COMMISSIONI RIUNITE
VII (CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE) E VIII (AMBIENTE)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 29 maggio 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA VII COMMISSIONE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 10,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi, sulle linee di intervento del dicastero dell'università e della ricerca in ordine alle politiche relative ai cambiamenti climatici, con particolare riguardo al ruolo del sistema universitario e della ricerca scientifica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del Ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi, sulle linee di intervento del dicastero dell'università e della ricerca in ordine alle politiche relative ai cambiamenti climatici, con particolare riguardo al ruolo del sistema universitario e della ricerca scientifica.
Come il Ministro Mussi - a cui rivolgo, anche a nome del presidente Realacci un caloroso benvenuto in Commissione - ben sa, l'incontro odierno si inserisce nel quadro di una serie di audizioni che, soprattutto per iniziativa del presidente Realacci, si stanno svolgendo con i responsabili di molti dicasteri.
Abbiamo già svolto, qualche settimana fa, un lavoro congiunto insieme al presidente Realacci e al Ministro della pubblica istruzione, Fioroni. Abbiamo parlato sia degli impegni di carattere generale per quello che riguarda le politiche della pubblica istruzione sotto l'aspetto educativo, sia delle trasformazioni che le scuole, intese come istituti ed edifici, possono subire; esse, inoltre, possono costituire degli esempi sotto l'aspetto del risparmio energetico, dell'uso di energia solare. Speriamo che aiutino, con esempi concreti, la grande sfida che abbiamo di fronte.
Evidentemente, per quanto di competenza del dicastero guidato dal Ministro Mussi, la questione più rilevante è quella della ricerca, che costituisce la grande questione capitale. Anche l'università intesa in senso materiale, gli atenei e le facoltà usano energia, la disperdono, la sprecano ed è per questo motivo che esiste un problema di incidenza diversa rispetto a quello di cui abbiamo parlato con il Ministro Fioroni.
Do la parola al presidente della VIII Commissione della Camera dei deputati, Ermete Realacci.

ERMETE REALACCI, Presidente della VIII Commissione. Il lavoro è finalizzato - lo dico al Ministro Mussi che è persona sensibile, da qualche tempo, a questi temi - alla predisposizione di una relazione, che verrà stilata congiuntamente dalle varie Commissioni, e ad una seduta straordinaria del Parlamento sulla questione dei mutamenti climatici. È una questione strategica per il mondo e per l'Unione europea (l'Italia attualmente è indietro in tanti settori). La sua audizione è essenziale a tal fine.


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PRESIDENTE. Do la parola al Ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Ringrazio tutti per l'invito e penso che questa sia un'iniziativa parlamentare di grandissimo valore. Ritengo anche che una seduta parlamentare dedicata ai cambiamenti climatici, alla valutazione della situazione e alla strategia di intervento possa produrre risultati preziosi.
Proverò a dare un contributo di informazione utile a questo lavoro con una premessa lampo. So, in questa sede, di sfondare una porta aperta, ma sarebbe bene partire da un dato: ormai l'influenza delle attività umane sulla biosfera e i loro effetti sul clima sono certificati. Non aveva visto male Paul J. Crutzen quando aveva chiamato la nostra epoca «antropocene», cioè l'era nella quale il dato determinante sugli equilibri del pianeta è l'attività della specie a cui apparteniamo.
Il problema fondamentale della ricerca nel campo dell'ambiente e dei mutamenti climatici è esattamente questo. In primo luogo, occorre considerare i mutamenti climatici dovuti a cause naturali, come i mutamenti di parametri astronomici dovuti a movimenti della terra e le variazioni della potenza emessa dal sole. Come tutti sanno esiste, grazie a questi fattori naturali, un ciclo accertato di circa 100.000 anni nei quali il clima varia sensibilmente.
Occorre distinguere questi cambiamenti da quelli dovuti a cause antropiche e, su questa base, formulare previsioni di natura probabilistica. Sicuramente siamo entrati nel secolo delle decisioni di grande portata, relative ai modelli economici e sociali, alle tecnologie (risparmio energetico e fonti rinnovabili). Visto che non possiamo portare a zero gli effetti delle attività umane sul clima, dobbiamo determinare anche le strategie di adattamento ai cambiamenti indotti dalla nostra stessa civiltà.
Vorrei dare un quadro delle ricerche che si stanno conducendo in questi campi. Un quadro completo è impossibile perché ci sono un'infinità di centri pubblici e privati che se ne occupano, tante attività delle facoltà e dei dipartimenti universitari e manca un'anagrafe completa. Mi limito quindi all'essenziale e alle attività promosse o vigilate dal Ministero che è sotto la mia responsabilità.
Nel quadro del piano nazionale della ricerca esiste un fondo, istituito nel 1999, il Fondo integrativo speciale per la ricerca (FISR), sulla base del quale sono stati emanati tre bandi: due di essi riguardano temi connessi ai cambiamenti climatici.
Il primo bando è denominato «realizzazione programmi strategici», sulla cui base sono stati finanziati nove programmi, prevalentemente svolti da CNR e università. Questi nove programmi si occupano dei seguenti temi: il programma Aeroclouds è lo studio degli effetti diretti e indiretti di aerosol e nubi sul clima; il programma Vector sulla vulnerabilità delle coste e degli ecosistemi marini; Genius Loci sul ruolo del settore edilizio sul cambiamento climatico; il quarto programma riguarda la microgenerazione di energia elettrica e acqua dissalata da biomassa; Climesco per l'evoluzione nei sistemi culturali a seguito dei cambiamenti climatici; il sesto programma, cambiamenti climatici e sistemi produttivi agricoli e forestali; Carboitaly, strumenti innovativi per l'implementazione del protocollo di Kyoto; Mescosagr, metodi sostenibili per il sequestro del carbonio organico nei suoli agrari; MICENA, modello integrato per l'evoluzione degli ecosistemi naturali agricoli in relazione ai cambiamenti climatici nell'area mediterranea. Questi nove programmi sono in corso di svolgimento prevalentemente presso il CNR e le università, per di circa 29 milioni di euro complessivamente.
Il secondo bando ha istituito il progetto infrastrutturale «Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici». È un'infrastruttura di ricerca in piena implementazione, che ha come obiettivo la comprensione e la descrizione di processi che fanno funzionare i sistemi climatici, per valutare e prevedere i cambiamenti del clima su scala annuale e decennale, cioè nel corso di un anno e nel decennio, e


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sviluppare, inoltre, informazioni sulla loro futura evoluzione. Ha, infine, una missione di informazione verso i cittadini, gli enti, le istituzioni, le amministrazioni e via dicendo.
Il Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici è molto importante perché è costituito sulla base di una rete di relazioni con molti istituti di eccellenza mondiale: l'Hadley Centre inglese, il Potsdam Institut tedesco, la Princeton University, Harvard, il Centro nazionale per l'atmosfera degli Stati Uniti d'America, l'NCR, il massimo istituto di ricerca giapponese e via elencando.
Un primo effetto della creazione del centro si è già verificato dopo la vittoria del bando sul progetto europeo integrato «Circe», che prevede un finanziamento di 10 milioni di euro per definire l'impatto dei cambiamenti climatici nell'area mediterranea e che richiede lo svolgimento di una particolare missione.
Voglio informarvi circa le importanti attività che vengono svolte dagli istituti e dalle agenzie sotto il controllo del MIUR, con particolare riferimento all'attività dell'Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale (OGS). Quest'ultimo da quasi vent'anni conduce studi sui margini antartici per la comprensione dell'evoluzione della calotta glaciale, sullo stoccaggio sotterraneo di CO2 e collabora con i principali programmi internazionali per gli studi paleoclimatici, cioè gli studi delle variazioni di lungo periodo per mostrare i termini dell'accelerazione più recente e delle possibili previsioni di tendenza.
Vorrei fare riferimento ad un'altra attività in seno all'Istituto nazionale di astrofisica (INAF). Questa attività si svolge presso l'Osservatorio astronomico di Roma ed è concentrata in un centro che si chiama CVS, Centro di variabilità solare. Detto centro studia le variazioni della potenza solare per misurare, in merito alle evoluzioni anche di breve periodo, l'influenza delle cause naturali e poterle quindi distinguere da quelle di carattere antropico.
Molte attività sono svolte dal CNR, alcune sono inserite nei nove progetti del FISR. Gli istituti del CNR svolgono molte attività sulla questione climatica e dell'ambiente, in particolare modellistica del clima, paleoclimatologia e ricostruzione del clima storico, processi fisico-chimici del clima - vi sono numerosi istituti del CNR che si occupano di questi temi -, cambiamenti climatici di ecosistemi terrestri, marini, lacustri ed acque interne, osservazione da satellite e reti di misura a lungo termine dei cambiamenti globali nell'atmosfera, nell'oceano, nel suolo e nelle acque interne, cambiamenti climatici nelle aree polari e in ambienti remoti di alta quota.
Sono presenti diversi centri sperimentali nell'Antartide, nell'Artico, sugli Appennini, sulle Alpi e sull'Himalaya. Il CNR è coordinatore di tre grandi programmi di ricerca internazionale, finanziati nell'ambito del sesto programma quadro dell'Unione europea: il network di eccellenza Accent, che riunisce tutte le principali istituzioni di ricerca europea nel settore dei cambiamenti della composizione dell'atmosfera ed i loro effetti sul clima e sulla qualità dell'aria; il progetto integrato Aquastress, sulla mitigazione degli effetti dello stress idrico a livello regionale; il progetto di infrastruttura Earlinet, la prima rete di misura Lidar, che è un sistema di misurazione con laser per determinare la riflessione sugli strati dell'atmosfera degli impulsi radar su scala europea, per lo studio della climatologia dell'aerosol atmosferico.
Molto importante è l'attività che svolge l'agenzia spaziale italiana (ASI). Su questo vorrei soffermarmi, perché ho l'impressione che l'informazione su quello che si sta facendo da parte dell'opinione pubblica e anche da parte delle élite politiche sia assai scarsa. L'ASI, che è prevalentemente un'agenzia, svolge anche attività di ricerca e, come è noto, partecipa a programmi dell'ESA (European Space Agency). L'attività dell'ASI è importante anche per la quantità di risorse pubbliche che vengono impegnate: del budget destinato al finanziamento diretto degli enti di ricerca


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italiani, circa il 40 per cento va all'ASI, quindi è uno dei settori in cui la mano pubblica è più impegnata.
L'ASI partecipa in particolare a due programmi ESA, che sono in corso, sull'osservazione della terra: Envisat è il più grande satellite di osservazione della terra che abbia mai volato. Lanciato nel 2002, esso è tuttora operativo ed ha a bordo una strumentazione ottica e radar molto sofisticata. I dati Envisat forniscono costantemente una grande quantità di indicazioni sullo stato del sistema terra. Ancora in collaborazione con l'ESA è la Earth Explorers Missions, una serie di missioni più piccole, in fase di implementazione, dedicate allo studio di aspetti specifici del pianeta terra.
Le prossime missioni ad essere lanciate saranno la GOCE, che studia la circolazione oceanica e il suo ruolo nella modifica del clima; la missione CryoSat II, il cui lancio è previsto nel 2009 e il cui obiettivo principale è la verifica della previsione sull'assottigliamento dei ghiacci artici, dovuti al global warming. In particolare, l'ASI sta realizzando il Cosmo-SkyMed, un programma di avanguardia in campo mondiale. È un sistema di quattro satelliti, equipaggiati ciascuno con uno strumento radar. È tutta tecnologia italiana, salvo qualche pezzo che viene importato dagli Stati Uniti (ma si tratta di pezzi non decisivi, come le ruote inerziali). Il primo dei quattro satelliti verrà lanciato il 7 giugno, tra qualche giorno, con un vettore americano, da una base californiana, il secondo è in costruzione presso gli stabilimenti della Alenia, che si trovano sulla Tiburtina. Con il ministro Parisi siamo stati a visitare questo stabilimento. Il Ministro mi ha accompagnato perché il sistema Cosmo-SkyMed è una tecnologia duale, civile e militare, con doppio accesso.
Cosmo-SkyMed è in grado di fornire, su scala planetaria, particolari innovazioni sull'umidità del suolo, sull'estensione dei ghiacci, sull'erosione delle coste, sulle risorse agricole e forestali, sulle aree soggette ad inondazioni e sulle aree costiere e lagunari. Venezia, per esempio, sarà sotto costante osservazione. Il primo satellite, quindi, di questo sistema di quattro, verrà lanciato fra qualche giorno. Si tratta di strumenti di assoluta avanguardia che impiegano tecnologie italiane.
L'opinione pubblica, inoltre, non sa che recentemente è stato lanciato da una base indiana, con un vettore indiano, un satellite Agile che è il primo satellite evoluto per lo studio delle particelle astrospaziali, in particolare nello spettro dei raggi gamma e dei raggi X. Gli americani lanceranno qualcosa di analogo tra qualche mese e nessuno sa che sui satelliti che stanno esplorando i confini del sistema solare, come la sonda Cassini, c'è tutta la tecnologia italiana. Allo stesso modo, nessuno sa che sulla missione ExoMars il radar di profondità che ha verificato la composizione del suolo marziano è frutto della tecnologia italiana. Queste sono cose meravigliose ignote ai più, ma ho po' derogato dalla questione dei cambiamenti climatici.
Tornando quindi al tema, oltre al programma Cosmo-SkyMed, l'ASI sta realizzando una missione iperspettrale - lancio previsto per il 2011 - che ha tra i suoi obiettivi principali il monitoraggio del ciclo del carbonio, l'inventario delle foreste e delle risorse agricole e lo studio dei problemi legati alla gestione delle risorse idriche.
L'ASI sta realizzando anche un sistema informativo prototipale dedicato al monitoraggio e alla previsione della qualità dell'aria, che ha una particolare applicazione per la verifica della realizzazione del protocollo di Kyoto e degli ulteriori impegni che l'Unione europea sta assumendo in termini di riduzione di CO2.
Concludo fornendovi un'informazione su altri campi di cooperazione del sistema dell'università e della ricerca nel nostro Paese nel quadro europeo. Come i colleghi sanno, il Consiglio europeo ha adottato nel giugno del 2006 una nuova strategia per lo sviluppo sostenibile, che rappresenta un ulteriore step rispetto all'impegno già assunto nel 2001. Nella strategia per lo sviluppo sostenibile ci sono sette capitoli, denominati «sette sfide», dei quali uno riguarda espressamente i cambiamenti climatici


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e l'energia pulita, ponendosi come obiettivo generale quello - leggo il protocollo che rappresenta gli impegni esigibili assunti dalle imprese e dai Governi europei - di «limitare i cambiamenti climatici, i loro costi e le ripercussioni negative per la società, per l'ambiente».
Il Consiglio europeo del 2006 ha stabilito anche che ogni Stato membro deve presentare, con cadenza biennale, un proprio rapporto. Il primo rapporto globale europeo verrà presentato nell'autunno di quest'anno.
Del progetto infrastrutturale del Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici, che si colloca dentro questo quadro, ho già parlato. È importante, però, ricordare che all'interno di questo quadro si collocano anche la realizzazione e il sostegno ai distretti tecnologici. Sono numerosi, infatti, i distretti tecnologici che si occupano di questioni collegate all'ambiente e al risparmio energetico. Cito uno per tutti: l'accordo con la regione Basilicata per la realizzazione di un distretto tecnologico nel settore delle tecnologie innovative.
Sul tema ambiente, dal punto di vista dei finanziamenti - si tratta di impegni che, ovviamente, hanno bisogno di corrispettivi finanziari, cioè di budget per il sostegno alla ricerca di base e all'innovazione tecnologica -, appare strategico il VII programma quadro. Come i colleghi sanno, tale programma l'anno scorso navigava in cattive acque, perché le trattative si erano bloccate sulla questione della ricerca sulle cellule staminali. Il mancato accordo tra i principali Paesi dell'Unione, la presenza di una minoranza di blocco alla quale partecipava anche l'Italia tenevano fermo il VII programma quadro.
Il nostro Paese ha contribuito, nell'estate dello scorso anno, a trovare una soluzione, un compromesso, in partnership con la Germania, che ha consentito lo sblocco delle trattative e l'avvio del VII programma quadro dal 1o gennaio di quest'anno. Sono 53 miliardi di euro in sette anni.
Nel programma Cooperation c'è un sottoprogramma denominato Ambiente, al cui interno il principale asse è esattamente quello relativo ai cambiamenti climatici. Al programma Ambiente di Cooperation sono stati destinati 1,8 miliardi di euro.
A questo si aggiungono i finanziamenti alle iniziative di rilevanza strategica, le Join tecnology initiatives. Sono iniziative tecnologiche congiunte inserite nel VII programma quadro. Due di queste sono collegate ai cambiamenti climatici, dato che sono dedicate alla mobilità sostenibile e all'idrogeno a celle di combustione.
L'Italia è impegnata, in sede europea, non solo a sostenere queste iniziative, ma anche a riqualificare una sua presenza nelle sedi europee; presenza che, negli ultimi anni, si è sensibilmente indebolita, con una possibilità di influenza sulle scelte fondamentali estremamente ridotta.
C'è, infine, qualche possibile interessante novità sull'Istituto europeo di tecnologia. Come voi sapete, si discute da qualche anno senza trovare un accordo. Inizialmente l'idea dell'Istituto europeo di tecnologia era quella di una specie di MIT italiano, cioè una superstruttura concentrata. Naturalmente, non solo si è subito aperto il problema della sede, perché c'erano più candidati che paesi, ma questa idea originale ha cominciato a essere smantellata pezzo per pezzo. È stato raggiunto, per esempio, un accordo, un paio di anni fa, in base al quale, nonostante venisse riconosciuta la dimensione europea di MIT, l'Istituto europeo di tecnologia non avrebbe avuto il potere di concedere titoli di studio (Il MIT non è solo un centro di ricerca, ma è anche un'università). Quindi, via via l'idea stava sfumando.
All'ultimo Consiglio sulla competitività di Würzburg, 15 giorni fa, è stata accolta questa idea. Per ora il quadro è quello dei Ministri europei della ricerca e dell'università, quindi deve avere una sanzione finale tra i Primi Ministri. È stata però accolta la proposta che ho formulato a nome del Governo italiano, che prevede che l'Istituto europeo di tecnologia sia una struttura leggera, che mette in rete i principali centri di ricerca, individuando di volta in volta - top down, come si dice - i settori di maggiore interesse.


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La tecnica deve essere questa: si costituiscono dei KIC - che Dio salvi gli acronimi europei! - Knowledge and Innovation Community, dei gruppi di scienziati e tecnologi di primo livello che lavorano al fine di organizzare la rete dei principali centri di ricerca. Su proposta italiana, il primo KIC che dovrebbe costituirsi è quello dedicato a cambiamenti climatici ed energia. La proposta è stata accolta e verrà formulata una richiesta di dotazione iniziale di 320 milioni di euro per l'avvio dell'Istituto.
Ho approfittato anche del recente forum mondiale G8 e Unesco su «educazione ricerca e innovazione per lo sviluppo sostenibile», che si è svolto a Trieste l'11 e il 12 maggio, per presentare al commissario Potocnik la candidatura di Trieste come sede del KIC dedicato ai cambiamenti climatici ed energia. Trieste, come sapete, è una delle aree di maggiore concentrazione della ricerca italiana, con livelli di qualità di assoluto valore internazionale.
Nel campo della ricerca aerospaziale mi preme sottolineare l'importanza del progetto GMES, Global Monitoring for Environment and Security. Anche questa è una tecnologia duale, ambiente e sicurezza.
Nell'ultima riunione dell'Advisory Council è stata prospettata dal nostro Paese la possibilità di utilizzare servizi e sistemi GMES - anche se le tecnologie lo consentono, questa non era una missione del sistema - nell'ambito del monitoraggio della prevenzione dei cambiamenti climatici, proposta che suppongo verrà accolta.

PRESIDENTE. La ringrazio per la sua relazione molto dettagliata, la quale ha riportato, tra l'altro, notizie di grande rilievo come la candidatura della città di Trieste per il KIC europeo in materia di cambiamenti climatici. Nel caso questa proposta venisse accolta, avrebbe un'importanza enorme per il nostro Paese. Sarebbe, infatti, un punto avanzato sul tema di cui stiamo discutendo questa mattina.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

EMERENZIO BARBIERI. Signor presidente, credo che il ministro abbia corrisposto alla finalità per la quale è stata proposta questa audizione. Sono infatti emerse, dalle parole del ministro, alcune osservazioni molto interessanti che ho ascoltato con estrema attenzione.
Signor ministro, io stralcerei la questione del VII programma quadro. Giudico, infatti, l'atteggiamento del Governo italiano un gravissimo errore, che tale rimane anche se è stato fatto in compagnia della Germania. Un errore è sempre un errore, a prescindere dai compagni di viaggio. Lei, da questo punto di vista, dovrebbe essere, non come Ministro dell'università e della ricerca, ma per altre sue esperienze politiche, buon testimone.
Devo dire che la sua relazione mi ha suscitato un notevolissimo interesse. Se il Governo italiano si muove lungo le linee che lei ha indicato, per quanto riguarda noi dell'UDC, non mancheranno occasioni di confronto e di convergenza.
Le sollevo tre problemi, uno dei quali è stato colto da lei con acume. Mi riferisco all'interesse assolutamente scarso, per non dire inesistente, al di là degli sforzi del presidente Realacci, che si registra in Italia su questi temi. Per dirla in termini significativi, chiarendo bene l'idea, non interessa niente a nessuno. Lei avrà visto il tipo di reazione che sia la stampa italiana, sia la stessa televisione di Stato, hanno riservato alla Conferenza di Bangkok. Si dava molto più spazio, anche giustamente, al sequestro del bus ad Alessandria, che non alla Conferenza di Bangkok. Ad aggravare questa situazione contribuisce, a mio giudizio - ma mi interessa comunque il suo parere a questo riguardo - il fatto che, mentre fino a 15-20 anni fa non c'era quotidiano italiano - dal quotidiano della mia città, Gazzetta di Reggio, al più grande giornale italiano, che sia il Corriere della Sera o la Repubblica - che non dedicasse ogni giorno almeno mezza pagina alle cosiddette «questioni scientifiche», oggi giornalisti che scrivono


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su queste vicende, a parte il giornalista del Corriere della Sera e una giornalista de il Tempo, non ce ne sono. Non trovo mai nulla sui giornali. Da questo punto di vista, come lei giustamente ha detto, si viene meno a quello che io considero un dovere: l'informazione. Lo ribadisco: l'informazione su questi temi io la considero un dovere.
Le pongo una domanda secca: in merito al primo bando, quando termineranno i nove programmi? Lei ce li ha illustrati bene, ma non ci ha indicato il tempo oltre il quale non si può andare.
Come ultima osservazione, signor ministro, esprimo la convinzione che dal punto di vista degli studi, l'Italia non abbia da farsi insegnare nulla da nessuno. Io, però, colgo il rischio che si studi molto e si faccia pochissimo per quanto riguarda la modifica delle politiche concrete. Di questo - io che pure sono all'opposizione - non incolpo solo il Governo, ma incolpo il Parlamento, gli enti locali e le regioni, le quali, da questo punto di vista, scimmiottando lo Stato nazionale, producono solo tonnellate di documenti. La inviterei a farsi mandare tutto quello che la regione Emilia-Romagna, per 37 anni, ha prodotto...

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Crudeltà mentale da parte sua...!

EMERENZIO BARBIERI. Tonnellate di carta che fanno contentissime le tipografie, anche se escludo che ci siano connessioni tra amministratori regionali e società tipografiche. Dal punto di vista, però, dei comportamenti concreti - quelli che la politica deve cambiare - dico che si fa troppo poco.

ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Signor ministro, la ringrazio in maniera particolare per questo suo intervento. Credo francamente che sia uno dei temi più decisivi; tra breve le dirò anche su cosa si fonda questa mia convinzione. È un tema decisivo proprio per il nostro esserci, quindi non è una questione come un'altra. La ringrazio, quindi, per aver avuto la sensibilità di venire qui ad affrontare questo tema.
Mi fa anche piacere e mi sento particolarmente gratificata da quanto ci ha detto in merito alla nostra condizione di avanguardia. Malgrado tutto quello che noi stessi lamentiamo dell'università e della ricerca in Italia, forse i guai sono più di ordine pratico che scientifico. Quindi, abbiamo buone speranze che questi guai possano essere risolti per poterci dedicare tutti alle università, agli organi della ricerca e a ciò che alla ricerca segue, vale a dire la tecnica. La tecnica è già un aspetto più pratico e più concreto della scienza stessa e deve trovare una politica che agisca in consonanza.
Si è parlato poco fa del clima nel Mediterraneo. A tale proposito leggevo sul Corriere della Sera di un convegno a Venezia su «Acqua, energia e clima: le sfide del Mediterraneo». Pare, infatti, che proprio il Mediterraneo sia la zona più a rischio. A parte queste mie osservazioni, penso che, nonostante la nostra condizione di avanguardia e nonostante tutto quello che si sta facendo, forse occorre una presa di coscienza da parte del Governo - di questo, di quello precedente, e di quelli futuri - e della politica in genere.
Spero che questa presa di coscienza sia un po' più alta di quella dell'informazione che offrono i media. Badate, non sto dicendo che i telegiornali o i giornali non debbano dare notizia dello stato della questione, però mi sembra che siano temi talmente importanti da necessitare un canale privilegiato, che è quello della formazione.
Signor Ministro, io sono sconvolta da questo cambiamento climatico. Ieri sera sono arrivata qui a Roma da Bari con quattro ore di ritardo. È stato l'amore per questa materia che mi ha dato la spinta per aspettare fino a mezzanotte, anziché ritornare a casa. Lo sconvolgimento, come dire, è quasi personale.
Quello che proporrò a voi tutti e agli organi competenti è di renderci conto che ne va del nostro stesso esserci, per dirla


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alla Heidegger. Lei oggi è venuto qui a riferirci sui cambiamenti climatici, ma sa bene che l'intero sistema ambiente è un sistema a rischio. Perché nell'università, approfondendo e accompagnando sempre di più la ricerca scientifica, non facciamo anche lo sforzo di formare gli studenti - che sono anche cittadini - rendendoli consapevoli di questo problema? Signor Ministro, esiste un diritto dell'ambiente che si insegna presso la facoltà di giurisprudenza, che, guarda caso, è una materia opzionale, è un cosiddetto esame complementare. È una materia che si insegna solo in alcune facoltà, nonostante in Italia abbiamo uno tra i primi costituzionalisti che si sono occupati di questo tema, il professor Carovita, autore del bellissimo libro sul diritto dell'ambiente.
Vorrei andare più alla radice del problema. Il diritto dell'ambiente, come lei può immaginare, è il diritto positivo e fa riferimento ad una normativa sull'ambiente. Tuttavia, considerata l'importanza del tema oggetto di questa audizione - tanto è importante che lei è venuto in Commissione, cosa che non accade ogni giorno - dovremmo inserire tra gli esami fondamentali il diritto dell'ambiente, per esempio nello Ius 08, che è diritto costituzionale nella laurea magistrale in scienze giuridiche, e istituirei un'altra materia - questa volta nello Ius 20, filosofia del diritto - che chiamerei «diritti della natura». Naturalmente, come lei può immaginare, sono due cose diverse, sebbene collegate; è come se parlassi dei diritti dell'uomo e mi chiedessi quale sia la disciplina normativa dei diritti dell'uomo in Italia.
Perché le dico questo? Il filosofo Hans Jonas ha proprio posto la questione se l'ambiente e la natura di per sé abbiano diritti; quindi non i diritti positivi, ma il presupposto del perché si possa legiferare in un certo modo sull'oggetto dell'ambiente.
A me questo sembra molto importante. Penso sia un veicolo serio per renderci conto e per formarci culturalmente. Credo che l'università abbia questo compito. Presenterò questo piccolo disegno di legge; piccolo perché, lo ripeto, chiederò che all'interno degli indirizzi epistemologici - il legislatore già li richiede nello Ius 20 o nello Ius 08 - siano inseriti queste due discipline che hanno grande diffusione in tutto il mondo. Non vorrei citare adesso tutte le pubblicazioni sul diritto positivo, ma non possiamo ignorare questa grande novità. Come voi sapete, a un certo punto nel mondo tutti si sono occupati dei diritti degli animali. Forse un po' più tardi ci siamo accorti che anche in merito all'ambiente, per dirla in maniera parmenidea, non tutti gli enti sono disponibili. Già esiste un punto di osservazione e di meditazione sull'impatto della tecnica sugli enti non disponibili, ma sarebbe assolutamente opportuno istituire un corso all'università su tale materia.
La sua presenza è stata per me anche un'occasione per poterle dire questo. A mio giudizio la sua audizione è particolarmente importante sia per quanto ci ha riferito, che per la possibilità che ho avuto di confrontarmi con lei su questa mia idea (naturalmente ho già avuto modo di confrontarmi con una parte dei miei colleghi).

RAFFAELLA MARIANI. Vorrei ringraziare il Ministro per le importanti informazioni che ci ha fornito e sottolineare alcuni elementi emersi anche dalle audizioni precedenti.
Noi abbiamo ascoltato veramente tantissime informazioni e a me sembra, come diceva il Ministro, che questa sia l'epoca delle grandi decisioni ed effettivamente non ci sia altro tempo da perdere rispetto alle strategie da adottare direttamente in merito al tema dei cambiamenti climatici.
Signor Ministro, abbiamo percepito anche una certa disillusione tra i vari enti di ricerca. Il CNR ci sottolineava, in un'audizione, quanto fosse sottovalutato, per esempio, l'apporto della fisica e, nell'ambito delle università, quanto poco fosse stato l'investimento destinato ai ricercatori e al personale in quella fondamentale e decisiva branca della ricerca riferita proprio ai cambiamenti climatici. So che, in questo periodo, le decisioni urgono in tante direzioni, ma anche rispetto alla


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ricerca abbiamo assistito in questi anni ad un proliferare - e ne abbiamo parlato altre volte con lei, signor Ministro - di indirizzi, di succursali universitarie, che hanno costruito anche una pletora di divisioni e di indirizzi di ricerca.
Penso che sia necessario - speriamo che il Ministero, considerati gli indirizzi che ha cominciato a seguire, vada verso questa direzione - costruire velocemente questa rete e rivedere forme di coordinamento, che non abbiamo notato negli ultimi anni. Questo aspetto lo riteniamo decisivo per il presente. È ovvio che non è possibile interferire con l'autonomia dei diversi soggetti, nell'ambito della determinazione delle linee di ricerca, che richiedono i loro tempi e modi; è auspicabile che queste collaborazioni internazionali, che danno lustro al nostro Paese, continuino e sarebbe importante che ne parlassimo di più senza soffermarci sempre su quello che manca o che non funziona. Abbiamo la necessità, per il presente, di ottenere cose visibili e mostrare l'utilità di questi elementi di ricerca.
Mi chiedo se, rispetto a questo, dal Ministero possa arrivare un input forte per avere indirizzi di maggior coordinamento tra i diversi settori universitari di ricerca, soprattutto nel campo dei cambiamenti climatici. Ovviamente, le decisioni che dovranno prendere le istituzioni, a partire dal Governo centrale fino alle organizzazioni locali, dovranno essere supportate da indirizzi chiari dal punto di vista scientifico e tecnologico. Questo è quello che manca maggiormente. Non ci conforta il fatto che vi siano tantissimi enti di ricerca separati che lavorano a questo e che magari dicono di conoscere la situazione da tempo. Rispetto a questo aspetto forse è mancato un punto di coordinamento.

ERMETE REALACCI, Presidente della VIII Commissione. Il collega Barbieri ha sollevato un tema interessante, connesso con una risoluzione presentata in Commissione cultura: la questione dell'informazione scientifica in Italia è effettivamente una questione chiave perché in un'organizzazione del lavoro dei grandi quotidiani, e anche degli altri media, sta scomparendo la figura - con l'eccezione che il collega ha poc'anzi riportato - del giornalista specializzato. Questo produce spesso flussi informativi casuali, presi magari da un contrattista su Internet, oltre ad una scarsa attenzione verso un costante monitoraggio di ciò che accade nel mondo scientifico. È una questione abbastanza seria, connessa anche a vicende contrattuali. L'organizzazione del lavoro sta cambiando e impoverisce quelle figure chiave che una volta erano, nella struttura dei giornali e dei grandi organi di informazione, filtri attraverso cui passava anche la cultura scientifica.
Ringrazio anch'io il Ministro per la sua completa ed estesa relazione. Approfitto per chiedere alcuni chiarimenti. L'elemento costante, sulla base del quale abbiamo organizzato questo lavoro - lo dimostra il fatto che con questa Commissione siamo alla seconda seduta congiunta con un Ministro - è la percezione che questa è una politica non di settore, cioè che non riguarda un Ministero, ma la politica di un Governo. Del resto, da questo punto di vista (lo dico onestamente) non solo il Governo precedente, ma anche il Governo attuale è indietro rispetto all'Europa.
Parliamoci chiaro: la Germania ha varato un piano molto spinto in materia, che si pone l'obiettivo del 40 per cento di riduzione dell'emissione di CO2 entro il 2020; l'Inghilterra sta per varare una legge molto drastica in materia, che prevede una riduzione del 30 per cento di emissione di CO2, grosso modo dal 26 al 32 per cento entro il 2020 e del 60 per cento entro il 2050, addirittura con una competizione in cui il giovane leader dei conservatori Cameroun cerca spesso di scavalcare i laburisti con posizioni più radicali.
Sarkozy, nel suo primo discorso ai francesi ...

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Lì non usano il termine «radicale» in questo modo così improvvisato. I radicali sono coloro che buttano CO2 in aria, loro sono maxi estremisti.


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Quelli che vogliono ridurlo sono moderati, proviamo a ribaltare i significati!

ERMETE REALACCI, Presidente della VIII Commissione. Lo stesso Sarkozy ha fatto di questo uno dei temi centrali del suo Governo. Poi ci sono scelte diverse, ad esempio sul nucleare: la Germania continua a denunciare l'abbandono del nucleare, l'Inghilterra il ricambio, la Francia insiste. Tutto sommato, nella diversità delle ricette, ci sono posizioni di grande spinta in materia.
Il punto chiave, su cui vorrei formulare alcune considerazioni, signor Ministro, è che noi insistiamo molto sul fatto che questa sia una politica del Governo e che implichi, quindi, un livello di coordinamento e di azione comune fra i vari Ministeri decisamente superiore a quello attuale.
Ad esempio, noi - prima in Commissione e poi in Assemblea - abbiamo varato una risoluzione che proponeva di fare una sola conferenza sul clima e sull'energia, ma non si sta andando in questa direzione perché il Ministero dell'ambiente sta organizzando una conferenza sul clima alla quale, presumibilmente, ne seguirà una sull'energia, di pertinenza soprattutto del Ministero dello sviluppo economico; a nostro avviso questa divisione non è utile, perché se non si confrontano analisi e risposte nei vari settori coinvolti ci si indebolisce.
Pertanto, la prima questione da porre è la seguente: nel percorso che sta portando alla conferenza sul clima, intrapreso già da tempo dal Ministero dell'ambiente il vostro Ministero è stato pienamente coinvolto? In che misura? A nostro avviso - ripeto - bisogna collaborare insieme.
La seconda questione rafforza quanto diceva la collega Mariani: nell'audizione che abbiamo svolto, vari esponenti del mondo scientifico ci hanno segnalato non soltanto una carenza di fondi - motivo per cui chiedono maggiori finanziamenti, come è giusto e fisiologico che sia - ma anche una grandissima mancanza di coordinamento fra i centri di ricerca; nonostante questo, sottolineo con piacere quanto già detto da altri colleghi, ovvero che l'Italia ha raggiunto l'eccellenza in vari settori e, forse, in alcuni casi anche in modo del tutto casuale.
Vorrei aggiungere che abbiamo avuto anche un ruolo abbastanza importante nella missione in Antartide sul monitoraggio dell'evoluzione nel tempo delle emissioni di CO2, grazie ai carotaggi eseguiti con tecnologia italiana. L'Italia ha fatto delle cose positive, e mi fa piacere che anche l'ASI si stia muovendo in questa direzione.
La collega Mariani citava l'importante iniziativa del Centro euromediterraneo (che, tra l'altro, credo abbia come focal point l'università di Lecce), nel quale molti centri di ricerca italiani sono assenti: ad esempio, manca l'ENEA, ed è complicato che questo ente, che per altri aspetti segue una serie di questioni a livello di Piano di controllo e collaudi (PCC), non sia coinvolto in una iniziativa euromediterranea su un fronte così delicato. Per essere chiari, noi dobbiamo lavorare su due fronti: il primo è conoscere quel che sta accadendo, come lei stesso diceva; l'altro è agire. Ormai sappiamo che la conoscenza, pur non essendo più propedeutica all'azione - dal momento che l'azione viene sancita nei trattati internazionali, attraverso determinate politiche e scelte - rimane comunque sempre necessaria.
La prima richiesta, allora, è sapere se il Ministero possa - non so se attraverso una moral suasion o qualcosa di più - favorire un coordinamento più forte fra queste iniziative, altrimenti corriamo anche il rischio di disperdere l'energia.
Ricollegandomi a questa richiesta, e riprendendo il discorso su Sarkozy - anche per tenere in rete le politiche - ho letto sui giornali che ieri, ad esempio, nell'incontro che si è svolto fra Prodi e Sarkozy, uno dei punti chiave - forse l'iniziativa più rilevante emersa - è l'idea, di iniziativa dei Paesi dell'Unione europea che si affacciano sul Mediterraneo, di organizzare una conferenza euromediterranea. A mio avviso, se si facesse una conferenza euromediterranea - essendo chiaro che flussi migratori, prospettive di


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sviluppo, mutazioni delle culture, tutto incrocia in parte anche la questione climatica - uno dei punti focali sarebbe capire come le politiche si attrezzino a livello di economia, di relazioni internazionali, di rapporti fra Stati in merito all'argomento.
Mi chiedo quindi, signor Ministro, se sia possibile - lo chiedo anche al presidente Folena - presentare una risoluzione congiunta delle nostre Commissioni che, in prospettiva della annunciata Conferenza euromediterranea, spinga nella direzione di assumere pienamente il coordinamento scientifico delle politiche sui mutamenti climatici come uno dei punti chiave.
Un'altra considerazione che vorrei esprimere riguarda gli aspetti conoscitivi e scientifici della meteorologia e quanto è ad essa correlato: vorrei sottolineare, signor Ministro, che ci arrivano segnali sulla difficoltà nel ragionare seriamente di meteorologia in una situazione - quella italiana - in cui non c'è ancora un'efficiente e coordinata rete di meteorologia civile, e si fa troppo riferimento alla struttura dell'Aeronautica militare...

PRESIDENTE. Mitica!

ERMETE REALACCI, Presidente della VIII Commissione. Certo, per fortuna che esiste! Ma molte volte non è la più adatta, anche perché avere una rete di meteorologia civile serve per tanti scopi: dall'evitare che le precipitazioni - sempre più improvvise e catastrofiche - abbiano determinati effetti, alla programmazione di interventi in agricoltura. Si tratta, insomma, di tante questioni differenti.
Questo è un punto debole del sistema italiano: siamo l'unico grande Paese in cui manca una rete di meteorologia civile. Germania, Inghilterra, Francia, Stati Uniti hanno una rete non militare che, quindi, ha una versatilità maggiore in materia.
L'ultima questione che intendo porre riguarda una argomento che mi sembra sia stato discusso dai colleghi in aggiunta all'indicazione degli elementi, giustamente segnalati, di approfondimento disciplinare nei vari campi: mi riferisco alla questione delle ricadute e ritengo che, in questo caso, l'interlocuzione sia più appropriata con il Ministero dello sviluppo economico.
È chiaro che le attività della ricerca e delle università aiutino fortemente una battaglia in cui l'entrata in campo della materia prima meno inquinante che abbiamo, l'intelligenza umana, è determinante se si interfaccia con le scelte produttive, con i brevetti, con l'innovazione, con le scelte che vengono compiute nei vari campi.
Lei stesso ha accennato ad alcuni filoni strategici di ricerca come, ad esempio, il confinamento della CO2, che è un problema chiave, non solo per l'Italia: penso, ad esempio, alla Cina che ordina una centrale a carbone a settimana ed è chiaro che in quel caso sarà complicato impedire ai cinesi di costruire centrali a carbone: o troviamo una soluzione, oppure il problema sarà molto serio per tutti.
Mi chiedo, ad esempio: rispetto al progetto avanzato dal Ministro Bersani, «Industria 2015» - che presenta una serie di filoni, uno dei quali è proprio l'energia - che rapporto c'è con il Ministero della ricerca e dell'università? Se non si mettono più in rete queste attività ho l'impressione che, in questa sfida, l'Italia - che già parte in svantaggio rispetto ad altri paesi, mancando una piena consapevolezza nel mondo politico generale - risulti molto indebolita.

PRESIDENTE. La proposta che avanza il presidente Realacci mi sembra molto giusta e ritengo opportuno che la si raccolga: occorre studiare un testo e lavorare ad un atto congiunto.
Una delle cose che più colpiscono è l'assoluta mancanza della capacità di fare sistema. Tra l'altro, il Ministro Mussi nella sua introduzione ne ha approfittato per darci un'informazione di carattere un po' più generale, anche se sono necessari ulteriori approfondimenti per quanto riguarda ciò che si sta facendo nel campo della ricerca. A breve, arriverà presso la nostra Commissione il provvedimento di riordino degli enti di ricerca, già approvato dal Senato.


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Per quello che riguarda l'area del Mediterraneo in particolare, a dimostrazione del fatto che vi è il problema di fare sistema e di superare la moltiplicazione infinita di centri, enti e università mediterranee - o presunte tali: ne ho contate, in un'indagine personale, una ventina, nessuna delle quali ha effettivamente una funzione di questo tipo - esiste, a livello intergovernativo mediterraneo, l'intenzione di dar vita alla Fondazione Anna Lindh, con sede ad Alessandria d'Egitto; formalmente esiste già, ma sostanzialmente è bloccata, trovandosi in una fase ancora totalmente iniziale; essa dovrebbe diventare il luogo che permetterà di creare, in questo campo, una relazione fra la volontà politica e le comunità scientifiche e universitarie.
A tal proposito, signor Ministro, rispondendo al sollecito del collega presidente Realacci, vorrei sottoporle una questione. Giustamente, è stato fatto riferimento all'insensibilità politica - anche il vicepresidente Barbieri ne ha parlato - e all'irrilevanza che questi temi hanno nel mondo politico, in modo trasversale e a tutti i livelli istituzionali (condivido questa osservazione). Il secondo polo, quello della ricerca pubblica, ha le zone di eccellenza di cui il Ministro Mussi ci ha parlato, ma questo non vuol dire che l'intero sistema universitario e della ricerca ne sia consapevole: c'è, quindi, un secondo problema all'interno del primo. Esiste, inoltre, un terzo problema, che riguarda la ricerca privata e l'industria.
Qualche settimana fa il presidente di Confindustria - con tutto rispetto, non voglio fare polemiche in questo momento, non sarebbe simpatico - ha detto che le industrie chiuderanno perché non c'è l'acqua nella Pianura Padana. Ma se si apre, ad esempio, Google Earth (un programma molto noto che ci permette di avere sostanzialmente la fotografia dell'ombrellone del bar sotto casa nostra), si può vedere che il livello di densità industriale della Pianura Padana è il più alto del mondo; perciò si può anche pensare di costruire autostrade o di usare l'acqua ma, alla fine, il tema vero è il modo in cui riconvertire un modello economico, non il fatto di continuare ad andare avanti lungo quella strada.
In questo senso Realacci accennava all'ENEA, ad esempio, il cui baricentro è nel Ministero dello sviluppo economico; questo rappresenta un problema, nel senso che il Ministero dell'università e della ricerca - è una delle ragioni per cui si è arrivati alla separazione - oltre a essere il dicastero a cui fanno riferimento gli atenei deve diventare anche il Ministero che, per quanto riguarda la ricerca, è in grado di svolgere una politica interministeriale fra i dicasteri e, in qualche modo, di elevare il livello complessivo dell'attenzione sulla ricerca in tutti i campi: in caso contrario rischiamo di non farcela.
Infine, vorrei sapere se il Ministro sia a conoscenza dei programmi, nell'ambito dell'autonomia dei singoli atenei e delle singole università, relativi al risparmio energetico e al carattere ecologico del sistema universitario nei territori e se, comunque, si può pensare, insieme alla Conferenza dei rettori - che magari potremmo anche sentire, su questi stessi argomenti, più avanti - a una iniziativa in questo senso.

ERMETE REALACCI, Presidente della VIII Commissione. È giustissimo quello che dice il presidente Folena; anche in questo caso c'è, signor Ministro, una questione tecnica: noi abbiamo varato nella finanziaria una misura molto importante, che prevede lo sgravio del 55 per cento per i cittadini che, ristrutturando il proprio appartamento, introducono elementi a favore del risparmio energetico. Mi chiedo, signor Ministro: cosa impedisce, Padoa Schioppa permettendo e facendo gli adeguati calcoli, di estendere questa misura agli enti pubblici? Non si capisce perché questa misura valga per il singolo cittadino e non valga per un'università o per una scuola.

PRESIDENTE. Do ora la parola al ministro per la replica.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Vi ringrazio per l'attenzione.


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Ho provato a dare informazioni utili.
Le vostre osservazioni mi sollecitano qualche breve ulteriore riflessione: la presenza della scienza e della tecnologia nell'informazione sta diventando questione di prim'ordine, nel senso che assistiamo ad una sua progressiva scomparsa.
Io resto spesso colpito da alcuni episodi; ad esempio, dieci giorni fa ho visitato, insieme al Ministro Parisi, Thales Alenia Space, dove stanno costruendo il secondo satellite: vi assicuro che è uno spettacolo, sono tecnologie fantascientifiche. Si possono vedere pezzi di materiali che sembrano pesare tonnellate e si alzano con un dito, perché sono materiali assolutamente evoluti, a nido d'ape; sono stati risolti problemi tecnologici straordinari.
E qui apro un inciso: c'era un gruppo di giornalisti - alcuni dei quali competenti - che hanno fatto domande appropriate, ma sui giornali non è uscita che qualche breve riga. Nei loro giornali, il loro peso è marginale. Se fosse accaduto un incidente o qualcosa del genere se ne sarebbe parlato di più!
Al seguito vi era un altro gruppo di giornalisti, che erano invece quelli che nei loro giornali contano di più e che, mentre stavo osservando il combustibile solido, mi chiedevano: «Cosa dice? Ha visto ieri Fassino? Ha visto Rutelli?». Se io avessi risposto anche con un battito di ciglia, sarei stato in prima pagina.
C'è stata una conferenza stampa con i giornalisti specializzati, bravissimi, che hanno fatto domande specifiche; è durata un'ora e trenta, e abbiamo dato informazioni persino con una leggera titubanza perché si parlava di dati sensibili, ovviamente, per cui per dare informazioni ci siamo guardati con i responsabili dell'ESA e dell'ASI per sapere se alcune cose potevano essere dette. Ebbene, se avessi fatto una battuta sulla giornata politica, mi sarei ritrovato in prima pagina!
La politica è una cosa che spesso non si può guardare, ma nello specchio dell'informazione è una cosa che fa ribrezzo; lo specchio non la migliora, ma la peggiora, pertanto dobbiamo fare uno sforzo.
Tra l'altro, i programmi scientifici in televisione sono molto seguiti: molte persone seguono Gaia piuttosto che Quark. Va detto che la televisione talvolta confonde un po' le acque, perché capita di vedere un programma che si presenta con un format scientifico ma che dopo un minuto comincia a parlare di ectoplasmi, extraterrestri o fantasmi, però in modo scientifico.
Ad esempio, ho visto una trasmissione in cui si diceva che in Europa ci sono quarantanove castelli infestati dai fantasmi, e venivano mostrati alcuni casi di chiare truffe. In tale programma si sosteneva che di questi quarantanove, probabilmente le truffe saranno state quarantacinque, mentre in relazione a quattro casi si manifestavano dei dubbi.
L'altro giorno ho seguito una trasmissione dove veniva presentata una popolazione subsahariana del Mali che celebra, da diversi secoli, una cerimonia ogni sessant'anni: c'è una stella nana bianca, gemella di Sirio, che è stata vista dagli astronomi solo nel secolo scorso e che ha un periodo di rivoluzione di sessant'anni. Come altro si può spiegare la cerimonia di quel popolo se non con il fatto che sapevano della stella nana? E, non avendo il telescopio, come altro si poteva spiegare questa conoscenza se non che sono entrati in contatto con gli extraterrestri provenienti dal pianeta Sirio? Questa tesi veniva sostenuta in una trasmissione televisiva. Sono un appassionato, anch'io prendo il caffè ogni tre ore, che è l'intervallo di una pulsar del sistema di Orione. Probabilmente i miei antenati hanno incontrato gli extraterrestri!
Da un lato, quindi, abbiamo la trascuratezza di una parte dell'informazione e, dall'altro, la mescolanza dell'informazione con elementi magici e misteriosi; tecnica nota, dal momento che si pensa che i misteri aiutino l'ascolto. Bisognerà vedere di migliorare, sostenendo coloro - pochi - che stanno facendo bene il loro mestiere nell'informazione.
I programmi sono recenti, perché l'assegnazione è del 2006, quindi sono trascorsi pochi mesi. Ora li si lascia lavorare


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e poi si vedrà se arriveranno a qualche conclusione oppure se sono programmi che non daranno particolari esiti.
Convengo che si studia molto e si fa poco, e dirò fra un attimo qualcosa anche sulla responsabilità dei Governi nel fare, non solo nel promuovere la conoscenza, anche se accumulare la conoscenza è uno dei modi del fare.
L'onorevole Filipponio mi ha sfidato su un terreno a me particolarmente caro: convengo con lei che, nonostante tutto quello che stiamo dicendo, ci siano settori di assoluta avanguardia della nostra ricerca. Il rapporto costi/benefici è eccellente, perché spendiamo - e non oso guardare le statistiche sul 2007 - l'1,1 per cento del PIL. Questo dato è forse lievemente sottostimato perché è difficile rilevare la ricerca, ad esempio quella della rete dei piccoli: siamo circa allo 0,3 - 0,4 per cento sotto la media OCSE, e siamo poco oltre la metà della media europea. Il nostro Paese è considerato un partner di grande rango nella cooperazione sulla ricerca, solo che quando ho occasione di andare nelle sedi europee vorrei sparire quando sento i colleghi finlandesi, svedesi, norvegesi, danesi che dicono: «a Lisbona abbiamo stabilito il 3 per cento sul PIL, noi siamo già oltre: pensiamo al 4 - 4,5 per cento»; oppure i colleghi olandesi, francesi o tedeschi che stanno sopra il 2 per cento e che corrono verso il 3 per cento, come previsto; oppure il collega spagnolo, il cui Paese si attesta più o meno al nostro livello - in termini di massa assoluta: data la differenza dei due PIL la Spagna è molto sotto rispetto all'Italia - ma è in crescita del 30 per cento all'anno.
Nonostante questo, i nostri ricercatori - il rapporto di David King è pubblicato su Nature dal Governo inglese - vengono stimati terzi al mondo per produttività pro capite, dopo gli inglesi e i canadesi.
Siamo quindi un Paese curioso...

ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Ci aiuti lei!

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Lo so, poi le spiegherò come. Siamo un Paese che estrae il sangue dalle rape. Se invece di rape avessimo qualche prodotto più succoso chissà cosa potremmo fare, ma questo è un altro discorso.
Per quanto riguarda il dualismo fra la tecnica e i diritti della natura, lei mi sfida su Heidegger e la sua definizione di Dasein: il nostro esserci è la tecnica, e per la verità questo lo avevano capito anche i greci.

ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Infatti ho citato Parmenide.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. I greci l'avevano capito: nel mito greco sulla tecnica è contenuto, in modo straordinariamente preveggente, il carattere ambivalente della tecnica. Tutti conoscono Prometeo, ma meno noto è il fratello scemo di Prometeo, Epimeteo, incaricato dagli dei di distribuire i beni agli esseri viventi. Ne aveva una grande cornucopia colma ma, essendo un po' sventato, quando fu il momento di distribuire i doni agli uomini si rese conto di averli già dati tutti agli animali: i denti al leone, il volo all'aquila, la velocità alla gazzella.
A quel punto, solo per non far fare brutta figura al fratello stupido, Prometeo strappò il fuoco agli dei, ovvero la tekne. I greci avevano chiaro che la tekne fosse dono e destino, e infatti la tecnica è gioia e delizia, nel senso che la tecnica scatenata applicata all'industria ha un impatto sul pianeta e, tuttavia, per rimediare non c'è che la soluzione della tecnica, cioè di una tecnica più evoluta, di un ulteriore salto tecnologico. I greci questo lo sapevano bene. Quanto poi al diritto della natura, io sono leopardiano: la natura «se ne frega». La natura legge Leopardi.

ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Io mi riferivo semplicemente ai diritti della natura. È vero che la natura «se ne frega», ma io sono dell'opinione che i valori ci sono, in sé e per sé. Il problema è che noi non li seguiamo. Chi ci rimette non sono i valori, siamo noi.


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FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. A me piacciono i diritti dell'ambiente.

ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Io dicevo la stessa cosa. Certo, la natura tanto «se ne frega» di noi che poi, in fondo, si vendica. Per dirla hegelianamente - credo sia uno dei filosofi a lei particolarmente cari - è «la durezza dell'essere». Proprio per questo motivo sarebbe bene informarci sul fatto che la natura «se ne frega»: per darci una smossa.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Il tema è l'oikos. L'oikos è il sistema di relazioni dell'uomo con ciò che lo circonda. Il problema vero è che le leggi della natura sono di una potenza assoluta, e che noi abbiamo un sistema economico-sociale che contrasta con il secondo principio della termodinamica: e in questo caso, chi si romperà la testa è già scritto.
E non c'è dubbio che, ad esempio, il tema della responsabilità verso le generazioni future appartiene al tempo stesso al campo dell'etica e a quello del diritto. È curioso, perché questo tema appare per la prima volta nel cuore del pensiero del più reazionario degli ultimi secoli, il Burke, il quale critica la rivoluzione francese perché dice: «non ne avevate il diritto, perché quando si producono effetti di quella portata bisogna chiedere l'autorizzazione alle generazioni che verranno, mentre voi rivoluzionari non l'avete fatto. La rivoluzione è dunque illegittima». È quindi il Burke - un gigante, un reazionario assoluto - a sollevare la questione della responsabilità verso coloro che verranno, che oggi è una questione cruciale per poter assumere decisioni informate.
Sulla questione del Mediterraneo, che lei ha posto e che è stata ripresa dai presidenti Realacci e Folena, noi abbiamo una particolare responsabilità. È in corso un processo molto importante di integrazione di vaste aree, che dovrebbe concludersi nel 2010 e che contempla molti aspetti, giuridici, finanziari ed altri: è la costituzione di uno spazio unico della formazione superiore e della ricerca in Europa. Il che vuol dire integrazione dei sistemi, armonizzazione dei sistemi di valutazione, mobilità, riconoscimento dei titoli: una sola Europa nel campo dell'università e della ricerca.
La questione, che non si aprirà allora ma che è aperta sin da oggi e che chiama la responsabilità dell'Europa e dell'Italia in particolare, è quella mediterranea: dopo un primo tentativo che venne fatto pregevolmente dalla signora Moratti con la Conferenza di Catania - ottima iniziativa - la rilanciamo al Cairo, il 18 prossimo venturo, in un incontro euromediterraneo delle università.
Qualche settimana fa ho incontrato il rettore dell'Università israelo-palestinese di Haifa, il premio Nobel per la chimica Ciechanover, che mi ha detto che l'intervento dei soldati italiani in Libano è stato positivo, perché altrimenti sarebbe andata a finire in un bagno di sangue, precisandomi però che l'esercito può fermare la guerra, non può fare la pace; egli mi ha poi riferito che per fare la pace ci vogliono l'università e la ricerca e che noi dobbiamo prendere l'iniziativa nell'area mediorientale con le università. Il Nobel Ciechanover mi ha detto persino che l'Italia è l'unico Paese che può farlo, perché la Grecia è ancora troppo piccola, la Spagna è tutta orientata al Maghreb, in termini di politica estera, mentre la Francia, pur essendo più forte, è un Paese un po' ingombrante. L'Italia, per la sua condizione geopolitica, è un Paese che può essere l'interlocutore svolgendo un ruolo da pivot (quindi, non da sola). Egli mi ha detto: «prendete iniziative sul Libano, sui giovani, sull'università; voi potete anche operare con un'idea allargata di Medio Oriente, fino alla Siria e all'Iran». Detto da un israeliano, l'ho trovato molto suggestivo, e penso che abbiamo proprio questa responsabilità.
Onorevole Mariani, le rispondo sul tema dei finanziamenti e del coordinamento. Vorrei parlare in questa sede di una questione, che finora ho tenuto riservata all'ambito del Governo ma che non posso tenere per me: l'anno scorso erano


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stati previsti nella legge finanziaria nuovi finanziamenti su alcuni capitoli, e su altri dei risparmi: i tagli del consumo intermedio delle università e l'ex articolo 53 comma 507, cioè l'accantonamento del 9 per cento su tutti i capitoli di bilancio, che tocca il budget degli enti di ricerca - che hanno avuto 136 milioni in più ma 208 di accantonamento - e i fondi per i programmi di ricerca.
Se non ci sarà un rapido disaccantonamento, non potrò emettere i bandi per i Progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN), una delle voci fondamentali del finanziamento alla ricerca di base; la questione naturalmente riguarda il Governo, ma comincio a immaginare che riguardi anche il Parlamento. Quest'anno, per la prima volta, se entro poco tempo non si disaccantonano quei fondi non ci sarà il finanziamento. Quando dico entro poco tempo intendo dire entro giugno, altrimenti siamo in ritardo e quest'anno non si possono spendere più soldi.
Ne approfitto: avendo già informato per iscritto i colleghi del Governo che devono essere informati, informo anche il Parlamento.
Sul problema del coordinamento, posto prima dalla collega Mariani e poi da Ermete Realacci e anche da Pietro Folena, vedo anch'io che c'è molta roba - per dirla con un linguaggio un po' da bar -, una molteplicità di interventi che fa emergere un problema di coordinamento.
Mi permetto di dire che forse il problema riguarda anche gli assetti del sistema, perché ci sono molti istituti di ricerca - abbiamo visto anche l'Agenzia spaziale italiana (ASI), l'Istituto nazionale di astrofisica (INAF), l'Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale (OGS) e via discorrendo - che si occupano di questioni relative ai cambiamenti climatici e all'energia; ci sono molte università - delle quali è difficile fare persino l'inventario, ma io ne visito molte - che lavorano sulle celle a combustibile, sull'idrogeno, sull'architettura ecosostenibile, su motori ad alta efficienza, su materiali, sulla superconduttività. Esse lavorano spesso in collaborazione con grandi università straniere - americane, inglesi, tedesche - quindi dispongono di tanto materiale di cui è facile perfino fare l'inventario.
Dovremmo forse ripensare gli assetti fondamentali, perché ci sono molti istituti del CNR che fanno ricerca sulle questioni che riguardano l'energia e c'è anche l'ENEA, che è al tempo stesso agenzia, come l'ASI, ed ente di ricerca, i cui studi si sovrappongono a quelli del CNR.
Forse dovremmo cominciare ad immaginare una ristrutturazione del sistema, perché con il CNR che ha 108 istituti e l'ENEA che fa promozioni industriali tecnologiche e al tempo stesso ricerca, forse la situazione si è fatta un po' confusa, anche se ogni volta che si prospetta un intervento sulle strutture tutti si lamentano e gli scudi si alzano! Nel disegno di legge delega sugli enti di ricerca in discussione al Senato - che dà qualche strumento utile - i colleghi senatori hanno creduto bene di limitare le possibilità di intervento solo all'Istituto nazionale per la fisica della materia (INFM), all'INOE e alla Vasca navale (l'INSEAN, Istituto nazionale per studi ed esperienze di architettura navale, dove si studia l'idrodinamica) quando invece, a mio avviso, ci sarebbero le condizioni per rivedere l'intero sistema.
Rispondo al collega Realacci dicendo che il Ministero dell'università e della ricerca è coinvolto, attraverso i suoi rappresentanti, nella preparazione della Conferenza sul clima promossa dal Ministero dell'ambiente. Certo, la necessità di sviluppare una rete civile meteorologica è una questione vera, anche se vorrei evitare l'ossessione statunitense sulle previsioni del tempo, perché ormai le televisioni trasmettono 20 ore al giorno le previsioni del tempo.

EMERENZIO BARBIERI. Sul canale satellitare di Sky.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Sì, solo su questo, ma anche in tutte le altre dilagano le previsioni del tempo; è importante farle, ma senza farsi ossessionare.


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È vero che siamo indietro anche rispetto a quello che stanno facendo altri Governi, come quello tedesco e quello inglese. È importante l'annuncio del nuovo Presidente francese, perché oltre a ricercare bisogna poi anche fare, e questo rappresenta il punto di vista della politica di promozione del risparmio energetico con tecnologie più avanzate.
In Italia siamo molto indietro sulle energie alternative, anche inspiegabilmente, dato che abbiamo sole e vento ben più della Germania.
La Germania sta facendo cose straordinarie sull'architettura ecologica: ho visitato stabili pubblici a Berlino dove non c'è riscaldamento perché i sistemi avanzati di circolazione delle masse d'aria riescono a tenere in equilibrio la temperatura, per cui d'inverno fa fresco e d'estate non fa caldo; c'è una fortissima promozione anche degli investimenti dei privati, e noi in questo dobbiamo darci sicuramente una mossa.
Vorrei darvi un'informazione, vista la critica iniziale mossa dall'onorevole Barbieri sul ritiro della firma italiana sulla dichiarazione etica, ovvero il ritiro della firma dalla minoranza di blocco: questa posizione ha avuto il pieno avallo del Parlamento - con una mozione approvata al Senato - che ci ha consentito di avere le spalle coperte in Europa.
Onorevole Barbieri, l'Austria, che era dentro la minoranza di blocco, è venuta a propormi - offrendo in cambio sostegni per sedi, convinta di trovare ascolto - la partecipazione dell'Italia ad una minoranza di blocco per fermare i finanziamenti Euratom sulle tecnologie del nucleare sicuro. Era convinta di ottenere la firma dell'Italia, perché noi non abbiamo centrali in funzione e non prevediamo di costruirne altre. Per noi sarebbe stato conveniente: si trattava di una grossa cifra di denaro il cui impiego poteva essere impedito dalla partecipazione italiana, bastando la nostra firma alla minoranza di blocco; tale denaro poteva essere destinato, ad esempio, al programma relativo alle piccole e medie imprese, che prevede, attualmente, 1.320 milioni di euro, ai quali l'Italia è molto interessata perché essendo il Paese che ha più piccole e medie imprese prenderebbe una parte cospicua di quelle risorse. Non ho firmato, nonostante l'Austria mi abbia proposto proprio di portare quei soldi sulle piccole e medie imprese!
Perché devo bloccare la ricerca europea per avere comunque tecnologie più sicure, a favore di quei Paesi che hanno fatto la scelta del nucleare? Perché, per un interesse italiano, devo impedire ai tedeschi, ai francesi, agli svedesi, agli inglesi, di progettare - visto che hanno fatto quella scelta - centrali nucleari più sicure? La firma dell'Italia su quel documento avrebbe impedito il finanziamento e avremmo avuto un vantaggio come Paese, ma sarebbe stata una iniziativa sciagurata in sede europea.
Quando ho detto di no, il collega austriaco ha sgranato gli occhi: non ci credeva, avendo l'Italia tutto l'interesse a firmare, dal momento che ci veniva promesso del denaro e che in Italia non ci sono centrali nucleari. Ma così non si fa l'Europa: così la si disfa. Quindi non ho partecipato a quella minoranza di blocco, e credo che dovremmo pensarci bene prima di aderire a questo tipo di iniziative.
Rispondo ancora all'onorevole Realacci su «Industria 2015». Anche in quel caso occorre darsi da fare: si parla di 1.200 miliardi di euro in tre anni, e il primo settore in cui devono essere investiti è l'energia. In quel caso esiste la cooperazione di tre Ministeri: attività produttive, università e ricerca, riforme e innovazioni nella pubblica amministrazione. Bisogna accelerare il passo perché lì esistono delle risorse.
Alle osservazioni del presidente Folena ho risposto nell'ambito della questione Mediterraneo. Quanto alle parole di Montezemolo sull'allarme per l'ambiente e per le imprese che si fermano perché non c'è acqua, ci sono due risvolti: il primo è quello del modello italiano; l'altro è che se il presidente di Confindustria aspira a non rappresentare solo l'interesse sindacale degli associati ma l'interesse generale, forse


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deve allarmarsi anche quando l'acqua manca ai cittadini, non solo quando manca alle imprese.
Voglio dire che il problema dell'acqua non è grave soltanto quando la si toglie alle imprese che non ne hanno più per raffreddare gli impianti: è grave anche quando l'acqua è inquinata, manca all'agricoltura, non arriva nelle case, scende nelle faglie, provoca la salinizzazione delle aree costiere, mette in difficoltà la vita animale. Anche questo è il problema dell'acqua, non solo quando non arriva al consumatore impresa. Dobbiamo abituarci a pensare all'interdipendenza, non solo agli interessi di settore.
Sulla questione degli sgravi del credito di imposta da estendere anche agli edifici e alle istituzioni pubbliche ovviamente sono d'accordo. Ci sono diverse università, per la verità, che stanno elaborando dei programmi di cogenerazione solare, di cambiamento dei sistemi di illuminazione ed altro.
Inoltre, il taglio dei consumi intermedi ha avuto effetti sulla riduzione dei consumi energetici: le università che chiudevano alle 21 oggi chiudono alle 19; oppure quelle che chiudevano il sabato mattina chiudono il venerdì pomeriggio, per cui si registra una decisa riduzione del fabbisogno energetico. Se il prossimo anno si raddoppia, si farà un giorno alla settimana di lezioni, per cui non ci sarà bisogno di riscaldamento e di luce: un risparmio secco! Dopodiché non avremo più cervelli che lavorano sulle tecnologie alternative, ma a questo ci penseranno altri.

PRESIDENTE. Nel ringraziare, anche a nome del presidente Realacci, il Ministro Fabio Mussi, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,20.