COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 25 ottobre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ERMETE REALACCI

La seduta comincia alle 14,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfonso Pecoraro Scanio, sugli orientamenti del Governo italiano in vista della «Conferenza mondiale sul clima» di Nairobi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfonso Pecoraro Scanio, sugli orientamenti della Governo italiano in vista della «Conferenza mondiale sul clima» di Nairobi.
Innanzitutto, ringrazio il ministro Pecoraro Scanio che, nonostante la fase convulsa dei lavori parlamentari legati alla presentazione del disegno di legge finanziaria per il 2007, ha accolto l'invito - giunto da vari componenti della Commissione - ad esporci la posizione con cui il Governo italiano parteciperà alla Conferenza di Nairobi, che verte su un tema che ci sta molto a cuore.
Prima di dare la parola al ministro, invito i colleghi a prendere visione della risoluzione che è in distribuzione presso la Commissione e che saremo chiamati a discutere al termine dell'odierna audizione. Tale risoluzione - sottoscritta da gran parte dei deputati presenti - ricalca, in forma pressoché identica, un analogo atto di indirizzo sulla Conferenza di Nairobi, già presentato al Senato lo scorso 17 ottobre e sostenuto da tutti gli schieramenti politici presenti in quella sede. Sollecito, dunque, i colleghi che desiderassero sottoscrivere il documento a darne tempestiva comunicazione, con l'auspicio che esso venga fatto proprio dall'intera Commissione, per contribuire, così, insieme al Senato, ad indirizzare l'attività del Governo su tematiche di importanza strategica per il futuro del pianeta.
Approfitto, inoltre, della presenza del ministro per segnalare che, tra gli emendamenti presentati dalla Commissione al disegno di legge finanziaria, ve n'è uno da noi formulato volto a recuperare una misura già ottenuta, dall'allora opposizione, nella passata legislatura. Si tratta di una misura volta ad inserire in maniera organica nel DPEF una valutazione dello stato di avanzamento delle politiche di Kyoto e delle misure concrete che il Governo avesse inteso adottare in quella direzione. Tale valutazione si è poi stemperata (incidendo in misura più debole in questo DPEF), a seguito dell'abrogazione - avvenuta a Camere sciolte, ad opera del vecchio Governo - di quella disposizione. Invito, pertanto, il Ministero dell'ambiente a prestare attenzione in tal senso, perché quello strumento consentirebbe di infondere maggiore forza alle politiche di Kyoto, che altrimenti correrebbero il rischio di essere trattate con grande attenzione in sede internazionale ma con scarsa


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cogenza in Italia, quando si tratta di affrontare i problemi pratici che la politica sottopone al nostro paese.
Do ora la parola al ministro.

ALFONSO PECORARO SCANIO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Vi ringrazio, innanzitutto perché è molto importante un'attenzione del Parlamento a tutto ciò che riguarda non solo il Protocollo di Kyoto, ma, in generale, il problema dei cambiamenti climatici.
Colgo l'occasione per segnalare che, lunedì scorso, in sede di Consiglio dei ministri dell'ambiente dell'Unione europea, è stata definita la posizione comune con cui l'Unione europea si presenterà a Nairobi. Ad animare il documento è stato il desiderio di veder finalmente riconosciuto all'Unione europea un ruolo di guida nell'impegno globale per arginare le conseguenze (particolarmente rilevanti, secondo la comunità scientifica) - del mutamento climatico in atto.
Per ottenere questo risultato, occorre partire da un impegno fondamentale, che il Governo italiano intende sostenere e che è previsto anche nel suo programma - in accordo con le esigenze della comunità mondiale, avvalorate dal mondo scientifico - , ossia quello di lavorare affinché l'aumento della temperatura del pianeta non superi i 2 gradi rispetto alla media delle ere del periodo preindustriale. La preoccupazione molto forte e unanimemente consapevole della comunità scientifica a livello mondiale, infatti, è che un aumento della temperatura planetaria superiore ai 2 gradi centigradi possa provocare, sulla terra e sul clima, effetti tali da non consentire la sopravvivenza dell'attuale sistema di vita degli esseri umani, con la conseguenza che il pianeta rischierebbe di sopravvivere con qualche specie in meno.
Abbiamo quindi l'esigenza di «socializzare», innanzitutto, questo dato ormai acclarato.
Da ciò si ricava il motivo per cui, a livello internazionale (come è avvenuto, da ultimo, alla Conferenza del G8 di San Pietroburgo), in una dichiarazione comune della Merkel, di Chirac, di Prodi e di Blair, è stato sottoscritto l'impegno ad arrivare, entro il 2050, ad un taglio significativo di oltre il 50 per cento delle emissioni di CO2. Un aumento medio della temperatura di due gradi centigradi, infatti - è bene ricordarlo -, può comportare, alle latitudini maggiori, difficoltà particolarmente significative.
Per evitare un aumento della temperatura superiore a due gradi centigradi, si stima che le concentrazioni dei maggiori gas serra in atmosfera debbano stabilizzarsi attorno alle 400-450 parti per milione (ppm). Ciò - rispetto ai valori del 1990 - corrisponde ad un taglio di emissioni pari a circa il 60-75 per cento, da raggiungere entro il 2050; si prevede, altresì, un traguardo temporale intermedio (il 2020) entro cui le emissioni di CO2 dovranno essere abbattute del 30 per cento. Questi sono i dati di cui anche l'Unione europea tiene conto.
A fronte di tali prospettive, appare evidente che il semplice raggiungimento degli obiettivi fissati nel primo periodo di applicazione del Protocollo di Kyoto rappresenta un primo passaggio verso politiche energetiche importanti; tuttavia, tale risultato deve essere perseguito con interventi molto più energici di quelli attuali.
In tale quadro, abbiamo l'esigenza di operare, anche in Italia, sulla base di un piano nazionale, per ridurre le emissioni in misura consistente tra il 2008 e il 2012, in accordo con le scadenze stabilite dal Protocollo di Kyoto. I tagli - che dovranno riguardare vari settori di intervento, conformemente a quanto previsto dalla direttiva n. 87 del 2003 -, includono, ovviamente, la conseguente riduzione delle quote di emissione assegnate al settore industriale negli anni precedenti (riduzione pari a 24 milioni di tonnellate annue). Con grande fatica, abbiamo raggiunto un'intesa con il Ministero dello sviluppo economico per definire il quadro totale delle emissioni di CO2 del settore industriale, con il risultato di portarne l'ammontare a 200 milioni di tonnellate annue (contro le 224 precedenti). A ciò si aggiungono i 6 milioni di tonnellate che


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andranno all'asta e che potranno essere acquistate dalle aziende in Italia: questo consentirà di reinvestire quanto ricavato in misure di efficienza energetica, volte all'abbattimento dei livelli di CO2.
Per il momento, si tratta di una proposta, considerato che il riparto dettagliato delle assegnazioni tra i vari comparti del settore industriale è ancora oggetto di definizione. Il fatto, però, che l'Italia abbia lanciato questo segnale e l'azione svolta, lunedì, nel Consiglio dei ministri dell'ambiente, hanno consentito di ottenere un primo importante successo per il nostro paese. Come richiesto da molti operatori, soprattutto del mondo dell'industria, il commissario Dimas ha dichiarato, a verbale - su mia richiesta, al Consiglio dei ministri -, che per l'Unione europea, e dunque per i piani nazionali di allocazione delle quote (i quali sono ancora in fase di presentazione e saranno esaminati nel mese di novembre dalla Commissione), i valori di riferimento per le emissioni effettive saranno quelli registrati nel 2005 e non le stime che, come sapete, avevano portato ad una sovrallocazione delle emissioni tedesche e francesi. Il nostro settore industriale, peraltro, contestava duramente il fatto che Francia e Germania avessero dichiarato, in base a tali stime, di emettere più CO2 di quella effettivamente prodotta, e che quindi potessero persino vendere le emissioni in sovrallocazione, mentre l'Italia era realmente gravata dal problema di rilasciare una quota di emissioni nettamente superiore a quella assegnata.
Se, però, la richiesta di aumentare le emissioni italiane, avanzata in un primo tempo anche da alcuni uffici del Governo, era obiettivamente insostenibile (volendo andare a Nairobi a chiedere alla Cina, all'India e agli Stati Uniti di tagliare le emissioni di CO2), diversa valutazione deve darsi alla scelta infine compiuta dal nostro paese, come dimostrano i risultati recentemente conseguiti. Non appena l'Italia ha dato atto di un impegno ad adeguarsi alle scelte migliori a livello internazionale, si è riscosso il primo successo, ossia l'impegno ufficiale della Commissione europea a non consentire questa sovrallocazione, e quindi a reintrodurre un elemento di competitività. Giustamente, rispettiamo la necessità di ridurre le emissioni di CO2, ma non possiamo consentire la sovrallocazione, ed è giusto che l'Unione europea lavori in questa direzione. Ciò è importante perché abbiamo bisogno, come primo presupposto significativo, di lavorare in tale comparto.
Secondo obiettivo importante per l'Italia è intervenire nel settore del trasporto. I grandi comparti che contribuiscono all'emissione di CO2, oltre al settore industriale - che svolge un ruolo importante soprattutto nel campo termoelettrico -, sono infatti quello dei trasporti e quello dell'abitazione.
Ritengo, peraltro, che - anche ai fini del lavoro in corso in sede di esame del disegno di legge finanziaria - possa essere utile l'impegno dei parlamentari della Commissione ambiente, affinché, anche nei comparti dei trasporti e dell'abitazione (housing, in inglese), vi siano i presupposti per effettuare un considerevole taglio delle emissioni (avendo questi settori subito ulteriori aumenti negli ultimi anni).
Ci chiediamo, dunque, quale sia la nostra esigenza. Certamente, avvertiamo l'esigenza nazionale che l'Italia avvii e realizzi una politica virtuosa di taglio effettivo delle emissioni di CO2, in grado di operare sui tre grandi comparti di riferimento. Senza dubbio, dovremo realizzare anche un intervento insieme al settore agricolo - ne ho parlato con il commissario all'agricoltura dell'Unione europea - per catturare la CO2 (obiettivo, almeno in parte, agevolato, visto che madre natura è da sempre in grado di recuperare l'anidride carbonica attraverso i processi di fotosintesi clorofilliana), anche utilizzando sistemi innovativi, integrando i fondi stanziati per il piano dello sviluppo rurale e cercando non solo di puntare su opere di forestazione e manutenzione corretta dei boschi, ma anche di prestare attenzione a tutta la produzione agricola, ed in generale al settore vegetale e alla sua naturale capacità di assorbimento di anidride carbonica (aspetto molto spesso sottovalutato).


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Quindi, mentre, da un lato, ci poniamo l'obiettivo dell'efficienza energetica (per utilizzare al meglio l'energia, facendo uso di energie rinnovabili, capaci di ridurre la produzione di CO2), dall'altro, abbiamo un'importante azione da svolgere in tutto il pianeta, e non solo nel nostro paese, nel segmento nazionale che può essere interessato.
Certamente, sono state ridotte, in termini percentuali, rispetto alle ipotesi iniziali, le quote di emissioni acquistabili all'estero; per l'esattezza, nel piano di allocazione, si prevede - per il settore termoelettrico - la possibilità di ricorrere all'estero per una quota massima di emissioni pari al 25 per cento, contro il 50 per cento richiesto, che era obiettivamente eccessivo. La proposta contenuta nel programma del Governo era addirittura più rigorosa di queste previsioni (si stabiliva che la quota da acquistare all'estero non fosse superiore al 20 per cento); tuttavia, pur di concludere la trattativa, si è deciso di spostare la soglia al 25 per cento.
Un altro aspetto importante riguarda il nostro modo di partecipare all'impegno internazionale. È altresì fondamentale che nella legge finanziaria sia previsto un fondo rotativo, presso la Cassa depositi e prestiti, di 200 milioni di euro all'anno per i prossimi tre anni, al fine di promuovere politiche di efficienza energetica e risparmio. Ci auguriamo, soprattutto, che tale fondo rotativo possa attivare una cifra maggiore - in termini di ritorno degli investimenti - rispetto ai 200 milioni di euro previsti in dotazione: se ciò avvenisse, le risorse liberate potrebbero essere fruttuosamente impiegate (ad esempio, per gli enti locali che intendessero investire sul trasporto elettrico).
So che il lavoro parlamentare ha prodotto degli esiti positivi, come l'istituzione di un fondo ad hoc per il trasporto pubblico: sarebbe molto importante che, su questo fronte e in tutte le iniziative realizzate nei vari settori, si concentrasse l'attenzione sull'obiettivo di Kyoto, che dev'essere un obiettivo di politica economica generale, non a latere.
Nel mare magnum della manovra finanziaria, in cui anche ai ministeri sfuggono una serie di emendamenti e di necessità, vigileremo perché la proposta avanzata dalla Commissione - già appoggiata, in passato, con ampia convergenza - venga accolta, allo scopo di introdurre nel DPEF e, mi auguro, in futuro, in tutti gli strumenti economici possibili, un riferimento stabile all'applicazione del Protocollo di Kyoto. Auspico che l'attenzione agli impegni del Protocollo possa divenire pari o addirittura superiore a quella volta a verificare il rispetto del Patto di stabilità, essendo più urgente l'azione da intraprendere: sono, infatti, il clima del pianeta e la sua preservazione ad essere messi in pericolo.
Da questo punto di vista, chiederei al presidente Realacci e ai commissari di valutare l'iniziativa - che tramite il ministero vorrei promuovere - di invitare i parlamentari membri delle Commissioni ambiente di Camera e Senato ad un incontro con gli esperti dell'Agenzia europea sull'ambiente: ritengo infatti necessario un aggiornamento - come fanno i ministri, che hanno maggiori contatti a livello europeo -, sulla reale situazione del cambiamento climatico.
Dico questo perché, ad ogni riunione del Consiglio dei ministri a cui partecipo a Bruxelles, tale situazione mi sembra più delicata. La collega della Danimarca, ad esempio, è impressionata dal livello di velocità dello scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia (ormai studiato con attenzione dalla Commissione del Senato degli Stati Uniti d'America, che vi si reca periodicamente). Personalmente, temo che la scarsa conoscenza dei dati scientifici e di quello che sta accadendo sia diffusa perfino tra i dirigenti politici. Sicuramente, la comunità scientifica fornisce molte notizie ma, se i politici non colgono l'urgenza della vicenda, temo abbiano poi difficoltà a tradurle.
Un ulteriore aspetto che, prima o poi, Parlamento e Governo dovranno valutare è quello relativo alle procedure di adattamento al cambiamento climatico in atto: troppo spesso parliamo di mitigation senza


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renderci conto del fatto che il mutamento del clima è già avvenuto. Ad esempio, il fatto che L'ICRAM (l'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare, che è organismo del ministero) abbia registrato, quest'estate, una temperatura di 29 gradi sulla superficie del mare dello stretto di Messina - quindi in una zona dove l'acqua si muove, non in un'area di mare fermo - evidenzia quanto sta avvenendo anche ai nostri livelli.
Andiamo a Nairobi, ovviamente, con il serio obiettivo di lavorare per convincere i paesi delle nuove economie emergenti, come la Cina e l'India, o paesi come gli Stati Uniti e l'Australia, che hanno avuto in passato grossi problemi sul Protocollo di Kyoto, ad aderire in modo sostanziale e sostanzioso come capacità di taglio delle emissioni di CO2 nella seconda fase: per noi questo è molto importante. Negli Stati Uniti, c'è bisogno di una grande attenzione verso quanto sta emergendo nei vari territori, perché, al di là delle decisioni dell'amministrazione federale, molti Stati, sia della costa atlantica sia della costa pacifica, stanno autonomamente elaborando piani per il taglio delle emissioni. Mi riferisco a Stati retti sia da governatori democratici sia da governatori repubblicani: quindi, non si tratta di un problema di schieramento politico, ma di una scelta che si sta diffondendo anche negli Stati Uniti. Ovviamente, si dovrà lavorare ancora molto su questo fronte.
Nei confronti della Cina e dell'India, esiste, poi, una necessità molto forte, e ormai anche una consapevolezza diffusa. La Cina ha varato misure rigorose di attenzione all'ambiente negli ultimi piani quinquennali, a causa dell'incalzante peggioramento del disastro ambientale, ormai riscontrabile ad occhio nudo.
Per lavorare in questa direzione, però, dobbiamo essere credibili. È per questo, ad esempio, che abbiamo cercato di costruire un carbon found specifico per i paesi africani, oggi quasi del tutto esclusi dalla realizzazione dei progetti CDM, in gran parte finanziati dalla Banca mondiale, soprattutto nel continente asiatico. I CDM sono i meccanismi flessibili, quelli con cui si comprano e si vendono le emissioni e si attuano iniziative. Quasi tutti i fondi mondiali del mercato delle emissioni hanno come destinatari unicamente sei paesi, e quelli africani rimangono sostanzialmente esclusi. Da parte sua, l'Unione europea, di fatto, negli ultimi anni, non ha promosso iniziative sul fronte che più sta a cuore ai paesi africani, quello della forestazione, o meglio della lotta contro la deforestazione. La deforestazione, attualmente, contribuisce ad incrementare dal 20 al 25 per cento all'anno le emissioni di CO2.
È chiaro, quindi, che una forte azione è necessaria, e il Governo italiano intende sostenerla, avendo avviato, per quanto riguarda la tutela delle foreste, rapporti con l'Indonesia, con alcuni paesi africani e con il Governo brasiliano. Occorre incentivare un'azione volta a bloccare la deforestazione e ad attivare piani di rimboschimento e di forestazione laddove è possibile, perché questo è un modo molto forte di intervenire. In questo senso, bisogna rivedere anche il meccanismo dei CDM e valorizzare, soprattutto, un sistema di vero aiuto internazionale, che non si traduca semplicemente nell'acquisto delle emissioni, senza investimenti seri per quanto riguarda le energie rinnovabili. In moltissime parti del pianeta, presso alcune comunità isolate - lo stiamo facendo con alcune cooperazioni internazionali in materia ambientale -, l'energia solare, l'eolico, l'autoproduzione rappresentano una rilevante soluzione, perché tali collettività non hanno reti elettriche né possibilità di allacciarsi ad esse: sostenere misure del genere, quindi, è un modo particolarmente responsabile di intervenire, e non solo al fine di promuovere iniziative di cooperazione.
Un'ultima considerazione riguarda le tecnologie emergenti per la cattura e il sequestro del carbonio. Di questo si è trattato anche nella posizione comune dell'Unione europea. Giustamente, è necessario incentivare la ricerca sul sistema per catturare il carbonio, misura recentemente collegata alla promozione dell'uso del carbone. Su tale fronte, vi è però un problema


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da risolvere, inerente alla collocazione del carbonio sequestrato: in altri termini, tutte le tecnologie utili al sequestro del carbonio debbono essere valutate in rapporto all'esistenza di un luogo in cui depositare questo materiale. Ad oggi, non esiste assolutamente chiarezza sulla collocazione geologica del carbonio sequestrato.
Quanto all'Unione europea, essa ha deciso di dare mandato alla Commissione di effettuare un'analisi dei costi e dei benefici, tenendo presente, però, che la posizione nostra e della comunità internazionale non è quella di incentivare l'uso del carbone e, poi, di incentivare il sequestro del carbonio. Tuttavia, un intervento simile, nella misura in cui fosse utile a ridurre le emissioni di CO2 derivanti dall'attuale uso del carbone, potrebbe rappresentare una misura positiva, ferma restando l'esigenza di non allontanarsi dalla via maestra delle fonti rinnovabili e della riduzione della produzione di CO2. La grande preoccupazione che si nutre al riguardo è quella di dare un segnale sbagliato: il nostro timore è che - a forza di ricevere rassicurazioni sull'efficienza di un sistema in grado di portare il carbone a «x» gradi sotto zero, in seguito all'installazione di un determinato apparecchio sulle ciminiere - si finisca per accantonare l'enorme problema di non aver ancora trovato una soluzione scientificamente valida a livello internazionale su dove stivare il carbonio sequestrato.
Sicuramente, è giusto che la ricerca progredisca - nessuno vuole bloccarla a livello europeo - ed è positivo fare esperimenti, stiamo attenti, però, a non diffondere un messaggio potenzialmente devastante, soprattutto in paesi dotati di grandi miniere di carbone, come la Cina. In tal senso, occorrerà valutare tutti i rischi correlati ad una visione eccessivamente semplificatoria, proprio per non doverci trovare, in futuro, ad affrontare un fenomeno troppo complesso da gestire: non vogliamo che le risorse per la ricerca e l'innovazione siano deviate, dai progetti sulle fonti rinnovabili e l'efficienza energetica, verso una soluzione forse parziale, ma non certo esaustiva per ridurre le emissioni di CO2.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per la sua puntuale relazione; qualora fosse disponibile in forma scritta, apprezzeremmo se ce ne consegnasse una copia.

ALFONSO PECORARO SCANIO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Sono davvero spiacente, ma non ho con me una relazione scritta, presidente. Tuttavia, manifesto sin d'ora la mia disponibilità a trasmettere agli uffici la documentazione necessaria, in modo che la Commissione disponga di tutti gli elementi per una valutazione compiuta del tema in esame.

PRESIDENTE. La ringrazio, ministro. Vorrei inoltre farle presente che, nella necessaria ottica di utilizzare l'innovazione e la ricerca anche ai fini del contenimento delle emissioni di anidride carbonica, l'emendamento, approvato dalla nostra Commissione, volto a sostituire gli shopper di plastica con materie prime di origine vegetale rappresenta una importante misura: esso, infatti, contribuirebbe in maniera non irrilevante alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, perché quella materia prima viene ottenuta catturando CO2 nella fase di crescita.
Nel ringraziare ancora il ministro per la sua relazione, do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

PAOLO CACCIARI. Condivido molto l'impostazione del ministro ed anche la proposta di risoluzione che il presidente della Commissione ci ha sottoposto. Vorrei quindi entrare subito nel merito del tema in discussione, facendo alcuni velocissimi rilievi.
A mio avviso, dovremmo essere più espliciti. Ci presentiamo alla Conferenza delle parti con un bilancio pesantemente negativo del sistema Italia e con un vero fallimento delle ipotesi concertative industriali e governative che si sono proposte


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negli anni passati. Infatti, anziché diminuire, il nostro bilancio di CO2 e di gas climalteranti è aumentato, tanto che il percorso prospettato in questa sede dal ministro sarà addirittura più difficile di quello di altri paesi che hanno cominciato prima e più seriamente di noi a porsi il problema delle alterazioni climatiche. Quindi, visto che spesso citiamo la perdita di competitività del sistema produttivo italiano, sottolineo come essa, dovuta all'inerzia e alla sottovalutazione di questo problema, rappresenti uno degli aspetti più gravi dell'economia italiana.
Dobbiamo, tuttavia, ribadire l'esigenza di uscire dai desiderata e dalla determinazione di obiettivi, per dotarci degli strumenti ordinari, come giustamente rilevava il ministro. Sinceramente, non capisco come possiamo intraprendere un percorso così arduo senza un adeguato piano energetico nazionale. Infatti, il piano energetico nazionale di cui disponiamo è addirittura preistorico, risalendo ai tempi in cui il petrolio costava 10 euro, mentre ormai siamo arrivati a 70 euro. Questo è sufficiente a dimostrare anche l'inettitudine dei nostri apparati tecnico-scientifici industriali (l'ENI, l'ENEL), che sono stati incapaci di prospettare ai decisori politici la situazione vera, reale, nascondendo la realtà energetica del nostro paese. Quindi, ritengo che senza un piano energetico nazionale sarà difficile raggiungere gli obiettivi che lei ci ha prospettato.
Infine, aggiungo un'ultima sottolineatura. Riferendosi agli Stati Uniti d'America, lei parlava delle encomiabili iniziative che stanno portando avanti. Al riguardo, vorrei soprattutto ricordare le encomiabili iniziative del sistema dei comuni e degli enti locali statunitensi e di tutto il mondo. C'è una rete delle città costiere che si muove da anni, tanto che all'ultimo COP9 di Milano una presenza interessante è stata proprio quella della rete internazionale dei comuni, degli enti locali e delle città costiere.
A proposito di adattamenti, sappiamo che l'eustatismo provocato dall'effetto del mutamento climatico colpirà, per prime, le coste, dove è insediata metà della popolazione mondiale, con problemi eufemisticamente definiti di «adattamento» che, in realtà, si stanno già configurando come problemi sociali, prima ancora che ambientali: incredibili migrazioni bibliche dovute all'aumento del cuneo salino. Seppure in scala, anche in Italia abbiamo problemi drammatici. Quindi, dato che non servono solamente politiche industriali e politiche statali, ma anche diffuse iniziative di cultura energetica che riguardino gli stili di vita, i comportamenti quotidiani che devono entrare - dallo shopper al Suv - nella cultura di una civiltà che si fa carico responsabilmente della propria impronta ecologica, attivare il sistema degli enti locali è un'esigenza imprescindibile.
Sempre a proposito di adattamenti, lancio, infine, uno spot: ci sono varie politiche e forme diverse di adattamento. Un primo tipo di adattamento, ad esempio, è quello di chi si toglie la giacca quando fa caldo, o di chi costruisce dighe intorno all'Italia se aumenta il livello del mare. Questi sono adattamenti stupidi, costosi e senza senso. È invece auspicabile una politica di adattamento che vada ad incidere sull'origine dei problemi e che tenti di prevenire i disastri ambientali. Sto pensando - credo l'abbiate capito - al MOSE e a cosa avviene sul delta del Po, dal Tagliamento a Ravenna. Bisogna scegliere se indossare i paraocchi e far finta di non capire che il problema è planetario, magari utilizzando le risorse sufficienti a finanziare un piano di rientro nei parametri a livello nazionale solo per costruire dighe per difendere la perla dell'Adriatico, abbandonando alla forza della natura il resto del Polesine e dell'alto Adriatico, oppure investire in politiche energetiche che abbiano un senso.
Ecco in che modo i vari aspetti si intrecciano con il clima, e mi rivolgo al presidente della Commissione, prima ancora che al ministro, sollecitando un'interlocuzione con tutto il Governo. I mutamenti climatici sono la risultante di politiche industriali, di politiche dei trasporti, di politiche di costruzione, di regolamenti edilizi. O questo dato viene assunto a livello interdisciplinare in un


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piano energetico-ambientale, oppure rischiamo di andare a Nairobi - pur avendo evitato, grazie all'abilità e all'attenzione del ministro, l'ennesima dichiarazione di insolvenza da parte dell'Unione europea - nella stessa identica situazione.
Rammento, infine, ai colleghi e al ministro che nel disegno di legge finanziaria sono contenute previsioni gravi, che contraddicono quanto detto oggi dal ministro; infatti, non è altro che contraddire le dichiarazioni del ministro stabilire che il maggiore introito delle tasse derivanti dall'aumento del prezzo del petrolio non venga destinato alle politiche energetiche e di rientro, ma alle politiche volte ad aumentare la capacità di produzione di energia del nostro paese. Bisogna ammetterlo, perché non si realizzano queste politiche inseguendo la domanda energetica in termini inerziali.
Non possiamo inseguire la domanda acriticamente: dobbiamo intervenire su di essa e ridurla, anziché assecondarla con la creazione di un fondo. Con la mano destra, realizziamo il fondo per il Protocollo di Kyoto e, con la sinistra, il fondo per aumentare i rigassificatori e gli impianti di produzione energetica: si tratta di una contraddizione che lascia interdetti.

PRESIDENTE. È condivisibile quanto ha detto il collega Cacciari. Voglio peraltro ricordare che il senso dell'inserimento, nel DPEF, della valutazione sullo stato di avanzamento del Protocollo di Kyoto è quello di rendere questa politica meno parcellizzata e più generale.

GUIDO DUSSIN. Presidente, su una serie di iniziative, possiamo garantire sin d'ora il nostro supporto alle indicazioni del ministro, nella prospettiva della Conferenza mondiale sul clima. Tra i comparti che egli citava - trasporti, abitazione e produzione energetica, termoelettrica in particolare -, con riferimento a quello dell'abitazione, saremo ben favorevoli a sposare in toto il binomio casa-clima, ma anche le riforme che passeranno attraverso il concetto di gestione del territorio a livello locale.
Ritengo positivo diffondere una cultura «polverizzata», in modo tale che sia recepita da tutti. Siamo convinti che la gestione non debba essere mantenuta a livello centrale. Certamente, compete al livello centrale fornire alcune indicazioni da trasferire, poi, sul territorio, come abbiamo riscontrato nella provincia di Bolzano, per citare un esempio a voi noto. Sicuramente, inoltre, anche il risparmio di energia passa attraverso una riqualificazione del tessuto urbanistico, nonché dell'intero assetto territoriale.
Partirei, quindi, da alcuni concetti, avendo, peraltro, ben presente che, attraverso l'energia alternativa, non potremo ottenere risparmi energetici considerevoli. Non sarà, dunque, solo questa la soluzione; sicuramente, però, essa risponde ad una tendenza e ad una formazione culturale che faranno solo del bene al paese.
Per questi motivi, mentre siamo consapevoli delle misure con le quali potremmo arrecare un beneficio al territorio, non constatiamo motivi di catastrofismo nella nostra realtà. Sicuramente, la situazione è fortemente migliorabile, anche nel settore dei trasporti. Dobbiamo, però, fornire un'indicazione generale delle opere che vogliamo realizzare e di quello che vogliamo attuare nel nostro paese. A livello mondiale, concordiamo sul fatto che la riduzione delle emissioni passi attraverso questo comparto fondamentale, nonché attraverso l'assorbimento di CO2 da parte del settore agricolo, cosa che è sicuramente auspicabile. Dirò di più: ritengo che la riduzione delle emissioni passi anche attraverso una determinata gestione del ciclo dei rifiuti.
Reputo necessario recuperare tutte le materie prime immesse nel ciclo dei rifiuti, le quali non sono altro che materie prime riciclabili, capaci di determinare un risparmio nella produzione di energia. Bisogna incentivare molto questo aspetto, che passa attraverso una cultura, anche locale, del vivere in modo educato nel territorio, anche se gli esempi italiani, di alcune regioni in particolare, non ci fanno ben sperare.


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Prima dell'inizio di questa seduta, dicevo al presidente della Commissione che sarebbe positivo riconsiderare l'idea di una riforma del settore delle aziende municipalizzate, degli enti collaterali e dei vari consorzi che ruotano attorno al mondo delle nostre province o delle nostre regioni. Pensare ad una riforma di questo tipo sarebbe molto positivo, tanto per il settore dell'acqua, quanto per quelli dell'aria e dei rifiuti, settori che vanno riconsiderati con la consapevolezza che, al momento, le migliori gestioni proponibili nel panorama nazionale sono quelle in house.
Se, poi, a questo modello aggiungessimo anche la vivacità del privato, allora la gestione in house rimarrebbe in mano alle aziende municipalizzate di comuni, province o regioni, e sicuramente ne ricaveremmo un beneficio. Riconsiderare questo settore - è un invito che rivolgo alla Commissione, al ministro Pecoraro Scanio e ai titolari degli altri ministeri - nel quadro di una riforma realmente proponibile e capace di dare chiarezza a tutte le regioni è quanto sinceramente auspichiamo.
Su alcune battaglie, dunque, la Lega Nord sarà sicuramente dalla parte giusta: il sistema del nord, dove la nostra presenza è ben viva, è infatti molto fragile; per questo motivo dobbiamo tutelarlo ancora di più del resto del paese.
Nel ringraziarla per l'attenzione, signor ministro, le rivolgo i miei auguri per la Conferenza alla quale parteciperà.

PRESIDENTE. Ringrazio il collega Dussin, che è, giustamente, orgoglioso per il livello di raccolta differenziata dei rifiuti raggiunto dalla sua provincia.

PAOLO CACCIARI. Treviso esclusa, presidente.

PRESIDENTE. La raccolta differenziata è una di quelle politiche virtuose che determinano, fra l'altro, anche l'effetto di ridurre le emissioni di CO2.

GRAZIA FRANCESCATO. Signor ministro, noi Verdi accogliamo con grande gioia lo sprazzo verde speranza che si è acceso con la «quasi intesa» raggiunta sul piano dell'allocazione nazionale, ma riteniamo che non basti. Credo che vi sia un grosso lavoro da fare, perché ereditiamo dal precedente Governo una situazione pesante (+13 per cento di emissioni di gas serra), e dobbiamo lavorare intorno a due fattori chiave: il fattore «t» e il fattore «c».
Il fattore «t» è il fattore «tempo». Quando, nel 1986 - all'epoca, ero una giornalista ambientalista -, andai ad intervistare Lester Brown al Worldwatch Institute e gli chiesi quale sarebbe stato il primo problema, la prima crisi ecologica globale, mi rispose che sarebbe stato, vent'anni più tardi, il cambiamento climatico.
Il problema è che questo cambiamento è molto più veloce di quanto pensiamo e oggi noi Verdi ambientalisti, che venivamo considerati catastrofisti, siamo superati quanto a catastrofismo dagli scienziati, come diceva prima il ministro, e addirittura da giornali tutt'altro che attenti ai temi ambientali, come Newsweek, che questa settimana ha pubblicato, in copertina, l'immagine di una rana-arlecchino, ossia una ranocchia multicolore degna di Versace, prima vittima del mutamento climatico. Ce n'erano 110 specie in America Latina, ma sono state spazzate via per due terzi. Si tratta di un dato importante, di una sorta di indicatore. Questa rana, infatti, non può sopportare l'aumento di temperatura, per tutta una serie di motivi. La campana oggi suona per la ranocchia e per centinaia di altre specie, come l'orso polare e un'incredibile quantità di uccelli, ma suonerà presto anche per noi. Addirittura - e questo lo segnala anche il rapporto pubblicato ieri dal WWF internazionale -, stanno scomparendo interi ecosistemi, quindi non solo specie. Per esempio, le foreste del Rainford, nel Queensland, forse saranno il primo ecosistema vittima in blocco del cambiamento climatico: dobbiamo renderci conto dell'estrema urgenza di un intervento. In Finlandia, dove vado tutti gli anni, questa estate si sono susseguiti tre mesi di siccità,


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cosa mai successa prima nella storia di quel paese, perché il cambiamento climatico globale colpisce moltissimo, come sapete, proprio nelle fasce dell'estremo nord e dell'estremo sud del pianeta.
Alla luce di ciò, ci chiediamo come intervenire; ma qui entra in gioco il fattore «c», ossia il fattore «complessità». A noi, naturalmente, non basta qualche luce verde che si accende nella legge finanziaria. Va benissimo l'articolo 160; va benissimo se riusciremo a far passare l'emendamento che sposta dalle spese militari ai trasporti pubblici la mobilità sostenibile (speriamo in 400 milioni di euro, ma ce ne daranno meno); questo, però, non basta. Dobbiamo realizzare un'integrazione tra politiche economiche, sociali ed ambientali, e ha perfettamente ragione il collega Cacciari quando afferma che gli obiettivi di Kyoto debbono incunearsi dentro un piano energetico nazionale che tenga conto di tutto questo e che punti moltissimo sugli altri settori, finora non presi in considerazione, come quello dei trasporti o quello edilizio, che conta moltissimo. Siamo d'accordo sul fatto che ci può dare una mano l'agricoltura, che è stata sempre considerata una cenerentola, ma tutto sommato è uno dei pochi comparti virtuosi, perché è riuscito ad effettuare il taglio delle emissioni.
Da tutti i paesi in via di sviluppo del mondo, inoltre, ci viene segnalato il problema della deforestazione, a cui non diamo abbastanza importanza e che pure incide dal 18 per cento in su, addirittura fino al 25 per cento, sull'emissione dei gas serra: di questo dobbiamo tenere conto.
A fronte di ciò, credo sia allora necessario puntare, con grande decisione, sul risparmio energetico e sulle fonti rinnovabili. Non è vero che queste ultime non possano colmare il divario; al riguardo, ci attestiamo - a livello mondiale - già al 14 per cento. In California, nel 2010, cioè fra pochi anni, le emissioni arriveranno al 20 per cento; come dice l'Economist, non i Verdi, quel che si fa in California oggi, molto probabilmente, si farà nel mondo domani.
La strada è aperta, dobbiamo accelerare moltissimo e lavorare sulle prossime manovre finanziarie affinché siano in grado di integrare veramente economia e ambiente. Non ci limitiamo a farle gli auguri per la «sua» Conferenza, perché è la «nostra» Conferenza, nel senso che è la Conferenza di tutti noi, non solo della Commissione ambiente ma di tutti i cittadini del pianeta.

ANGELO PICANO. Mi limiterò a formulare due sole osservazioni.
Il ministro diceva che il cambiamento del clima è ineluttabile e che dobbiamo prepararci ad un tenore di vita adattato alle evoluzioni in atto. Certamente, questo non dipende solo dalle emissioni di CO2, ma anche dalle alterne vicende geologiche della terra, tanto che si dice che la corrente del Golfo potrebbe portare alla glaciazione dell'Inghilterra.
Una osservazione più concreta e pratica riguarda quanto abbiamo letto, nelle settimane scorse, a proposito di una immensa nube tossica tra l'India e la Cina. Se ci si reca a visitare le capitali del Terzo mondo, si comprende immediatamente quale sia l'intensità dello smog. Ci chiediamo, dunque, se i paesi sviluppati, oltre che preoccuparsi di realizzare macchine ecologicamente più avanzate, non debbano anche preoccuparsi di vietare l'esportazione di macchine vecchie e di motori obsoleti, responsabile di spostare da un luogo all'altro del pianeta l'inquinamento (ad esempio, dall'Italia all'Egitto), che poi torna indietro. Bisogna, allora, vietare l'esportazione di macchine che inquinano, a meno di non fornirle di una marmitta catalitica o di un altro dispositivo in grado di contenere in maniera soddisfacente le emissioni di gas tossici. In caso contrario, si assisterebbe ad un mero spostamento da un territorio ad un altro delle emissioni dannose, senza evitare che ricadano immediatamente sulla nostra terra.
O i paesi industriali avanzati compiono un gigantesco sforzo, effettuando un massiccio investimento nella ricerca, per dotare le macchine obsolete di apparecchiature in grado di impedire le emissioni,


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oppure si deve vietare l'esportazione di tali macchine, se si intende promuovere una politica globale di contenimento delle emissioni evitando che i gas si spostino, per poi ricadere anche nel nostro paese.

ADRIANO PAROLI. Confermiamo pienamente il nostro appoggio e l'intenzione di dare un contributo positivo all'attività del ministro, rispetto ai contenuti della posizione che ci ha illustrato in questa sede e che porterà a Nairobi, sebbene vorremmo più consistenza, più concretezza e meno ideologia. Mi perdoni, ministro, per queste parole, ma ritengo che, purtroppo, spesso si sia agito in tale direzione, che reputo negativa anche per lei.
Nel fare questa premessa, intendiamo anche rassicurare il ministro, che andrà a Nairobi: sarà infatti risparmiato dal ricevere il «premio fossile», quindi - si metta il cuore in pace - non dovrà porsi il problema di portare obiettivi «altissimi», che pure il nostro paese dovrebbe porsi, dotandosi, però, anche degli strumenti per raggiungerli.
Vi è, peraltro, una certa preoccupazione rispetto al limite da lei richiamato, quello del taglio di 200 milioni di tonnellate annue di CO2. Non si capisce come potrà essere raggiunto l'accordo con il Ministero dello sviluppo economico, aspetto che impedisce di considerare questo limite come un vero risultato. Se si tratta di un obiettivo, ben venga. Siamo consapevoli che il problema delle emissioni di CO2 e del cambiamento climatico è prioritario, per cui è necessario sacrificare alcuni obiettivi di sviluppo. Però, facciamo attenzione, perché - come il ministro Pecoraro Scanio ha giustamente rilevato - esistono diverse soluzioni che devono essere proposte.
Personalmente, credo di poter comprendere anche la strada americana: gli Stati Uniti, infatti, dall'anno scorso, hanno dimostrato un maggiore interesse per il Protocollo di Kyoto e un'accresciuta propensione a condividere alcuni passaggi ed alcune strategie. Sottolineo altresì come, di fronte a tanti proclami da parte dell'Europa, gli americani abbiano stanziato ben altre somme per la tecnologia, per la ricerca e per dotare le aziende di dispositivi in grado di abbattere le emissioni.
Vorrei, dunque, che si spendessero meno parole e maggiori energie. Al riguardo, concordo con quanto affermato dall'onorevole Cacciari circa la necessità di maggiori risorse, perché, trattandosi di un compito prioritario in un ambito fondamentale - sebbene i Verdi siano eccessivamente catastrofisti -, è meglio essere preoccupati che non esserlo. A questo riguardo, alla Conferenza di Nairobi, si verificherà quanto avvenuto anche lo scorso anno, anche se in maniera un po' estemporanea, ovvero l'introduzione di una doppia assemblea, di una doppia assise, perché ci sarà la conferenza tra le parti e, in contemporanea, i lavori di coloro che hanno recepito il Protocollo di Kyoto e devono ottemperarvi.
Ritengo sia molto importante - chiedo al ministro Pecoraro Scanio di impegnarsi in tal senso - che il nostro paese sia impegnato in prima fila per mantenere un contatto sempre più stretto tra questi due momenti. In particolare, chiedo al ministro Pecoraro Scanio che l'Italia sia più incisiva e diretta anche nei confronti dei paesi emergenti. Mi riferisco all'atteggiamento adottato nei riguardi di Cina, India e di altri paesi emergenti, nonché a quello assunto nei confronti di paesi che si stanno sviluppando e che stanno, quindi, spendendo molto in termini di emissioni.
Oggi, proprio per le ragioni citate dall'onorevole Francescato, si deve essere più incisivi, non ci si può limitare a chiedere un impegno, ma bisogna adoperarsi perché quell'impegno diventi realmente concreto. Non possiamo permetterci di risparmiare su piccole cose, di fare sacrifici, quando poi vi sono paesi che ancora non adottano neanche le più semplici precauzioni. Non condivido la teoria secondo la quale noi abbiamo già inquinato per cui, adesso, toccherebbe a loro farlo, perché l'errore dei paesi occidentali non deve ripetersi laddove lo sviluppo è ancora in atto. Ritengo che su questo la politica


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italiana possa dare un importante contributo, esigendo con rigore che questi paesi adottino effettive soluzioni.
Per concludere, sulla questione degli esperti, accolgo positivamente l'ipotesi di lavorare, come Commissione, insieme al ministero, ma vorrei che emergesse davvero - e torno all'inizio del mio intervento - una valutazione obiettiva e che gli esperti non fossero solo persone che la pensano in un certo modo, ma venissero considerati anche i pareri di esperti le cui posizioni siano diverse. Spesso, le commissioni hanno una certa impronta, per cui non vorrei che venissero istituiti momenti di ascolto di esperti con il mero intento di avallare posizioni già prese. Se le valutazioni saranno davvero obiettive, saremo in prima fila, al fianco del ministro Pecoraro Scanio e di tutta la Commissione, affinché queste valutazioni possano diventare operative per i decisori politici.

VITTORIO ADOLFO. Presidente, intervengo per esprimere la nostra adesione al documento presentato ed anticipato nella giornata di ieri, che riporta naturalmente una posizione già assunta al Senato.
È opportuno rispettare gli impegni del Protocollo di Kyoto, quindi, anche l'Italia deve fare la sua parte e deve, nel contesto europeo, mantenere gli impegni assunti. Naturalmente, per fare questo, occorre affrontare diversi problemi, concernenti la casa, il trasporto, i rifiuti, l'agricoltura, dunque, un insieme di settori che vanno riconsiderati nella stesura di un nuovo piano energetico nazionale. Bisogna nuovamente stabilire quali siano gli obiettivi decennali da perseguire e, naturalmente, finanziarne il raggiungimento, perché senza risorse finanziarie non si possono ottenere risultati.
Questa è una dichiarazione di voto, presidente. Personalmente, non intendo entrare nello specifico dei vari argomenti, perché ritengo che l'oggetto dell'incontro odierno sia aderire ad un protocollo di intesa, peraltro condiviso da tutti, nell'auspicio di un percorso per il raggiungimento di obiettivi che dobbiamo conseguire attraverso la formalizzazione e la redazione di un nuovo piano energetico nazionale.

RENATO GALEAZZI. Ringrazio il ministro Pecoraro Scanio e il presidente Realacci per questa occasione, che ci induce ad affrontare una riflessione planetaria. Il tema, ovviamente, è di grande spessore. Non possiamo formulare soluzioni, oggi, in questa Commissione, ma ritengo importante sottolineare l'importanza della risoluzione comune, trasversalmente accolta alla Camera e al Senato, condivisa da entrambi gli schieramenti: ciò significa che il problema ambientale non riguarda né schieramenti, né tanto meno ideologie.
Siamo di fronte ad un problema molto serio, che non intendo drammatizzare, ma che i dati in nostro possesso dimostrano essere di non facile soluzione, non solo alla luce della riflessione ecumenica secondo cui misuriamo la qualità della nostra vita dalla nostra ricchezza. Infatti, oggi tutto viene ricondotto ad un problema di PIL: più alto è il PIL, più il paese vive meglio, più ha risorse e, in maniera proporzionale, migliora la qualità della vita.
Questo non è vero, non si tratta solo di un problema di PIL, perché si può vivere meglio anche con un PIL più basso. Occorre, piuttosto, riconsiderare la nostra maniera di vivere. Se il modello, in questo dopoguerra, è stata l'american way of life, dovremmo valutare un' «ecological way of life». Ciò comporta la necessità di dibattere su temi che interessano il cittadino fin dalla mattina, quando si fa la doccia, quando prende l'autobus o il treno, quando produce rifiuti. Ho due figli che si dichiarano Verdi, non per età, ma per preoccupazione: del resto, se nel mare Adriatico ci sono dei pesci tropicali, è innegabile che qualcosa è successo.
Allora - dico questo adottando lo stesso punto di vista che occorre assumere per tutti i grandi problemi inerenti al modo di vivere dei continenti -, è difficile dire al cittadino cinese che non avrà mai la Punto, ma, se diamo una Punto a tutti i cinesi, dobbiamo realizzare macchine diverse, magari alimentate da una pasticca


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di materiale nucleare, se possibile, o di qualche altro combustibile meno dannoso.
Dobbiamo trovare un'energia non inquinante, questa è una sfida rivolta alle tecnologie.
Non voglio dilungarmi, perché il tema sarebbe molto complesso e - qualcuno ha citato Asimov - fra due mila anni non ci ricorderemo nemmeno più da che pianeta siamo partiti.

PRESIDENTE. Era la Fondazione.

RENATO GALEAZZI. La Fondazione 2.
Mentre il mondo prende, dunque, coscienza di questo problema - permettetemi di ricordare che in questo, come in altri paesi, ci sono stati molti scettici -, è stato determinante non avere aderito al Protocollo di Kyoto e non aver svolto una politica convincente in questa direzione da parte di tutti i paesi, a prescindere dalle collocazioni internazionali.
È vero che, come diceva il saggio cinese, se ognuno pulisse davanti alla sua casa, tutta la città sarebbe pulita. In merito, l'Italia dovrebbe riuscire a realizzare qualcosa insieme a tutta l'Europa, perché mi sembra importante che ci sia una politica europea in questo senso, una politica mirata a questo vantato sviluppo ecosostenibile. Ciò significa maggiori incentivi (qualche misura è stata prevista nella manovra finanziaria), ma anche più ricerca, perché si ritiene che saranno le nuove tecnologie a risolvere il problema dei batteri che divorano l'anidride carbonica o della compressione dell'anidride carbonica. Auspichiamo, dunque, più ricerca, più tecnologie, ma, direi, anche più repressione, perché le due misure procedono insieme.
È altresì necessario riconsiderare le nostre case, affinché siano veramente ecocompatibili, e rivedere i nostri trasporti: il fatto di vivere in un paese in cui il 95 per cento del trasporto è su gomma la dice lunga sulle misure da adottare, soprattutto quando si consideri che l'alta velocità, per esempio, stenta ancora ad essere approvata.
Alcuni gruppi di cittadini manifestano persino contro gli impianti eolici; quindi, al di là di alcune posizioni integraliste, ritengo che su questi temi dovremmo avere una politica unitaria, per raggiungere dei risultati concreti e fare di più nei prossimi dieci o vent'anni. Ben venga, perciò, questa risoluzione, ben venga l'incontro di Nairobi, sotto l'assunto, però, che essi siano intesi solo come punto di partenza per un altro appuntamento ancora più specifico.

CAMILLO PIAZZA. Sarò brevissimo, presidente, perché il mio intervento si limiterà alla formulazione di una sola domanda in ordine alla questione energetica.
È emerso che la somma annualmente pagata dai cittadini italiani all'ENEL - ossia l'ammontare della bolletta energetica - corrisponde a circa 2 miliardi di euro all'anno. Al riguardo, vorrei sapere se il ministero sia a conoscenza di come questi soldi vengano spesi dai nostri enti gestori di elettricità, oppure se la Commissione abbia intenzione di convocare l'ENEL ed altri enti gestori, per capire, vista l'addizionale sull'energia a seguito dell'accordo di Kyoto, come questi due miliardi di euro vengano spesi per ridurre le emissioni di CO2 in Italia.
Forse, non è lei, ministro Pecoraro Scanio, a dover rispondere, ma il ministro Bersani, però sarebbe positivo che la Commissione convocasse gli enti gestori dell'elettricità per valutare queste spese.

PRESIDENTE. Incisiva ed efficace domanda, che mi sembra anche un ottimo suggerimento.

ADRIANO PAROLI. A me sembra un suggerimento, più che una domanda, presidente...

PRESIDENTE. Un suggerimento da accogliere immediatamente, al termine dell'audizione, in sede di ufficio di presidenza: avevamo già deciso di convocare in questa sede il ministro Bersani, dopo la Conferenza di Nairobi, anche per capire le ricadute di quell'appuntamento, ma l'idea


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di convocare i grandi enti energetici per capire l'utilizzo dei fondi mi sembra molto interessante.
Prima di dare la parola al ministro per la replica, vorrei svolgere alcune considerazioni.
Abbiamo parlato di grandi temi che, come sapete, incrociano politiche trasversali e grandi questioni planetarie. Il collega Picano si è allontanato, ma è vero che, quando si risvegliano grandi paesi come l'India e la Cina, o si creano nubi di inquinamento che addirittura passano l'oceano e arrivano in altri continenti, si tratta di questioni che lanciano una grande sfida alla politica, la quale, nella misura in cui si riveli inidonea ad affrontare tali fenomeni, diventa un gioco poco interessante.
Ricordiamoci che non siamo di fronte soltanto a vincoli, ma anche a straordinarie opportunità dal punto di vista dell'innovazione, della ricerca e della competitività in campo economico. È già accaduto in altri settori che chi è arrivato prima ha segnato dei punti, e questo significa molto in rapporto ai grandi paesi emergenti, perché portare loro non solo prodotti, ma anche tecnologie, innovazioni e sistemi è un modo di aiutarli ma anche di rendere più competitiva la nostra economia.
Si tratta di una grande sfida europea: Kyoto è in piedi perché l'Europa ha scommesso su Kyoto, con livelli di coerenza differenziati - l'Italia non è certo la prima della classe -, ritenendolo un impegno utile al mondo. Quindi, vi è una forte valenza politica in questi accordi, come momenti intermedi rispetto ad obiettivi fondamentali da perseguire. Il Protocollo di Kyoto era nato come un chip di buona volontà da parte dei paesi più industrializzati, per spingere anche gli altri paesi ad assumersi le loro responsabilità. In questi termini, ritengo che la Conferenza di Nairobi sia un punto di svolta, nel senso che sottolineare ancora l'importanza dell'impegno di Kyoto serve anche ad aprire una trattativa vera con i grandi paesi emergenti. Quindi, l'Europa gioca un ruolo fondamentale in questa vicenda.
Suggerisco ai parlamentari, che sono anche esponenti politici, di considerare cosa accade negli altri paesi. Forse anche per comodità, forse anche per popolarità, questo tema è diventato centrale nella promozione di personaggi politici e nel conflitto dell'opinione pubblica negli altri Stati. Perfino negli Stati Uniti, come ricordava il ministro, il fatto che Schwarzenegger adotti misure in tal senso non dipende soltanto dalla sua convinzione personale, su cui non ho notizie dirette, così come non dipendono soltanto dalla sua convinzione personale gli sforzi compiuti da Al Gore sullo stesso versante, o il fatto che Hillary Clinton, per rilanciarsi, si rechi in Alaska insieme al senatore conservatore.
Se guardiamo all'Inghilterra, il dato è impressionante. Vorrei segnalarvi - qualora vi fosse sfuggito - che, all'ultimo congresso del partito laburista inglese, Blair ha dedicato ampio spazio a questo tema: due giovani emergenti hanno caratterizzato la propria posizione sul tema dell'ambiente e dell'Europa, c'è stato un siparietto ad un certo punto, un' interruzione del congresso...

MAURIZIO ACERBO. Mi perdoni la domanda, ma chi sarebbero i giovani emergenti?

PRESIDENTE. Mi sfuggono i nomi. Si tratta di due trentenni, che hanno interrotto il congresso promuovendo un confronto fra Livingstone e il sindaco di Los Angeles sulle politiche di sostenibilità urbana, cosa che non accade normalmente nei congressi italiani.
Clinton, nel suo intervento, ha dedicato un certo spazio a questo tema; il conservatore Cameron è riuscito a sottrarre la novità a Blair proprio sposando i temi ambientali, anche nella simbologia. Infatti, si muove in bicicletta e, in una fase calda dello scontro politico in Inghilterra, ha girato in Norvegia con i cani da slitta per verificare lo stato dell'inquinamento; del resto, è noto che, in Inghilterra, i liberaldemocratici hanno sui temi ambientali posizioni spesso più spinte rispetto al partito laburista.


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Si tratta, dunque, di un tema molto presente nell'agenda politica dei paesi dell'Occidente, che si sta imponendo anche nei paesi emergenti (nella stessa in Cina, ormai, esistono problemi «fisici» al riguardo); non si tratta solo di un problema di opinione, ma cominciano ad emergere questioni significative. Vi sono, pertanto, tutti gli elementi perché esso divenga effettivamente l'asse di una politica non difensiva e subita, bensì ambiziosa.
Da questo punto di vista, sicuramente, l'audizione del ministro Bersani e il ruolo della Commissione potranno svolgere una importante funzione. Questa maggioranza, del resto, si era impegnata ad indire una Conferenza nazionale sull'energia. Ritengo, pertanto, che nei primi mesi dell'anno prossimo vi debba essere un passaggio di questo tipo, per evitare che tali politiche stentino a mettersi in rete.
Do ora la parola al ministro per la replica.

ALFONSO PECORARO SCANIO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Vi ringrazio e vi comunico sin d'ora di aver formalmente chiesto al Presidente del Consiglio Prodi e al ministro Bersani di indire la Conferenza nazionale sull'energia. Come ministro dell'ambiente, ho messo nero su bianco tale richiesta, e spero che, in tempi brevi, questo momento di incontro e riflessione possa essere definito. In caso di ritardo, il Ministero dell'ambiente adotterà comunque una propria iniziativa sui temi della strategia energetica; pur non potendo porre mano da solo al piano energetico nazionale, promuoverà un momento di riflessione sui temi del risparmio energetico e delle energie rinnovabili. È ancora oggetto di dibattito se l'impianto di riferimento debba definirsi «piano energetico» - termine che forse accentuerebbe troppo la pianificazione - oppure «strategia»; la cosa fondamentale, però, è realizzare un progetto energetico nazionale chiaro, ovviamente insieme alle regioni, attori che non possono essere tenuti fuori, perché essenziali nel conseguire, su tale fronte, un obiettivo comune.
Mi sono permesso di scrivere, oltre che a Prodi e a Bersani, anche ad Errani, nella sua qualità di presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, perché abbiamo bisogno di questa strategia. La stessa iniziativa avviata per i rigassificatori, che ho chiesto ed ottenuto divenisse un momento di coordinamento governativo - poi chiamato «cabina di regia» -, per capire quali sono le richieste in campo, in realtà si è tenuta una sola volta, a fronte della necessità di un intervento urgente sui rigassificatori. Questo è sbagliato: la necessità di stabilire momenti di coordinamento ed incontro permanenti è infatti dovuta non già ad un'emergenza, ma al rischio che si sovrappongano elementi di disordine in tema di energia, disordine non gradito neppure agli operatori del settore energetico. Persino gli imprenditori, che alcuni immaginano accalorati nel voler realizzare chissà quante cose, subiscono negativamente il disordine derivante dalle decine di domande di costruzione di centrali elettriche negli scorsi anni: molti presentano domande senza neppure avere la capacità di costruire una centrale.
Si è, quindi, creata addirittura una «economia del protocollo»: qualcuno presenta la domanda per l'installazione di una centrale e poi vende il numero di protocollo della domanda stessa. Questo è, ovviamente, malcostume energetico, non è serietà, e non serve né alle imprese, né alle realtà territoriali, perché al paese è necessario avere un quadro generale serio della strategia energetica nazionale.
Non bisogna confondere la cosiddetta liberalizzazione dei mercati con il caos e l'anarchia totale. A maggior ragione, in occasione della discussione sulle modalità di conseguimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto, è prioritario avere un elemento di razionalità in questo settore. Per quanto mi riguarda, poiché vi è un impegno scritto nel programma, ho sollecitato in questa direzione il Presidente del Consiglio e tutti i più diretti interlocutori, e ritengo importante un'azione parlamentare, perché è evidente che le strategie energetiche vanno discusse non solo in


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sede governativa, ma anche in sede parlamentare, dove si può parlare in modo trasparente, per evitare di dar luogo ad una mera sommatoria di istanze diverse, regione per regione, comparto per comparto, creando una situazione non chiara.
Intendo precisare che ho grande attenzione anche per le città. Infatti, non ho citato le regioni perché voglio dimenticare le città e le province; quindi, concordo con l'onorevole Cacciari. Ovviamente, tutto ciò che si può fare in Parlamento per spostare, nel quadro della manovra finanziaria, più risorse, in modo razionale e coerente, verso l'efficienza energetica e gli obiettivi di Kyoto non può che incontrare il favore del Ministero dell'ambiente. Se, dunque, verrà posta in essere una iniziativa parlamentare in tal senso, forniremo tutto il supporto tecnico richiestoci.
Voglio, inoltre, rassicurare l'onorevole Dussin che, per quanto riguarda la bioedilizia e la casa in generale, è necessario un intervento forte: la manovra finanziaria già prevede alcuni interventi sul versante dell'efficienza energetica. Va però chiarito che tale intervento deve riguardare anche le piccole case, e non solo le grandi cubature.
Questo sistema deve essere, ovviamente, incentivato: come Ministero dell'ambiente, abbiamo rivolto sollecitazioni al Ministero dell'economia e delle finanze, ma alcune norme risentono molto di una impostazione che non è ambientale, bensì finanziaria.
Poiché, inoltre, il quadro degli interventi da effettuare è giunto in Consiglio dei ministri non collegialmente, ma frammentato per ministeri, sarà il Parlamento la sede appropriata per contemperare le distinte esigenze : purtroppo, infatti, al di là dell'impegno, la realtà è che la manovra finanziaria scaturisce da una sommatoria di comparti ministeriali e, per la velocità e le modalità con cui viene formulata, il Parlamento deve rappresentare la sede capace di rendere più coerente quella cornice (sebbene, naturalmente, noi faremo la nostra parte all'interno del Governo). È chiaro che, se il Ministero dell'ambiente ottiene di prevedere, nella manovra finanziaria, il fondo rotativo per Kyoto ma, in un altro settore, si assegnano risorse senza prestare attenzione alla riduzione delle emissioni di CO2, allora, il quadro si complica, con il rischio di dar vita ad un impianto complessivo incapace di funzionare.
Concordo, inoltre, sull'esigenza di rivolgere un'attenzione particolare alla gestione delle aziende municipalizzate, e mi auguro vi sia l'occasione, anche in sede parlamentare, per favorire un servizio pubblico efficiente e di qualità trasparente. Non è detto, infatti, che il privato sia sempre meglio del pubblico, come non è detto che il pubblico sia meglio del privato; ma sicuramente c'è stato, negli ultimi tempi, nella gestione di alcuni servizi, un pregiudizio di efficacia ed efficienza del privato. Possiamo quindi lavorare perché ci sia una forte attenzione soprattutto a beni comuni di particolare rilevanza, come l'acqua, ma anche in molti settori dell'energia.
L'onorevole Francescato ha sollevato il tema della complessità, e ciò significa che dobbiamo usare più strumenti per affrontare il cambiamento climatico, non possiamo ridurci ad utilizzarne uno solo, ma dobbiamo fare in modo che tutti gli strumenti siano coerenti.
Posso rassicurare l'onorevole Picano che la Cina e l'India non comprano le nostre auto superinquinanti: il vero problema, a volte, lo abbiamo in alcuni paesi limitrofi, perché gli standard richiesti da paesi come la Cina e l'India oggi sono più elevati.
Ha ragione il presidente della Commissione a sottolineare che, se le nostre aziende producono efficienza energetica, hanno maggiore facilità di esportazione, perché ormai, col terrore dell'eccesso di inquinamento, i nuovi impianti industriali che la Cina ordina in Europa si avvalgono già di tecnologie progettate allo scopo di contenere al massimo la produzione di CO2; non si tratta certo dei vecchi impianti superinquinanti sparsi per l'Europa. Ciò non toglie, però, che la nostra azione deve indurre la Cina, l'India e tutti i grandi paesi di nuova industrializzazione a ridurre le emissioni di anidride carbonica.


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A Ginevra, ho incontrato il nuovo ambasciatore italiano presso il WTO (con cui spero di lavorare), al quale ho chiesto quale azione possiamo intraprendere nella sede dell'Organizzazione mondiale del commercio per ottenere un riconoscimento del dumping ambientale. Proprio perché dobbiamo essere rigorosi nel chiedere alle aziende italiane di rispettare gli standard del Protocollo di Kyoto, dobbiamo pretendere che, in tutte le sedi internazionali, venga resa impossibile una competizione che non tenga conto, in altri paesi, oltre che del dumping sociale (spesso citato per quanto riguarda i diritti dei lavoratori e dei cittadini), anche del dumping ambientale. Se altri paesi, infatti, non tengono conto della necessità di contribuire alla riduzione del riscaldamento climatico, chiediamo, in sede di WTO, che siano aperti dei capitoli anche in tema di dumping ambientale. In proposito, ho allertato il nostro nuovo ambasciatore a Ginevra, che, ripeto, sono andato ad incontrare personalmente.
Spero che, anche grazie alla pressione politica, si riesca ad introdurre questi concetti dentro i meccanismi del mercato globale: se tale obiettivo non fosse conseguito, ci troveremmo a discutere solo di una generica liberalizzazione degli scambi, il WTO sarebbe totalmente incapace di intervenire sulle materie ambientali e sociali, mentre le aziende continuerebbero a lamentarsi di dover abbassare i livelli di inquinamento e di dover competere. Il problema si può risolvere in due modi: riducendo gli standard delle aziende o cercando, invece, di lavorare anche sul WTO, per imporre alcuni parametri ambientali e sociali nell'organizzazione mondiale del commercio. Se vogliamo salvare il pianeta, la linea è quella di imporre questi standard, e non quella di abbassare complessivamente gli standard ambientali e sociali delle imprese che operano nell'Unione europea. Mi sembra che il nuovo ambasciatore abbia ben chiaro che il Governo sta lavorando in questa direzione.
Posso rassicurare il collega Paroli che si può reggere perfettamente sui 200 milioni di tonnellate. In realtà, la proposta iniziale del Ministero dell'ambiente era di 194 milioni di tonnellate, come chiedeva l'Unione europea; per rispondere alle grandi esigenze e difficoltà del nostro settore economico, si è arrivati, però, a 200 milioni più sei. È sicuramente un taglio rispetto alle emissioni, ma è chiaro che, se vogliamo affermare la necessità di eliminare le sovrallocazioni della Germania e della Francia e vogliamo andare a Nairobi, dobbiamo lavorare con i nostri comparti industriali perché si effettui davvero l'abbattimento delle emissioni di CO2.
Quando parlavo di esperti, non mi riferivo ad esperti di parte; il ministero vorrebbe promuovere un'iniziativa con l'Agenzia europea dell'ambiente, quindi con autorità scientifiche validate a livello internazionale, perché non intendiamo aprire un dibattito tra il 99 per cento degli scienziati, che ritiene che il cambiamento climatico rappresenti un problema reale, e l'uno per cento di «negazionisti», che hanno diritto di esprimere la loro opinione, ma renderebbero accademico il dibattito. Desidero fare riferimento soltanto alle autorità già riconosciute, che sono l'Autorità internazionale dell'energia delle Nazioni Unite e l'Agenzia europea dell'ambiente (che è un'autorità riconosciuta, altrimenti non la proporrei), e potremmo limitarci al dibattito politico. Se il Ministero dell'ambiente promuove questa iniziativa, con l'intento di estenderla alle Commissioni parlamentari, è ovvio che vengano invitate ad intervenire autorità scientifiche indipendenti, già riconosciute in sede internazionale.
Concludo dicendo che, per quanto riguarda le osservazioni formulate da alcuni colleghi, in particolare dall'onorevole Galeazzi, occorre incidere anche sugli stili di vita. Ciò significa, però, anche una forte iniziativa che produca un cambio di rotta sul versante dell'informazione ai cittadini - ho sollecitato questo anche in sede di Commissione europea -, perché non è sufficiente la pubblicità dietro gli autobus con l'immagine della terra. Bisogna riuscire ad attivare le scuole e tutti i settori, fornendo anche gli strumenti adeguati per ottenere un diverso atteggiamento.


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Condivido la richiesta dell'onorevole Piazza volta a verificare come l'ENEL amministra i fondi e, soprattutto, come le nostre risorse in generale vengono utilizzate. Abbiamo già assistito al grave caso del CIP6, ossia al fatto che i fondi per le energie rinnovabili sono finiti altrove, e non intendiamo che ciò si ripeta. Stiamo evitando che a ciò si sostituiscano i certificati verdi utilizzati in modo anomalo, e ho allertato il ministro dello sviluppo economico in tale direzione, perché, al di là delle volontà dei ministri, esistono apparati ministeriali che hanno una loro tradizione inerziale e che tendono a prestare scarsa attenzione alle energie rinnovabili.
Credo che, da questo punto di vista, sia necessaria un'attenzione forte, e vi assicuro che il Ministero dell'ambiente la garantirà. Il Parlamento è molto importante, e ritengo che audizioni e confronti con altri settori del Governo sarebbero molto utili per far capire che il problema di Kyoto, il problema dell'efficienza energetica, non riguarda esclusivamente il Ministero dell'ambiente, bensì una linea politica ed economica complessiva. Lavoriamo, infatti, in campo economico e, come evidenziava il presidente Realacci, molte di queste sono opportunità di innovazione, non soltanto vincoli. Chi continua a ribadire che il Protocollo di Kyoto ha un costo eccessivo, evidentemente, non si chiede quale sia il prezzo per evitare il surriscaldamento e la distruzione del pianeta.
Allora, vorrei che si evitassero i catastrofismi, ma si tenesse conto che i dati emersi, a livello mondiale, parlano di innalzamento delle acque degli oceani e del mare. Il problema non è dunque quanto costi Kyoto, ma quanto pagheremmo in futuro non intervenendo ora su questi elementi. Costa, è evidente, ma costa molto di più non fare nulla nella direzione della riduzione del cambiamento climatico; costa anche in termini economici, oltre che in termini sociali, perché l'innalzamento del livello dell'acqua del mare o degli oceani ha un prezzo, anche economico, enorme, cento volte superiore a qualunque costo di Kyoto, forse anche mille volte superiore.
Il problema, come sempre, è scegliere se investire sulla prevenzione o spendere per gli inevitabili interventi successivi. Il dibattito europeo e il dibattito internazionale vertono prevalentemente su questi temi. Il Governo britannico pone come priorità nazionale la riduzione delle emissioni di CO2; se lo facesse anche il nostro paese, probabilmente, potremmo almeno metterci al passo con il principale dibattito a livello internazionale.
Posso anche anticipare che, come Governo, il parere sulla risoluzione presentata dalle varie forze politiche rappresentate in Commissione è favorevole. Una risoluzione approvata da questa Commissione parlamentare non potrà che rafforzare la posizione rappresentata dal Governo in sede internazionale, a nome non soltanto di una parte politica o di una coalizione, ma dell'Italia intera. Sono contento che, anche da parte delle forze dell'opposizione ci sia, su questo, una convergenza, perché la rilevanza del tema necessita di un largo consenso. Nell'applicazione, ci sarà poi qualche differenza di valutazione; dobbiamo, però, dimostrare un maggiore coraggio su questi temi, perché ne abbiamo bisogno.

PRESIDENTE. Ringrazio sentitamente il ministro Pecoraro Scanio, anche per aver anticipato il parere favorevole sulla risoluzione che verrà discussa dalla Commissione al termine dell'audizione. Credo sia utile, essendo un testo sostanzialmente condivisibile, adottare - alla Camera e al Senato - un atto di indirizzo di analogo contenuto, per affrontare l'appuntamento di Nairobi e, in generale, le scadenze successive.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,40.