COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 26 settembre 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi, sulle iniziative del Governo a sostegno della ricerca e in particolare dei giovani ricercatori.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del Ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi, sulle iniziative del Governo a sostegno della ricerca e in particolare dei giovani ricercatori.
Avevamo cominciato questa audizione il 13 giugno e la discussione era centrata prevalentemente sui temi in esame anche oggi.
Immagino che i colleghi, successivamente, vorranno prendere la parola su questi argomenti. Darei quindi brevemente la parola al Ministro per un aggiornamento sulla situazione e anche per una breve informazione in merito alle vicende che hanno visto protagoniste le università, in rapporto alla questione dei test di ammissione in queste settimane. Potremo svolgere così una discussione più efficace e attualizzata.
Do la parola al Ministro Mussi.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Fornirò qualche informazione di aggiornamento rispetto all'inizio di questa discussione. Per quanto riguarda la questione dei test di ammissione, quest'anno si sono disvelati elementi di scandalo, con manipolazioni e truffe, relativamente a un certo numero di prove di ammissione ad alcuni dei corsi a numero chiuso. In particolare, mi riferisco ai casi di Catanzaro e di Bari.
Nel primo caso è stato il rettore a informare il Ministero della scomparsa di un certo numero di buste custodite in una stanza accessibile solo a pochi, che quindi hanno invalidato la prova nell'impossibilità di stabilire a quante e quali persone fossero arrivati in anticipo i test. D'accordo con il Ministero, a Catanzaro i test sono stati ripetuti.
A Bari, il rettore era stato informato da una missiva anonima, che descriveva minuziosamente il sistema truffaldino, secondo l'anonimo in vigore da cinque anni all'università di Bari.
Si citano anche cifre di migliaia di euro impiegati per acquistare in tempo reale le risposte giuste.
Il rettore, d'accordo con la Guardia di finanza, ha fatto in modo che questa truffa venisse scoperta e una parte dei responsabili immediatamente identificati e denunciati, ma l'inchiesta prosegue ed è stata allargata anche agli atenei di Chieti e di Ancona.
Il Ministero aveva suggerito di escludere dalle prove gli studenti coinvolti nella truffa e naturalmente di perseguire i docenti responsabili dell'organizzazione della truffa.
Il rettore poi ha autonomamente deciso in modo leggermente diverso, anche valutando


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una relazione pervenuta da parte della magistratura, nella quale si parla di fenomeno diffusivo, probabilmente più ampio dei primi documentati accertamenti.
Non potendo prevedere l'ampiezza del fenomeno, il rettore ha deciso autonomamente di ripetere la prova.
Il Ministero si è anche premurato di chiedere accertamenti alle forze di polizia e alla magistratura per i casi nei quali si fossero rivelate anomalie statistiche.
Nell'ateneo di Messina ad esempio si sono curiosamente concentrati i voti più alti, quasi tutti in una delle quattro stanze in cui si è svolta la prova. Questi accertamenti sono in corso.
Da alcuni è stato invocato un generale annullamento a livello nazionale delle prove. A parte il fatto che questo non rientra nei poteri del Ministro, perché si tratta di decreti rettorali, è sempre necessario evitare di curare un'ingiustizia con un'altra. Sicuramente, infatti, la maggior parte di coloro che si sono sottoposti a questa prova si è basata solo sulle proprie forze, sulla propria competenza e preparazione, senza cercare di truffare o di utilizzare aiuti o trucchi. La maggior parte di questi giovani si è comportata correttamente. Non sarebbe stato giusto punire quelli che, essendosi comportati correttamente, sono risultati vincitori della prova.
Desidero sottolineare anche altri aspetti. Intanto, le truffe identificate e la valanga di denunce successive alla chiusura della prova e ai quadri dei risultati pubblicati si concentrano sulle prove d'ammissione a medicina e odontoiatria (quasi nulla a veterinaria, nulla ad architettura e ingegneria, nulla per le altre centinaia di prove dei corsi per i quali il numero chiuso è stato stabilito dai singoli atenei). Medicina e odontoiatria sono dunque le facoltà in cui sono state riscontrate tali anomalie.
Come è noto, l'Italia è vincolata da norme europee al numero chiuso per questi cinque profili: medicina, odontoiatria, veterinaria, architettura e ingegneria civile. Le ragioni di queste limitazioni sono comprensibili, perché si tratta di competenze che si acquisiscono non solo sui libri o per via telematica, ma hanno bisogno di una parte sperimentale. Un medico per formarsi ha bisogno di avere malati e posti letto.
Per citare un esempio aberrante, all'inizio del mio mandato avevo trovato un corso universitario per infermieri che avveniva tutto per via telematica. Ora, si può immaginare come si misuri la pressione al computer, ma non come si impari a fare le iniezioni, per cui mi sono permesso con un atto amministrativo di abolirlo.
Per medicina, come anche per altre materie, è necessaria una parte di sperimentazione concreta che obbliga a una programmazione degli accessi. Un altro discorso riguarda i numeri, su cui bisogna probabilmente tornare, perché ad esempio non trovo congrui gli 800 posti per odontoiatria.
In un Paese in cui sono così alti i costi per le cure odontoiatriche e si rileva una così scarsa concorrenza, avere solo 800 posti sembra volto a tutelare una categoria piuttosto che a far fronte alla domanda proveniente dai cittadini. Anche in questi cinque profili, quindi, i numeri per i prossimi anni devono essere rivisti.
Devo anche notare che dal primo anno di introduzione del numero chiuso, ossia l'anno accademico 2000/2001, si è disinvoltamente passati da 138 a 998 corsi a numero chiuso. Sono state allentate le briglie e ognuno ha fatto un po' come gli pareva.
Una parte di questi sbarramenti è giustificata dal fatto che la legge impone alcuni requisiti minimi, giacché per aprire un corso rispetto agli studenti potenziali si necessita di un certo numero di insegnanti e di spazi, senza i quali non sarebbe garantito un livello minimo di qualità della didattica.
Devo tuttavia riconoscere che si è superato il limite. Quest'anno, avendo rilevato il fenomeno esplosivo dei corsi a numero chiuso, in aprile ho inviato una lettera ai rettori, facendo loro notare queste esagerazioni. Ciò ha sortito qualche effetto, giacché quest'anno, per la prima


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volta dal 2000, si è scesi da 998 a 922, 76 corsi in meno, che costituiscono una significativa percentuale.
Ritengo opportuno lavorare a una curva di discesa rapida dei corsi a numero chiuso, che naturalmente si può immaginare solo in conseguenza di una crescita degli investimenti volti a garantire all'università la possibilità di far fronte al criterio dei requisiti minimi, altrimenti sarebbero solo grida senza effetto.
Per quanto riguarda i criteri di accesso, dando per scontato che la parte riguardante formazione preuniversitaria e orientamento deve essere rafforzata, un correttivo è già stato introdotto per l'anno che verrà ed è all'attenzione delle Camere con il decreto, firmato insieme al collega Fioroni, che prevede che le prove si svolgano su un punteggio di 105: 80 derivato dai test e 25 dal risultato degli ultimi tre anni di scuola superiore e da quello della maturità.
Non è poco 25, se si considera ad esempio che la stragrande maggioranza si colloca tra 40 e 60 risposte giuste ai test, per cui 25 punti fanno pendere decisamente la bilancia nella maggior parte dei casi, facendo pesare efficacemente il curriculum scolastico precedente all'iscrizione all'università.
Ovviamente, tanti altri aspetti meritano una cura particolare, come quello della definizione dei test. Quest'anno si è verificato il deprecabile incidente di due test sbagliati su 80, percentuale decisamente esagerata. Ci sono molti precedenti di errori nei test non solo per l'università (nell'ambito della quale, in medicina in particolare, si sono verificati nel 2000 e nel 2005), ma anche per altri concorsi della pubblica amministrazione, come ad esempio per l'accesso alla magistratura. Qui c'è una giurisprudenza univoca, confortata anche da un parere chiesto tempestivamente all'avvocatura dello Stato, secondo cui, rispettando il principio della pari opportunità, deve ritenersi valido il concorso effettuato sul numero di test considerati validi.
Questo criterio, già applicato in passato, è stato seguito anche in questo caso. Vi sono altri aspetti su cui intervenire, come ad esempio per quanto riguarda i sistemi di protezione dei dati e di controllo dello svolgimento regolare delle prove. Occorre anche un po' di tecnologia, giacché ad esempio i truffatori di Bari hanno consegnato all'ingresso un telefonino ma ne avevano un altro nascosto con il sistema bluetooth, la microspia. Con l'evoluzione delle tecnologie, per affrontare problemi di sicurezza c'è bisogno di un aggiornamento.
Capisco che è molto difficile estendere su larga scala questo criterio, ma quando sono stato presidente di un concorso per assistente parlamentare qui alla Camera con 38.000 iscritti e 18.000 partecipanti, i quesiti venivano estratti istantaneamente attraverso un algoritmo casuale da un computer, per cui si illuminava in quel momento lo schermo dei candidati. Per questo però sono necessari un'unica sede e uno schermo per ogni candidato. Non è semplice attrezzarsi per garantire questi livelli di protezione, ma sono convinto che si possa fare molto.
Rispetto alla discussione svolta a giugno, in cui, ripreso in quell'occasione anche dalla stampa, avevo lanciato un giustificato allarme sui PRIN (Programmi di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale), siamo in grave ritardo ma siamo comunque nelle condizioni di emettere i bandi, di non perdere i soldi, di concludere la procedura per la fine di ottobre. Il ritardo deriva dal fatto che una parte dei finanziamenti PRIN, inseriti nella legge finanziaria, è stata sbloccata con il decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito, con modificazioni, dalla legge del 3 agosto 2007, n. 127, e l'autorizzazione di cassa a spendere quelle somme è stata data la scorsa settimana.
Spero che gli impegni assunti con il citato decreto legge del 2 luglio vengano mantenuti dalla Tesoreria, perché in tal caso entro la fine di questo settembre la dotazione dei PRIN salirebbe dai 74 milioni, che sono stati ora banditi, ai 150 superando le annate più generose.


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Spero che nella prossima finanziaria non ci siano più norme come il comma 507 dell'articolo unico della legge finanziaria per il 2007, che stabiliva che la finanziaria inserisse finanziamenti che però venivano accantonati fino ad esplicita autorizzazione. Queste norme, sebbene volte a un risparmio di spesa, tuttavia mettono in grave sofferenza settori della vita italiana particolarmente sensibili e delicati quali quelli della ricerca scientifica.
Sull'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), il Consiglio di Stato ha espresso la sua valutazione e siamo all'ultimo passaggio del parere parlamentare. Ci sono i tempi per poter rendere operativa l'agenzia entro la fine dell'anno. Nel frattempo, abbiamo garantito la continuazione del lavoro del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU) e abbiamo ridato l'incarico al Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR) di stilare nei prossimi mesi, in attesa della piena operatività dell'agenzia, il rapporto triennale 2003-2006. Non è vero, come qualche volta viene scritto, che i dati del CIVR siano platonici e non utilizzati perché ad esempio l'assegnazione dei posti per ricercatori nei vari atenei per il 20 per cento viene effettuata sulla base delle valutazioni del CIVR, premiando gli atenei che hanno avuto le più alte valutazioni nel campo della ricerca.
L'argomento specifico della nostra discussione verte sui ricercatori. Anche qui la procedura si è rivelata più lunga del previsto perché il dibattito, la discussione, i tempi di valutazione del Consiglio di Stato si sono allungati. Ormai siamo in dirittura di arrivo. Sulla base dell'osservazione del Consiglio di Stato, quel regolamento avrà qualche aggiustamento e in particolare due suggeriti dal Consiglio di Stato. Il primo riguarda i titoli di accesso ai concorsi da ricercatore. È stato osservato che il titolo di accesso che deve essere considerato sufficiente è la laurea, e quindi la laurea diverrà tale, però mantenendo le altre determinazioni quali il dottorato come titoli di curriculum e quindi garantendo maggiori opportunità ai candidati con un più alto livello di formazione. Per quanto riguarda l'altra osservazione, che concerne la composizione delle commissioni di ateneo, il Consiglio di Stato ha sottolineato come fosse troppo ampia la parte istituzionale. Nell'ultima versione essa viene quindi riequilibrata ampliando la parte disciplinare delle commissioni di ateneo. Con queste due modifiche non mi pare esistano altri ostacoli.
Per evitare il rischio - nel quale mi pare siano incappati altri miei colleghi - di perdere la prima posta di bilancio per il 2007 (nel comma 651 della legge finanziaria 2007 erano previsti 20 milioni per l'anno 2007, 40 milioni per il 2008 e 80 milioni a decorrere dal 2009 per l'università, a cui va aggiunta la spesa per l'attuazione del piano straordinario di assunzioni, autorizzata dal comma 653 della stessa legge finanziaria, per un importo pari a 7,5 milioni per quest'anno e a 30 milioni per l'anno prossimo), per quanto riguarda i ricercatori e gli enti di ricerca, nel decreto-legge n. 147 del 2007, il cui disegno di legge di conversione è attualmente all'esame della Camera, abbiamo inserito un emendamento, che consente comunque di spendere per il 2007 i 27 milioni a bilancio utilizzando semplicemente le norme vigenti.
Per l'entrata in vigore del nuovo regolamento si farà riferimento ai 40 milioni stanziati dalla legge finanziaria, ai quali si aggiungono i 30 milioni previsti sempre per l'anno 2008.
Ricordo infine il punto da cui siamo partiti, giacché stiamo parlando di un piano straordinario di assunzione di ricercatori in grado di garantire nuovamente equilibrio al corpo docente dell'università con un afflusso significativo di svariate migliaia di unità con la qualifica di ricercatori, per allargare la base dei giovani su cui si regge il corpo insegnante dell'università che ha avuto, nel corso degli anni, un crescente, pesante e grave invecchiamento dell'età media. Rispetto alla nostra ultima discussione, queste sono le


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novità certamente da voi ampiamente conosciute, ma di cui ho voluto formalmente informarvi.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro per averci voluto fornire ulteriori elementi e risposte. Privilegerei coloro che non hanno parlato la volta scorsa, ma ritengo ci sia tempo anche per coloro che sono già intervenuti.
Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o chiedere delucidazioni.

WALTER TOCCI. Ringrazio per l'introduzione e per l'odierna postilla molto convincente. Concordo con tutte le dichiarazioni del Ministro e anche con questi ultimi provvedimenti volti a riportare rigore nelle procedure di accesso ai corsi universitari.
Il mio accordo con le parole del Ministro in molti punti giunge anche all'entusiasmo, perché sono molto contento che il Ministro parli di priorità della valutazione e di accesso ai giovani, linee fondamentali qui esposte.
Non si può evitare di registrare però una distanza tra le parole e i fatti. Mi sembra che lo stesso Ministro non abbia eluso questo problema. Pur ribadendo l'adesione dei deputati della maggioranza alla politica del Ministero, non possiamo non soffermarci su questa discrasia tra dichiarazioni di principio totalmente condivisibili e alcuni difetti nei tempi di realizzazione.
Di questi ritardi il Ministro ha illustrato con molti particolari le ragioni, in primis il braccio di ferro con il Ministero dell'economia e delle finanze, che prima ha effettuato dei tagli, poi a giugno li ha eliminati compiendo un'operazione del tutto inutile dal punto di vista del bilancio, che si poteva benissimo risparmiare evitando disagi e delusioni nel mondo universitario della ricerca. Questo braccio di ferro con il Ministero dell'economia e delle finanze ha pesato e pesa. Speriamo che il protocollo firmato a luglio dal Ministero dell'università e della ricerca e dal Ministero dell'economia e delle finanze produca un approccio molto più positivo nella finanziaria. Noi abbiamo apprezzato molto quel protocollo, non solo per la sintonia tra i due Ministeri ma anche per i contenuti.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Non siamo ancora in porto!

WALTER TOCCI. Non siamo ancora in porto, ma ha la nostra adesione su questo. Capisco la questione delle difficoltà dovute alla pesantezza delle procedure, problema evidente in tutti i campi dell'amministrazione pubblica.
Condividiamo quindi totalmente le sue dichiarazioni, comprendiamo le difficoltà, siamo qui, almeno come maggioranza, per aiutarla a superare queste difficoltà e a organizzare i nostri lavori, le nostre discussioni per giungere rapidamente, attraverso un sereno confronto anche con l'opposizione, a quei provvedimenti e a quelle iniziative che sono necessari e in alcuni casi da molto tempo attesi.
Oltre alle difficoltà finanziarie e di procedura, si rilevano però ragioni di ritardo all'interno del Ministero, come è doveroso evidenziare per intervenire nel correggerlo. Non si può quindi addossare soltanto la colpa agli altri, giacché qualcosa non ha funzionato all'interno del Ministero.
A lei, Ministro, è stata conferita una delega - con un voto di fiducia - a scrivere un regolamento per i ricercatori e di accesso ai ruoli universitari senza un parere parlamentare, quindi una delega piena da parte del Parlamento con una scadenza al 31 marzo.
Sono passati quasi nove mesi e il Ministero non è stato in grado di stilare questo regolamento. Nonostante difficoltà, procedure, resistenze, indubbiamente, avendo ottenuto dal Parlamento una delega, nove mesi non sono pochi per scrivere un regolamento e oggi, quindi, siamo costretti ad affermare che esso non serve più, che si possono spendere i soldi stanziati nella legge finanziaria 2007, decisione che allora si sarebbe potuta prendere già a gennaio utilizzando questi fondi. Tale


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ritardo dunque ha provocato ulteriori disagi, anche perché questi fondi erano tra le poche voci positive della legge finanziaria.
Un analogo ritardo si è verificato anche per l'assunzione dei ricercatori negli enti di ricerca. Questo non è stato ben compreso, perché qui non si trattava di stilare un regolamento, bensì di pubblicare un bando del Ministero, per cui non è chiaro neppure perché il Ministero non abbia proceduto ad attivare le iniziative necessarie per questo stanziamento di 7,5 milioni quest'anno e di 30 l'anno prossimo. Con questa situazione, dunque, abbiamo perso nove mesi.
Ritengo molto importante che con il decreto-legge si sia disaccoppiato il finanziamento dall'elaborazione del regolamento.
La seconda questione riguarda i PRIN. Il bando che è stato emanato utilizza i fondi ordinari, 74 milioni, che erano nel bilancio del Ministero e non ha potuto ancora utilizzare i 150 milioni che si trovano all'interno del Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST). Anche in questo caso, quindi, il Ministero a settembre ha ritenuto opportuno comunque emanare il bando sui fondi ordinari in attesa che si sbloccassero i fondi straordinari. Anche questa decisione si sarebbe potuta prendere a gennaio, perché immagino che comunque i suoi collaboratori, la sua struttura sapessero...

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. No, quei fondi erano tutti bloccati. La settimana scorsa sono stati sbloccati i 74 milioni, che lei definisce ordinari, dalla Ragioneria dello Stato.

WALTER TOCCI. Anche quelli quindi erano bloccati?

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Sì, erano bloccati dal medesimo comma 507 della legge finanziaria.

WALTER TOCCI. Tale comma agiva sul FIRST, non sui fondi ordinari del Ministero.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. I fondi PRIN sono compresi nel FIRST.

WALTER TOCCI. Sì, ma poi c'era un'altra voce, PRIN, nel bilancio ordinario...

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Era un unico fondo, che comprendeva il FIRST e il Fondo per gli investimenti nella ricerca di base (FIRB).

WALTER TOCCI. Prendo atto di questo. Anche sulle procedure del PRIN, tuttavia, ci si poteva attendere qualche innovazione. Da questo punto di vista, i bandi del Consiglio europeo delle ricerche sono un punto di riferimento molto importante. Ad esempio, la definizione dei settori disciplinari poteva ispirarsi all'elenco del Consiglio europeo delle ricerche, invece nel PRIN si rileva un'impostazione ancora tradizionale.
Per quanto riguarda il terzo punto, il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR), nell'emendamento al decreto-legge attualmente all'esame del Parlamento se ne finanzia l'attività, ma era abbastanza facile prevedere che sarebbe stato difficile utilizzare i fondi stanziati per l'Agenzia di valutazione durante l'anno 2007 e che nel frattempo sarebbe stato necessario far lavorare il CIVR. Da questo punto di vista lo storno di bilancio si sarebbe potuto fare anche prima per mettere in condizioni il CIVR di lavorare pienamente già dall'inizio dell'anno.
Concordo sulla posizione assunta sui quiz e su quanto il Ministro ha ribadito qui e in pubblico, però, al di là dell'aspetto di malcostume, che pure rappresenta la questione più grave e inquietante, tutta la materia avrebbe bisogno di un ripensamento. Questi quiz, infatti, al di là dei numeri chiusi previsti dalla legge, stanno determinando una situazione di blocco degli accessi anche in settori disciplinari che non sono previsti dalla normativa.
Considero paradossale la situazione di un Paese che di fatto persegue una limitazione


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all'accesso all'università, mentre si trova con un numero di laureati pari a circa la metà della media europea.
Questo non ci deve indurre a proclamare la necessità di liberalizzare tutto, perché si possono anche danneggiare tanti studenti in alcune situazioni, però evidentemente è necessario programmare le risorse anche in rapporto alla domanda. In alcune facoltà è difficile organizzare le risorse in modo sufficiente per corrispondere a una domanda crescente, ma esistono anche situazioni opposte, con un'offerta didattica sovradimensionata rispetto alla domanda. Si tratta quindi di un problema di programmazione delle risorse.
È perciò necessario usare una leva fondamentale, il Fondo di finanziamento ordinario (FFO) per effettuare questa programmazione, cioè per finanziare le facoltà che necessitano di maggiori risorse per corrispondere alla domanda e invece magari definanziare quelle nelle quali c'è uno squilibrio in senso opposto.
Se il problema riguarda la programmazione, ciò deve indurre a utilizzare il fondo ordinario in un modo più intelligente e flessibile, che corrisponda a criteri di programmazione, laddove invece siamo ancor quest'anno a un'utilizzazione di questo fondo secondo la spesa storica, non solo nel volume complessivo dell'FFO ma anche in quelle voci che più di altre dovrebbero tener conto di principi innovativi, quali ad esempio il piano triennale.
Per inciso, non ho capito bene perché, ad esempio, nel piano triennale nell'ultimo decreto ministeriale sia stato definanziato il progetto sulle lauree scientifiche, laddove anche lei, Ministro, ha più volte sottolineato l'importanza di incentivare questo settore della didattica.
Nel piano triennale sono invece inserite altre voci, quali le cosiddette scuole di eccellenza, scuole di dottorato, che sono certamente molto importanti, però rischiano in questo Paese di divenire un'autocertificazione dell'eccellenza, che rimane scritta. Sarebbe importante per queste scuole di dottorato verificare se funzionino bene e se le risorse impegnate corrispondano ai risultati. Ritengo quindi che tutta la materia del finanziamento richieda un ripensamento sulla base di una programmazione, di criteri di qualità, e non di una spesa storica che si prolunga senza alcun cambiamento.
In molti di questi passaggi si sono riscontrate quindi difficoltà derivanti anche dall'attività del Ministero. Lei è un ottimo Ministro e ha tutta la nostra fiducia, così come anche i dirigenti del Ministero, per quanto possiamo qui valutare, sono persone capaci e competenti, e quindi evidentemente qualcosa non funziona nella trasmissione dal Ministro all'apparato amministrativo. Questo però non è argomento che ci riguardi, se non per un punto; infatti, tra le deleghe da lei richieste al Parlamento c'è anche quella di una riorganizzazione del Ministero, che l'anno scorso chiese con un decreto-legge, per cui doveva essere evidentemente molto urgente. Non si hanno notizie sull'adempimento di questa urgenza, però mi pare che...

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. È il più veloce su 25 ministeri!

WALTER TOCCI. Ho capito. Dagli esempi citati, però, da questa discrasia tra le sue dichiarazioni pienamente condivisibili e alcuni risultati che non sono arrivati nei tempi e nei modi attesi, mi pare che invece questo problema della riorganizzazione del Ministero sia un punto che richieda dei passi avanti.
Non ho chiaro come intenda affrontare un'ultima questione. Attualmente, siamo in vigenza delle norme sulla docenza e quindi dei concorsi previsti dalla cosiddetta legge Moratti. In diverse sedi e anche in Parlamento lei ha espresso la volontà di ripensare quelle norme.
Non si tratta di una materia semplice, perché per ripensare quelle norme è necessaria una legge, che comunque avrà un iter parlamentare piuttosto impegnativo, giacché tradizionalmente si tratta di una materia molto delicata.
Poiché siamo quasi giunti a ottobre e non ci sono proposte del Ministero su


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iniziative legislative in materia, vorrei sapere se lei intenda attuare le procedure vigenti oppure rivederle, e con quali tempi e modi. Mi sembra di rilevare qui un serio problema di coordinamento dei tempi, delle iniziative, e sarebbe utile quindi un chiarimento.
La ringrazio.

PRESIDENTE. Abbiamo assolutamente bisogno di sintesi negli interventi che seguiranno, altrimenti rischiamo di non concludere l'audizione. Do la parola alla collega De Simone, che giustamente mi ha ricordato che l'avevo ferocemente interrotta a metà dell'intervento e deve concluderlo.

TITTI DE SIMONE. Sarò molto sintetica perché desidero sottrarre poco tempo agli altri interventi, visto che ero già intervenuta parzialmente.
Ritengo necessario utilizzare le prossime settimane e i provvedimenti che verranno all'attenzione del Parlamento nel corso di esse per realizzare alcuni obiettivi, su cui oggettivamente si è registrato un ritardo nell'azione del Governo. Ciò anche nella consapevolezza, che credo attraversi tutta la Commissione ma comunque senz'altro la sua maggioranza, della grande aspettativa determinatasi in questi anni nel mondo della formazione, della scuola, dell'università e della ricerca.
Nei cinque anni precedenti a questo Governo abbiamo svolto centinaia di assemblee, abbiamo partecipato a numerose manifestazioni del mondo della ricerca, dell'università. Ritengo si trattasse di questioni sollevate senza spirito ideologico o corporativo, che evidenziavano una serie di problemi reali, che sono lo specchio dei problemi del Paese.
È quindi necessario che questo Parlamento e questo Governo infondano un'iniezione di fiducia, di ottimismo e di cambiamento a quelle aspettative, formulando quelle risposte che fra l'altro erano contenute nel programma dell'Unione, con cui questa maggioranza ha vinto le elezioni.
Dobbiamo ricostruire una connessione sentimentale con questo pezzo di Paese, perché qui si gioca un elemento strategico. Come abbiamo ribadito in numerose occasioni, dobbiamo aggredire questo elemento strategico, mettendo in campo qui e ora tutte le risorse e le capacità in nostro possesso per affrontare questo nodo.
Ritengo non sia possibile rimandare e accumulare ulteriori ritardi rispetto ad alcune questioni estremamente urgenti. Anche oggi, come nella precedente audizione, lei ha fatto riferimento al problema dei giovani, dell'immissione nelle università di nuovi ricercatori, che costituiscono punti essenziale di questo processo. Ritengo quindi doveroso continuare in questa direzione.
Sinteticamente, esporrò gli obiettivi per noi essenziali da perseguire nelle prossime settimane, utilizzando anche gli strumenti all'attenzione del Parlamento.
Per quanto riguarda la questione le risorse, abbiamo riconosciuto chiaramente che con la precedente legge finanziaria il comparto della scuola e dell'università è stato penalizzato.
Questa finanziaria si farà in Parlamento. Ci dichiariamo pronti a fare in Parlamento, a partire da questa Commissione, tutto il possibile per mettere nel bilancio dello Stato maggiori risorse per il settore dell'università e della ricerca.
Quindi, Ministro, le chiediamo di farsi sentire nei confronti del Governo e del Ministero dell'economia e delle finanze in particolare, perché non si può affrontare il tema dell'università e della formazione solo da un'ottica, ma è necessario considerare tutte le altre. Se lei si farà sentire, ci troverà pronti a condurre una battaglia per ottenere maggiori risorse per l'università e la ricerca.
Per quanto riguarda il regolamento per i nuovi concorsi, c'è stato un problema di ritardi dovuti anche al ricorso al Consiglio di Stato, che ha portato via alcuni mesi.
Lei ci ha confermato anche oggi che siamo finalmente in fase di risoluzione di una serie di problemi. Chiediamo quindi che questo regolamento venga stilato, che si utilizzino tutti gli strumenti per portare definitivamente all'approvazione del Parlamento tale questione.


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Infine, è necessario considerare il tema dell'ordinamento giuridico, perché si rileva l'esigenza di una visione organica. L'università ha bisogno di affrontare il tema del reclutamento con una visione organica anche dell'ordinamento giuridico.
Anche qui in Parlamento sono state avanzate proposte di legge. La nostra Commissione ha già in calendario alcune discussioni. È necessario collocare anche questo pezzo riguardante l'ordinamento giuridico nella discussione legata al reclutamento, affinché si trovino i canali e le forme - non so se la finanziaria o i collegati - per compiere un passo avanti in questa direzione.
Infine, in merito alla questione del numero chiuso, riteniamo i tempi maturi per giungere a un superamento di questa norma, che evidentemente non produce elementi di efficacia o di efficienza. Tale norma del numero chiuso deve quindi essere abrogata e sostituita da altri criteri di valutazione. Anche da questo punto di vista, da anni esistono varie proposte di legge in Parlamento e i tempi appaiono maturi, anche perché i fatti di cronaca degli ultimi tempi dimostrano la necessità di andare verso un'abrogazione del numero chiuso.

DOMENICO VOLPINI. Interverrò molto brevemente, toccando soltanto due punti, che gli altri colleghi hanno ben sviluppato. Il primo riguarda i quiz di accesso alle lauree a numero chiuso. Purtroppo, Ministro, il fenomeno dei brogli è antico, giacché nel 1998, 1999 e 2000 dovemmo fare delle sanatorie su questo argomento (di una fui il relatore), ribadendo ogni volta che sarebbe stata l'ultima. Tenemmo alcuni audizioni in quest'aula, cui intervennero genitori e avvocati che già allora ci illustravano modalità e costi di questi brogli per avere l'accesso.
Ovviamente, rispondemmo che non era materia di pertinenza del Parlamento ma della magistratura. Devo riconoscerle, Ministro, il merito di essere intervenuto immediatamente con molta determinazione a richiamare i rettori degli atenei a prendere in seria considerazione questo aspetto, ottenendo anche effetti concreti.
Vorrei soffermarmi, invece, sul discorso relativo al reclutamento dei ricercatori e dell'accesso alla docenza. La delega che le è stata data ha avuto da lei una risposta con il regolamento che finalmente vedrà la luce e potrà funzionare.
Come già affermato in alcune riunioni, riteniamo che questo regolamento sia attinente all'assunzione straordinaria di questi 1.600 ricercatori.
La Commissione ha già concluso la discussione generale e ha costituito un Comitato ristretto per procedere con il lavoro di formulazione di una proposta organica sul reclutamento, alla quale, come evidenziato dalla collega Titti De Simone, vorremmo abbinare anche altre proposte, che riguardano ad esempio la terza fascia.
Abbiamo chiesto a più riprese al Governo in sede di discussione generale da prima dell'estate di farci pervenire un suo disegno di legge, una sua proposta, in modo da avere un orientamento nel nostro lavoro che tenga conto delle esigenze del Governo, considerando come, sebbene l'organo legiferante sia il Parlamento, almeno noi di maggioranza desideriamo confrontarci con il nostro Governo.
Questa è una materia molto complessa, Ministro, che, come sottolineato dal collega Tocci, deve essere affrontata in modo molto serio ed esaustivo e, soprattutto, con il concorso dell'opposizione.
Come relatore in Commissione, per quanto mi è possibile, intendo coinvolgere l'opposizione nel lavoro legislativo, in modo da evitare che, ad ogni nuova legislatura, al cambiamento di maggioranza corrisponda un cambiamento delle leggi.
Stiamo aspettando l'apporto del Governo. Giungono voci, che ritengo assolutamente infondate, circa l'intenzione di aggiungere nella legge finanziaria qualcosa di ordinamentale concernente il reclutamento dei professori. Questo sarebbe assolutamente inaccettabile per questa Commissione, in quanto non può essere espropriata di un lavoro già abbastanza avanti,


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anche perché una materia così delicata deve essere trattata non in una finanziaria, ma in una legge ad hoc ben approfondita. Tuttavia, credo che queste siano voci assolutamente infondate.
Per il resto, concordo con le sue considerazioni ma, come rilevato dal collega Tocci, sarebbe forse auspicabile una maggiore attenzione da parte del Ministero, non certo dalla parte politica, ma da quella amministrativa, sull'espletamento di tutte le procedure per far giungere i soldi alle università e anche agli enti di ricerca.
Poche settimane fa ho incontrato alcuni presidenti degli enti del comparto università e ricerca scientifica che lamentavano di non poter spendere il 5 per cento ulteriore al 95 per cento permesso sul bilancio dell'anno precedente.
Quel 5 per cento corrisponde a molti progetti di ricerca in sospeso, per cui si ignora quando arriveranno i soldi e come potranno andare avanti.
Sarebbe quindi auspicabile una maggiore celerità da parte dell'amministrazione nell'espletamento di certe procedure.
Ovviamente, non conoscendo l'apparato interno del Ministero, non posso valutare se sia stato fatto tutto il possibile. Può darsi anche che sia stato fatto più del dovuto senza però raggiungere l'obiettivo. Gli enti tuttavia sono in sofferenza per questo, per cui andrebbe data una risposta celere.

VITO LI CAUSI. Ministro Mussi, sarei stato incline a ritenere che la procedura di accesso da parte degli studenti in alcune facoltà attraverso test selettivi fosse uno dei modi meno corruttibili, ma abbiamo prove contrarie. Le abbiamo oggi, ma ritengo avvengano già da prima senza che nessuno se ne fosse accorto.
In questa programmazione si devono quindi individuare altre vie difficilmente corruttibili.
Sono cofirmatario di una proposta di legge che prevede l'abbandono dei test selettivi, perché ritengo - e ne sono testimone anche in prima persona - che questi maledetti (o benedetti) test siano ormai motivo di angoscia non solo per gli studenti, ma anche per le loro famiglie, forse anche a causa del venir meno dell'ansia per il precedente esame di Stato. Comunque, non mancherà a lei e a tutti noi l'occasione di valutare se esistano altre possibilità.
In merito alla programmazione sugli accessi, capisco che si è vincolati alle norme comunitarie che prevedono un numero chiuso (non mi sovveniva che riguardasse anche l'ingegneria civile).
Per quanto riguarda la ricerca, avere un maggior numero di ricercatori ci colloca all'avanguardia. Ritengo pertanto che il protocollo ancora non totalmente in essere tra il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'università e della ricerca aiuti molto ad affermarci nel mondo scientifico.
Dal punto di vista tecnico e amministrativo non voglio entrare nel merito, perché ritengo che il Governo, lei e i suoi collaboratori abbiate un'attenzione e una competenza sicuramente maggiori delle nostre, ma mi dichiaro a totale disposizione, come tutti gli onorevoli colleghi, per far sì che si riesca a garantire più risorse, unico modo per poter dare risposte.
Ricollegandomi alle considerazioni dell'onorevole Volpini, mi auguro che siano voci del tutto infondate quelle concernenti un eventuale reclutamento di docenti attraverso la legge finanziaria, laddove invece è in itinere una proposta normativa in grado di garantire maggiori garanzie.

ALBA SASSO. Ringrazio il Ministro Mussi per questa audizione. È passato molto tempo dalla prima parte e la cronaca ci ha fornito altri temi di discussione. Desidero fare alcune premesse e sollevare alcuni problemi.
La legge finanziaria dello scorso anno ha reso molto difficile il percorso di lavoro del Ministro e anche del Parlamento sull'università, perché ha smentito completamente quanto era contenuto nel programma dell'Unione, laddove si faceva della formazione e della conoscenza l'asse portante delle politiche dell'Unione, nonché le attese citate dalla collega Titti De Simone nel riferirsi a connessioni sentimentali


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con il popolo della cultura, della scuola e dell'università. Quest'anno però abbiamo approvato un DPEF con una relazione approvata all'unanimità alla Camera e al Senato che intendeva segnare un'inversione di tendenza rispetto alle scelte dello scorso anno.
Mi auguro che la prossima finanziaria voglia tornare indietro, perché altrimenti sarebbe molto complesso per tutto il settore della conoscenza avviare una politica diversa.
Anche riprendendo alcune considerazioni espresse dai colleghi sui ritardi del regolamento, dell'autorizzazione, suggerirei a Stella e Rizzo di fare un altro libro sulla «casta» delle burocrazie in questo Paese. Non aggiungo altro.
Non ha senso infatti che un provvedimento rimanga fermo per sei mesi al Consiglio di Stato.
Questo Paese avrebbe bisogno di una semplificazione e di uno snellimento legislativi, perché continuiamo a emanare leggi nuove senza abrogare quelle vecchie, come nel caso della scuola.
La terza questione sarebbe da intitolare «tema della legalità». Come rilevato da Domenico Volpini, il problema di un'illegalità diffusa - senza voler offendere nessuno - nell'università oggi è venuto alla luce perché qualcuno l'ha fatto esplodere. La situazione di illegalità dei test di Bari - spesso facciamo uno slittamento semantico molto significativo da test a quiz, aspetti completamente diversi, laddove però i test sono diventati quiz, giacché nel test di medicina era inserito un vero quiz sul neoguelfismo con quattro possibili risposte come in televisione - aveva alle spalle una struttura organizzata, profonda e duratura nel tempo. Cito Bari ma ritengo avvenga anche in altri posti, non a caso per quelle professioni che hanno un'aspettativa di guadagno maggiore delle altre. Il caso è esploso perché già da quest'estate il rettore dell'Università di Bari aveva predisposto una serie di misure atte a frenare il fenomeno, che poi, ovviamente, non si è riusciti ad arginare del tutto perché l'innovazione tecnologica e la capacità di organizzare il malaffare hanno prevalso.
Questo è venuto alla luce come anche la vicenda di «parentopoli» all'Università di Bari, e il Ministro si è costituito parte civile. Sarà evidentemente complesso sanare questa situazione molto radicata e profonda.
Le direttive europee impongono il numero programmato in alcune facoltà, ma Paesi come la Germania mettono uno sbarramento al primo anno. Nel primo anno di medicina, ad esempio, non c'è ancora il contatto con il malato, ma si studiano chimica, fisica, matematica, biologia, per cui sarebbe ipotizzabile uno sbarramento per coloro che non superano gli esami del primo anno. Questa potrebbe essere una soluzione rispetto al problema dei test.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Non oso immaginare cosa potrebbe succedere!

ALBA SASSO. Allora non possiamo fare niente...

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Poiché alcuni professori vendevano il quiz, si sposterebbe soltanto il problema con una regressio ad infinitum.

ALBA SASSO. Se si lancia il segnale di voler colpire l'illegalità, si può abbattere l'omertà. Altrimenti dobbiamo arrenderci a quanto sta accadendo. Forse è una proposta priva di senso, ma ritengo importante dare un segnale di cambiamento soprattutto per i giovani, quelli che non hanno denunciato, quelli che si sentono stupidi a essere onesti, che rimproverano i loro genitori di aver dato loro valori morali e non una raccomandazione. Oggi questo è un problema di etica, di legalità, di fisionomia democratica, di democrazia, di uguaglianza e di opportunità.
Per quanto riguarda il tema del bilancio dell'attività del Ministero in questo anno, ritengo che, oltre che guardare ad esso, dovremmo considerare quanto sta


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accadendo nelle regioni, giacché in molte di esse, anche rispetto ad alcune misure quali il blocco della proliferazione delle sedi o delle università telematiche, sono stati avviati accordi di programma.
Ad esempio, in Puglia si sta avviando un accordo di programma cofinanziato, che cerca di valorizzare e potenziare le università sul territorio pugliese senza creare problemi di rivalità. Credo sia molto importante legare l'università al suo territorio ed evitare, almeno per quanto riguarda il sud, la continua fuga delle iscrizioni e poi dei cervelli.
Il tema della valutazione è fondamentale. Pur non rappresentando la soluzione di tutti i mali, è sicuramente una scelta che cambia anche il sistema di reclutamento, la valutazione del sistema, da cui emerge l'importanza della prossima Agenzia.

FULVIO TESSITORE. Desidero essere molto breve essendo già intervenuto nella precedente audizione, cui però il Ministro ha aggiunto nuovi dati. Per quanto riguarda i test di ammissione, mi consenta il Ministro di cadere sgradevolmente nell'autocitazione, giacché da molto tempo esprimevo dubbi e ho ricercato le dichiarazioni ufficiali. Mi ero infatti già espresso contro i test, anzi, i quiz di ammissione nella relazione inaugurale dell'anno accademico 1995. Da senatore, nel 2003 ho presentato una proposta di legge, che ho riproposto nel 2005. Auspico dunque un intervento ministeriale per affrontare il problema.
Vorrei precisare che le disposizioni europee non fanno esplicito riferimento al numero chiuso, bensì alla garanzia della qualità del titolo di studio. Alcuni Paesi europei si regolano quindi in modo diverso da noi e fanno riferimento al numero chiuso in relazione alla qualità del titolo di studio che si consegue. Personalmente, sono convinto che i quiz - ho scritto anche questo - servano a favorire gli inetti e che occorrerebbe individuare una soluzione diversa. In certi momenti bisogna avere anche il coraggio della dignità e riconoscere come alcuni professori universitari non siano degni di esserlo, ma molti, al contrario, lo sono e non vendono gli esami.
Per quanto concerne i PRIN, mi compiaccio con il Ministro per l'impegno di chiudere entro ottobre. Sollecito fortemente questo intervento anche sul piano della burocrazia ministeriale, perché questo consente quantomeno l'impegno dei fondi per l'anno 2007, altrimenti perduti. Il Ministro sa meglio di me che per tutti i settori disciplinari della ricerca di base (non soltanto per quelli umanistici), la loro mancanza si traduce in un'interruzione dell'attività di ricerca, esito assolutamente da evitare.
Per quanto concerne l'Agenzia di valutazione, sono sempre stato d'accordo con l'impegno molto forte del Ministro e mi compiaccio per averlo portato a conclusione. Esprimo un'osservazione molto semplice per sottolineare la differenza tra l'Agenzia di valutazione e gli altri organismi attualmente esistenti che sono prevalentemente descrittivi. L'Agenzia di valutazione deve fornire un modello, perché esso consente la qualità e il miglioramento del sistema universitario.
Sono convinto che su questo modello il Ministro ha intenzione, come ha già dichiarato, di avere il più ampio confronto e saprà individuare le sedi rigorose in cui svolgerlo fruttuosamente.
Per quanto riguarda infine il problema dei ricercatori, devo confessare che non avevo capito di votare una norma che prevedeva di adottare per regolamento questa materia, e di questo faccio ammenda.
Mi auguravo infatti che il decreto passasse almeno per il parere delle Commissioni.
Mi permetto di sollecitare fortemente il Ministro, pur nell'ambito del potere di delega ricevuto, a prevedere un passaggio sia pur rapido nell'ambito delle Commissioni parlamentari, per evitare di stabilire un pericoloso precedente. Il regolamento, infatti, riguarda concorsi che, come il Ministro sa meglio di me, sono una fattispecie precisa dell'ordinamento giuridico italiano. Non mi risulta che ci siano casi


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di accesso a una carriera, nel caso specifico alla carriera universitaria, che non abbiano avuto alcuna forma di vaglio parlamentare.
Si tratta quindi di una preghiera che rivolgo al Ministro, nell'interesse della rigorosa politica universitaria e culturale che il Ministro intende realizzare e alla quale si richiama frequentemente.
Per quanto concerne i ricercatori degli enti di ricerca, riprendendo l'osservazione dell'onorevole Tocci vorrei ricordare che alcuni vincitori di concorso degli enti di ricerca non sono stati ancora assunti. Ci sono state deroghe, in merito alle quali non entro nel criterio di valutazione, ma è strano constatare come determinati settori siano stati sempre esclusi dalle deroghe.
Forse, se esistono dei fondi ordinari, sarebbe opportuno considerare tale situazione, giacché credo vi sia a tal proposito un interesse molto forte degli enti di ricerca.
Se infine posso manifestare un'opinione di carattere generale, mi rendo conto di come l'avvio del lavoro ministeriale in una situazione certo non facile abbia comportato una serie di problemi e di difficoltà. Vorrei prospettare al Ministro l'opportunità di individuare più stretti rapporti tra il Ministero e il Parlamento, che gioverebbero a entrambi e garantirebbero la possibilità di un maggiore intervento sulla burocrazia stessa.

PRESIDENTE. Proprio perché desidero sottoscrivere con particolare enfasi le considerazioni dell'onorevole De Simone, non solo per una comune appartenenza politica, ma perché abbiamo di fronte una grande sfida in rapporto alla prossima finanziaria e ai rapporti che intendiamo avere con lei, signor Ministro, per quanto riguarda la necessità di emergere dalla logica che ha dominato la finanziaria nell'anno passato, di cui stiamo ancora pesantemente pagando le conseguenze, mi preme ricordare il parere - molto contrastato in Commissione - votato sul documento di programmazione economica e finanziaria nel luglio scorso. Esso sostanzialmente si basa su tre punti, che il Ministro conosce, ma che ribadisco perché i pareri hanno un loro valore non solo formale, ma anche sostanziale.
Il primo punto evidenziava la necessità di andare nella direzione di individuare nel Ministero dell'università e della ricerca (MUR) il luogo di coordinamento interministeriale dei programmi di ricerca, anche per poter valutare il rapporto fra pubblico e privato. Questo è il senso del tentativo che abbiamo compiuto anche negli emendamenti alla legge sugli enti di ricerca durante il passaggio alla Camera. Chiederei una particolare attenzione al secondo punto, che verteva sulla necessità di individuare meccanismi in grado di premiare il merito, con il discorso già svolto sulla valutazione, e di avviare la risoluzione del problema del precariato con un piano pluriennale di concorsi. In quella sede abbiamo parlato di stabilizzazione e chiarito che nessuno la propone ope legis. Segnalo tuttavia come l'altro giorno, in una grande occasione in cui si è discusso lo spazio europeo di ricerca, l'intervento drammatico della rete dei ricercatori precari abbia raggiunto livelli tali di conflitto che, in mancanza di una risposta nell'indirizzo dei prossimi mesi, si rischia di giungere a un corto circuito.
Sul terzo punto, il tema di Lisbona e della revisione della strategia, anche in conseguenza di quella votazione, come forse il Ministro non sa ancora perché si tratta di una deliberazione di questi giorni, stiamo decidendo insieme alla XIV Commissione di elaborare un rapporto del Parlamento sulle ragioni dei ritardi nell'attuazione della strategia di Lisbona e i punti da rivedere affinché l'Italia possa effettuare un salto di qualità.
Do la parola al Ministro per la replica.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Intanto desidero affrontare la questione di una battaglia senza tregua per garantire trasparenza e legalità prima di tutto nell'università, massima istituzione culturale del Paese. Da sempre difendo l'università da errate rappresentazioni giornalistiche che la descrivono come una baronia corrotta, ma la moltiplicazione e


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il disvelamento di fenomeni che stanno sotto la cenere da tempo immemorabile non contribuiscono a garantire il bene prezioso del prestigio. L'aspetto impressionante in alcune parti del nostro Paese attiene a cadute di coscienza tali, per le quali non c'è più neanche il bisogno della dissimulazione. Nel leggere interviste di giovani di venti anni che non trovano scandaloso che il padre abbia pagato per consentire loro un aiuto e che concludono affermando che questo è il Paese dei furbi e che vogliono far parte della categoria, constato come non si avverta neanche l'esigenza di nascondere la vergogna.
Siamo di fronte a fenomeni che qualche commentatore ha definito di «familismo amorale», che potremmo attribuire a caratteri fossili della società italiana: i medici vogliono comunque figli medici, i dentisti vogliono comunque figli dentisti e tutti ritengono quasi sempre scandaloso che l'operaio voglia il figlio dottore.
Rompere questo retaggio non è un'impresa semplice.
Sono contrario al numero chiuso con queste due specificazioni: primo, onorevole Tessitore, i vincoli europei esistono. In tutta Europa esistono sistemi di programmazione, almeno in certi campi di studi, degli accessi. In Francia il primo anno entrano tutti, ma, attraverso una rigida selezione, al secondo passano soltanto i migliori. Non so se siamo nella condizione di adottare lo stesso modello. A parte le facoltà dove ci sono vincoli europei, in cui però i numeri degli accessi devono essere rivisti perché non mi sembrano congrui, si è assistito tuttavia a un'inaudita moltiplicazione, giacché le tipologie che in Europa hanno il numero chiuso sono cinque, mentre nel nostro Paese i corsi a numero chiuso sono arrivati quasi a mille. È quindi necessario ridurli rapidamente - se si grida soltanto, non si faranno miracoli - ma per realizzare questa riduzione bisogna fornire alle università i mezzi, ovvero insegnanti, spazi, mense e residenze, per evitare di stipare i giovani in spazi dai quali non uscirebbero adeguatamente preparati.
Per quanto riguarda gli effetti dei sistemi di selezione, inviterei a considerare meglio e più scientificamente i dati. Sono tutt'altro che entusiasta dei test, tanto che abbiamo già introdotto correzioni nel decreto di luglio, però posseggo dati di alcune università, che indicano come la percentuale dei laureati in medicina figli di medici sia diminuita dopo l'introduzione dei test. In particolare, onorevole Tessitore, uno studio dell'Università Federico II sostiene che esista un rapporto diretto, provato statisticamente, tra buoni risultati nei test e successo negli studi. Non difendo i test, ma informo dell'esistenza di questi studi, che poi devono essere approfonditi.
Ritengo che una discussione parlamentare su questa complessa materia sia opportuna e che si possa preparare una revisione della legge n. 264 del 2 agosto 1999, che ha introdotto il numero chiuso. È però necessario discuterne partendo dai dati concreti e dagli studi esistenti, non solo dalla nostre percezioni.
Bisogna fornire mezzi alle università. Abbiamo pochi iscritti alle università e si assiste a un'impressionante emorragia tra il primo e secondo anno. Lo sbarramento quindi c'è, anche se non ufficiale, giacché più del 20 per cento degli iscritti al primo anno non passa al secondo. Un immenso spreco. Abbiamo un livello di fuori corso fuori norma rispetto alle medie europee e un numero di laureati giovani decisamente al di sotto delle medie europea. Ne abbiamo infatti 12,50 contro 16-20, mentre Stati Uniti e Giappone arrivano a 26-27.
Abbiamo quindi bisogno di un maggior numero di iscritti, di minori perdite per strada e di un maggior numero di laureati. Bisogna fornire i mezzi, perché uno degli effetti della riforma del 1999 è stato il forte incremento degli iscritti e dei laureati, senza tuttavia raggiungere standard di valore europeo.
Emerge dunque l'argomento fondamentale per il governo del sistema: le risorse.
La finanziaria dell'anno scorso è stata di pura sofferenza. C'era il problema del risanamento, bisognava ridurre il deficit, ma furono stanziati 150 milioni di euro


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appena sufficienti a coprire la perdita dovuta all'inflazione, quindi zero in termini di valori reali, più il taglio ai consumi intermedi che si sarebbe rimangiato i 150 milioni, tenuto sospeso come una spada di Damocle e poi abolito.
Ho dovuto minacciare le dimissioni, perché nel primo testo della finanziaria dell'anno scorso il taglio previsto per l'università era un miliardo di euro, perché rientrava tanto sul target dei consumi intermedi quanto sulle misure specifiche riguardanti l'università. Un anno di sofferenza per l'università e per la ricerca.
Lisbona è fuori dalla nostra portata perché significherebbe stanziare nelle prossime quattro finanziarie 45 miliardi di euro, 11 miliardi l'anno, una cifra fuori dalle nostre possibilità.
Nel DPEF si parla di media OCSE, che vorrebbe dire 12 miliardi in quattro anni, 3 miliardi l'anno. Sono sicuro che non ci sono. Con il collega Padoa-Schioppa, basandosi sul rapporto elaborato dalla Commissione tecnica per la spesa pubblica, presieduta dal professor Gilberto Muraro, che finalmente dà una rappresentazione più corrispondente dell'università - l'anno scorso nel DPEF avevamo scritto anche una cosa non vera, con la mia opposizione, ovvero che a noi uno studente costa mediamente più della media europea, mentre ci costa 5.685 dollari contro i 6.900 medi dell'Unione europea, gli 8.200 medi dei Paesi del quadro OCSE - abbiamo redatto la lettera da cui dovrebbe uscire il protocollo di intesa; quest'ultimo prevede un patto per cui le università dovrebbero impegnarsi a riportare i loro bilanci in ordine, giacché sono numerose quelle che si trovano in difficoltà per non aver curato il rapporto tra spese per il personale e il resto delle voci, e un impegno del Governo a garantire risorse, che coprano gli scatti automatici di legge, cioè gli aumenti di costi derivanti non da autonome deliberazioni delle università ma da leggi dello Stato.
Si sta ragionando di 400 milioni di euro, comprensivi di voci sulle quali è in corso una discussione. Il DPEF è molto impegnativo, l'ho accolto con grande soddisfazione, ma non so se la finanziaria sarà aderente. Ritengo che all'interno del Governo e del Parlamento ci sarà molto da aggiungere.
Ho dovuto di nuovo sperimentare direttamente qualcosa che credo di aver sempre saputo, ovvero come le innovazioni non viaggino in autostrada e come, sia attraverso procedure parlamentari in genere complesse, sia attraverso altri metodi previsti dall'assetto costituzionale, quindi passando per il vaglio della Corte dei conti, del Consiglio di Stato, i tempi non siano brevi. Ritengo che su alcune norme nove mesi non rappresentino un ritardo straordinario, nonostante preferissi naturalmente fare prima. Tra l'altro, siamo reduci dall'approvazione di una legge sugli enti pubblici di ricerca, che non è l'ennesima legge di riforma, ma una legge sull'autonomia statutaria degli enti pubblici di ricerca, per i quali abbiamo dovuto affrontare questo anno per tutti una crisi di leadership: presidenza ASI, presidenza INAF, presidenza CNR. Ora esiste lo strumento di legge, dato dal Parlamento, per poter rifare gli statuti.
I ministeri sono i ministeri e, come voi sapete, non vige neanche la regola - giusta o sbagliata che sia - dello spoil system: nessuno può scegliersi liberamente i direttori generali, che sono funzionari dello Stato più stabili dei ministri.
La delega sull'organizzazione del Ministero dell'università e della ricerca ha viaggiato più veloce e sarà la prima fra 25 ministeri a entrare in funzione (perché sta uscendo dal Parlamento). Ce ne sono altre che non sono ancora passate neanche dal Consiglio dei ministri.
Dopo un anno giungiamo a una possibile riorganizzazione del Ministero.
Ho molto contato su due provvedimenti da porre come pietre angolari di una riorganizzazione del sistema, anche dal punto di vista dello stato giuridico. Il primo è il regolamento per il reclutamento dei ricercatori, in cui si è tentato di introdurre strumenti innovativi che continuo a ritenere possano consentire maggiore apertura, maggiore mobilità, maggiore fluidità e minor peso di eventuali


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accordi accademici, facendo largo uso di un sistema largamente usato negli standard internazionali (peer-revue e referee). Ritengo che l'approvazione di questo regolamento possa ispirarci per una generale riforma dei sistemi di reclutamento e di avanzamento di carriera, laddove uno dei punti del programma dell'Unione consisteva nel separare reclutamento e avanzamento di carriera. Il secondo è la valutazione come chiave della governance del sistema.
Nel sistema, interamente sottoposto a valutazione, come rilevava Tessitore, l'ANVUR deve agire su modelli la cui discussione sarà pubblica.
Per quanto riguarda la finanziaria e i collegati, vi pongo un quesito perché, approvato il regolamento dei ricercatori ed essendo in dirittura d'arrivo l'ANVUR, anche il Ministero darà il suo contributo per ipotesi di riforma complessiva dei sistemi di reclutamento. Quest'anno c'è stato il blocco dei concorsi per professori associati e ordinari.
Tale blocco, durato un anno, ha funzionato anche come turnover, con una riduzione tra associati e ordinari di circa 1500 unità (più anziani).
Continuiamo ad avere la stessa struttura del corpo docente: 20.000 ordinari, 19.000 associati, 22.000 ricercatori, 38.000 insegnanti a contratto. Affidata esclusivamente all'autonomia degli atenei, è dunque emersa una composizione del corpo accademico piuttosto bizzarra.
Il blocco di un anno si è rivelato utile, ma prolungarlo indefinitamente provocherebbe un tappo. Intorno a questo ostacolo infatti si affollerebbe un numero crescente di docenti che legittimamente, per qualità ed esperienza, aspira a un avanzamento di carriera.
La legge 230 del 2005 è inapplicabile. Appena realizzata, per la sua interpretazione sono state insediate commissioni che non hanno prodotto alcun risultato.
Mentre il Parlamento proseguirà nella discussione di una legge organica sul reclutamento e la carriera universitaria, vi chiedo se non riteniate necessario un provvedimento urgente che serva, almeno per un numero contingentato, a sbloccare concorsi per professori associati e ordinari.
Pongo una questione che naturalmente sarà discussa in Parlamento, ma che mi sembra di assoluto rilievo per il sistema. Pregherei quindi i colleghi di meditare prima di assumere decisioni politiche.
Per quanto riguarda i PRIN, segnalo a Tocci che da molti anni a questa parte la dotazione PRIN del bilancio dell'anno in corso è zero perché i PRIN dell'anno precedente vengono finanziati con le dotazioni dell'anno successivo. La dotazione 2007 ha quindi finanziato i PRIN 2006, come quella del 2006 aveva finanziato i PRIN del 2005.
I PRIN di quest'anno sono sul fondo FIRST. Nella finanziaria prima della nostra, la massa degli investimenti per la ricerca libera veniva portata a zero, salvo 100 milioni residui sul FIRB. La dotazione PRIN è tutta contenuta in quei 300 aggiuntivi del FIRST inseriti in finanziaria.
Il ritardo è dovuto al fatto che le dotazioni ordinarie erano state spese per il 2006, mentre quella per il 2007 è la dotazione FIRST che ha avuto uno sblocco parziale con un provvedimento della scorsa settimana. Mi auguro che entro la fine del mese, come promesso dalla Tesoreria, possa avere uno sblocco pressoché totale.

WALTER TOCCI. Lo auspichiamo tutti.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro. Siamo andati oltre il tempo che avevamo previsto, ma è stata un'audizione di grande utilità.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.