COMMISSIONI RIUNITE
VIII (AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI) E X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 7 febbraio 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA VIII COMMISSIONE ERMETE REALACCI

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del ministro dello sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, sugli orientamenti del suo dicastero in merito alle politiche riguardanti i cambiamenti climatici, l'energia e lo sviluppo sostenibile.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro dello sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, sugli orientamenti del suo dicastero in merito alle politiche riguardanti i cambiamenti climatici, l'energia e lo sviluppo sostenibile.
Ringraziamo il ministro Bersani per la cortesia, perché sappiamo che è appena rientrato dagli Stati Uniti. Come è noto ai colleghi delle Commissioni VIII e X, con cui è in corso un lungo lavoro su questa materia, siamo in fase di istruzione di una seduta speciale del Parlamento dedicata alle politiche per contrastare i mutamenti climatici e per rispettare gli accordi di Kyoto. Pertanto, saranno trattate in tale seduta, anche se non esclusivamente, le politiche energetiche, attraverso una riflessione trasversale.
Vista l'importanza del tema, abbiamo voluto avviare l'ascolto dei soggetti istituzionali - in seguito sentiremo anche le imprese, il sistema energetico, il sistema dei trasporti - partendo proprio da lei, perché le politiche di competenza del suo ministero sono centrali in questa vicenda in riferimento non solo ai punti di criticità - esiste ancora un contenzioso aperto riguardo alle emissioni con la Commissione europea -, ma soprattutto alle politiche positive. Nella legge finanziaria sono contenuti accenni di queste politiche, ma vorremmo che lei ci delineasse il quadro non solo delle misure già adottate, ma anche delle linee ancora da perseguire.
Infatti, è chiaro che per affrontare in maniera vincente e convincente la sfida dei mutamenti climatici è necessario intraprendere politiche di innovazione tecnologica, di modifica del sistema energetico, di impulso del nostro sistema produttivo. Per usare una battuta, direi che si tratta di un caso in cui il «corteggiamento» del futuro richiede più politiche trasversali che non domande dirette. Puntare sull'innovazione tecnologica, cambiare i motori elettrici, favorire lo spostamento verso l'alto della qualità dei prodotti ai fini del contenimento delle misure energetiche è molto più importante che concentrarsi soltanto sulla politica delle fonti, che rappresenta un aspetto importante ma non centrale, perché altrimenti rischierebbe di essere solo una debole politica end of pipe. Quindi, abbiamo voluto invitarla qui per analizzare lo scenario e le misure all'esame del suo ministero e recepire anche l'opinione dei colleghi delle Commissioni.


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Riteniamo opportuno che il taglio da inserire nei provvedimenti fondamentali che Governo e Parlamento sono chiamati ad assumere, a cominciare dalla legge finanziaria, abbia un suo spazio anche nel DPEF, documento che dovrebbe rappresentare la sede in cui, rispetto ad una politica di tali dimensioni, indicare lo stato dell'arte, ovvero a che punto siamo arrivati e in quali direzioni ci si sta muovendo.
Do ora la parola al ministro Bersani.

PIER LUIGI BERSANI, Ministro dello sviluppo economico. Vorrei innanzitutto complimentarmi vivamente con le Commissioni per avere promosso questa iniziativa.
Permettetemi di dedicare qualche minuto a riferire di quest'ultimo viaggio negli Stati Uniti, che ha toccato alcuni punti interessanti per la discussione odierna. Poiché si trattava di una missione legata ad una ripresa dei rapporti sull'intero fronte dell'economia reale, abbiamo cercato di inserire il tema del clima sia negli incontri con l'amministrazione statunitense sia in quelli con gli operatori economici, per registrare ed aggiornare le posizioni. Ciò è stato possibile negli incontri con il ministro dell'energia Samuel Bodman, con il sottosegretario al tesoro Adams e con lo stesso vice ministro della difesa England, visto che anche il Pentagono si sta occupando di questi temi.
La posizione americana è stata ribadita nei suoi caratteri ampiamente noti. Il Protocollo di Kyoto è ritenuto distorsivo, possibile veicolo di delocalizzazioni di industrie statunitensi, e quindi con un bilancio paradossalmente negativo sul piano delle emissioni. Quasi tutto viene affidato alle grandi prospettive tecnologiche. Nel paese, tuttavia, si è aperta anche una palese fase di riflessione, segnata in parte da misure dell'amministrazione che cominciano ad incidere - sia pure molto parzialmente, a nostro giudizio - sulle questioni incombenti. Si fa riferimento sostanzialmente ai biocarburanti, perché questa è la novità introdotta e variamente interpretata negli Stati Uniti. Tuttavia, si registrano segni di una riflessione più generale.
In quella sede abbiamo sostenuto una posizione che colgo l'occasione per ribadire. Riteniamo che il serio problema del clima sia non una questione di cultura ambientalista, quanto piuttosto una questione di cultura, ovvero di una visione attenta del pianeta. È necessario quindi individuare una strada per una politica globale.
L'Europa è pronta ad accettare una discussione anche critica sulla prima fase dell'applicazione del Protocollo di Kyoto, che potrebbe documentare agli Stati Uniti d'America come gli effetti delocalizzativi temuti non si siano verificati più di tanto, purché naturalmente da parte loro vi sia la disponibilità a ragionare su un eventuale Protocollo di Kyoto 2 e a percepire l'esigenza di dialogare con Cina ed India. Innanzitutto, Europa e Stati Uniti dovrebbero condividere una linea di azione, presupposto non semplice, considerando che un americano consuma 26 barili ed un europeo 12. Prima di rivolgerci a Cina ed India, quindi, dovremmo cercare di armonizzare questo atteggiamento.
Vi è, dunque, una corresponsabilità da assumere, che non è in contrapposizione con la grande sfida sui temi della tecnologia. Non esiste alcuna contrapposizione, ma motivi di tempo pongono all'orizzonte le tecnologie, laddove, invece, il problema incombe. Se l'obiettivo è dunque quello di corresponsabilizzare Stati Uniti ed Europa in una partnership per uno scenario energetico alternativo, è necessario lavorare insieme per circa 30 anni sulle nuove tecnologie, ma anche affrontare subito i problemi delle emissioni, dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. I nostri interlocutori, pur in un quadro di cautele e prudenze, hanno mostrato come si sia aperta una fase di riflessione più puntuale ed attenta.
In questo frangente, noi europei siamo in un passaggio di non poco conto, che coincide con la riflessione avviata dalla Commissione con il noto documento sui temi dell'energia, del clima e dei cambiamenti


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climatici, che sarà discusso dal Consiglio dei ministri forse già la prossima settimana e approderà al Consiglio dell'Unione europea in primavera.
I punti che l'Europa ha fissato includono un primo pacchetto di misure con cui si intende ridurre l'emissione di gas serra per il 20 per cento entro il 2020, ed un altro che mira a collegare il tema della sostenibilità ambientale con quello della sicurezza e della competitività nel settore energetico. Si tratta quindi di grandi obiettivi, come un vero mercato interno dell'energia - che viene «stressato» da parte europea soprattutto per quel che riguarda l'autonomia delle reti e l'interconnessione tra di esse -, il passaggio ad economie a bassa emissione di carbonio (e quindi rinnovabili), la diversificazione del mix delle fonti, la ricerca nel campo delle tecnologie, i piani di efficienza energetica, con le proposte di un accordo internazionale per obiettivi quantitativi comuni da fissare per il 2020, ed uno sforzo affinché l'Europa parli con un'unica voce ai paesi produttori e si realizzino partnerships energetiche.
Abbiamo recepito queste idee, cercando di arricchirle anche con la nostra posizione, che tenta di rafforzare tali misure e di ricomprenderle in un quadro di potenziamento del ruolo propriamente europeo. Su questo, infatti, si riscontra un problema molto serio, perché non riusciamo ancora a mettere a fattor comune 480 milioni di consumatori e a ragionare su questa dimensione con una sola voce, con un solo ragionamento e con politiche coerenti.
Per quanto riguarda l'Italia, in questi mesi abbiamo già cominciato a muoverci nelle prospettive segnalate dal documento europeo, cercando anche di recuperare i ritardi, ad esempio in alcune parti delle fonti rinnovabili. Dobbiamo essere consapevoli della nostra particolare situazione, ricordando di non essere uguali al resto dell'Europa dal punto di vista energetico. Con limitate fonti energetiche a disposizione e con la rinuncia al nucleare, abbiamo una dipendenza dall'estero non comparabile a quella dell'Europa, con una media che oscilla fra l'85 e il 90 per cento di dipendenza, contro una media europea del 50 per cento. Abbiamo un aumento dei consumi rilevante, nonostante gli indicatori di intensità energetica - ovvero di consumo di energia rispetto alla crescita - siano inferiori a quelli della media europea. Sotto questo profilo, quindi, siamo lievemente virtuosi.
Abbiamo un livello estremamente basso di diversificazione rispetto a qualsiasi altra situazione europea, perché viaggiamo a petrolio e a gas, soprattutto per quanto riguarda il termoelettrico. Abbiamo una quota di fonti rinnovabili, considerato l'idroelettrico, più elevata rispetto a quella dei maggiori paesi europei, che tuttavia non è cresciuta negli ultimi anni, se non in modo modesto, in particolare riferibile al settore dell'energia eolica.
Ci chiediamo come intervenire. All'inizio di questa legislatura, siamo partiti con obiettivi piuttosto chiari, primo fra tutti quello di portare i sistemi in sicurezza. Non possiamo ritenerci nel medio periodo in sicurezza, se non provvediamo ad alcune operazioni infrastrutturali significative. Il gas è virtuoso rispetto all'olio combustibile, ma, se vogliamo il gas, dobbiamo avere le infrastrutture che lo trasportino in modo diversificato e con quel minimo di sovracapacità che ci permetta di gestirlo in una situazione di mercato in crescente competizione. Questo è ineludibile. Ci sono anche altri temi che riguardano la sicurezza, ma non mi pare la sede opportuna per trattarli.
Il secondo obiettivo è quello di rivedere la politica a favore delle energie rinnovabili come fonti di energia primaria. Dobbiamo assolutamente incentivare interventi verso tecnologie e settori più promettenti ed efficienti, ponendoci obiettivi minimi di diffusione.
Il terzo punto d'intervento riguarda il forte impulso alle politiche per l'efficienza energetica, strumento che ritengo formidabile ed in grado effettivamente di rallentare e poi arrestare il costante aumento dei consumi di energia e di generare anche sviluppo tecnologico ed economico.


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Il quarto obiettivo è quello di intervenire sulle tecnologie energetiche per avere fonti di energia rinnovabili meno costose e, quindi, sviluppare un'ecoindustria nazionale.
A corollario di questi quattro punti, in seguito al mio viaggio negli Stati Uniti, vorrei aggiungerne un quinto. Per il grado di dipendenza e i problemi che abbiamo, per il tipo di paese che siamo, dobbiamo assolutamente impegnarci nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie di punta, interessanti nel medio e lungo periodo. Dobbiamo essere presenti in tutte queste tecnologie, sia che si tratti della cattura del biossido di carbonio per il famoso carbone pulito, sia che si tratti del metano, sia che si tratti delle biomasse, sia che si tratti dell'idrogeno, sia che si tratti del nucleare di quarta generazione, ovvero quello a sicurezza intrinseca e con la risoluzione del problema delle scorie. Sono progetti a lungo ed anche lunghissimo termine. Tuttavia, vogliamo rientrare nelle partnerships internazionali su questi punti, e una delegazione tecnica andrà a tale proposito, fra un mese, negli Stati Uniti. Non potremo occuparci di tutte queste tecnologie con la stessa intensità e sceglieremo quindi quei luoghi scientifici e tecnologici ai quali possiamo dare un particolare contributo. Tuttavia, il prossimo giro di incentivazioni non può essere il CIP 6, come non da oggi abbiamo stabilito. Se dobbiamo investire, dobbiamo farlo sulle frontiere della ricerca tecnologica e dei grandi scenari. Sollecitiamo quindi le comunità scientifiche, rimettiamo in moto i laboratori, colleghiamoci alle esperienze internazionali, sottoscriviamo accordi internazionali, perché ciò rappresenta un'urgenza.
Alla luce del documento della Commissione europea, il primo atto che il Governo ha varato in occasione del primo Consiglio dei ministri, nel giugno scorso, è un disegno di legge, all'esame del Parlamento, che si propone questo approccio integrato, in quanto affronta temi che riguardano il mercato, la realizzazione di infrastrutture, il rilancio dell'efficienza energetica e le fonti rinnovabili. Alcune di tali misure sono state anticipate all'interno della legge finanziaria; pertanto, auspico un esame attento e sollecito, ma non nascondo che in alcune parti quel disegno di legge ha individuato il luglio di quest'anno come data limite per un'ulteriore apertura del mercato interno di liberalizzazione. Quindi, almeno su questi punti dobbiamo metterci in condizione di essere adempienti, individuando tempi e strumenti con i quali agire e provvedere responsabilmente.
Abbiamo cercato, tra legge finanziaria e misure collegabili ad essa, di individuare un pacchetto in materia di energia che avesse un duplice volto: da un lato, la sollecitazione ad una qualificazione dei consumi, all'efficienza energetica, al risparmio energetico, allo sviluppo delle fonti rinnovabili; dall'altro, la sollecitazione dell'apparato produttivo italiano a dotarsi di una frontiera tecnologica e di innovazione su questi temi.
Senza dilungarmi ulteriormente, anche perché si tratta di aspetti noti, ripercorro i programmi su cui abbiamo puntato e stiamo puntando, e che dovremo lanciare sul piano operativo.
Ritengo che la ristrutturazione degli edifici, che prevede la detrazione del 55 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica, possa avere un significato rilevante. Chiederemo il raggiungimento di alcune prestazioni, come la riduzione delle dispersioni del 30 e 40 per cento. Questo incentivo si applica anche sull'area termica e sulle caldaie a condensazione, due tecnologie che hanno una diffusione ancora limitata e che potrebbero, invece, espandersi rapidamente.
Abbiamo sostenuto e sosteniamo anche progetti pilota di altissima efficienza energetica nelle costruzioni di medie e grandi dimensioni, confidando di poter costruire circa cinquanta edifici esemplari che rappresentino un progresso sotto il profilo dell'efficienza energetica. Puntiamo anche sull'illuminazione efficiente e sul ricambio di frigoriferi e congelatori. Cominciamo quindi ad individuare alcune linee - da perseguire nel tempo - di sollecitazione al ricambio e anche di nuova standardizzazione per gli apparati domestici.


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Come ricordava il presidente, esiste il grande tema del settore industriale. Abbiamo un consumo industriale di 150 terawatt all'anno di energia elettrica, di cui 114 imputabili ai motori elettrici, che mediamente sono caratterizzati da una bassa efficienza energetica. Abbiamo cominciato a sollecitare un ricambio con incentivi che purtroppo, con le scarse risorse a disposizione, toccano solo una parte del problema. Poi valuteremo anche i criteri di standardizzazione, perché è necessario «accendere la miccia» con un sistema di incentivi, e poi dar seguito ad essa con standardizzazioni più impegnative, magari nel periodo di 2-4 anni, per adeguare gli apparati agli obiettivi di efficienza e risparmio energetico. In ogni caso, abbiamo concesso una detrazione fiscale del 20 per cento per un rinnovo parziale.
Bisogna poi considerare il tema della mobilità sostenibile: GPL, con una riduzione del carico fiscale per consentire lo sviluppo di questo tipo di trasporto, ed autoveicoli a metano. Ritengo che, nell'insieme, queste iniziative, calcolandole pro quota, potrebbero tradursi nel 2007 in 60.000 veicoli a gas in più.
Abbiamo poi attuato una grande operazione di ricambio di autoveicoli, sia per il trasporto promiscuo che per le automobili; non entro nei particolari, ma ci aspettiamo un ricambio significativo verso i veicoli euro 4 ed euro 5. Anche in questo caso, si dovrebbe inizialmente «accendere una miccia» e poi transitare verso un tipo di fiscalità per i veicoli che in modo permanente e fisiologico indirizzi verso produzioni a minor consumo e con maggiore efficienza energetica.
Abbiamo lavorato per la revisione del decreto n. 192 del 2005 sulla nuova edilizia, che, con l'estensione della certificazione energetica, stimolerà anche una riqualificazione dell'attuale parco edilizio. Abbiamo introdotto norme correttive che stimoleranno una riduzione dei fabbisogni termici per le nuove costruzioni, con percentuali molto forti di riduzione. Abbiamo fissato alcuni obblighi per i nuovi edifici, come la costruzione di impianti solari e termici per il riscaldamento dell'acqua, che creerà un rilevante mercato di pannelli, ed una quota di solare fotovoltaico, che definiremo in un apposito decreto. Inoltre, abbiamo previsto l'etichetta energetica, per consentire a tutti di conoscere i consumi energetici nel mercato dell'edilizia.
Ritengo che vi sia la possibilità di inaugurare una politica che induca i progettisti, i costruttori e l'intero mercato ad orientarsi in maniera molto significativa in questa direzione.
Stiamo facendo il punto dei meccanismi di mercato, anche di successo, come quello dei certificati bianchi, che hanno avuto esito positivo, come segnalato dal rendiconto. Addirittura, esistono benefici economici che suggeriscono di prolungare al 2012 gli obblighi fin qui individuati, e quindi di potenziare questo strumento.
Abbiamo incentivato la cogenerazione ad alto rendimento, assegnando poi i certificati bianchi in base ad essa.
Inoltre, sia con l'operazione della legge finanziaria, sia con l'eventuale approvazione della legge sull'energia cui facevo riferimento, è in corso una politica di rilancio delle fonti rinnovabili. In proposito, la discussione andrebbe calibrata sulle singole fonti, perché ognuna di esse ha la sua storia e le sue difficoltà. Come è ben noto, abbiamo assistito ad una diffusione dell'eolico e siamo arrivati a 2.100 megawatt, rilevando in tale comparto un significativo incremento. Stentano invece a crescere le biomasse, anche se emerge una linea di rilancio di questa filiera, con coltivazioni energetiche abbinate ad impianti di cogenerazione di piccola scala.
Ad ogni modo, considero possibile imprimere un impulso al tema dei certificati verdi, perché il mercato indica come, per quanto difficile, questo settore sia già più vivace degli obblighi previsti. Infatti, per la prima volta, nel 2005, l'offerta di certificati verdi da parte dei privati è stata superiore alla domanda. A questo punto, dobbiamo quindi rivedere il meccanismo di incentivazione, affinché sia attento all'impatto sulle tariffe, ma consenta anche


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un forte innalzamento della produzione con le fonti rinnovabili, in linea con quanto richiesto dall'Unione europea.
Abbiamo già eliminato i certificati verdi al teleriscaldamento, fatti salvi i diritti per gli impianti in costruzione, e quindi possiamo finalizzarli in modo più potente ed articolato rispetto alle diverse fonti.
Non nascondo come questa politica di sostegno rinnovabile debba confrontarsi anche con la dimensione territoriale, tema da approfondire nel vostro interessante lavoro con le regioni. Abbiamo bisogno di maggiori certezze nei meccanismi di programmazione e di rendere questo mercato più trasparente nei meccanismi di autorizzazione, fatte salve le compatibilità ambientali. È necessario lavorarci maggiormente.
Per quanto riguarda il fotovoltaico, è in via di definizione (ormai in fase conclusiva) un nuovo decreto che semplifica molto le procedure. Concederemo automaticamente l'incentivo, senza dover redigere la graduatoria, come avvenuto sinora; non stabiliremo più il tetto annuale di potenze e ci daremo l'obiettivo ambizioso di anticipare al 2015 la scadenza inizialmente prevista al 2020. Se abbiniamo questa norma alla sollecitazione verso il fotovoltaico prevista per gli edifici nuovi, ne conseguirà un forte impulso al solare nella nuova edilizia.
Infine, senza entrare nel dettaglio, vorrei ricordare che, parallelamente alla sollecitazione verso una qualificazione dei consumi (abitazioni, mobilità e produzione industriale), stiamo elaborando uno dei quattro progetti previsti da Industria 2015, ossia dai progetti di politica industriale. Il primo di essi riguarderà l'efficienza energetica. Confido dunque di poter lanciare nelle prossime settimane questo primo programma, che sarà una griglia riferita ai temi dell'efficienza energetica. Essa si proporrà di immettere sul mercato nuove tecnologie e nuovi prodotti, di accompagnare la riqualificazione dei comparti industriali verso la fornitura di prodotti più efficienti, di favorire una revisione dei cicli produttivi dentro le imprese ai fini di risparmio dell'intensità energetica nelle lavorazioni, di favorire la crescita di società che forniscono il supporto organizzativo, conoscitivo e di intervento. Ne emergono realtà che possono essere già rilanciate e riqualificate.
Questo avverrà sulla base di meccanismi molto flessibili e nuovi, con progettazioni e proposte che chiederemo a reti di imprese, perché non accetteremo contributi da una sola impresa, grande o piccola, ma lavoreremo su reti di imprese. Questa è la prospettiva per simili progetti, e non solo per questi. Contiamo dunque su una risposta molto significativa da parte del nostro apparato industriale. Cercheremo di garantire un'organizzazione flessibile e autorevole al progetto.
Oltre a generali politiche industriali, che nella nuova legge comportano il coinvolgimento e la programmazione da parte dei Ministeri dello sviluppo economico, dell'innovazione e della ricerca scientifica, vi sono alcuni canali molto potenti dal punto di vista finanziario, riferibili ai fondi strutturali e all'Unione europea. Abbiamo previsto due priorità, sui temi dell'ambiente e delle energie rinnovabili e su quelli della fruizione ambientale e dei territori, che, sommate, portano a 24 miliardi di euro in 7 anni. Occorre che tali risorse siano perfettamente finalizzate, collegandole in un quadro coerente a queste politiche e a questi piani di innovazione ed evitando la loro possibile dispersione Appena conclusa la fase istruttoria con l'Unione europea, dovremo dedicarci appunto a valorizzare anche queste risorse ai fini delle politiche ambientali ed energetiche, che ho cercato sommariamente di descrivere.

PRESIDENTE. Grazie, ministro. Vorrei da lei un chiarimento sull'ambiguità dei segnali recepiti. Recentemente, le due Commissioni hanno approvato una risoluzione per chiedere la convocazione di una conferenza nazionale sul clima e sull'energia, che coinvolga tutti i ministri interessati, il Parlamento, le regioni e gli attori del settore, evitando il pericolo di politiche che seguano canali separati.


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PIER LUIGI BERSANI, Ministro dello sviluppo economico. È l'occasione per chiarire anche il punto relativo alla conferenza, che avevamo chiamato «energia ed ambiente», ma che potremmo chiamare anche «clima ed energia».
Il Ministero dell'ambiente e quello dello sviluppo economico stanno strutturando un gruppo di progetto su questa conferenza, per la quale non è stata ancora fissata la data. Se alla fine di questo vostro percorso emergessero eventuali suggerimenti parlamentari, saremmo lieti di recepirli. Tuttavia, siamo già partiti in modo coordinato tra il Ministero dell'ambiente e il Ministero dello sviluppo economico.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ROBERTO TORTOLI. Signor ministro, l'analisi approfondita e dettagliata da lei fatta è comprensibilmente generale e non entra nel merito delle problematiche. Mi sembra che non si sia affrontato in maniera precisa l'oggetto di questa audizione. Tuttavia, ero più interessato ai problemi legati all'ambiente.
Quanto da lei sottolineato rientra in una strategia quasi obbligata per il nostro paese, che, come da lei rilevato, ha una serie di caratteristiche particolari che ci differenziano anche dal resto dei partners europei e che ci mettono spesso in difficoltà, ad esempio nel rispetto del Protocollo di Kyoto. Quanto lei ha riferito non cambia assolutamente nulla rispetto alle problematiche per rispettare il Protocollo di Kyoto, che è lì ad aspettarci, e dubito che gli interventi da lei prospettati possano garantirne il rispetto. Vorrei dunque chiedere al Governo, che ha sempre fortemente mirato al rispetto di tale Protocollo, come intenda perseguire questo obiettivo e se il sistema paese sia in grado di sopportarne gli oneri in termini di impegni finanziari, con riferimento sia alle aziende sia allo Stato.
Lei ha sfiorato il problema della politica delle fonti rinnovabili, che il nostro paese ha attualmente obiettive difficoltà ad utilizzare in base alle tecnologie conosciute. Anche ipotizzando semplicemente una sostituzione del 10 per cento dell'apporto di energia con quella ottenuta da fonti rinnovabili, l'impegno finanziario non mi sembra sostenibile dal nostro paese.
Ho apprezzato la parte del suo intervento relativa alle nuove tecnologie e all'efficienza energetica, anche se le ricordo che l'Italia, in termini di intensità di carbonio rispetto al PIL, è uno dei paesi più rispettosi. Quindi, i margini di miglioramento ulteriore in termini di efficienza per il nostro paese sono notevolmente inferiori rispetto a quelli delle altre nazioni. Anche sul tema dell'efficienza energetica, quindi, ci sono difficoltà oggettive non indifferenti.
Il discorso della ristrutturazione degli edifici è estremamente serio; in questo campo, probabilmente, potremmo fare molto, ma si tratta di un discorso a lungo termine perché le case ci sono già e modificando solo i criteri per la costruzione di quelle nuove non si ottiene la necessaria efficienza energetica. Vorrei capire se vi è da parte di questo Governo la disponibilità ad aprire, con i tempi necessari ed in maniera serena e pacata, un discorso sul nucleare. Ritengo attualmente difficile trovare alternative al nucleare, se vogliamo rispettare il Protocollo di Kyoto, e quindi vorrei conoscere la vostra precisa posizione.

SERGIO GENTILI. Vorrei fare una rapida considerazione.
Mi sembra che questo Governo abbia affrontato seriamente la politica degli impegni di Kyoto. Questa è la novità.
Era complicato risalire dai commi della legge finanziaria ad una politica molto forte e molto innovativa, quale quella emersa oggi. Di fronte ad una strategia di riequilibrio del sistema energetico con il gas, allo sviluppo sempre più incentivato delle fonti rinnovabili, all'impulso all'efficienza energetica, alla proposizione di una eco-industria nel nostro paese - quindi, non solamente industria, ma anche ricerca, agricoltura, soluzione di tante crisi


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agricole -, mi sembra di assistere veramente ad una svolta politica.
Forse, dovremmo pubblicizzare molto di più questa svolta, perché emerge un'altra novità culturale, giacché solitamente la politica, rispetto alle grandi contraddizioni ecologiche, si ferma al livello della denuncia e della presa di coscienza, cui segue la paralisi. In questo caso, invece, si riscontra un'azione concreta, che chiama in causa anche altri soggetti, come le regioni e gli enti locali. Infatti, nella partita dell'efficienza energetica nel campo dell'edilizia, si mette in movimento un blocco sociale, istituzionale e di ricerca, sulla base non di proposizioni generali, bensì di incentivi, di interessi economici e di sostegni, che sono già a disposizione e che bisogna solo utilizzare.
Ritengo che la trasparenza, la snellezza, l'efficienza, l'informazione verso i cittadini e le imprese siano elementi importanti, su cui chiedo al Governo un'attenzione particolare, perché la sottovalutazione di questi fattori è in grado di inceppare l'ingranaggio.
Vorrei avere dal Governo la quantificazione di queste politiche in termini di abbattimento di CO2, perché, quando si afferma che con gli incentivi per la mobilità sostenibile si ottengono 60.000 veicoli a gas, dovremmo avere la stessa capacità di quantificare la misura in cui ciò incide sulla percentuale di CO2. Infatti, ad un certo punto, dobbiamo dichiarare che il nostro paese si impegna ad abbattere, con tutte queste misure, una certa percentuale di CO2.
Sarebbe inoltre necessaria una valutazione riguardo ai redditi delle famiglie, perché gli incentivi, il risparmio energetico e l'efficienza si traducono in concreto nel fatto che le famiglie pagano meno le bollette e vengono incentivate a migliorare e valorizzare il proprio patrimonio. Sarebbe utile conoscere e rendere noto anche questo dato.

ADOLFO URSO. Grazie, signor presidente, e grazie anche al ministro per l'esposizione.
Ritengo anch'io che, frammentata in 1.350 commi, la legge finanziaria non riesca a far emergere una politica per l'ambiente, anche perché mi sembra di riscontrare una miriade di piccoli interventi che fanno aumentare il costo della bolletta per famiglie ed industrie, senza affrontare alla radice il problema.
Nella sua esposizione, ministro, lei ha rilevato un aspetto importante, che vorrei sottolineare e sul quale poi le chiederò una risposta specifica. Ha affermato, infatti, che non siamo uguali al resto d'Europa, avendo rinunciato al nucleare. Quindi, ha focalizzato il motivo per cui siamo indietro rispetto al resto d'Europa, ovvero la rinuncia al nucleare. Se avessimo avuto fonti energetiche proprie, non ne avremmo avuto bisogno. Non siamo uguali al resto d'Europa, che non ha fonti energetiche come noi, avendo rinunciato al nucleare mentre gli altri lo hanno utilizzato.
Lei ha giustamente citato scenari di 30 anni, o più esattamente quelli che l'Europa indica nel 2020 (quindi, meno di 15 anni), per ridurre del 20 per cento - inizialmente nel documento era scritto del 30 per cento - le emissioni. Lei sa che la Commissione europea si è confrontata su quale indirizzo specifico (più o meno netto) muoversi per incentivare il nucleare. Quindi, il problema è - come lei stesso ha detto - il nucleare.
Noto con piacere ed apprezzo l'apertura per quanto riguarda gli investimenti e la ricerca su tutte le fonti tecnologiche, perché rilevo un certo pragmatismo rispetto all'ideologismo ancora diffuso nella sua maggioranza, preclusivo nei confronti non solo del nucleare, ma anche di tante altre fonti energetiche. In questa fase, lei ha parlato di investimenti nella ricerca per il carbone pulito, il metano, le biomasse, l'idrogeno, e ovviamente anche il nucleare di quarta generazione.
Il nostro gruppo, Alleanza Nazionale, ha concluso, anche sulla base di una scelta strategica approvata dagli organi di partito e confrontata con le associazioni d'impresa, con i cittadini consumatori e con i sindacati, che il nucleare è fondamentale


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per il nostro paese anche per ridurre la dipendenza dall'estero. Lei stesso ha rilevato come il nostro paese sia quello più dipendente dall'estero. Poiché ha deciso di trasferire questa proposta politica in atti parlamentari (ieri ha riscontrato nel suo partito, i DS, un'apertura significativa nel campo del nucleare), ed a fronte della nostra mozione favorevole alla riapertura del nucleare in Italia nonché di una proposta di legge che abbiamo presentato in queste ore in Parlamento a tal fine (con i tempi necessari ma inferiori al 2020), vorrei sapere se il Governo e la maggioranza intendono guardare in maniera costruttiva ad un dialogo parlamentare sia per quanto riguarda la mozione sul nucleare, sia con riferimento alla proposta di legge volta a riaprire una strada malauguratamente abbandonata proprio quando altri paesi europei la stavano imboccando.

GRAZIA FRANCESCATO. Nel ringraziare il ministro Bersani per la sua disponibilità, desidero dirgli che, ascoltandolo, il mio cuore ambientalista si è moderatamente rasserenato, perché, dopo avere trascorso 30 anni a denunciare i cambiamenti climatici, a lanciare allarmi e ad essere tacciata da catastrofista o da Cassandra, non può ovviamente che farmi piacere sapere che tutto il mondo cambia atteggiamento, seppure con grave ritardo. Concordo con lei che ora si tratta di un problema di cultura, più che di cultura ambientalista. Tutti concordano dunque sulla necessità di coniugare economia ed ecologia - il rapporto Stern è stato estremamente chiaro - e di giungere ad una integrazione delle dimensioni ecologiche, economiche e sociali.
In qualità di ambientalista, mi permetta di porre l'accento sul cosiddetto fattore «t», ovvero il fattore tempo. Pochi giorni fa ho ricevuto una delegazione di scienziati che tornavano dall'Antartide, i quali mi hanno spiegato che, per la prima volta nella storia, si è attuata la cosiddetta «convergenza antartica», ovvero l'infiltrazione delle acque calde degli oceani nella corona fredda e gelata che circonda l'Antartide. Non erano catastrofisti, ma ponevano il problema di un possibile «crack» del continente stesso. Ci troviamo dunque di fronte ad una situazione che richiederebbe molto di più del taglio del 20 per cento delle emissioni, che peraltro rappresenta già un buon progresso.
In prospettiva, dobbiamo tenere conto che il fattore tempo ci incalza, in particolare per quanto riguarda il nostro paese. Abbiamo infatti accumulato un ritardo - mi rivolgo agli amici e colleghi del centrosinistra - dovuto alla mancanza di significative politiche e misure di riduzione dei gas serra da parte del Governo precedente, che ci porta al 18,5 per cento. Si è verificato un aumento del 12 per cento, che poi, considerando il mancato taglio, arriva al 18,5 per cento rispetto al 2004. Siamo quindi a 580,7 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, dunque abbiamo un ritardo enorme.
Bisogna anche dire che le misure finora adottate, basate su due componenti - il piano nazionale di allocazione, su cui forse bisognerebbe spendere qualche parola, e i provvedimenti inseriti in maniera non organica nella legge finanziaria - non hanno permesso di ridurre significativamente tale stacco. Questo ci costerà assai caro, perché, come ha ribadito lo stesso presidente Prodi a Caserta, se non vi saranno correzioni drastiche, arriveremo a pagare 1,5 miliardi all'anno di sanzioni per la mancata osservanza del Protocollo di Kyoto. Quindi, incombe anche questa spada di Damocle.
Dobbiamo incrementare - e concordiamo sul mix - la produzione di energia da fonti rinnovabili (l'obiettivo è il 25 per cento di produzione di energia elettrica previsto dal programma per il 2011) e l'efficienza energetica nell'uso finale, nonché fermare l'incremento di emissioni. Rispetto al carbone, eliminerei il termine «pulito», o lo metterei tra decine di virgolette, perché, anche se grazie alle nuove tecnologie che progrediscono si riscontra un abbattimento delle emissioni, esso resta comunque la fonte più inquinante, anche se quella a minor costo e più facilmente disponibile.


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Se dobbiamo realizzare forti interventi sia nel settore dei trasporti, che pesa dal 27 al 36 per cento sulle emissioni dei gas serra, sia su quello dell'edilizia - è assurdo che una casa italiana costi in termini energetici il doppio di una tedesca -, è necessaria una nuova strumentazione. Mi riferisco, ad esempio, al sistema delle incentivazioni, su cui occorrerebbe svolgere una riflessione più approfondita.
Riteniamo che si debbano superare i certificati verdi, riallacciandosi al sistema tedesco; si dovrebbe puntare su un sistema senza tetti e differenziato per le varie fonti, come previsto anche dal programma, in grado di creare un mercato durevole e solido. Auspichiamo un ulteriore incremento degli obblighi già previsti nella legge finanziaria con i metodi dei certificati bianchi. Non voglio entrare nel dettaglio, ma solo ricordare che non partiamo da zero. Abbiamo un ottimo programma da questo punto di vista, redatto dal gruppo energia e cambiamenti climatici, di cui fanno parte tutti i rappresentanti dell'Unione, che è sceso nei particolari e, quindi, è in grado di indicare un percorso che permetta alla conferenza, che dovrebbe tenersi a novembre, di tradurre l'intero programma in realtà. Questo deve essere l'obiettivo: non realizzare una passerella di interventi, bensì imboccare questa direzione.
L'altro punto su cui vorrei focalizzare l'attenzione di tutti è la necessità di istituire una cabina di regia. Dato che il cambiamento climatico copre a 360 gradi tutti gli aspetti delle nostre vite, è evidente che una politica energetica deve avere una pluralità di attori e di soggetti in permanente consultazione. Per questo, nel programma, avevamo pensato ad una sorta di consiglio superiore per l'energia - potremmo chiamarlo con un altro nome, non è certo questo l'aspetto importante - proprio per poter mettere i ministeri e le regioni in perenne coordinamento e controllo, perché non è detto affatto che, una volta sul territorio, gli impianti vengano accettati. Quindi, dobbiamo avere un percorso certo da questo punto di vista.
Un'ultima considerazione riguarda la centralità del Parlamento, che ritengo debba essere una discriminante ed un filone assolutamente costante. Per questo, penso e spero che i nostri incontri possano avere una cadenza sistematica e non occasionale. Ricordo che la settimana prossima sarò a Washington, in rappresentanza della Commissione ambiente, ad un forum dei legislatori. Si tratta di un'occasione di dialogo interparlamentare che vedrà la presenza di colleghi provenienti da tutto il mondo e che servirà a redigere un consensus statement che andrà, come lei sa, all'attenzione del G8.
Da questo punto di vista, al di là di queste audizioni, dovremmo anche trovare una modalità stabile di interrelazione in grado di portare al più presto all'attuazione del programma.
Mi piacerebbe, infine, ricevere una sola risposta sul nucleare. Noi veniamo sempre chiamati in causa come gli ideologi che nutrono verso di esso un'antipatia a prescindere, ma così non è. Ci farebbe molto piacere se qualcuno trovasse nei prossimi anni la maniera di liberarci dalle scorie. Ricordo che, mentre noi stiamo parlando, a Saluggia si stanno agitando, perché l'ultimo atto della Sogin è stato lo spostamento delle scorie nella famosa piscina «Avogadro». Ebbene, quando riusciremo ad avere un trattamento adeguato delle scorie e a risolvere i problemi della sicurezza, nessuno avrà nulla da ridire sul nucleare. Per adesso, non mi risulta che questo obiettivo sia stato raggiunto.

PAOLO CACCIARI. Signor ministro, mi pare che lei sia estremamente indulgente e generoso con il nostro paese quando parla di ritardi. Credo che tale aspetto debba essere sottolineato in modo più allarmante. Rispetto al Protocollo di Kyoto, avevamo un obiettivo di riduzione, su base 1990, del 6,5 per cento delle emissioni; ad oggi, registriamo un aumento del 12 per cento. Quindi, il nostro ritardo è, più o meno, maggiore del 18 per cento. Recuperare questo ritardo significa cambiare passo ed atteggiamento, essere più radicali nell'affrontare la questione. Diversamente,


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hanno ragione i colleghi che mi hanno preceduto quando dicono che con questo ritmo gli interventi previsti dalla legge finanziaria non permetteranno di colmare questo ritardo.
Capisco l'esigenza di realismo e la sua impostazione molto concreta, ma, anche in vista di una sessione straordinaria del Parlamento sulle questioni climatiche, credo sia necessario dare un segnale molto più coraggioso al nostro paese: non solo al sistema delle industrie, ma anche alle famiglie ed ai singoli abitanti. Inoltre, non dobbiamo sottovalutare le ricadute economiche che questi ritardi determinano. Leggevo una dichiarazione del Presidente del Consiglio Romano Prodi, il quale ha sostenuto che senza correzioni drastiche arriveremo a pagare 1,5 miliardi all'anno per il Protocollo di Kyoto. Non starà al Governo a pagare, bensì alle imprese, e comunque al sistema Italia.
Dobbiamo quantificare adeguatamente, anche in termini economici, le ricadute negative di questo ritardo. Se si tratta di 1,4 o 1,5 miliardi di euro, è bene dirlo chiaramente e quantificare tale previsione. Abbiamo due alternative: o pagare multe alla Comunità europea, o comprare certificati di inquinamento, i cosiddetti certificati di emissione. Entrambe le scelte sono in perdita per il sistema italiano. A noi conviene investire queste risorse per modificare la base del sistema.
Ho capito che non abbiamo grandi risorse economiche, ma ciò mi porta a porle alcune domande, in maniera molto schietta. Cosa pensate, lei e il Governo, sulla reintroduzione della carbon tax, cioè di meccanismi di tassazione che possano darci la possibilità di investire, magari anche sulla ricerca? Certo, dipende da chi la paga, ma dobbiamo sapere che questi 1,5 miliardi li dobbiamo pagare noi, non Pantalone. Anzi, li stiamo già pagando.

MAURIZIO ENZO LUPI. L'importante è chi la paga.

PAOLO CACCIARI. I certificati energetici costano 20 euro a tonnellata, sulla Borsa di Londra. Capisco che le imprese preferirebbero che pagassero i cittadini. Credo che esista un problema di responsabilità sociale delle imprese, visto che le direttive europee funzionano anche su questo, e sappiamo quali sono le imprese che inquinano ed emettono di più: il sistema energetico e quello dei trasporti.
Anche in questo caso, pongo domande da uomo della strada, signor ministro. Come mai in questa emergenza ambientale, in questa dipendenza del nostro sistema dall'importazione di combustibili fossili, il cui costo negli ultimi anni è aumentato del 50 per cento, aziende quali ENI o ENEL si dividono utili sempre più grandi? Come mai la nostra bolletta aumenta e, contestualmente, questi colossi (e gli altri che vengono subito dopo) ci guadagnano? Evidentemente, c'è qualcosa nel mercato che non funziona ed esistono posizioni monopoliste che consentono di esigere «il pizzo» sulla bolletta petrolifera o energetica del nostro paese.
Vengo all'ultima questione, che riguarda la conferenza ambientale, climatica ed energetica. Se non vogliamo organizzare un evento che sia solamente di passerella e di apparato, in cui aggiungiamo le nostre considerazioni sui vari protocolli, non pensa, signor ministro, che sia il caso di aggiornare un piano energetico nazionale ormai datato e che dice cose che, fra l'altro, erano delle stupidaggini già allora? Si tratta di un piano che ha sbagliato tutte le previsioni sull'esaurimento delle riserve di combustibili fossili. Non pensa che sia necessario dotarsi di strumenti di programmazione? Ritengo che questa conferenza sia utile solo se finalizzata ad un riaggiustamento e all'aggiornamento del piano energetico nazionale.

ANNA TERESA FORMISANO. Credo che tutto quello che il ministro Bersani ha detto oggi preveda anche un riassetto del settore elettrico. Da anticipazioni apparse nelle scorse settimane su alcuni quotidiani risulta che il Governo sta lavorando ad un provvedimento di urgenza, finalizzato alla definizione degli assetti di società pubbliche che operano nel settore elettrico.


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In particolare, il progetto allo studio prevederebbe l'accorpamento della cassa conguaglio per il settore elettrico al gestore dei servizi elettrici - e la successiva soppressione della stessa cassa -, nonché il trasferimento del 100 per cento del capitale del gestore del mercato elettrico alla società che dal 2004 cura l'organizzazione e la gestione economica del mercato elettrico, cioè il GSE, sotto il diretto controllo del Ministero dell'economia e delle finanze, in una prospettiva di privatizzazione della società.
A noi risulta che presso la X Commissione industria del Senato sia già in discussione il decreto-legge, nella prospettiva della totale liberalizzazione del mercato elettrico. Pertanto, vorrei sapere se il ministro Bersani e il Governo intendono procedere con un provvedimento di urgenza ad hoc, oppure, come auspichiamo, se la materia rimarrà in sede parlamentare per un giusto confronto istituzionale.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Ringrazio il presidente, per avermi dato la parola, e il ministro, che ci dà l'occasione di confrontarci su una questione che, però, richiede, secondo me, una rapidissima premessa.
Come si evince anche dagli interventi dei colleghi, ormai in Italia il 60 per cento dell'energia elettrica è prodotta essenzialmente con il gas, e questo ha consentito di diminuire l'incidenza di CO2 determinata dalla generazione elettrica sull'intero sistema. Pertanto, a determinare complessivamente l'incidenza di CO2 sono la crescita e lo sviluppo del paese in altri settori. Questo dovrebbe essere il punto di vista e di orientamento sul quale lavorare, relativamente alla riscrittura del piano di emission trading e degli obiettivi relativi alla riduzione di emissioni.
Spezzo una lancia a favore del settore elettrico, il quale ha avuto, in questi anni - dopo le riforme Bersani e Letta, nonché quella del settore gas -, un'enorme evoluzione. Esso, quindi, non deve fare gli sforzi che gli vengono richiesti, anche perché ormai esistono, in tale settore, le risorse economiche che possono garantire una forte ed ulteriore evoluzione dal punto di vista della ricerca e dell'innovazione.
Per questo, credo che sia importante continuare a ragionare sul settore elettrico, non più secondo una logica punitiva, bensì secondo una logica di valorizzazione delle condizioni. Si considerino la valorizzazione dell'evoluzione sulle fonti rinnovabili, dell'efficientamento energetico, dell'efficientamento, ad esempio, del sistema di generazione e cogenerazione diffusa. Si valorizzi il cambiamento non solo di cultura, ma anche delle modalità economiche e di funzionamento delle grandi aziende nazionali.
In una situazione, ad esempio, in cui dobbiamo valorizzare le fonti rinnovabili, è del tutto evidente che non possiamo reagire con un sistema di distribuzione elettrica centralizzato come quello presente nel nostro paese. Occorre, invece, porsi il problema - anche con le regioni e gli enti locali - di come si possa riformulare il sistema complessivo della distribuzione. Quest'ultima non va più in un senso solo, da chi la produce alle case, alle aziende ed ai servizi. Ormai le famiglie e le imprese stesse possono produrre energia, il che significa che deve cambiare la concezione della rete di distribuzione.
Questo è uno degli impegni fondamentali, ad esempio, che dobbiamo assumere nella conferenza nonché un elemento di forte partecipazione che possiamo chiedere ai cittadini italiani e con cui caratterizzarci in Europa. Di fatto, noi siamo più avanzati su questo sistema rispetto ad altri ambiti europei. Mi riferisco alle energie rinnovabili, alla capacità di diffondere cogenerazione, e quant'altro. Lasciamo stare la questione del nucleare, che richiede un ragionamento che non può essere semplicistico. La questione non è se riportare il nucleare in Italia, e credo che il ministro abbia giustamente posto l'esigenza di come il nostro paese debba partecipare alla ricerca internazionale senza perdere le possibilità di sviluppo relative al nucleare pulito. Allo stesso


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modo, non deve perderle sul carbone pulito. Non possiamo ottenere una diversificazione senza realizzare dei piani.
Affermo pertanto che, forse, la conferenza che si terrà non dovrà concludersi con dei piani, ma con degli indirizzi che favoriscano la partecipazione degli attori economici e sociali, delle famiglie e dei cittadini. Per fare ciò, nell'ambito della ricerca, potremmo assumere qualche impegno in più: forse, quello di rilanciare l'ENEA, per garantire un sostegno di tecnostruttura all'industria ecocompatibile ma anche a settori che hanno un'influenza sull'evoluzione e sull'incidenza del clima.
L'ultima questione riguarda le liberalizzazioni. Si dice spesso che le liberalizzazioni si oppongono alla necessità di far andare a braccetto l'evoluzione nel settore energetico e la compatibilità ambientale. Chiedo pertanto al ministro se siamo in grado di arrivare alla conferenza avendo in mano - quantitativamente e qualitativamente - i dati per riuscire a capire come le liberalizzazioni in Italia abbiano potuto incidere e come possano continuare a farlo, per far marciare in un rapporto positivo ambiente ed energia.

MAURIZIO BERNARDO. Ringrazio il presidente e il ministro.
È interessante, come diceva il ministro nel suo esordio, questa occasione, che è importante anche per noi al fine di comprendere meglio le idee portanti di questo Governo, che il ministro ha espresso e che, nei loro caratteri generali, sono senz'altro condivisibili. Tuttavia, entrando nel merito, dall'ascolto dei colleghi non noto francamente nulla di nuovo rispetto a quello che il Governo precedente ha attuato. Quando si parla di ricorso alle fonti rinnovabili, di risparmio energetico, di efficienza energetica ad uso abitativo, del potenziamento delle reti di interconnessione, si parla di svolta epocale.
Capisco che anche al nostro interno ci sono posizioni fortemente diverse, e me ne accorgo anche sui fatti concreti, tuttavia qualcosa di importante è stato fatto anche negli anni precedenti. Vorrei ricordare ai colleghi gli accordi di programma-quadro siglati con le regioni. L'invito che vorrei rivolgere al ministro - probabilmente, lo state già facendo come ministero - è a controllare come sono stati spesi i soldi, a seguito degli accordi di programma sottoscritti, per il ricorso alle fonti rinnovabili: il termico solare, il fotovoltaico, le biomasse, gli incentivi dati alle famiglie italiane per l'acquisto di elettrodomestici di classe A (quindi a basso consumo energetico), piuttosto che per le lampadine. Non siamo all'anno zero, è già avvenuto qualcosa di importante.
Mi sembra anche di assistere a ciò di cui eravamo tacciati, cioè di parlare di un cosiddetto «libro dei sogni». Il «libro dei sogni» è quello di chi immagina di mettere insieme esperienze culturali totalmente diverse. Quando si entra nel merito parlando di nuovi impianti, di nuove realizzazioni, di approvvigionamenti che, in termini percentuali, fanno del nostro paese forse il primo di quelli che si rivolgono a fonti straniere, occorre tener presente quel che accade nelle comunità locali, dove movimenti nati ad arte si oppongono alla costruzione di nuove centrali (termoelettriche, piuttosto che con altri combustibili). Ebbene, i protagonisti di tutto ciò sono proprio coloro che oggi ci governano. Pertanto, forse, sarebbe opportuno semplificare le regole, anche per raccogliere gli inviti che riguardano, per esempio, la realizzazione di nuovi rigassificatori.
Un altro argomento delicato mi pare quello della carbon tax. Forse, sarebbe il caso di fare un ulteriore approfondimento, con i dirigenti della Comunità europea, per vedere cosa è accaduto e quali sono gli indirizzi comunitari su questo argomento, dal momento che, anche sulle politiche energetiche, l'invito rivolto è quello di dare omogeneità, coinvolgendo anche gli altri paesi su un tema che non riguarda solo i confini italiani. Quindi, bisogna pensare ad una politica energetica più ampia.
Non rimango sorpreso come altri, che legittimamente sono intervenuti immaginando di trovare realizzate chissà quali cose in questi sette mesi, perché alcune realizzazioni importanti vi sono già state. Entrando nel concreto, possiamo immaginare


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non tanto la parcellizzazione di provvedimenti che riguardano le politiche energetiche, così come è avvenuto. Ho parlato di «libro dei sogni» perché, su argomenti delicati, sappiamo quel che accade all'interno della maggioranza di Governo. Infatti, diversi disegni di legge giacciono al Senato. Si dovrebbe trasmettere agli enti locali la semplificazione burocratica, perché diverse regioni hanno realizzato interventi e speso anche cifre importanti, che ammontano a decine di milioni di euro. Vedo alcuni colleghi che hanno ricoperto ruoli importanti nelle regioni e dico loro che queste cose sono già state fatte. Se non ce ne siamo dimenticati, come intendiamo andare avanti?

TOMMASO FOTI. Vorrei fare una velocissima riflessione, signor ministro e signor presidente. A me pare che l'argomento del nucleare non si possa esaurire con l'audizione odierna. Tuttavia, mi sembra anche che - dopo aver fatto parte per dieci anni della Commissione ambiente, presidente, posso dirlo -, ogni volta, non si voglia affrontare questo argomento. Tuttavia, esso ritorna sempre. Quindi, tanto varrebbe che la politica riflettesse seriamente su questa possibilità: non dico che sia l'unica, ma forse deve tornare a far parte dell'agenda politica italiana.
La seconda questione che mi permetto di affrontare è la seguente. Lei ha fatto un'affermazione, per quanto riguarda il gas e le relative reti di trasporto. Io aggiungo anche la questione, non irrilevante, che potremmo sollevare sul teleriscaldamento, altro argomento che può avere una sua funzione.
A me pare che il grosso limite di tutta questa vicenda sia che la maggioranza parla a due voci. Mi dispiace doverlo far notare, ma sono costretto a farlo. Tra la sua posizione e quanto detto dall'onorevole Cacciari esiste una dissonanza tale che non capisco come si possa arrivare ad un programma ed a scelte comuni.

LUDOVICO VICO. Signor ministro, nei prossimi giorni, come lei ha già accennato, il Governo proporrà in sede europea una strategia, in risposta soprattutto ad alcune osservazioni formulate dalla Commissione europea. Ovviamente, sto parlando del piano nazionale di assegnazione delle quote di CO2.
Vorrei, in questa sede ma anche in altre, comprendere come i limiti di CO2 assegnati all'industria italiana, di fatto, siano molto contenuti per ragioni anche statistiche. Infatti, rispetto al 2005, la stessa industria italiana aveva ceduto circa sette o otto milioni di tonnellate di CO2 diventate sovrallocazioni, che probabilmente dovevano essere riacquistate con i crediti di carbonio. Non si tratta assolutamente di modificare il tasso del 6,5 per cento. Così com'è acquisito, tale deve rimanere, tranne variazioni da stabilire attraverso la relazione che intercorrerà con i lavori che seguiranno nei prossimi mesi, in ordine alle strategie di Industria 2015. Allora, si tratterà di verificare concretamente il nuovo processo di innovazione tecnologica, che dovrà riguardare l'industria e la competitività, nonché di verificare quali sforzi abbiamo compiuto come paese e quali dovremo ancora compiere.
Rispetto alla strategia che dovrà essere affrontata nella discussione con l'Unione europea, faccio presente che stiamo leggendo sui giornali la questione posta dai tedeschi, relativamente all'auto. Tra ieri e oggi, infatti, sono passati da 120 a 130 milligrammi per chilometro. Intanto, si tratta di capire se la strategia del contenimento ai fini del rispetto del Protocollo di Kyoto, per il nostro paese, assuma anche le emissioni di CO2 riguardanti soprattutto il trasporto, il riscaldamento e l'agricoltura.
Se è vero che i dati pervenuti negli ultimi tre anni indicano che il 50 per cento di emission trading viene da quei comparti, penso che il problema culturale da lei richiamato - e che condivido - ponga nuove responsabilità sia ai cittadini che agli enti locali. Con ciò, basteranno le misure di acquisto di crediti di carbonio, come previsto dal Protocollo?
Concludo parlando del monitoraggio delle emissioni. Non è forse uno strumento importantissimo da definire nella strategia?


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Probabilmente, potrebbe consentire la contabilizzazione, in ordine all'assorbimento, di circa 16 milioni di tonnellate di CO2 da parte del patrimonio forestale italiano, rimettendolo quindi all'interno di un circuito in cui il Protocollo di Kyoto costituisca uno stato di avanzamento certo.

STEFANO SAGLIA. Vorrei porre due domande molto rapide al ministro.
La politica energetica e quella internazionale sono strettamente correlate. Signor ministro, lei è reduce da un viaggio a Washington importante, nel quale l'Italia - ma credo tutta l'Unione europea - chiede giustamente agli Stati Uniti di aderire alla seconda fase del Protocollo di Kyoto. Con quale autorevolezza l'Italia chiede tale impegno - ricordando la premessa che politica internazionale e politica energetica sono strettamente correlate -, a fronte della linea di politica estera ondivaga tenuta negli ultimi mesi? Non sono cose estranee; le posizioni assunte dal Governo italiano sulla base militare di Vicenza sono correlate, in diplomazia internazionale, agli impegni sulle emissioni internazionali e alle grandi questioni energetiche ambientali. Di conseguenza, mi chiedo quale sia l'autorevolezza che hanno l'Italia e l'Europa nel chiedere agli Stati Uniti di aderire alla seconda fase del Protocollo di Kyoto.
La seconda domanda riguarda la borsa elettrica: con quali strumenti si intende intervenire su alcune distorsioni che si verificano nella borsa elettrica, a maggior ragione nel momento in cui entreranno in gioco i crediti di emissione? In altre parole: i costi che Kyoto comporta avranno un effetto distorsivo nell'organizzazione della borsa elettrica? In questi giorni si sta assistendo ad un fenomeno un po' strano, di cui i giornali forse non hanno parlato a sufficienza: nell'ultimo anno, il prezzo dei combustibili è diminuito ma nella borsa elettrica il costo dell'elettricità aumenta. Come mai? Anche se aumenta in modo contenuto, tuttavia aumenta, mentre dovrebbe diminuire. Allora, esiste un problema di organizzazione della borsa, rispetto al tema degli effetti conseguenti agli interventi delle emission trading, delle certificazioni verdi e degli incentivi alle energie rinnovabili.

SALVATORE TOMASELLI. Signor ministro, credo che, al di là della polemica politica, che è giusto non manchi mai anche in occasioni come questa, una consapevolezza diffusa ci porti a dire che sia il nostro paese sia l'Unione europea - ma direi l'intero mondo occidentale - sono in forte ritardo rispetto agli obiettivi strategici che il Protocollo di Kyoto ha fissato a suo tempo.
Oggi vi è una consapevolezza nuova e diffusa che si va affermando. Credo di avere intuito dai resoconti di stampa che anche il suo recente viaggio negli Stati Uniti abbia evidenziato un'attenzione nuova su questo di quella parte del mondo così importante, da cui proviene una quota consistente delle emissioni. Ciò non può che trasmettere a tutti maggiore fiducia, anche rispetto ai nuovi obiettivi, e si può così parlare, come si sta facendo in queste settimane, di una sorta di Kyoto II ormai alle porte.
Nonostante il nostro ritardo, ritengo che l'Italia, grazie ai contenuti indicati - che non riprendo, ma che il ministro ha oggi illustrato, sia pur brevemente - possa superare questo gap e farsi trovare preparata a questo appuntamento.
Signor ministro, lei sostanzialmente ha indicato cinque obiettivi strategici: portare il paese in sicurezza (quindi, il tema dell'approvvigionamento); le energie rinnovabili, su cui evidentemente occorre investire di più (giacché l'Italia è fortemente in ritardo rispetto ai suoi principali partners industriali, a cominciare dai paesi dell'Unione europea); l'efficienza energetica, in riferimento alla legge finanziaria; le tecnologie energetiche, che possono avviare anche una nuova fase di industrializzazione del nostro paese (una sorta di ecoindustria nazionale, come lei l'ha chiamata) in cui i nostri imprenditori possono investire, perché si tratta di un settore in grande crescita per il futuro. Infine, va considerata la posizione dell'Italia all'interno


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della grande ricerca internazionale, a cominciare da quanto richiamato sul nucleare.
Vorrei porre una domanda, rispetto a queste strategie, chiedendole ovviamente un'opinione e non un indirizzo. Il tema è complesso e riguarda il sistema industriale, la cultura del nostro paese e gli stili di vita, su cui credo e mi auguro che le cose dette riguardo all'efficienza ed al risparmio energetico possano portare, anche negli stessi stili di vita, a risultati positivi. Il tema principale, però, riguarda sostanzialmente il settore dei trasporti e l'industria energetica.
Sul tema dell'industria energetica, i principali competitor industriali nel nostro paese, sostanzialmente, si dividono il campo di azione, tra carbone e gas. Il carbone emette il doppio di CO2 rispetto al gas. La domanda è se sia possibile chiedere a questi attori industriali, che sono facilmente individuabili, maggiore coraggio - anche in termini di impiego dei loro margini di utili, fortemente cresciuti in questi ultimi anni - verso le energie rinnovabili. Il rischio che intravedo è che, in qualche modo, il tema delle energie rinnovabili sia affidato ai territori, ai piccoli e medi imprenditori, ma non faccia parte delle strategie industriali delle grandi imprese industriali che operano nel settore energetico del nostro paese. Le chiedo un'opinione in merito.

SALVATORE MARGIOTTA. Ho molto apprezzato il taglio di concretezza e pragmatismo del ministro, che peraltro gli è consueto. Noi vorremmo che tale taglio fosse sempre di più la cifra del nostro Governo.
Ricordo, a proposito di alcune cose sentite prima, che è necessario un cambio di passo per quanto riguarda il contenimento di emissioni e il Protocollo di Kyoto. Non è vero che è sufficiente la continuità con il vecchio Governo; basti pensare che nel 2004, a fronte della richiesta di diminuire le emissioni del 6,5 per cento, si è verificato un aumento delle stesse pari a quasi il 13 per cento (12,8 per cento, per la precisione).
In tale quadro, vorrei porre tre domande. Per quanto riguarda le fonti energetiche rinnovabili, non vi è dubbio che esiste un grave problema su tutto il territorio nazionale, cioè la difficoltà di proseguire nella realizzazione di impianti, dovuta spesso a tensioni locali che si scatenano, soprattutto per quanto riguarda i temi dell'impatto ambientale. Siamo uno strano paese, che dice «no» al nucleare, dice di voler rispettare il Protocollo di Kyoto, ma dice anche «no» all'eolico, alle biomasse ed al fotovoltaico. Occorre quindi che il Governo intervenga anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, in tale direzione.
In secondo luogo, lei ha parlato, giustamente, nell'ambito delle politiche della sicurezza, della necessità di disporre di quantitativi sufficienti (anzi, lei ha parlato di quantitativi più che sufficienti) di gas. Da questo punto di vista, il Governo può aiutarci a porre la parola «fine» sul tema dei rigassificatori, su quanti se ne devono realizzare e dove, in modo da sciogliere finalmente questo nodo?
La terza questione è stata già richiamata; essa non è all'ordine del giorno, ma poiché si è parlato anche di scorie nucleari ed io provengo dalla Basilicata, l'occasione è troppo ghiotta per non ricordare le scelleratezze passate a proposito del sito unico di Scansano Jonico. Pertanto, vorrei chiedere a che punto siamo nella politica della messa in sicurezza delle scorie radioattive.

PRESIDENTE. Do la parola al ministro per la replica.

PIER LUIGI BERSANI, Ministro dello sviluppo economico. Anzitutto, vi ringrazio per l'attenzione ed anche per la discussione, che forse ci permette di fare un passo avanti.
Quanto alla prima premessa, sulla svolta o meno, a mio avviso si tratta di una svolta, ma non tocca al Governo giudicare se lo sia, perché lo si vedrà eventualmente dai fatti. Comunque, un cambio di passo è necessario, non perché passano solo i Governi, ma perché i problemi si impongono


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e quindi dobbiamo dare più velocità, più coordinamento e più unità a queste politiche. In proposito, chiedo l'aiuto del Parlamento per dare al paese un messaggio sintetico. Occorre anche innescare una certa mentalità in termini, ad esempio, di spinta ai consumi. Bisogna che la gente capisca che si va in quella direzione; se non si impegnano risorse quest'anno o l'anno prossimo in direzione del risparmio, prima o poi si pagherà di più. Questo deve entrare nella testa della gente, perché l'efficienza ed il risparmio energetico sono la più grande fonte a nostra disposizione. Possono produrre PIL, favorire l'innovazione tecnologica e mettere in moto le intelligenze. Nelle prossime settimane, tenteremo di trasmettere questo messaggio. Se la vostra iniziativa, come mi sembra di capire, contribuisce alla realizzazione di questo obiettivo, faremo una buona operazione per il paese.
Abbiamo messo molte cose nella legge finanziaria. Si discute di riforma delle sessioni di bilancio ed esistono già le linee guida, su cui il ministro Padoa-Schioppa sta lavorando. Tuttavia, consentitemi di dire che il problema non è la legge finanziaria. Il problema è che alcune politiche, nei tempi odierni, pretendono un certo ritmo decisionale. Occorrerebbe uno scambio tra Governo e Parlamento, per cui il Governo risparmia sui decreti e fa la legge finanziaria come si deve ma, in cambio, ottiene che su quattro o cinque temi, nel giro di pochi mesi - a favore o contro, non importa - si prendono le decisioni. Allora, non ci sarà più bisogno di «saltare» sulla legge finanziaria. Bisogna che questo ce lo diciamo. Non è colpa di nessuno, non saprei a chi dare la colpa. Ma sta di fatto che a luglio scade il termine fissato dall'Unione europea per la seconda tappa delle liberalizzazioni: più che presentare il disegno di legge al primo Consiglio dei ministri del nuovo Governo non potevo certo fare. Ma a quella data non ci arriveremo. Allora, bisogna trovare un modo, insieme, perché queste politiche richiedono determinate tempistiche: bisogna stare «sul pezzo», «sul ritmo». Si tratta di un problema molto serio. Pensiamoci assieme, anche in occasione della riflessione sulla legge finanziaria.
Sui problemi delle allocazioni, del clima, del Protocollo di Kyoto, e quant'altro, il discorso sarebbe lungo, ma mi sono reso conto - parlando con gli americani - che, se vogliamo (come vogliamo) fare un Protocollo di Kyoto 2, esso deve riguardare una politica globale. Senza di essa, francamente, è tutto banale e viene meno la legittimazione della nostra politica. Per cinque anni si possono anche ottenere dei buoni risultati, ma magari, nello stesso periodo, in Cina si è consumato il doppio di quanto realizzato. Come si risponde a tale eventualità? Bisogna trovare una soluzione, e questo lo si può fare quanto più ci si presenta alla discussione con un esame critico della propria esperienza.
Quando gli americani mi dicono che è difficile andare avanti se la Cina continua ad agire in un certo modo, rispondo che, se ci mettessimo insieme, potremmo andare a discutere con la Cina. È chiaro che, se dovessi andarci solo io e gli americani restassero fuori, chi va a discutere con la Cina? Inoltre, quando gli americani affermano che si creano distorsioni nel mercato, devo rispondere che, sì, bisogna considerare questo aspetto. Di fatto, si creano distorsioni nel mercato perché, in nome di tabelle fissate come base di partenza e di processi diversi da paese a paese per eredità e storia, nello stesso settore accade che un'impresa efficiente, in un certo paese, paga, mentre un'impresa inefficiente, in un altro paese, non paga. Alla fine, gira e rigira, l'accordo diventa questo.
Noi abbiamo caricato sul settore della produzione elettrica una quota che non esiste nel resto del mercato europeo. Si può dire quello che si vuole, ma le liberalizzazioni sono state una bomba atomica. Questo bisogna dirlo. Hanno messo in moto un piano di investimenti, in quel settore, che non ha eguali in Europa: ammodernamento degli impianti, efficienza energetica, cicli combinati, con un effetto industriale fortissimo, anche dal punto di vista del risparmio ambientale. E adesso dobbiamo pagarle. Quando restano


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fuori i settori dove registriamo i ritardi maggiori rispetto al resto d'Europa, come quello del ricambio del parco automobili, poi non venite a dirmi che faccio un piacere alla FIAT, perché non mi interessa né della FIAT, né della Toyota. Dobbiamo assolutamente incidere sulle quote che riguardano i settori della mobilità e dell'edilizia molto di più di quanto abbiamo fatto finora. Non credo che ci vogliano dieci anni.
Quanto all'edilizia, è vero che parliamo di nuovi edifici - e voi replicate che gli edifici sono già stati realizzati tutti -, ma parliamo anche di ristrutturazioni (con il 50 per cento di contributi) e di certificazione che, nei prossimi anni, verrà pretesa anche per le compravendite. Quindi, il bollino energetico farà parte dei meccanismi di mercato, in modo che ci si possa regolare. Su queste distorsioni dobbiamo riflettere criticamente, per presentarci alla trattativa e alla discussione anche con la razionalizzazione di queste esperienze, se vogliamo rispondere alle obiezioni altrui.
Come si procederà? Con disincentivi o incentivi? Si è parlato della carbon tax. Francamente, sono a favore di meccanismi che facciano parte delle fisiologie di mercato, perché alla fine sono quelli più produttivi. Dopodiché, il problema è talmente grosso che va discusso. I francesi hanno avanzato una proposta che si avvicina al tema della carbon tax. Sono pronto a discutere di tutto, ma non credo a quel meccanismo. La carbon tax si può fare anche con la pressione fiscale invariata. Non stiamo parlando di una tassa in più. Personalmente, sono per un'altra linea, ovvero quella nella quale siano i meccanismi di mercato a fare da volano. Questa è certamente un'opzione.
Sui meccanismi di incentivazione, per esempio sulle fonti rinnovabili, vorrei dire all'onorevole Francescato che insisterei sulla linea di evitare i CIP6 puliti. Sarei a favore di una linea che approfondisse e potenziasse i certificati verdi, diversificandoli magari nella durata, grosso modo per grandi fonti, secondo la loro criticità. Inoltre, non escluderei un meccanismo come quello di cui lei parlava, però limitandolo alle tecnologie più critiche, come il fotovoltaico o altre che possiamo scegliere.
Non entriamo in una discussione chiedendo tutto in una volta, ma cerchiamo di capire come tarare gli strumenti a nostra disposizione. Io privilegerei, ripeto, i meccanismi dei certificati, salvo per alcune tecnologie che hanno probabilmente bisogno di intenzionalità più marcate, sulle quali possiamo discutere nei termini da lei posti.
Sono totalmente d'accordo con quanto sostenuto dall'onorevole Quartiani. Questa è la grande frontiera: alla generazione diffusa si arriverà. Si tratta di uno sviluppo necessario. Non siamo attrezzati neanche organizzativamente e concettualmente per i sistemi della rete, né per quelli distributivi. Su questo, però, occorrerà lavorare.
Quanto alle infrastrutture, indubbiamente bisogna realizzarle. A proposito del gas, mi è stato chiesto di quanti rigassificatori abbiamo bisogno. Abbiamo detto che, per metterci in sicurezza, ci occorreranno alcuni anni, senza precisare ulteriormente. Francamente, non è facile indicare una data. Solo coloro che ingannano sono precisissimi, in queste cose. Le persone serie, in questi casi, cercano di «stare larghi». Comunque, quel che è certo e che capisce anche un bambino, senza fare una conferenza energetica nazionale, è che abbiamo bisogno di tre o quattro rigassificatori per metterci in condizioni di adeguata sicurezza nei prossimi anni. E mi tengo al minimo. Non stiamo parlando di un hub europeo, stiamo parlando dell'Italia.
Inoltre, bisogna potenziare la rete dei gasdotti. Stiamo lavorando su quello russo e su quello di Algeri. Spero che concluderemo nelle prossime settimane dal punto di vista tecnico. Siamo anche andati in Grecia a chiudere l'IGI, che dovrebbe anche consentirci di differenziare le aree di approvvigionamento. Quindi, abbiamo bisogno di dotarci di alcune infrastrutture e, mano a mano, di costituire una borsa del gas. Come avrete visto, in questi decreti si parla di borse del gas. Cominciamo


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col dire che gli importatori devono mettere una certa quota in una borsa virtuale e farla circolare sul mercato. L'accordo che abbiamo sottoscritto con greci e turchi prevede esplicitamente, per la prima volta (lo stiamo sottoponendo all'Unione Europea), che in entrata vi sia una quota che va in una borsa virtuale.
Quindi, stiamo cercando di inserire elementi di novità, ma non tutto è nelle nostre mani. Naturalmente, come potete immaginare, emergono problemi di natura geopolitica, nei quali non voglio avventurarmi ma che sono indubbiamente complessi, ragion per cui dobbiamo portare avanti una politica nazionale condivisa attorno a questi temi.
Non ho misurato differenze fra questa impostazione e quella di politica estera. Potrò non essere creduto, ma dove sono andato, anche in questi tre giorni, ho sentito solo ringraziamenti. Ci sono grandi polemiche in giro, però, di fronte a scelte non semplici che stiamo compiendo, ad esempio quella sul Libano (che ha colpito moltissimo), devo dire, anche dal punto di vista dei rapporti industriali e tecnologici, che si nota una disponibilità al dialogo che non può essere casuale, perché stiamo parlando di settori delicati e critici.
Sul tema del carbone, vorrei chiarire una cosa: sulle energie rinnovabili le imprese, come per esempio l'ENEL, hanno presentato un piano molto significativo. È vero che si può fare di più, ma bisogna stimolare in questo senso. Sul carbone, che è la fonte più «anti-Kyoto» e nello stesso tempo la più democratica (nel senso che il carbone lo hanno tutti), credo che dobbiamo entrare nella ricerca di lungo termine ed investire qualcosa. Questo è uno dei progetti dei quali stiamo parlando con gli americani, ma non credo che dobbiamo porci l'obiettivo di avere chissà quale riequilibrio del nostro mix energetico, sul lato del carbone. Certamente, per le contraddizioni con Kyoto, nel mix dobbiamo mettere (idealmente, perché non c'è una misura amministrativa) un tetto sul gas, perché siamo troppo oltre rispetto alla media europea. Bisogna inoltre lavorare molto sulle energie rinnovabili e sull'efficienza energetica, nonché correggere lievemente le emissioni di carbone e raggiungere il top delle tecnologie in questo campo.
Sul carbone non possiamo fare come con il nucleare. Questo significa, in qualche modo, essere al top delle tecnologie; quindi, nel caso si intervenga sul carbone in Italia, chiederò che lo si faccia al massimo delle tecnologie disponibili, implementando la ricerca, l'applicazione industriale, senza chiedere al carbone un particolare riequilibrio delle nostre fonti. Navigando a vista e tenendoci al margine, capisco che da qualche parte, in Italia, qualcosa succederà e si costruirà una centrale a carbone. In quel caso, bisogna assumersi le proprie responsabilità, se diciamo che tale linea è quella giusta.
Quanto alla cassa conguaglio sul gas, non ho previsto alcun intervento immediato e non mi risulta che il Ministero dell'economia e delle finanze sia intervenuto. Nella nostra legge, con i decreti delegati, c'è la possibilità di lavorare su questo. Quindi, non ho informazioni o elementi che ci dicano che siamo fuori dalla discussione sul provvedimento presentato in Parlamento.
Quanto al nucleare, infine, vorrei dire qualcosa e approfitto dell'occasione per essere abbastanza chiaro. Nei dialoghi con il sottosegretario del tesoro americano, noto anche per essere colui che ha organizzato la campagna elettorale del Presidente Bush, la posizione emersa è stata la seguente: se andassimo verso Kyoto, dovremmo probabilmente rimettere in moto un intervento sul nucleare. Per mantenere la quota attuale, bisognerebbe sostituire, nei prossimi anni, una dozzina o una ventina di centrali, ma non si è ancora deciso. Per adesso, allora, negli Stati Uniti hanno prolungato la vita delle centrali già esistenti. Quindi, anche nei paesi che hanno il nucleare, è presente un certo meccanismo di riflessione; poi, magari, invece di aspettare la quarta generazione, si cercherà di utilizzare la terza genera


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zione e mezzo di innovazione tecnologica. Effettivamente, si tratta di una tecnologia che comporta problemi, a partire dalle scorie. Questo è un problema su scala mondiale, ma ognuno ha cercato di fare qualcosa. Noi, francamente, non siamo riusciti ancora a fare qualcosa di sufficiente - non dico di risolutivo - a questo proposito. Allora, innanzitutto dobbiamo cominciare ad occuparci di questo problema.
A proposito di novità, abbiamo concluso l'accordo (anzi, c'è ancora una parte di perfezionamento da fare con le imprese) con i francesi per il riprocessamento, e quindi trasporteremo il combustibile in 5-6 anni. Non sono cose semplici. Ho concluso questo accordo impostato dal Governo precedente, e devo dire che partivo da una diversa riflessione, che peraltro vorrei riprendere, come è necessario.
Con i francesi abbiamo fatto dei patti chiari. Noi dobbiamo intraprendere un iter che ci porti, in modo democratico ed aperto, ad avere qualcosa che hanno tutti i paesi europei coinvolti con il nucleare: un sito di superficie, che non pone problemi e che può costituire anche una occasione di ricerca ed investimento tecnologico, in attesa che si trovi un sito geologico di smaltimento - non ve ne sono disponibili - o che il nucleare di quarta generazione esaurisca parte di queste scorie. Questo è l'obiettivo della nuova tecnologia.
Voglio che vi sia una ricognizione rapidissima della situazione sul campo, che ci consenta subito di realizzare l'intesa raggiunta con i francesi, e che si preveda, attraverso questo strumento, sia il percorso verso l'allestimento di un deposito di superficie (in grado di risolvere anche il problema dei rifiuti di origine farmaceutica, e quant'altro), sia l'inserimento della prospettiva industriale di ricerca verso soluzioni di nuova generazione.
In questo campo, come in altri, esiste il problema di come organizzare la ricerca: ne discuteremo in sede di legge delega, e vi dico una mia impressione. Abbiamo bisogno di un posto - poi vedremo come chiamarlo - dove tutte le competenze scientifiche, da quelle sulle energie rinnovabili fino al nucleare, possano essere organizzate. Noi abbiamo una parte di esse nell'ENEA, un'altra nel CNR, un'altra ancora da altre parti. Ebbene, riflettiamo in proposito. Dopodiché, avremo bisogno anche di un'altra cosa, che non siamo mai riusciti ad avere. Queste politiche vanno implementate con un'agenzia che sviluppi le decisioni del Governo. Chi certifica coloro che andranno a dire nelle case che si può risparmiare il 20-30 per cento della bolletta? Intendo dire che dobbiamo organizzare la certificazione della formazione per implementarla e partecipare ad accordi internazionali in termini di decisioni tecniche. Occorre un'agenzia che faccia queste cose, a ridosso del Governo. Non si tratta di ricerca, ma di altro. Grosso modo, questa è la mia opinione, ma ragioniamoci insieme, perché non sono cose che riguardano solo me.
Detto questo, dire che il nucleare costa meno - anche ammettendo che non esista una sua problematicità intrinseca - è fare una affermazione destituita di ogni fondamento. Basta fare due conti: per avere un equilibrio, dovremmo lanciare un piano nucleare di questa generazione e caricare in bolletta una quota enorme. Pensate all'ultima centrale costruita in Finlandia: hanno fatto un CIP16!
Bisogna sapere quale strada prendiamo, per cui, al di là delle questioni anche ideologiche, su questo tema sono per una linea pragmatica. Noi sensatamente dobbiamo entrare nella nuova fase. Abbiamo imprese che stanno lavorando all'estero in questo campo - non è proibito da alcuna legge -, ma francamente non me la sentirei di lanciare un nuovo piano. Naturalmente, avremo occasione di discutere in proposito. La conferenza di cui si parla è organizzata dal Governo nel suo insieme e ci piacerebbe che fosse fatta in rapporto stretto con il Parlamento.


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Credo che le tappe da fissare siano le seguenti: questo importante appuntamento parlamentare ed un DPEF in cui raccogliere indirizzi già vicini all'operati vità. Riguardo alla conferenza, essa dovrebbe attenersi a posizioni concrete sugli scenari. Vi dico subito che, se dobbiamo tenere una conferenza per decidere se servono quattro rigassificatori, non sono disposto a farla. Il limite lo capisce anche un bambino; quanto al come e al dove, non posso decidere io. Ma se decidiamo di tenere una conferenza per capire come stanno agendo gli altri paesi del mondo, per parlare della salute del nostro clima, per stabilire cosa dobbiamo fare, qual è il nostro assetto, a quindici o vent'anni da oggi, possiamo tirare avanti la palla, ma contemporaneamente dobbiamo lavorare per prendere delle decisioni. Si tratta di temi che non possiamo sempre mettere in coda alla discussione.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.