COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 13 giugno 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 14,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi, sulle iniziative del Governo a sostegno della ricerca e in particolare dei giovani ricercatori.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del Ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi, sulle iniziative del Governo a sostegno della ricerca e in particolare dei giovani ricercatori.
Ringrazio molto il Ministro Mussi per la disponibilità immediata che ha voluto offrire in risposta alla richiesta della Commissione. Con il Ministro vogliamo affrontare le questioni maggiormente all'ordine del giorno nel settore dell'università in queste settimane, in modo particolare i due temi del reclutamento dei ricercatori e dei finanziamenti alle università.
Do la parola al Ministro Mussi per la relazione introduttiva.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Ringrazio il presidente della Commissione e tutti i colleghi. Vorrei approfittare di questa occasione, oltre che per parlare della questione più specifica del bando per il piano straordinario di assunzione dei ricercatori, anche per fornire ragguagli e, tramite il Parlamento, informare l'opinione pubblica sui punti di difficoltà che ci troviamo ad affrontare.
Mi è d'obbligo riferirmi alle dichiarazioni programmatiche di inizio legislatura, che vennero fornite in questa sede, per quanto riguarda il mio Ministero, circa un anno fa. Ricordo che allora si svolse un'ampia discussione. Gradirei, da parte dei colleghi, una valutazione sulla congruità delle azioni compiute rispetto a quelle dichiarazioni programmatiche, perché ritengo che il primo punto di serietà sia il legame tra quello che si dice e si annuncia e quello che, magari parzialmente, si riesce a realizzare.
In sintesi, vorrei ricordare i passi essenziali fatti in questi mesi, in questo anno di governo. Il primo passo è stato compiuto già nella stesura della legge finanziaria, nella quale è stata affrontata una questione molto spinosa ed urgente, anzi, una vera e propria emergenza: la proliferazione incontrollata del sistema e la presenza di certi elementi degenerativi che richiedevano un'immediata correzione.
Nella legge finanziaria - come i colleghi ricorderanno - venne bloccata l'istituzione, ormai prossima, di improbabili atenei e venne sostanzialmente fermata la proliferazione di sedi e facoltà, anche attraverso il metodo della delocalizzazione. Ho riscontrato una tumultuosa tendenza alla crescita di atenei in città già sedi di altri atenei, con una chiara distorsione del principio di competitività e di concorrenza che, se mantenuto entro livelli qualitativi, può essere anche benefico.


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Noi siamo già un Paese nel quale esistono più di 350 sedi universitarie su 103 province. In genere, ad una certa età, per frequentare l'università si lascia la propria casa e, naturalmente, lo Stato deve fornire i mezzi affinché i giovani possano spostarsi liberamente. Negli anni, invece, è avvenuto un processo inverso: sono state spostate le università, portandole sotto casa, ingenerando una confusione del sistema e uno scadimento della qualità.
Questo processo è stato fermato per un triennio e sono stati adottati provvedimenti correttivi anche in merito ad altri fenomeni che erano sfuggiti al controllo; ad esempio, il fenomeno delle «lauree in convenzioni», che era partito dal giusto principio, riconosciuto in tutta Europa, di laureare l'esperienza, ma che aveva tuttavia finito per deragliare dai suoi binari. Quando sono diventato Ministro ho constatato la moltiplicazione di queste convenzioni con alcune particolari categorie, come i dipendenti dei Ministeri e delle regioni e i membri di organizzazioni professionali; erano convenzioni in massa, che riconoscevano un altissimo numero di crediti - anche fino a 130 - consentendo, con solo due o tre esami, di conseguire la laurea.
L'effetto collaterale di questa procedura è stato che migliaia e migliaia di persone, che potevano contare su una laurea così facilmente ottenuta, tornavano ai loro posti di lavoro e chiedevano, sulla base del nuovo titolo, una crescita di qualifica, trovandosi così a lavorare fianco a fianco con persone di pari livello alle quali, invece, la laurea era costata fatica e sudore: una vera e propria situazione di dequalificazione e ingiustizia.
Anche questa distorsione è stata corretta stabilendo un tetto massimo di sessanta crediti riconoscibili, riferiti non alle categorie in blocco ma alle singole persone, alle quali si riconosce di avere, nel corso della loro carriera, scritto un libro, fatto uno stage, imparato una lingua; si riconosce, cioè, di aver maturato un'esperienza che vale crediti in una certa misura, ovviamente ragionevole ed accettabile.
Si è trattato di un complesso di provvedimenti che, per ragioni comunicative, abbiamo voluto chiamare «pacchetto serietà». Questo fa parte della legge finanziaria in vigore, e credo che si cominci già ad avvertire, nel sistema, qualche effetto positivo dei provvedimenti presi.
Il secondo passo riguarda il decreto sulle classi di laurea, che orienterà la riorganizzazione dell'offerta formativa attraverso una sperimentazione che durerà per i prossimi tre anni. Il decreto ha superato il suo ultimo ostacolo, ovvero la registrazione della Corte dei conti, dopo averne superati parecchi, considerati gli elementi di innovazione che abbiamo voluto, anche in questo caso, introdurre nel provvedimento in questione.
Ne ricordo tre. Il primo è la limitazione del numero degli esami, venti al massimo nel triennio e dodici nella specialistica, per un massimo complessivo di trentadue esami, mentre oramai erano stati creati percorsi di studio nei quali, in cinque anni, bisognava sostenere fino a cinquanta o sessanta esami. È evidente che se si fanno cinquanta o sessanta esami in cinque anni, non c'è più tempo per studiare seriamente; il percorso universitario diventa una catena, con esami, validi anche tre o quattro crediti, basati su poche pagine del capitolo di un libro; la situazione era arrivata a questo punto.
Nel decreto è stata quindi prevista una limitazione degli esami ed è stata individuata una soluzione di compromesso su una questione che non aveva mai trovato soluzione, ovvero il riconoscimento dei crediti per gli studenti che si spostano da un ateneo all'altro, da una facoltà all'altra; gli studenti hanno sempre richiesto il riconoscimento del cento per cento dei crediti, mentre gli atenei hanno sempre chiesto di partire da zero, dal punto di vista del loro dovere nei confronti degli studenti. Naturalmente non tutti gli atenei non davano riconoscimento alcuno ai crediti già maturati, tuttavia questo accadeva con frequenza.
Ovviamente, se un certo numero di atenei ritiene che i crediti maturati in una certa facoltà, in un certo ateneo non


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abbiano valore, allora, se si vuole essere seri, la Conferenza dei rettori dovrebbe chiedere la chiusura di quell'ateneo o quella facoltà e non rifiutare il riconoscimento dei crediti. Abbiamo stabilito, nel decreto sulle classi di laurea, che in caso di trasferimento si debba riconoscere almeno il cinquanta per cento dei crediti maturati.
Infine, abbiamo dovuto attenuare la norma - perché altrimenti questa asticella non la saltavamo - nella quale si stabilisce che, per aprire un nuovo corso di laurea, è necessario che almeno la metà degli insegnanti siano strutturati; anche in questo caso, abbiamo dovuto intervenire per correggere la pratica, diventata abituale, di creare nuovi corsi di laurea solo con insegnanti a contratto. Gli insegnanti a contratto sono 38 mila, e il numero eccessivo ne dimostra l'abuso: si accontentano di una retribuzione pressoché simbolica di mille o duemila euro l'anno in cambio, sostanzialmente, del riconoscimento del titolo di professore.
Una delle ragioni della esagerata moltiplicazione dei corsi - arrivati a 5.400 - è stata, infatti, la facilità delle procedure per la loro apertura. Noi abbiamo alzato l'asticella: si può aprire un corso anche con insegnanti a contratto, ma solo se almeno la metà dei docenti disponibili sono strutturati. In questo caso abbiamo dovuto attenuare la direttiva inserendo le parole «di norma», perché c'erano obiezioni insormontabili, in particolare da parte della Corte dei conti; ovviamente, l'espressione «di norma» consente le eccezioni, ma tenteremo di vigilare in modo tale che siano il più possibile rare.
È in dirittura di arrivo, inoltre - ci sarà un passaggio parlamentare -, il decreto istitutivo dell'Agenzia nazionale della valutazione dell'università e della ricerca, questione di cui si parla da tempo immemorabile e sulla quale, ogni volta che si è tentato di realizzarla, qualcosa in extremis ha impedito di procedere; nonostante i convegni «della domenica» che da vent'anni auspicano la nascita di questa Agenzia, la resistenza incontrata alla sua realizzazione è sempre stata molto forte. A questo punto, l'Agenzia di valutazione può effettivamente entrare in funzione, almeno entro il 2007.
Recentemente si è tenuta a Londra la conferenza di verifica dello stato di avanzamento del progetto di armonizzazione del sistema universitario, sul quale si sta lavorando a Bologna e al quale aderiscono 49 paesi, molti dei quali extraeuropei. Uno degli argomenti sottolineati dai relatori è stata l'istituzione dell'Agenzia di valutazione in Italia. Il gruppo di Bologna ogni anno attribuisce un voto ai sistemi nazionali, in una scala da 0 a 5: il nostro voto nel 2005 è stato 3. C'è stata poi una nuova valutazione del sistema universitario italiano agli inizi del 2007, e la semplice introduzione nella legge finanziaria del progetto dell'Agenzia è valsa un miglioramento della valutazione del sistema universitario italiano: il voto è passato da 3 a 4.
Abbiamo presentato ieri la bozza, che sarà posta in discussione tra studenti, docenti e tutti gli atenei in modo che possa diventare legge e regolamento per l'anno accademico 2008-2009, dello statuto dei diritti e dei doveri degli studenti. Anche questa è un'ipotesi che circola da tempo immemorabile: ricordo che se ne discuteva quando ero studente io, negli anni 1968-1972, e sono passati quasi quarant'anni; ieri abbiamo presentato alla stampa la bozza elaborata dal Ministero, in collaborazione con il Consiglio nazionale degli studenti universitari uscenti; ora sta per insediarsi il Consiglio nuovo, con il quale si dibatterà affinché la bozza sia portata in discussione.
Prima di parlare del regolamento per il piano straordinario di assunzione di ricercatori, vorrei spendere una parola sul tema delle risorse, al quale avevo dedicato un'ampia parte - come forse i colleghi ricorderanno - delle dichiarazioni programmatiche all'inizio della legislatura.
Il Governo di cui mi onoro di far parte ha affrontato di petto una questione piuttosto spinosa che riguardava i conti pubblici. Naturalmente, intendo qui assumermi la corresponsabilità delle scelte di politica economica e finanziaria che sono


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state compiute con la prima legge finanziaria della legislatura, in questo primo anno di vita del Governo. Come ricorderete, i dati macroeconomici all'inizio della legislatura parlavano di un deficit del 4,4 per cento, quindi ben oltre il limite del 3 per cento che l'Italia si era impegnata a non oltrepassare (non solo aderendo al Trattato di Maastricht, ma anche sottoscrivendo il Patto di stabilità).
Dopo un quindicennio di discesa, il debito pubblico è di nuovo in risalita, da 105 a quasi 107 per cento; sono abbastanza partigiano, ma non sono fazioso, e non addebiterei questa situazione economica semplicemente alle responsabilità del Governo precedente, bensì anche ad un periodo di relativa stagnazione dell'economia mondiale ed europea fra il 2003 e il 2005; c'è stata, quindi, anche la ricaduta a livello nazionale di un effetto economico di più larga portata, che ha determinato una situazione di sostanziale stagnazione economica con crescita zero.
Il Governo ha preso di petto questa situazione, ponendosi come obiettivo quello di riportare in ordine i conti e di uscire dall'emergenza nel primo anno di legislatura. Credo che questa operazione sia stata compiuta con qualche successo: il deficit è sotto il 3 per cento, il debito ha ripreso, sia pure leggermente, a scendere e la crescita è vicina al 2 per cento; è un pochino più bassa della crescita media europea, ma non è certo insignificante.
Naturalmente, per ottenere questo risultato da qualche parte si è dovuto tagliare, risparmiare e lesinare le risorse, a scapito di molti settori. Ne ha sofferto anche il settore universitario della ricerca, il quale per la verità, se si guarda agli interessi strategici del Paese, al futuro dell'Italia e alle prospettive di una crescita e di uno sviluppo solido e qualitativo, diventa di importanza primaria nell'agenda di questo o di qualunque Governo futuro.
I dati macroeconomici sono noti ai colleghi: noi investiamo nell'università lo 0,88 per cento del PIL. Questo 0,88 è composto di uno 0,5 per cento di trasferimento diretto e uno 0,38 per cento di tasse e risorse proprie a cui attingono gli atenei. Uno dei dati interessanti è che, soprattutto negli atenei del nord Italia, la parte di autofinanziamento ha sovente superato la parte di trasferimento dei fondi pubblici.
Tuttavia, il rapporto fra trasferimenti pubblici e risorse proprie in Italia è di 78 a 22; la media europea è di 80 a 20, quindi siamo un po' sotto; è vero che in Gran Bretagna il rapporto è di 72 a 28, ma ci sono Paesi del centro e del nord Europa in cui il trasferimento secco da parte del bilancio pubblico è quasi esclusivo, superando il 90 per cento. L'Italia si colloca a metà strada, un po' sotto la media europea dal punto di vista dei trasferimenti pubblici.
In cifra assoluta, Francia e Germania investono nelle università l'1,1 per cento; la media OCSE è 1,2. Negli Stati Uniti è addirittura il 2,5 per cento, composto dall'1,3 per cento derivato da fondi privati e tasse e dall'1,2 per cento che proviene da investimento pubblico; questo significa che negli Stati Uniti lo Stato investe nelle università più del doppio, in rapporto al PIL, rispetto all'Italia.
Alle volte, di certi luoghi comuni si parla senza conoscere bene i dati. La differenza tra 0,88 per cento e 1,1 o 1,2 per cento può non sembrare così drammatica: è lo 0,32 per cento di PIL, ma in termini assoluti, se la misuriamo sul PIL italiano, si tratta di 4 miliardi di euro, che poco non sono.
Per la ricerca, le voci che si chiamano R&D, Research and Development, sono l'1,1 per cento, e qui i guai aumentano. Penso che sia un dato abbastanza sottostimato, perché mentre è chiaro quanto spendano in ricerca e innovazione la FIAT, la General Motors, la Nokia o la BMW, essendo voci chiaramente rilevabili dal bilancio, è molto più difficile rilevare quanto esattamente investano in innovazione di prodotto e di processo le centinaia di migliaia di piccole, micro, nano aziende, delle quali non è vero quel che si dice, ovvero che non fanno investimenti.
Sono dati che spesso non compaiono nelle statistiche, per cui è probabile che


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questo 1,1 per cento sia un po' sottostimato. Tuttavia, è un dato che si colloca decisamente al di sotto della media OCSE e delle singole medie europee, e che ha una composizione interna abbastanza allarmante: mentre nel resto del mondo occidentalizzato per ogni euro o dollaro messo dallo Stato le imprese ne mettono mediamente il doppio, In Italia per ogni euro messo dallo Stato le imprese ne mettono la metà. C'è, dunque, un sottoinvestimento della mano pubblica, rispetto alle medie europee, che è di circa il 20-30 per cento, e un sottoinvestimento da parte delle imprese, rispetto alle medie europee, dell'80 per cento.
In generale, università e ricerca sono sottofinanziate, ma questo non vuol dire che non ci siano dei risultati. Il paradosso - e, se volete, anche la bellezza di questo nostro Paese - è che spesso riesce ad estrarre sangue anche dalle rape. Ogni anno vengono reclutati dalle migliori università e centri di ricerca internazionali cinquemila o seimila dei nostri giovani laureati, che escono a livelli di eccellenza dai corsi di studio universitari italiani.
Di questo non parla solo il rapporto di David King diventato famoso e pubblicato da Nature: ci sono anche dati più recenti, che ho avuto occasione di vedere, che confermano che la produttività pro capite dei ricercatori italiani è altissima, tanto che ci collochiamo ai primi posti al mondo.
La prossima settimana sarò in grado di fornire i primi dati - per qualche verso sbalorditivi - dei progetti presentati per accedere ai finanziamenti del programma Ideas e del VII Programma quadro europeo gestito dall'European Research Council, ovvero le ricerche di base Curiosity-Driven. Si tratta di un finanziamento di 7 miliardi e 500 milioni in sette anni e i ricercatori italiani sono a buon punto: il numero di domande presentate supera addirittura quello dei loro colleghi francesi, tedeschi e inglesi.
Ciò significa che non solo si vanno a cercare soldi dove si spera che ci possano essere - considerata la penuria nazionale - ma esiste anche la capacità di avanzare proposte. I nostri colleghi che, anche in sede europea, hanno preso visione di queste carte, dicono che ci sono le condizioni per cambiare i numeri relativi rispetto al VI programma quadro, laddove l'Italia, che contribuisce per il 14 per cento al budget comunitario, raccolse, sul VII programma quadro per la ricerca, il 9,6 per cento. In altre parole, esistono le condizioni per realizzare l'obiettivo che ci siamo dati, che è di arrivare almeno alla parità (14 e 14), cosa che rappresenterebbe un incremento molto significativo di risorse disponibili per i ricercatori italiani.
Questi sono i macronumeri. Naturalmente siamo molto, molto lontani dagli obiettivi di Lisbona, che pure sono stati sottoscritti dal nostro Paese. Spesso la politica italiana dimentica di aver apposto non una, ma due firme: una a Maastricht, l'altra a Lisbona. Secondo la strategia di Lisbona, entro il 2010 bisogna raggiungere l'obiettivo del 2 per cento per l'università e del 3 per cento per la ricerca, cioè il 5 per cento del PIL per il settore della formazione superiore, della ricerca e dell'innovazione.
Molti nostri partner europei stanno correndo a rotta di collo verso il raggiungimento dell'obiettivo. C'è addirittura chi è oltre: i Paesi scandinavi, ad esempio, l'hanno già superato. Nell'ultimo Consiglio competitività, con una qualche invidia ho sentito i miei colleghi finlandesi, svedesi e danesi parlare ormai di un obiettivo a portata di mano del 4-4,5 per cento sul PIL solo per la ricerca. Il Ministro finlandese ha parlato addirittura di 4,5 per cento! Per quanto il Paese sia più piccolo e in massa assoluta non paragonabile a Paesi con un PIL come quello italiano, in valori relativi sono cifre veramente sbalorditive.
Non essendo un estremista, so che l'obiettivo di Lisbona è per noi molto distante: vorrebbe dire, nelle prossime quattro leggi finanziarie, incrementare il trasferimento a università e ricerca di circa 40 miliardi di euro, cosa che reputo di non facile attuazione; tuttavia è necessario rimettersi velocemente su una rotta di avvicinamento.


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Con la legge finanziaria in vigore sono stati introdotti i seguenti cambiamenti: un incremento, in valore assoluto, di 136 milioni di euro sul fondo di finanziamento degli enti di ricerca, e di 170 milioni sul fondo di finanziamento delle università; al tempo stesso, le università hanno messo in atto il taglio dei consumi intermedi del 20 per cento, come stabilito dal decreto Bersani. Quando ne parlo, il mio amico Bersani protesta per il fatto che quel decreto porti il suo nome: vorrei ricordare che si trattava di un decreto del Consiglio dei ministri.

VALENTINA APREA. Vuole soltanto i meriti!

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. No, non vuole soltanto i meriti. Non è stata un'iniziativa unilaterale di Bersani ma, comunque sia, è passato come il «decreto Bersani».
Tornando all'argomento del 20 per cento dei tagli dei consumi intermedi, a mio avviso è un provvedimento che, se non verrà corretto, porterà ad una cifra finale che oscillerà tra 100 e 150 milioni di euro.
Gli enti pubblici di ricerca, inoltre, sono stati sottoposti all'accantonamento - che non è un taglio - stabilito dall'articolo 507 della finanziaria: un 9 per cento trasversale che, per questi enti, vale 208 milioni di euro. Insomma: 208 milioni in più e 136 milioni in meno rappresentano, per gli enti pubblici di ricerca, una riduzione del 5 per cento - per ora - del trasferimento. Questo ha prodotto un effetto che mi ero permesso di prevedere anche senza aver studiato economia alla Bocconi: essendo fissi le spese per il personale e gli affitti degli immobili, una riduzione secca nel trasferimento sul bilancio è un taglio che si ingrossa man mano che scende lungo i rami, e diventa una valanga; quando arriva al finanziamento delle attività di ricerca - ad esempio, agli istituti del CNR - quel 5 per cento è diventato 20, 30, 40, 50 per cento.
All'interno del Governo, quindi, continuo a chiedere, anche in rapporto alla destinazione dell'extragettito e alla possibile manovra di giugno-luglio, che alcune di queste poste vengano rese di nuovo disponibili: per le università, sui consumi intermedi; per gli enti di ricerca, relativamente all'accantonamento dell'articolo 507 della legge finanziaria.
Vorrei però qui informare il Parlamento di un'urgenza che riguarda i PRIN, ovvero i Programmi di ricerca di interesse nazionale, che sono una delle principali fonti di alimentazione della ricerca pubblica di base. Nella legge finanziaria che era in vigore quando sono diventato Ministro - prima di quella nuova - si prevedeva per il 2008, rispetto a tutto il finanziamento dei fondi FAR, FIRB e PRIN, la sopravvivenza di 100 milioni di euro solo per il FIRB, mentre per i PRIN niente era previsto.
L'attuale legge finanziaria, invece, è stata più generosa, nel senso che oltre al miliardo e 200 milioni in tre anni del fondo per l'innovazione «Industria 2015» - gestito in comune dai tre Ministeri, università e ricerca, riforme e innovazioni nella pubblica amministrazione e sviluppo economico - c'è stato un incremento sul fondo unico per la ricerca FIRST di 960 milioni in 3 anni, soltanto che questi fondi sono immobilizzati dall'articolo 738 della medesima legge finanziaria, che subordina il loro smobilizzo alla verifica degli effetti delle norme sul TFR.
Ho scritto, in aprile, al Ministro dell'economia e delle finanze; poi ho scritto, a maggio, sia nuovamente al Ministro dell'economia e delle finanze sia al Presidente del Consiglio. Siamo agli ultimi giorni utili: bisogna smobilizzare i fondi! Il bando per i PRIN è pronto - è stato anche verificato con la comunità scientifica e raccoglie un ampio consenso - ma non vi è ancora l'autorizzazione della ragioneria perché, per ora, lo smobilizzo di quei fondi è collegato ad atti amministrativi susseguenti alle norme dell'articolo 738 della legge finanziaria.
Mi preme informarne il Parlamento perché se questa smobilizzazione dei fondi non avviene subito, c'è il rischio che, tra l'emissione del bando, la raccolta delle domande e tutto il resto, salti il finanziamento


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per il 2007 per questa specifica voce, vitale per il sistema. Ciò provocherebbe un danno gravissimo. Dico questo non per sgravarmi la coscienza, ma perché credo che, in sede politica, sia importante e giusto che si conosca tale problema, che può essere rapidissimamente risolto con un atto specifico.
Vorrei infine intervenire sul regolamento per il piano di assunzione straordinario di ricercatori. Nella legge finanziaria, come sapete, abbiamo messo delle poste per il prossimo triennio - 20 milioni quest'anno, 40 milioni il prossimo, 80 milioni il terzo anno - per un cofinanziamento, per un piano straordinario di assunzione dei ricercatori. A questo, su fondi propri del Ministero ho aggiunto, per il prossimo biennio, 37,5 milioni di euro, per un piano straordinario di assunzione di ricercatori negli enti pubblici di ricerca, che si aggiunge alle norme che hanno sbloccato il turn over e che consentono un certo numero di stabilizzazioni e di assunzioni.
Ovviamente, non c'è la minima traccia di ope legis: parlo di assunzioni tramite concorsi o, meglio, valutazioni comparative, come previsto dalla nostra Costituzione. Per impostare i nostri provvedimenti siamo partiti dall'analisi dei problemi che devono essere risolti e che, in estrema sintesi, si chiamano: età, mobilità e merito.
Il primo è rappresentato dall'età. L'età media del nostro corpo docente e di ricerca è la più alta del mondo (se ci si limita agli ordinari è 59,6 anni). Ormai è diventato un luogo comune, perché la stampa ci ha ricamato sopra, ma sono nove gli ordinari sotto i 35 anni, e questa è una sfida alle neuroscienze, prima ancora che al buon senso. L'età media dell'intero corpo docente - degli ordinari, degli associati, dei ricercatori - tende ad alzarsi e tutto sale verso l'alto; è come un'onda che si sposta verso età molto «adulte». Le responsabilità di questa situazione sono molteplici: il potere politico non ha messo argini, non è intervenuto; il potere accademico ha curato più le promozioni degli anziani che non il premio dei giovani meritevoli e di talento. I giovani hanno trovato le strade sbarrate, e il risultato è questa struttura surreale del corpo docente: 20 mila ordinari, 19 mila associati e 22 mila ricercatori. In tutto il mondo le strutture universitarie sono piramidali, mentre a noi piacciono le figure geometriche più complesse.
Secondo punto: la mobilità. La mobilità di studenti e docenti nell'università e nella ricerca italiana è scarsissima, quando ormai è chiaro a tutto il mondo che la mobilità - gente che si muove, che si sposta, che cerca, che va all'estero, che viene dall'estero, che passa da un'università all'altra, che va alla ricerca delle migliori opportunità per il suo lavoro - è uno dei fondamentali fattori di qualità del sistema. Abbiamo una serie interminabile di esempi di stabilità «egizia»: ci si laurea, si fa il dottorato, si percepisce un assegno di ricerca, si diventa ricercatori, associati, ordinari, si va in pensione senza spostarsi dalla stessa sedia.
Terza questione: il merito. Non è vero - ed io mi ribello a certe rappresentazioni da bar che si danno dell'università italiana - che sia tutto un trucco, una trappola, una contraffazione perché, altrimenti, certi livelli di qualità sarebbero incomprensibili, tuttavia è vero che nel sistema dei concorsi non siamo mai riusciti ad evitare una discreta quantità di effetti collaterali indesiderati: la promozione per cordate amicali e clientelari, un certo familismo o un certo spirito parentale. Ovviamente, questo non accade dappertutto, ma ci sono dei luoghi nell'università italiana dove sembra che la genetica abbia fatto dei brutti scherzi, e con il nome di una decina di famiglie si completa l'anagrafe del corpo docenti.
Inoltre, in genere, una certa tendenza agli accordi accademici quando si fanno i concorsi non è stata ridotta a limiti fisiologici e una certa forma di patologia è rimasta. Sono state inventate mille forme di concorsi, una specie di kamasutra in tutte le combinazioni possibili (locali, estrazioni a sorte, tre commissari esterni, interni, nazionali) che ha prodotto all'incirca lo stesso effetto.


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Ora mi chiederete se sono intenzionato a provare l'ennesima combinazione. Ebbene: provo l'ennesima combinazione! Può darsi che alla fine l'idea buona emerga. Ho la presunzione di pensare che quella che vi sottopongo sia un'idea abbastanza buona. Naturalmente, tutte le idee devono essere sperimentate.
Innanzitutto, vi dico che il testo della mia proposta - che molti di voi, probabilmente, già conoscono - ha subìto diverse modifiche. Per altro, siamo qui per ascoltare le vostre obiezioni e per apportare ulteriori miglioramenti prima di licenziarlo in via definitiva.
Qualche giorno fa ho partecipato alla riunione del CUN (il Consiglio nazionale universitario), il quale ha proposto una certa quantità di emendamenti. Li abbiamo esaminati uno per uno e ne abbiamo accolti più della metà, perché c'erano molti suggerimenti assolutamente sensati. Allo stesso modo, svariati suggerimenti sono stati raccolti dal documento di osservazioni redatto dalla Conferenza dei rettori.
Il meccanismo prodotto è semplice: si fanno due concorsi l'anno, con una procedura che dura 120 giorni; se il concorso è per un posto, ci sarà un vincitore; se è per due posti, due vincitori: niente eserciti di idonei a rimorchio. Il sistema degli idonei è stato catastrofico: ci sono atenei che hanno chiamato i vincitori dei concorsi - ora stiamo parlando anche delle altre fasce - e poi si sono sentiti in dovere, con il passare degli anni, di chiamare anche tutti gli idonei. In questo modo, guadagnare l'idoneità pur senza aver vinto il concorso è diventato un credito esigibile. Il numero di vincitori deve essere secco rispetto ai posti disponibili.
Se ci sarà il cofinanziamento previsto dalla legge, e se il meccanismo funzionerà, con questi finanziamenti dovremo avere a regime, entro il terzo anno, un incremento di 3.500 nuovi ricercatori (se, come io proporrò queste somme non verranno aumentate nelle leggi finanziarie successive). Ritengo che dovremmo lavorare su un piano decennale per aprire le porte ai giovani. La selezione avviene in due fasi: non sono più previsti esami scritti e orali e tutta la procedura che durava tempi interminabili, per la quale ci voleva almeno un anno per espletare un concorso. Con questa procedura pensiamo che possano esserci due bandi l'anno; nella prima fase sono previsti sei, e non sette - suggerimento CUN - referee nazionali e internazionali, scelti da liste «a domanda» (nella lista del CIVR i referee sono circa seimila), ovvero liste per far parte delle quali è necessario fare domanda di ingresso e si viene accolti sulla base della valutazione dei lavori svolti, ossia del proprio livello scientifico. L'estrazione dei sei referee è a sorte, naturalmente sulla base dei settori disciplinari e delle parole chiave per l'individuazione degli esperti.
Il primo giudizio durante lo svolgimento della procedura è anonimo, poi diventano pubblici. I referee sono utilizzati, in valutazioni comparative per l'assunzione di docenti e ricercatori, in tutta Europa e in tutto il mondo, e sono centinaia i nostri docenti che sono referee in liste inglesi, francesi, tedesche, americane e via dicendo. I nostri scienziati e docenti fanno già questo lavoro per i sistemi altrui. Si tratta semplicemente di importare un modello che altrove funziona.
Si costituisce una commissione di ateneo, anch'essa di sei membri: per metà sono membri istituzionali dell'ateneo e i restanti sono membri afferenti alle discipline. Questa commissione valuta il quarto superiore, poiché i referee danno dei voti da 0 a 4 e passa alla valutazione della commissione dell'ateneo il quarto superiore. Nel caso in cui il quarto coincida con il numero dei posti, si raddoppia con l'aggiunta di uno: se il posto è uno e i concorrenti sono quattro, il quarto superiore a uno è uno più uno più uno. Vanno, dunque, al concorso di ateneo tre persone.
La commissione valuta liberamente. Il voto dei referee internazionali non viene trasportato nel voto dei membri della commissione - altrimenti la commissione dovrebbe essere integrata ai referee internazionali - ma costituisce un elemento libero di valutazione, così come elementi liberi di valutazione sono costituiti


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dal curriculum, dal seminario frequentato, come avviene in tutto il mondo, dal candidato, dalle lettere di presentazione. Anche questi sono standard internazionali.
I concorsi si indicono su un numero di macrosettori decisamente ridotto. Ho fatto una richiesta al Consiglio nazionale in via sperimentale per questo concorso, tuttavia ritengo che poi, a regime, dovremmo riorganizzare in generale il sistema dei macrosettori. Io ne avevo chiesti ottanta; il CUN ha fatto una proposta di settantanove macrosettori.
Anche su questo aspetto, spicca l'originalità italiana. In tutta Europa, infatti, il numero dei macrosettori varia tra i sessantasette (della Francia) e i novanta; in Italia sono trecentosettanta. Tale sproporzione è forse motivata dal fatto che il sapere in Italia è più complesso che in Francia o in Germania, in Gran Bretagna, negli Stati Uniti? Negli Stati Uniti la statistica è una ed è una scienza che si applica a vari campi. In Italia le statistiche sono sei!

VALENTINA APREA. Scandalizziamoci tutti!

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. In Italia sono sei le statistiche!
Perché in Francia vi sono sessantasette macrosettori, in Germania ottanta e in Italia trecentosettanta? Ritengo che tale suddivisione, in Italia, sia stata funzionale all'organizzazione corporativa del sistema. Aggiungo - per parlarci fuori dai denti - che se i macrosettori sono trecentosettanta, ci vuole poco a fare un bando di concorso in cui il nome del vincitore sia già incorporato nel bando.
Pensiamo, invece, che fare concorsi sui settantanove macrosettori proposti dal CUN sia un modo per rendere più trasparente la situazione. Naturalmente, a questo concorso possono partecipare tutti: italiani e stranieri.
Inoltre, riteniamo che passare al vaglio di una valutazione come quella dei referee possa aiutare molto la mobilità. Infatti, uno dei fenomeni che si manifestano nei concorsi è il fatto che vi partecipa un certo numero di persone che, dopo aver presentato domanda, ad un certo punto della procedura si ritira.
È un classico fenomeno che si verifica perché, più o meno, il nome del vincitore si conosce prima che la procedura sia completata. Ciò diminuisce la mobilità, poiché in genere è più facile che vi sia, anche per ragioni naturali, un rapporto diretto tra docente e allievo, che tende a creare delle catene più stabili, quando invece muoversi sarebbe un fattore di qualità. Questi sono gli elementi fondamentali del regolamento che viene proposto.
Aggiungo un'ultimissima informazione: stiamo lavorando al disegno di legge, da portare in Consiglio dei ministri prima e successivamente in Parlamento, istitutivo della terza fascia docente, che contenga anche la previsione di una tenure track per realizzare l'obiettivo - che avevamo inserito nel programma dell'Unione - di separare il reclutamento dall'avanzamento di carriera, principio che dovrà essere poi applicato con un progetto più generale di riforma a tutte le figure docenti dell'università.

PRESIDENTE. Ringrazio molto il Ministro, che ci ha reso delle ampie e stimolanti comunicazioni. Una parte di queste comunicazioni potrebbe indurre la Commissione - ne discuteremo successivamente in sede di ufficio di presidenza - ad avviare un lavoro che può intrecciare diverse questioni che stiamo affrontando sul tema degli obiettivi di Lisbona.
Sono tornato da poco dalla Conferenza dei presidenti delle Commissioni cultura dei Parlamenti nazionali, che si è tenuta a Berlino. Nei prossimi giorni saremo ad Helsinki ad incontrare il Ministro per studiare il modello finlandese, con particolare riguardo alla formazione professionale, considerato che la Finlandia è un Paese che crede moltissimo a questo settore. Ebbene, mi piacerebbe molto che la Commissione si impegnasse ad elaborare un rapporto sui ritardi e su come superarli,


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in riferimento alla strategia di Lisbona.
Altri temi della comunicazione del Ministro concernono più direttamente l'attualità; immagino che siano quelli che stimolano maggiormente nell'immediato i colleghi, in particolare le ultime osservazioni espresse, così come le precedenti a proposito dei finanziamenti e dei rischi che corrono i PRIN se non saranno presi provvedimenti nelle prossime ore.
Inviterei ad usare il tempo residuo che abbiamo a disposizione prima delle votazioni in Assemblea, previste per le ore 16 circa - dovremo anche brevemente esaminare in sede referente, nell'ambito del Comitato ristretto, un provvedimento concernente la SIAE - per svolgere degli interventi il più possibile concentrati. È chiaro che se non esauriremo il dibattito, chiederemo la disponibilità al Ministro a concludere l'audizione in una fase successiva.
Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

FULVIO TESSITORE. Ringrazio il presidente e il Ministro. Sono lieto della sua presenza in Commissione quest'oggi e dell'ampia relazione, con la quale per una parte ci ha ricordato dati e impegni che ci erano noti - almeno a me - e per un'altra ha aggiunto nuovi importanti elementi.
Non mi soffermo sulla prima parte dell'intervento del Ministro, anche per una questione di stile. Come forse il Ministro ricorderà, sul diploma delle classi di laurea sono stato relatore e, in qualche misura, ho sottolineato ulteriormente gli elementi di novità. Pur sapendo che non sarebbe stato possibile, avevo invitato ad alzare l'asticella al di là di quanto non fosse già stata alzata.
Qualche collega forse ricorderà che di uno statuto degli studenti si era parlato in un documento del Senato che venne approvato all'unanimità dall'allora maggioranza e dall'allora minoranza, provvedimento del quale ero relatore. Per ovvie ragioni, anche nell'interesse del lavoro che il Ministro sta svolgendo e deve continuare a svolgere, vengo ai punti di criticità.
In primo luogo, mi soffermo sul problema dei fondi. Il Ministro ha detto con molta chiarezza che i fondi per la ricerca sono diminuiti nel vario gioco tra accrediti su una voce e sottrazione, o accantonamenti, su altre; ha fornito un dato drammatico, quello della mancanza dei fondi per i PRIN.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Ci sono, ma non sono disponibili.

FULVIO TESSITORE. Ci sono, ma non sono disponibili. Gli effetti possono essere gli stessi.
Non credo di essere originale se dico che la ricerca è come lo sport: se si ferma non si riprende, o difficilmente lo si fa. Sono addirittura concorde con la tesi - perlomeno per quanto concerne i ricercatori - del nulla dies sine linea, per cui penso che sia un elemento, come d'altra parte è stato sottolineato, effettivamente drammatico, poiché ne può andare del sistema della ricerca degli enti e dell'università.
Per quanto mi concerne, per quel pochissimo che conto, sono pronto a fare la mia parte come parlamentare, se il Ministro riterrà che vi sia un elemento di utilità nell'intervento da parte nostra o da parte mia.
Sono lieto, dicevo all'inizio, per la presenza del Ministro in Commissione, poiché - mi riferisco all'ultima parte, parlando con quella estrema chiarezza, che so il Ministro apprezzerà, conoscendolo da tantissimi anni - con la sua informazione ha attenuato, ma non ha eliminato, una mia preoccupazione. Credo, cioè, che sia la prima volta che nel sistema universitario italiano un provvedimento relativo ad un settore così importante come l'accesso alla carriera universitaria avviene per regolamento, senza alcun passaggio nelle Aule. Non so se questo sia conforme ai criteri costituzionali e ai criteri dell'ordinamento giuridico, anche in considerazione del fatto - lo sappiamo tutti - che il Ministro ha agito giustamente e doverosamente


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sulla base della legge finanziaria. Una legge finanziaria, non lo dimentichiamo, approvata con voto di fiducia, senza possibilità di reale discussione e di presentazione di emendamenti.
Credo che questo sia un elemento che, al di là della situazione straordinaria, debba essere oggetto di attenzione da parte del Ministro, così come da parte della Commissione. Lo dico anche per un'altra ragione, che è ambigua, così come la enuncio. Sono convinto - emerge dalle affermazioni del Ministro - che purtroppo sono necessari altri interventi legislativi relativi al mondo universitario. Il Ministro Mussi ha annunciato quello della terza fascia, ma credo che prima o poi bisognerà provvedere al sistema complessivo degli accessi, per non parlare della governance, altro elemento determinante dal quale credo che dipenda gran parte della sistemazione degli aspetti a cui ha fatto riferimento il Ministro.
Penso che sia un elemento patologico il fatto che, nello spazio di pochi anni, siano necessari tanti interventi legislativi in un sistema, qualunque esso sia, tuttavia ne riconosco la necessità. In tale situazione di necessità e tra le macerie che ci circondano e che rischiano di circondarci, c'è anche la responsabilità di non aver voluto seguire il suggerimento di non adottare nuovi provvedimenti legislativi, ma di intervenire con correzioni e miglioramenti che erano possibili e determinanti.
Per essere breve, faccio soltanto due esempi. Prendiamo la riforma del «tre più due». Se si fossero costrette le università a non fermarsi al dato architettonico, ma ad intervenire sulle modalità e sui contenuti dalla didattica, se fosse stato istituzionalizzato il segmento della formazione post-laurea (rapporto con il mondo produttivo e rapporto con la ricerca) avremmo avuto delle ricadute interne che avrebbero evitato quella dequalificazione nella quale oggi ci troviamo.
Non si è voluto seguire questo esempio e oggi ci troviamo in questa situazione. A maggior ragione, penso che la preoccupazione di cui parlavo all'inizio del mio intervento dovrebbe essere presa in considerazione dal Ministro.
Vorrei richiamare il provvedimento - il Ministro l'ha, secondo me giustamente, enfatizzato - relativo alle classi di laurea e alla riduzione del numero degli esami, perché il Ministro non ha menzionato alcuni altri aspetti, che invece erano presenti in quel testo, come il coordinamento dei programmi e il superamento della parcellizzazione. È un esempio di come si può intervenire, nel rispetto delle regole e nell'ambito di un corretto rapporto col Parlamento, senza procedere a una necessaria legislazione.
Vengo al regolamento per gli studenti e per i ricercatori. In linea generale condivido tutte le dichiarazioni di principio e di merito fatte dal Ministro; tuttavia avanzo delle perplessità, poiché mi sembra che il sistema, così come è congegnato, potrebbe bloccarsi sulla base di ricorsi - questa è la patria del diritto - e se si bloccasse, noi bloccheremmo ancora per molto tempo un settore su cui, giustamente, è stata posta l'attenzione.
Ho l'impressione - ma mi posso sbagliare - che il concorso o le valutazioni comparative siano una fattispecie giuridica del nostro ordinamento e che, quindi, comportino delle regole. Ora, non v'è dubbio che, così come sono configurati, i requisiti di ammissione rappresentino un concorso riservato e il concorso riservato richiede una legge. E non mi dica il Ministro che il riferimento ai requisiti di ammissione è dovuto al numero! Il Ministro stesso ha parlato di 38 mila contratti, quindi ci saranno 38 mila persone che potenzialmente possono partecipare sulla base di uno dei requisiti. E lo stesso si potrà fare per i dottori di ricerca con riferimento all'attività di ricerca, che, giustamente, non è verificata da nessuno (in un primo momento si era pensato al CIVR; tuttavia tale proposito è giustamente caduto, poiché il CIVR non è un'autorità di valutazione, ma piuttosto di ricognizione).


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Credo, quindi, che gli stessi elementi di preoccupazione del Ministro, che io condivido - come ad esempio privilegiare il dottorato di ricerca - si potrebbero conseguire attraverso punteggio e valutazione di priorità all'interno delle graduatorie definite. Non so se è chiaro, non faccio obiezione al principio, avanzo una preoccupazione sulla forma.
Un'altra preoccupazione molto forte - e vado rapidamente alla conclusione - è quella relativa all'anonimato. Il Ministro ha menzionato l'anonimato, in conclusione, tuttavia il Ministro sa meglio di me che deve essere individuato chiaramente il soggetto a cui viene attribuita la responsabilità. Anche qui, se l'anonimato fosse il risultato di una valutazione dei componenti della Commissione, probabilmente questa obiezione verrebbe superata. Invito a fare attenzione su questo punto, poiché abbiamo dimenticato il principio della possibile ricusazione. Esiste persino nei tribunali, immaginiamoci se non viene richiamato qui.
Enuncio soltanto due punti, su cui non intendo soffermarmi, uno dei quali è relativo alla formazione delle Commissioni composte soltanto da professori ordinari. Sono professore ordinario da quarantatré anni - chiedo scusa dell'autocitazione - quindi credo di meritare il titolo di barone e forse qualche cosa di più (conte, marchese, principe...). Ciò nonostante, anche all'interno di questi titoli di altissima nobiltà, ritengo che non sia giusto, lo dico con molta chiarezza, anche per rapidità, escludere le altre categorie da tale possibilità. Il sistema prevede il sorteggio e noi l'abbiamo sperimentato - il Ministro lo ricorda - con Commissioni interamente sorteggiate o con sistemi complicati, che comprendevano prima l'elezione e poi il sorteggio, o viceversa, ma i risultati non sono stati sufficienti.
Credo che noi dobbiamo fare chiarezza (qui mi appello a quella valutazione complessiva a cui faceva riferimento il presidente). Il sorteggio non è compatibile con la ricerca scientifica, poiché è un elemento di casualità; in ogni modo, non è compatibile con il principio della cooptazione. Decidiamo, innanzitutto, che nell'università si entra senza il principio della cooptazione, dopodiché troveremo tutti quanti i sistemi più adeguati; tuttavia, fino a quando esisterà il principio della cooptazione, non sarà possibile utilizzare il sorteggio.
Su questo vorrei richiamare la vostra attenzione, non tanto quella del Ministro, poiché egli lo sa bene e soltanto perché è un uomo che ama molto la dialettica si è lasciato andare ad alcune conclusioni su questo punto. Vedo che per fortuna sorride e mi fa piacere, poiché glielo dico, se mi consente, da persona amica che lo stima da molto tempo.
Vorrei precisare, inoltre, una questione di cui prima o poi dovremmo avere il coraggio di parlare. Se nel mio gruppo di ricerca arriva un eccellente studioso che si occupa di filosofia analitica, il fatto che io non servo a lui e lui non serve a me non significa che egli non possa entrare, ma che bisogna trovare una giusta collocazione per questo genere di competenza.
D'altra parte oggi (il Ministro lo sa meglio di me) i nostri sono dipartimenti dei quali il più piccolo comprende novanta-cento persone. Questo significa che si tratta di raggruppamenti di ricerca ampi, che sarebbe opportuno ridurre. La loro dimensione rappresenta una vergogna! Lavoravo presso il CUN quando si decise di ridurre il numero degli insegnamenti, passando da 10 mila a 3.700, che era comunque un numero vergognoso (figuriamoci adesso!).
Tuttavia, non mi voglio soffermare su questo argomento. Vorrei pregare il Ministro, se lo ritiene, di fare un ulteriore sforzo di considerazione su alcuni di questi punti; avrei inoltre molto piacere, credo nell'interesse di tutti quanti noi, se egli si impegnasse - non voglio essere solenne - a sottoporre all'attenzione del Parlamento altri provvedimenti di questa rilevanza, sui quali possano pronunciarsi, attraverso l'espressione di un parere, quantomeno le Commissioni competenti di merito.

PRESIDENTE. Inviterei i colleghi a non prendere esempio dal collega Tessitore, a


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cui ho lasciato ampiamente facoltà di parola poiché egli è per noi un punto di riferimento importantissimo nel nostro lavoro, anche per la sua esperienza e competenza; tuttavia, chiedo una maggiore sintesi ai commissari che devono ancora intervenire.

ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Signor Ministro, anche io vorrei esprimere il mio apprezzamento per la sensibilità che ha dimostrato nell'accogliere il nostro invito. Purtroppo, non posso esprimere analogo apprezzamento, come diceva un momento fa il collega - siamo colleghi per due aspetti - professor Tessitore, per aver scelto questo mezzo legislativo per disciplinare una materia così delicata. È tanto delicata che - come lei sa - sono almeno sessant'anni che si discute di quale sia il sistema migliore per entrare nell'università.
Ora, nonostante se ne discuta da tanto e pare che non si sia trovata la soluzione più felice possibile, lei forse si ritiene particolarmente fortunato - mi auguro che lei lo sia, poiché tale fortuna poi ricadrebbe su di noi e su tutti - per aver trovato invece, da solo, questa soluzione, la migliore possibile, nel senso vero del termine.
Me lo auguro, ma francamente non ci credo. Credo molto nel fatto che lei cerchi di raggiungere, come unico titolo di ammissione, quello del merito; questa francamente mi sembra - come direbbe Kant - una proposizione analitica, quindi necessariamente vera. Infatti, che cosa deve fare il ricercatore, se non ricercare? Mi sembrerebbe assurdo, dunque, che vi fosse un altro motivo per cui si possa entrare nell'università.
Tuttavia, malgrado questa proposizione kantiana analiticamente vera, le do ragione sul fatto che ciò attualmente non accade.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Non è analitico a priori, questo è un sintetico a posteriori!

ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. No, infatti le sto dicendo che, mentre l'analitico a priori ci dovrebbe far stare tranquilli, l'a posteriori non ci fa stare tranquilli. Volevo dire esattamente quello che lei sta dicendo. Quindi concordo con lei nella preoccupazione di cercare di far coincidere l'a priori con l'a posteriori. Pertanto, le faccio presente che sono molto perplessa.
Sono sicurissima che lei voglia fare questo - sia ben chiaro, che non metto in dubbio assolutamente (non mi riferisco alle sue buone intenzioni, perché sarebbe banale) la ratio della sua legge, quindi la ratio legis - tuttavia mi preme in primo luogo sottoscrivere sinceramente le osservazioni del professor Tessitore. Gliele avrei fatte anche io, se avessi parlato per prima, ma è inutile che ne aggiunga altre, se non per dire che le sottoscrivo, francamente, dalla prima all'ultima, compreso il problema che mi sta più a cuore - proprio per ragioni filosofiche - della casualità del sorteggio. Infatti, lei non sa - o forse sicuramente sa - che cosa noi non riusciamo a fare se siamo sorteggiati! Proprio perché siamo consapevoli che ci capita solo una volta!
Se avessimo tempo, le racconterei un aneddoto di una persona notissima e stimabilissima, che però si è adeguata anch'essa a questo sistema; infatti, questo personaggio, poiché casualmente era stato sorteggiato e sapeva che probabilmente mai più lo sarebbe stato, ha approfittato dell'occasione che gli era capitata per collocare il suo allievo. Non c'è niente di male, signor Ministro, perché è naturale. Non solo è naturale, direi che è fisiologico e doveroso. Ha ragione il professore!
Lei sa che c'è una differenza tra i filosofi continentali e i filosofi analitici. Un filosofo continentale e un filosofo analitico sono i due nemici assoluti. Un filosofo continentale può anche scrivere le cose più belle del mondo, ma un analitico dirà sempre - come diceva Carnap di Heidegger - che aveva scritto soltanto proposizioni senza senso.
Piuttosto, bisognerebbe parlare di cooptazione ben fatta. Io capisco e le do ragione. La penso esattamente come lei sulla necessità di intervenire. Tuttavia, non


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pensiamo alla cooptazione come a una diavoleria; anche perché poi, come osservava lei stesso, i bravi emergono sempre, quindi esisterà pure una strada dalla quale possano passare.
Arrivo ora a quello che secondo me è il punto decisivo della sua proposta. Abbiamo visto che, secondo lei, l'unico criterio per entrare nell'università dovrebbe essere il merito, e su questo punto si è già detto. Per garantire ciò, lei prevede, nella sua proposta, che venga istituita una commissione di esperti revisori. Sto leggendo, non so se vi sia un documento più aggiornato di quello che ho io, al quale sto facendo riferimento. Lei, dunque, propone che, per la valutazione esterna dei concorrenti, l'Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca costituisca e aggiorni ogni anno due liste di esperti revisori, tenendo conto del loro curricolo e via dicendo.
Certamente - si converrà - chi può essere più competente e oggettivo se non l'Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca? Ebbene, mi sono presa la briga di andare a vedere come vengono nominati i componenti di questa Agenzia e leggo, all'articolo 9, commi 3 e 4, dello schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento concernente la struttura e il funzionamento dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, che «i componenti del consiglio direttivo sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro, sentite le Commissioni parlamentari competenti».
Innanzitutto, il parere delle Commissioni parlamentari competenti non è vincolante e non è indicata la necessità di una maggioranza qualificata, ma questo francamente mi interessa meno. Piuttosto, vorrei soffermarmi sul comma 4 del già citato articolo 9, lettera b) - non leggerò la parte relativa alla lettera a), per non perdere tempo, poiché lei conosce bene questo articolo - : «Ai fini della proposta il Ministro sceglie: [...] b) gli altri cinque componenti, in una rosa composta da non meno di 15 e non più di 20 persone indicate da un comitato di selezione nominato dal Ministro».
Signor Ministro, le dico quello che penso, senza riferirmi a lei personalmente, perché se lei rimanesse Ministro dell'università a vita - non sua, ma del mondo - io forse mi fiderei. Io le auguro di più! Il fatto è che lei, in questo modo, ha spostato il potere dall'università - che l'ha ricevuto con la riforma Berlinguer, poiché prima dell'introduzione dei concorsi locali la situazione non era questa (sappiamo che tutti gli abusi sono stati possibili soprattutto in presenza di tale organizzazione) - all'ambito ministeriale.
Ritengo che l'oggettività e il merito che lei cerca non si raggiungano spostando la competenza di un potere, ma soltanto quando si rimane al potere della ragione e non al potere del potere, in altre parole allo ius della ragione e non allo iussum del potere. Di questo sono profondamente convinta. Credo che lei stia perseguendo una giusta finalità con un mezzo non abbastanza adeguato, per i motivi che ha già esposto il professor Tessitore e per quanto io le sto dicendo adesso. Non mi pare, cioè, che vi sia oggi questa oggettività e - me lo faccia dire - questa spoliticizzazione assoluta dei concorsi.
Mi limito, per questioni di tempo, a segnalarle che la CRUI ha espresso, in maniera meno analitica di quanto abbia fatto io sul punto, esattamente le stesse perplessità, quando dice che «manifesta le proprie preoccupazioni per l'indeterminatezza in cui viene lasciata la questione della selezione di possibili esperti revisori, sia a regime, sia, e soprattutto, in prima applicazione, con riguardo alla composizione delle relative liste - esattamente quello che ho detto finora - e alle modalità di individuazione degli «studiosi stranieri».
Per quanto riguarda le risorse, signor Ministro, lei ha esposto un quadro che neanche l'opposizione avrebbe fatto meglio: mi complimento per il suo coraggio di dire le cose come stanno, ma la prego di porvi rimedio.


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALBA SASSO

VALENTINA APREA. Anch'io voglio riconoscere al Ministro Mussi onestà intellettuale: l'aver denunciato l'emergenza rispetto alle risorse è sicuramente un fatto importante; tuttavia, ciò non toglie nulla alla gravità del momento rispetto ai mancati investimenti nell'università. Essendo stata al Governo, seppure nella veste di sottosegretario, conosco bene questo disagio, con riferimento sia all'istruzione più in generale, sia all'università.
Questo, però, non può consolarmi né può consolare l'opposizione, anche se lei, proprio perché è Fabio Mussi, non sta ricevendo il trattamento che Letizia Moratti e i suoi collaboratori hanno avuto, anche se solo per certi versi. Infatti, la protesta nelle università è poi rientrata e si è fatto sconto al Ministro Mussi, a quello che rappresenta, alla sua coalizione, mentre gli amici dell'attuale maggioranza ricordano sicuramente, come e meglio di me, quanto avvenne con il Governo Berlusconi, che, nonostante avesse investito nei due campi, non aveva comunque soddisfatto le richieste avanzate dai due settori.
È anche vero che ci troviamo di fronte ad una scuola e ad un'università inevitabilmente condannate ad utilizzare tutte le risorse per il personale. È stato ricordato dal Ministro Mussi, infatti, che abbiamo la stessa situazione nella scuola, con corporativismi che dominano e che fanno perdere di vista le esigenze degli studenti e quelle, in alcuni casi, di snellimento, rendendo più faticosa la strada da percorrere. Anche ciò che ha detto oggi il Ministro andrebbe in una direzione di snellimento, di semplificazione, di efficacia maggiore dei corsi universitari, soprattutto rispetto alle effettive esigenze.
Ovviamente, questo non è cominciato con il Governo Berlusconi e non si concluderà con quello attuale; stiamo parlando di stratificazioni decennali, soprattutto di un modo sbagliato di reagire alle riforme. Come sappiamo, a seguito del processo di Bologna non vi è stata una semplificazione, una riduzione degli anni di studio e dei percorsi, ma una moltiplicazione degli stessi: dai quattro anni, siamo passati ai tre più due per tutti, come il Ministro Mussi, da quando ha iniziato questo tipo di esperienza governativa, ha denunciato, insieme a noi. Anche da questo Governo, dunque, provengono critiche nei confronti del nostro modo di reagire al processo di Bologna. Tuttavia, sappiamo che è lì e non possiamo far finta che non ci sia.
Devo dire che mi ha fatto molto male leggere oggi su la Repubblica, e su altri giornali nei giorni scorsi, queste critiche ingenerose alla nostra università. Fatemi fare la mamma orgogliosa di uno studente universitario: mio figlio ha sempre frequentato scuole pubbliche; ora, per la verità, frequenta l'Università Cattolica e mi piace pensare a questa come ad una delle grandi università nel nostro Paese. Non la ritengo privata, come sarebbe un istituto che si trovi al di fuori del panorama. Colgo l'occasione per dire, in una sede parlamentare ed istituzionale, che si tratta di un'ottima università che, come tante, favorisce l'internazionalizzazione, invita gli studenti ad andare all'estero e cerca, a sua volta, di attrarne.
Certo, il panorama nazionale è diverso in percentuale, ma anche quello che ci ha detto il Ministro dovrebbe oggi confortarci. Vi sono, dunque, luci e ombre su questa università, molte delle quali, è vero, hanno a che fare con le decisioni politiche: risorse, organizzazioni, leggi e reclutamento dei docenti.
Mi fa piacere che il Ministro Mussi abbia richiamato l'attenzione su questo argomento proponendo una soluzione che, per la verità, non credo possa risolvere il problema della degenerazione nelle nostre università, in particolare con riferimento alla chiusura delle docenze e quindi al fatto che esse rimandino poi a delle caste. Il Ministro non ha usato questo parola, ma la voglio usare io: non esiste solo la nostra casta, della politica; quelle sono vere e proprie caste, addirittura con nomi e cognomi. Tuttavia, Ministro, come possiamo pensare che attraverso un concorso locale


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- dal momento che alla fine la sua proposta arriva a quello - si possa superare il concetto della casta?

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA

VALENTINA APREA. Noi abbiamo presentato una proposta - sia alla Camera, con il collega Garagnani capogruppo di Forza Italia, sia al Senato, con Gaetano Quagliariello e altri colleghi - che tenga conto dell'idoneità nazionale, intesa alla vecchia maniera: gli idonei non si aggiungono al vincitore, ma vi è una garanzia di valutazione nazionale, di idoneità nazionale - come avveniva anticamente e come hanno ricordato Angela Filipponio e l'onorevole Tessitore - con la responsabilità delle università di chiamare i docenti (come avviene in tutto il mondo e come è giusto che sia). Nel rimandare a questa nostra proposta di legge, mi auguro che possa iniziare questo confronto.
Vorrei piuttosto segnalare un ultimo aspetto, relativo a ciò che lei diceva poc'anzi; mi riferisco alla formula «un posto, un vincitore». Ho sentito dire, purtroppo, da chi è rimasto coinvolto in questi meccanismi, che, anche rispetto alla severità della Commissione, il problema di non condizionare i concorsi viene risolto facendo presentare un unico candidato. Certo, quell'unico candidato può anche essere bocciato, tuttavia, nella maggior parte dei casi, per un solo posto si presenta un solo candidato, che è quello che - tutti lo sanno - la comunità scientifica, la «cupola», ha individuato come vincitore.
Quando si bandiscono i concorsi, bisognerebbe garantire anche che il concorso abbia un certo numero di candidati. È impensabile che si bandiscano concorsi ad personam, perché davvero questo accade. In tal modo, quando si vanno a ricostruire le fasi concorsuali, tutto è in regola, poiché vi è un solo candidato per un posto e, quindi, non vengono commessi illeciti. Questo è un altro aspetto da considerare.
Rimando ai cinque punti indicati nella proposta di legge n. 2482, con la quale Forza Italia intende in questa legislatura individuare gli elementi critici, da offrire al Parlamento, al Ministro e al Governo come spunti di riflessione di azione e di proposta politica. Cito solo alcuni dei principi ispiratori: riconoscimento dell'autonomia dell'attività di insegnamento contro ogni forma di feudalizzazione del sistema e di logiche corporative; libera scelta del percorso degli studenti (e, quindi, anche possibilità occupazionali nel mondo del lavoro). Abbiamo, infatti, tantissimi laureati nelle facoltà umanistiche e molto pochi in quelle scientifiche; quindi bisognerebbe riequilibrare questi due settori, altrimenti rischiamo di creare uno stuolo di eccellenti laureati disoccupati.
Tra gli altri principi, contenuti nella proposta normativa, vi sono i seguenti: il diritto allo studio, inteso anche come promozione dell'eccellenza e della sana competizione tra gli studenti; la parità effettiva tra tutti i soggetti che svolgono funzioni all'università (tra università statali e non); la necessità di garantire trasparenza e meritocrazia nel sistema di arruolamento della docenza, due princìpi sacrificati alla logica dei poteri accademici e dei potentati locali.
Tutto questo è contenuto nella nostra proposta. Siamo pronti per reggere il confronto e, come sempre abbiamo fatto con la nostra cultura di Governo, per affrontare i problemi veri del Paese, dando anche il nostro contributo.

EMERENZIO BARBIERI. Signor presidente, cercherò, per ovvi motivi, di essere molto sintetico. Ministro, l'ho ascoltata attentamente e, mentre lei parlava, sono andato con il ricordo e la memoria alle audizioni che abbiamo svolto in questa stessa sala con la Ministra Moratti, il viceministro Caldoro e il viceministro Ricevuto. Devo dire che, se non fosse per alcune asprezze, dovute alla sua collocazione politica, che però non attengono al merito della materia, non ho colto grandi differenze.
Questo però lo dico in termini positivi, in quanto ho l'impressione che mai come ora, su un tema come quello che lei sta


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seguendo - ovvero l'università e la ricerca -, sia necessario verificare che vi siano convergenze molto ampie.
Le pongo tre questioni, tralasciando l'analisi, che non condivido, sulla questione del deficit, che ci porterebbe lontani e fuori tema. Il problema non è il deficit al 3 per cento. È inutile che le ricordi i casi di Francia e Germania, come è inutile che le ricordi che, per mantenerlo al 3 per cento, avete aumentato a dismisura la pressione fiscale, fino al punto da renderla intollerabile, come l'elettorato vi sta dicendo. Di questo parleremo in altra sede e un'altra volta.
Le sottopongo la prima questione. Io ho apprezzato il fatto che lei abbia richiamato Lisbona. Nel dibattito politico italiano, ormai ci si è dimenticati anche di Maastricht, ma di Lisbona devo dire che proprio non si parla mai. Premettendo che a mio giudizio questo Governo non reggerà fino al 2011 - ma questi sono problemi di altro tipo - le chiedo come pensa, con questo Governo e con questa maggioranza, di riuscire ad arrivare al 5 per cento. Io ho forti dubbi; tuttavia mi farebbe molto piacere se lei mi spiegasse come si intende raggiungere tale obiettivo.
La seconda questione riguarda il tesoretto nella manovra di giugno e luglio. Io sono totalmente d'accordo con lei; tuttavia sarebbe opportuno che su questo tema, prima di comunicare le intenzioni alle Commissioni parlamentari, lei conducesse una battaglia all'interno del Governo. Non passa giorno, infatti, in cui i giornali non diano conto del fatto che Giordano vuole le pensioni basse o che un altro fa un'altra proposta. Insomma, è un bailamme continuo. Tuttavia, mi interessava che lei sapesse che, nel merito, io sono d'accordo e quando dico «io», ovviamente, mi riferisco al gruppo dell'UDC.
L'ultima questione che mi interessa molto riguarda il comma 738 della legge finanziaria. Lei ci ha delineato un percorso, per così dire, di battaglia, con le lettere che ha scritto al Ministro Tommaso Padoa Schioppa e al Presidente Prodi. Proporrei, se siamo d'accordo, di assumere una forte iniziativa in sede parlamentare. Per essere molto concreti, come dimostrano gli ordini del giorno dell'Aula, se siamo tutti d'accordo, potremmo presentare una mozione di dieci righe, chiedendo al Presidente Bertinotti di calendarizzarla la prossima settimana, in modo tale che lei possa andare a discutere con il Governo - quindi col Presidente del Consiglio e con i suoi colleghi Ministri - avendo alle spalle un forte voto parlamentare in questa direzione.
Tuttavia, su questo è necessario avere il coraggio di guardarsi negli occhi, non tanto con lei, signor Ministro, ma con i colleghi della maggioranza. Anche la vicenda del decreto Bersani chiusasi stamattina dimostra che questa è una maggioranza che ha tantissime buone intenzioni circa il fatto di correggere alcune nefandezze compiute dal Governo, ma che, tuttavia, quando arriva il momento del voto, o ritira gli emendamenti, o dichiara di essersi sbagliata. Un'iniziativa come quella che lei chiede alla Commissione presuppone la volontà politica dell'Assemblea - e quindi del Parlamento - di non curarsi delle opinioni del Ministro dell'economia e delle finanze e di marciare in questa direzione.
Non serve a nulla dire che il Governo fa pressioni. È una storia che dura da un anno, anche se devo ammettere che la conoscevamo anche quando noi eravamo maggioranza; anche allora arrivavano gli emendamenti, ma il Governo chiedeva che venissero trasformati in ordini del giorno, con un continuo atteggiamento di furbizia che è diventato, francamente, intollerabile.
Dichiaro la disponibilità dell'UDC ad una forte iniziativa parlamentare, per evitare che il comma 738 impedisca nella sostanza l'avvio del finanziamento, così come lei auspicava.

PRESIDENTE. La ringrazio per quest'ultima disponibilità, che prendiamo al volo.

TITTI DE SIMONE. Intervengo sinteticamente. Signor Ministro, penso che questo sia un Paese molto strano, poiché da questa discussione, che si svolge da diversi


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anni, emerge che vi è una forma di trasversale resistenza al cambiamento anche all'interno del Parlamento. Forse - è una domanda che mi pongo - ci sono troppi medici, troppi avvocati, troppi farmacisti, troppi docenti universitari; non lo so, fatto sta che qualche elemento di resistenza lo colgo, anche rispetto alla discussione che abbiamo svolto nella precedente legislatura.
Fatta questa premessa doverosa, condivido la sua relazione e la ringrazio molto per la sua puntualità. Lei qui ci ha illustrato alcuni punti di un'idea di riforma, a nostro avviso, utile, intelligente e importante, di cui vi è bisogno per il sistema universitario. Noi ne condividiamo l'impianto. Penso a tutta la questione che riguarda le regole del reclutamento. Anche da questo punto di vista, forse inaugureremo oggi un nuovo asse Tessitore-De Simone, sotto lo slogan «No alla cooptazione», ad esempio. Potrebbe essere uno scoop.
Dico questo perché penso che tutto ciò che tende a scardinare incrostazioni, rendite di posizione, poteri che non fanno bene alla qualità del sistema pubblico vada nella giusta direzione. Ritengo, dunque, che nell'impianto delle sue proposte vi sia tale direzione di marcia. Certamente si possono fare aggiustamenti e correzioni e mi sembra che da questo punto di vista vi sia il massimo della disponibilità (l'ho colta anche nella sua relazione).
Ad ogni modo, per quanto riguarda il criterio del merito, della trasparenza, di un sistema serio di valutazione scientifica, credo che si debbano determinare una assoluta chiarezza e una convergenza anche tra maggioranza e opposizione nel Parlamento.
Mi sembra interessante anche il discorso che lei faceva, se non ho capito male, circa la distinzione fra l'accesso e la progressione di carriera. È un punto su cui noi da sempre insistiamo; sono tanti anni che se ne parla. Se finalmente su questo aspetto si riuscisse ad intervenire e ad introdurre elementi di cambiamento, ne saremmo molto felici. A noi questo argomento interessa molto. Non mi dilungo a richiamare tutta la questione della terza fascia, che ha anch'essa la sua rilevanza.
Introduco, per concludere, alcuni aspetti per noi essenziali, ovvero le nostre preoccupazioni e ciò che vorremmo porre all'attenzione sua e del Governo tutto.
Innanzitutto, il diritto allo studio è una questione fondamentale, non marginale. Lei ha parlato molte volte di come funziona il nostro sistema, di quale sia l'elemento di accesso al sistema, di quali tipi di politiche di qualità del sistema si sviluppino. È un tema fondamentale, in relazione al quale è necessario raddoppiare le risorse, come anche lei più volte ha proposto
Se ho ben inteso, va nella giusta direzione, da questo punto di vista, anche l'invito del collega Barbieri. Anche a me sembra importante.
Vorrei auspicare anche un'iniziativa parlamentare su questo argomento. Non so quale sia lo strumento più utile - discutiamone insieme - tuttavia, riteniamo che sia strategica un'iniziativa sulla questione delle risorse per il diritto allo studio. Lo voglio dire chiaramente: si tratta di un'iniziativa strategica.
Aggiungo che, insieme a questo, sarebbe importante anche prevedere una vasta inchiesta sulla condizione studentesca: non si è mai fatta ed è necessario effettuarla. Un'inchiesta sulla condizione studentesca è assolutamente necessaria, perché ci darebbe una misura, un'idea di come funziona questo sistema, di quali problemi e quali aspirazioni esistono. Cerchiamo di individuarne i percorsi e le forme. Anche in questo caso, la discussione sullo statuto degli studenti ci può aiutare probabilmente ad impostare un ragionamento in questo senso.
In secondo luogo, occorre mettere in cantiere un piano pluriennale per l'assunzione dei giovani ricercatori. Si è fatto qualcosa, che però non è sufficiente, come tutti sappiamo. È una questione fondamentale per contrastare il precariato dilagante e drammatico che esiste nel mondo dell'università. Anche da questo punto di vista, dunque, pensiamo - lo


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vogliamo ribadire - che vi sia la necessità di un piano triennale, che significa capire quanto riusciamo a investire nel triennio, anche in termini di risorse finalizzate a questa stabilizzazione. Il programma dava anche delle cifre in proposito (non ricordo precisamente: 20 mila o 30 mila euro; cosa possono essere in un triennio?). Ad ogni modo, credo che la questione vada sollevata, dal momento che tra poco verranno compiute delle scelte.
Occorre inoltre tenere in considerazione un'altra questione. Si può pensare che vi siano delle borse per i dottorandi a 800 euro? Non è forse importante anche dare degli elementi simbolici ed elevare a mille euro al mese - nell'ambito di un pacchetto di proposte - queste borse per i dottorandi attuali? Bisognerebbe altresì prevedere un congruo numero di borse postdottorali.
La terza questione riguarda la necessità di tenere conto della grave situazione finanziaria dell'università. Questo punto, naturalmente, è stato richiamato da molti, anche da lei. Certo, vi sono degli aspetti che non hanno trovato una collocazione nel DPEF precedente e che hanno contribuito al determinarsi di questa situazione (si è verificato anche questo, anche se accade da tempo).
Vorremmo ricordare che questo collasso economico, Ministro, produce un danno complessivo, poiché ci rende incapaci di presentare progetti europei, ci fa perdere fondi - quelli risparmiati di bilancio -, spinge molti ricercatori a fuggire all'estero (poiché anche questa è una concausa). Quindi, è necessario investire risorse che facciano uscire le università da questa situazione di collasso economico.
Velocemente, finalizzare i fondi consistenti che sono previsti per la ricerca...

PRESIDENTE. Mi dispiace interrompere il suo intervento, ma sono imminenti le votazioni in Assemblea.
Visto che il Ministro è disponibile e che la discussione è diventata abbastanza impegnativa e importante, riconvocheremo la Commissione in data da concordare per completare lo svolgimento dell'audizione del Ministro Mussi. Riprenderemo i nostri lavori dalla collega De Simone. Peraltro, sono previsti molti altri interventi.
Rinvio quindi il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 16,05.