COMMISSIONI RIUNITE
VIII (AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI) - X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO) - XIV (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 10a (INDUSTRIA, COMMERCIO, TURISMO) - 13a (TERRITORIO, AMBIENTE, BENI AMBIENTALI) - 14a (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 13 febbraio 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA X COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI DANIELE CAPEZZONE

La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del commissario europeo per l'energia, Andris Piebalgs, su tematiche inerenti le politiche energetiche europee.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del commissario europeo per l'energia, Andris Piebalgs, su tematiche inerenti le politiche energetiche europee.
Nel salutarlo, do subito la parola al commissario affinché svolga il suo intervento.

ANDRIS PIEBALGS, Commissario europeo per l'energia. Onorevoli commissari, è per me un grande onore essere qui. Anche io sono stato un parlamentare in Lettonia, quindi sono molto colpito e gratificato dal vostro interesse.
I temi che affronteremo oggi sono veramente vicini al cuore dei cittadini italiani, tenuto conto che il cambiamento climatico è forse la più grande minaccia alla sicurezza del nostro pianeta. Il rapporto ONU del gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, pubblicato di recente, ha confermato che l'impatto del cambiamento climatico è in grado di mettere a repentaglio l'ambiente, la crescita economica ed i miglioramenti sul fronte della riduzione della povertà nei paesi in via di sviluppo, provocando una massiccia ristrutturazione, con ripercussioni negative sui lavoratori e sulle popolazioni. Purtroppo, l'energia - o il modo in cui essa viene usata - è uno degli elementi alla radice dei cambiamenti climatici: nell'Unione europea, l'80 per cento delle emissioni di gas serra proviene dall'energia, pertanto, per prevenire questi cambiamenti, dobbiamo modificare il modo in cui usiamo l'energia, le nostre politiche energetiche; lo stesso collegio della Commissione europea ritiene che sia giunto il momento di imprimere una svolta alle dinamiche in atto.
L'Europa avrà presto bisogno di massicci investimenti: nei prossimi 25 anni, sarà necessario investire in infrastrutture energetiche 1.800 miliardi di euro. L'urgenza di intervenire su questo fronte è dunque elevatissima. Inoltre, dato che le reti sono vetuste, tali investimenti devono essere attivati nei prossimi 10 anni: non possiamo attendere e ritardare una risposta, perché, se non ci sarà nei tempi e nei modi giusti, finiremo per rimpiangerlo.
Spetta, quindi, ai dirigenti politici assumere decisioni finalizzate ad orientare gli investimenti energetici e ridurre, di conseguenza, i rischi inerenti ai cambiamenti climatici: il punto di partenza è la prospettiva dell'Unione europea di ridurre l'aumento della temperatura a livello globale a 2 gradi centigradi. Per perseguire tale obiettivo, dovremmo raggiungere il tetto massimale delle emissioni tra 10 o 15


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anni, per poi conseguire una riduzione incisiva del 50 per cento entro il 2050, rispetto ai livelli del 1990.
Dobbiamo, dunque, fissare nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni: l'Unione europea, dal punto di vista della Commissione, dovrebbe decidere di tagliare le emissioni del 20 per cento entro il 2020, unilateralmente. Potremmo anche porci l'obiettivo più ambizioso di una riduzione del 30 per cento entro il 2020, ma ciò richiederebbe un fortissimo impegno internazionale. Tra l'altro, nel farlo, aiuteremmo anche i paesi in via di sviluppo ad adottare tecnologie e consuetudini favorevoli all'affermazione di economie a basse emissioni: in questo modo, saremmo tutti partner nel contrasto ai cambiamenti climatici.
L'industria ci pone interrogativi molto chiari: che cosa succederà dopo il 2012? Dobbiamo attendere per attivare i nostri investimenti, o possiamo sin d'ora programmarli, facendo affidamento su una politica energetica europea stabile, di lungo periodo? In realtà, per realizzare la riduzione del 20 per cento delle emissioni, è necessario modificare sia i modelli di approvvigionamento sia quelli di domanda energetica. Le energie rinnovabili dovrebbero avere un ruolo centrale, non più marginale: a tal fine, l'Unione europea sta fissando l'obiettivo di arrivare al 20 per cento di energia rinnovabile nel mix energetico entro il 2020 (così facendo, le centrali con energie rinnovabili potranno essere triplicate). Dovrebbe, inoltre, essere incentivato l'utilizzo di biocombustibili, per coprire almeno una quota del 10 per cento nei combustibili per i trasporti.
La relazione di sir Nicholas Stern ed il World Energy Outlook della IEA del 2006 confermano l'analisi della Commissione: se agiamo oggi, risparmieremo; se, invece, ritardiamo l'azione, pagheremo di più. Rimanere inattivi non è un'opzione aperta, perché sarebbe pericoloso, irresponsabile e controproducente: ridurrebbe, infatti, la nostra competitività a livello globale.
Con il nuovo pacchetto energetico, la Commissione colloca, dunque, l'energia al centro della sua impostazione con tre dimensioni principali: sostenibilità, competitività e sicurezza di approvvigionamenti. Sotto la presidenza tedesca ci sarà un'ampia discussione, un confronto. Tra due giorni si terrà il Consiglio dei ministri dell'energia dell'Unione europea, una prima occasione di riflessione su tutte queste priorità; in seguito, come ulteriore sede ed occasione di riflessione, avremo la riunione del Consiglio europeo. Al riguardo, ci attendiamo decisioni importanti, tra le quali le più rilevanti sono: combattere i cambiamenti climatici e dare orientamenti sugli obiettivi di emissione per il 2020, il 2030, e il 2050, perché nel settore energetico gli investimenti, in genere, hanno un arco temporale di 40 anni. Inoltre, sarebbe necessario confermare il ricorso al sistema di scambio delle quote di emissione: in proposito, sono state fatte delle esperienze, in Italia, e molte sono le voci critiche, ma tale meccanismo rimane comunque il migliore. In realtà, esso non è stato costruito a livello europeo, è rimasto molto nazionalizzato, il che implica situazioni storicamente diverse e, di conseguenza, un meccanismo abbastanza frammentario, con un'oscillazione da 20 a 1,8 euro a tonnellata, con problemi di interferenza con la concorrenza. Si pone una domanda di fondo: si tratta veramente del sistema migliore? La risposta è sì, purché rimanga europeo e libero da eccezioni nazionali; in caso contrario, il regime non funzionerà.
Per combattere i cambiamenti climatici e garantire gli approvvigionamenti, spero venga fissato l'obiettivo vincolante del 20 per cento per le energie rinnovabili: questa è la causa che peroro, la parte più difficile della mia crociata contro i cambiamenti climatici. Si dice che, se si hanno degli obiettivi riguardo alle emissioni, deve essere il mercato stesso a favorire le energie rinnovabili; anche un'altra scuola di pensiero sostiene che debba essere il mercato a trovare una soluzione. Personalmente, penso che le cose non stiano così: infatti, se analizziamo tutti gli sviluppi nel settore energetico, constatiamo che vi è sempre stato un intervento statale. Il nucleare - che copre un terzo dell'approvvigionamento -


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è stato possibile grazie alla presenza di un cospicuo intervento statale pubblico iniziale: non avremmo mai avuto centrali nucleari, se gli Stati non avessero assicurato un congruo sostegno finanziario. Allo stesso modo, le energie rinnovabili non avrebbero un grado di penetrazione sufficiente per essere economiche, senza un sostegno pubblico alle origini. In Germania, si parla di un livello di energia rinnovabile pari al 12 per cento: turbine che avevano una potenza di 200 kilowatt, ora, arrivano a 5 megawatt e sono, quindi, molto più grandi ed efficaci. Se vogliamo raggiungere una massa critica nelle energie rinnovabili, dobbiamo dunque impegnarci, fermo restando che gli Stati membri devono scegliere autonomamente tecnologie e orientamenti. Ad esempio, la Polonia potrebbe non voler aumentare la propria quota di elettricità rinnovabile, perché ha il carbone, oppure la Francia potrebbe voler mantenere l'energia nucleare e utilizzare le energie rinnovabili per il riscaldamento e il raffreddamento (sono tante le possibilità di impiego). Se non faremo così, tra 10-20 anni ci troveremo davvero in grandissima difficoltà.
Altre importanti decisioni riguardano l'efficienza energetica, della quale abbiamo realmente bisogno - anche se abbiamo impiegato del tempo per capirlo -, ma dobbiamo impegnarci perché, fino ad ora, il mercato non è riuscito a garantirne una maggiore. Nel settore dell'edilizia, ad esempio, c'è una pletora di soggetti che «si scaricano il barile», sperando che sia il fornitore successivo a sostenere i costi dell'efficienza energetica. In altri termini, solo il proprietario dell'appartamento potrebbe beneficiare dell'efficienza energetica. Non siamo, dunque, arrivati a garantire l'efficienza energetica in fase di progettazione o di costruzione. Per le automobili, poi, bisogna fissare dei requisiti obbligatori per i produttori, perché gli accordi volontari non hanno portato ai risultati previsti; è necessario, quindi, il coraggio politico per adottare decisioni difficili, per incoraggiare l'efficienza energetica: l'Europa non è sostenibile e non riusciremo a combattere i cambiamenti energetici se continueremo a far crescere la nostra domanda di energia. L'efficienza energetica è un settore chiave, dove si vince o si perde nella lotta al cambiamento climatico.
Da ultimo, ma non meno importante, saranno necessari investimenti nel settore della ricerca: ad eccezione di quello corrente, negli ultimi anni abbiamo constatato una flessione degli investimenti nella ricerca energetica, che invece sono necessari per promuovere nuove energie. Sotto questo aspetto, occorre cambiare, perché le nuove tecnologie non solo serviranno a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti o un uso ottimale delle risorse locali, rafforzando l'occupazione, ma ci consentiranno anche di configurare la nicchia europea in un mondo in cui le attività manifatturiere sono destinate ad aree dove la manodopera costa meno. Il nostro futuro - questa è la mia risposta - è nelle energie rinnovabili, perché tra 40 o 60 anni saranno calate le riserve di idrocarburi e la tecnologia consentirà una distribuzione energetica più decentrata. Per noi, questo è il settore nel quale lavorare: combattendo i cambiamenti climatici, svilupperemo anche competenze tecnologiche che garantiranno la competitività dell'Europa, ovviamente, non da sola, ma con gli Stati Uniti, la Cina, l'India, la Russia e tutti gli altri paesi.
Presidente, vorrei terminare qui il mio intervento, essendo particolarmente interessato a confrontarmi con i componenti delle Commissioni qui riunite. L'Italia, peraltro, mi sostiene fortemente sul pacchetto energetico, non solo per i provvedimenti richiamati ma anche per quanto riguarda il riesame del mercato dell'energia, che ci dà tutta la dimensione di scala. Ringrazio, pertanto, il vostro paese, a cui chiedo un impegno ancora maggiore, perché l'esperienza italiana - con un mercato isolato, la sfida dei prezzi e il ricorso alle energie rinnovabili - è importante e deve essere ascoltata in altre aree dell'Unione, oggi formata da ben 27 paesi membri; a prescindere dalle difformità presenti tra Malta e la Lettonia - intercorrono senza dubbio delle differenze -,


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vi sono comunque alcuni elementi che richiedono un'azione e una risposta collettiva.
Vi ringrazio, dunque, del sostegno offertomi: sarò molto lieto di poter rispondere alle vostre domande.

PRESIDENTE. Ringrazio il commissario Piebalgs per la sua relazione, le considerazioni che ha svolto e per questi ultimi incoraggiamenti.
Do quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ERMETE REALACCI, Presidente della VIII Commissione della Camera dei deputati. Ringrazio il commissario Piebalgs per la sua esposizione, che è assolutamente convincente: siamo convinti che il terreno dei mutamenti climatici di Kyoto sia la missione dell'Europa e lo strumento per rapportarla al mondo, facendone un grande insieme di paesi responsabili, non solo verso i propri cittadini, ma anche verso il pianeta e il futuro.
Fatta questa breve premessa, vorrei porre due questioni. La prima riguarda il piano delle emissioni in Italia, che risulta abbia incontrato ancora forti critiche in sede di Unione europea: vorremmo sapere a che punto è la revisione e che tempi sono stati previsti.
La seconda questione riguarda il fatto che - come lei ha giustamente indicato - l'obiettivo unilaterale dell'Europa è una riduzione del 20 per cento delle emissioni di CO2 entro il 2020. Il nostro paese, però, ha già molti problemi nel rispettare gli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto; l'attuale Governo, quindi, è chiamato ad uno sforzo notevole. Al riguardo, vorrei domandarle se l'Europa stia avviando serie iniziative diplomatiche a livello internazionale, per far sì che gli Stati Uniti rientrino nella partita e che, quindi, sia possibile rivolgersi ai grandi paesi emergenti con una voce più autorevole, o se stia aspettando le elezioni americane.

ANTONELLO CABRAS. Signor commissario, nella sua relazione, ha presentato l'obiettivo del 20 per cento da raggiungere entro il 2020, in Europa, per le energie alternative, ed ha anche sottolineato che questo obiettivo deve avere una dimensione ed una imposizione «europee». Quali difficoltà lei pensa che la Commissione possa incontrare nel rendere compatibili le enormi differenze che ci sono nel mix energetico fra i diversi paesi europei, relativamente a questo obiettivo? Mi viene in mente la Francia che, producendo da fonte nucleare l'80 per cento dell'energia, è il paese, in Europa, che meno contribuisce al riscaldamento, almeno per quanto riguarda l'energia. Ritengo che lei preveda alcune difficoltà nell'armonizzare le differenze esistenti, pur nell'obiettivo del 20 per cento.

GUIDO POSSA. Signor commissario, lei ha richiamato la correttezza dell'emission trading system, come sistema per poter incentivare il conseguimento dei parametri di Kyoto e, successivamente, per raggiungere i livelli obiettivo dell'Unione europea per il 2020. Questi valori di emissione penalizzano gravemente l'Italia: la missione pro capite consentita al cittadino italiano è di circa la metà rispetto a quella consentita al cittadino tedesco e uguale (o leggermente superiore) a quella consentita al cittadino francese, che - come lei ha ricordato - produce l'80 per cento di energia elettrica con il nucleare.
La diversità nell'autorizzazione all'emissione produce una grave distorsione nel mercato dell'energia e carica il costo dell'energia in Italia in modo anomalo rispetto agli altri paesi (questo si verificherà soprattutto nel futuro); la distorsione penalizza tutta l'economia italiana: è dunque assolutamente impensabile che un sistema di emission trading quale quello appena approvato dalla Commissione possa essere accettato da una persona che vede la realtà con chiarezza. Vorrei un suo commento riguardo a questo.

ADOLFO URSO. Abbiamo letto sui giornali - non solo quelli italiani - che, nel varare l'obiettivo del 2020, la Commissione, recentemente, si era posta il problema


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di tagliare del 30 per cento le emissioni; successivamente, si è arrivati alla decisione di porre l'obiettivo più realistico del 20 per cento. Inoltre, c'è stato un dibattito interno alla Commissione su quanto dovesse essere forte l'indirizzo nei confronti del nucleare.
Alla luce di ciò, le chiedo se non ritenga che sia utile al raggiungimento di questo obiettivo complessivo e, comunque, al raggiungimento dell'obiettivo che l'Italia si è posta, il dibattito, sviluppatosi nel nostro paese, sul ritorno al nucleare da parte dell'Italia.

DANIELA ALFONZI. Vorrei rivolgere al commissario Piebalgs una domanda secca, dopo averlo ringraziato per essere qui oggi.
In questo periodo, ci stiamo battendo e dibattendo su una questione, interna al nostro paese, che riguarda la divisione societaria della rete distributiva del gas: è stata avanzata, sui giornali, l'ipotesi di lavoro di operare a livello europeo sulle reti e, quindi, di costituire un soggetto unico europeo che le gestisca. In questo modo, sarebbe garantita la terzietà nel nostro paese, ma anche su tutto il nostro continente: sarei interessata a conoscere la posizione della Commissione europea riguardo alla possibilità di lavorare su questa ipotesi.

ARNOLD CASSOLA. Il commissario ha ricordato che il settore nucleare è stato sostenuto grazie agli aiuti dello Stato, in passato. È stato posto l'obiettivo del 20 per cento per le energie rinnovabili, ma la ricerca - secondo quanto il commissario ha affermato - non solo non è aumentata, ma è addirittura diminuita, in questo periodo. Per compensare quanto è successo in passato, la Commissione potrebbe ritenere utile permettere degli aiuti statali per la ricerca in ambito di energie rinnovabili e per raggiungere il tetto del 20 per cento? Si tratta di un obiettivo un po' modesto, ma, in questo modo, almeno cominceremo ad intervenire.

EDO RONCHI. Signor commissario, sull'obiettivo di riduzione al 20 per cento nel 2020, sono già stati individuati - o sono in discussione -, e in che termini, i criteri di ripartizione tra i vari paesi? Siccome gli Stati europei sono a livelli diversi di attuazione del Protocollo di Kyoto, sarei interessato a sapere se e come si prevede di conteggiare i ritardi. Oltre al raggiungimento dell'obiettivo, è previsto un rafforzamento degli strumenti comuni? Visto che l'obiettivo si fa più stringente e più impegnativo, servirebbero non solo obiettivi indicativi di settore, ma anche strumenti comuni (mi riferisco in particolare alla discussione sulla carbon tax, perlomeno in alcuni settori). È stato fatto qualche passo avanti in tal senso?

PRESIDENTE. Do la parola al commissario Piebalgs per la replica.

ANDRIS PIEBALGS, Commissario europeo per l'energia. Ringrazio tutti voi per avermi posto degli interrogativi estremamente importanti. Inizio da quelli più facili, forse, come il piano italiano di assegnazione di quote: è ancora all'esame e potrebbe esserci, tra non molto, la decisione della Commissione. Vi prometto che la Commissione applicherà la stessa metodologia verso l'Italia e verso gli altri paesi, molti dei quali, fra cui quello che conosco meglio, sono scontenti riguardo a questo nuovo piano; tuttavia, vi garantisco che ci sarà una valutazione equa dei piani nazionali.
Sulla condivisione degli oneri per il raggiungimento dell'obiettivo del 20 per cento, si pone un problema cruciale: è facile fissare un obiettivo a livello comunitario, ma come ripartire lo sforzo? Oggi, non esiste ancora un meccanismo preciso, per quanto riguarda la ripartizione degli oneri; inoltre, dobbiamo preparare una proposta anche per il regime di scambio delle quote, valutando l'impatto sui diversi paesi. Per quanto riguarda le iniziative diplomatiche, stiamo lavorando su quattro versanti: abbiamo bisogno di partner - altrimenti non avremmo credibilità - e dobbiamo continuare il processo di Montreal e di Nairobi, per un accordo globale post-Kyoto. Questo è un obiettivo


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importante, anche per mantenere il treno sul binario.
Il secondo tema è l'accordo bilaterale: lavoriamo con gli Stati Uniti, la Cina, l'India; ovunque troviamo partner, cerchiamo di coinvolgerli. Con gli Stati Uniti abbiamo un accordo sull'efficienza energetica e sulle nuove tecnologie e uno scambio di esperienze e strategie (per esempio, abbiamo sottoscritto un memorandum di intesa per quanto riguarda il sequestro del carbonio): quando c'è la possibilità, infatti, cerchiamo di non isolare un paese, ma di incoraggiarlo a partecipare.
In terzo luogo, c'è una nostra iniziativa all'interno del pacchetto energetico: arrivare a 12 centrali energetiche entro il 2015, con sequestro di carbonio. La sfida più impegnativa, infatti, è relativa al carbone, non in Europa, ma in India e in Cina; sono paesi in forte crescita economica che continuano a consumare carbone e nei quali, anche incoraggiando le migliori tecnologie, l'efficienza massima raggiunge il 47-48 per cento. Abbiamo bisogno di tecnologie per il sequestro di carbonio, altrimenti perderemo questa lotta. Chiediamo, quindi, che vengano compiuti degli investimenti, in modo da avere 12 centrali energetiche a sequestro di carbonio operative entro il 2015 (su questo collaboriamo con la Cina e gli Stati Uniti, molto avanti in materia).
Un altro elemento che può essere di aiuto è il prezzo degli idrocarburi; comunque, se vogliamo essere i capofila nella ricerca, gli Stati Uniti sono, ovviamente, un interlocutore importantissimo, ma noi dobbiamo essere i primi, per avere un vantaggio concorrenziale. Questi sono alcuni versanti di azione.
Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo, stiamo cercando di promuovere tecnologie pulite basate sulle energie rinnovabili. Abbiamo uno sportello energetico - una facility finanziaria - in grado di aiutare questi paesi, che hanno bisogno di energia e che, magari, invece di consumare carbone o petrolio, potranno utilizzare l'energia solare od eolica, con modalità più decentrate: ci stiamo veramente impegnando a fondo e la posta in gioco è elevatissima.
Riguardo al 20 per cento di energie rinnovabili, incontriamo alcune difficoltà perché, finora, abbiamo parlato di un obiettivo vincolante per l'Unione europea, complessivamente intesa. Ora, alcuni paesi potrebbero interpretare tale obiettivo come una richiesta dell'Unione, nei loro confronti, di contribuire con il 20 per cento, il che è fuorviante. Domandiamo, piuttosto, a tutti i paesi di inserire una componente rinnovabile nel loro mix e abbiamo anche una bozza di insieme; in alcuni Stati le energie rinnovabili sono molto elevate (pari al 50 per cento, nel mio paese, che ha un potenziale ancora maggiore di ricorso ad esse, per cui potrebbe superare tale percentuale, e sarebbe un bene!). In Francia, non occorre incentivare l'elettricità, perché non ce n'è bisogno: ci sono l'acqua ed il nucleare, dunque non è necessario l'eolico. Questo paese potrebbe, invece, utilizzare le energie rinnovabili a fini di riscaldamento e di raffreddamento, dato che gran parte del riscaldamento del paese funziona con l'elettricità (si tratta di un grosso mercato per i francesi). Anche sul fronte dei biocombustibili la Francia è attiva e, in quell'ambito, qualcosa di buono può essere realizzato.
Dal punto di vista metodologico, dobbiamo discutere con i vari paesi e trovare compromessi accettabili per ambo le parti: non mi aspetto un percorso facile; tuttavia, a mio modo di vedere, tutti i paesi hanno un potenziale di energia rinnovabile e l'importante è attingervi, senza fare affidamento sulle aziende energetiche che dominano il mercato. Tali aziende hanno bloccato, in molti Stati, ogni possibile sviluppo: quelle che hanno il mercato, oggi, sostengono che non siano necessari i mulini a vento; al contrario, se vogliamo avere l'eolico, dobbiamo affiancarlo al gas e al petrolio, abbinando i due tipi di generazione di energia. Per quanto riguarda il biogas, in molti casi, i fornitori non hanno avuto accesso alla rete; inoltre, la generazione combinata di calore e di


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energia è sottoutilizzata in Europa: abbiamo, quindi, un vasto potenziale di energia sostenibile che non viene sfruttato.
Per quanto riguarda le quote e il sistema di scambio, è vero che il regime non ha funzionato come avremmo voluto. Tuttavia, dal punto di vista dei principi, esso è valido, in quanto impone un massimale alle emissioni e consente lo scambio delle quote; quindi, o non si utilizza tutta la propria quota o si acquistano dei diritti ad emettere quando se ne ha bisogno: è un sistema flessibile che incoraggia gli investimenti a medio e lungo termine, incentivando le energie politiche, ed è, dunque, valido dal punto di vista intellettuale. Non ha funzionato molto bene perché in sede decisionale si è previsto che le quote potessero essere concesse anche gratuitamente sulla base delle richieste dei paesi membri; in seguito, vi sono state delle turbative. Il sistema, in realtà, avrebbe dovuto prevedere delle aste e non si sarebbe dovuto concedere questo margine agli Stati membri: in verità, le esperienze negative non inficiano l'impostazione del sistema, ma è l'applicazione del sistema stesso, che ha portato ad alcune turbative di mercato. Non vorrei, però, accentuare queste difficoltà: si è trattato di piccole discrepanze, turbative, non tali da distruggere l'industria italiana. Ad ogni modo, sappiamo che il regime non ha funzionato come avrebbe dovuto e deve essere migliorato.
Perché si pone l'obiettivo del 20 e non del 30 per cento fin dall'inizio? Questa è la sfida politica. Parlando con il mondo dell'industria, nessun rappresentante di questo settore contesta la necessità di contrastare il cambiamento climatico: ci invitano a realizzare prima un accordo internazionale, affermando che poi loro parteciperanno; tuttavia - come ho detto nella mia introduzione -, se non creiamo le condizioni, le aziende non vi investiranno, oppure investiranno in energia sporca.
Pertanto, abbiamo deciso di raggiungere il limite del 20 per cento unilateralmente: riteniamo di essere in grado di realizzare un accordo internazionale, ma nel frattempo fissiamo questo obiettivo unilaterale, appunto, per dare certezze alle realtà aziendali. Il 20 per cento non è un obiettivo troppo ambizioso, anzi è ragionevole (con l'efficienza energetica, le energie rinnovabili): non abbiamo intenzione, infatti, di imporre un onere troppo pesante all'industria. Quindi, per avere il sostegno di quest'ultima dichiariamo tale obiettivo, ma senza vessarla, senza distruggere l'occupazione e la sua competitività nel mondo industriale. Stabiliamo, così, l'obiettivo del 20 per cento unilaterale, anziché del 30 per cento, che sarà, invece, raggiunto se tutti faranno la loro parte (nei fatti, credo, comunque, si arriverà anche a questa percentuale).
Riguardo al nucleare, per il vostro paese, la risposta è la sussidiarietà: spetta all'Italia decidere se ricorrere o meno al nucleare (in merito, non posso darvi nessun consiglio). Per l'Unione europea, complessivamente intesa, il nucleare è utile, perché garantisce una diversificazione del mix energetico e fornisce un aiuto contro i produttori di gas e petrolio. Ovviamente, sarebbe illusorio pensare di costruire molte centrali nucleari, ma è un'opzione, una carta negoziale, perché, se chiudessimo questo capitolo, i produttori di gas e petrolio penserebbero che siamo in mano loro, quando, invece, abbiamo questa alternativa, sia pure teorica.
Da ultimo, vorrei sottolineare che il 30 per cento dell'energia dal nucleare non comporta emissioni di anidride carbonica. Fermo restando che le strade da percorrere - come ho già detto - sono, da un lato, la riduzione del consumo energetico, dall'altro, l'utilizzo di energie rinnovabili, senza dubbio, una quota ragionevole di energia nucleare, in paesi con forte consenso politico - in condizioni di sicurezza degli impianti (personalmente, insisto sempre su questo requisito) - offrirebbe un significativo contributo. Proprio per ragioni di sicurezza, vi è un disaccordo con il Governo bulgaro, il quale aveva promesso di chiudere una centrale che non è sicura: io ribadisco che è necessario farlo; non si tratta di una posizione contro l'energia nucleare, in linea di principio. Lo


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dimostra il fatto che la Commissione ha anche sostenuto, in Finlandia, un progetto modernissimo, con un altissimo standard di sicurezza e in grado di garantire una diversificazione dell'approvvigionamento energetico finlandese.
Non mi sembra che le cose vadano così male, per l'Italia, perché ha fornito al problema una risposta molto chiara, nel senso che si conosce la posizione dell'opinione pubblica e, dunque, le opzioni aperte sono le altre. In altri paesi, invece, l'industria deve decidere se investire o meno nel nucleare, e per saperlo si attendono le prossime elezioni: nei paesi in cui non ci sono certezze è molto più difficile agire, perché ciò che l'industria teme di più è proprio l'incertezza. Raggiungere gli obiettivi individuali di emissione, nel caso finlandese, è stato abbastanza semplice: hanno deciso di realizzare una parte di nucleare perché era un'opzione a loro aperta per diversificare. Quindi, ci sono stati sussidiarietà e un netto consenso a livello di pubblica opinione, in assenza del quale, è inutile attendersi investimenti. Ad ogni modo, il nucleare rimane un tema delicato in molti paesi.
Toccando un altro aspetto, abbiamo avuto esempi molto validi di separazione proprietaria e funzionale (il cosiddetto unbundling): in Spagna, c'è stato uno spacchettamento completo della rete energetica, della rete del gas; nei Paesi Bassi, c'è stato l'unbundling della rete del gas, con esperienze positive. Per il mercato europeo è necessaria un'uniformità di regole e di norme, per non dare vantaggi competitivi ad un paese piuttosto che ad un altro. Per l'Enel, può essere più difficile investire e accedere alla rete, perché potrebbe chiedere una posizione più favorevole per il proprio competitor; occorre, quindi, garantire un'uniformità di condizioni.
Per quanto riguarda l'Autorità dell'energia europea, se ne è ancora parlato poco. Molti paesi non vogliono nuove Autorità europee e, forse, anche all'interno di questo Parlamento ci sono diverse scuole di pensiero. Nessuno ostacola, ad esempio, la cooperazione tra Autorità nazionali omologhe, che potrebbero anche adottare decisioni vincolanti per il commercio di energia transfrontaliero, internazionale. Dobbiamo, quindi, cercare di seguire sempre la via del consenso, ancorché esistano progetti o proposte intellettualmente più valide (come un mercato unico o un regolatore unico): non dobbiamo cercare di imporre una visione teorica, perché l'Unione europea è complessa, ha 27 membri e ci sono problemi di sovranità.
Ovviamente, sarebbe positivo se ci fosse una forte cooperazione fra le autorità nazionali. Quella esposta potrebbe essere, quindi, un'impostazione corretta e valere, a mio parere, anche per gli operatori dei sistemi di trasmissione per l'elettricità. Gli operatori, oggi, collaborano abbastanza bene: ad esempio, se l'energia che proviene da reti offshore nel nord dell'Europa non va soltanto alla rete tedesca, ma anche a quella polacca o olandese, gli operatori dei sistemi di trasmissione devono cooperare, perché sono responsabili in prima linea per evitare i blackout. Comunque, collaborano già abbastanza bene e devono continuare a farlo. Per quanto riguarda il gas, ce ne sono di meno, perché la rete del gas è in fase di sviluppo, ma, ritengo che avere una rete di Autorità e di operatori delle varie reti sia molto importante, e l'Italia ci aiuta in questo.
Si è verificata una flessione degli investimenti nelle energie rinnovabili; al riguardo, abbiamo una notizia positiva e una negativa: quella positiva è che consentiamo gli aiuti statali, pubblici (le linee direttrici per gli aiuti pubblici nel campo dell'ambiente lo consentono, quindi, bisogna ricorrere a questo strumento); quella negativa è che ogni Governo nazionale ha il diritto di decidere e queste difformità possono essere svantaggiose. In Lettonia, ci sono stati progressi sui biocombustibili, spesso esportati in altri paesi. I biocombustibili vanno consumati vicino al luogo di produzione, per avere una validità economica ed energetica; di conseguenza, possono esserci dei problemi. Spero che gli Stati membri ci vengano incontro: abbiamo bisogno di un regime europeo più o meno armonizzato, altrimenti, provocheremo turbative sui mercati. Ad esempio, nell'ambito dell'energia da fonti rinnovabili,


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ci sono già sei paesi in cui vedo possibilità di successo. Per i biocombustibili, invece, i paesi sono due: su quel fronte, infatti, spesso i sistemi proposti erano controversi, non stabili, non davano certezze, talvolta anche a causa delle scadenze politiche ed elettorali (spesso, infatti, un nuovo Governo produce una politica diversa e l'industria non fa investimenti in un arco temporale quadriennale, perché troppo breve).
A livello teorico, la sussidiarietà consente ad ogni Stato di ricorrere agli strumenti più appropriati, ma gli obiettivi sono di livello superiore e più ambizioso. Spero, pertanto, che gli Stati membri siano costruttivi, realizzando il 20 per cento del burden sharing (la condivisione degli oneri) con un sistema orizzontale, più un meccanismo di gare, di aste, e rafforzando gli strumenti comuni (la carbon tax, l'imposta mista). A mio parere, la carbon tax è una scelta, nell'ambito dell'emissions trading scheme; non mi sembra utile ricorrere ad entrambi i sistemi, lo scambio di quote e l'imposta mista, perché la carbon tax è un fattore ridistributivo governativo, mentre il regime di scambio di quote è più vicino agli investimenti privati. Pertanto, raggiungeremmo in quell'ambito i livelli di scala utili per combattere il cambiamento climatico.

PRESIDENTE. Ringrazio ancora il commissario europeo per l'energia, Andris Piebalgs, della disponibilità manifestata.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,45.