Ritengo che i fondi del Ministero della pubblica istruzione debbano essere assegnati prioritariamente a ciò che è scuola e istruzione, e questo non può che declinarsi con caratteristiche di priorità rispetto a quelle scelte che hanno un assetto di tipo ordinamentale e danno ai nostri ragazzi una prospettiva di certezza e di rete.
Questo è il motivo per il quale il polo tecnico e professionale è stato inserito anche nel quadro di un progetto presentato dal ministro Bersani, che tende a far assumere anche alla scuola, nel rapporto con il territorio, con le autonomie locali, con le regioni, un ruolo centrale di volano e non semplicemente di cittadella arroccata che non riesce a rappresentare il motore che, invece, l'istruzione e l'alta qualificazione tecnico-professionale post-diploma possono essere.
All'interno delle liberalizzazioni, si inserisce la vicenda che riguarda le donazioni. Su questo argomento interverrò con grande rapidità e franchezza: credo che l'estensione alle istituzioni scolastiche italiane del regime fiscale agevolato - riconosciuto alle fondazioni private del nostro paese per ricevere soldi dai privati e potenziare la ricerca, la gestione di ospedali, la gestione di attività non profit e una serie infinita di altre iniziative - possa anche rappresentare un utile strumento per consentire ai cittadini, che ritengono la scuola pubblica una scuola da valorizzare, di dare un contributo alla crescita delle nostre istituzioni scolastiche. D'altronde, si è molto disquisito sull'opportunità o meno di dare soldi pubblici alle scuole private, e credo non si possa aprire, senza arrecare offesa alla nostra intelligenza, una disquisizione sui soldi dei privati alle scuole pubbliche, altrimenti la questione diventa complicata; peraltro, la donazione è direttamente connessa all'ampliamento dell'offerta formativa, all'innovazione tecnologica e alla sistemazione dell'edilizia scolastica. Si tratta di risorse aggiuntive, che nulla tolgono alla pianificazione economico-finanziaria che il Governo deve fare.
Come ha ricordato prima il presidente Folena, nel disegno di legge c'è lo strumento, che io ritengo compensativo ed importante, del fondo di perequazione. È vero che le donazioni riguardano tutto il territorio nazionale, ma laddove si possono realizzare profonde discriminazioni nell'entità delle donazioni rispetto alle istituzioni scolastiche, abbiamo il dovere di garantire una perequazione dei fondi pubblici. Abbiamo inserito nel decreto-legge una norma molto forte - forse eccessivamente forte - per evitare qualsiasi forma di strumentalizzazione: abbiamo previsto donazioni da persone fisiche, da strutture non profit, da aziende e imprese (fissando un tetto massimo di 70 mila euro), ma abbiamo anche stabilito che chiunque faccia la donazione non possa entrare negli


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organi collegiali. Vi inviterei a riflettere su questa norma, perché significa che anche il genitore che doni 50 euro non possa più far parte del consiglio di istituto. Questo per fare una norma...

ALBA SASSO. Essere eletti è un diritto, ministro...

GIUSEPPE FIORONI, Ministro della pubblica istruzione. Ho inserito questa norma proprio perché, in sede di elaborazione, si era sviluppato un dibattito sul tema «chi dona acquista»: è vero che essere eletti è un diritto, ma anche la donazione lo è. E poiché chi dona sa che l'esercizio di quel diritto preclude l'esercizio di un altro, entra in gioco la libera scelta del cittadino che, donando, rinuncia a far parte degli organi collegiali.
Comunque, voi siete sovrani nel modificare la norma, ma è bene tener presente la motivazione che l'ha originata: la donazione non ha nulla a che vedere con l'acquisto della proprietà della scuola. D'altronde, non credo che facendo una donazione alla fondazione Veronesi o alla fondazione per la ricerca e la lotta alla sclerosi multipla si possa pensare di comprare la ricerca sulla sclerosi multipla. Comunque, la finalità della norma era quella di garantire in modo assoluto questo passaggio.
Nel disegno di legge, poi, c'è una sorta di restyling degli organi collegiali. A questo proposito apro una parentesi, invitando in maniera molto calorosa la Commissione a valutare il problema degli organi suddetti: personalmente, al riguardo, mi trovo in una situazione poco diversa da quella che ho appena segnalato rispetto agli istituti tecnici e professionali. La normativa sugli organi collegiali si è stratificata nel tempo, con abrogazioni parziali e sospensioni di tipo non legislativo: siccome le leggi si devono rispettare, per diversi organi si dovrebbero bandire le elezioni. Dal momento che il Parlamento ha già approvato, in prima lettura, un provvedimento di riforma degli organi collegiali, vi inviterei a lavorare alacremente per la definizione del nuovo assetto complessivo degli stessi. Diversamente, vi invito a tener presente quanto segue: il quadro normativo sugli organi collegiali, antecedente alla modifica del Titolo V, in seguito a questa è stato poi risistemato, ma ciò è avvenuto senza che il vecchio regime sia stato mai sospeso od abrogato.
Dal momento che il tempo per fare una sospensione legislativa è poco diverso da quello necessario per procedere a una rivalutazione complessiva degli organi collegiali, se è nei programmi di questa Commissione, vi inviterei a mettere mano a tale materia con grande rapidità, perché questo è un altro dei problemi che le stratificazioni delle riforme hanno creato.
Ad ogni modo, l'operazione di restyling proposta all'interno del disegno di legge contempla una rivalorizzazione della giunta esecutiva, un organo già esistente, ma caratterizzato, sinora, da una certa difficoltà di funzionamento, dovuta alla mancanza di un requisito essenziale: in altri termini, l'autonomia di spesa, nell'ambito della più ampia autonomia scolastica, era di alcune migliaia di euro; per il resto si trattava di un'autonomia non economico-finanziaria, come previsto dai regolamenti, ma di tipo amministrativo. Credo che non sfugga a nessuno che l'autonomia scolastica, come configurata nel nostro paese, alla luce del dettato costituzionale, sottende l'autonomia economico-finanziaria; quanto all'autonomia amministrativa, essa afferisce alla sfera esecutiva, nell'ambito del contesto decisionale che gli organi centrali stabiliscono.
L'autonomia scolastica, che deve essere autonomia di didattica, di innovazione e di ricerca, deve essere basata, dunque, su un'autonomia economico-finanziaria. Se le risorse che vengono messe a disposizione non possono essere dalla scuola stessa indirizzate rispetto alla propria programmazione didattica, di innovazione e ricerca, non ha senso parlare di autonomia. Del resto, siamo ancora su tutte le pagine dei giornali per il fatto che, proprio a causa di quel meccanismo amministrativo, stratificato nel tempo, e da noi ereditato, si avevano i soldi per acquistare la carta delle fotocopiatrici, ma non, invece, per


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comprare il toner, con la conseguenza di non poter fare le fotocopie, stante l'impossibilità, per il dirigente scolastico e per la scuola, di utilizzare le risorse destinate alla carta per l'acquisto del toner.
Credo che ridare autonomia economico-finanziaria alla scuola significhi prevedere che la scuola stessa, nell'ambito delle proprie competenze, possa gestire i fondi e le donazioni come ritiene opportuno. Essendo mia profonda convinzione che la scuola non sia un'azienda, ma una comunità, ritengo che la trasformazione della scuola da comunità in azienda avvenga allorché il dirigente scolastico divenga l'unico responsabile della gestione delle risorse economico-finanziarie e delle risorse del personale. Del resto, la trasformazione delle vecchie USL in aziende sanitarie è avvenuta quando al direttore generale è stato assegnato il potere delle risorse economico-finanziarie e del personale. Considerato che oggi le scuole avranno, le più piccole, 300 mila euro e le più grandi fino a 750-800 mila euro, far gestire queste risorse esclusivamente al dirigente scolastico potrebbe porre le premesse per trasformare la scuola in un meccanismo aziendale: per questo, ritengo che la giunta esecutiva possa essere valorizzata come strumento di collaborazione per coadiuvare il preside nelle scelte di politica economico-finanziaria importanti.
La previsione, all'interno del disegno di legge, dell'istituzione di un comitato ristretto di docenti, eletto dal consiglio dei docenti, che collabora con il preside nel monitorare l'attuazione del piano dell'offerta formativa e del processo didattico, credo sia un altro degli elementi volti a sottolineare l'importanza della scuola come comunità e non come azienda. È vero che il dirigente scolastico, ai sensi del decreto legislativo n. 29 del 1993, è, appunto, un «dirigente», ma un conto è essere dirigente all'interno di una comunità educante, altro è diventare dirigente d'azienda. Noi abbiamo le istituzioni scolastiche e non abbiamo ancora l'azienda scolastica: questo è uno dei punti che volevo sottolineare.
Infine, sollevo la questione dell'allargamento della partecipazione degli organi collegiali. Prima di ritrovarci in un dibattito che tante volte ignora quanto già oggi esiste, ricordo che il testo unico degli organi della scuola, risalente al 1994, prevedeva già la possibilità, per le autonomie scolastiche, di far «partecipare» i rappresentanti dei sindacati dei lavoratori dipendenti ed i rappresentanti dei lavoratori autonomi (come, in altri termini, è l'autonomia scolastica a decidere la partecipazione eventuale di questi soggetti, e il carattere transitorio o permanente della partecipazione stessa). La definizione di lavoratore autonomo non la decide il ministro della pubblica istruzione, ma è stabilita dai decreti del Presidente del Consiglio emanati in materia: se volete, andate a leggere l'elenco infinito delle associazioni più rappresentative del mondo dell'impresa e del mondo economico-finanziario di questo paese.
Questo è dunque il motivo per il quale già tanti istituti tecnici fanno partecipare ai loro consigli di istituto rappresentanti di Confindustria, di Confartigianato e del mondo dell'impresa. La novità introdotta dal disegno di legge è la partecipazione, che la scuola può decidere, non solo di comuni e province, ma anche dell'università e del mondo della ricerca e, sostanzialmente, delle fondazioni del terzo settore e del non profit: credo che questo possa ampliare la gamma delle scelte che l'autonomia scolastica può operare.
A mio avviso, merita di essere sottolineato, nell'ambito del disegno di legge, anche un aspetto relativo alla formazione dei dirigenti scolastici e amministrativi: senza voler esprimere un giudizio di non idoneità rispetto ai dirigenti scolastici e amministrativi delle nostre scuole, credo che la modifica - approvata dal Parlamento in finanziaria - del bilancio e delle responsabilità economico-finanziarie delle nostre istituzioni scolastiche necessiti non solo di un supporto strutturale all'interno della scuola, ma anche di un supporto formativo dei dirigenti scolastici, a fini della gestione di un budget immediato (previsto, appunto, dalla legge finanziaria).


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Lo stesso discorso vale per i dirigenti amministrativi le cui competenze, come voi sapete, nel nostro paese hanno conosciuto, nel corso degli anni, modifiche sostanziali: pertanto, credo che sia estremamente importante prevedere per loro la possibilità di formazione e aggiornamento.
Passo, quindi, al tema sollevato dall'onorevole Bono. Per quanto riguarda le indicazioni nazionali, mi ha peraltro preoccupato una sua dichiarazione, a proposito di una presunta intenzione del sottoscritto di fare una specie di golpe culturale: non avendone né idea, né capacità, lo vorrei tranquillizzare. Mi sono attenuto semplicemente a ciò che il Parlamento ha stabilito nell'approvazione delle indicazioni del primo ciclo, ossia che le indicazioni nazionali di primo ciclo fanno parte di un assetto didattico-pedagogico provvisorio. Quindi, come tutte le situazioni provvisorie, anche questa deve essere stabilizzata con i passaggi opportuni. È chiaro che nel processo di stabilizzazione possono anche intercorrere delle modifiche; del resto, se c'è qualcosa che ritengo debba avere la caratteristica della provvisorietà e dell'aggiornamento costante e permanente, nell'interesse dell'istruzione dei nostri ragazzi, sono proprio le indicazioni nazionali: mi spaventa l'ipotesi di garantire un assetto pedagogico di Stato, permanente, alle nostre scuole.
Abbiamo fatto di tutto per rilanciare la scuola dell'autonomia e, in questo ambito, dobbiamo ipotizzare indicazioni nazionali più leggere, più sobrie, avendo la consapevolezza che gli indirizzi curricolari delle indicazioni vengono messi a disposizione di una scuola dell'autonomia dove l'educazione, che scaturisce dall'incontro tra la persona docente e la persona studente, abbia l'opportunità di manifestarsi appieno, in ragione del rischio professionale che i nostri docenti si sono assunti e della scommessa di educare i nostri figli.
Il processo che metteremo in atto è un processo di ampia consultazione. Mi auguro, per la fine di marzo, di poter inviare alle scuole e ai gruppi tecnici un breve documento di indirizzo generale, circa un'idea di assetto dei nostri programmi, rispetto alla quale aprire un dibattito all'interno della scuola, nelle associazioni professionali, e fornire al Parlamento un'ipotesi di modifica delle indicazioni nazionali che possa essere da voi ulteriormente valutata e approvata. Si continua a parlare di competenze, che sono il nostro banco di prova, ma io credo che tali competenze, così come sono definite, possano essere acquisite ovunque e che alcuni elementi curricolari, che consegnano al ragazzo la storia, la tradizione, i valori culturali del nostro paese, consentendogli di acquisire un senso di appartenenza e un senso critico, siano indispensabili. È vero che è fondamentale garantire ai ragazzi gli elementi di innovazione, di sviluppo e di crescita, anche dal punto di vista tecnico, per il prosieguo degli studi e per l'ingresso nel mondo del lavoro, ma è altrettanto necessario accompagnarli nella conoscenza di sé e nella costruzione della propria identità.
Questo sarà lo spirito del documento che avrò modo di inviare - mi auguro entro 20 giorni - come spunto di riflessione all'interno del mondo della scuola e dei gruppi tecnici, per consentire in seguito una revisione delle indicazioni nazionali. Ribadisco, tuttavia, di non credere che tali indicazioni possano rappresentare una didattica né una pedagogia di Stato: nella scuola dell'autonomia questo non è possibile. Le indicazioni nazionali devono essere elementi che consentano di garantire un minimo comune denominatore a tutte le nostre scuole, sul quale si innestano la capacità e la professionalità dei nostri docenti e la specificità e la irripetibilità del singolo studente.
Le indicazioni nazionali per me rappresentano un elemento di incertezza sostenibile, nel senso che possono essere progressivamente migliorate in divenire, in base a ciò che possiamo mettere al servizio dell'istruzione dei nostri studenti.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Fioroni per la sua relazione.
Come i colleghi ben sanno, in ragione di concomitanti impegni parlamentari non sarà possibile concludere questa audizione


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nel corso della seduta odierna: ci limiteremo, pertanto, ad avviare il dibattito nel tempo residuo, rinviandone il seguito ad altra data, da concordare con il ministro Fioroni, che non sarà a Roma nelle prossime 48 ore.
Do quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire già in questa prima parte dell'audizione, per porre quesiti o formulare osservazioni.

NICOLA BONO. La ringrazio, signor presidente, anche per il chiarimento sulla prosecuzione di questo incontro: credo che lo spessore degli argomenti imponga di dare un seguito all'audizione odierna.
Detto ciò, mi limiterò ad esprimere alcune osservazioni e a porre una serie di domande.
Innanzitutto, signor ministro, non v'è nessuna preoccupazione, da parte nostra, sul fatto che lei abbia il titolo e il diritto di cambiare i programmi. La preoccupazione che ho espresso e per la quale ho chiesto l'audizione riguarda il fatto che le linee guida non possono non essere rappresentate al Parlamento: quando si annuncia un intervento così radicale, facendo riferimento all'esigenza di modificare i programmi della scuola, il Parlamento deve essere informato. Occorre metterlo a conoscenza dei contenuti e degli indirizzi di questo cambiamento: non si può apprendere a mezzo stampa il fatto che il ministro abbia assunto una decisione, o che abbia comunicato, in una lettera, agli insegnanti - con una gestione, mi consenta, abbastanza propagandistica - un argomento che comporterebbe una riflessione diversa. Poi, che si operi con atto amministrativo e che si tratti di una competenza del Governo, non solo non lo contestiamo, ma lo consideriamo un diritto assolutamente legittimo.
Sollevo una seconda questione fondamentale. Che bisogno c'era di inserire le riforme della scuola, di cui lei ci ha parlato stamattina, nel decreto sulle liberalizzazioni? Lei ha procurato un danno gravissimo alla prerogativa del Parlamento di emanare le leggi - e di farlo con scienza e coscienza - e credo che non abbia reso un buon servizio neanche alla scuola. Il problema non si limita al solo fatto di aver circoscritto il ruolo delle Commissioni cultura ed istruzione di Camera e Senato, e di averne ridotto l'intervento alla mera formulazione di un parere (con la conseguenza di sottrarre, sostanzialmente, il dibattito alla titolarità e alle competenze delle Commissioni stesse che, a loro volta, non potranno apportare emendamenti né introdurre modifiche, ma limitarsi a esprimersi in termini generali); la verità, piuttosto, è che è stata messa in discussione la stessa funzione del Parlamento. Quando si mortifica un argomento di tale spessore, all'interno di un provvedimento contenente centinaia di altre norme, va da sé che della scuola si parlerà al massimo 20 minuti, nel dibattito in Aula; il resto del tempo sarà assorbito dal problema dei benzinai, dei giornalai, dei barbieri e dei parrucchieri: tutto questo è assurdo. Quello che lei ha fatto credo non abbia precedenti.
Questi golpe procedurali - mi richiamo anche alla sensibilità dei colleghi della maggioranza - hanno solo il significato di sfuggire al confronto con il Parlamento, al dovere di avere un'interfaccia, quella che istituzionalmente è stata prevista dalla Costituzione.
Ebbene, tutto questo non posso che contestarlo e stigmatizzarlo, anche perché nessuno, signor ministro, le avrebbe vietato di emanare un decreto. Era tanto urgente agire in questo modo? Oppure devo ritenere che il ministro della pubblica istruzione non sia abilitato a proporre al Consiglio dei ministri decreti di sua competenza? Lei inserisce questa norma all'interno del decreto sulle liberalizzazioni perché non vuole il confronto. Eppure, si era presentato alla nostra Commissione dicendo che, per sua cultura, non è un iconoclasta, dunque non avrebbe messo in discussione la riforma Moratti. Il suo primo atto, però, è stato quello di bloccare la sperimentazione, a maggio; il suo secondo atto è stato quello di annunciare i programmi della scuola senza passare attraverso il Parlamento. Il suo terzo atto è quello di eliminare la riforma


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dell'istruzione secondaria superiore per quanto riguarda gli istituti tecnici: se non è iconoclastia, questa, che cos'è? Neanche Gengis Khan avrebbe fatto tanto danno in così poco tempo...!
Il punto vero è che lei ha detto, poco fa, che i pareri rafforzati delle Commissioni di merito vengono tenuti in considerazione. Ebbene, io so che la sua esperienza parlamentare è lunga e di grande impegno personale, dunque non può fare questa dichiarazione in assoluta onestà. Per sette anni ho fatto parte della Commissione bilancio, che è la sede in cui si affrontano tutte le questioni legate agli interventi economici, e posso dire che i pareri delle Commissioni non li leggevamo neanche. Altro che pareri rafforzati e vincolanti! Noi subiamo un esproprio vero di funzioni, di competenza e di incidenza, nell'ambito di una questione che riguarda un aspetto procedurale.
Quello che ci offende non è tanto il merito, ma il metodo che lei ha usato. Lei ha scelto di percorrere due binari - il decreto-legge e il disegno di legge - ma si tratta di argomenti concatenati. Come si fa a parlare delle fondazioni e del cambiamento dei meccanismi degli organi collegiali quando i due temi non possono camminare se non di pari passo? Il loro inserimento in due provvedimenti diversi, tra l'altro costretti all'interno di altre materie, significa che non si potrà più parlare di tali questioni con cognizione di causa.
In ogni caso, l'aspetto più grave - quello che vorrei sottoporre all'attenzione dei colleghi della Commissione - in qualche modo è stato richiamato anche dal presidente nella sua introduzione. Signor ministro, nel momento in cui lei introduce alcuni aspetti che riguardano le fondazioni e li abbina a possibilità di potenziamento della scuola italiana, riferendosi, in modo particolare, al diritto a ricevere donazioni o agli sgravi fiscali che ne derivano, si pone il problema che l'istituto della donazione, specialmente se mutuato da esperienze di carattere straniero, è qualcosa di molto più complesso e investe la gestione giuridica delle istituzioni scolastiche? Noi stiamo facendo un'operazione rivoluzionaria dal punto di vista tecnico-giuridico, senza capire le conseguenze di questa scelta: in altre parole, noi stiamo privatizzando la scuola italiana. Nel momento in cui un soggetto fa una donazione, a qualunque titolo, o comunque si propone di dare un sostegno a qualunque entità, lo fa anche per averne un eventuale ritorno.
La struttura della fondazione è stata concepita proprio per dare ai soggetti privati la possibilità di intervenire nella gestione della stessa. Abbiamo avuto questa esperienza con le fondazioni liriche e in tutti i meccanismi che hanno visto la fondazione come strumento di gestione di settori che di per sé non riguardano...

GIUSEPPE FIORONI, Ministro della pubblica istruzione. Solo per chiarezza, le dico che non si parla più di fondazioni. Noi abbiamo dato al cittadino la possibilità di uno sgravio fiscale nel caso in cui doni qualcosa alla scuola, come a qualunque altra struttura. Cosa c'entra questo con la fondazione? Chi fa la fondazione? Se un genitore o chiunque altro intendesse dare alla scuola pubblica 10 mila euro, anziché donare la stessa somma per la costruzione di un ospedale privato, sarebbe giusto che ottenesse uno sgravio. Chi ha parlato di fondazione?

NICOLA BONO. Signor ministro, le ripeto la domanda. Nella sua concezione, ritiene che estendere alle scuole i diritti delle fondazioni non comporti per le stesse anche i doveri delle fondazioni?

GIUSEPPE FIORONI, Ministro della pubblica istruzione. No...

NICOLA BONO. Se questo è, lo valuteremo da un punto di vista giuridico. Tuttavia, lei capisce...

GIUSEPPE FIORONI, Ministro della pubblica istruzione. Il decreto è già «legge»...!

NICOLA BONO. Lo valuteremo nel dibattito, alla luce anche delle opinioni diverse


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che emergeranno. Non si tratta di problemi di merito, ma tecnico-giuridici.
In conclusione, evidenzio la nostra contrarietà rispetto al metodo utilizzato - ferme restando le riserve che avremo modo di esprimere nel merito -, in quanto si è soffocato un confronto che avrebbe dovuto invece comportare, su argomenti di tale portata, una maggiore e più incisiva partecipazione, e soprattutto il coinvolgimento delle Commissioni di merito, che questi argomenti hanno diritto di trattare e dei quali sono state espropriate.

PRESIDENTE. Abbiamo pochi minuti di tempo.

VALENTINA APREA. Signor presidente, mi appello ad un precedente autorevole: chiedo di essere la prima ad intervenire nella prossima seduta dedicata al seguito dell'audizione del ministro.
Intanto, mi limito semplicemente a dichiarare al ministro che non ci ha convinto, assolutamente, né nel metodo né nel merito. Consideriamo il ricorso alle deleghe inaccettabile, oltre che contraddittorio: il Governo sta procedendo tra rinvii ed interventi di modifica. Decidetevi, avete rinviato di due anni (in realtà, 18 mesi più un anno), ma nel frattempo state apportando delle modifiche. Siamo a carnevale, signor ministro, ma il vestito di Arlecchino, affibbiato alla riforma della scuola, non ci piace per niente: questo sarà il comunicato stampa di Forza Italia.
E soprattutto restano solo i rinvii. Lei vorrebbe convincerci che di questo atto avevamo assolutamente bisogno, ma non è vero, perché avevate già rinviato. Gli istituti tecnici e professionali erano lì...

GIUSEPPE FIORONI, Ministro della pubblica istruzione. Non si può rinviare un'abrogazione...

VALENTINA APREA. Non si tratta di un'abrogazione, ma di un rinvio di attuazione. Avreste dovuto presentare una proposta completa di modifica, e ciò avrebbe avuto un senso. Mi chiedo, a questo punto, che fine faranno gli altri sei licei, visto che due li avete fatti fuori oggi. Magari domattina salterà fuori un altro decreto e faremo fuori il liceo artistico e musicale, ad esempio.
Così non va bene, signor ministro: dove sono le forze politiche di sinistra, le regioni e i sindacati che avevano protestato sul metodo? Lasciamo perdere! Mi interessa particolarmente un aspetto, signor ministro. Materie diverse, ordinamentali e istituzionali, sono state messe insieme in uno stesso articolo, in una legge di natura prevalentemente economica: ritornano i tempi bui. Ha detto bene l'onorevole Bono: i tempi bui delle riforme della scuola costrette in altre leggi di altri settori. Avevamo fatto fatica a riportare anche l'obbligo formativo in una riforma organica del sistema educativo nazionale. Se la priorità è lo sviluppo, i giovani e il successo formativo, è necessario un decreto che si occupi solo di riforma della scuola, solo di misure per i giovani e per il successo formativo. Non possiamo ritornare ai tempi bui, né a giochi fin troppo noti, che chiamano in causa la competenza delle Commissioni e l'espressione di pareri che nessuno legge. L'onorevole Sasso aveva presentato la proposta di abrogazione - e noi l'avevamo votata - della famosa clausola di salvaguardia, ma le Commissioni bilancio ci hanno risposto «picche»: lasciamo perdere la retorica, su questi argomenti!
Signor ministro, lei è furbo, è un politico esperto, e sa bene come si aggira il Parlamento, perché lo conosce bene. Per questo, le chiediamo di tenerci in maggiore considerazione. Noi pensiamo tutto il male possibile su quanto lei ha scritto nei commi 1 e 2, mentre siamo favorevoli ai commi 3 e 4, ferme restando le osservazioni negative espresse dall'onorevole Bono. Non si può estendere un sistema fiscale agevolato alla scuola come se fosse l'8 per mille o il 5 per mille, e prevedere che chi contribuisce alla migliore produttività della scuola debba rimanerne fuori. Ma di che cosa stiamo parlando, signor ministro? Abbiamo bisogno di chiarire ancora molti aspetti. Anticipo, comunque, che sui commi 3 e 4 voteremo a favore,


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trattandosi di una forma di liberalizzazione. Sui commi 1 e 2, invece, non si aspetti da noi nessuno sconto.

GIUSEPPE FIORONI, Ministro della pubblica istruzione. Vorrei che fosse chiaro all'onorevole Aprea e all'onorevole Bono - non intendo fare un insulto alla mia intelligenza, e la loro è sicuramente superiore alla mia - che l'abrogazione è immediata e cogente. Non credo che qualcuno possa dirmi, dal punto di vista giuridico, che un'abrogazione si dilaziona nel tempo oppure se ne rinviano gli effetti se manca una norma transitoria che lo prevede. Gli istituti tecnici e professionali sono stati abrogati dalla legge n. 53 e l'abrogazione è diventata cogente: se non li ripristiniamo, non andremo da nessuna parte. Voi potete sostenere l'inutilità degli istituti tecnici e professionali, e del resto li avete abrogati, ma credo che sia un obbligo per noi ripristinarli per poterli rilanciare: il problema è di merito, ma non si dica che esiste una possibilità diversa.
I decreti - onorevole Bono, lei è più esperto di me - si definiscono in base alle esigenze di tutte le autorità che sono interessate nel confezionamento delle attività parlamentari in maniera corretta.

ANTONIO RUSCONI. Signor presidente, prima di concludere l'audizione, vorrei precisare che la cortesia fatta alla collega Aprea è legata al singolo episodio, non varrà da qui al 2011...

PRESIDENTE. Ne prendiamo atto, deputato Rusconi.
Nel ringraziare il ministro Fioroni per il suo intervento, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 10,30.