COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 17 maggio 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 14,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di una rappresentanza di parlamentari italiani del Parlamento europeo sulle problematiche connesse alla riforma del secondo ciclo del sistema educativo nazionale di istruzione e di quello di istruzione e formazione professionale.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 1, del regolamento, l'audizione di una rappresentanza di parlamentari italiani del Parlamento europeo sulle problematiche connesse alla riforma del secondo ciclo del sistema educativo nazionale di istruzione e di quello di istruzione e formazione professionale.
Partecipano alla seduta odierna - e li ringraziamo per aver accettato il nostro invito - l'europarlamentare Roberto Musacchio, componente della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo - siamo in attesa dell'europarlamentare Mario Mantovani, membro della medesima Commissione -, e l'europarlamentare Pasqualina Napoletano, componente della Commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo.
Do il benvenuto ai colleghi parlamentari europei e saluto il viceministro per la pubblica istruzione Mariangela Bastico, che ha accettato di partecipare ad un confronto che dovrebbe diventare una prassi periodica, per creare un sistema paese - tra Commissioni del Parlamento nazionale, membri delle Commissioni del Parlamento europeo, Governo nazionale - e istituire, così, un circuito di relazione, di comunicazione e di armonizzazione che sia più efficace.
Credo che sia la prima volta che si tenta di intraprendere una iniziativa del genere (mi corregga qualche collega che ha fatto parte di questa Commissione la scorsa legislatura). Inizialmente avevamo deciso di invitare solo i componenti delle Commissioni competenti in materia di scuola e formazione, cioè delle due Commissioni, cultura e affari sociali, ma poi, in questi ultimi giorni - su mia iniziativa, ma di comune accordo con la collega Aprea e i colleghi dell'opposizione, oltre che della maggioranza - abbiamo esteso l'invito ai parlamentari eletti nella circoscrizione centrale, essendo più facilitati a partecipare in questa sede.
Ringrazio chi ha accolto questo invito e spero che anche altri colleghi parlamentari europei, nelle prossime occasioni, possano considerare una prassi quanto stiamo avviando in questa sede.
Noi oggi svolgiamo questo incontro - che sperimenta una forma di raccordo fra Parlamento italiano, Governo nazionale e Parlamento europeo - in relazione ad un'indagine conoscitiva, che abbiamo avviato qualche mese addietro e che è a buon punto, inerente il tema della formazione professionale e della riforma del


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secondo ciclo del sistema educativo nazionale. Come è noto, in questa Commissione e in Parlamento sul tema sono emerse visioni di società e di scuola molto diverse. Non si tratta certo di opinioni radicalmente inconciliabili, ma va detto che sulle disposizioni contenute nella riforma Moratti vi sono stati duri contrasti e contrapposizioni nel corso della precedente legislatura.
Proprio perché non abbiamo pregiudizi di natura ideologica e non vogliamo riproporre semplicemente una visione contrapposta, attraverso l'indagine conoscitiva in corso, che ci ha consentito di ascoltare utilmente gli assessori delle regioni italiane, che sono protagoniste in materia di formazione professionale, e diversi esperti sia italiani che internazionali (nei prossimi giorni svolgeremo delle missioni nell'ambito del territorio italiano e stiamo pensando anche di effettuare qualche missione internazionale), vorremmo capire quali siano le modalità più efficaci per riformare il settore dell'istruzione e formazione professionale, che rapporto debba intercorrere tra la riforma e gli interventi in questo settore e la riforma scolastica complessiva, con riferimento, in particolare, all'adempimento dell'obbligo scolastico, così come previsto dalla legge finanziaria del 2007.
Dal confronto fra voi, i colleghi del Parlamento nazionale e il Governo, vorremmo quindi ricevere un contributo utile per questo nostro lavoro.
Questo è il quadro della situazione. Do pertanto la parola ai componenti del Parlamento europeo.

ROBERTO MUSACCHIO, Componente della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo. Ringrazio molto il Presidente Folena dell'invito.
Ritengo che questa sia una iniziativa concreta che, se fosse in qualche modo generalizzata, rappresenterebbe un indubbio passo in avanti. Una collaborazione di questo tipo, anche nella fase di elaborazione dei provvedimenti legislativi e di formazione degli indirizzi, sarebbe assolutamente preziosa.
Spesso interveniamo in sede europea solo quando viene aperta una procedura d'infrazione nei confronti del nostro paese e questo è senz'altro un limite. Vorremmo cercare di intervenire a monte, anche per favorire l'emanazione di provvedimenti che tengano conto delle esigenze nazionali, soprattutto se le esigenze nazionali definiscono un quadro utile per l'insieme dell'Europa.
Ho accolto il vostro invito molto volentieri, ritenendo di poter lavorare insieme a voi su molte materie. Pur non rientrando nella materia oggetto dell'odierna audizione, vi segnalo anche, sempre nell'ambito delle competenze della Commissione cultura, che la prossima settimana, nel corso della prossima sessione, voteremo il provvedimento sul roaming telefonico.
Per quanto riguarda il tema in oggetto, condivido molto l'idea di costruire una base conoscitiva. Su questo, pertanto, siamo a disposizione, anche come gruppo politico. Inoltre, naturalmente mi farò carico di ascoltare e riferire la questione anche ad altri colleghi che oggi non sono potuti essere presenti. Del resto, i nostri lavori si svolgono da lunedì a giovedì, secondo le giornate parlamentari.
La formazione professionale in Europa è una questione importante, ampia, anche dal punto di vista dei finanziamenti europei e soprattutto - proprio per non toccare solo il capitolo dei finanziamenti - dal punto di vista degli obiettivi e della qualificazione di tali finanziamenti.
Tra l'altro, noi siamo in una fase di cambiamento del sistema dei finanziamenti in Europa. Con le prospettive finanziarie 2007-2013 passeremo ad una fase in cui la qualità della progettazione e la capacità di sviluppare sinergie diventano una condizione fondamentale per i finanziamenti stessi.
Detto questo, però, nell'ambito delle competenze che mi sono più vicine - fin qui non ho seguito in particolare il settore della formazione professionale, quindi, nel


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fornire un contributo in questa fase conoscitiva, potrò apprendere io stesso - mi permetto di segnalare un tema che credo interagisca in modo significativo con la questione della formazione professionale e che è estremamente attuale. Si tratta della discussione che abbiamo in corso sul tema della flexsecurity (vi è un certo abuso di terminologia anglosassone; il termine significa sostanzialmente l'unione di flessibilità e sicurezza, anche se per qualcuno potrà essere un ossimoro), che è tra quelli all'ordine del giorno.
Il Libro verde della Commissione europea ha descritto a beneficio degli Stati membri lo stato dell'arte sul tema della flessibilità negli impieghi e ha posto il problema di come garantire sicurezza nell'ambito di tale flessibilità.
Sono state rivolte delle domande e il Ministero del lavoro e della previdenza sociale ha risposto, in una forma che io considero appropriata, soprattutto relativamente alla necessità - a mio parere fondamentale - di un lavoro giuridicamente «normale», intendendo con tale espressione quello dotato di garanzie contrattuali collettive.
Ma al di là degli aspetti giuslavoristici della problematica - già nel Libro verde c'è una spiccata tendenza a considerare la flessibilità in uscita un elemento particolarmente auspicabile, così come l'individualizzazione dei rapporti lavorativi -, nella discussione che si è aperta in Parlamento questi elementi sono stati ulteriormente ideologizzati. Al contrario, penso che un ragionamento utile sulla sicurezza - anche nell'ambito delle mobilità lavorative che ci sono, piacciano o non piacciano - possa e debba riguardare precisamente il tema della formazione professionale, inteso come elemento permanente. Pertanto, mi permetterei di suggerire ai colleghi della Commissione cultura, anche per una certa urgenza e attualità della discussione, se essi lo ritengono opportuno, di prendere visione anche di questa tematica.
La discussione sul tema, che è appena iniziata in Commissione lavoro, è molto vivace. Pertanto - prendendo anche visione del materiale predisposto dal ministro del lavoro e della previdenza sociale Damiano - sarebbe interessante sviluppare ulteriormente questo aspetto della formazione permanente come elemento cardine.
Questo potrebbe, inoltre, favorire lo sviluppo di un punto di vista innovativo sulla formazione professionale, intesa non come elemento di scarsa rilevanza - rispetto ad una riforma scolastica - ma, al contrario, come elemento di supporto alla ricollocazione lavorativa ed anche come bagaglio culturale dei cittadini lavoratori europei.
Pertanto mi permetterei di suggerire l'esame di questa tematica, che è ancora più attuale. Vi ringrazio nuovamente per l'invito.

PRESIDENTE. Dimenticavo di dire - ma credo che tutti lo sappiano - che Musacchio appartiene al gruppo del GUE/NGL e al partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea, mentre il collega Mantovani, al quale do la parola, appartiene al gruppo del PPE-DE e al partito di Forza Italia.

MARIO MANTOVANI, Componente della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo. La ringrazio, presidente; buongiorno a tutti. Io sono, in questo momento, relatore sul provvedimento relativo all'EQF (European Qualification Framework) che credo sia una delle raccomandazioni estremamente interessanti che stanno pervenendo dall'Europa - non vincolante, ma di ordine legislativo - riguardanti le varie differenze esistenti tra i vari Stati. Teniamo conto che la gamma dei regimi di istruzione in Europa (che oggi sono ben 27) è variegatissima, per quanto riguarda non solo i titoli, ma anche le qualifiche professionali.
Da un lato, quindi, abbiamo la necessità di comparare, e non solo di riconoscere, i titoli per cui già esistono i termini; dall'altro ci troviamo a fare riferimento, attraverso i titoli riconosciuti, a tre ordini di livello: le competenze, le abilità e le conoscenze. In altre parole, non basta


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essere ragionieri all'Istituto Dell'Acqua di Legnano, ma bisogna avere una corrispondenza - in termini di competenze e conoscenze acquisite e di abilità sul piano pratico - anche nell'Istituto tecnico di Helsinki.
Credo pertanto che tale provvedimento sarà per tutti i paesi europei, pur non essendo vincolante per il momento, di estrema importanza. Infatti, in un'Europa che invecchia, questo significa arrivare a riconoscere non solo i titoli, ma anche la formazione e l'apprendimento di carattere formale e non formale; quindi anche le esperienze di lavoro, l'apprendistato, le esperienze in fabbrica, le esperienze di tempo libero, le conoscenze e abilità acquisite nelle esperienze della vita.
Ebbene, credo che sia questa la risposta ad un piano preciso quale quello di Lisbona. Di fronte ad un'Europa che invecchia, dovremmo mobilitare l'intero patrimonio di conoscenza e di esperienza appartenente alla personalità di ciascuno di noi e non limitarci solo ad acquisire una certificazione che si può ottenere dopo la scuola dell'obbligo con la scuola professionale, piuttosto che con la scuola superiore o l'università, dal momento che il titolo di studio è davvero poca cosa rispetto al grande bagaglio di esperienza che si ha nella vita.
Sono convinto che questo life long learning, di cui già ha parlato il collega, sia un po' la leva che deve far scattare alcuni meccanismi sul piano della crescita complessiva dello sviluppo, di fronte agli operai che invecchiano e che non possono più, a cinquant'anni, pensare di dover cambiare mestiere senza averne competenze, qualifiche e conoscenze acquisite. È necessario quindi valorizzare il bagaglio di esperienze che, durante la propria vita, i lavoratori hanno accumulato e favorire degli aggiornamenti (pensate sul piano tecnologico e sul piano economico che cosa vuol dire un provvedimento di questo tipo).
Siamo già a buon punto. Devo rilevare, e mi dispiace un poco, che la rappresentanza permanente di Bruxelles non si è fatta viva in questa occasione - lo aveva fatto in altre circostanze quando io ero relatore -, mentre si è fatta viva la presidenza tedesca, a differenza di altri Stati che hanno chiesto di poter dare il proprio contributo. Ormai gli emendamenti sono stati presentati e il prossimo 6-7 giugno approveremo il provvedimento in Commissione.
Ho avuto ieri un incontro cordiale con il gruppo socialista europeo, mettendo insieme esperienze e obiettivi comuni. Se si tratta di far crescere, sul piano tecnico, ma soprattutto personale, i cittadini europei, credo che ci debba essere l'impegno di tutti, tenuto conto che sul piano politico non si possono avere grandi differenze, quando si tratta di perseguire il comune obiettivo del bene dei nostri cittadini. Trattandosi di una questione strettamente tecnica, non abbiamo per esempio toccato gli otto livelli che vengono fissati nell'EQF, non abbiamo discusso se trattare del tema delle abilità piuttosto che delle competenze, aggiungendo altri titoli o altre possibilità per l'individuo.
Essendo un provvedimento di tipo tecnico, mi sarei aspettato che il nostro ministero intervenisse, come hanno fatto altri. Solo l'onorevole Aprea - con la quale ho un rapporto di amicizia anche sul piano personale - mi ha dato qualche indicazione soprattutto per quanto riguarda la questione della formazione professionale, che è di grande importanza.
Come ho detto, voteremo il provvedimento la prossima settimana, pur avendo diverse opinioni, in particolare con il gruppo dei verdi e con il gruppo della sinistra, che vorrebbero coinvolgere maggiormente le parti sociali. Tuttavia, sul piano tecnico, credo che ognuno debba avere il proprio ruolo, soprattutto quando si tratta di inserire tali questioni nei contratti collettivi.
Abbiamo qualche riserva, ma sul piano delle questioni fondamentali abbiamo trovato un buon equilibrio con il gruppo socialista e credo che voteremo insieme il provvedimento la prossima settimana.

ROBERTO MUSACCHIO, Componente della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo.


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Se la formazione diventa individuale è un problema!

MARIO MANTOVANI, Componente della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo. Questo è il quadro della situazione attuale. Se vi sono eventuali domande o richieste, siamo a vostra disposizione.

PRESIDENTE. Do la parola alla collega Pasqualina Napoletano, appartenente al gruppo del PSE e al partito dei Democratici di sinistra e componente della Commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo.

PASQUALINA NAPOLETANO, Componente della Commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo. Ringrazio il presidente Folena e la Commissione cultura. Ricordo che, all'epoca della Presidenza Violante, fu modificato il regolamento della Camera per consentire ai parlamentari europei di partecipare ai lavori parlamentari. Ricordo di aver preso parte, all'epoca, ad una riunione della Commissione cultura, che fu la prima e l'unica ad instaurare questa forma di collaborazione. Allora intervenni in questa sede insieme alla collega Castellina, all'epoca deputata europea; oggi sono stata chiamata ad intervenire insieme ai colleghi Musacchio e Mantovani.
Personalmente ripristinerei queste occasioni di confronto; nel Parlamento europeo, infatti, tutti i nostri colleghi degli altri Paesi sono molto più integrati. Addirittura nel Bundestag vi è un'integrazione piena tra il ruolo dei parlamentari europei e il lavoro delle loro Commissioni.
Noi abbiamo un buon collegamento con il Governo italiano, tramite il ministro Bonino, che con una certa cadenza viene a Bruxelles ed opera un coordinamento tra noi e i vari ministeri. Naturalmente a noi piacerebbe avere una relazione più forte anche con i Parlamenti nazionali nel merito delle questioni.
Come è stato ricordato, non faccio parte della Commissione cultura, quindi mi guardo bene dall'intervenire su questioni che non rientrano nella mia competenza.
Signor presidente, lei ha ricordato che avete in animo di svolgere alcune missioni e di intraprendere alcune iniziative di presenza non solo in Europa, ma anche fuori. Se posso permettermi, vi suggerirei di privilegiare enormemente la dimensione mediterranea. Lo dico perché abbiamo da dieci anni un partenariato che è stato molto deludente nelle sue politiche concrete, e disponiamo di dati che parlano da soli. Le società arabe islamiche del Mediterraneo sono società molto giovani, con circa il 70 per cento della popolazione che ha meno di 25 anni, ma hanno una situazione strutturale abbastanza paurosa, in termini di disoccupazione: nei prossimi dieci anni, per lasciare inalterato il tasso di disoccupazione, bisognerebbe che in quei paesi si realizzassero 50 mila posti di lavoro e anche un trend economico di crescita intorno all'8 per cento. Tali valori non si vedono all'orizzonte.
In più, non sempre le politiche delle istituzioni internazionali aiutano l'occupazione. Spesso il Fondo monetario internazionale impone a quei paesi politiche restrittive che non aiutano gli investimenti, né lo sviluppo dell'occupazione. Come sapete, infatti, le politiche economiche, ma anche le politiche che riguardano l'istruzione devono avere una curvatura tesa all'occupazione e devono ruotare attorno a questa priorità.
La cosa che mi ha molto stupito quando sono andata in Cina, l'anno scorso, è che l'Unione europea con i cinesi ha costruito la più grande scuola di top management che esista nell'oriente europeo e forse anche in Europa. In pratica, noi prepariamo i manager cinesi, e forse anche gli europei, perché naturalmente questa scuola è aperta anche agli europei, avendo stabilito con i cinesi una cooperazione nell'ambito del management.
Di questi esempi nel Mediterraneo non ne ho visto neanche uno. Probabilmente, se una Commissione come la vostra cominciasse ad interrogarsi su quali politiche, su quali strumenti adottare nei confronti


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di questi paesi, forse potremmo mettere in atto iniziative meno assistenziali e meno dettate dai calendari dei regimi di tali paesi, che non mi pare siano molto interessati a formare, a favorire la crescita delle loro società. Pertanto, sarebbe opportuno che voi assegnaste una certa urgenza a missioni e presenze nel Mediterraneo.
Qualche mese fa siamo stati in Algeria e il ministro della cultura di quel paese ci ha chiesto di andare lì ad investire sull'istruzione (vi si era recato da poco il nostro ministro Melandri). Sono stata recentemente a Gerusalemme, dove ho visto quanto le scuole cattoliche private siano fondamentali anche per l'istruzione dei musulmani. Dobbiamo quindi mettere da parte qualche pregiudizio e vedere cosa succede veramente nei diversi paesi.
Un sostegno anche in questa direzione sarebbe importantissimo. Del resto, quelle sono scuole laiche, non confessionali. Forse anche dall'esperienza delle istituzioni cattoliche nei paesi a religione prevalentemente musulmana noi abbiamo tantissimo da imparare sull'istruzione e sulla formazione.
Vi pregherei, quindi, di dare grande priorità a questa dimensione. Naturalmente si possono avere rapporti con tutto il mondo, ma se esiste una priorità, forse questa concerne il partenariato euromediterraneo.

PRESIDENTE. Ringrazio la collega Napoletano, che ha ricordato un precedente che riguarda il rapporto fra il Parlamento italiano e il Parlamento europeo, all'epoca della Presidenza Violante. Credo, tuttavia, che questa sia la prima volta in cui si cerca di mettere in atto una forma di raccordo in cui è presente ufficialmente anche il Governo italiano, nella persona del viceministro della pubblica istruzione.
Naturalmente condivido molto il suggerimento della collega, relativo alla necessità dei rapporti fra l'Italia e l'area euromediterranea. A tale proposito, ricordo che la Commissione cultura dell'APEM è diretta, come sapete, dalla collega De Zulueta, che è anche vicepresidente della Commissione esteri della Camera dei deputati. Pertanto, anche a questo livello, pur essendo l'APEM un organo consultivo, non decisionale, credo che dovremmo provare ad interloquire - poi studieremo la questione con la collega Aprea - anche nell'ambito di questa indagine conoscitiva, proprio per l'enorme problema che è stato sollevato.
Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

DOMENICO VOLPINI. Sono stato deputato nella tredicesima legislatura e quindi ho incontrato anch'io l'onorevole Napoletano. Vorrei sottolineare che la sua osservazione sulla laicità delle scuole cattoliche in Palestina fu fatta più volte dall'allora ministro Berlinguer.
Questo dovrebbe aiutarci, perché le stesse congregazioni che insegnano in quel paese insegnano anche a piazza di Spagna. Anzi, il collegio San Giuseppe-Istituto De Merode mantiene con i propri fondi quelle scuole. Questo dovrebbe aiutarci a superare una posizione troppo ideologica presente in Italia, per adeguarci all'Unione europea. Del resto, l'integrazione del sistema scolastico è universale. Solo in Italia abbiamo difficoltà a capire che integrazione non significa distruzione del sistema. L'importante è che ci sia il sistema che protegge il diritto fondamentale all'istruzione della persona. Comunque sia, mi ha fatto piacere ascoltare questa sua annotazione, onorevole Napoletano, soprattutto perché proveniente dal suo schieramento politico.
Vorrei rivolgere una domanda al collega Musacchio, a partire dal discorso su flessibilità e sicurezza. Non so quello che accade in Europa, ma in Italia siamo in una situazione veramente tragica. Non si tratta di precarietà totale del lavoro per gli incompetenti o i non formati. Purtroppo, in Italia il problema riguarda nostri laureati con 110 e lode, che magari hanno frequentato master negli Stati Uniti. L'ultimo caso è di ieri: mi riferisco ad un soggetto che, pur avendo lavorato due anni per Standard & Poor's e in Giappone


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presso una grande banca, non è riuscito a tornare in Italia (successivamente, egli è stato immediatamente assunto all'UBS, dopo aver presentato il proprio curriculum, ed ora è capo settore).
Che cosa sta succedendo in Italia? Non sembra che la situazione sia la stessa del resto dell'Europa. Da noi c'è una situazione disastrosa. I problemi più gravi sono rappresentati da quelle forme contrattuali in precedenza note con il nome di co.co.co. In tanti si rivolgono a noi parlamentari: gente di 35, 36, 37 anni che va avanti con questi contratti di collaborazione a progetto. Ci apprestiamo a fare la riforma delle pensioni, ma questi soggetti non hanno TFR da spendere per una pensione integrativa e percepiranno pensioni probabilmente inferiori alla pensione sociale.
A livello europeo come si pensa di affrontare queste situazioni? Sono sicuro che tra 25-30 anni avremo in Italia una rivoluzione sociale, rispetto alla quale i movimenti degli anni '74-'80 appariranno come bazzecole. Stiamo parlando di persone con laurea, dottorato, master in tutte le parti del mondo, persone che hanno speso tutto quello che possiedono per raggiungere il massimo, ma in Italia non hanno nulla; o meglio, hanno la precarietà assoluta e nessuna possibilità di formarsi una famiglia, di acquistare una casa. Questo dovrebbe preoccupare non solo l'Italia, ma anche l'Europa.
In Italia si sta pensando di riformare il sistema pensionistico, ma che cosa faranno queste persone? Quando mai avranno una pensione? Tra l'altro, ricordo che una norma contenuta nella finanziaria ha vincolato alla stabilizzazione coloro che per tre anni hanno avuto contratti a tempo determinato; in virtù di tale norma molti datori di lavoro - questo avviene anche nelle aziende a partecipazione statale, quali le Poste - ricorrono solo a contratti co.co.pro., in modo da non avere alcun impegno. Andremo a finire in una rivoluzione sociale, quando queste persone, arrivate a 60-65 anni, non potranno più vivere, perché hanno trascorso la loro vita da un co.co.co. all'altro.
La flessibilità va bene, ma la sicurezza dov'è? Non vedo ancora, almeno in Italia, prendere corpo un sistema di sicurezza sociale che ci salvi da problemi così enormi.

VALENTINA APREA. È davvero una grande occasione quella che abbiamo oggi, che ci consente di sensibilizzarvi rispetto ad un problema che abbiamo voluto affrontare in questa Commissione, attraverso lo svolgimento di un'indagine conoscitiva, che si muove in modo parallelo rispetto alle iniziative del Governo.
Come è noto a tutti, il Governo - attraverso più provvedimenti, quindi a più riprese - sta modificando la riforma Moratti della scorsa legislatura, che comunque, al di là del consenso o dissenso che ha suscitato e quindi del giudizio che si può esprimere, ha creato delle opportunità al di fuori del sistema scolastico, con un forte sostegno e un forte coinvolgimento delle regioni. Infatti, in attuazione del Titolo V, si era pensato di includere in un sistema educativo più flessibile e soprattutto con maggiori offerte di formazione, non solo scolastica, anche percorsi di istruzione e formazione professionale.
L'indagine mira, pertanto, a stabilire innanzitutto che tipo di effetti questa politica ha prodotto nelle regioni, dunque l'efficienza e l'efficacia di questi percorsi, come sono stati spesi i soldi pubblici (oltre a fondi sociali europei, vi erano soldi destinati al Ministero del lavoro e a quello dell'istruzione) e se funziona questo accordo interistituzionale, che ha visto il ministero portare avanti degli accordi con le singole regioni e dare vita a percorsi unici nella nostra storia. Del resto, noi al massimo eravamo arrivati all'integrazione dei due percorsi (con le leggi Berlinguer, con la legge n. 144 del 1999, con il patto di Natale di D'Alema). Avevamo insomma introdotto l'integrazione tra i due sistemi, ma non avevamo mai sperimentato un sistema di istruzione e formazione professionale con pari dignità rispetto a quello scolastico.
Stiamo svolgendo questo lavoro per capire, a distanza di quattro anni, cosa si


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è prodotto, come sono stati spesi i soldi, quali enti di formazione sono stati coinvolti. Quest'ultima, come sapete, è forse la questione più delicata: noi non siamo attrezzati, al di fuori della scuola, per fornire un'istruzione di qualità, per giunta legata a percorsi di formazione professionale. Abbiamo sempre avuto una formazione professionale legata a corsi e «corsetti», qualcosa che sicuramente non poteva reggere al confronto con percorsi scolastici strutturati.
Diversa, invece, è l'idea di creare questi percorsi attraverso una selezione degli enti di formazione, operata dalle regioni (infatti, l'accreditamento doveva avvenire per via regionale, come prevede il Titolo V). Attraverso questa indagine conoscitiva stiamo cercando di capire la tipologia dell'ente di formazione che meglio ha corrisposto a questa attesa, che è sicuramente molto diffusa tra le famiglie e gli studenti ed è in sintonia con la politica europea, con la politica del capitale umano. Ha detto bene l'onorevole Mantovani: quando ci poniamo il problema del futuro dei nostri ragazzi, dobbiamo pensare che saranno cittadini europei molto più di quanto lo siamo stati noi e lo saranno ancor di più i nostri figli e le generazioni che oggi frequentano la scuola. Non si tratta, quindi, solo di garantire per queste generazioni la frequenza - cosa che è avvenuta e avviene - di un percorso scolastico. Del resto, abbiamo fatto grandi progressi in questo senso, avendo elevato anche la percentuale di frequenza scolastica e il tasso di maturità, aspetti che, anche rispetto al processo di Lisbona, sono in crescita.
Tuttavia, abbiamo due grossi problemi. Il primo è rappresentato da una percentuale elevatissima di dispersione scolastica e formativa: rispetto alla media europea e a quella indicata dal processo di Lisbona, abbiamo il doppio della percentuale prevista per gli altri paesi europei. Nonostante un recupero, reso possibile proprio grazie a questi percorsi di istruzione e formazione professionale, che si attesta intorno al 5 per cento, viaggiamo ancora attorno al 22-23 per cento di dispersione scolastica accertata, che può diventare anche dispersione formativa.
Inoltre - questo è il secondo problema - nel nostro sistema educativo abbiamo un buco nero, che attiene all'istruzione e formazione professionale. Intendo dire che noi non siamo in grado di seguire le indicazioni dell'Unione europea perché ci manca la filiera. Come possiamo parlare di corrispondenza tra conoscenze, abilità e competenze previste per le qualifiche professionali, se non abbiamo la filiera dell'istruzione e della formazione professionale? Per questo, ora possiamo cominciare a ragionare in termini di ECVET, come dice l'Europa, cioè di crediti riconosciuti che si acquisiscono in questo percorso, perché abbiamo una filiera minima che si sta consolidando.
Si tratta ancora di una nicchia, che tuttavia ha cominciato a dare i suoi frutti. I provvedimenti del Governo hanno consentito di proseguire in questi percorsi sperimentali. Abbiamo ancora un impianto che prevede questo doppio sistema, ma avremmo bisogno di consolidare queste esperienze attraverso una sinergia tra il livello nazionale e regionale - se le regioni si chiamano fuori non riusciremo a costruire questa filiera - e il livello europeo.
Ringrazio particolarmente l'onorevole Mantovani che, in qualità di relatore di questo provvedimento, ha affrontato tutte le problematiche connesse all'ECVET, quindi ai crediti.
Voglio anche ricordare che in Commissione abbiamo avuto l'opportunità di discutere con il commissario europeo Figel. Questo buco nero dobbiamo assolutamente superarlo, e per farlo abbiamo bisogno di tornare a centrare i sistemi sulla persona. Capisco la preoccupazione dell'onorevole Musacchio, che mette in guardia dal rischio che la formazione professionale diventi individuale. Noi, però, per troppo tempo abbiamo costruito sistemi educativi sull'offerta e non sulla domanda.
Oggi, invece, il sistema europeo - che riconosce anche l'educazione informale e


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non formale, che quindi ha a che fare solo con la persona, con un bagaglio culturale che attiene alla storia personale - invita gli Stati membri a prevedere anche sistemi flessibili che possano riconoscere percorsi individuali.
In questo senso, credo che sia importante il lavoro svolto in Europa, attraverso questo provvedimento di riconoscimento dei crediti, per uno spazio europeo comune in materia di istruzione e formazione professionale, che è collegato anche al discorso sull'Europass. Noi abbiamo già il problema di riconoscere un titolo di studio per i nostri studenti, ma la stessa validità del titolo di studio non sarà più quella di cinquant'anni fa - e più passerà il tempo, minor validità avrà questo titolo - se non sarà correlata a questa certificazione di competenze che sta emergendo con forza - e non potrebbe essere diversamente - non solo per garantire la mobilità dei lavoratori europei tra i ventisette Stati, ma per garantire un riconoscimento globale. È come per i livelli di competenza linguistica: noi sappiamo benissimo quali siano tali livelli, ad esempio, per l'inglese, per il francese e presto spero anche per l'italiano. Non basta, però, aver frequentato la scuola, non basta dire che si è studiato l'inglese per cinque anni nelle scuole superiori; quello che conta non è neanche la promozione, ma la competenza acquisita, che deve corrispondere a livelli prestabiliti, ad una abilità effettiva, che va certificata.
Poiché studio ormai da tanti anni i sistemi educativi di altri paesi europei (penso, ad esempio, alla Finlandia e alla Germania), che vantano una maggiore efficacia, ritengo sia necessario abbandonare il vecchio schema. È per questo che vorremmo andare ad interloquire con i finlandesi, che ormai hanno raggiunto...

ROBERTO MUSACCHIO, Componente della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo. Solo che quel modello costa 54 mila euro a persona!

VALENTINA APREA. Come lei sa bene, anche il nostro sistema è molto costoso, se proprio vogliamo parlare di costi del sistema scolastico pubblico. Il problema è come vengono utilizzate queste risorse.
Abbiamo bisogno di capire cosa è successo in Italia a livello sperimentale e se possiamo tenere in vita questa filiera per poter continuare a sperimentare quel sistema che la stessa Europa ci indica come obiettivo finale, rendendo possibile la spendibilità nel mercato del lavoro dei percorsi educativi rispetto ad ogni singolo studente, persona, soggetto, cittadino. Oggi i nostri sistemi sono fuori mercato.
Mi auguro di avervi trasmesso la preoccupazione che avverto, perché noi teniamo per troppi anni i ragazzi a scuola - come diceva il collega Volpini, anche nelle università si continuano ad accumulare titoli di studio - ma non siamo garantiti sull'efficacia di questi percorsi, perché siamo fermi alla vecchia impostazione dello studio, che non è, peraltro, mai - o non sempre - collegato alle esperienze di lavoro. Ben venga in Italia questo vento europeo!
Credo che dovrete aiutarci, se possibile, a coordinare meglio il lavoro svolto nelle nostre scuole e nelle nostre istituzioni, non solo nazionali ma anche regionali, per dare maggiori opportunità ai ragazzi di scegliere, di formarsi e di lavorare a testa alta.
Altri paesi non hanno avuto la nostra storia, quindi non hanno come noi uno scontro ideologico così forte tra scuola statale e scuola non statale, scuola cattolica, formazione professionale e così via; noi abbiamo l'istruzione professionale statale, l'istruzione tecnica statale, abbiamo grandi istituzioni che sono oggi diventate gabbie anche per gli studenti.
L'idea di un processo di svecchiamento deve prendere piede anche nelle istituzioni, oltre che nel mercato del lavoro, e può servire a capire se l'Italia possa contribuire all'ECVET, valorizzando ulteriormente la risorsa umana con queste qualifiche professionali e colmando questo buco nero.

ALBA SASSO. Intanto ringrazio i parlamentari europei per il loro contributo. È


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vero che noi li abbiamo invitati, ma loro hanno accettato di venire: la reciprocità, a mio avviso, è un valore importante.
Noi parliamo di Europa del sapere e della conoscenza dal 1993, dal primo Libro bianco di Delors. Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti, ma io credo che le politiche, le strategie e le scelte di governo per costruire realmente questa Europa del sapere stentino ad affermarsi, pur con tante iniziative (direttive del Parlamento europeo e iniziative dei Governi). Forse non si riesce ancora a «fare rete» rispetto a tutto questo.
Quali erano le premesse fondamentali? In primo luogo, si trattava di dare ad ogni individuo, ad ogni cittadina e cittadino dell'Europa quel patrimonio di saperi, conoscenze, competenze (che esistono, se esistono le conoscenze) e abilità per permettere ad ognuno un governo consapevole della propria esistenza. In secondo luogo, occorreva pensare a come costruire sistemi dell'istruzione europei in grado di modificare il profilo culturale della popolazione. Questo è il nodo che abbiamo in un paese come l'Italia, dove, secondo i dati dell'ULNA e secondo quanto sostiene De Mauro, abbiamo solo il 20 per cento di popolazione attiva che fa un uso consapevole della lingua, della cultura, e via dicendo. Tutto il resto, infatti, è analfabetismo di ritorno o rischio di analfabetismo. Noi lavoriamo in questa situazione.
Sempre in premessa, dico che in questo momento, anche sul terreno del sapere, ci troviamo di fronte a nuove povertà, ad una profonda diseguaglianza, che è diseguaglianza sociale. Oggi il sapere è un bene patrimoniale e la differenza tra i cittadini non è soltanto tra chi ha e chi non ha, ma anche tra chi sa e chi non sa, ossia chi non riesce ad accedere al sapere. Questo avviene in un mondo sempre più globalizzato, dove le differenze e le diseguaglianze crescono.
Ha fatto bene Pasqualina Napoletano a dire che non dobbiamo guardare solo all'Europa del nord, ma anche al Mediterraneo, ad altri paesi che ci possono insegnare come fare rete e via elencando.
Ho fatto questa premessa, forse anche un po' enfatica - in tal caso, me ne scuso - perché è rispetto a questa situazione che dobbiamo ragionare di sistemi scolastici e formativi, partendo da quello che diceva il collega Musacchio. Dobbiamo parlare, oggi, di un'educazione per tutta la vita, in un mondo in cui, per la brevità dei cicli tecnologici, per il cambiamento del know how professionale, e via dicendo, si chiede alla gente di continuare ad imparare. Per continuare ad imparare è necessario avere quella carta di credito, quel patrimonio di saperi resistenti che si chiamano italiano, lingua straniera, fisica, matematica, che oggi servono non solo al ricercatore, ma forse anche al meccanico (il quale, se non conosce le macchine a controllo numerico, invece di riparare il pezzo del motore, cambia tutto il motore).
Non è una questione ideologica, ma pratica...

VALENTINA APREA. Mica puoi fare di tutti degli ingegneri!

ALBA SASSO. Non sto dicendo questo; dico che oggi al meccanico la terza media non basta più. Mi auguro che sia ingegnere anche il figlio dell'operaio, perché oggi viviamo in una società castale: il figlio del notaio fa il notaio, il figlio dell'ingegnere fa l'ingegnere, il figlio del deputato fa sicuramente un lavoro migliore e il figlio dell'operaio fa il precario, oppure non fa nulla. Ragioniamo su che cosa è diventata questa nostra società, collega Aprea, altrimenti non riusciamo a capire come andare avanti.
Nell' ultima legge finanziaria, il Governo ha introdotto una misura, molto importante per il nostro sistema di istruzione, volta ad elevare l'obbligo scolastico. Rimanere a scuola altri due anni, infatti, serve per poter acquisire quelle competenze di base che poi necessitano per continuare ad imparare per tutta la vita.
Ovviamente, accanto a questo problema, c'è anche quello della dispersione - non vogliamo assolutamente sottovalutarlo - che è altissima nel nostro paese, ma è alta anche in altri paesi. Tra l'altro, uno


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degli obiettivi di Lisbona era quello di ridurre entro il 2010 la dispersione scolastica. Non ci siamo ancora in Italia, ma credo che non ci siamo (lo chiedo ai colleghi europei) nemmeno negli altri paesi.
Non collocherei il problema della dispersione scolastica solo nella fascia dell'obbligo scolastico; esso è un problema sociale, un problema di selezione differita. Non a caso, il maggior numero di abbandoni scolastici riguarda gli istituti professionali. Dalla terza media, infatti, i ragazzi con maggiore disagio culturale e sociale vengono indirizzati anche verso quegli istituti.
Ieri il Presidente Prodi, in occasione del Laboratorio per l'istruzione tecnica e professionale, ha rilevato come negli istituti tecnici e professionali, ad esempio, arrivino soprattutto i figli degli immigrati. Questo è un problema.
Tralascio il problema dell'immigrazione e della necessità di una scuola plurale, aperta ed accogliente. Penso che questo sia un tema sul quale dobbiamo riflettere anche con l'Europa, perché è un problema non solo di disagio sociale, ma anche di sicurezza e di cittadinanza. È un problema drammatico dell'Europa, e la recente vicenda della Francia ce ne dà testimonianza.
Il problema della dispersione scolastica non si combatte, a mio modo di vedere, né costringendo i ragazzi a scuola, né dirottando i ragazzi con minori capacità verso la formazione professionale. Sono convinta che, rispetto al disagio sociale e culturale, ci possano essere delle forme di collaborazione. La scuola autonoma ha mille risorse per poter realizzare forme di integrazione con altri soggetti o, anche, di alternanza scuola/lavoro.
Tutto questo, però, non può essere sistematicamente organizzato come altro o secondo canale. Questa è la questione che ci divide, collega Aprea, lo dico molto onestamente. Ci possono essere tanti modi di combattere la dispersione scolastica. Personalmente ritengo che la si combatta generalizzando la scuola dell'infanzia, perché è in quell'età che si possono colmare i gap sociali e culturali. Questa è la mia opinione, ma credo che anche al ministero e al Governo sia molto chiaro che una generalizzazione della scuola dell'infanzia è fondamentale.
Il ruolo della formazione professionale diventa un ruolo fondamentale, importante, di dignità, se la formazione professionale non diventa la seconda gamba che si occupa solo dei drop out della scuola. Essa diventa un percorso di pari dignità se diventa post-diploma, cioè successiva alla scuola dell'obbligo, in collegamento con le forme di formazione professionale europee, con uno scambio di qualifiche, secondo il sistema di riconoscimento dei crediti. Su questo sono perfettamente d'accordo. Anche il sistema della formazione superiore integrata è formazione professionale «di qualità», perché è formazione post-diploma.
Sono trent'anni, forse di più, che continuiamo a ragionare di questo rapporto scuola-formazione professionale. È un rapporto che...

VALENTINA APREA. Si vede!

ALBA SASSO. Si vede, certo! È un rapporto che deve potersi rafforzare, ma un rapporto si rafforza quando ogni percorso ha un'identità precisa, compiti e finalità precise.
D'altra parte, in Germania, qualche anno fa, quando si fece un bilancio di quella che era stata una canalizzazione precoce, ci si accorse che i ragazzi precocemente avviati alla formazione professionale non avevano la base per poter fare una formazione e per avere, quindi, la speranza di seconde occupabilità. Questo è un problema. La disoccupazione oggi colpisce non solo i giovani precari - e concordiamo con quanto affermato da Volpini: sicuramente è un dramma sociale - ma anche ultraquarantenni e cinquantenni che, se non hanno una solida base di sapere per gli consenta di acquistare nuove competenze e nuovi saperi, rimangono completamente fuori dal sistema del lavoro.


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Questo è un problema che ci dobbiamo porre nel dibattere di educazione permanente e ricorrente.

EMERENZIO BARBIERI. Ringrazio anch'io gli europarlamentari presenti. Poiché con Mantovani faccio parte del Partito Popolare Europeo, mi rammarico del fatto che nessuno dei quattro parlamentari europei dell'UDC abbia accettato questo invito.
Vorrei porre alcune questioni alla riflessione dei nostri gentili ospiti. Sono particolarmente d'accordo con quanto ha detto l'onorevole Napoletano. Ritengo che occorra - e mi rivolgo anche al Governo - un rapporto più qualificato tra quello che fa il Governo in Italia e quello che accade in Europa. Non sono stupito del quinquennio precedente - i due Governi Berlusconi, sorretti da una maggioranza nella quale vi erano forti posizioni di euroscetticismo - bensì, onorevole Bastico, dell'atteggiamento di questo Governo. Esso ha infatti un Presidente del Consiglio che è stato per cinque anni presidente della Commissione europea e dovrebbe fare dei rapporti tra il suo Governo e l'Unione europea la sua ragione di vita. Così non è, come è stato proficuamente evidenziato.
Non è possibile che in un anno di questo Governo e di questa maggioranza si verifichino tre pesanti scontri con l'Europa: Autostrade-Abertis, le emissioni in atmosfera - questione ridicola, perché sorprende che il Governo italiano ignori di non essere negli standard e che il ministro dell'ambiente non si dimetta (conoscendolo, però, ho capito bene che quello delle dimissioni è un istituto al quale non ritiene di dover ricorrere) - e il disegno di legge Gentiloni, oggetto di studio da parte della nostra Commissione, sul tetto del 45 per cento. Si rileva un serio problema di rapporti, viceministro Bastico, tra questo Governo, questa maggioranza e l'Europa.
Ho molto apprezzato gli esempi citati dall'onorevole Napoletano, che derivano però da una cultura diversa che esiste in Europa rispetto all'Italia, prescindendo da chi governa, dalle maggioranze e dai presidenti delle Commissioni. La Commissione cultura nella precedente legislatura - era presidente Adornato - non ha fatto una missione all'estero in cinque anni, mentre l'onorevole Napoletano ci ha invece parlato dell'Algeria, della Cina, di Israele. La nostra mentalità, a differenza dei nostri colleghi europei, ci induce a discutere delle pensioni dei deputati, non a realizzare progetti seri. C'è quindi il problema - recepito dal presidente - di conoscere maggiormente quello che accade altrove.
Sarà perché vivo in Emilia-Romagna, ma non colgo il problema della flessibilità nei termini drammatici posti dal collega Volpini; per fare un esempio, mio figlio, pur avendo cambiato lavoro otto volte in dodici anni e nonostante abbia ancora un contratto di lavoro a tempo determinato con l'ACER, l'ex IACP dell'Emilia-Romagna, è contento della sua situazione. Non constato questa tragedia della flessibilità e non ne colgo neanche le conseguenze, giacché l'Istat segnala che l'82 per cento delle famiglie italiane è proprietario dell'appartamento in cui abita. Tutti i problemi posti hanno comunque una loro valenza.
Vorrei conoscere le opinioni dei nostri tre europarlamentari su quella che considero una scelleratezza commessa da questo Governo, ovvero la distruzione del MIUR per sostituirlo, così come accadeva nella prima Repubblica, con il Ministero della pubblica istruzione e il Ministero dell'università e della ricerca. Ritengo sia stato un errore gravissimo, ma gradirei conoscere la vostra opinione.
Desidero aggiungere due ultime questioni. In primo luogo, collega Sasso, vivo in una regione - da questo angolo di visuale potrei chiamare a testimone la collega Ghizzoni, che abita a 27 chilometri da casa mia, e la viceministra Bastico - in cui da trent'anni non vedo più la favola del figlio del padrone e del figlio dell'operaio. Conosco figli di operai e di contadini che come manager cooperativi guadagnano 12 mila euro al mese, per cui questa storia in Emilia-Romagna non esiste.
Vi è piuttosto un altro problema su cui vorrei conoscere l'opinione dei nostri europarlamentari


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e che in parte la collega Sasso ha colto con l'esempio del meccanico: non si trovano più casari che producano il parmigiano-reggiano, perché manca una scuola che li addestri. Non abbiamo più scuole che formino i casari - sebbene trent'anni fa esistessero e ci abbia insegnato per due anni -, nonostante non sia necessario parlare l'inglese, ma sia sufficiente il dialetto reggiano e un po' di italiano.
Oggi non abbiamo più una scuola - e ne paghiamo pesantemente le conseguenze - che insegni a fare il bovaro. Non abbiamo più un bovaro con la cittadinanza italiana: sono tutti Sick dell'India, sono bravissimi e guadagnano quattro volte più dei nostri figli impiegati! Più volte ho suggerito a mio figlio di andare a fare il bovaro, ma lui non vuole andarci.

MARIANGELA BASTICO, Viceministro della pubblica istruzione. Non ci va!

EMERENZIO BARBIERI. Anche se volesse, collega Bastico, non troverebbe le scuole, perché sono state chiuse. Gli istituti professionali di Stato per l'agricoltura sono ormai pochi, se non pochissimi.
L'ultima questione che pongo all'attenzione degli europarlamentari è stata sollevata dalla collega Aprea e poi ripresa nei vostri discorsi, e riguarda la validità del titolo di studio per l'accesso al mercato del lavoro. A Reggio Emilia esiste una grossa azienda, la Max Mara, costruita da un signore, Maramotti - purtroppo deceduto -, che aveva la quinta elementare. Quando assumeva - e la Max Mara è arrivata ad avere in una piccola provincia come la nostra fino a 2.500 dipendenti - lo faceva prescindendo dai curriculum, perché assumeva per sei mesi per verificare quello che il candidato sapeva fare. Con questo metodo ha avuto maestranze talmente qualificate che sono venuti a saccheggiarlo tante altre aziende della nostra zona, come quella di Mariella Burani.
Non formulo quindi una risposta univoca alla questione del titolo di studio, perché ritengo necessario individuare una soluzione per cui si debbano contemperare vari aspetti. Se non erro, l'onorevole Musacchio e lo stesso Mantovani accennavano al fatto che le esperienze di vita che ciascuno ha sin da ragazzo devono pesare quanto un titolo di studio, il cui conseguimento non è più così difficile come in passato.
Per quanto riguarda tali questioni, gradirei conoscere le opinioni dei nostri tre gentili ospiti.

PRESIDENTE. Si può osservare che per fare il bovaro sia necessario sapere l'inglese, perché, se è vero che i sick sono i più bravi, per imparare da loro è necessario se non l'inglese, almeno il «globish», un mix fra indiano ed inglese. È una battuta, naturalmente!

PAOLA FRASSINETTI. Desidero esprimere considerazioni più generali di quelle dei colleghi che mi hanno preceduto. Ritengo - la mia è una constatazione pessimistica, sulla quale vorrei che i colleghi deputati europei si esprimessero - che la cultura europea sia ancora lontana dall'essere percepita in modo completo nella nostra scuola. Lo si constata infatti dai programmi e dalla ordinarietà scolastica.
Desidero chiedervi come sia possibile riuscire a soddisfare la giusta esigenza di collegare la scuola al territorio. Con la modifica del Titolo V, un'ampia parte di competenze è passata alle regioni e, in alcuni casi, alle province. Quando ero assessore all'edilizia scolastica ed all'istruzione della provincia di Milano, ho provato, insieme all'onorevole Mantovani, a tradurre concretamente sul territorio il concetto di Europa, aprendo un liceo europeo ad Arconate, in provincia di Milano.
Però, al di là di questi esempi concreti che sono frutto di un'iniziativa e di una volontà personali, mi chiedo come si possa contemperare la dimensione europea con la giusta esigenza avvertita dalle scuole di avere un collegamento con il territorio che le valorizzi. Il collega Barbieri citava mestieri e professioni che sono relativi alla specificità identitaria di un territorio. Se è giusto, soprattutto per quanto riguarda l'attività laboratoriale, esaltare e valorizzare


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le nostre identità, è anche necessario mantenere una cultura ed una mentalità europea, che però sembra ancora lontana.
Gli esempi sono molti. Ho presentato un'interrogazione, che verrà discussa fra qualche settimana, su input dei professori di lingua tedesca, molto preoccupati per la tendenza diffusa negli istituti linguistici a non iscriversi più ai corsi di tedesco (mentre spopola la lingua spagnola). Questi professori sottolineavano come invece il tedesco sia ancora, da un punto di vista tecnico ed industriale, per quanto riguarda i rapporti con l'Europa, una lingua molto importante, soprattutto adesso che sono entrati i paesi dell' est europeo, per i quali il tedesco è la lingua straniera principale.
Ritengo che la lingua sia momento di integrazione. Come per l'integrazione degli studenti immigrati rileviamo la necessità di dare valori di collegamento identitario e di conoscenza della cultura italiana, a maggior ragione questo progetto in essere, ancora nelle fasi preliminari, dovrebbe essere adeguato al processo di integrazione europea. Concordo con quanto affermato sull'importanza del Mediterraneo, perché ritengo che l'Europa, anche nelle sue linee generali di istruzione e di formazione, abbia bisogno di orientarsi ancora verso il Mediterraneo, per puntualizzare un concetto di Occidente che spesso rimane avulso dai contesti di interscambio di culture e di modi di essere.
Un'integrazione di questo tipo ci allontanerebbe anche dall'aberrazione della proposizione dello scontro di civiltà, spesso paventato più nella demagogia che nella realtà (lo affermo da deputato di Alleanza Nazionale). La scuola europea deve rappresentare il mezzo per realizzare eventuali progetti didattici in Italia ed in Europa e per aiutare le singole nazioni a risolvere questo problema che ritengo prioritario.

FABIO GARAGNANI. Brevemente, rivolgo alcune domande ai parlamentari europei.
Sottolineo l'importanza di questo incontro e chiederei al presidente di promuoverne un altro, considerata la dimensione culturale del Parlamento europeo, anche in riferimento a pericolose correnti di origine protestante che tendono a condizionare la cultura tradizionale dell'Europa, in particolare quella cattolica, con orientamenti pericolosissimi per la nostra civiltà. Non si tratta solo del problema della Carta fondamentale, perché appaiono estremamente preoccupanti anche segnali di un orientamento pervaso da una sorta di nichilismo.
Nessuno persegue lo Stato etico, ma ritengo necessario salvaguardare almeno il collegamento alle radici cristiane del nostro continente, anche perché, di fronte alla massiccia immigrazione extracomunitaria, occorre un'identità forte da contrapporre.
Chiedo ai parlamentari europei - segnatamente all'onorevole Mantovani, ma anche agli altri - di esplicitare meglio il problema della competenza professionale per quanto riguarda l'approccio e l'ingresso nelle professioni.
Mi pare che l'onorevole Mantovani abbia fatto riferimento ad un documento non vincolante per gli Stati europei, in cui si parla, oltre che di maturità professionale, di competenza tecnica (egli ha citato infatti l'esempio di un ragioniere o di un perito commerciale). Vorrei conoscere maggiori dettagli in merito e sapere se esista una sperimentazione e, soprattutto, cosa preveda. Mi parrebbe opportuno che il Parlamento europeo affrontasse questo problema.
Di fronte alla necessità di affrontare tutti i temi prescindendo dalla concezione tradizionale dello Stato nel settore della scuola, della cultura e della formazione professionale, ossia di rendere più duttile la formazione professionale, vorrei conoscere gli orientamenti della comunità europea o le esperienze significative che, all'interno di una funzione pubblica, evidenziano anche il pluralismo. La formazione professionale, infatti, non necessariamente oggi deve promanare dallo Stato o da sue emanazioni periferiche, ma anche da associazioni di categorie vincolate all'interno di un quadro ben definito.


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Ritengo che il nostro paese in questo senso sia molto indietro. Ho colto anche l'interessante riflessione dell'onorevole Napoletano sull'esempio delle scuole cattoliche in Palestina che sono aperte a tutti, ed estenderei il discorso. Ritengo infatti che l'Europa debba farsi promotrice di un'esperienza di formazione professionale estremamente pluralista ed arricchente, che non escluda la dimensione pubblica, ma all'interno di una dimensione pubblica lasci spazio ad energie private. Questo è il problema fondamentale, anche perché la fissità dell'istituzione statale fatalmente impedisce di seguire i continui mutamenti del mondo dell'industria.
Credo quindi che in tale settore sia necessario essere molto più agili all'interno di un quadro pubblico. Da questo punto di vista, chiedo anche il parere dell'onorevole Napoletano, oltre che dell'onorevole Mantovani.
Vorrei infine sapere se riteniate che il Parlamento europeo rischi attualmente di eccedere in prescrizioni burocratiche, alimentando nei singoli Stati una sorta di nazionalismo che dovrebbe essere superato, senza invece affrontare i problemi fondamentali che devono caratterizzare l'Europa.
Molte associazioni protestano per i regolamenti vincolanti, mentre sembra mancare l'attività legislativa - nei limiti concessi dall'attuale situazione - o di indirizzo del Parlamento europeo, aspetto completamente diverso. L'opinione pubblica percepisce quindi maggiormente l'indirizzo burocratico, piuttosto che l'orientamento legislativo professionale.

LAURA FRONER. Vi ringrazio per la vostra partecipazione a questa seduta. La mia riflessione si impernierà su alcune questioni poste anche negli ultimi interventi. Vorrei chiedervi infatti se, sulla base del vostro osservatorio, possiate esprimere qualche considerazione sull'applicazione e sulla validità di strumenti di comparazione, quali Europass o il sistema di valutazione comparata delle conoscenze, delle abilità e delle competenze acquisite, considerando come i paesi stiano aumentando di numero e diventi sempre più inadeguato limitarsi a comparare i titoli di studio. Questa comparazione si rivelerebbe infatti assolutamente inadeguata a causa dell'estrema diversità dei sistemi di istruzione e formazione.
In base alla comparazione tra i vari strumenti di istruzione e di formazione professionale esistenti nei vari Stati europei, vorrei sapere quale tipo di mobilità del lavoro si possa creare nell'Unione europea, ovvero se sia possibile riuscire a garantire una concreta forma di mobilità oppure se essa rappresenti un progetto puramente teorico da perseguire, che, per la vastità e la diversità dei sistemi europei, difficilmente riusciremo a raggiungere.

PAOLA GOISIS. Condivido alcune osservazioni della collega Sasso, in particolare la riflessione - spesso citata nel dibattere di educazione, istruzione e formazione - secondo cui l'educazione debba durare tutta la vita. È infatti impossibile ritenere che a 18 anni si possa smettere di apprendere.
Non condivido però altre affermazioni, come l'osservazione che sia fondamentale elevare l'obbligo scolastico...

ALBA SASSO. C'è una legge!

PAOLA GOISIS. Non tutte le leggi sono comunque giuste ed adeguate. Rimanere a scuola due anni in più può infatti servire e aiutare, ma la questione è a monte. Se infatti manca una preparazione di base, i ragazzi possono rimanere a scuola anche dieci o venti anni senza però colmare quel gap.
Condivido invece la considerazione sulla necessaria attenzione alla scuola di base, ovvero alla scuola fin dall'infanzia, a partire da quella elementare. Su questo punto, insisto sul valore anche delle scuole private, delle scuole cattoliche, in particolare nelle nostre regioni del nord, in cui le scuole cattoliche svolgono un'azione molto importante anche dal punto di vista sociale, soprattutto nella scuola della formazione.


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Dissento sul fatto che la scuola della formazione sia frequentata da figli di operai o di contadini, laddove invece le intelligenze si rivelano diverse sia tra figli di industriali che tra figli di contadini o di operai. Se l'Europa parte da questa visione della scuola di base, ci si deve preoccupare di come portare avanti i livelli di formazione in modo tale da garantire sin dalla partenza uno stesso livello e uguali possibilità.
Si è anche parlato di dispersione scolastica, ma ritengo si faccia riferimento alla formazione più che all'istruzione e, quindi, alle regioni del sud più che a quelle del nord. Infatti, nelle nostre scuole del nord questo problema è inesistente mentre lo constatiamo per quanto riguarda la formazione.
Un'altra questione da sottolineare è che, nel trattare di parametri o del raggiungimento di certe competenze, conoscenze e abilità, sembra di rilevare una difficoltà di comunicazione, di linguaggio, per cui sarebbe necessario individuare cosa si intenda in Francia, in Germania o in Italia per acquisizione di competenze, di conoscenze e di abilità. Spesso, infatti, anche nelle nostre scuole la conoscenza o l'abilità ha un significato diverso a seconda dell'insegnante, così come accade per la valutazione.
Vi chiedo quindi come riteniate possibile risolvere questo problema del linguaggio, se avvertiate un pericolo - io, come rappresentante della Lega Nord, lo avverto - di globalizzazione anche nell'istruzione.
A fronte della globalizzazione, per quanto riguarda le professioni e i mestieri, insisto molto sulla difesa delle culture locali che, con questa massiccia diffusione di extracomunitari in Europa, rischiano di perdersi. Recentemente, abbiamo votato la Convenzione europea sulle diversità culturali, ma il rischio è di perdere, in nome della diversità culturale, la peculiarità locale, ovvero la nostra storia e ciò che il collega Garagnani prima definiva le nostre tradizioni cristiano-giudaiche, che vogliamo evitare di perdere e che l'Europa non ha ancora posto a fondamento del suo atto costitutivo.

PRESIDENTE. Adesso la parola spetta al terzo vertice di questa triangolazione istituzionale fra Parlamento europeo, Parlamento nazionale e Governo.
Do quindi la parola al viceministro della pubblica istruzione, Mariangela Bastico.

MARIANGELA BASTICO, Viceministro della pubblica istruzione. Grazie, presidente Folena, per l'occasione di questo confronto tra Parlamento europeo, Parlamento italiano e Governo nazionale.
È la prima volta che si offre un'occasione di confronto così importante e positiva ed essa andrebbe riproposta con approfondimenti di carattere più specifico, laddove oggi il tema è stato affrontato nella sua ampiezza generale. Ritengo molto utile e innovativo questo percorso e vorrei esprimere con la massima sintesi la posizione del Ministero della pubblica istruzione e del Governo sui temi dell'istruzione e della formazione dei saperi.
Non è vero, onorevole Barbieri, che, almeno per quanto attiene a questi temi, non esista un rapporto stretto tra il Governo e l'Europa. In particolare, abbiamo una relazione più diretta e costante con la Commissione europea, in virtù degli indirizzi che, anche in relazione alla gestione dei fondi, la Commissione dà allo Stato italiano e alle regioni italiane proprio su queste tematiche.
Certamente è di nostro rilevante interesse la relazione con il Parlamento europeo e con le strategie e gli indirizzi generali del Parlamento. Non condivido quindi questo giudizio, ribadendo come la strategia europea sia per noi fondamentale.
Il nostro quadro di operatività fa riferimento alla strategia di Lisbona, agli aggiornamenti ed agli obiettivi di Barcellona.
Peraltro, l'Europa ci ha indicato non solo un quadro generale e alcune strategie, ma obiettivi concreti, partendo dagli asili nido, ovvero dal 33 per cento dei posti degli asili nido da raggiungere entro il 2010 rispetto alla popolazione di riferimento. Essa ci propone la generalizzazione


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della scuola dell'infanzia, individuandola come elemento fondamentale per la realizzazione di un positivo percorso di istruzione e di formazione e ci fornisce indicazioni sulla scuola, ad esempio sulla dispersione scolastica, in ordine alla quale ha fissato l'obiettivo del 10 per cento da raggiungere nel 2010 (per noi sarà molto difficile raggiungerlo, perché purtroppo siamo ancora intorno al 23 per cento, come ricordava l'onorevole Aprea).
Si tratta dunque di una strategia di riferimento chiara, sostenuta da progetti e da finanziamenti. In questo l'Europa non si dimostra solo chiara negli intendimenti, ma anche coerente nelle politiche e nel sostegno ai paesi membri. Dentro questi ci ritroviamo perché sono il vero orientamento del nostro processo di cambiamento e di riforma del sistema dell'istruzione e in generale del sistema dell'education, che costituisce il riferimento complessivo delle nostre politiche.
Vorrei quindi evidenziare dove ci ritroviamo in modo specifico, riconoscendo poi - e credo che i parlamentari europei siano qui a testimoniarlo - come ogni Stato attui quegli obiettivi e quelle strategie all'interno dei propri ordinamenti. Siamo pertanto molto interessati alla riforma del nostro ordinamento scolastico, così come alla valutazione del nostro sistema della formazione professionale o alle riflessioni riguardanti l'ordinamento dell'università e all'organizzazione della formazione non formale (ad esempio il grande fenomeno dell'educazione degli adulti, dell'università della terza età, grande ricchezza del nostro paese e di tanti altri paesi europei).
Ritengo che una corretta modalità di relazionarsi con l'Europa consista nell'accogliere, condividere ed attuare le strategie, le strumentazioni e gli obiettivi, che essa ci ha indicato, nell'ambito dell'ordinamento proprio di ogni Stato.
Non credo quindi che all'Europa interessi il fatto che abbiamo distinto il Ministero della pubblica istruzione da quello per l'università e la ricerca (mentre prima tutte le politiche risultavano unificate), giacché questo attiene all'organizzazione interna dello Stato. Naturalmente, è necessario valutare se questo sia funzionale al raggiungimento di obiettivi che vogliamo condividere.
Considero molto interessante il ragionamento sui titoli di studio, sulle competenze, sulle abilità e sulle conoscenze, perché sono convinta che - a differenza di quanto in passato è stato fatto sulla scuola superiore - sia necessario partire dai livelli di conoscenze e di competenze che i ragazzi devono raggiungere, quindi dai titoli in uscita, per costruire poi il percorso di istruzione e di formazione.
Il nostro percorso di riforma della scuola superiore parte dunque dall'innalzamento dell'obbligo di istruzione a 16 anni, che riteniamo un innalzamento dei livelli di istruzione diffusa nel nostro paese. È necessario inoltre rendere effettivo quest'obbligo, perché nei due anni della prima e della seconda superiore si concentra il maggior numero di bocciature - fino al 50 per cento negli istituti tecnici e professionali - e quindi si determinano una grande dispersione e un abbandono. Occorre dunque ridurre le bocciature e soprattutto gli abbandoni.
Dobbiamo attuare metodologie di apprendimento diverse da quelle attuali nei primi due anni della scuola superiore e quindi lavorare con un grosso investimento di innovazione, che ci deve portare all'espletamento dell'obbligo e al proseguimento sino, almeno, al conseguimento di una qualifica professionale triennale. Questo è, come indicato nella riforma precedente, il titolo minimo da conseguire. Manterremo quindi la prima qualifica triennale come una delle qualifiche, che speriamo di concordare con le regioni. Infatti, tali qualifiche sono di competenza regionale, ma devono essere riconosciute in ambito europeo e nazionale, con la certificazione delle competenze di riferimento.
Inoltre, già nel secondo anno della scuola superiore, che configura l'obbligo di istruzione, che può essere espletato nei percorsi dell'istruzione e della formazione professionale fino alla messa a regime di


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tutto il sistema, si deve mirare ad una promozione all'anno superiore e ad una certificazione delle competenze.
Questo è il cambiamento che ci proponiamo di attuare seguendo le indicazioni dell'Europa, che ci propone la scansione «competenze, abilità e conoscenze».
Tutto questo costituisce un grande cambiamento nella scuola di oggi, che agisce invece solo sulle conoscenze, che opera per programmi troppo rigidi e troppo fissi, non offrendo la possibilità di differenziazione e personalizzazione delle metodologie dei percorsi didattici, che dovrebbe sussistere nell'ottica di un ordinamento dell'istruzione superiore. Questo deve rimanere, perché non condivido - come diceva la collega Sasso - la personalizzazione di un percorso affidando la scelta al singolo, in quanto, laddove il singolo è debole, laddove la famiglia è debole dal punto di vista sociale e culturale, non riesce a costruire un percorso forte di istruzione e formazione. Necessitiamo invece di un ordinamento che, almeno fino a un certo punto, accompagni tutti i ragazzi; l'ordinamento dell'istruzione deve rimanere come riferimento fondamentale, rendendo però più flessibili i propri percorsi, dovendo accompagnare con modalità diverse tutti i ragazzi. Questo è l'impianto che cerchiamo di costruire nella lotta alla dispersione scolastica, per avvicinarla progressivamente a quelle percentuali che l'Europa ci ha indicato come obiettivo.
Un altro aspetto che considero molto importante è l'educazione per tutta la vita, il long life learning, un punto chiave da molti condiviso. Nella precedente riforma, tuttavia, il sistema dell'istruzione si fermava al diploma, ai 18 anni. Ciò non è coerente e infatti abbiamo apportato talune modifiche, prima fra tutte l'introduzione di un percorso di istruzione post-diploma, definito dagli istituti tecnici superiori di istruzione - che poi si collegherà alla formazione professionale alta, come ci indicava la collega Sasso - che garantisca un'offerta alta post-diploma, anche alternativa a un percorso universitario.
Arrivati al diploma, i ragazzi che vogliono proseguire vengono affidati all'università, di cui conosciamo le caratteristiche «accademiche», mentre dobbiamo garantire un'offerta di istruzione post-diploma.
Abbiamo costruito i poli tecnico-professionali ad alta istruzione come offerta integrata nel territorio, molto collegata allo sviluppo e alle caratteristiche economiche e sociali del territorio stesso, nonché inserito l'educazione degli adulti - centri territoriali permanenti - come parte integrante del sistema dell'istruzione. Anche tale offerta si integrerà con la formazione professionale, con le altre agenzie dell'educazione anche non formale.
Crediamo nella specificità dei sistemi scolastico, della formazione professionale, dell'università, dell'educazione non formale, ognuno con i propri strumenti, con una propria missione, con propri titoli in uscita, perché la laurea e le qualifiche professionali anche altissime differiscono profondamente. La formazione professionale rilascia titoli di studio ad altissima qualificazione. Esistono le qualifiche triennali, che saranno quelle di base, ma la formazione ci accompagna nel corso del tempo, tanto che l'Europa ci ha finanziato progetti straordinari.
Si tratta, però, pur sempre di qualifiche, mentre la scuola rilascia diplomi, rilascia maturità. Il sistema si configura quindi nella sua specificità e nella sua capacità di integrarsi. Tale idea di sistema nazionale che vogliamo costruire appare in sintonia con la cultura e la dimensione europea.
Emerge dunque il tema delle certificazioni, perché sistemi che vogliono essere integrati e consentire i passaggi dagli uni agli altri, devono avere modalità comuni di certificazione. Ogni persona ha diritto alla certificazione delle competenze acquisite, anche abbandonando ad un certo punto il suo percorso. Si tratta di un processo molto complesso, per cui l'Europa ci ha fornito strumenti interessanti. Esistono paesi molto più avanzati di noi, che siamo molto indietro in questo senso. La Francia,


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ad esempio, ha fatto un grande investimento sui centri territoriali per la certificazione. A mio avviso dobbiamo rifletterci e studiare molto. Questo non significa mischiare gli aspetti, bensì integrarli valorizzandone le specificità.
Questo è l'impianto del nostro lavoro, sul quale vi confermo una reale volontà di confronto, da cui possiamo trarre molti insegnamenti per rafforzare il nostro progetto.

PRESIDENTE. Ringrazio il viceministro Bastico.
Do ora la parola ai nostri colleghi europarlamentari per la replica.

ROBERTO MUSACCHIO, Componente della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo. Avete posto numerosi quesiti, cui rispondo rapidamente.
Non ritengo che in Europa ci sia un rischio di relativismo etico - e da questo punto di vista difendo il Parlamento europeo - perché ci siamo impegnati su voti anche eticamente sensibili, dalla pena di morte, per la cui abolizione abbiamo votato tutti, alla omofobia, alla bioetica. Abbiamo dimostrato una capacità di condivisione e di costruzione di una maggioranza parlamentare, sebbene si facciano sentire tutte le chiese, senza distinzione. Come parlamentari, quindi, abbiamo avuto il nostro punto di vista, che difendo anche sotto il profilo etico, non solo politico. Ritengo che questo ci aiuti a capire i motivi per i quali esiste libertà di discussione sull'istruzione; infatti, in Europa questo elemento della laicità è fortemente avvertito e ci consente di far convivere tutte le radici, impedendo che qualcuno in Europa possa pensare a forme di istruzione in termini confessionali. Il dibattito però è lungo e potremo riprenderlo.
Concordo nel rilevare un'eccessiva legislazione, soprattutto di dettaglio. Esiste troppa burocrazia, anche se di altissimo livello, ma c'è un sistema che mi convince poco. So che il Governo italiano ha molti rapporti con la Commissione e ne intrattiene anche con noi, ma ne deve intrattenere di più, anche perché talvolta riusciamo a raggiungere obiettivi che non si riescono a raggiungere a livello di governo (l'ultima iniziativa ha riguardato l'etichettatura sui prodotti biologici).
A proposito di diversità culturale, se non avessimo promosso una battaglia a nome di tutti gli italiani, in questo caso sarebbe passato un pessimo provvedimento, nonostante il ministro De Castro. Sono necessarie più scelte politiche, che devono essere compiute dai Parlamenti, perché non passano solo le scelte tecniche. Quindi, è necessario investire sui Parlamenti e sulle relazioni tra di essi.
Tra l'altro, nonostante le competenze statuali, signor viceministro, il 60 per cento della vostra legislazione è derivata, ed è inaccettabile che sia derivata due volte, in quanto decisa dai Governi in sede europea, approvata da noi direttamente attraverso il livello governativo e da voi parlamentari italiani solo recepita. Ritengo invece necessario investire di più in queste riunioni tra Parlamenti, perché è utilissimo, come dimostra il fatto che abbia scoperto oggi l'esistenza di due provvedimenti contemporanei, quello sulla flexsecurity, e quello citato dall'onorevole Mantovani, che ho intenzione di approfondire. Trovo quindi sbagliata questa discussione separata, troppo settoriale, per la quale giungeremo ad uno scontro giuslavorista, giustissimo, sulla potestà dei contratti, senza però trattare della sicurezza in un'azienda, che riguarda anche il tema della formazione professionale.
Sono assolutamente favorevole alla libertà degli individui anche per quanto riguarda l'etica, ma ritengo ci si trovi di fronte a due fenomeni: globalizzazione e precarietà. Il 60 per cento dei nuovi contratti di lavoro sono atipici, e si rilevano molti problemi anche di falsi contratti atipici. Allora, se la responsabilità sulla formazione e sul mercato del lavoro rimane solo in capo al singolo, si pone un grande problema, perché emerge un'idea di individualizzazione del mercato del lavoro.
Le regole richieste per affrontare il problema della globalizzazione devono


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consentire l'inserimento. La questione degli immigrati è prioritaria. I nostri ragazzi, in Europa, sono bravissimi ed imparano subito l'inglese, ma esistono altre situazioni. Per esempio, sulle navi esiste personale imbarcato di 25-30 nazionalità diverse e c'è il problema di comunicare con il porto perché uno solo è in grado di parlare con il portuale di arrivo.
Si rileva quindi questo problema di formazione, che riguarda noi che giriamo per l'Europa, ma anche gli immigrati, e il primo aspetto è la lingua. Ci chiediamo come risolvere il problema: secondo me, occorre fare ricorso anche ai contratti di lavoro, perché non tutti i problemi possono essere scaricati sullo Stato deresponsabilizzando la figura contrattuale.
Sono tornato da Berlino, dove abbiamo affrontato la questione della flexsecurity. Il modello in base al quale lo Stato si fa carico a valle della precarietà - discuteremo poi se la precarietà sia utile o meno (secondo me diminuisce la produttività, in altra occasione vi citerò le cifre) - ha come riferimento quello danese, che veramente costa 54 mila euro a testa, mentre quello tedesco, che offre un'assistenza maggiore della nostra, sta a 18 mila euro.
Se vogliamo un modello che si faccia carico della flessibilità, dobbiamo decidere poi quanto investire in formazione permanente e in che direzione, con la consapevolezza dei costi. Occorre quindi studiare come configurare un sistema che preveda una responsabilità contrattuale, della scuola, dello Stato e degli enti locali.

MARIO MANTOVANI, Componente della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo Ringrazio, anche a nome dei colleghi, di questo invito e di questa opportunità, da cui possono nascere nuovi obiettivi e nuovi progetti per collaborare e vincere la solitudine che viviamo al Parlamento europeo. Abbiamo rari rapporti con i nostri colleghi nazionali, al di là dell'onorevole Bonino che viene ogni due o tre mesi, senza però potersi occupare di tutto. Ritengo invece fondamentale un rapporto con la rappresentanza permanente del Governo a Bruxelles.
Quando ci viene assegnata una relazione su un provvedimento, godere del sostegno del Governo nazionale si rivela fondamentale, indipendentemente dal colore, perché in quella sede le questioni sono molto più sfumate, non si svolge un dibattito come quello odierno, che è prettamente italiano. In quella sede si parla anche a nome della Francia, dell'Inghilterra, della Romania o di Malta.
Qui oggi abbiamo toccato tutti gli argomenti possibili, a partire dall'onorevole Volpini che ha parlato della questione del precariato, laddove mi pare che in Europa la legge Biagi sia vista con grande interesse, perché il nostro è considerato un rilevante progresso. Riconosciamo l'esigenza di compierne un altro, che spetta al Governo in carica e riguarda le questioni del precariato.
Mi pare fosse unanimemente noto, quando è stata approvata la legge Biagi, che c'era un percorso da compiere. Mi occupo di questioni europee ma sono anche italiano, per cui mi preme ricordare che l'87,9 per cento dei contratti di lavoro esistenti in Italia è a tempo indeterminato, un altro 7 per cento è costituito da contratti di formazione legati all'apprendistato e solo un 5 per cento è rappresentato da contratti a progetto. Lavoriamo su questo 5 per cento fissando le utili garanzie necessarie una volta che il lavoro a progetto viene terminato. La legge Biagi fa storia in Europa ed è vista davvero con favore: la scorsa settimana è arrivata in Commissione una relazione sulla questione del lavoro in Europa ed è affrontata proprio in questi termini.
Poiché la nostra Commissione in sede europea si riunisce due giorni al mese, vorrei proporre al Presidente o al Governo di inviare due parlamentari di volta in volta, anche per avere un approccio diverso alle questioni, giacché le Commissioni che si occupano di cultura e di lavoro sono solo due in Europa. Poiché i parlamentari di una Commissione sono quaranta, se ne venissero due per volta, in


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un anno verrebbero tutti, laddove due giorni a Bruxelles richiedono solo una notte e un viaggio aereo. Le Commissioni generalmente cominciano i loro lavori alle 15 per terminarli alle 12,30 del giorno successivo, e partecipare sarebbe utile ed importante.
All'onorevole Aprea, che ha toccato l'argomento, volevo ricordare che presto ci sarà un'audizione pubblica in occasione dei dieci anni dell'ECVET, perché esiste una direttiva per i titoli dell'istruzione, ma non per la formazione professionale. Quindi, dopo dieci anni di sperimentazione, ci sarà un'audizione pubblica in cui il nostro Parlamento e il Governo vorranno far sentire la loro voce, perché lì si porrà la questione vera del riconoscimento dei titoli della formazione professionale.
L'EQF, per rispondere agli onorevoli Garagnani, Froner e Goisis, è stato pensato anche per conservare le culture locali, perché ci rendiamo conto che, su 27 paesi, i titoli di studio e quelli legati alla formazione professionale hanno la loro storia. Esso mira dunque a mettere in relazione quanto è legato a competenze che si acquisiscono attraverso conoscenze e disponendo di alcune abilità.
Ogni certificazione che verrà fatta per un titolo di studio dovrà avere quindi un riferimento in un livello dell'EQF, ovvero dell'European Qualification Framework, il quadro europeo delle qualifiche, costituito da titoli, qualifiche, esperienze di vita, di lavoro, di formazione, di spettacolo. Nella relazione, che verrà votata in Commissione a giugno e in aula a luglio, esiste un'indicazione riguardante i centri di coordinamento, riguardo ai quali esiste una pressione anglosassone affinché quelli regionali siano sistemi nazionali e subnazionali. Mi sono adeguato, insieme ai socialisti, e, anziché usare il termine «sistema nazionale», ho chiesto che si usasse l'espressione «sistemi nazionali», in modo da equiparare gli eventuali sistemi regionali a sistemi di carattere nazionale. È una questione legata al Galles ed alla Scozia.

VALENTINA APREA. Noi abbiamo la Lombardia!

MARIO MANTOVANI, Componente della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo. Sulla Lombardia forse bisognerà fare un discorso a parte, visti i successi ed i programmi che sta portando avanti oggi.
Certo, onorevole Sasso, l'Italia è il numero due - tra 15, non tra 27 membri - per analfabetismo, dopo il Portogallo. Dobbiamo quindi confrontarci con questo tipo di società.
Oggi, però, non mi preoccupa se il figlio dell'avvocato fa l'avvocato...

ALBA SASSO. Non ho detto questo!

MARIO MANTOVANI, Componente della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo. Mio padre era contadino mentre io sono parlamentare, mia sorella fa l'impiegata e mio fratello ha un'impresa edile. Tutti però devono poter scegliere il tipo di scuola corrispondente, come l'onorevole Barbieri sosteneva, alle proprie attitudini.
Indipendentemente dalle competenze che una persona acquisisce, è necessario valutare le abilità e le capacità di cui dispone. Ho insegnato a 20 anni, ma tutti sanno che nella scuola ci sono ragazzi più bravi e meno bravi. Li abbiamo giudicati, educati e cresciuti e ritengo che la scuola debba dimostrarsi capace di far crescere anche quelli con minori possibilità, senza tuttavia poterli equiparare sul piano della capacità, della ricerca, dello sviluppo futuro a coloro che possiedono particolari abilità.
Mi preoccupa di più il fatto che il primario abbia il figlio nella sua scuola, così come il giudice o il docente. Mi fa meno impressione invece che ciò avvenga nell'ambito di un'azienda privata.
Sulle radici cristiane non c'è discussione, perché sono un popolare, e siamo...

PRESIDENTE. La questione posta dal collega Garagnani era più sottile e non riguardava solo le radici cristiane, perché anche i protestanti sono cristiani. Non aprirei l'argomento per evitare divisioni in seno alla vostra formazione politica.


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FABIO GARAGNANI. È uscito un interessantissimo libro di Luca Volontè sull'affaire Buttiglione!

MARIO MANTOVANI, Componente della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo. Mi sembra che ieri il Presidente Napolitano abbia mostrato un'apertura a proposito di una possibile revisione del Trattato costituzionale. Quindi, a questo punto, il dibattito sull'argomento si riapre. Trovo che anche sul piano della laicità dovrebbe essere riconosciuto perché è storia, fa parte della nostra cultura.
Chiederei al presidente e al viceministro di operare affinché si mantenga in Europa l'uso della lingua italiana, che sta per essere declassata. Insistiamo infatti nel parlare la nostra lingua, ma ormai i documenti sono in prima battuta in inglese, in seconda battuta in inglese e francese e si mira a togliere lo spagnolo e l'italiano in modo da ridurre a tre lingue la traduzione dei testi. Su tale questione è necessario intervenire.
Anche a nome dell'onorevole Napoletano e dell'onorevole Musacchio, concludo invitandovi naturalmente in Europa. Non abbiamo la possibilità di ospitarvi ufficialmente, ma c'è certamente posto per lavorare in questa direzione.

PASQUALINA NAPOLETANO, Componente della Commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo. Vorrei solo riprendere alcune questioni sollevate durante la discussione.
Nell'esaminare i problemi esistenti in Europa e nel Mediterraneo - e personalmente mi riferisco molto ai parametri che ci uniscono ai paesi del nord Africa -, vi inviterei a riflettere su quanto nelle nostre società stia diminuendo il valore della scuola e degli insegnanti anche agli occhi delle famiglie.
A differenza del mondo arabo, in cui una famiglia povera farebbe di tutto per pagare la scuola ai bambini, in Italia non credo che ciò potrebbe accadere. Ciò può indurre ad interrogarsi sui valori di una società, anche laddove gli insegnanti, un tempo socialmente stimati, sono ora scarsamente considerati. Questo ha una certa influenza, perché le famiglie investono sull'istruzione come leva di emancipazione sociale, e rappresenta un punto serio che ritroviamo nella decadenza dei sistemi scolastici che riguardano soprattutto alcune società. Ritengo che la nostra sia coinvolta in un processo di questo genere.
Il secondo punto riguarda gli indicatori nord-centro-sud del nostro paese, unico paese europeo insieme alla Germania (che però sta colmando velocemente le lacune di questa relazione est-ovest) ad avere una divisione nord-sud che non riusciamo a colmare. Nessun paese europeo possiede una frattura così grande dal punto di vista sociale. In Spagna, le regioni del sud stanno rimontando velocemente. L'Andalusia, anche negli investimenti sulla scienza, sulla ricerca, sulla formazione e così via, presenta tassi di sviluppo molto più alti.
Questa differenza nord-sud negli indicatori, anche rispetto a Lisbona, è enorme nella nostra dinamica nazionale, laddove ad esempio la scuola per l'infanzia al sud è quasi totalmente assente.
In Europa si è ormai rovesciato il rapporto tra natalità e impiego e fanno figli anche le donne che lavorano e sono professionalizzate. In Italia si rileva una grande disperazione delle giovani donne che studiano di più e che riescono meglio negli studi universitari, ma che poi incontrano maggiori difficoltà nel conciliare la vita professionale con l'aspetto familiare.
Vi prego infine di considerare la differenza del nostro Stato sociale rispetto a quelli degli altri paesi europei. In paesi con un welfare più costruito sulle persone e sulla cittadinanza e meno sul lavoro, quindi meno economicista come il nostro, anche laddove il welfare sia stato picconato, quali l'Inghilterra, si rilevano infatti livelli che seguono i diritti di cittadinanza per noi inimmaginabili. Da noi un disoccupato è abbandonato e, senza la famiglia, non ha niente. Poiché l'indennità di disoccupazione in Inghilterra si avvicina allo stipendio minimo, Blair ha dovuto stabilire che, dopo due rifiuti di offerte di lavoro,


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alla terza l'indennità di disoccupazione decade, altrimenti la disoccupazione sostituisce la necessità del lavoro. E noi sappiamo che esistono giovani generazioni che non hanno il mito del lavoro come lo aveva la nostra!
Non voglio esprimere giudizi di valore, ma il nostro welfare è costruito in modo molto diverso rispetto a quello del nord Europa e delle socialdemocrazie.
Ho visto realizzare lo slogan «La formazione nell'arco di tutta la vita» solo in alcune esperienze in Finlandia, dove i sindacalisti mi hanno spiegato che vi sono dei contratti attraverso i quali è stata adottata questa pratica. Da noi se ne parla molto, ma ne ravviso meno la possibilità.
Per quanto riguarda il recupero, vi prego di prestare grandemente attenzione a questa politica della seconda chance molto sviluppata in Francia. Poiché ormai la vita delle persone è molto lunga e complessa, anche un ragazzo poco promettente dopo dieci anni potrebbe cambiare. Una volta pentito, però, da noi non trova più alcuna opportunità, mentre invece negli altri paesi la politica della seconda possibilità sta diventando molto importante.
Considero la società italiana più ferma, più rigida, con meno opportunità, soprattutto rispetto al merito, laddove, poiché il lavoro si trova nel 90 per cento dei casi grazie a conoscenze, non si viene valutati secondo il proprio merito. Lo sottolineo a malincuore perché ho una figlia di 36 anni che sta partendo per l'Inghilterra, in quanto è una fisica della meteorologia. Ho maturato con lei l'esperienza che anche negli alti livelli di ricerca la mentalità è quella del pubblico impiego, e forse dovremmo occuparci di questo. Ciò riguarda le imprese, la ricerca e anche il management, che riceve molti fondi, ma non so se sia qualificato a tal punto da rischiare.

PRESIDENTE. Sulla qualificazione del management, del resto, abbiamo avuto prove empiriche, che hanno dimostrato quanto sostenuto dall'europarlamentare Napoletano.
Ringrazio moltissimo i colleghi europarlamentari che hanno accettato il nostro invito e il viceministro. Abbiamo sperimentato un lavoro che potrebbe essere ordinato in modo sistematico, anche raccogliendo la proposta del collega Garagnani, ferme restando le nostre diversità culturali e politiche. Anche la sollecitazione dell'onorevole Mantovani è molto interessante, ma la Commissione è legata ad un vincolo di spesa (ad un anno dall'inizio della legislatura, non abbiamo ancora effettuato una missione). Ritengo tuttavia che sarebbe possibile svolgere tale lavoro, seppur non con cadenza mensile, ma periodicamente.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,25.