COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 25 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DANIELE CAPEZZONE

La seduta comincia alle 13,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del ministro del commercio internazionale, Emma Bonino, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del ministro del commercio internazionale, Emma Bonino, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Darei immediatamente la parola al ministro Bonino per introdurre la nostra riunione. Successivamente, con tempi più da Parlamento europeo che da Parlamento italiano, dunque con il limite di due o tre minuti per singolo intervento, inviterò le colleghe e i colleghi che lo vorranno a porre quesiti o formulare osservazioni, in modo da consentire, in ultimo, al ministro Bonino di replicare. Sarà possibile proseguire l'audizione sino alle ore 15, quando riprenderanno i lavori assembleari, nel corso dei quali sono previste votazioni. Invito, dunque, il ministro Bonino a svolgere la sua relazione.

EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale. A questa audizione mi accompagnano i due sottosegretari, Milos Budin e Mauro Agostini, che ho voluto fossero con me, anche per instaurare contatti diretti con i signori commissari, avendo, entrambi, la delega per i lavori parlamentari, nonché per altre materie.
Stante la ristrettezza dei tempi, mi consentirete, se non vi sono obiezioni, di depositare, presso gli uffici della Commissione, la relazione scritta che ho preparato e di presentarvela oralmente per sommi capi, in modo da lasciare più tempo agli interventi e al dibattito.
L'audizione odierna cade a ventiquattro ore dalla sospensione del negoziato del Doha round, su cui tornerò alla fine del mio intervento. Credo che le conseguenze di questa sospensione, che può anche essere l'anticamera di un fallimento vero e proprio, debbano essere valutate con grande attenzione, sia a livello italiano sia a livello di Unione europea. Già le conseguenze economiche di per sé sono molto rilevanti, ma una dichiarazione di fallimento implicherebbe conseguenze politiche per l'esistenza stessa dell'Organizzazione mondiale del commercio e per la sua capacità di stabilire delle regole condivise nel campo del commercio internazionale. Comunque, se lo consentite, tornerò su questo argomento alla fine del mio intervento. Non ripeterò l'illustrazione dei criteri che ispirano la politica economica del Governo, che già ben conoscete, avendo seguito l'audizione del ministro Bersani, ma sottolineo che la ripresa economica del paese ed un nuovo assetto produttivo sono strettamente legati ai processi di internazionalizzazione, come evidenziato dalle linee guida del DPEF e dalle iniziative già assunte. Siamo tutti convinti che il risanamento


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dei conti pubblici sia certamente necessario, ma non è sufficiente ad imprimere nuovo dinamismo alla crescita economica, che rimane l'obiettivo principale dell'azione del Governo. Siamo convinti che la crescita non possa riprendere se non rimettiamo al centro della politica industriale e di sviluppo proprio il tema dell'internazionalizzazione della struttura produttiva. Proprio per questo - e so che ci sono stati vari dibattiti al riguardo, che ho seguito sulla stampa - a mio avviso la politica commerciale torna ad essere uno strumento importante della politica economica. Ed è questa una delle ragioni per cui il Governo ha deciso di ricostituire il Ministero del commercio internazionale, a titolo pieno.
Vorrei soffermarmi brevissimamente sul contesto internazionale, per capire cosa sta succedendo nel mondo e quale è la situazione del nostro paese. La domanda interna - cerco di indicare solo le tendenze generali, anche se poi scenderò in qualche dettaglio - permane, per il momento, in una fase di debolezza, che continua dall'anno passato. Però, come per l'anno scorso, anche per il 2006 l'economia mondiale, sulla base di tutti gli indicatori in nostro possesso, continuerà ad espandersi ad una media del 5 per cento complessivamente, sebbene vi siano situazioni diversificate per singole aree di riferimento. Le economie asiatiche, in particolare Cina ed India, continueranno nella loro performance positiva a livelli veramente sostenuti: stiamo parlando del 9-10 per cento. Questo è un dato da tenere ben presente, anche perché i due colossi, Cina e India, sono anche il treno per tutto il resto del mondo asiatico. Le economie industrializzate (sostanzialmente l'Unione europea e in misura minore gli Stati Uniti) hanno, invece, ridotto i propri ritmi di crescita.
Ultimo elemento che dobbiamo tener presente è l'«esplosione» del costo e del grande problema delle materie prime energetiche. Dobbiamo essere consapevoli che non si tratta di un dato congiunturale e che il petrolio ha prezzi così alti non semplicemente a causa di qualche incidente più o meno transitorio. Gli indicatori ci dicono che, in realtà, siamo in presenza di un fenomeno strutturale, dovuto, peraltro, ad un aumento esponenziale della domanda da parte dei paesi che crescono maggiormente, come Cina ed India, per non menzionare tutti gli altri. Questo fenomeno non ha natura transitoria ed altera in maniera durevole le relazioni di reddito tra le economie esportatrici e quelle dipendenti. Ciò pone una serie di problemi di adattamento attivo.
In questo quadro, niente affatto disperante, ma certamente complesso, il problema della competitività dell'Italia sui mercati internazionali si pone in modo urgente.
Tre sono gli elementi che voglio sottolineare. Il primo è l'orientamento geografico del nostro export, che è ancora, per oltre il 53 per cento, rivolto verso l'area della «vecchia Europa» ovvero verso una zona non certo in forte crescita, come dimostrano, con grande evidenza, tutti i dati di cui disponiamo. Il secondo elemento è la specializzazione manifatturiera dell'Italia: al riguardo, si tenga ben presente, che i prodotti che produciamo e nei quali eccelliamo hanno presentato tassi di crescita dell'export nel commercio internazionale più bassi rispetto ad altri. È altresì chiaro che la quota di export che si rivolge alla vecchia Europa è vittima della concorrenza che arriva da Cina, India e paesi emergenti. I prodotti che esportiamo, anche in Europa, sono attaccati da prodotti del medesimo settore che arrivano dai paesi nuovi e possono essere molto competitivi. C'è, poi, il problema - ma su questo non mi soffermo molto - delle tensioni monetarie, con particolare riferimento al dollaro e allo yüan.
L'ultimo elemento che voglio sottolineare è quello delle ridotte dimensioni delle imprese italiane, che rischia di rendere più difficili i processi di internazionalizzazione. Questo problema ci interessa particolarmente, perché è in tale ambito che possiamo intervenire per modificare la situazione esistente.
In generale, le cifre ci dicono questo: al netto del fattore energetico, il cui passivo


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è comunque pari a 38,5 miliardi di euro, il saldo commerciale dell'Italia ha mostrato un miglioramento, anche se lieve, rispetto all'anno precedente. Insomma, siamo sostanzialmente ad un saldo commerciale positivo nei prodotti manifatturieri di 41 miliardi di euro, con una crescita di oltre il 7 per cento rispetto all'anno precedente. È chiaro che il saldo rimane negativo, e mi riferisco al saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti, in generale: se si tiene conto di servizi, investimenti, energia, il saldo resta negativo per quasi l'1,5 per cento del PIL. Per il settore manifatturiero si riscontra, però, un trend positivo che si manifesta in modo abbastanza netto. In realtà, esaminando i dati sui primi mesi del 2006, le nostre esportazioni hanno fatto registrare valori che non si vedevano da un quinquennio. Il quadro generale presenta quindi le luci ed ombre di cui vi ho parlato.
L'Italia possiede, come tutti voi sapete, quattro macrosettori di eccellenza manifatturiera: l'agroalimentare, l'abbigliamento-moda, l'arredo-casa e l'automazione meccanica. Accanto ad essi si collocano ormai, in modo abbastanza evidente, certe leadership di nicchia, in alcuni comparti ad altissimo contenuto tecnologico. Cito, per esempio le auto di lusso, l'elicotteristica, l'aerospazio, le specialità chimiche, la farmaceutica, la diagnostica e il biomedicale. A questo si aggiunga - ma non è mia competenza, lo cito solo per memoria - una preziosa risorsa che andrebbe evidentemente riattivata: quella del turismo. Se questo è il panorama e questo è l'andamento internazionale, avendo il mio Ministero come compito quello dell'internazionalizzazione e del sostegno, in particolare alle piccole e medie imprese, mi sembra utile orientarne l'attività su alcune grandi linee guida di cui vi voglio fare partecipi e che saranno le linee guida che il Ministero stesso intende dare all'Istituto del commercio estero.
Anzitutto ritengo utile, viste anche le risorse e la strumentazione, arrivare ad una migliore focalizzazione geografica. Noi abbiamo avuto la tendenza a fare tutto dappertutto. Se i grandi trend sono quelli che ho riferito, dovremo compiere uno sforzo - coinvolgendo e cercando di convincere, evidentemente, anche le regioni e gli altri enti preposti al commercio internazionale, che hanno responsabilità e competenze concorrenti - per aumentare la focalizzazione geografica. Mi sembra utile, visti tutti i dati, concentrare le nostre azioni sui mercati emergenti: Cina e India - in particolare, per l'India vorremmo studiare gli strumenti e le procedure affinché questo paese sia, nel 2007, il mercato al quale orientare primariamente la nostra politica delle esportazioni - Turchia, Brasile e Russia. In secondo luogo, abbiamo paesi più tradizionali che sono per noi strategicamente rilevanti: sto parlando di alcuni paesi del Mediterraneo, in particolare il Maghreb, l'area balcanica, che è indubbiamente un'area importante, e il Medio Oriente, ivi compresi i paesi del Golfo. L'indicazione è quella di concentrare l'attenzione e quindi le risorse. Quanto ai paesi maturi - Europa, Stati Uniti e Giappone - a mio avviso bisogna consolidare la nostra presenza, soprattutto per le aziende piccole, di alta tecnologia o di alto contenuto di ricerca, sebbene in queste zone la nostra presenza è già molto importante.
Vorrei, poi, tentare di promuovere una strategia settoriale più definita. L'anno scorso si sono dedicate molte risorse ai settori del design e dello stile italiano, che continuano evidentemente ad essere importanti. Nel corso dell'anno prossimo, parrebbe opportuno varare anche un programma a sostegno di aziende a carattere marcatamente innovativo, che rappresentano la punta avanzata nei vari settori tecnologici. Sto parlando di elettromeccanica, di lavorazione agroalimentare, telecomunicazioni, biotech e farmaci. Penso che queste nicchie rilevanti debbano ottenere un'attenzione particolare. Prioritariamente, dobbiamo mirare a creare aggregazioni tra le imprese - soprattutto tra quelle piccole che altrimenti rischiano di essere emarginate dai processi di internazionalizzazione - ad esempio, con lo strumento dei consorzi o col coordinamento di


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servizi fondamentali quali la logistica, ed anche potenziando le capacità delle nostre imprese di sviluppare reti di vendita diretta. Occorre anche migliorare il coordinamento della politica commerciale, la quale attualmente non ha dati normativi e dispositivi vincolanti: l'internazionalizzazione è competenza concorrente delle regioni e di altri enti (alcuni grandi comuni sono attivi in questo settore). Il tentativo che vorremmo portare avanti con grande determinazione è quello di migliorare il coordinamento della politica commerciale, cercando di far capire che quel che dobbiamo «vendere» nel mondo è il sistema Italia, prima ancora che una certa città o una certa regione, anche per evitare di creare nei partners qualche confusione rispetto all'interlocutore, o a chi deve trattare. È necessaria, in tal senso, un'azione concertata di tutti i soggetti pubblici, operanti sia a livello centrale sia a livello territoriale. E probabilmente l'organismo più indicato per questo sforzo di coordinamento è la V commissione permanente del CIPE, nella quale però non sono rappresentate le regioni. Occorrerà adoperarsi affinché queste ultime siano invece coinvolte, ferma restando la competenza della commissione del CIPE - che dovrà divenire una vera e propria «cabina di regia» (mi si conceda l'espressione che pure non uso volentieri) - a stabilire la linea generale di riferimento.
Ricordo, ad ogni modo, che le regioni sono comunque già attive anzitutto con gli sportelli regionali, che dovrebbero costituire l'interfaccia degli sportelli unici all'estero, i famosi «sportelli Italia», decisi da una legge approvata all'unanimità, nella legislatura scorsa, la legge n. 56 del 31 marzo 2005. Mi riservo, tuttavia, di valutare la funzionalità degli sportelli Italia all'estero, per esaminare se davvero l'intento razionalizzatore e semplificatore della legge istitutiva sia stato conseguito e se davvero tali sportelli riescano a fare sinergia con gli enti e gli sportelli precedenti o non piuttosto costituiscano solo l'ennesimo organismo pubblico operante nel settore.
Infine, ho intenzione di semplificare e razionalizzare gli strumenti di sostegno alla promozione e alla internazionalizzazione delle imprese. Ci obbliga a questo tentativo anche la progressiva riduzione delle risorse pubbliche dedicate a tale finalità. È di fondamentale importanza affrontare il tema del riordino e della razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell'internazionalizzazione delle imprese. L'articolo 6 della legge n. 56, come voi tutti ricorderete, aveva previsto una delega al Governo per la riforma degli enti; in realtà il tempo è stato breve, seguito, poi, dalla fine della legislatura, quindi, di fatto, la delega è scaduta. Su questo punto, però, penso che sia meglio riprendere una iniziativa ed una riflessione perché, come il Parlamento aveva constatato, il riordino e la razionalizzazione degli enti operanti sono effettivamente necessari.
In ultimo, vi è l'esigenza politica in generale di sostenere il made in Italy, mediante soprattutto un uso razionale e sinergico degli stanziamenti previsti dalla legge finanziaria, di cui ritengo vada previsto il rifinanziamento. Vorrei anche ricordare ai colleghi che si apprestano a ridiscutere il provvedimento legislativo già presentato nella scorsa legislatura per quanto riguarda il marchio Italia, che esso è stato oggetto di molteplici obiezioni sollevate dalla Commissione europea. Insomma, vi chiedo semplicemente di riflettere ulteriormente al riguardo, perché quel testo, nella sua formulazione attuale, va incontro a procedure di infrazioni comunitarie molto pesanti.
Peraltro, voi sapete che è in discussione la direttiva del «made in», promossa dalla Commissione ma attualmente bloccata al Consiglio, mancando ancora la maggioranza di consensi su quel provvedimento, contestato fortemente da paesi come Germania, Inghilterra ed altri. Sebbene, dunque, si stia lavorando nei comitati tecnici, per ora, a livello politico di Consiglio, non abbiamo un'ipotesi di maggioranza. Per questo, suggerisco alla Commissione un dato di prudenza per quanto riguarda il progetto che avete calendarizzato, sia per


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la possibile procedura di infrazione comunitaria sia per tener conto di questa direttiva in corso di discussione. Dobbiamo cercare di non aumentare le difficoltà e piuttosto di diminuirle.
In conclusione, vorrei spendere una parola sulla sospensione, che spero non sia un fallimento definitivo, del Doha round. Penso che ieri sia stata veramente una giornata infelice ed immagino che un fallimento significherebbe l'inizio di una fase di grande instabilità per il sistema mondiale, non perché si fermerebbe la globalizzazione, ma perché, in realtà, verrebbe meno la possibilità di governarla meglio. La globalizzazione continuerà, con o senza il Doha round. Il problema vero è che viene meno uno degli strumenti, imperfetto, per carità che ci consentiva di avere delle regole condivise. In particolare, per quanto riguarda l'Italia e l'Europa, essendo la politica commerciale evidentemente di competenza dell'Unione europea, credo che tale sospensione rappresenti, non solo per noi, veramente una battuta d'arresto importante, in primis perché, come sapete, il negoziato verteva molto, ad esempio, su riforme non tariffarie, ma ugualmente importanti. Si è bloccato, peraltro, su un irrigidimento dei sussidi agricoli. Temo che questa sospensione possa protrarsi per alcuni anni, viste le complicazioni politiche, le elezioni americane a novembre, quelle francesi ad aprile e quelle brasiliane ad ottobre dell'anno prossimo. Quindi, rischiamo davvero una situazione di grave stallo, e, siccome il mondo corre egualmente, evidentemente, questo porterà sostanzialmente ad una ripresa di rapporti e accordi bilaterali, nei quali i paesi più forti possono pesare maggiormente. L'Unione europea ha sempre resistito agli accordi bilaterali, ma, se il Doha round fallisse, anch'essa dovrà muoversi e ciò avrà conseguenze politiche di grande importanza. È chiaro che ad essere maggiormente danneggiati dal fallimento del Doha round saranno i paesi poveri, cioè quelli che avevano più da guadagnare dal suo successo, perlomeno in termini di dinamiche successive. Proprio per le conseguenze che tale situazione può avere anche per quanto riguarda il nostro paese, mi appresto a chiedere, insieme al ministro De Castro, al commissario Mandelson la convocazione di una riunione straordinaria, magari di tipo seminariale, dei venticinque paesi, in primo luogo per analizzare adeguatamente cos'è successo e, in secondo luogo, per capire se sia possibile identificare strade per riprendere il negoziato o comunque capire dove andiamo. La situazione, così come si è determinata, non è certo positiva. Da questo punto di vista, vorremmo ribadire che l'economia italiana è un'economia aperta ed interessata a rimanere tale, con una esportazione che rappresenta il 25 per cento del PIL. L'Italia rimane a favore di un commercio «fair», di un commercio corretto, e quando si fa promotrice di misure di difesa o di antidumping - penso alle calzature, piuttosto che ad altro - non lo fa per nascondere forme di protezionismo più o meno mascherato, ma lo fa proprio perché crede e vuole credere ad un commercio che si svolga secondo regole eque e rispettate da tutti.
Penso che sia questa la posizione da tenere e che un impulso ad un settore così importante del commercio internazionale possa venire da un rapporto dialettico, spero molto intenso, con il Parlamento, Camera e Senato, per arrivare effettivamente a quel «sistema paese», che spesso ci manca.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Bonino per la sua relazione introduttiva e do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

STEFANO SAGLIA. Intervengo per ringraziare il ministro Bonino ed esprimere alcune brevissime considerazioni. La prima riguarda il riordino degli enti e delle società operanti nel campo dell'internazionalizzazione e del commercio estero. La considerazione che faceva il ministro Bonino lascia prevedere che si proponga al Parlamento un nuovo disegno di legge delega per arrivare ad un riordino di queste società, che, peraltro, nella precedente


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legislatura in qualche modo, sono state già toccate (in particolare ricordo la societarizzazione della SACE). Comunque, la questione che si è sempre rivelata prioritaria, molto più del mero aspetto promozionale, è quella dell'individuazione di strumenti flessibili per facilitare l'accesso delle imprese al credito, in modo da inserirle nei processi di internazionalizzazione.
Il tema della focalizzazione geografica, ovviamente, è importantissimo. Mi pare che qualche progresso sia stato fatto, ma spero che il Ministero non voglia seguire i luoghi comuni, secondo i quali i mercati emergenti siano necessariamente i nostri interlocutori principali. Credo che, per quello che abbiamo visto in passato, proprio per la caratteristica delle nostre imprese manifatturiere, siano più interessanti, a volte, paesi come la Russia o la Turchia, rispetto alla Cina e all'India, che molto spesso rappresentano più una minaccia che un'opportunità.
Un'ultima considerazione riguarda il tema della delocalizzazione. In passato, si è ragionato addirittura attorno - la Francia ha seguito questa strada - ad una penalizzazione per le imprese che operano una delocalizzazione sostitutiva e non espansiva rispetto alla propria attività. Ebbene, vorrei sapere se su questo tema vi sia un focus o un'intenzione di intervento da parte del Ministero.

ANDREA LULLI. Anch'io ringrazio il ministro Bonino per l'esauriente, anche se sintetica, illustrazione delle linee di intervento, che in gran parte condivido. Al riguardo, vorrei solo fare alcune sottolineature.
Il nostro punto di forza per quanto riguarda l'export - a parte certe nicchie molto importanti, alcune già ricordate dal ministro, che vanno certamente sostenute nella penetrazione dei mercati - è dato dalla specializzazione manifatturiera della nostra industria. A me risulta - ma vorrei una conferma al riguardo - che nell'industria manifatturiera, in realtà, i comparti che danno un attivo alla nostra bilancia dei pagamenti sono i comparti della moda, dell'arredo-casa, della meccanica leggera, mentre per quanto riguarda l'agroalimentare, ahimè, siamo in perdita. Questo lo dico per puntualizzare, non perché non vada sostenuto il settore agroalimentare, ma per mettere in evidenza il problema politico, non semplice da risolvere, di fronte al quale ci troviamo. Noi abbiamo una fortissima presenza nell'industria manifatturiera, in gran parte costituita da imprese di piccole dimensioni, cosa che sappiamo essere un problema rilevante rispetto agli scenari che abbiamo davanti. Tuttavia, è questa realtà che - scusate se lo dico in termini forse un po' brutali - permette al paese di pagare la bolletta energetica, e non solo. Questo è il problema principale che abbiamo di fronte, poiché dobbiamo avviare un processo di ristrutturazione ed anche un processo di rilevante innovazione di prodotto. D'altra parte, però, non possiamo dimenticare che questo settore è la forza della nostra economia e deve avere un ruolo di primo piano nelle politiche che attueremo, anche perché, personalmente - permettetemi - penso che la struttura produttiva che abbiamo faciliti il processo di innovazione e l'affermarsi dei nuovi saperi. Noi dobbiamo innestare nel saper fare tradizionale, che è la ricchezza del nostro paese, le nuove conoscenze, cioè, riempire i prodotti tradizionali di contenuti innovativi tecnologici. Tale questione esula un poco dalla politica di commercializzazione, ma è uno degli asset strategici che dovremmo avere presenti, perché credo che occorra partire da quello che siamo, se non vogliamo fare dei disastri come quelli fatti da diverso tempo a questa parte, e non mi riferisco solo agli ultimi cinque anni. Da questo punto di vista, condivido tutte le cose che sono state dette e reputo fondamentale, per quanto riguarda la strategia settoriale, la questione delle reti di vendita.
Ministro, lei ha fatto riferimento alle reti di vendita diretta (ovviamente anche la logistica è fondamentale, ma avremo modo di intervenire nel merito). Io osservo, però, che non si pone solo il problema di reti di vendita diretta, ma anche


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quello di avere una strategia, nel nostro paese, delle reti di grande distribuzione. Possiamo fare tutti i discorsi che vogliamo, ma se le reti di distribuzione sono di proprietà della Francia, degli Stati Uniti, dell'Olanda, della Germania, in queste reti di vendita, alla fine, i prodotti privilegiati, checché se ne dica, diventano i prodotti di quei paesi. Io penso che questo sia un problema importantissimo per noi e che fare una riflessione al riguardo sia estremamente importante anche sul piano dell'internazionalizzazione.
Un'altra questione che mi permetto di sottolineare, se vogliamo davvero arrivare ad un «sistema Italia», riguarda la necessità che le regioni e le grandi città assumano atteggiamenti responsabili, anche in termini di razionalizzazione della finanza pubblica. È anche importante avviare un confronto con il sistema bancario nazionale, che può essere effettivamente una grande leva di aiuto per l'internazionalizzazione delle imprese. Parlo soprattutto delle piccole imprese, il cui problema di fondo è spesso non solo quello delle barriere burocratiche, ma il fatto che si trovino sole ad affrontare i mercati esteri. Sono stato tra i fautori dello sportello unico dell'internazionalizzazione e credo che spesso una banca, con la sua politica, possa svolgere un ruolo molto positivo nel supportare il sistema imprenditoriale.
Concludo per non dilungarmi troppo e perché giustamente il presidente mi rimprovera di non rispettare uno stile europeo nella lunghezza degli interventi. Vorrei rassicurare il ministro sul made in Italy rispetto al quale vi sono un grande problema e anche una grande confusione. Noi non possiamo legiferare come paese sul made in, e teoricamente non lo può fare neanche l'Europa: si tratta di accordi - basti pensare ai codici doganali - che si raggiungono solo in sede di WTO. C'è, però, un problema di fondo, che a mio avviso non è più accettabile continuare ad ignorare: l'Europa è l'unico grande mercato mondiale che non ha l'etichettatura obbligatoria di origine. Gli Stati Uniti ce l'hanno da sessant'anni, il Giappone da dieci, la Repubblica popolare cinese dal 1o gennaio 2005. Non è accettabile che l'Italia, dentro l'Europa, non possa intraprendere le proprie politiche commerciali in un ambito di regole di trasparenza verso i consumatori, perché qui non si tratta di fare protezione né di turbare la concorrenza sul mercato interno europeo. In realtà, si tratta di applicare l'articolo 130 del Trattato istitutivo dell'Unione europea, che impone la trasparenza, e credo che il consumatore abbia il diritto di avere conoscenza di quello che gli viene offerto per poi decidere. Osservo - mi perdoni se rubo altri due minuti su questa questione, che credo sia molto importante - che il problema che abbiamo di fronte è di capire come un insieme di piccole imprese e di «saper fare» importanti, cui sono legate milioni di persone, possano avere, rispetto al marchio, una possibilità di riconoscersi e di essere tutelate, in una situazione nella quale ciascuno abbia la possibilità di affermare il proprio brand. D'altro canto, ci sono milioni di imprese e non a tutte possiamo imporre di crescere. La cosa che dobbiamo fare è rimuovere gli ostacoli affinché chi vuole crescere abbia la possibilità di farlo. Non è un problema facile da affrontare, però non possiamo, per questo semplice motivo, accantonare un tema che credo sia importante. Da tale punto di vista, quindi, dobbiamo prima di tutto far sentire di più la nostra voce in Europa. So bene che la Germania è contraria all'etichettatura obbligatoria, ma vorrei ricordare a tutti noi che qualche tempo fa è stato varato dall'Unione europea un regolamento per i prodotti a consumo di energia, escluso il motore, che, di fatto, rende impenetrabile il mercato europeo ai competitors asiatici. Siccome io non sono un protezionista, non chiedo lo stesso trattamento per i nostri prodotti, chiedo, però, che almeno ci sia trasparenza nel mercato. L'anno scorso, negli Stati Uniti d'America, la rivista Vogue Usa, seguita dal Wall Street Journal - e le nostre grandi firme bisognerebbe che fossero un po' più consapevoli - ha attaccato il made in Italy (Prada, Armani, Zegna), con questo semplice ragionamento: il made


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in Italy non è più fashion perché produce a costi asiatici e vende a prezzi europei.
Invito tutti, dunque, a prestare attenzione, perché se partono campagne di informazione simili, saremo noi a rischiare grosso, proprio perché la nostra forza industriale è concentrata soprattutto in questo settore.

ANNA TERESA FORMISANO. Cercherò di mantenermi nei tempi europei. Ringrazio il ministro Bonino per essere venuta oggi in Commissione e le auguro un in bocca al lupo per il lavoro che l'aspetta. Sulla relazione, non appena gli uffici della Commissione ce ne forniranno copia, entreremo nel dettaglio, augurandoci che il ministro Bonino voglia tornare ad incontrarci.
Il primo problema che tutti dobbiamo impegnarci ad approfondire riguarda lo snellimento burocratico: mi riferisco in particolare, alle piccole aziende che hanno uno scontro frontale e titanico con tutto ciò che è burocrazia, a cominciare dal rapporto con le banche. È una dolente nota. Se non ci fossero questi tipi di problemi le piccole e medie imprese che portano i loro prodotti all'estero sarebbero molto più numerose. Il primo intervento da fare è proprio su questo fronte, ovviamente non trascurando la sburocratizzazione cartacea - passatemi questo termine -, altra ragione di forte conflitto per i piccoli e medi imprenditori.
Il secondo aspetto che vorrei sottolineare riguarda la possibilità di incentivare le associazioni di piccole imprese (che possono assumere varie forme), ad esempio prevedendo sgravi fiscali per le assunzioni operate da chi apre un'azienda all'estero.
Possiamo fare filosofia, possiamo parlare di grandi idee, ma il problema è quali risorse intenda mettere in campo il Governo per risolvere queste problematiche.
Ultima considerazione, non certo per importanza. Sono una tifosa del made in Italy e ho avuto modo di girare il mondo incontrando le comunità italiane all'estero. Perché non coinvolgere le comunità italiane nel mondo, che conoscono le realtà locali, al fine di aiutare i nostri piccoli imprenditori? Non parliamo più dell'italiano con la valigia di cartone ma parliamo dell'italiano che è diventato grande imprenditore in quasi tutti i paesi del mondo. Si tratta, dunque, di fare una riflessione sull'opportunità di stabilire una sorta di collegamento tra l'imprenditore che vuole partire dall'Italia e andare ad aprire una realtà imprenditoriale all'estero e la comunità italiana che risiede in quel paese.

MAURIZIO BERNARDO. Anch'io mi associo ai ringraziamenti rivolti al ministro Bonino, nonché ai due sottosegretari presenti oggi.
Parlando di internazionalizzazione e della descrizione delle diverse linee di indirizzo del dicastero che lei presiede, anche rispetto al rapporto con le regioni e le amministrazioni locali, vorrei porre due quesiti. Abbiamo discusso della necessità di tenere alto il modello italiano di rafforzare il sistema Italia e della preoccupazione che esiste da parte del Governo centrale, delle iniziative che le regioni intraprendono all'estero (credo siate a conoscenza quanto chi ha operato a livello locale delle diverse iniziative intraprese dagli enti regionali, consistenti nella creazione di uffici e sedi in tutto il mondo e nell'organizzazione di missioni d'intesa con il sistema produttivo, ovviamente locale): in proposito, vorrei innanzitutto capire che ruolo giochino le ambasciate, soprattutto alla luce di quanto è accaduto durante il Governo precedente, con particolare riferimento al ruolo svolto dal Presidente del Consiglio, per quel breve periodo che fu, ad interim, anche ministro degli affari esteri (immaginando che, anche in questo caso, il coinvolgimento del Ministero degli affari esteri sia necessario). Urge capire quale tipo di sensibilizzazione occorra, in una chiave di lettura un po' più moderna, nei confronti di chi ci rappresenta all'estero, anche con riferimento a quanto accade negli altri paesi. Dico questo tenendo ben presente che le grandi imprese, dotate di uffici e sedi all'estero, tendono comunque - attraverso un'azione


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di tipo lobbistico - a portare avanti le proprie iniziative. Mi chiedo, tuttavia, perché non pensare anche a quello che peraltro già accade sul fronte delle utilities: in diverse occasioni, è capitato di poter far partecipare realtà locali, ex aziende municipalizzate, oggi trasformate in SpA, a bandi di gara in altre parti del mondo, ma raramente ne sono uscite vincitrici. Occorre capire, da questo punto di vista, quali siano le iniziative che si vorrebbero intraprendere.
Una seconda considerazione, prima di concludere, riguarda gli organismi cui lei prima faceva riferimento, come anche qualche collega che mi ha preceduto (mi riferisco in particolar modo a Simest o all'Istituto commercio estero). Vorrei sapere se abbia degli indirizzi nei loro confronti, rispetto ad un ruolo che, peraltro, giocano anche piuttosto bene. Forse la difficoltà - che pure comprendo - dipende dall'articolazione, a livello mondiale, delle varie sedi, ma bisogna capire come poter alimentare un ragionamento utile che riguardi questi organismi, aldilà della necessaria omogeneizzazione e della presenza di una regia: al riguardo, mi pare che lei facesse cenno anche ad un processo che dovrebbe passare per il CIPE e la V commissione permanente, dove però le regioni, ad esempio, non sarebbero contemplate. Bisogna capire come sia possibile mettere assieme tutti i soggetti coinvolti.

MANUELA DI CENTA. Anch'io ringrazio il ministro Bonino e i sottosegretari per essere qui oggi. Tra l'altro, uno di loro viene dal Friuli-Venezia Giulia ed è per me un piacere particolare averlo qui con noi oggi.
Ministro Bonino, ho una domanda specifica da porle. Lei ha parlato di maggiore focalizzazione geografica del commercio e ha nominato Cina ed India, dunque un commercio non europeo. Nei confronti di un commercio internazionale ma europeo, sappiamo quanto sia importante per la nostra produttività e competitività il trasporto e la distribuzione delle nostre merci in paesi fisicamente confinanti con l'Italia, collocati aldilà delle Alpi. Lei ha pensato anche per questi mercati - che magari non sono prioritari per lei come quelli asiatici - a qualcosa in particolare, sapendo che la perdita di produttività, qualora si chiudesse un traforo o una strada alpina, sarebbe molto grave per tutto il sistema italiano?

MARIO VALDUCCI. Anch'io desidero ringraziare il ministro Bonino e i suoi collaboratori. Limiterò il mio intervento ad alcuni flash, condividendo molti degli aspetti della relazione che ci ha illustrato. Il primo riguarda una osservazione legata a quanto si registra in Europa ormai da oltre dieci anni, cioè una bassissima azione di politica economica di salvaguardia del tessuto produttivo dell'Unione europea. Ciò è favorito dal fatto che molti paesi dell'Unione hanno una scarsissima presenza produttiva - parlo soprattutto dei settori tradizionali - il che ha comportato, soprattutto per il nostro paese, ma non solo, gravi difficoltà, con l'apertura dei mercati rispetto alle realtà asiatiche. È indubbio che non si chiede la reciprocità, ma è altrettanto indubbio che la partecipazione al libero scambio internazionale andrebbe fissata perlomeno con il vincolo della certezza dei diritti civili minimali, di cui forse alcuni paesi, che oggi partecipano a pieno titolo nel commercio internazionale, difettano.
Condivido, poi, quanto diceva il collega Lulli sul fatto che non vogliamo parlare di made in Italy, ma penso che sia ormai urgente sollecitare e portare a compimento la necessità, almeno, di avere marchiati i prodotti di origine extra-europea: è un minimo obiettivo da condividere, anche perché ritengo che sapere da dove arrivano i prodotti immessi nel mercato europeo sia una fonte importante di scelta per i cittadini consumatori.
L'altro aspetto su cui riflettere consiste nel fatto che abbiamo un sistema produttivo, come lei ha ricordato, di un certo tipo - diverso da quello francese, diverso da quello tedesco - per cui sono ancora più importanti la semplicità, la trasparenza e l'approccio che tutte le entità che operano


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nel commercio estero hanno nei confronti del nostro sistema. Penso quindi che sia molto importante arrivare sempre più ad un coordinamento, non solo, spero, degli enti che fanno capo all'istituzione nazionale, ma anche di tutti quegli enti, come lei ricordava, regionali e locali, che magari, se si muovessero con maggiore sinergia rispetto all'operato nazionale, potrebbero avere maggiore successo in termini di efficacia. Penso che questo sia mancato molto e manchi tuttora al nostro paese, e che rappresenti un obiettivo molto importante da conseguire.
Lei, poi, ha parlato poco dell'internazionalizzazione al contrario, aspetto che mi preoccupa, dal momento che le prime mosse di questo Governo, con il decreto Visco, hanno spaventato molti investitori interessati al nostro paese spingendoli verso altri tipi di investimento: al riguardo, penso sia molto importante che l'Italia diventi sempre più un paese in grado di accogliere investimenti e capitali che provengono dall'estero.
L'ultimo punto che vorrei sottolineare e su cui ritengo decisivo il coinvolgimento delle regioni e degli enti locali riguarda il sistema fieristico, che reputo piuttosto importante per l'internazionalizzazione delle nostre imprese e dei nostri prodotti.

LUIGI D'AGRÒ. Signor ministro, credo lei abbia un compito improbo, nel senso che questo è un paese che, purtroppo, da quindici anni, continua a perdere fette di mercato mondiale - passando dal 5,6 per cento del '91 al 2,8 attuale - pur di fronte ad un commercio che si espande. Nel frattempo, i nostri competitor, soprattutto quelli che in qualche modo in Europa fanno aggio sulle nostre potenzialità, definendosi proprio per questo una grande potenza, mantengono delle fette di mercato, o addirittura le incrementano, sia pure in piccole dimensioni. Credo, pertanto, che lei si troverà di fronte ad un problema estremamente importante e cruciale per lo sviluppo del sistema paese.
Ho visto che il DPEF parla di tre grandi temi: rigore, sviluppo ed equità. Sono dell'avviso che mettendoli tutti e tre allo stesso livello, difficilmente questo paese avrà un sussulto. Bisognerà cominciare a guardare allo sviluppo come centro e motore del sistema produttivo nazionale, nella consapevolezza di trovarci, ormai, in una situazione di necessità strutturale vera e propria, tale da condizionare anche la cultura d'insieme. Lei ha parlato di piccole dimensioni ma, con grande franchezza, questo ci porta a dire che, per esempio, in Cina, noi siamo al 29o posto per investimenti; la Francia, invece, con Carrefour, è il primo paese per esportazioni, come ha detto l'onorevole Lulli, del sistema dell'agroalimentare, un traino per tutto un indotto che trascina il volano del ritorno del doppio sistema. Credo piuttosto sia fondamentale come il nostro sistema industriale verrà accompagnato a fare investimenti all'estero, perché anche questo può aiutare a far crescere la dimensione di impresa, a realizzare effettivamente il concetto di una realtà che purtroppo vede questi termini di comparazione: mentre fino al 1989 il confronto tra i mercati era fra le aree monetarie, oggi è fra due mondi, le aree con regole e quelle senza regole. All'interno delle aree con le regole, vediamo che l'Europa cresce molto di meno rispetto agli Stati Uniti e al Giappone, che hanno regole più certe e meno condizionate dalla burocrazia. Invece, qui esiste un sistema burocratico che in qualche modo alimenta, a spirale, una situazione di difficoltà, in cui diviene arduo dare anima e corpo ad un meccanismo libero, vero e profondo, basato anche sulla capacità di intraprendere nuove iniziative in sistemi diversi.
L'onorevole Lulli sa perfettamente che è in corso tra noi un confronto ideologico sul tema del manifatturiero. Purtroppo nel nostro paese circa il 65 per cento di PIL è rappresentato da tale settore, al contrario di quanto capita per gli equivalenti, importanti paesi europei, che si basano sui servizi: il nostro sistema è dunque più esposto degli altri alla concorrenza di un mercato senza regole. In questo senso, credo di dover affrontare il problema con grande franchezza, perché sono convinto che non possiamo cambiare all'improvviso:


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siamo quelli che siamo e dobbiamo accompagnare ciò che abbiamo, fino ad arrivare ad un porto sicuro. Da questo punto di vista, credo ci siano tre elementi da considerare, che lei ha peraltro sottolineato: il sistema dell'internazionalizzazione parte anche da una delocalizzazione che diventa di per sé e a sua volta internazionalizzazione, quindi accompagnare la delocalizzazione significa conquistare i mercati, non andare in cerca di posti dove si producono le merci a basso costo per metterci poi, al ritorno, l'etichetta made in Italy. In tal senso, bisogna stare molto attenti alla dequalificazione dei marchi italiani attraverso la «cinesizzazione» o «indianizzazione» del prodotto, brutti termini che rappresentano, purtroppo, una realtà in atto. Anche grandi sistemi, grandi griffe fanno questo. Il nostro è un paese ancora di furbi, che piuttosto che intelligentemente portarsi sui gradini alti della produzione italiana per renderla in qualche modo visibile a livello mondiale, e quindi appetibile a fasce importanti di reddito per altri paesi, fanno esattamente il contrario.
Altro tema importante è come il paese accompagni un sistema industriale che è stanco, a parte alcune eccezioni. Io ho esperienza a Timisoara e altrove: ho visto molte imprese che vi si sono istallate, ma che si stanno afflosciando. La preoccupazione è per sistemi che escono dai propri confini per competere con l'interno. Quando, per esempio, abbiamo una domanda forte di manodopera di basso contenuto tecnologico in Italia, e abbiamo la necessità di importarla e nello stesso tempo delocalizziamo in situazioni estreme, quelle qui vicino soprattutto, ho la sensazione che ci siano due mondi che si fanno concorrenza, all'interno dello stesso sistema, sbagliando completamente il concetto dell'internazionalizzazione, che significa invece andare a conquistare mercati piuttosto che produrre merce all'estero per riportarla in Italia. Il sistema come aiuta complessivamente il mondo dell'impresa a crescere attraverso questo tipo di rapporto con l'esterno? È questa la grande scommessa.
L'onorevole Valducci ha posto un problema di promozione estremamente interessante. Il sistema fieristico in Italia, purtroppo, è disseminato a macchia di leopardo e con meccanismi di concorrenzialità tra le varie filiere, senza un rapporto di rilevanza internazionale, quindi di appeal verso l'esterno, per promuovere i prodotti italiani. Bisogna mettervi mano perché c'è il rischio che si traduca, come tutto il sistema della promozione, soltanto nel mantenimento di alcune poltrone, o comunque di luoghi di potere, piuttosto che in un effettivo tentativo di rendere produttivo l'intervento.
Si è parlato poi della legge sul made in Italy - o istituzione del marchio «100 per cento Italia» - che avevamo visto come modello per tutelare il sistema della piccola impresa. Al riguardo, non vorrei che in Europa fossimo una sorta di cenerentola, nel senso che mentre la Francia, addirittura per legge, definisce undici settori strategici finalizzati alla necessità di non essere aggrediti dal mercato straniero, l'Europa sta zitta. Se tentiamo di garantire il meccanismo del nostro faticoso percorso, per vedere la tracciabilità del nostro prodotto, immediatamente ci saltano addosso. Probabilmente, abbiamo il marchio di inflazionisti, svalutativi e anche furbi.
Nel mercato internazionale dobbiamo avere un altro tipo di credibilità e spetta anche a lei, ministro, farcela avere.

SALVATORE TOMASELLI. Ringrazio il ministro Bonino per questo contributo. Penso che dobbiamo contare molto sulla sua nota caparbietà nelle tante cose che ha fatto prima di assumere questo incarico, perché quello di cui stiamo discutendo oggi credo sia uno degli elementi decisivi per il rilancio della competitività del nostro paese.
Veniamo da anni di profonde difficoltà in cui tutti i terminali, tutti gli indici della competitività italiana sono scesi. Attorno al tema dell'internazionalizzazione del nostro sistema produttivo si gioca, dunque, una parte decisiva della ripresa positiva nella classifica mondiale. Aldilà della battuta, confidiamo molto che il suo impegno


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possa portare a risultati concreti, a cominciare anche da una piena condivisione dei quattro punti che lei qui ci ha presentato come linee guida del suo Ministero.
Credo che una buona politica internazionale possa aiutare anche i buoni affari. Sarei preoccupato del contrario, nel senso che, quando siamo costretti ad avere buone relazioni internazionali con paesi con cui abbiamo relazioni economiche molto forti, scontiamo probabilmente una subalternità, o perlomeno rischiamo di scontarla. Penso al tema dell'energia: essere dipendenti in tanta parte della nostra bilancia commerciale dell'energia dall'estero ci induce spesso a fare i conti con queste difficoltà. Se invece, come mi pare che questo Governo stia facendo nei suoi primi atti, mettiamo in campo, a livello internazionale, l'idea di un paese che gioca un ruolo positivo non solo nelle crisi - mi riferiscono all'attualità di queste ore - ma anche per riprendere buone relazioni internazionali, credo che da questo possano discendere buoni affari per le nostre imprese. Lo dico in maniera molto semplice e molto diretta ma credo che il concetto sia chiaro. Affermo ciò perché nel momento in cui il contesto internazionale è più difficile per il nostro sistema produttivo - mi riferisco ai dati che richiamava prima il collega D'Agrò, e al dimezzamento del nostro peso nella competizione internazionale sull'export a livello internazionale - credo vi sia bisogno di una guida più forte. Da questo punto di vista, e condivido quanto hanno detto al riguardo altri colleghi, bisogna mettere mano con urgenza, semplificando e riordinando gli strumenti, gli enti, le linee di intervento attorno al tema dell'internazionalizzazione. È una preoccupazione condivisa, credo, in maniera diffusa da tutti, sulla quale da tempo, anche nella precedente legislatura, si è discusso molto: probabilmente non si è fatto abbastanza, bisogna tornarci, ma è un tema assolutamente prioritario. Oggi abbiamo una coesistenza di strumenti ed enti che, oltre a disperdere risorse economiche - e ce ne possiamo permettere ben poche - produce soprattutto minore efficacia. Vi è un livello di iniziativa che attiene agli enti nazionali (ICE, SACE, ...) di espressione governativa; poi vi sono le regioni, le autonomie locali, le camere di commercio, i sistemi fieristici, le organizzazioni imprenditoriali, ed ognuno di questi soggetti dispone di mille strumenti, mille enti.
Vengo da un'esperienza professionale, maturata fino a qualche mese fa, di presidente di una piccola camera di commercio: in giro per l'Europa e per il mondo, negli anni passati, mi è capitato di trovare di tutto e di più in termini di presenza nelle missioni internazionali, nelle fiere, a cominciare dall'ente da cui provenivo. Bisogna mettere mano, innanzitutto, a questo. Occorre una guida forte perché a volte i protagonismi fanno specie rispetto a questa necessità del sistema paese. Tra l'altro c'è una contraddizione di fondo: mentre il sistema paese è così diffusamente disperso negli strumenti, molte piccole e medie aziende, che pure nel mondo hanno raggiunto il successo, spesso sono riuscite a raggiungerlo con le loro sole forze, trovando i loro partner in termini di imprese, cercandoli nel mondo del business, senza il sostegno di un qualsiasi strumento pubblico. Questo è il paradosso, nonostante sia anche un motivo di soddisfazione per la qualità delle nostre piccole imprese che, quando individuano una nicchia di mercato, la inseguono fino in fondo e hanno il successo che meritano.
Mi permetta un suggerimento signor ministro: non so se ci siano le condizioni ma sarebbe utile che il suo Ministero, concertando con le regioni, con il sistema delle camere di commercio, con i sistemi fieristici, con le organizzazioni imprenditoriali, addivenisse ad una sorta di censimento, di quadro, di questi enti e di queste strutture, per arrivare anche ad un momento di incontro comune. Immagino che si possa costruire una sede in cui, tutti insieme, questi enti si incontrano, e sarebbe utile anche una comune programmazione.
Ricordo con qualche preoccupazione una esperienza della mia regione, negli anni passati, a proposito di contributi ai


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consorzi export: è capitato in Puglia, a proposito di un bando che sosteneva i consorzi volti a promuovere le piccole e medie imprese all'estero, e che sarebbe uscito in dicembre, sulle iniziative effettuate non nell'anno successivo ma nell'anno in corso. Delle due l'una: o era un elemento di scarsa efficacia del sistema regionale oppure le risorse pubbliche erano dirette a chi, in qualche modo, sapeva di aver fatto già qualche cosa.
Questo è l'elemento più importante che mi permetto di sollecitare alla sua attenzione.

PAOLO AFFRONTI. Ringrazio il ministro Bonino e i sottosegretari per la loro presenza tempestiva in Commissione. Ho trovato completa ed esauriente l'esposizione del ministro Bonino che ha dato prospettive circa la sua azione futura.
Vorrei puntualizzare il mio intervento ponendo l'accento su iniziative spesso poco coordinate svolte all'estero da regioni, province e grandi comuni. Sappiamo tutti molto rispetto a questo argomento. Occorre attivare un'azione concreta per cercare un coordinamento, una cornice, per tutte queste iniziative, che possa produrre effetti positivi per il sistema Italia. Occorre riaprire lo «sportello Italia» - al riguardo mi pare sia stata presentata un'interpellanza da parte di una deputata del mio gruppo -, per il quale è prevista una dotazione finanziaria (legge finanziaria del 2005 e del 2006), uno strumento che non va sottovalutato e che può essere un punto di coordinamento. Occorre, però semplificare, fare in modo che lo sportello non sia una struttura aggiuntiva rispetto a tutto il resto.
Termino il mio intervento dichiarandomi perfettamente d'accordo rispetto ad alcune problematiche che qui sono state sollevate e ad alcune proposte, in particolare, riguardo all'organizzazione di una rete di vendita all'estero dei nostri prodotti, cercando di coordinare in maniera attiva regioni, province e grandi comuni e all'importanza del sistema bancario, che può essere di grande supporto per le nostre imprese che agiscono all'estero. È necessario un raccordo anche a livello di ambasciate, di istituti di cultura ed altre nostre organizzazioni, senza dimenticare, naturalmente, l'Istituto del commercio con l'estero. Ugualmente deve esserci un raccordo con le regioni e gli enti locali, oltre che con lo Stato.

PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, do la parola al ministro Bonino per la replica.

EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale. Darò delle risposte flash seguendo l'ordine degli interventi ed anche aggregandone alcuni, perché di fatto sono emersi dal dibattito tre o quattro grandi ambiti problematici.
Voglio cominciare dal tema che è stato citato da tutti, ossia quello della necessità del coordinamento. Un mio amico arabo, filosofo, dice che o coordinare è comandare oppure, se non lo è, è chiacchierare. Ora, la situazione è semplice, o perlomeno lo è la sua fotografia. La soluzione, cari colleghi, vi assicuro non l'ho ancora trovata.
Il problema è che le regioni hanno competenza concorrente, poi c'è una miriade di altri enti, poi vengono i grandi comuni: badate che il ministro ha tutto l'interesse e la determinazione a pensare a delle azioni di coordinamento, ma se poi la gente non vuole farsi coordinare, perché per una ragione o per un'altra preferisce viaggiare da sola, persino controcorrente, non c'è normativa che possa impedirlo. Di tutto ciò dobbiamo essere tutti coscienti, io per prima, altrimenti rischio di farmi delle illusioni. Vi faccio un esempio concreto: il Governo precedente - e quello attuale ha proseguito il lavoro - aveva preso un impegno, in occasione della ricorrenza dell'anno della Cina e della relativa fiera di Canton. Per convincere tutte le regioni, o perlomeno alcune delle più importanti, a partecipare alla fiera di Canton e magari a non essere, nella stessa settimana - dico per caso - a Shanghai, c'è voluto un grande sforzo. Per fortuna, per una volta ci siamo riusciti, ma se tutte le volte si trova una ragione per muoversi in maniera


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indipendente, allora diventa difficile capire come procedere. Volevo solo rassicurarvi in merito alla volontà del ministro e del Ministero di tentare tutte le formule di pressione-coordinamento. Voi tutti però dovete essere coscienti che se le autonomie locali, con le loro competenze, non vogliono farsi coordinare, il Ministero non ha responsabilità. È un dato negativo per il sistema Italia, ma nella normativa attuale è difficilmente superabile.
Il secondo tema generale che mi è stato sottoposto, e sul quale voglio brevemente riferire, è quello relativo alle aree geografiche prioritarie. Volevo subito rassicurare che non ho citato solo India e Cina ma ho fatto un elenco preciso, ho aggiunto anche la Turchia, la Russia e il Brasile e, a pari merito, Balcani ed est europeo in senso lato. Al riguardo, conto molto sull'attivismo del sottosegretario Budin. Voglio anche segnalarvi una necessità di approfondimento. Nella zona caucasica, nell'est, nell'Asia, esiste una serie di paesi che non sono ancora sotto i riflettori ma vi saranno prossimamente. Paesi di grande liquidità e molto ricchi, essendo esportatori di gas e di petrolio. Io penso che questi nuovi paesi vadano in qualche modo sondati. Ne cito uno per tutti, il Kazakistan da osservare in prospettiva; nessuno impone il Kazakistan come prioritario, ma bisogna puntare le antenne su un'area nella quale si sta creando una domanda che pare non ancora coperta.
Un altro elemento è quello dell'accesso al credito (il sottosegretario Mauro Agostini focalizzerà la propria attività su questo tema). Abbiamo già cominciato a lavorare, prendendo una serie di contatti. Ovviamente si tratta di un problema rilevante per la piccola e media impresa, e non per la grande impresa, per mille ragioni, anche storiche.
Più puntualmente, e altrettanto velocemente, vorrei rispondere all'onorevole Saglia. Quanto al problema del riordino degli enti, sto pensando che, con urgenza ma senza fretta, l'idea di riattivare o richiedere una delega, discutendo nel merito, forse non è affatto da archiviare. Ho infatti l'impressione che, diversamente, andremmo ad interventi settoriali, mettendo a posto un pezzetto alla volta ma mancando di una visione d'insieme: d'altra parte, nel corso della legislatura precedente è stata prevista la necessità di un riordino, da attuare attraverso una delega.
Quanto ai nuovi paesi, è vero che Cina e India sono dei concorrenti in alcuni settori manifatturieri ma è anche vero che rappresentano grandissimi mercati per quanto riguarda altri nostri prodotti, come per esempio i macchinari del tessile, i macchinari del legno, i macchinari agricoli, ma persino tutta la tecnologia di cui siamo grandi portatori, come la tecnologia ambientale legata al ciclo delle acque. Attenti, quindi, perché questi paesi non sono solo concorrenti e i nostri settori manifatturieri rappresentano grandi risorse.
L'onorevole Lulli - non parto dalla ristrutturazione del sistema produttivo - parlava delle reti di vendita diretta. Come ho detto e ripeto, onorevole, non è che io non sia d'accordo con lei, ma il problema vero è che solo adesso, credo per la prima volta, una azienda italiana ha acquistato il 5 per cento di una grande catena distributiva, che è l'Auchan. Tutto questo va incentivato per le ragioni che lei stesso riferiva. Penso solo che nel frattempo, se è possibile, dobbiamo intervenire, altrimenti rischiamo di produrre merci ma poi anche di tenercele, considerato che sulle reti distributive questo paese sconta un grande ritardo rispetto ad altri settori. Quanto al problema delle risorse, è chiaro che a parte la dotazione dell'ICE o del Ministero, sarà la prossima manovra finanziaria a definire la scelta da compiere in ordine alle proposte di utilizzo.
Trovo molto utile il suggerimento dell'onorevole Formisano sulle comunità italiane all'estero e pensavo di fare il primo esperimento in Brasile, posto che è prevista una iniziativa del Governo in quel paese, proprio a marzo-aprile. Pensavamo anche a contatti con vostri colleghi eletti all'estero e alla possibilità di effettuare un primo test significativo a partire da una grande comunità italiana all'estero, per vedere come procedere; abbiamo pensato


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al Brasile più che all'Argentina, che vive un momento difficile ed è ancora considerata paese a rischio. Ricordo che la comunità italiana del Nordamerica è già molto coinvolta in questo senso (penso per esempio al Canada).
L'onorevole Bernardo ha fatto riferimento alle ambasciate: il problema esiste anche se non dal punto di vista istituzionale. La questione è come creare sinergie e non ostacoli: questa era l'idea dello «sportello Italia», sulla quale dobbiamo riflettere un poco per evitare che costituisca una sovrastruttura rispetto a quelle esistenti, ma ne sia la semplificazione.
La collega Di Centa parlava invece di collegamenti e di trasporto. È chiaro che la questione del valico non è molto rivolta a me ma è indubbio che le infrastrutture, non solo quelle nazionali ma anche quelle transfrontaliere, per il nostro paese siano essenziali. C'è un ritardo notevolissimo che ha mille altre ragioni: seppur sia competenza di altro ministro, credo che il Governo debba comunque affrontare questo problema, seppure con un po' di ritardo.
Colgo l'occasione per sottolineare un punto su cui inviterei un po' tutti a riflettere. È chiaro che l'Asia emergente è, allo stesso tempo, una potenzialità ed una minaccia, dipende dai settori, da come la si guarda, da migliaia di altri elementi. Però dovremmo riflettere tutti sul fatto che è «esploso» il commercio dai paesi emergenti verso il Mediterraneo, verso il resto dell'Europa, nonché gli Stati Uniti e le Americhe in generale. Tutti i prodotti asiatici passano attraverso Suez, evitando così di circumnavigare l'Africa. Sulla via di Suez il nostro paese ha una posizione geografica e logistica senza paragoni. Penso che debba essere priorità del Governo far sì che questa nostra posizione geografica non comporti solamente lo scalo di un giorno ma consenta la creazione di una piattaforma logistica sia per la diramazione europea sia per altro. Ma se non ci attrezziamo velocemente, il flusso commerciale sarà diretto sempre più ad Algeciras, a Barcellona, a Valencia (comunque la Spagna è decentrata), al Pireo (che però è già congestionato e ha qualche problema), ad Alessandria d'Egitto (che però non è molto recettiva). In questa ottica, il Governo e la Commissione, potrebbero promuovere un convegno e lanciare questa parola d'ordine agli imprenditori: che Taranto, Gioia Tauro e Civitavecchia possano diventare nodi fondamentali. Potremmo, cioè, chiamare a raccolta gli imprenditori e le autorità portuali per capire come possiamo non perdere questa occasione. L'aria che tira suggerisce un aumento delle esportazioni e le esportazioni passano di qua. Possibile che non siamo in grado di intercettare quel flusso di beni prima che si diriga altrove (Barcellona o Rotterdam)? Dobbiamo attivarci e muoverci molto rapidamente in tal senso, sfruttando proprio la via di Suez come polo di attrazione verso il nostro paese. Parlo in questi termini, perché una scelta simile implica comunque una corresponsabilità di vari ministeri. Detto questo, penso però che qualcuno debba pur tirare un poco le fila: se questa Commissione fosse interessata, potremmo lanciare una iniziativa in tal senso.
Mi soffermerò su altre due considerazioni, prima di concludere. All'onorevole Valducci vorrei dire in primo luogo, a proposito delle osservazioni dell'onorevole Visco che, se guarda il volume degli investimenti esteri nel nostro paese, si renderà conto che la nostra difficoltà è evidente. Ho l'impressione che la barriera agli investimenti diretti nel nostro paese attenga a molti altri problemi irrisolti che forse non è il caso qui di approfondire; mi permetto solo di dirle che sono problemi strutturali di grande importanza. Lei ha anche parlato del sistema fieristico. Sono dell'idea che, con le risorse limitate ed un sistema fieristico che si fa concorrenza, si torni al discorso precedente. Penso che, per quanto riguarda il commercio internazionale, sia importante promuovere o sostenere quelle grandi fiere che fanno storia in un paese: è stato molto utile, - e credo che continui ad esserlo, - sostenere le piccole e le medie imprese, in queste iniziative che sono uno strumento importante. Dobbiamo però tentare, anche qui, di introdurre qualche elemento di


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coordinamento, evitando di fare poco per tutti ovunque. Il sistema fieristico dovrebbe entrare anche in questo tipo di razionalizzazione.
L'onorevole D'Agrò ha sviluppato un discorso molto articolato sul sistema Italia. Le vorrei solamente dire, onorevole, che sono ottimista di carattere, ma soprattutto sono determinata per necessità. Le posso solo dire che, in effetti, vedo segni di adeguamento del sistema produttivo che si rende conto della situazione.
Al collega Affronti, sul sistema Italia e all'onorevole Tomaselli, sul coordinamento, ho già risposto. Vorrei solo che sapeste che ci metteremo tutta la determinazione che possiamo, però, per coordinare bisogna anche che gli altri vogliano essere coordinati. Altrimenti la situazione diventa realmente complessa.
Signor presidente, mi auguro che io e i sottosegretari avremo con la Commissione un rapporto molto intenso, non solo dal punto di vista legislativo, ma spero anche nel promuovere iniziative insieme.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Bonino e i due sottosegretari. La ringrazio anche per la proposta che questa Commissione immagino raccoglierà. Ricordo ai colleghi, che la prossima settimana torneranno, per il completamento delle loro audizioni, i ministri Mussi e Bersani, mentre siamo sempre in attesa che il Vicepresidente del Consiglio Rutelli si renda disponibile.
Nel salutare il ministro e i sottosegretari, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,10.