COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 1° agosto 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DANIELE CAPEZZONE

La seduta comincia alle 14,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del ministro per lo sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione, del ministro per lo sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Ricordo che erano iscritti a parlare i colleghi Tuccillo, Tomaselli e Pignataro. Naturalmente, coloro che vorranno intervenire sono liberi di farlo. Vi rammento che abbiamo a disposizione un'ora di tempo, dal momento che dobbiamo chiudere i nostri lavori alle ore 15, per poi convocare un rapido ufficio di presidenza (alle ore 15,30 è convocata l'aula).
Suggerirei, pertanto, di contenere gli interventi nel limite di tre minuti, più o meno tassativamente. Alle ore 14,40 daremo la parola al ministro, che avrà a disposizione almeno 20 minuti, per svolgere l'intervento conclusivo.
Do ora la parola ai colleghi non ancora intervenuti che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

DOMENICO TUCCILLO. Riprendo la discussione dal punto in cui si era interrotta la volta scorsa. Mi pare - sinteticamente - che le linee e gli obiettivi esposti dal ministro siano stati convincenti, sia dal punto di vista delle finalità da perseguire, sia dal punto di vista delle argomentazioni a sostegno delle necessarie linee guida politiche e obiettivi al centro dell'attenzione del ministro Bersani.
Verrebbe da dire al ministro di andare avanti in questa direzione con determinazione, ma il ministro in qualche modo ci ha anticipato: già prima dell'audizione, alcune decisioni molto significative sono state assunte, a partire dai temi relativi all'energia, per arrivare a quelli riguardanti le liberalizzazioni, che hanno avuto un ampio impatto sull'opinione pubblica.
Vedremo nel prosieguo - con la ripresa dei lavori - che tipo di discussione verrà messa in campo e quale dialettica s'instaurerà in questa Commissione e nel Parlamento su questioni particolarmente impegnative, come quelle concernenti l'energia e il trasporto pubblico locale. E, in ogni caso, un primo importante provvedimento assunto per decreto-legge ha indicato una volontà di grande determinazione del Governo nel dare un forte impulso in questo senso.
Per quanto riguarda la relazione del ministro, vorrei soffermarmi su un tema a mio parere molto importante, oltre che di oggettiva rilevanza, sul quale invece non ci sono state molte indicazioni. Mi riferisco al problema del Mezzogiorno, del relativo sviluppo economico e della ripresa produttiva ed imprenditoriale. A tal proposito vorrei che il ministro - anche alla luce


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dell'incontro di alto livello tuttora in atto tra Governo, presidenti di regione e quant'altro - potesse darci delle indicazioni rispetto alla politica che si intende perseguire, al di là dei maggiori o minori incentivi previsti. Il tema del Mezzogiorno - inserito all'interno della problematica più vasta del rilancio del sistema paese - è di portata tale da richiedere una messa a fuoco della questione, e anche degli obiettivi e strumenti che si intendono mettere in campo.
Gli obiettivi, per certi versi, sono stati già evidenziati nel documento di programmazione economico-finanziaria: il Governo prevede una crescita molto forte per il Mezzogiorno, di gran lunga superiore alla restante parte del paese.
Riguardo agli strumenti, se commisurati a quegli obiettivi, sussistono francamente perplessità in merito ad una reale rispondenza. Poiché riteniamo l'obiettivo quanto mai valido, chiediamo al ministro Bersani di essere meglio aggiornati sulla strategia complessiva che il Governo intende mettere in campo per fronteggiare adeguatamente questo problema e questa situazione. Grazie.

SALVATORE TOMASELLI. Intervengo per ribadire l'apprezzamento e il sostegno ai primi atti del Governo, e del suo ministero in particolare. Ho ascoltato con estrema soddisfazione la replica al dibattito, conclusosi qualche minuto fa, sulla cosiddetta «manovrina»: sono presenti, nella replica, non solo determinazione e impegno, ma anche le idee e la consapevolezza delle sfide che abbiamo davanti. L'Italia ha un grave deficit - forse il più pesante di tutti - accumulatosi in questi ultimi anni. È un deficit di competitività del sistema paese nella sfida internazionale: lo paghiamo a caro prezzo nel nostro sistema produttivo e finanziario, nel nostro modo di stare sui mercati internazionali, nella capacità delle nostre imprese di fare mercato non solo in Europa, ma nel mondo intero.
A questa sfida bisogna rispondere. I primi atti del Governo mi pare vadano in tale direzione perché hanno compreso la necessità di un riscontro e hanno lucidamente individuato non solo le ragioni ma anche le risposte possibili. Credo che una delle priorità sia liberare le risorse del nostro paese. È un paese in cui - come lei, ministro, ha avuto più volte modo di dire in queste settimane - ci sono troppi vincoli, troppi lacci e lacciuoli. Benché non siano le uniche, bisogna liberare innanzitutto risorse finanziarie: oggi in Italia la pressione fiscale non è equilibrata, perché eccessiva sui redditi da lavoro e sui redditi da impresa, e perché invece minore sui redditi da rendite finanziarie. Riequilibrando la pressione fiscale, si liberano risorse che possono essere messe a disposizione della crescita del paese.
Bisogna fare in modo - mi permetterei di dire con una battuta - che in questo paese torni ad essere più conveniente per un imprenditore investire nei suoi prodotti, nei suoi capannoni, nella sua azienda, piuttosto che in fondi e in rendite finanziarie. Oggi non è così: molti imprenditori, pur avendo possibilità di investire sulla propria attività, scelgono le rendite finanziarie perché più sicure, convenienti e redditizie.
Inoltre, è necessario liberare quelle risorse umane legate all'apertura del mercato interno, ma comunque cercando di proiettare l'Italia nella competizione internazionale. Da questo punto di vista, vorrei esprimere tre considerazioni molto rapidamente, considerando anche i tempi che ci siamo dati.
Come ricordava il collega Tuccillo, richiamando l'importante incontro di oggi tra le regioni del Mezzogiorno e il Governo, sta per definirsi il quadro strategico nazionale, che indirizzerà l'utilizzo dei fondi comunitari per i prossimi anni (2007-2013). Sarà questa probabilmente l'ultima occasione, per l'intero paese e per il Mezzogiorno, non solo per definire gli elementi e i parametri della competitività, ma anche per realizzare un riequilibrio. È un importante lavoro che può consolidare la necessità sempre più forte di integrazione tra politiche nazionali e regionali.
Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi sarà importante monitorare l'andamento


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di questa fase di elaborazione del quadro strategico nazionale. Da questo punto di vista, il Parlamento e la Commissione possono essere la sede per interloquire con i soggetti principali: il Governo e le regioni.
Credo inoltre che il Mezzogiorno si avvierà verso una fase di crescita duratura e stabile se avremo finalmente nuove politiche nazionali, per le quali il sud torna ad essere una opportunità ed una risorsa. Il Mezzogiorno infatti non necessita tanto di politiche settoriali, quanto per lo più di politiche nazionali in cui i fattori di eccellenza, le opportunità e le potenzialità che lo caratterizzano possano essere valorizzate.
Per rendere meglio l'idea, faccio un esempio. Vengo da una piccola realtà come la provincia di Brindisi, in cui però c'è un'importante traccia della grande industria. Abbiamo infatti il più grande polo energetico del paese, in cui sono presenti grandi produttori (ENEL e altri); di particolare importanza è il settore aeronautico, addirittura uno dei quattro poli dell'aeronautica del paese, con la presenza rilevante di Finmeccanica e di sue partecipate; storicamente sviluppato è il settore della chimica. Ebbene, credo che il futuro di questi impianti industriali non stia tanto nell'interrogarsi circa la capacità di ottenere per quel territorio progetti di sviluppo o risorse dedicate, quanto nell'avviare una nuova politica nazionale per la chimica, per l'aeronautica, per l'energia (tema, questo, di cui tanto si sta discutendo). Bisogna, in buona sostanza, ragionare nell'ottica di nuove politiche industriali che considerino il nostro paese un grande competitore in Europa e nel mondo: solo così ci sarà spazio anche per la nostra industria e per quelle zone del Mezzogiorno dove le grandi presenze industriali rappresentano una risorsa. Analogo ragionamento vale ovviamente per il turismo, per l'agroalimentare, o per le infrastrutture.
Terzo ed ultimo tema è quello della piccola e media impresa. Ho letto con grande attenzione e apprezzamento l'intervista che lei, signor ministro, ha rilasciato in questi ultimi giorni a Il Sole 24ore, raccogliendo l'utile provocazione del direttore De Bortoli sul manifesto della piccola e media impresa. Le PMI in Italia sono una risorsa antica; e perché continuino a rimanere un'importante ricchezza, è necessario guardare all'aggregato di piccole e medie imprese con gli occhi non più del secolo scorso, ma del terzo millennio. E questo affinché i temi - ad esempio - dell'associazionismo economico, dello stare insieme delle PMI, dell'impresa diffusa, siano sempre più un'idea entro cui il fare sistema, il fare rete (credo che lo dicesse lo stesso ministro nella relazione a questa Commissione nell'audizione iniziale) diventa la sfida dei prossimi anni. Bisogna dunque fare in modo che tante piccole e medie imprese ragionino sempre più come aggregato e sempre meno come isole, benché in quest'ultimo modo non sia mancato il successo negli anni passati.
Da questo punto di vista, la pubblica amministrazione deve tornare ad essere un'amica delle PMI: spesso, anziché aiutare, è stata di intralcio ai casi di successo delle nostre piccole imprese. Penso pertanto che questo sia un nodo importante, uno di quei temi trasversali che possono qualificare nel terzo millennio la peculiare capacità italiana di avere una grande presenza di piccole e medie imprese ramificate in tutto il territorio.

FERDINANDO BENITO PIGNATARO. Stiamo dibattendo il tema all'ordine del giorno delle politiche di Governo. Ritengo credibile e apprezzabile il quadro generale delle politiche di sviluppo e crescita che il Governo intende adottare - così come abbiamo sentito nelle parole del ministro la volta scorsa - pur conoscendo la situazione di partenza fortemente negativa.
Qualcuno ha definito la crisi italiana probabilmente la più grave del dopoguerra. Una crisi che ha visto nel settore industriale non solo una perdita di competitività, ma anche - per la prima volta l'anno scorso - un calo contestuale di produzione e fatturato e, quindi, di competitività complessiva del nostro sistema.


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La questione centrale del paese - ne abbiamo già discusso in occasione del dibattito sul DPEF - è la crisi economica e produttiva strutturale, oltre che il grande tema della crescita zero di un paese che non riesce, a differenza del resto d'Europa, a superare il cosiddetto momento congiunturale.
Il tutto, probabilmente, è dovuto all'assenza, in questi anni, di politiche di sviluppo complessive che affrontassero la crisi incentivando i consumi, tentando di dare sostegno in modo più selettivo al sistema di imprese. È mancata infatti, nell'intervento verso le aziende, selettività non solo in ambito territoriale, ma anche, da un lato, nei confronti di sistemi o imprese che adottassero misure per venire incontro alla disoccupazione e, quindi, alla crescita del sistema occupazionale; e, dall'altro lato, verso quelle imprese innovative, che adottassero nuovi modelli tecnologici, che ragionassero su una capacità di innovare produzioni e stare nel mercato in modo diverso.
La ricetta che ha proposto il ministro è per molti aspetti convincente: filiere produttive, sistemi di imprese, la revisione dei distretti, un sistema di incentivazione e di sostegno alle imprese che sia fortemente selettivo e mirato alla crescita e allo sviluppo di carattere territoriale. A questo proposito, subentra una difficoltà a quella già esistente: il dualismo geografico a livello nazionale.
Ritengo sia stato sottovalutato, in questi ultimi anni, il problema del Mezzogiorno. Negli ultimi anni c'è stata quasi la cancellazione sistematica di tutte le forme di incentivo delle politiche di sviluppo del sud. Potrei citare tante di queste misure: il credito di imposta, i fondi per le aree svantaggiate, gli interventi e gli incentivi allo sviluppo dell'imprenditoria giovanile, i finanziamenti degli strumenti di sviluppo concertato dal basso. Come diceva il collega che mi ha preceduto, non c'è dubbio che la ricetta giusta sia puntare fortemente sul Mezzogiorno, intanto considerandolo una grande opportunità, e poi ripartendo dalle eccellenze.
Facendo riferimento al sistema calabrese, non c'è dubbio che vi sia un'eccellenza eventualmente di portata nazionale. Penso a Gioia Tauro, o all'apporto che può dare questa regione, in cui c'è una grandissima crescita nella produzione di energia, tale da poter rispondere in modo serio al fabbisogno energetico. È una regione che ha un notevole potenziale, dato che, con la nascita del distretto agroalimentare della Piana di Sibari, può dare un sostanzioso apporto al soddisfacimento dell'accresciuto fabbisogno agroalimentare del nostro paese.
Venendo al dunque, credo siano due le cose su cui il ministro deve far chiarezza, e lo chiedo con insistenza: le risorse e gli strumenti sono gli elementi su cui basare la nostra discussione. Una logica di incentivo è necessario sia indirizzata nei confronti delle imprese e della rete, di un sistema piuttosto che della singola impresa. Il ministro ha del resto escluso una politica d'intervento verso la singola esperienza imprenditoriale, come nel caso della legge n. 488, che pure ha dato frutti e ha creato imprese nel Mezzogiorno, nonostante alcuni imprenditori siano scomparsi con i fondi dell'incentivo, senza produrre alcun effetto. La politica del Governo rispetto alle questioni della crescita, quindi, deve cambiare profondamente.
Infine, c'è - come ho detto precedentemente quando discutevamo del DPEF - un tema di cui non ho sentito parlare molto. Mi riferisco alla scelta (precedente al Governo di centrodestra) di puntare decisamente, soprattutto nelle aree del Mezzogiorno, sulla centralità del territorio e degli agenti socio-economici locali. Al riguardo, rimane aperta la questione riguardante gli strumenti di sviluppo e programmazione. Si tratta, in definitiva, di capire come riuscire a recuperare, nell'ambito di queste politiche, una serie di strumenti indirizzati allo scopo; mi riferisco, ad esempio, ad una rivisitazione della negoziazione a livello territoriale.
Allo stesso modo, per quanto riguarda le aree del Mezzogiorno in ritardo di sviluppo, si deve riprendere l'idea delle


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intese istituzionali di programma, in cui inserire accordi d'intervento sulle grandi questioni di ritardo endemico e profondo di alcune aree del Mezzogiorno, sui problemi infrastrutturali, e su reti, filiere e sistema di impresa, temi oggetto della nostra discussione.

GIUSEPPE CHICCHI. Quando la X Commissione ha esaminato il decreto relativo al cosiddetto spacchettamento dei ministeri, ha evidenziato una preoccupazione, poi tradotta in una sorta di raccomandazione al Governo. Questa preoccupazione riguarda il trasferimento delle competenze in materia di turismo dal Ministero delle attività produttive - oggi Ministero dello sviluppo economico - alla Presidenza del Consiglio, appoggiandosi come dipartimento sulla competenza del Ministero dei beni culturali.
Tale preoccupazione deriva dalla storia di questa competenza. Infatti, il trasferimento di competenze alle regioni non ha risolto il problema di una guida nazionale del settore turismo; e allo stesso tempo, desta preoccupazione il ridimensionamento o il passo indietro circa una conquista che era apparsa condivisa, e che aveva reso il turismo competenza del Ministero dello sviluppo economico e delle attività produttive. È cosa diversa considerare il turismo un fattore prevalentemente culturale, piuttosto che un settore di produzione di servizi; e quest'ultima ipotesi, secondo quanto emerso da quella discussione della Commissione, parrebbe la migliore.
Di fronte alla proposta venuta dal Governo, la posizione della Commissione si è espressa in una raccomandazione che insiste su una questione presente nel decreto: l'intesa fra dipartimento del turismo e Ministero dello sviluppo economico, in merito agli investimenti e al sostegno alle imprese nel settore. Si chiede, a tal proposito, al ministro Bersani come questa intesa possa essere strutturata; infatti, la concertazione è una sorta di parola magica, che può anche produrre paralisi, se non adeguatamente strutturata e strumentata. Intendevo, pertanto, chiedere al ministro se ci sia qualche idea al riguardo su cui confrontarsi con la nostra Commissione.
La seconda domanda che volevo porre riguarda il decreto con il quale il ministro Bersani ha prorogato al 31 agosto i termini dell'ultima tranche della legge n. 488. Chiedo quindi se residuino fondi di questa legge, e se in parte possano essere orientati anche sul settore del turismo. Tale settore, infatti, soffre da anni di una carenza di finanziamenti: l'ultimo più consistente risale ormai all'approvazione della legge-quadro del 2001.
In definitiva, si chiede se spostando parte delle risorse della legge n. 488 sulla legge n. 135, o avviando dei processi di riqualificazione del settore, una fetta di questi fondi possa essere utilizzata anche nel comparto turistico.

LUIGI FEDELE. Volevo molto brevemente toccare il tema - tra l'altro già affrontato dai colleghi che mi hanno preceduto - del Mezzogiorno, appartenendo anch'io ad una regione del sud, la Calabria. Quel che ci sta particolarmente a cuore è capire quali linee e quali interventi mirati siano previsti per il meridione da questo Governo, e nel caso specifico dal ministero - da questo punto di vista molto importante - guidato dal ministro Bersani. Dopo aver appreso qualcosa dalle linee programmatiche, vorremmo tuttavia conoscere, concretamente, qualcosa di più.
Tra l'altro, anche il collega che mi ha preceduto accennava al turismo, tema che non è attualmente di pertinenza del ministro Bersani. Proprio l'altro giorno, però, il Vicepresidente Rutelli auspicava in un'intervista che l'Italia torni ad essere la prima regione al mondo per il turismo; vorrei tuttavia ricordare che le regioni del sud dovrebbero essere sicuramente protagoniste, perché altrimenti non si farebbe altro che allontanare ancora di più il meridione dal centro e dal nord dell'Italia.
Probabilmente i primi provvedimenti che il Governo intende assumere, alcuni dei quali ha già assunto, non vanno verso la valorizzazione del sud: mi riferisco anche ad alcune dichiarazioni del presidente


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Prodi, nei giorni scorsi in aula, relative al ponte sullo Stretto. Quest'ultimo è certamente un'opera ritenuta - da Calabria e Sicilia - indispensabile per lo sviluppo delle due regioni; un'opera però già dimenticata, o che si sta accantonando. Vorremmo tuttavia evitare una cosa ancor più grave, che i fondi stanziati per il ponte vengano utilizzati per altre opere, non certamente al sud. Chiedo quindi attenzione su questo punto.
Per quanto riguarda inoltre gli ultimi provvedimenti approvati dalla vostra maggioranza - a partire dall'ultimo decreto in discussione, che noi riteniamo sotto alcuni aspetti penalizzante per molti operatori economici e per alcuni professionisti -, vorrei ricordare che il sud presenta realtà molto diverse rispetto al nord. Come il ministro certamente sa, esistono piccolissime imprese, microimprese, e molte aziende anche a carattere familiare. Quindi, alcuni provvedimenti contenuti in questo decreto non credo, in fondo, porteranno alcun giovamento alle realtà del sud e ai piccoli centri. Cito ad esempio i piccoli centri (come quelli meridionali) di zone anche disagiate che risultano penalizzati in merito al problema delle farmacie, che rappresentano ancora un punto di riferimento per la popolazione: non si capisce, ora, come andrà a finire, perché alcuni farmaci considerati da banco possono in realtà essere molto pericolosi, se non somministrati nel modo corretto e nella giusta misura. Sono, in definitiva, tutti provvedimenti che non sembrano andare nel verso giusto.
Credo che la preoccupazione dei colleghi di maggioranza che mi hanno preceduto andava in questa direzione: il collega Pignataro (tra l'altro calabrese) ricordava il porto di Gioia Tauro - che per la Calabria dovrebbe essere una grande occasione anche di sviluppo - su cui sono state impostate molte campagne elettorali (anche del centrosinistra), ma con risposte molto relative.
Anche da questo punto di vista - e concludo - vorrei capire meglio quali sono, da parte del ministro, gli interventi più mirati e più precisi indirizzati alle regioni del sud, al di là delle linee programmatiche.
Speriamo venga profuso un impegno su tali temi, di cui prenderemo atto pur non appartenendo alla stessa parte politica; altrimenti, saremo qui a tirare le somme.

MAURIZIO ZIPPONI. Nella precedente occasione in questa Commissione, signor ministro, lei ha affermato che sussiste un problema di redistribuzione ed ha poi confermato l'impegno per ricostituire il potere di acquisto dei redditi medio-bassi. Evidentemente, ciò trova d'accordo una forza politica come la nostra, anche perché interseca un punto importantissimo di politica industriale: i due obiettivi già detti devono essere raggiunti, secondo noi, attraverso il lavoro e non mediante interventi di natura «assistenziale»; il mercato liberista, cioè, non può agire incontrastato, per poi assorbire e attenuare con un'idea di assistenza i residui e le macerie del liberismo. Pensiamo che la redistribuzione del reddito si ottenga attraverso il lavoro e, quindi, con una politica industriale molto seria.
Si tratta, pertanto, di accogliere le sue indicazioni, signor ministro, in merito alla valorizzazione del settore manifatturiero, che in Italia è il punto centrale delle attività produttive; un settore che non pensa di poter andare sulla luna, ma che con grande fatica aggiunge ricerca e innovazione, pur mantenendo quella media tecnologia che rende quel comparto un punto di valore.
Certo, vanno distinte da un lato le imprese che in questi anni hanno preferito la via breve della delocalizzazione (e a questo proposito chiediamo una sorta di decalogo, se non addirittura delle regole sulla responsabilità sociale dell'impresa); dall'altro quelle imprese che, invece, non solo sono state presenti sul mercato e hanno innovato il processo e il prodotto, ma sono anche rimaste testardamente in Italia ed hanno generato lavoro buono, cioè lavoro a tempo indeterminato.
Per questo, è da apprezzare che il Governo abbia previsto l'intervento sul


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cuneo fiscale come strumento per la selezione delle imprese. E questa è già una prima risposta negativa al presidente Montezemolo, che - come Confindustria - ripropone una vecchia idea di assistenza: se ci sono fondi, devono essere distribuiti fra tutte le imprese. Ma non siamo più nel periodo degli aumenti uguali per tutti, oggi deve essere riconosciuto il valore di chi è realmente capace.
Le imprese che conosciamo noi chiedono, sostanzialmente, possibilità di crescita dimensionale, di infrastrutture, di sburocratizzazione e di interventi sui costi, in particolare sul costo dell'energia. A proposito di quest'ultimo aspetto - ne abbiamo già discusso in merito alla vicenda del 2 per cento, ed è un argomento che sicuramente riprenderemo - va chiarito un punto: deve essere recuperata, dopo essere stata abbandonata per volontà della Comunità europea, una protezione delle nostre aziende, fino a che non esisterà reciprocità internazionale in Europa nel settore energetico; deve altresì essere data una forte spinta alle fonti rinnovabili entro i parametri di Kyoto, e a tal proposito vengono annunciate iniziative intorno al risparmio energetico.
Quindi, stiamo parlando - e mi avvio ad una conclusione di metodo - di un intervento dello Stato nell'economia. Non mi spingo a utilizzare parole ingombranti come liberalizzazione, privatizzazione o statalizzazione, preferisco attenermi al merito del discorso. Le imprese, oggi, hanno bisogno di non sentirsi abbandonate per poter generare lavoro a tempo indeterminato e per permettere una redistribuzione del reddito attraverso il lavoro.
Da questo punto di vista, vorrei fare un'osservazione metodologica. Lei, signor ministro, ha annunciato per settembre la riorganizzazione degli strumenti di politica industriale nazionale. È sicuramente indispensabile, ma bisogna valutare se rimarrà solo un libro da convegni o da Commissioni, oppure sarà realmente capace di venire incontro alle imprese e ai lavoratori. L'unico modo valido per intercettare imprese e lavoratori credo sia andare sul territorio, per capire se le idee elaborate in queste sedi istituzionali coincidano con ciò che le imprese realizzano e con ciò che è per loro un'occasione per crescere, sburocratizzarsi e avere accesso al credito.
Questo sarebbe un nuovo metodo di confronto, da parte di una Commissione capace di uscire dalle sedi istituzionali per arrivare direttamente sul territorio dove l'economia - al nord come al sud - ha bisogno di entrare in contatto con chi gestisce le questioni dello Stato. Questo metodo ha bisogno di porre fine all'epoca della concertazione così com'è stata conosciuta negli anni passati, ma ora deve iniziare un confronto preventivo, in cui tutte le carte vengono messe sul tavolo, ed ognuno - Governo, imprenditori e organizzazioni sindacali - fa la sua parte e decide. Ogni decisione, se può generare conflitto, deve trovare le giuste mediazioni. Ma è comunque finita l'epoca della vecchia idea di concertazione, secondo cui sono necessari mesi e mesi di discussione finché non si è tutti d'accordo; questo è un tipo di concertazione che non rispetta né i tempi né il metodo necessari per venire incontro sia a ciò che le imprese oggi esigono, sia - soprattutto - a ciò che il mondo del lavoro chiede come obiettivo e cioè giungere rapidamente alla possibilità di crescita del reddito, della professione e del lavoro a tempo indeterminato.

MANUELA DI CENTA. Sarò veramente breve, anche perché ho già avuto modo di intervenire. Voglio chiedere al ministro quali sono, in particolare, le linee politiche di sviluppo inerenti alla montagna. Su questo argomento non ho sentito nulla di specifico, dunque vorrei capire quali siano tali linee, posto che vi siano. Bisogna del resto tenere presente che ci sono circa 4 mila comuni di montagna e 355 comunità montane, e che la metà del territorio italiano è costituito da aree di montagna. Sarebbe dunque interessante sapere quali sono le politiche di sviluppo in tale ambito. Inoltre, le chiedo quali sono le politiche di sviluppo - sempre nelle aree di montagna - per quanto riguarda le energie alternative, in particolare sull'uso delle biomasse.


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PIETRO FRANZOSO. Intervengo brevemente per porre un quesito al ministro Bersani. Leggendo i resoconti della XIV Commissione, ho verificato che è stato introdotto un articolo 15/bis, che ritengo di una gravità - perlomeno per le esperienze che viviamo sul territorio - assoluta, sull'utilizzo dei cosiddetti certificati verdi non più per il combustibile prodotto dai rifiuti (CDR), ma solo per le biomasse. Voglio richiamare l'attenzione su quello che potrebbe accadere, in certe regioni (Sicilia, Campania, e altre), per l'avvio di alcuni programmi che sono stati messi in gara, e in altre regioni, fra cui la mia, la Puglia, dove si è individuato il CDR come combustibile. Questo comporta un danno enorme anche per i cittadini: laddove non ci dovessero più essere le cosiddette provvidenze dei certificati verdi, il danno ricadrebbe sui cittadini, con costi enormi anche in termini di prelievo fiscale per il funzionamento di questi impianti.
Ho colto l'occasione per porre questo problema.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di intervenire, do la parola al ministro Pier Luigi Bersani per la replica.

PIER LUIGI BERSANI, Ministro per lo sviluppo economico. Comincio dagli ultimi punti sollevati, per fare un po' di chiarezza. Circa il CDR come Ministero dello sviluppo economico, abbiamo intenzione di prevedere un emendamento. Pur consapevoli di essere in un'area problematica nei confronti dell'Unione europea, abbiamo avviato dei programmi, riguardo a questo tipo di interventi, che verrebbero sostanzialmente spiazzati da una norma troppo incombente, troppo improvvisa. Cercheremo, quindi, di fare una riflessione più articolata sul CDR, e ne stiamo discutendo con i ministeri interessati.
Come Ministero, non abbiamo competenze specifiche sul tema della montagna. L'unico punto di collegamento che posso offrire è il fatto che sono anch'io un montanaro. Siamo interessati, comunque, ad una serie di interventi che riguardano la situazione delle aree montane - a cominciare, per esempio, da quelle non raggiunte dal servizio del gas - ma anche a temi di investimento, come quello della difesa del suolo, su cui abbiamo qualche voce in capitolo. C'è una legislazione da attivare sul tema dei piccoli comuni, c'è il tema del turismo, e diverse altre questioni da affrontare. Per quello che ci compete, sui temi di confine, posso garantire il massimo di attenzione.
Sulla questione delle biomasse, stiamo lavorando di concerto con il Ministero dell'agricoltura. Come sapete, c'è un richiamo a questo tema anche nel progetto di legge sull'energia. La nostra intenzione sarebbe quella di trovare una situazione ottimale di equilibrio e di autosufficienza economica per questo tipo di produzioni energetiche: non in chiave di importazione di biomasse, ma in una chiave di pezzatura di impianti, di localizzazione degli impianti medesimi non troppo distante dalla materia prima e con condizioni di reddito - dal punto di vista dei produttori, degli agricoltori - grosso modo compatibili con questa iniziativa.
Al riguardo stiamo studiando, stiamo verificando le condizioni. È evidente che se dobbiamo fare un'operazione di sollecitazione, per poi importare le biomasse, non abbiamo fatto un gran business. Bisogna, quindi, monitorare attentamente la questione; ci stiamo lavorando, e appena saremo pronti ne parleremo in Commissione.
Prima di rispondere alle diverse questioni sollevate, torno su un tema che già abbiamo affrontato la volta scorsa e sul quale è necessario un pensiero comune, condiviso. In questi anni abbiamo perso colpi - passatemi l'espressione - in termini di produzione e di produttività. Dal punto di vista della dimensione della produzione dobbiamo recuperare quattro punti che abbiamo perso; in parte li stiamo recuperando, ma siamo ancora ben lontani. Gli altri, in questo periodo, hanno guadagnato. Abbiamo delle questioni di fondo da affrontare. Questo non significa che non siano in atto dei dinamismi importanti: siamo in una fase molto selettiva, quindi dobbiamo adottare delle politiche


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che incoraggino le chance che abbiamo, facendo leva su chi riesce a reagire. È necessario recuperare qualità nei processi, dignità e padronanza di sé e del lavoro, come uno dei tratti costitutivi di questa operazione, sia in termini di formazione, sia in termini di conoscenza, sia anche in termini di una condizione salariale e fiscale e di rapporto con lo sviluppo e la produttività, che ci metta in condizioni di operare adeguatamente.
Sono abbastanza d'accordo, insomma, sull'opportunità di partire da questo punto per un'operazione redistributiva che non sia assistenziale, ma che sia innervata in una dinamica di qualificazione. Personalmente presenterò alcune proposte, soprattutto in questo ambito delle nuove politiche industriali, quindi credo che avremo occasione, a settembre, di confrontarci.
In questo discorso rientra anche il tema della piccola e media impresa, che va affrontato fuori dalle filosofie inutili. Si parla tanto di grande e piccola impresa, ma la piccola impresa è anche un tratto del nostro futuro, e bisogna esserne consapevoli. Dal punto di vista statistico, abbiamo più piccole e medie imprese di vent'anni fa e siamo più forti nei settori tradizionali, perché è calata la grande impresa e perché i settori cosiddetti tecnologici si sono ridotti. Partiamo da lì, sapendo che ci sono delle carte importanti da giocare, che vanno interpretate in termini di crescita. La crescita non si pesa a chili, dunque non è solo una questione di dimensione. Si può anche crescere relativamente, ad esempio, restringendo il proprio mercato di riferimento. Si può anche diventare grandi, occupandosi di una nicchia più piccola.
Il problema è che, comunque, è necessario riuscire a sviluppare delle funzioni che vanno organizzate. Queste funzioni possono essere, in alcuni casi, il marchio da difendere, in altri casi un rapporto con il cliente, quindi una catena commerciale alla quale agganciarsi, in altri casi questioni di logistica, in altri ancora ricerca e sviluppo di nuovi prodotti, e via dicendo. Ebbene, oggi questo lo si fa da soli, se ci si riesce, o in un sistema rete, in una filiera, spesso con una partnership finanziaria. Dunque, è una questione prevalentemente di qualificazione organizzativa. Compiuto questo salto, improvvisamente si comincia ad introdurre tecnologia, ad aumentare il proprio mix professionale, quindi ad internazionalizzarsi.
La parola internazionalizzazione è un altro modo per chiamare tutte le cose che ho citato fino ad ora. Oggi fuori dal mercato internazionale non si può stare. La delocalizzazione è al tramonto, come concetto, e lo si vedeva già qualche anno fa. A un certo punto, si devono avere le ruote: una volta si va in Polonia, un'altra volta in Ucraina, e via dicendo. Al contrario, un equilibrato processo di internazionalizzazione, che consente di sviluppare funzioni qui e di occupare mercati altrove, non è inabbordabile per un sistema di piccole e medie imprese, ma comporta una complicazione organizzativa. Pertanto, dobbiamo aiutare le imprese e lanciare dei segnali comprensibili. Mi riferisco, ad esempio, al cuneo fiscale, che deve avere un carattere di relativa selettività, ma deve essere interpretato come un messaggio di grande attenzione sui temi industriali.
Personalmente sono d'accordo con la scelta di rimettere al centro questo tema industriale in senso nuovo (industria, servizi, produzione). Tutti devono crescere, anche la grande impresa. Ci sono realtà territoriali importanti, dal punto di vista industriale, al sud e al nord del paese.
Dobbiamo uscire con grande fermezza dalla favola che le grandi produzioni si andranno a fare in Cina, o altrove. Questo non è vero. Avremo bisogno di chimica, di siderurgia, di auto, di energia. Bisogna trovare le chiavi per interloquire con il territorio, con la consapevolezza e la dignità di queste grandi produzioni, che hanno tutti i grandi paesi industriali del mondo. Finora siamo andati troppo sul leggero.
Per aprire il ministero alla «notte bianca», ho chiesto una sponsorizzazione a Federacciai. Dobbiamo, in qualche modo, riaffezionarci ad una tradizione industriale, che oggi significa contatto con i servizi, significa piccole e medie imprese,


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ma anche grandi, significa insomma tutto quello che abbiamo. A mio avviso, è necessario riacquistare un po' di fiducia nelle nostre capacità di fare queste cose.
Non affronto il capitolo delle liberalizzazioni, dal momento che ne abbiamo parlato tanto in questi giorni. Sul tema dell'energia avremo modo di discutere, e al riguardo è già stato presentato un progetto di legge. Non è solo questione di liberalizzazione, ma esiste un problema strategico sul quale torneremo.
Per quanto riguarda i servizi pubblici locali e l'azione collettiva che è necessaria, spero che con il vostro aiuto questo processo - che adesso è affidato largamente al Parlamento, fuori dalla logica del decreto - possa andare avanti, in quanto rappresenta un segnale di novità e di cambiamento che incoraggia molto.
All'interno di questi temi, trova spazio la questione del Mezzogiorno, sulla quale stiamo lavorando. Sono d'accordo con tutti coloro che hanno affermato che il problema principale del Mezzogiorno è la modernizzazione del paese. Infatti, all'interno dei processi di cambiamento si può esprimere la chance del Mezzogiorno. Non si tratta di fare in modo che il Mezzogiorno insegua la realtà più sviluppata che esiste, ma si tratta di trovarsi tutti in un posto nuovo, portando avanti le riforme necessarie.
Potrei citare tanti esempi, ma mi fermo ai problemi industriali. Occorre una linea di politica industriale più selettiva, che incoraggi nuove produzioni in ambito tecnologico, dove c'è manodopera scolarizzata a basso costo, che ribadisca in forme moderne e compatibili con l'ambiente il ruolo dell'industria, che ribadisca che anche l'impresa dell'energia deve avere un punto di attenzione, perché non possiamo rimanere fuori dall'Europa. Contemporaneamente, tale linea di politica industriale deve aiutare le filiere di piccola e media impresa, incoraggiare il turismo, e così via. Credo che questa politica incroci perfettamente il Mezzogiorno.
Stiamo facendo la programmazione 2007-2013, al cui interno cercheremo di inserire qualche novità. In merito alle finalizzazioni, condivido il fatto che dobbiamo privilegiare le condizioni di ambiente per l'impresa ed essere più selettivi nei meccanismi di incentivazione. Le operazioni che sono in corso non saranno fermate. La nuova legge n. 488 è partita adesso, ed è inutile creare confusione finché non c'è roba nuova. Credo che questo possiate condividerlo. Il ritardo è dovuto al fatto che non era ancora stato aggiustato il tema, e il tesoro aveva le sue perplessità.
Si viaggia sempre, ormai, in assenza di risorse. Si alimentano iniziative con i risparmi realizzati. Se si vuole incentivare il turismo, bisogna andare comunque all'interno della logica della legge n. 488, altrimenti bisogna bloccare tutto e tornare alla finanziaria, e mi sembra abbastanza problematico. Nell'ambito della programmazione 2007-2013, cercheremo di ottenere il risultato, anche questo non semplice, di avere la visibilità sui sette anni anche delle risorse nazionali del FAS. Voi capite che adesso è in corso un processo molto complesso di fuoriuscita di alcune regioni dalle aree assistite pienamente dai fondi strutturali. Questo ci insegna che dobbiamo via via integrare le politiche industriali ed economiche. Questo è il senso del fatto che quella materia appartiene allo sviluppo economico, perché a poco a poco bisogna mettere a sintesi tutte queste norme, parlare la stessa lingua e fare le stesse cose.
Per citare un solo esempio, sto lavorando per integrare i bandi della ricerca con quelli dell'innovazione, dell'industria. È assurdo che siano separati. Per il 2007-2013, possiamo anticipare che non debba esistere un programma per la ricerca e un programma per l'innovazione, ma facciamo in modo che esista un programma di ricerca e innovazione nazionale. È il sud che anticipa delle novità a livello nazionale, con la possibilità di anticipare elementi di defiscalizzazione per gli investimenti o elementi differenziali. Sinceramente, questa possibilità non la vedrei male neanche per quanto riguarda il tema del cuneo fiscale, se fosse possibile dal punto di vista normativo.
Dobbiamo concepire queste misure in via anche transitoria. Così come usciamo,


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via via, dai fondi strutturali, perché entriamo in una dinamica convergente, così questa dinamica può essere accompagnata anche da misure transitorie. In quest'ottica, trovare meccanismi di differenziazione mi sembra sensato.
Quando avremo definito il programma 2007-2013, ne parleremo in questa sede e affronteremo fino in fondo il tema del Mezzogiorno, con tutti i temi connessi.
Vengo alle questioni della pubblica amministrazione e del turismo. A mio avviso, la vicenda del decreto è stata una bella pagina di come una pubblica amministrazione possa lavorare: continuo a dirlo, questo decreto, giusto o sbagliato che fosse, lo abbiamo fatto in casa, senza consulenza, con la pubblica amministrazione. L'idea che si possa creare un'alleanza fra un'impresa che compete, un cittadino che ha bisogno di libertà e di tutela e una pubblica amministrazione che è al servizio di tutto questo e che elimina le cose improprie che si frappongono è un'idea forte, che può rimotivare la pubblica amministrazione.
Spero che, dal punto di vista del tema della semplificazione, si possa portare avanti un'operazione forte. Sapete quanto sia difficile trovare l'accordo, ma io saluto tutte le iniziative che vanno in questa direzione come iniziative importanti. Dobbiamo raccordare, approfondire insieme, e qualche segnale in questo senso è veramente importantissimo.
Giusta la domanda dell'onorevole Chicchi sul concerto.
Sul turismo, che l'Italia sia un bel posto lo sanno in molti nel mondo. Il problema è che dobbiamo organizzare una risposta in termini industriali, in chiave di offerta. Il problema non è se sia interessante o meno venire in Italia, ma trovare dei posti il 14 agosto, con standard omogenei.
Credo che, oltre una certa misura, non si possa separare il borsellino del turismo, ad esempio, da quello degli interventi territoriali nel Mezzogiorno. In questo modo torneremmo indietro.
Io preferisco un concerto efficiente che, a mio avviso, significa all'atto pratico integrare le strutture amministrative, ossia di costruzione del progetto, metterle in gruppi misti, vedere come si discute, come convergono le priorità, avere confronti nelle Commissioni competenti.
Interpreterei questo concerto, dunque, come una costruzione comune degli obiettivi, delle priorità e dunque anche della negoziazione delle risorse. Chi si occupa di sviluppo economico non sottovaluta certo il ruolo del turismo nella crescita dello sviluppo. Questo va da sé.
Se riusciamo a non avere paratie anche dal punto di vista della discussione nelle Commissioni, vi garantisco che da parte nostra ci sarà la disponibilità a fare strutture miste, più che passaggi di carte burocratiche, che magari possono creare dei contenziosi.
Non so se ho risposto a tutti, ma mi fermo qui.

PRESIDENTE. Grazie, ministro Bersani, anche per la sua disponibilità. Lei ha trovato il tempo di venire due volte, mentre alcuni suoi colleghi non hanno ancora trovato l'occasione di affacciarsi in Commissione. Grazie a tutti i colleghi intervenuti.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15.