COMMISSIONE IX
TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 18 aprile 2007


Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MICHELE POMPEO META

La seduta comincia alle 20,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni Silveri, sulle prospettive relative agli assetti proprietari del Gruppo Telecom Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, del ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni Silveri, sulle prospettive relative agli assetti proprietari del Gruppo Telecom Italia.
Do la parola al ministro, che ringrazio in modo particolare perché, dopo l'audizione svoltasi al Senato, ha voluto confrontarsi anche con la Commissione trasporti della Camera dei deputati per informarla sul tema oggetto dell'odierna audizione.

PAOLO GENTILONI SILVERI, Ministro delle comunicazioni. Ringrazio il presidente e i colleghi della Commissione.
Il tema di cui oggi ci occupiamo è molto importante perché, con la decisione del 1o aprile, per la prima volta il consiglio di amministrazione della Pirelli ha deciso di cedere il controllo di Olimpia. Naturalmente, questa è una decisione di grande importanza, sia per gli azionisti che per il paese. Non è in gioco, infatti, la ricerca di eventuali partnership industriali - come era avvenuto nei precedenti casi di News Corporation o Telephonica - ma il controllo stesso della Telecom. Quindi, essendo in gioco, in fondo, il destino della nostra principale azienda privata, sarebbe stato incomprensibile - e io credo irresponsabile - un atteggiamento di indifferenza da parte del Governo.
Nessun Governo di un grande paese occidentale resterebbe indifferente, e noi non lo siamo. Sin dal primo momento abbiamo assunto un atteggiamento di preoccupata attenzione per l'evolversi della vicenda, di assoluto rispetto dei diritti degli azionisti e delle dinamiche di mercato, prestando attenzione alle regole e alle autorità indipendenti che devono farle rispettare.
C'erano e ci sono, innanzitutto, alcuni interessi di carattere generale da sottolineare e da difendere, interessi del paese e non di una parte politica: penso all'unitarietà dell'azienda, comprese le sue aziende presenti all'estero che, per quanto ridimensionate, contribuiscono in modo rilevante ai suoi ricavi - Tim Brasile, oggi al centro di tantissime attenzioni, ha raddoppiato in due anni la propria clientela (con tassi di crescita a due cifre) -; penso al mantenimento della sua forza occupazionale (84 mila dipendenti), alla sorte del cervello innovativo e di ricerca, che ha avuto tanti successi anche in anni recenti (specie nella telefonia mobile); penso, infine, alla delicatissima questione dell'accesso e della qualità di quella parte della rete che costituisce monopolio naturale, non replicabile, che nei prossimi anni richiederà investimenti per portare fibra


Pag. 3

ottica e servizi a banda larga. Sono tutti elementi, dunque, che interessano i nostri concittadini e che influiscono sulla qualità dei servizi essenziali.
Telecom non è una rete qualsiasi: è il sistema nervoso della nostra economia. Il Governo chiede di rispettare questo interesse generale non meno di quanto sia giusto rispettare gli interessi degli azionisti Pirelli.
A questo interesse generale, che il Governo ha il diritto-dovere di delineare, si è aggiunta una sfida per il nostro mercato delle imprese e dei capitali. La cosiddetta «italianità» per il Governo può essere un auspicio, non certo una condizione da perseguire con interventi amministrativi o barriere imposte per legge; per il mercato, però, è certamente una sfida, e non impossibile, viste le cifre in ballo per acquisire il controllo di Olimpia.
È una partita che imprese e capitali del nostro paese possono affrontare e vincere solo contando sulle proprie forze, e non sulla benevolenza dell'arbitro, ossia dello Stato. Quando si auspica uno Stato regolatore e non protagonista invadente del mercato, il Governo italiano è dunque perfettamente d'accordo - ed ha le carte in regola per affermarlo perché è così nei fatti - e sono certo che questa sia anche la convinzione dell'ambasciatore degli Stati Uniti.
Consapevolezza dell'interesse generale, attenzione alle regole, ma nessuna interferenza: le vie dell'interventismo in questa materia, infatti, sarebbero del resto assolutamente impraticabili nel quadro normativo italiano ed europeo.
Vediamo infatti, innanzitutto, di quali poteri dispone teoricamente il Governo: l'esercizio dell'attività di operatore telefonico è soggetto non più ad una licenza ma ad un'autorizzazione generale della durata di vent'anni, che può essere ceduta a terzi. Il Codice delle comunicazioni prevede che il Ministero verifichi la mancanza di condanne penali da parte degli amministratori delegati o dei rappresentanti legali dell'impresa, l'iscrizione della stessa alla camera di commercio, l'appartenenza dell'impresa all'Unione europea, o allo spazio economico europeo, o ad uno Stato che applichi condizioni di piena reciprocità. Il Ministero, inoltre, qualora abbia prova di una violazione delle condizioni di questa autorizzazione generale e dei diritti d'uso, tale da comportare un rischio grave e immediato per la sicurezza pubblica, l'incolumità, o la salute pubblica, può adottare una serie di sanzioni.
Quanto al Ministero dell'economia e delle finanze, quest'ultimo è titolare di quel che resta della cosiddetta golden share sulla quale, peraltro, la Commissione ha recentemente deferito l'Italia presso la Corte di giustizia europea. I poteri speciali che spettano ai soggetti titolari della golden share, tra cui l'opposizione a partecipazioni rilevanti, ossia superiori al 3 per cento, «sono utilizzabili esclusivamente, ove ricorrano - cito il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del giugno 2004 - rilevanti e imprescindibili motivi di interesse generale, in particolare con riferimento all'ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, alla sanità pubblica e alla difesa, fermo restando il rispetto dei principi dell'ordinamento interno e comunitario».
Come si può vedere, l'uso di questi poteri nelle vicende che si sono profilate in queste settimane sarebbe improponibile.
Aggiungo che intraprendere le vie di un interventismo sarebbe comunque sbagliato; sarebbe innanzitutto un errore immaginare salvataggi pubblici, perché Telecom non è un'azienda decotta da salvare: basti pensare che nell'ultimo esercizio, relativo al 2006, Telecom Italia ha realizzato un Ebitda pari a 12,850 miliardi di euro con un margine sui ricavi del 41 per cento, che è il dato migliore fra gli incumbent europei comparabili, considerato il 36 per cento di Telefonica, il 35,9 di France Telecom e il 26,6 di Deutsche Telekom.
Si potrebbe anche discutere della privatizzazione decisa dieci anni fa nel contesto della liquidazione dell'IRI e dell'aggancio italiano all'Europa dell'euro, ma da questa discussione non possono certo emergere ipotesi di interventi di ripubblicizzazione.


Pag. 4


Sarebbe anche sbagliato, e contrario alle regole europee, decidere per legge o - peggio - addirittura per decreto, la separazione di una parte della rete Telecom, che dovrebbe eventualmente delinearsi solo nell'ambito di un confronto fra Telecom, altri operatori e autorità di garanzia.
È per questo che il Governo ha dedicato particolare attenzione all'attività del regolatore Agcom in merito alla rete di accesso, e non si tratta di un'attenzione dell'ultima ora, né tanto meno di cambiamenti in corsa.
L'emendamento che il Governo proporrà, probabilmente nel prossimo disegno di legge sulle liberalizzazioni, attribuisce ad Agcom, all'esito della verifica sulla ricorrenza di circostanze eccezionali, il potere di definire regole dirette ad assicurare che l'amministrazione e la gestione degli elementi che compongono la rete di accesso siano sottoposte a un regime improntato a criteri di autonomia, di neutralità e di separazione funzionale dalle altre attività dell'impresa, con la piena garanzia della parità di trattamento, esterna e interna, per tutti gli operatori che chiedono accesso.
Secondo il nostro emendamento, l'Autorità stabilirà altresì le modalità attuative delle regole di cui sopra, in confronto con l'incumbent e ivi inclusa la definizione del perimetro delle attività soggette a separazione. Si tratta di un emendamento il cui testo è pienamente condiviso dall'Unione europea - alla quale andrà comunque notificato -, come mi è stato confermato dal commissario Vivian Reding dopo ampie consultazioni tra i nostri uffici.
Si tratta di un passaggio, che non è il primo e non sarà l'ultimo, coerente con un percorso di rafforzamento del ruolo dei regolatori indipendenti, che ha avuto diverse tappe nell'ultimo anno; si è trattato di un processo che è iniziato con la direttiva accesso risalente al 2002 (recepita nel nostro ordinamento nel 2003) e che si è consolidato attraverso l'esperienza britannica, dove la separazione dalla rete di British Telecom, guidata da Ofcom, ha prodotto risultati interessanti sia per la riduzione - anzi, il quasi azzeramento - del contenzioso tra incumbent e altri operatori - che era molto forte, come è molto forte in Italia -, sia per la moltiplicazione del numero di operatori che, grazie alle garanzie di equivalenza di accesso, hanno deciso di investire sulla rete.
Anche in Italia si tratta di puntare - con un nostro modello, ovviamente - ai medesimi due obiettivi: equivalenza di accesso alla rete e remunerazione per gli investimenti assai cospicui che si renderanno necessari.
Questo obiettivo è stato abbozzato già da Agcom nella relazione annuale del luglio scorso ed è stato, poi, rilanciato da Telecom l'11 settembre successivo, quando il consiglio di amministrazione ha deciso di avviare il relativo negoziato con Agcom. Proprio a tal fine l'Autorità, al termine dello scorso mese di settembre, istituì una apposita task-force, che sta attualmente lavorando con Telecom e altri operatori.
Naturalmente, sono molti i nodi da sciogliere in questo confronto in atto: si tratterà di una separazione funzionale o societaria? In che modo verrà assicurato un quadro certo per gli investimenti? Quale governance verrà decisa per la parte separata della rete? Quale perimetro - problema tecnicamente ed economicamente importantissimo - avrà questa separazione?
Su nessuno di questi nodi l'emendamento si sostituisce ad Agcom: esso si limita solo a rafforzarne gli autonomi poteri. Anche in questo caso, si tratta di una politica che il Governo segue dall'atto della sua istituzione.
Abbiamo rafforzato i poteri di Agcom in questa materia, innanzitutto attraverso l'articolo 14-bis del primo decreto sulle liberalizzazioni - risalente allo scorso mese di agosto - che attribuisce a tale autorità il potere di rendere obbligatori gli impegni assunti da un'impresa del settore, riconoscendole in sostanza poteri di tipo antitrust.
Abbiamo poi modificato l'articolo 98 del Codice delle comunicazioni, inasprendo le sanzioni in caso di violazioni di


Pag. 5

varie norme del codice stesso, riguardanti tra l'altro le caratteristiche delle autorizzazioni regionali.
Proseguiremo il nostro lavoro, inoltre, con il disegno di legge n. 1825 sul sistema televisivo, rendendo assai più efficace l'attività di controllo e sanzione dell'Autorità, che intendiamo rafforzare anche con l'emendamento che prima ho richiamato.
AT&T, nel comunicato con cui ha motivato il ritiro della propria offerta, ha parlato di due ragioni, che cito testualmente: «Incertezza su alcuni elementi della regolazione ed altri problemi concernenti il business». Ignoro quali siano questi altri problemi concernenti il business, e ho il massimo rispetto per le imprese quando decidono se un affare sia conveniente o non lo sia più. Ma per quanto riguarda l'incertezza, se essa è relativa al processo che ho appena descritto, in atto da mesi - e che certo non si concluderà prima della fine dell'anno -, è una incertezza che caratterizza tutti i mercati europei, dal Regno Unito, che ha impiegato circa due anni e mezzo per varare Open Reach, alla Repubblica federale tedesca, che ha deciso alcuni mesi fa, per legge, la protezione dell'incumbent, e che per questo con ogni probabilità andrà incontro ad un procedimento di infrazione comunitaria.
Lo stesso quadro regolamentare europeo, che non risale a venti ma solo a cinque anni fa, si sta ponendo il problema di come evolvere includendo il tema della separazione funzionale della rete. Quindi, è vero che il quadro è in evoluzione, e io prendo atto delle dichiarazioni rilasciate ieri dallo stesso dottor Tronchetti Provera, che ha detto testualmente: «Chiederemo al management di Telecom Italia di agevolare in ogni modo il negoziato con Agcom sulla rete, affinché si arrivi il prima possibile ad un quadro regolamentare certo e definito». Ma il fatto che in Italia e in Europa il quadro sia in evoluzione non vuol dire che esso sia incerto. Le leggi ci sono, le autorità le fanno rispettare, e le intenzioni del Governo, espresse dal Presidente del Consiglio e dai ministri competenti, sono chiare.
Il dibattito tra le forze politiche, l'attività di proposta legislativa, il confronto tra operatori e regolatori non sono fonte di incertezza, ma sono il modo di funzionare della democrazia.
Con altrettanta forza vorrei dire che il nostro quadro regolamentare, e il presidio che ne fanno le autorità indipendenti, non ha nulla da invidiare a gran parte dei maggiori paesi. Vedo pochi pulpiti dai quali è possibile fare prediche, anzi, su alcune sfide cruciali sul piano regolatore - penso all'unbundling, con i nostri oltre due milioni e mezzo di linee - siamo i primi della classe.
Secondo l'ultimo rapporto dell'Unione europea, pubblicato esattamente il 30 marzo, in Italia hanno trovato conferma trend positivi, in termini di crescita, nei mercati della banda larga e della telefonia mobile, e di miglioramenti nella competizione in tutti i segmenti del mercato; grazie ad un efficace contesto di regole e di prezzi, la penetrazione della banda larga e dell'unbundling nel local loop nello scorso anno è cresciuta in modo sostanziale.
Questo è dimostrato anche dalla presenza di capitali e di investimenti stranieri, europei ed extraeuropei. È davvero bizzarro che si dica che facciamo scappare gli investitori quando, in questo settore, le imprese sono quasi tutte straniere, e proprio in queste settimane è in corso un'OPA per il controllo, da parte di Swisscom, del nostro secondo operatore di rete di TLC, Fastweb. Quindi, grazie a investitori stranieri e italiani e a un buon quadro regolamentare, abbiamo un mercato delle TLC con tassi di crescita doppi o tripli rispetto alla nostra economia, e con settori che sono tuttora all'avanguardia in Europa.
Certo, è un mercato che oggi ha di fronte la sfida delle reti di prossima generazione, con le quali garantire accesso universale, alla banda larga e ai suoi servizi, con tariffe decrescenti.
Voglio assicurare alla Commissione che il Governo proseguirà nella sua linea di promozione degli interessi generali, di non interferenza ma di grande attenzione per le regole e per i poteri delle autorità indipendenti.


Pag. 6


PRESIDENTE. La ringrazio, ministro. Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

MARCO BELTRANDI. Signor ministro, la ringrazio e le dico subito, a nome del gruppo della Rosa nel Pugno, che apprezziamo la decisione dello Stato di intervenire come regolatore e le sue modalità.
Per quanto riguarda la rete, soprattutto per quella parte non replicabile rappresentata dal monopolio naturale, ci sono due obiettivi - come lei ha detto - che vanno perseguiti e che solo con una separazione funzionale si possono raggiungere: bisogna garantire effettive condizioni di parità di accesso a tutti i competitori e, allo stesso tempo, dare la possibilità agli operatori di fare quegli investimenti, per le nuove reti e le nuove infrastrutture, che sono giudicati indispensabili ma che un operatore da solo, senza avere garanzie, non potrebbe o non si sentirebbe in grado di sostenere. Sul mercato italiano devono concorrere probabilmente più operatori, ma potranno farlo solo se avranno la garanzia della neutralità dell'accesso alla rete. Quindi, ritengo che da questo punto di vista l'intervento del Governo sia apprezzabile.
Devo comunque sottolineare un aspetto che, viceversa, mi permetto di giudicare meno apprezzabile: faccio riferimento ai tempi di decisione di questo intervento. Tutti sappiamo che fra Agcom e Telecom era in corso una discussione per giungere ad una soluzione che si sarebbe basata probabilmente sul modello inglese (come lei stesso ha ricordato, niente era stato definito, poiché se ne stava ancora discutendo).
Sono certo, anche per altre ragioni, che se l'intervento governativo, o l'annuncio dell'intervento governativo tramite questo emendamento, fosse stato fatto qualche mese fa, noi non avremmo dato modo agli investitori stranieri - che poi, magari, si sono ritirati - di dire che il Governo italiano interviene quando dall'esterno si cerca di acquistare una società nazionale.
Sostengo questo perché, in tutta questa vicenda, inizialmente vi è stata subito una dichiarazione nella quale si definiva un fatto grave l'offerta pubblica, mentre successivamente è stato dato l'annuncio dell'intervento. Naturalmente, da tutto ciò è facile farsi un'idea di parzialità, anche al di là delle intenzioni.
Concludo dicendo che è auspicabile uno Stato regolatore, ma mi auguro che il Governo non assecondi una soluzione italiana piuttosto che un'altra. Lei ha detto che l'atteggiamento del Governo è di non-interferenza, però mi permetto di dire che a volte l'intervento del Governo può limitarsi ad una moral suasion. Per me non è importante se la proprietà dell'azienda sarà italiana o meno, ma mi importa che ci siano delle regole e che vengano fatte rispettare. Credo che ciò dovrebbe interessare anche agli utenti consumatori.

MAURIZIO GASPARRI. Non posso che condividere le affermazioni del ministro sulla validità dell'impianto regolatorio. Infatti, il Codice delle comunicazioni elettroniche fu emanato nel 2003, e, essendomene personalmente occupato, ritengo che sia stato positivo avere raccolto in un testo unico una miriade di norme disseminate in ambiti diversi. Anche il recepimento delle direttive europee è avvenuto in quella occasione.
Ora si tratta di rafforzare i principi posti a tutela del sistema, quindi i poteri dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, cercando di accelerare delle procedure che sono state avviate da tempo.
È giusto che in un dialogo con l'operatore dominante si possa arrivare ad una separazione societaria, ma non ad un esproprio, come qualcuno - non il ministro Gentiloni, ma altri membri del Governo - ha invece accennato.
Altri esponenti della politica, fra cui lo stesso Presidente della Camera, hanno utilizzato nei giorni scorsi l'espressione «bisogna far rimanere pubblica la rete di telefonia fissa». Ho l'impressione che alcuni utilizzino i termini con una padronanza relativa: un conto è garantire l'accesso della rete a tutti gli operatori in condizioni di parità, quindi anche intervenendo


Pag. 7

sempre di più in quel contenzioso, che si è spesso determinato, riguardante le tariffe e le regole; altro è riacquisire una proprietà. Un'operazione del genere, francamente, richiederebbe, più che il «tesoretto», un'apposita finanziaria.
Penso che alcuni, in questi giorni, ad esempio taluni ministri - cito tra tutti il ministro Di Pietro - nella foga di esporre certe argomentazioni, in connessione con vicende assembleari, personaggi dello spettacolo che passano alle assemblee societarie e conflitti di interesse di vario tipo (termine è stato usato in tanti casi), hanno creato un po' di confusione.
Credo, quindi, che se si andrà nella direzione di un emendamento teso a rafforzare i poteri dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nell'ambito di quelle norme che già in parte sono contenute nel Codice della comunicazione elettronica, in linea con le direttive europee, si andrà verso una direzione positiva.
L'impressione che si è avuta nei giorni scorsi è che talvolta si sia parlato a sproposito - anche da parte di diversi membri del Governo - di interventi legislativi di altra natura che hanno creato confusione, condizionando gli andamenti dei mercati e, credo, scoraggiando anche alcuni investitori. So bene che il nostro mercato è aperto e che abbiamo nel campo della telefonia mobile investitori egiziani, cinesi, multinazionali, che operano da anni in questo campo. Spero però che gli imprenditori italiani possano intervenire secondo le dinamiche del mercato. Infatti, anche in questo caso, si è avuta l'impressione che molti esponenti politici avessero l'intenzione di condizionare il mercato, lanciando «appelli» di varia natura, ben diversi dagli «auspici» di cui ha parlato - usando il termine adeguato - il ministro.
Avendo vissuto epoche di cordate, di interventi attraverso «nocciolini duri», di scontri di varia natura, che hanno fatto crescere il debito della Telecom, è evidente che, in passato, il sistema politico non è certamente rimasto al di fuori da relazioni con investitori di diverso tipo.
Credo, quindi, che su questa vicenda si debba prestare molta attenzione, considerato il sospetto che grava sull'attuale Governo.
È stato lo stesso Presidente del Consiglio, Prodi, ad aver determinato una privatizzazione che ha causato una instabilità societaria tuttora presente ed è la legge Draghi ad aver determinato un sistema che viene definito di «scatole cinesi». Inoltre, va ricordato che quando si pensava che, con il «nocciolino duro» dello 0,6 per cento, si potesse garantire una navigazione nel mercato, che non è mai avvenuta, il ministro dell'economia era Carlo Azeglio Ciampi.
Quindi vorremmo che chi ha commesso degli errori avesse l'umiltà di ammetterli, perché le procedure di privatizzazione dell'epoca non furono efficaci e chiare (tralasciando tutto il resto, come i vari passaggi di proprietà avvenuti nelle diverse fasi).
Prima di fare appelli all'italianità - che è l'argomento del momento - credo che sarebbe opportuno meditare sugli errori compiuti in passato, considerato il fatto che la rete poteva essere strategica anche dieci anni fa. Anzi, oggi forse la centralità della rete fissa si è probabilmente un po' attenuata per la moltiplicazione delle innovazioni tecnologiche (ad esempio, wireless). Se oggi la rete è strategica, dieci anni fa lo era molto di più, eppure le considerazioni fatte allora furono un po' più superficiali, nonostante alcuni di quei personaggi - ripeto - siano oggi nelle stesse funzioni di dieci anni fa.
Ci sono stati alcuni eventi - ad esempio il piano Rovati - che hanno determinato, anche in società private, una serie di conseguenze (decisioni, dimissioni e quant'altro) che hanno inciso anche sui consumatori.
La nostra preoccupazione riguarda dunque il quadro complessivo all'interno del quale si è intervenuti nel corso di molti anni. In alcune fasi abbiamo cercato, attraverso l'introduzione di alcune normative, di disciplinare la materia anche in linea con l'Unione europea, la quale mi sembra che in questi giorni abbia, sì,


Pag. 8

incoraggiato ad agire, ma seguendo direzioni diverse da quelle di intesa (infatti si sta operando sulla base delle direttive europee).
Concludo dicendo anche che, secondo me, le vicende di questi giorni stanno determinando alcuni eventi paradossali: personalmente, leggo quasi con ironia gli appelli in difesa di leggi che hanno stabilito norme antitrust. Infatti, alcuni intrecci azionari oggi non sono possibili nel nostro paese proprio perché sono impediti dalla legge antitrust di riforma del sistema radiotelevisivo.
Personalmente mi auguro - non è problema solo politico, ma anche economico - che alcuni imprenditori non facciano investimenti, nemmeno con piccole quote, che sarebbero sì compatibili con le leggi - in quanto non investimenti di controllo - ma alimenterebbero - faccio per esempio riferimento ad eventuali presenze di Mediaset in Telecom - inevitabili e comprensibili discussioni politiche che, da politico, spero non si debbano affrontare. Quindi spero che non ci siano nemmeno quote di minoranza, che pure sarebbero compatibili col quadro di regolamentazione; mi fa piacere che taluni scoprano oggi che ci sono dei limiti antitrust nella legge di riforma del sistema radiotelevisivo.
Un'ultima considerazione: la discussione sul sistema radiotelevisivo, che è in corso in questa Commissione in sede congiunta con la Commissione cultura, non può ignorare il quadro di convergenza, che questa vicenda comunque ripropone - convergenza tra telecomunicazioni e televisioni -, e i limiti dell'antitrust che impediscono l'acquisizione di Telecom da parte di Mediaset, che vanno considerati alla luce di una evoluzione del sistema.
Oggi, visto che dal Messico, dagli Stati Uniti, da tante parti del mondo arrivano soggetti che possono investire, noi potremo competere solo se avremo aziende e gruppi di dimensioni adeguate; è inutile fare appello al patriottismo quando arrivano imprenditori stranieri, se poi bisogna frammentare le aziende italiane quando tali investitori vengono meno.
Voglio ricordare che gli americani furono ammessi nel consiglio di Telecom (il ministro dell'economia era Ciampi) quando non possedevano nemmeno un'azione. L'AT&T non è arrivata con gli elicotteri del colonnello Kilgore, quello del film Apocalypse now: è una società che è già stata nel consiglio di Telecom quando non aveva nessuna partecipazione azionaria.
Mi auguro che nelle discussioni generali che svolgiamo sulle norme che riguardano le telecomunicazioni - anche sulla materia del sistema radiotelevisivo, che è molto collegata - si tenga conto che la competitività delle aziende italiane potrà essere tutelata anche attraverso il mantenimento delle norme antitrust attualmente vigenti; credo che, se si andasse oltre, ci sarebbe il rischio reale di un acquisto globale e non la presenza positiva di singole aziende estere che hanno alimentato la concorrenza con benefici per i consumatori.
Valuteremo pertanto, con la serenità del caso, gli interventi tesi a rafforzare l'azione di regolamentazione dell'Autorità, ma invitiamo ad una riflessione generale, visto che sono in corso dibattiti di carattere legislativo su tutti questi settori. È troppo facile inneggiare al tricolore quando arriva un investitore straniero. Cerchiamo anche di preoccuparci - magari quando non ci sono scalate o offerte in corso - della dimensione delle nostre aziende, che deve essere adeguata.

ANTONELLO FALOMI. Intanto ringrazio il ministro per quanto ci ha detto, perché ci consente di cominciare in Parlamento una discussione che è bene proseguire in questa sede.
Condivido l'affermazione del ministro secondo la quale lo Stato e il Governo non possono rimanere indifferenti rispetto a quello che sta accadendo oggi nella vicenda Telecom.
Il ministro ha adoperato parole molto forti per indicare l'interesse generale del paese, che giustificherebbe un intervento pubblico, e io le condivido totalmente (non userò le stesse modalità di espressione).


Pag. 9

Tuttavia, ministro, il punto che a mio avviso va sottolineato è l'assoluta sproporzione tra la forza con cui è stato posto il tema dell'interesse generale del paese e gli strumenti che vengono individuati per tutelarlo. Non ci convince molto l'impianto complessivo che qui è stato suggerito.
Dobbiamo riflettere sugli avvenimenti che si sono succeduti in questo paese dal momento delle privatizzazioni, in particolare della privatizzazione di Telecom. Non si può sostenere un intervento con strumenti molto deboli e molto flebili come quelli che qui sono stati configurati, partendo da una impostazione generale che andrebbe sottoposta ad un minimo di riflessione.
Si è affermato che lo Stato deve assumere il ruolo centrale di regolatore e che l'interventismo, come anche altre forme, è impraticabile. Dobbiamo pur prendere atto che dopo aver affidato la Telecom alla cura del mercato, alle regole generali entro cui il mercato si muove, ci troviamo con un'azienda che, a causa del mercato, in termini di valore azionario ha subito un crollo dal momento della sua privatizzazione ad oggi. Essa è carica di debiti e gli investimenti sono scarsi proprio per questo motivo. Il sistema delle regole attuali è del tutto inadeguato a fronteggiare questa situazione, tant'è che lo stesso ministro sostiene che occorrerebbe cercare di modificarle, anche se sull'argomento di tale modifica mi pare che sia stato piuttosto sfumato nelle sue considerazioni. Anzi: ha prospettato una posizione che, francamente, non condividiamo.
Si è parlato di separazione funzionale o societaria, di governance, e via elencando; è stata così individuata la necessità di andare oltre gli obblighi previsti oggi dal Codice delle comunicazioni - che recepisce le direttive europee - e di dare all'Autorità più poteri. Tuttavia, il fatto che questi poteri non vengano specificati, ma siano attribuiti in modo assolutamente indefinito alla stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, a mio giudizio non è un modo forte di intervenire.
Anche in questo caso si parla di separazione funzionale, separazione societaria, e via discorrendo: il problema rimane la natura di questa separazione. Si sostiene che non debba esserci la separazione proprietaria - è stato detto anche in questa sede - ma il problema riguarda l'esistenza di una separazione tra la gestione della rete e la proprietà della rete stessa.
Questo è il nodo: o c'è un gestore neutrale, terzo, rispetto alla proprietà, vale a dire un consiglio di amministrazione che gestisce la rete, nominato da organismi pubblici - come avviene in Inghilterra - oppure questa separazione rischia di essere lasciata in mano alle autorità che - come abbiamo visto in tutti questi anni - non sono state in grado di controllare realmente le cose. Anche su questo terreno, che non ci convince, a mio avviso la proposta appare abbastanza incerta.
Se dobbiamo dare dei poteri all'Autorità, dobbiamo dire quali sono questi poteri. Non se li può prendere l'Autorità, semplicemente: dobbiamo dire esattamente cosa vogliamo.
Lo ripeto, la separazione deve esserci tra gestione e proprietà; qualunque altra soluzione sarebbe generica e vaga, tanto più se lasciata, senza chiarezza, alla decisione dell'Autorità. Questo è un punto importante.
Vorrei porre un'altra questione: siamo sicuri che non esistono altre possibili linee di intervento? Mi spiega il ministro perché la Cassa depositi e prestiti non può partecipare alle trattative in corso per la questione della vendita della quota di Olimpia? Quale norma di legge, nel nostro paese, impedisce il ricorso alla Cassa depositi e prestiti (Commenti)?
No, la Comunità europea non c'entra. Non esiste alcuna norma di impedimento della Comunità europea, tanto è vero che in altri settori quest'intervento esiste (Commenti). Non voglio adesso rispondere ai commenti: ritengo che nessuna norma impedisca alla Cassa depositi e prestiti di entrare nella trattativa. Non si capisce perché il nostro ruolo si debba limitare ad assistere, impotenti, a cordate che per l'Italia significano cadere dalla padella nella brace. Francamente non mi pare una soluzione passare dagli americani alle


Pag. 10

mani di Berlusconi e di Mediaset. Riconosco che si tratta di un gruppo italiano, ma il conflitto di interessi, a questo punto, verrebbe elevato all'ennesima potenza.
Secondo me occorre discutere la questione senza pregiudizi ideologici, valutando i fatti per quelli che sono. Ve lo dice uno che ha partecipato - dieci anni fa - a certe decisioni, ma che guarda anche ai risultati che ne sono conseguiti. Io sono in grado di valutare se i risultati sono stati positivi o negativi e quello che oggi posso dire è che l'assenza dell'intervento pubblico ha pesato enormemente.
Mi domando: come faremo a realizzare reti di nuova generazione, a garantire la banda larga e una forte capacità di trasmissione, con investitori che si mostrano sempre abbastanza restii a mobilitare grandi risorse (Commenti)?
A mio avviso solo un intervento pubblico, del tipo che ho delineato e indicato, una presenza dello Stato garantirebbe investimenti a lungo termine.
Se veramente si vogliono difendere gli interessi di questo paese, allora non abbiamo bisogno di capitalisti che fanno investimenti a breve termine, vendono le proprie quote e scappano (come purtroppo è successo e sta ancora succedendo in Italia), bensì di investitori che ragionino anche sul lungo termine.
Penso quindi che esistano altre strade; quando discuteremo degli emendamenti, proporremo ipotesi alternative (se, ovviamente, l'ipotesi che è stata delineata non cambierà).

ANGELO MARIA SANZA. Signor ministro, esprimo innanzitutto apprezzamento per essere intervenuto nella sua veste ufficiale e per avere qui esposto - ritengo con molta franchezza - la linea del Governo, sebbene quest'ultimo, su questa vicenda, sembri esprimersi con più voci. A noi, tuttavia, sta bene dialogare con lei, anche perché questa tematica è strettamente connessa ad altri problemi e temi di competenza della nostra Commissione.
Premetto subito che mi guardo bene dal farle qualsiasi lezione di economia: lungi da me volere entrare nel merito di aspetti strettamente economici, di cordate e di quant'altro.
Lei però si trova fra le mani una «gatta da pelare», un problema che, dal 1o aprile, lei deve maneggiare come una bomba ad orologeria, a causa degli eventi che si sono succeduti da quel giorno in poi, in riferimento sia alla gestione dell'azienda, sia al suo divenire, sia infine a tutte le implicazioni politico-istituzionali che da tale problema derivano.
Non so chi l'abbia affermato prima di me, ma convengo volentieri che quest'azienda, che rappresentava una grande ricchezza per il paese, da quando è stata privatizzata è crollata, nel momento in cui è passata nelle mani di diversi capitalisti. Forse dovrei dire pseudocapitalisti: mi pare, infatti, che su quest'azienda si siano inventati capitalisti senza capitali.
Il dato vero è che, con la privatizzazione, questa azienda è stata ristrutturata più volte, accorpata e riarticolata, con pochi investimenti e utilizzando sempre le risorse che arrivavano dal settore della telefonia mobile.
L'azienda è stata utilizzata strettamente per la comunicazione in quanto tale; successivamente è stata recuperata per operare nello scenario della rete fissa e della banda larga. Per quanto riguarda la rete, su cui è nata l'esigenza che chiameremo «inglese», cioè quella della separazione (funzionale, o societaria), convengo con l'onorevole Falomi: dal momento che si vuole trasferire le responsabilità all'Agcom, dobbiamo capire che cosa intendiamo per «separazione», perché i termini si prestano alla confusione. Noi dobbiamo stabilire di chi è la proprietà e come viene effettuata la gestione. Diversamente, nonostante lei confidi sugli investimenti, si rischia di non trovare mai nessuno disponibile ad investire, non conoscendo esattamente i ritorni derivanti dalla gestione della rete da parte del proprietario.
Ritengo che non sussista un comportamento trasparente da parte del Governo - non suo personale, signor ministro - in quanto il discorso sull'italianità ci rende veramente molto provinciali agli occhi de


Pag. 11

gli stranieri e di chi ci deve giudicare. A parte il fatto che, quando gli imprenditori italiani operano all'estero, pretendono di essere rispettati (mi riferisco al caso di Endesa è palese ormai che chi opera in un mercato globale e dispone di adeguati mezzi economici è in grado di imporsi anche all'estero. Se si tratta invece di definire la proprietà di settori sensibili nel nostro paese, si alzano «polveroni» di ogni sorta.
Le devo dire che se su questa industria non avesse gravato la «vicenda Rovati», senza voler riprendere un triste passaggio della politica economica di questo Governo, noi saremmo stati più sereni riguardo all'atteggiamento del Governo, o, più segnatamente, della Presidenza del Consiglio.
Ciò che mi preoccupa, della sua relazione, è il tono duro utilizzato solo nei confronti di un paese alleato, degli Stati Uniti d'America, in particolare con riferimento alle espressioni usate dall'ambasciatore di quel paese.
Con molta franchezza, se fossi un imprenditore straniero e non avessi contezza dei poteri che lui vuole attribuire all'Agcom, mi metterei proprio sulla stessa lunghezza d'onda dell'onorevole Falomi. L'onorevole Falomi, per una valutazione ideologica avversa e per una sua motivazione culturale, che io capisco, vuol tenere lontano qualsiasi straniero dalla Telecom. Se invece ci mettessimo culturalmente dalla parte dello straniero che investe in Italia, la nebulosità dei poteri da affidare all'Agcom potrebbe spingerlo a star lontano dall'investimento in Telecom.
Non so se resteranno ancora vive le attenzioni di America Movil, ma temo che, per come si muove il mondo della finanza italiana, si farà di tutto perché questa società di oltre Atlantico abbandoni il campo.
Oggi si sollecita l'attenzione potenziale di un operatore europeo: il presidente Meta sa quanto sto per dire. Non vorrei, infatti, che si tenti di creare una situazione analoga a quella di Alitalia, con alcuni operatori europei utilizzati solo come deterrente, per far scappare coloro che potrebbero essere non graditi all'attuale maggioranza politica del paese.
Vorrei dirle con molta franchezza, allontanando pregiudizi di ordine ideologico richiamati dall'onorevole Falomi, che non sarebbe opportuno che gli interessi delle banche, che erano dietro l'attuale industriale proprietario di Olimpia, continuassero a determinare la struttura delle nuove cordate. Qui, infatti, non si tratta solo di compiere operazioni finanziarie, bensì anche di rispondere correttamente ad un progetto aziendale che ha bisogno di investimenti massicci e che va correlato con tutto ciò che oggi è all'attenzione del suo Ministero (non solo sul versante della telefonia, ma anche su quello delle telecomunicazioni).
L'imprenditore italiano, quando lo si individua, non può essere per un verso sollecitato e per l'altro punito, utilizzando il metodo «del bastone e della carota». Nell'attuale articolazione politica della sinistra, c'è qualcuno che intravede un operatore italiano che è all'altezza del compito e qualcun altro invece si fa prendere da pregiudizi di ordine ideologico e lo vuole escludere.
Le dico tutto ciò, signor ministro, perché anche in riferimento al disegno di legge (che porta il suo nome) di revisione e modifica della legge Gasparri, l'attuale scenario presenta una situazione profondamente mutata, rispetto alle considerazioni di quasi un anno fa.
Dobbiamo valutare come aiutare l'italianità dell'azienda, ma quest'ultima non può procedere astrattamente o soltanto in termini finanziari, solo in difesa degli interessi delle banche, poiché non forniremmo risposte serie al mercato dell'industria mondiale.
Il discorso fatto da Montezemolo è rigoroso: noi dobbiamo lasciare al mercato degli industriali lo spazio per intervenire.
In conclusione, gli auspici e gli appelli - qualcuno li ha correttamente richiamati, credo l'onorevole Gasparri - sono strumenti tramite i quali chi ha in mano il


Pag. 12

potere coinvolge e assicura cordate amiche, mentre allontana altri operatori stranieri dallo scenario del mercato.
Nel ringraziarla, signor ministro, vorrei concludere in modo molto costruttivo, dicendo che condivido il suo giudizio sulla golden share: mi pare che siamo lontani dalla ipotesi di utilizzarla, qualcuno lo ha detto molto chiaramente. Condivido, inoltre, il fatto che non si stia affatto parlando di ripubblicizzare la rete (è solo un discorso interno alla maggioranza di governo). La stessa Comunità europea ha correttamente richiamato il Governo a non ripubblicizzare la rete fissa.
In vista di un'elaborazione più approfondita dell'emendamento che - se non vado errato - lei ha proposto sul decreto riguardante le liberalizzazioni, sarebbe opportuno che definissimo insieme, con maggiore chiarezza, i poteri affidati all'Agcom. Si rileva qui, lo ha già detto il presidente Beltrandi prima, un limite o un errore del Governo (non suo personale, signor ministro). I tempi per la separazione funzionale della rete erano maturi da tempo; invece, siamo arrivati all'esplosione di Telecom e vi trovate di fronte a due scenari da dover gestire contemporaneamente. Ciò, indubbiamente, ha limitato l'azione degli operatori industriali e, ancora una volta, ha provincializzato questo scenario industriale, che non è di poco conto.
Condivido le parole autorevoli che lei ha pronunciato in apertura della sua relazione, quando ha dichiarato che un paese occidentale come il nostro non può restare indifferente di fronte a questi temi, anzi deve essere trasparente, attento alle regole e puntuale sugli interessi da far rispettare.

ENZO CARRA. Ringrazio il signor ministro, in quanto la sua relazione è stata completa, chiara e patriottica. Questo comportamento credo che piaccia, perché raccoglie consensi in entrambi gli schieramenti.
Pongo soltanto una questione di fondo, sulla quale, quando sarà il momento, spero il ministro potrà riflettere (forse già l'ha fatto).
Il problema Telecom, in quanto tale, non è esistito solo due domeniche fa (la domenica delle palme, mi pare). Qualcuno dice che avuto inizio fin dalla prima OPA, diventando una specie di «gran tormento» italiano.
Qualche mese addietro, lo ricordava l'onorevole Sanza poco fa, si è verificata una specie di sollevazione popolare nei confronti del famoso «piano Rovati». Eppure quella era una soluzione, magari non accettabile, sbagliata, gravemente sbagliata, inattendibile - ognuno poteva pensarla come volesse, cioè che tale soluzione provenisse da Palazzo Chigi o da un'altra parte -; l'unica soluzione a cui si è giunti, rispetto a quella situazione che si era creata (e che certamente non era stata creata da Rovati), è consistita nel licenziamento. Il che è un po' poco.
Tuttavia, credo che non sia finita qui, poiché altrimenti dovremmo dire che il Governo prende la palla quando quest'ultima ha già attraversato la linea della porta. In questi casi è scontato che arrivino le critiche dell'opposizione, che fa il suo mestiere, ma sono portato a credere che già prima del «piano Rovati» (di cui è autore soltanto Rovati), e certamente anche dopo (anche perché quella vicenda aveva, se non altro, scaturito l'effetto positivo di aprire un dibattito nel paese, sui giornali economici, nell'ambito dei vari potentati italiani e stranieri), fossero state acquisite altre informazioni su quella vicenda. Era stato accumulato un know how aggiuntivo, diciamo così: si sapeva, più o meno, quali fossero gli umori in giro.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCO BELTRANDI

ENZO CARRA. Dunque, penso che il Governo abbia duramente, fortemente e seriamente lavorato in quei mesi, sino al punto che quello che ci viene descritto adesso dal ministro Gentiloni - così penso io e credo di non sbagliarmi, sperando di non essere un ingenuo - non può che essere il portato e la sintesi di una preparazione lontana, forse più lontana dell'affare Rovati-Tronchetti.


Pag. 13


L'emendamento, che mi sembra ottimo per rafforzare l'Agcom, può essere una parte del risultato del lavoro svolto all'interno di Palazzo Chigi e dai Ministeri competenti (spero non anche da quelli non competenti; in democrazia, però, tutti hanno diritto di parola, compresi i ministri che, in una certa situazione, non contano).
Se il ministro Gentiloni, magari in un altro momento, volesse descrivere il filo che lega la domenica delle Palme ai mesi passati, forse non renderebbe un cattivo servizio al Governo e alla sua maggioranza.
Ministro, ho ascoltato (non soltanto in questa fase ed in questa circostanza) gli interventi, le parole di tanti di noi e la cosa che mi sorprende molto è che in questa vicenda regni un tasso di diplomazia e di ipocrisia tale per cui, in precedenza, il collega Sanza, per non parlare di Berlusconi, ha parlato di «grande operatore italiano». Il nome di Tronchetti qui non viene fatto da alcuno. Parliamo di interessi come di questioni mitiche, riguardanti l'impero azteco. Eppure si tratta di persone che vivono tra noi, che tutti quanti conosciamo, che hanno interessi diretti su giornali, su aspetti che riguardano ed influenzano la vita di tutti noi. In molti bar (non in tutti, penso, in alcuni si parlerà di sport), si affrontano questi argomenti con un grado di conoscenza e di spregiudicatezza - utile - molto maggiore di quello che si rileva qui dentro.
Vero è che siamo invasi da un liberismo che fa tremare le vene ed i polsi ad Adam Smith, per cui dobbiamo stare, giustamente, attenti a compiacere quest'altro mito, che pure esiste. Non entro in questo tema, perché mi troverei d'accordo con molti dell'attuale opposizione. Credo, però, che questo grado di conformismo, di diplomazia, di paura di dire le cose come stanno e, addirittura, di fare i nomi, stia a dimostrare la debolezza della politica, di fronte alla quale io mi auguro - e concludo - risalti la spregiudicatezza del Governo, visto che in questo momento il Governo ha qualcosa da perdere più di noi.

ILARIO FLORESTA. Ringrazio il ministro Gentiloni e debbo dire che non posso che condividere la sua relazione, che è perfetta sotto il profilo tecnico e teorico.
Rispetto alle tre domande che mi ero posto, anche per l'intervento altamente politico del mio capogruppo, onorevole Sanza, mi restano alcuni dubbi, che passo ad esternare.
Non condivido, della sua relazione, solo il modo in cui lei ha rimbrottato chi se n'è andato affermando che non sono state fornite sufficienti garanzie. Credo, signor ministro, che certe dichiarazioni non si fanno senza che esista un fondo di verità. Evidentemente non credo che AT&T sia scappata solo perché ha avuto il piacere di scappare e di dire ciò che ha detto. Qualche cosa che ha originato questo comportamento deve esserci stato.
Vorrei sottoporre alla sua attenzione tre questioni tecniche: la prima sullo scorporo della rete fissa e mobile; la seconda, in caso di scorporo, sulla scelta fra intervento pubblico o privato; l'ultima questione riguarda un argomento di cui non parla nessuno, ma sul quale credo sia ormai giunto il momento di parlare, vale a dire il famoso operatore virtuale per la telefonia mobile.
Lei ha già risposto sullo scorporo della telefonia fissa e mobile, parlando anche di uno scorporo dal punto di vista funzionale; ma, caro ministro Gentiloni, di questo scorporo si parla da quando arrivai la prima volta in questo Parlamento, dodici anni fa. Tuttavia questo scorporo non avviene mai e lei sa che esso incide su tre questioni fondamentali, la prima delle quali è il servizio universale. Lei, infatti, mi insegna che il servizio universale si determina nei costi e in quello che il servizio stesso offre. In proposito mi ha dato ragione anche la commissaria europea, nella famosa riunione che abbiamo svolto a proposito delle TLC.
A mio avviso, il servizio universale in Italia va rivisto. Infatti non si può più limitare un ragazzo dell'alta montagna o del profondo sud all'uso del telefono. Se per lo scorporo della telefonia realmente esistesse un carrier serio, che ponesse in


Pag. 14

essere i costi veri sulla telefonia della rete, sono convinto che il servizio universale potrebbe essere ampliato - perché no - anche ad Internet. Naturalmente mi riferisco all'accesso; poi sui consumi si andrà a discutere.
Invece, noi abbiamo un operatore dominante e voi adesso parlate di uno scorporo funzionale. Al riguardo, sono molto preoccupato che poi, fatta la legge, si trovi l'inganno e che sul costo della rete si vadano a riversare costi che della rete non sono.
Qui non si va ad affrontare il digital divide, di cui lei non parla. Signor ministro, nel sud, in Sicilia, l'80 per cento dei paesi non ha ancora la banda larga, per due motivi: in primo luogo, perché l'imprenditore dominante, se non ha un piano industriale con un ritorno economico a breve termine, non investe; in secondo luogo, perché, mi scusi signor ministro, non si vogliono lanciare al massimo le nuove tecnologie di collegamento. Ciò è anche comprensibile, poiché chi possiede una rete fissa e le relative infrastrutture, evidentemente cerca di sfruttarle al massimo.
La prima domanda è dunque la seguente: lei si attiverà affinché questo scorporo funzionale e quant'altro (io preferirei uno scorporo societario, perché lì non si possono falsare i conti) avvenga al più presto? Se ne parla da sempre, da troppo tempo. Invece, per una vera liberalizzazione dei servizi, lo scorporo deve essere fatto.
Mi creda: il piano industriale di un carrier che funziona è un piano industriale che «regge». Diversamente non si spiegherebbe perché cinque o sei anni fa tutti volevano stendere i cavi in fibre (se lo ricorda, no?). Tale processo si è arrestato d'incanto, perché il gestore dominante ha fatto morire le iniziative, ma in effetti un piano industriale di un carrier che funziona porta a conseguire utili elevati.
La seconda questione riguarda l'alternativa tra pubblico e privato. Se non troviamo un investitore che di mestiere fa esclusivamente il carrier, come si può pensare che vada ad investire sulla rete fissa? Lei conosce la situazione della rete fissa che esiste oggi in Italia? Lei sa quanti investimenti devono essere realizzati e perché? Questa è la conseguenza di quella privatizzazione insensata che è stata fatta prima della liberalizzazione. Se non si liberalizza prima è chiaro che chi privatizza, giustamente, cerca di drenare risorse, cerca di fare tante operazioni che gli consentano di portare, dopo l'indebitamento che ha avuto con le banche, soldi a casa. Questo ha comportato che in Italia, sulla rete fissa e mobile, non si investe più da decenni. Adesso, chi ha i soldi?
Credo che sia giusto avere un carrier privato, non pubblico. Non si può ritornare a rendere pubblico ciò che si è privatizzato. Quindi, va bene il privato, ma deve trattarsi di un carrier che dimostri di voler investire sulla rete fissa, sulla rete mobile e che voglia risolvere il problema del digital divide. Vi ricordo che il digital divide in Italia esiste proprio in quelle aree più depresse dove, invece, occorre un intervento da parte nostra.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MICHELE POMPEO META

ILARIO FLORESTA. Ultima questione, con la quale concludo il mio intervento. Mi dica cosa intendete fare riguardo all'operatore virtuale: non se ne parla. Non vorrei che, dall'oggi al domani, ci trovassimo l'operatore virtuale già stabilito e determinato. Le dico questo perché a volte mi sono preoccupato nel sentir parlare delle cooperative come di una possibile alternativa.
L'operatore virtuale va inquadrato sotto diversi punti di vista, tra i quali assume importanza il quadro normativo di riferimento. Però deve essere una risorsa per il paese, non un favore fatto - come a volte è stato fatto - a certi nostri amici, divenuti operatori del mobile in una notte, quando si perdevano le elezioni. Sappiamo che, subito dopo, questi amici hanno venduto ed hanno realizzato tanti bei soldini. Vorrei capire da lei, quindi, che cosa pensate di fare riguardo all'operatore


Pag. 15

virtuale e come pensate di regolare la concessione della licenza all'operatore virtuale.

CARLO CICCIOLI. Intervengo per ultimo, siamo ormai in intimità (quindi in pochi) e si possono dire anche cose brutte e parlare a ruota libera.
Innanzitutto, non mi sento di condividere i toni assolutamente soft del mio ex ministro Gasparri e di altri colleghi intervenuti, perché questa non è una situazione buona. Il ministro, infatti, ha svolto una relazione che definirei elegante o, come è stato detto da qualcuno, «largamente condivisibile». Sarà anche così, però dietro al ministro io vedo l'esecutivo e l'azione del Governo, che si è mosso tardi, fuori tempo e male (lo dicono gli stessi colleghi di maggioranza); si è mosso, a voler essere benevoli, in modo assolutamente maldestro.
Lei, ministro, ha concluso il suo intervento dicendo che uno dei punti fermi è la non ingerenza o la non interferenza. Secondo me, anche con gli annunci e con le dichiarazioni si esercita una forte interferenza. Sono avvenuti passaggi al limite della legalità, della turbativa del mercato.
Si diceva, una volta: «se ci fosse un giudice da qualche parte, forse si potrebbero fare delle cose». In effetti, se ci fosse un giudice vero, da qualche parte, forse ci potrebbe essere anche qualche incriminazione, perlomeno qualche imputazione, per turbativa del mercato. Se ci fosse un giudice dell'epoca dell'onorevole Carra, forse ciò sarebbe già successo.
Qui si parte da dichiarazioni che non hanno fondamento. Ho ascoltato a suo tempo, con molta attenzione, l'audizione - che ritengo credibile - del professor Guido Rossi, il quale, nello svolgere la relazione davanti a questa Commissione sullo stato Telecom, ha fra l'altro dichiarato che i debiti erano molti, ma lo erano anche gli investimenti, tanto che la società era passata da una posizione fra l'ottava e la nona, sul mercato europeo, alla prima posizione negli investimenti di ricerca. Credo che questo sia un dato significativo.
Vi sono poi altre valutazioni da esprimere, tutte condivisibili, però questo elemento, che non è riportato dagli ex amministratori, bensì da chi è subentrato, certamente costituisce un'indicazione da tenere presente.
Non accetto assolutamente le valutazioni - tutte ideologiche - per cui se l'investitore fosse straniero, allora non andrebbe bene. Mi sento di dire che oggi, in tempi di globalizzazione, la patria è percepita secondo termini più allargati. La nazione ha confini più allargati, quindi se l'investitore fosse occidentale, e non magari le finanziarie di Bin Laden, allora anche l'occidente per me sarebbe patria.
Si dice che andrebbe meglio un italiano, ma attenzione: non tutti gli italiani vanno bene. Tanto per non fare nomi, Mediaset è un'azienda sulla quale qualche critica si deve fare comunque, nonostante abbia difeso i dipendenti, gli investimenti e abbia svolto un'attività imprenditoriale anche troppo propositiva. Però, non va bene. Mentre, magari, va bene se è lo Stato a riacquistare l'azienda. Lo Stato, che l'ha venduta e l'ha privatizzata, quando tutti dicevano «privatizziamo tutto», adesso dovrebbe ricomprarla.
Tutti questi passaggi sono scorretti e non condivisibili. Ieri c'erano i «furbetti del quartierino», ma oggi sono in giro i «furbetti del quartierone», quelli che hanno le garanzie, quelli che fanno gli affari perché sono protetti e quindi possono entrare, comprare, dire, fare, rivedere, rifare, e via elencando.
C'è una canzone, non molto nota, ma molto bella, intitolata Si può fare. È una canzone che bisognerebbe diffondere alla Camera: «si può fare, si può fare, si può fare... poi disfare e rifare...». Qui siamo su questo tema.
Personalmente, esprimo un giudizio negativo. Mi dicono tutti che l'emendamento, nel dettaglio, è abbastanza accettabile e forse anche migliorabile. Va bene, ma, al di là del cosiddetto emendamento, la condotta del Governo è assolutamente censurabile. Perlomeno, questa è la mia considerazione.


Pag. 16


PRESIDENTE. Do nuovamente la parola al signor ministro per la replica.

PAOLO GENTILONI SILVERI, Ministro delle comunicazioni. Naturalmente sono stati affrontati diversi temi ed io cercherò di raggruppare almeno i principali.
Mi pare che diversi membri della Commissione, fra i quali certamente l'onorevole Gasparri, l'onorevole Carra e l'onorevole Falomi, abbiano giustamente ricordato il fatto di questi giorni: la domenica delle Palme che, naturalmente, ha una sua storia alle spalle. Certamente, non possiamo non tener conto della lunga scia della privatizzazione, decisa dieci anni fa.
In queste settimane sono state espresse diverse osservazioni sulle scatole cinesi e sull'anomalia di questa stessa offerta. Voi sapete che le offerte di cui parliamo sono, anche dal punto di vista quantitativo, piuttosto limitate.
Ho fatto spesso, in questi giorni, un paragone tra l'entità dell'offerta, con la quale si puntava al controllo di Telecom, e la cifra - praticamente identica - con la quale Swisscom fa l'OPA su Fastweb. Le dimensioni di Fastweb e Telecom Italia, per chi conosce questo settore, non sono propriamente comparabili.
Naturalmente, quando esprimiamo delle valutazioni - questa è la mia opinione, in risposta alle osservazioni dell'onorevole Gasparri, sulla genesi di questo percorso - dobbiamo contestualizzare, ritornando con la mente a quello che è capitato dieci anni fa, quando partì il processo di privatizzazione. Dobbiamo ricordarci delle condizioni in cui era il nostro paese e del fatto che quello fu uno dei momenti, tra i più importanti, di un percorso di scioglimento dell'IRI. Dobbiamo, altresì, ricordarci che quello fu uno degli atti resisi necessari per fare cassa e per agganciare l'Europa dell'euro. Tale ultimo obiettivo è stato raggiunto e penso che dovremmo essere grati, per molto tempo, a chi gestì quell'operazione.
Tale privatizzazione portò circa 26 mila miliardi delle vecchie lire, determinando senz'altro un assetto che è, in parte, all'origine dei problemi di cui oggi si discute (ad esempio, quando si parla, nel caso Telecom, di controlli affidati a catene societarie). Per la verità, il nocciolo di allora, che arrivò a raccogliere il 6,6 per cento della società, appare fin troppo duro rispetto a forme di controllo che ci sono state successivamente.
Da una parte sono assolutamente disponibile a considerare criticamente questo percorso, dall'altra eviterei di dare a questa considerazione critica un eccesso di connotazione politica. Dopo questo primo capitolo, ve ne sono stati altri e la storia giunge fino ai nostri giorni. In questi dieci anni, che si sono susseguiti, in Italia non c'è stato un solo Governo.
Se il problema delle scatole cinesi era all'ordine del giorno del nostro sistema di mercato economico e finanziario, non mi sembra corretto attribuire la responsabilità soltanto al primo capitolo di questa storia. Si tratta di un problema che la politica italiana, il Parlamento non è riuscito a risolvere nei trascorsi dieci anni e che, non a caso, si sta riproponendo in queste settimane.
Il secondo tema riguarda le caratteristiche della separazione - societaria o funzionale -, che naturalmente sarà uno degli argomenti fondamentali di confronto, tra l'Autorità, Telecom e gli altri operatori, sul quale si dovrà giungere ad un punto di arrivo. La scelta non è facile e posso darvi solo degli elementi tecnici di valutazione.
Ho avuto l'occasione di studiare abbastanza - sia nelle carte sia nel corso dei colloqui con i massimi responsabili di British Telecom e di Ofcom - l'esperienza britannica e le ragioni per le quali nel Regno Unito si è deciso per una separazione funzionale e non per una separazione societaria.
Voi sapete che la rete del local loop britannico è gestita da una divisione di British Telecom (di sua proprietà), che si chiama Open Reach, soggetta a fortissime regole di «muraglie cinesi» che ne impongono la separazione dal resto di British Telecom: infatti si trova in una sede diversa ed ha una governance determinata in parte da British Telecom, ma in maggioranza da Ofcom.


Pag. 17


Sono arrivati a preferire questa scelta rispetto ad una separazione societaria, sostanzialmente ritenendo che quest'ultima rischia di provocare colli di bottiglia amministrativi nel percorso, soprattutto per la scarsa flessibilità di questa soluzione, per ciò che riguarda la definizione del perimetro della rete da separare.
Per quanto concerne l'elemento del perimetro della rete da separare, fondamentale dal punto di vista sia tecnico che economico, è molto difficile decidere se separarlo a livello societario, una volta per tutte, e ritenere che questo possa durare a lungo. Non vorrei entrare troppo nell'aspetto tecnico, ma la rete da separare si ferma alle centraline, agli armadietti, agli edifici. La fibra è arrivata, per lungo tempo, fino ad un certo punto; adesso sta andando verso gli edifici.
Per usare un metro di paragone, che aiuti a comprendere come un processo di separazione societaria possa provocare dei colli di bottiglia amministrativi, pensate che la fusione societaria tra Telecom e TIM - generata dall'OPA di Telecom su TIM due o tre anni fa - non è ancora conclusa, e sono passati circa tre anni. Stiamo parlando di un percorso che richiede, per grandissime aziende come queste, processi decisionali amministrativi molto delicati. Questa è la ragione per cui il sistema inglese ha preferito non una separazione societaria, ma una separazione funzionale.
D'altra parte, avrebbe perfettamente ragione chi sostenesse che l'Italia non è la patria della common law; non siamo in un paese che ha il mito dell'indipendenza, della forza, dell'autorevolezza, delle autorità indipendenti.
Abbiamo ricevuto, in questi anni, moltissime contestazioni degli operatori alternativi a Telecom, su alcune pratiche che già oggi non dovrebbero essere consentite: mescolare, ad esempio, i database relativi al canone, alla rete fissa, con il marketing della telefonia mobile. Se il fatto che si trovano in due sedi diverse e che la governance è affidata all'Agcom, o comunque prevalentemente ad essa, non corrispondesse anche ad una separazione di tipo societario, potrebbe non essere sufficiente.
Penso che siano valutazioni molto sensate da considerare e che, naturalmente, rappresentano uno degli elementi fondamentali del percorso di confronto tra l'Autorità indipendente, Telecom e gli altri operatori.
Si è poi parlato del tema della presenza o meno di Mediaset. Penso che le cose siano abbastanza chiare da questo punto di vista. Anche se è tardi, vorrei fare un accenno a questa questione, dal momento che ho partecipato alla discussione sulla legge Gasparri, la n. 112. Devo dire che non mi sembrava, all'epoca, che quella proposta avesse un intento antitrust nei confronti di Mediaset. Mi sembrava - basta scorrere gli atti per averne conferma - una decisione tesa ad impedire che il colosso Telecom si rafforzasse nella televisione (vi erano anche delle ragioni: si diceva, ad esempio, che Telecom avrebbe usato il canone, e via dicendo). Questa fu l'origine dell'introduzione di quella norma, che Telecom contrastò fortemente in tutte le audizioni, come ricorderete, durante la discussione della legge Gasparri.
Per l'eterogenesi dei fini la legge n. 112, oggi in vigore, non consente non soltanto il controllo, l'incrocio e la fusione, ma neanche il collegamento tra la società che ha posizione dominante televisiva e quella che ha posizione dominante nelle telecomunicazioni.
Per capire cosa significa quello che sto dicendo, basta leggere l'articolo 2359 del codice civile che parla di divieto, per una società, di esercitare un'influenza notevole sull'altra. Oggi non è solo vietato un incrocio, una fusione, ma è vietato che Mediaset su Telecom o Telecom su Mediaset esercitino reciprocamente un'influenza notevole. Eventualmente potremmo fare un seminario giuridico su che cosa significhi «influenza notevole», ma certamente, al di là di quello che è scritto nel codice civile, le autorità italiane ed europee sarebbero molto attente a verificarne l'assenza o meno.


Pag. 18


Per quanto riguarda alcune osservazioni dell'onorevole Falomi, c'è un dissenso da parte mia e, direi, da parte del Governo, non sull'individuazione del tema, sulle ragioni di interesse generale, che riguardano il destino dell'azienda, ma sulla possibilità che una risposta a questi problemi e a queste esigenze possa essere, se ho ben capito il ragionamento del deputato Falomi, una ripubblicizzazione, ossia un passo indietro rispetto a quello che il paese fece dieci anni fa. Non è una bestemmia, naturalmente, la proprietà pubblica delle grandi reti di telecomunicazioni. Non lo è al punto che, nello scenario europeo, abbiamo tre grandi paesi in cui le reti sono del tutto private e due grandi paesi in cui le reti sono, almeno parzialmente, anche pubbliche.
Abbiamo esempi di aziende che mantengono una forte presenza pubblica, come ENI ed Enel. Non è, quindi, una questione ideologica. Semplicemente abbiamo alle spalle una storia di privatizzazione che, giusta o sbagliata, è durata dieci anni. Riportare la macchina indietro, rinazionalizzare le reti di telecomunicazioni, a mio parere, sarebbe una scelta politicamente sbagliata. Non sto affermando che ci sia una norma europea che lo vieti - ci mancherebbe -, anche se l'Unione europea, nelle diverse comunicazioni che ci rivolge in questi giorni, sottolinea una sua radicale contrarietà alla ripubblicizzazione di aziende telefoniche privatizzate.
Quanto al tema degli investimenti - ne hanno parlato l'onorevole Floresta e l'onorevole Sanza - anche in rapporto al digital divide, se ne sta discutendo ovunque. Negli Stati Uniti, ad esempio, è in atto uno scontro abbastanza interessante fra le due più grandi aziende di telecomunicazioni, la AT&T e la Verizon, che hanno una impostazione molto diversa sul tipo di investimenti che è giusto fare oggi nella rete. Una delle due aziende propone investimenti dell'ordine di 25 miliardi di dollari (Verizon), l'altra di 5 miliardi di dollari (AT&T). Ciò avviene in ragione di differenti scelte tecnologico-industriali: AT&T sostiene che siano sufficienti 20 Mb di connettività, mentre Verizon vuole andare molto più avanti. Il Governo cinese parla di un giga a famiglia, addirittura; a me sembra esagerato.
In tutta Europa si discute di questo e si prospettano soluzioni diverse. Abbiamo parlato molto del modello britannico. Vi è poi l'impostazione tedesca, rispetto alla quale l'Unione europea avvierà una serissima procedura di infrazione: come sapete, il Parlamento tedesco ha approvato una legge che in sostanza assicura a Deutsche Telekom, in cambio dei suoi investimenti sul VDSL, cioè sull'ADSL veloce, una vacanza regolatoria, che le consenta di gestire l'accesso alla rete in proprio, cioè di decidere se i suoi concorrenti - il principale dei quali è Telecom Italia (in Germania si chiama HanseNet) - possano avere accesso (e in quali condizioni) o meno alla rete.
Credo che l'Italia debba perseguire un suo modello per gli investimenti, che naturalmente assomiglia più al modello britannico che non a quello tedesco. Penso che sia irrinunciabile tenere insieme l'esigenza di competizione, di concorrenza tra i diversi operatori (dalla quale poi nascono anche lo stimolo all'innovazione, il calo dei prezzi per gli utenti, il miglioramento dei servizi) e la certezza di un quadro che consenta di remunerare gli investimenti. Si deve eventualmente consentire a chi fa investimenti anche parziali recuperi, ad esempio attraverso le tariffe di terminazione.
Abbiamo un'esperienza nel mobile: quando nacquero i diversi gestori mobili in Italia, si trovò il modo di far utilizzare una rete - all'inizio era una sola - a diversi gestori, consentendo a chi deteneva la rete (poi le reti si sono differenziate) di avere dei compensi anche in termini di tariffe. Bisogna, quindi, trovare un sistema in cui equivalenza di accesso e certezza di investimenti possano coesistere.
Si tratta di investimenti notevolissimi e i piani attuali di Telecom Italia, pur essendo abbastanza consistenti, non sono sufficienti in questo contesto. Penso che l'esito di questo negoziato sulla separazione


Pag. 19

della rete possa consentire di varare dei piani di investimenti molto più consistenti.
Sui tempi sono state espresse osservazioni dall'onorevole Beltrandi e da altri. Ovviamente si poteva fare prima. La rete fissa ha avuto una storia altalenante negli ultimi 10-15 anni. C'è stato un periodo - circa 10 anni fa - in cui, secondo la maggior parte delle previsioni (non tanto degli ipertecnologi, che magari guardavano più lontano, ma di chi faceva politica industriale), si riteneva che il destino della rete fissa non fosse così fondamentale. Ciò perché quella che era la principale fonte di reddito nel classico modello di business della rete fissa, ossia la durata e la distanza delle conversazioni telefoniche cominciava ad essere minacciata dalle conversazioni voce su protocollo Internet, e comunque dall'evoluzione tecnologica. Questa parte di quella previsione si è avverata: oggi la durata e la distanza delle conversazioni telefoniche non sono più così determinanti nel generare valore per la rete fissa. Il problema è che la stessa dinamica di evoluzione tecnologica ha generato, invece, un'aspettativa di valore capace non solo di colmare quel possibile declino, ma di rilanciarlo e di moltiplicarlo.
Certamente ciò rappresenta ancora una potenzialità oggi. Stiamo parlando della banda larga, dei servizi a banda larga di tutti i tipi, delle reti di prossima generazione, come si dice in gergo. Questo tema è diventato centrale negli ultimi anni. Una riprova di questo è nel quadro regolamentare europeo, che l'Italia ha recepito nel 2003, quindi recentemente. Il tema della rete non era posto in termini di modernità come se ne discute oggi in Italia, in Germania, in Gran Bretagna - parlo della centralità strategica della rete e, quindi, del discorso conseguente di separazione funzionale, e via dicendo - tanto che oggi, nel processo di revisione del quadro regolamentare europeo, si sta discutendo di come aggiornare la normativa europea delle direttive inserendo il tema della separazione funzionale.
La prima risposta, quindi, alla domanda sul perché in questi mesi si discute di separazione della rete e dei poteri del regolatore e sul perché questo accade negli ultimi due anni in tutti i grandi paesi europei, è esattamente questa.
Il secondo punto che vorrei segnalare è che il Governo, e in generale lo Stato italiano, si sta ponendo questo problema almeno da un anno. La prima notizia formale, da questo punto di vista, la riferisce, nel luglio dell'anno scorso, il presidente dell'Agcom, nella sua relazione annuale, dove afferma che bisogna cominciare a porsi il problema della separazione funzionale. Non se ne è fatto nulla per qualche settimana, ma poi il consiglio d'amministrazione di Telecom Italia, l'11 settembre, sostiene la necessità di andare, addirittura, verso la separazione societaria della rete di accesso.
Il Governo, contemporaneamente, in quelle stesse settimane, compie un primo passo nell'aumento dei poteri di Agcom, affermando che l'Agenzia ha dei poteri simili all'Antitrust: nel momento in cui fa un accordo con un operatore delle telecomunicazioni, può stabilire che i contenuti di questo accordo diventino obbligatori. Insomma, il soggetto non può ripensarci e tirarsi indietro. Il Governo, tre mesi dopo, moltiplica le sanzioni nel codice delle comunicazioni.
Nel contatto continuo con Agcom, il Governo viene reso edotto di un altro problema, cioè che nell'ambito di questo confronto tra il regolatore e gli operatori ad un certo punto può determinarsi una circostanza eccezionale, nella quale c'è bisogno che qualcuno abbia un'ultima parola.
Se il negoziato deve basarsi soltanto sulla benevolenza del proprietario della rete, disponibile alla separazione, e non anche - come è nel Regno Unito, ovviamente, perché Ofcom aveva assolutamente questi poteri - sul potere del regolatore di decidere, se non si arriva ad una conclusione nel senso della separazione funzionale, è chiaro che a quel punto il Governo fa una proposta (il famoso emendamento) che va in questa direzione. Sarà l'ultima? Io non lo credo.


Pag. 20


Possiamo essere d'accordo o in disaccordo, ma qui c'è senz'altro una scelta politica del Governo, che decide di non porsi nuovamente il problema della gestione diretta delle reti, ma di rispondere all'interesse pubblico in un modo che può essere altrettanto di garanzia dell'interesse dei cittadini e dei consumatori, al pari della gestione diretta, e cioè con la forza delle regole.
Si possono avere delle reti di «proprietà private», ma con regole talmente chiare e forti da poter svolgere un servizio di natura pubblica, con garanzie adeguate. Talvolta, invece, ci sono aziende di proprietà pubblica che non svolgono affatto un servizio di questo genere.
Alla domanda «perché in questo momento» credo che si possa rispondere dicendo che il tema della separazione è effettivamente emerso in queste forme in questi ultimi due anni e che la misura di cui parliamo - l'emendamento - si inserisce in un chiaro percorso svolto in questi mesi, che avrà un seguito nei mesi prossimi. Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Ringraziamo lei, signor ministro. Lei ci ha annunciato che probabilmente le misure del Governo verranno inserite nel disegno di legge sulle liberalizzazioni. Se sarà così, presto torneremo a discutere di questa materia.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 22,10.