COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 2 agosto 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DANIELE CAPEZZONE

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi, in merito agli indirizzi programmatici del suo dicastero in materia di ricerca scientifica e applicata.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi, in merito agli indirizzi programmatici del suo dicastero in materia di ricerca scientifica e applicata.
Mi scuso innanzitutto per le modalità con cui abbiamo dovuto procedere alla convocazione, ma ci è parso utile far tesoro di questa finestra temporale e approfittare della cortesia del ministro Mussi, per poter completare la sua audizione prima della pausa estiva. Ministro, le rivolgo un sincero ringraziamento per avere trovato - a differenza di alcuni suoi colleghi - il tempo e lo spazio per riferire alla Commissione.
I tempi sono stretti, per cui pregherei i colleghi che desiderano intervenire di segnalarsi subito e di limitare i loro interventi a non più di tre minuti.

LUIGI D'AGRÒ. Signor presidente, comprendo perfettamente che lei è abituato a tempi europei. Purtroppo, la nostra è una cultura maggiormente legata alla parola, piuttosto che al contenuto. Bisognerà cambiare metodo, anche in questo. Ha ragione lei, per cui cercherò di limitarmi, non prima, però, di aver dato atto al ministro Mussi di avere coraggio e, soprattutto, di avere detto la verità. Ma si tratta di una verità che era bugia fino a qualche tempo fa. Infatti, quando affermavo in questa Commissione che la percentuale di ricerca pubblica era pari a quella degli altri paesi europei, ero sempre insultato e, qualche volta, anche deriso dalle componenti dell'allora opposizione. Questa è una segnalazione che riguarda il metodo: i dati non possono essere interpretati e deformati a favore della propria parte politica. Invece stiamo facendo proprio questo, costantemente. Avverto, ancora oggi, la seguente tendenza: piuttosto che perseguire l'obiettivo della verità, si opera la strumentalizzazione del dato in funzione della propria - e legittima - aspirazione di vederlo adattato all'interesse della parte politica che rappresentiamo.
Grazie, quindi, per questa logica di verità e per il grande coraggio da lei dimostrato, signor ministro.
Desidero porle tre domande. Prima questione: lei ha affermato che la ricerca privata in Italia - purtroppo - è il vero, drammatico problema. È chiaro che, sotto questo profilo, un'azione di Governo atta a incentivare gli investimenti da parte del sistema delle imprese private nel campo della ricerca rappresenta l'obiettivo primario. Senza risorse importanti la ricerca non funziona.


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Seconda questione: la razionalizzazione della spesa pubblica. La mia sensazione è che, negli enti di ricerca italiani, in molti casi, si rilevi una prevalente tendenza nel considerare l'occupazione - intesa come numero di occupati - come l'elemento che più dà risalto all'ente stesso. Ad esempio l'ENEA, a quanto mi risulta, conta circa settemila dipendenti, dei quali la metà è costituita da amministrativi e addetti a servizi vari, invece che da ricercatori veri e propri. Come razionalizzare in modo assai deciso, nei cosiddetti enti di ricerca, la finalizzazione al risultato dell'erogazione di denaro pubblico?
Terza e ultima questione: abbiamo purtroppo i ricercatori più vecchi del mondo. Mi ha fatto piacere sentire che, nonostante la nostra spesa pro capite siamo all'ultimo posto nell'ambito dei paesi membri del G8, siamo terzi in classifica per quanto riguarda la concretezza...

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. È una stima inglese...

LUIGI D'AGRÒ. A maggior ragione. Ciò vuol dire che i nostri ricercatori sostanzialmente sono bravi. Il problema è, però, che abbiamo ricercatori, soprattutto quelli collegati all'università, estremamente vecchi. Come sveltire le carriere? Lei ha parlato di «immettere» ricercatori. La domanda è: come verranno «immessi»? Qual è lo strumento, qual è la selezione che verrà fatta da parte del Governo, in questo caso?
Vorrei aggiungere un'ultima domanda, legata in parte a quanto appena detto. La mia sensazione è che ormai, nel nostro paese, si stia verificando una «liceizzazione» del sistema universitario. La spalmatura sul territorio di molte sedi universitarie sta provocando effettivamente un'impossibilità di individuare - anche nella ricerca universitaria - centri forti su cui investire. Abbiamo spalmato dappertutto sedi universitarie, sostanzialmente per fare in modo che - ancora una volta - gli interessi locali prevalessero sull'esigenza, straordinariamente concreta, di raggiungere una massa critica, anche di investimenti, in funzione dei risultati che l'università deve riuscire a ottenere.
Lei ha affermato che il 40 per cento del finanziamento pubblico va all'ASI. Vorremmo capire se questo 40 per cento, sotto la sua guida, avrà effettivamente un riferimento importante in termini di prospettiva programmatica; se si preveda cioè una ricaduta - la ricerca spaziale di solito determina forti ricadute nel sistema industriale - e come si intenda valorizzarla.

LUIGI LAZZARI. Signor ministro, lei ha parlato di manutenzione e correzione degli enti di ricerca. La terminologia usata sarebbe anche condivisibile, purché la manutenzione non si risolva solo nel cambio delle etichette o delle targhe. Sarebbe possibile avere qualche precisazione in merito? È pur vero che quanto affermato significa, di fatto, che lei non ha intenzione di stravolgere la situazione attuale, tuttavia vorremmo capire come intenda muoversi e secondo quali linee e indirizzi intenda procedere alla sopra citata manutenzione.
Noi, come paese, siamo esclusi da settori fondamentali dell'attività industriale. Parlo della nostra esclusione dai grandi settori dell'aeronautica civile, dell'elettronica, dell'informatica, della chimica, e così via. È un problema riferito non solo a lei, ma all'intero sistema paese, che non riguarda soltanto la mancanza di impianti industriali e di produttività industriale. L'aspetto più grave è che tutto ciò si sta trasformando in una mancanza di competenze e di conoscenze. Noi siamo destinati, secondo questa impostazione, ad essere fondamentalmente privi di conoscenze in settori fondamentali. E questo non credo che ce lo possiamo permettere, come paese.
Mi rendo conto che, quando si va a finalizzare la spesa, quest'ultima viene attratta dall'esistente, non dal mancante. Si tratta di un fenomeno fisiologico. In questo modo, però, rischiamo di morderci la coda: se le risorse inseguono l'esistente, ciò che manca sarà inevitabilmente causa ancora maggiore della nostra carenza. Ripeto: soprattutto sul piano delle conoscenze.


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Domando a lei e a tutti noi: è possibile invertire questa tendenza, o siamo legati ineluttabilmente a questo destino? Occorre che ci impegniamo reciprocamente a sollevare qualche punto interrogativo su questo tema.
Le pongo la terza questione, riguardo alla quale vorrei qualche risposta più precisa. Lei ha fatto un accenno - trovando condivisione in chi parla - sulle differenze tra nord e sud del nostro paese, differenze, soprattutto in termini di sistemi urbani, di armature urbane, di ruolo e di forza delle città. È un filone che mi trova perfettamente d'accordo, e che però mi preoccupa, in quanto la punta di diamante delle armature urbane è l'insieme dei centri di ricerca e dei servizi all'interno dei quali la ricerca si svolge.
Di fatto, se andassimo indietro nel tempo e controllassimo la spesa per la ricerca, sono convinto che scopriremmo che il divario tra nord e sud viene riflesso fondamentalmente nella distribuzione delle risorse per la ricerca. È, anche questo, un tema che meriterebbe un approfondimento da parte del suo ministero. Sono convinto che pochissime risorse affluiscano verso il Mezzogiorno per la mancanza di imprese, ma anche per la debolezza strutturale dei sistemi di ricerca delle università, e così via. Possiamo perpetuare questo sistema? Inoltre, nel momento in cui lei, giustamente, si muove sul piano di una dimensione europea dei problemi della ricerca in Italia, è possibile immaginare che le aree dell'Obiettivo 1, in termini di ricerca, abbiano un rapporto fra ricerca e risorse che le renda riconoscibilmente inserite in tale Obiettivo?
Le pongo una domanda ancora più provocatoria. Se immaginiamo di realizzare a Genova l'Istituto italiano di tecnologia, è proprio irrealistico immaginare - in un futuro più o meno vicino e in funzione di un riequilibrio territoriale - che qualcosa di analogo possa essere localizzato in una delle aree più dinamiche del Mezzogiorno, così da consentire di intercettare ricerca e di far diventare laboratorio e fucina della produzione di ricerca un'area che strutturalmente è più debole in questo settore? Mi piacerebbe avere qualche risposta in merito.
Un'ultima questione, che però riflette tutto quello che ho detto finora: se le università riceveranno le risorse - mi riferisco soprattutto ai fondi per il nuovo reclutamento o a quelli per la ricerca - in base a un criterio storico, noi perpetueremo un divario già esistente.
Sollevo davanti a lei questi problemi, sperando di avere delle risposte.

MASSIMO CIALENTE. Vorrei ringraziare il ministro Mussi. Ho avuto modo di seguire sia l'audizione in questa Commissione, sia quella, altrettanto importante e interessante, in Commissione cultura. Ritenevo che fosse giunto da tempo il momento per una lettura chiara e reale, seppure un po' cruda, della nostra situazione concreta, in una fase storica come la presente.
Signor ministro, lei ha toccato, come primo argomento, il tema dei giovani ricercatori. Io sono assolutamente d'accordo con lei sulla necessità di andare verso un riordino dei criteri di valutazione di merito nel nostro paese. C'è però un primo problema, già accennato anche da altri: la qualità indubbia dei nostri ricercatori è un dato che trova rispondenza in un'omogeneità, più o meno marcata, del sistema universitario italiano, o non corrisponde piuttosto a uno di quegli irregolari profili altimetrici delle tappe ciclistiche dolomitiche? Come pensa, lei, di intervenire? Gli anni della formazione universitaria sono gli anni più preziosi nella vita dei ragazzi e noi dobbiamo dare a ciascuno di loro, qualunque sia il livello di partenza, la possibilità di impegnarli al meglio.
Gli altri paesi europei si stanno muovendo: non c'è sessione negli incontri internazionali, anche in quelli a cui abbiamo partecipato come Camera dei deputati, in cui non si dedichi un capitolo alle strategie per sollecitare le vocazioni scientifiche dei giovani europei. Spero che lei ci potrà fornire, se non l'ha già disponibile, un dato su come vanno le iscrizioni in Italia nelle facoltà scientifiche: fisica, biologia, scienze


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matematiche. A me sembra che stiamo un po' assecondando gli interessi dell'università - talvolta autoreferenti - per molti corsi di laurea, anziché puntare sulla formazione scientifica. Mi chiedo se lei abbia già in mente un'iniziativa, da condurre assieme anche al ministro Fioroni.
C'è stata la polemica con il carissimo amico, onorevole D'Agrò, sui fondi. È chiaro che abbiamo un problema di fondi privati per la ricerca ed è molto importante quello che lei - assieme ai ministri Bersani e Nicolais - sta avviando, agire cioè su meccanismi quali il credito di imposta, le manovre fiscali per favorire la ricerca e le committenze all'università, il ragionamento sul venture capital. Ritengo che queste siano lacune fondamentali da colmare.
Il FIT e il FAR (quest'ultimo afferisce al suo Ministero) hanno tempi di latenza, tra quando viene elaborata l'idea e quando poi vengono erogati i finanziamenti, che sono inutili. Ritengo che le idee siano un po' come il pesce e le uova: li cuoci e li mangi finché sono freschi, altrimenti è inutile.
C'è un altro problema, del quale io credo che i colleghi, compreso il presidente Capezzone, abbiano contezza. Esso è il segno di una situazione assurda che coinvolge, nel suo ruolo centrale, il Parlamento: tutti gli sforzi che lei, signor ministro, si appresta a fare - e che io sono certo porterà a termine - sono inutili vista l'attuale legislazione sui brevetti dell'università e degli enti pubblici di ricerca. I «vecchi» membri di questa Commissione hanno una conoscenza perfetta del problema, che ci è stato confermato da tutti gli attori coinvolti.
Oggi, infatti, il meccanismo che blocca qualsiasi rapporto tra mondo produttivo, le aziende e ricerca universitaria, è la legge attuale. Non siamo riusciti a cambiarla, nonostante ci sia stato il 26 giugno dell'anno scorso - mi pare di ricordare - un voto all'unanimità della Camera dei deputati. Si tratta di un autentico problema. La competitività si misura anche sulle piccole cose e noi su questo punto registriamo un fallimento del Parlamento. È un argomento sul quale richiamo l'attenzione, avviandomi alla conclusione, presidente, perché sembra quasi che sul tema aleggi una sorta di maledizione.
Un'ultima annotazione sulla politica spaziale. Più volte ne abbiamo discusso, come ricordava prima il collega D'Agrò: si tratta di un settore ritenuto da tutti i paesi come assolutamente strategico e pertinente alla sovranità nazionale. Facendo riferimento alla storia e ai soldi che tuttora investiamo - nell'ultima interministeriale abbiamo appostato 1 miliardo e 200 milioni di euro - abbiamo una situazione di dati e cifre che spaventa.
Le due maggiori aziende italiane - che assorbono oltre il 50 per cento dei finanziamenti pubblici - sono Alenia e Avio. Esse, di fatto, sono oggi in mano a paesi stranieri, ad aziende francesi e del gruppo Carlyle. Per Alenia è un problema serio, perché gli amici francesi di Alcaltel sono famosi per «vampirizzare» le aziende sulle quali mettono le mani, come sta già accadendo. I fondi Carlyle, invece, hanno messo in vendita Avio, mentre noi non abbiamo alcun segnale da Finmeccanica.
Ritengo - e mi rivolgo al presidente - che forse sarebbe opportuno mettere in programma un'audizione di Finmeccanica, come abbiamo già fatto in altre tre precedenti occasioni. So che il ministro incontrerà i rappresentanti di Finmeccanica, e nonostante ciò penso che a questo tema debba essere dedicata molta attenzione: non esiste ricerca, se non c'è alle spalle una grande industria. Questo è uno dei segnali da dare. Abbiamo il dovere di salvare i nostri campioni.
Per quanto riguarda la politica dello spazio, sono informato di quanto lei sta facendo, signor ministro. Tuttavia è chiaro che dobbiamo immaginare un nuovo ruolo per l'ASI, e soprattutto io credo che sia necessario sviluppare una vera politica spaziale del paese.
Oggi lo spazio interessa trasversalmente tutti i ministeri: è legato alla politica estera, alla difesa, all'ambiente e così via. Noi abbiamo presentato una proposta di legge che riguarda la politica spaziale, di cui dovremo parlare e ragionare insieme.


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La politica spaziale, probabilmente, deve essere portata a livello di Governo con l'istituzione di un comitato interministeriale, a meno che non si trovino altre forme di coordinamento. Gli altri paesi europei rivelano una maggiore competitività, forse dettata proprio dalla presenza di un migliore coordinamento.
È chiaro comunque che sullo spazio si gioca la grande partita della sovranità, con un ruolo a mio avviso paragonabile a quello svolto dall'oceano nel XVII secolo. Grazie.

GIUSEPPE CHICCHI. Volevo chiedere al ministro quale sia il pensiero del Governo rispetto alle esperienze di decentramento delle università italiane. Il modello al quale mi riferisco è il seguente: invece di diffondere nuovi atenei, si mantiene il centro culturale in capo ad un ateneo e da questo si generano per gemmazione situazioni didattiche nel territorio circostante.
L'esigenza di avere un'opinione del Governo su questo punto deriva dal fatto che in passato queste esperienze si sono giovate della sinergia fra risorse degli enti territoriali e risorse degli atenei. Oggi entrambe queste fonti finanziarie attraversano momenti di difficoltà. Quindi, quello che sta succedendo è che gli atenei non considerano più centrale il tema del decentramento universitario, mentre, gli enti locali faticano a sostenere gli investimenti necessari, sia in termini di gestione, sia in termini di infrastrutture.
Se il parere del Governo sul decentramento può introdurre una modalità interessante, in grado di evitare la dispersione di risorse a cui si assiste in Italia, allora nei trasferimenti di risorse agli atenei occorre parzializzare la situazione di decentramento, in modo che quote pro capite - riferite al numero degli studenti - vengano riservate alle sedi decentrate. Altrimenti, queste esperienze, laddove sono nate e si sono sviluppate, rischiano di retrocedere e di sparire.

DOMENICO TUCCILLO. Grazie presidente. Brevemente vorrei porre due domande al ministro. La prima riguarda la distribuzione delle risorse e il sistema di competizione tra università.
Mi pare di aver letto ed ascoltato dal ministro che c'è la volontà espressa di procedere anche ad una valutazione e ad una verifica attenta dei livelli qualitativi che sono prodotti da quelle che chiamerò in generale «agenzie educative». Vorrei allora capire in che modo avverrà la distribuzione delle risorse e se questa uscirà fuori - come mi pare che sia auspicato da più parti - dai criteri di una distribuzione storica così come attualmente accade. Vorrei sapere se lei preveda di tenere conto anche degli aspetti di valutazione che vengono stilati in base alle prestazioni che i diversi atenei, i diversi complessi, le diverse agenzie educative riescono a realizzare.
La seconda domanda si riaggancia ad un'osservazione dell'onorevole Cialente. Mi sembrerebbe molto importante che noi riuscissimo ad avere un quadro degli indirizzi che i nostri studenti assumono al momento di iscriversi all'università. Probabilmente esiste un complesso di meccanismi, situazioni e circostanze che inducono gli studenti, in genere, a scegliere o a preferire iscrizioni a corsi universitari di tipo tradizionale, dal punto di vista delle conoscenze e delle competenze. Tali corsi, però, non sviluppano competenze e conoscenze adeguate in settori innovativi dal punto di vista scientifico, fondamentali ai fini di una crescita complessiva del paese e della formazione di una classe dirigente e di ricercatori preparati proprio nei settori che oggi richiedono una maggiore presenza e una maggiore qualificazione.
Mi ricollego infine all'ultima sollecitazione fatta a proposito della politica spaziale. Faccio mio l'invito al presidente affinché ci si muova tempestivamente nella direzione auspicata, perché il settore spaziale è uno dei settori strategici rimasto fra le competenze dello Stato ed è un riferimento per la politica industriale del nostro paese. Tanti altri settori sono stati depauperati o depotenziati; è bene che cerchiamo di salvaguardare nel modo più efficace possibile quelle realtà di eccellenza che ancora abbiamo.


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RUGGERO RUGGERI. Innanzitutto sono contento che l'onorevole Mussi sia stato nominato ministro dell'università e della ricerca. Vorrei dare un consiglio e fare poi una considerazione. Dovremmo riprendere il rapporto sullo stato della ricerca in Italia redatto dieci anni fa dall'ex ministro Berlinguer, perché sono convintissimo che non conosciamo per niente la realtà di molti enti o piccoli enti, pubblici e privati, provvisti di grandi capacità. Bisognerebbe dunque disegnare una mappa, per poi riprenderla e fare qualche considerazione in più.
Il secondo aspetto su cui volevo intervenire è il seguente: sul tema delle risorse dobbiamo superare, quasi fosse un problema ideologico, il dilemma se finanziare maggiormente la ricerca pubblica o quella privata. Il punto chiave, secondo me, riguarda il tipo di beneficio o di utilità sociale che può e deve avere certa ricerca.
Il premio Nobel Carlo Rubbia ci confermava che se abbiamo una società privata che fa ricerca e scopre una particolare sostanza, i benefici vanno direttamente ai soci di questa società.
Vorrei allora che superassimo, anche nel dibattito culturale, l'aspetto - che non è da poco - legato al tema dei brevetti e al tema dell'utilità sociale, che ovviamente è un fatto di portata mondiale. In parole povere, facendo l'esempio della ricerca scientifica sui medicinali, pare che l'80 per cento della ricerca riguardi le sole malattie degli occidentali.
Il concetto che vorrei esprimere, pertanto, è il seguente: superare la diatriba fra pubblico e privato, guardare invece ai vari tipi di ricerche e di scoperte in base alla loro utilità sociale, perché vadano a beneficio di tutti e non di una parte.
Per quanto riguarda poi la ricerca applicata - lei, ministro, lo ha detto nella sua relazione - a parte alcune politiche di carattere fiscale, monetarie e creditizie, dovremmo adottare incentivi all'aggregazione. Se questo è un obiettivo da raggiungere, allora finanziamo i progetti di aggregazione, come già avviene nel settore industriale per le piccole imprese. Quindi, considerando le filiere che abbiamo oggettivamente in Italia - in cui sono presenti piccole imprese, artigiani e talora anche grandi imprese - occorre inserire il tema della ricerca organizzata e strutturata all'interno di ciascuna filiera.
In finanziaria, ovviamente, questi progetti - che potranno essere anche volontari - potranno ispirarsi un po' alla filosofia di Silicon valley, dove si va dalla ricerca pura al prototipo e poi si prosegue anche con la produzione di massa. Dal momento che da noi filiere di questo tipo non esistono e dal momento però che le nostre piccole imprese oggi stanno allungando le proprie filiere (si vedano i distretti industriali), alla fine succede che, se c'è bisogno di ricerca, le aziende vanno a vedere su Internet. E se esiste un centro di ricerca adatto in America o in Cina, si rivolgono a questo direttamente, grazie alle autostrade informatiche.
Su questo tema, magari avendo a disposizione i dati oggettivi, potremo riflettere insieme.

PRESIDENTE. Esorto gli onorevoli ad essere davvero telegrafici nei loro interventi.

MANUELA DI CENTA. Approfitto dell'intervento del collega Ruggeri per porre la prima domanda al ministro. Sono fermamente convinta della bontà della richiesta di una mappa degli istituti di ricerca che abbiamo sul territorio, per poter conoscere il tipo di lavoro che svolgono e, soprattutto, per poter usufruire del loro lavoro di ricerca.
In particolar modo, voglio focalizzare l'attenzione, signor ministro, su uno degli istituti che magari per alcuni suoi settori di ricerca è poco conosciuto, ma che, al di fuori dell'Italia, è assai apprezzato per i suoi risultati. Mi riferisco al CNR e in particolare alla ricerca che stiamo conducendo sull'Himalaya e in Italia nel rifugio Capanna Margherita. Si tratta di due espressioni dell'Italia che pochissima gente conosce, ma che rappresentano un'eccellenza in assoluto per ciò che concerne una ricerca che in tutto il mondo ci viene grandemente invidiata.


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Vi porto un esempio. In Himalaya l'unico centro di ricerca esistente, la cosiddetta Piramide, situata a cinquemila metri sul livello del mare, è italiano. Non esistono altri centri al mondo che, al momento, studiano a quelle altitudini e hanno la possibilità di avere un vero e proprio istituto di ricerca - appunto, la Piramide - a quelle quote. Non mi dilungo, ma credo di aver dato l'indicazione di ciò che volevo dire.
Guardando a queste ricerche, la cosa più importante è essere consapevoli che nel loro piccolo e nella loro settorialità - certo di entità non così vasta come può essere la ricerca spaziale - esse rivestono comunque un'importanza notevole per il nostro paese, a maggior ragione, quando la ricerca va a riflettersi sul sociale e sulla salute. A Capanna Margherita si svolgono dei test e delle sperimentazioni che possono essere applicati a tutta la popolazione. Chi è a conoscenza di questo? Chi sa che le malattie cardiovascolari vengono testate in alta quota e che il resto della ricerca, così come tutta l'Italia, può usufruire di questi primi studi per poi farli seguire da approfondimenti? C'è qualche cosa che, secondo me, si inceppa nella filiera, come l'ha chiamata il collega Ruggeri. Dobbiamo invece fare in modo che queste esperienze proseguano e che l'Italia rimanga in grado di usufruire di risultati che - torno a riferirmi all'Himalaya - nessun altro al mondo può ottenere. Sottolineo pertanto l'importanza e il dovere, da parte nostra, di avvalerci in modo particolare di questa parte della ricerca.
La seconda domanda che vorrei porle, signor ministro, forse esula dalle sue competenze vere e proprie. Vorrei cercare di capire qualcosa di più in ordine allo svolgimento della ricerca applicata sulla banda larga, relativamente ad alcune zone del nostro paese che non sono facilmente raggiungibili con altri sistemi. Questo soprattutto per capire come si possa rimediare allo squilibrio socioculturale oggi riscontrabile in aree difficilmente raggiungibili (isole, monti o quant'altro), considerato che mi sembra che il principio di equità sia fortemente sostenuto dal Governo.

PAOLO AFFRONTI. Ringrazio il ministro Mussi per la sua disponibilità e per l'impegno che dimostra con la relazione sulle linee programmatiche per le attività connesse alla ricerca scientifica e all'innovazione.
Lei, signor ministro, nella sua relazione ci ha dato speranze, ma anche una serie di preoccupazioni. Ci ha detto che l'Europa raddoppierà gli investimenti per la scienza e la tecnologia e ci ha fornito alcuni dati impressionanti. Ci ha ricordato che le spese per la ricerca in Cina ogni anno ammontano al 22 per cento, contro le modeste cifre che noi abbiamo...

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Con il 22 per cento in più all'anno, ogni quattro anni raddoppia!

PAOLO AFFRONTI. Il terzo polo scientifico del mondo sarà presto l'Asia. Tra venti anni il 90 per cento degli scienziati e dei cervelli risiederanno nel continente asiatico. Questo ci deve preoccupare. Come risponde l'Europa? Una delle risposte che l'Europa dà va nella direzione di cercare di creare un istituto europeo di tecnologia. Il ministro Mussi ha detto che potrebbe essere candidato l'istituto di Genova, che ha già una sua professionalità ed è evidente che non deve aprirsi in Italia il discorso della collocazione dell'istituto nel Mezzogiorno: magari qui se ne potrà prevedere un secondo, ma non si può pensare, adesso, di cominciare a dividerci su quella che deve essere una proposta forte, supportata in modo concreto. Sarà lei a dirci come intende supportarla.
È preoccupante il fatto che le nostre imprese investano in ricerca lo 0,4 per cento del PIL. Gli industriali - ha detto lei - nutrono più attenzione verso le banche, i giornali o le squadre di calcio. Lei lo ha confermato anche davanti alla Confindustria. I ricercatori italiani sono ultimi nel gruppo di paesi del G8 come impegno di spesa pro capite, però sono al terzo posto nello stesso gruppo di paesi come produttività scientifica. Si impone quindi un rientro dei cervelli emigrati all'estero. I ricercatori inseguono, ovviamente, gli investimenti,


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le strutture e anche i trattamenti economici. Produciamo il 14 per cento di ricchezza dell'Unione europea, ma partecipiamo solo con il 7 per cento agli investimenti europei in ricerca.
Investire sui giovani: questo è quello che ha detto lei. Allora ritengo sia mio compito avanzarle una proposta. Considerato che il Ministero si è attivato, considerato che la legge istitutiva delle fondazioni bancarie prevede anche il supporto alla ricerca scientifica - nella quale si può investire in maniera notevole verso il mondo giovanile e dove si possono avere grandi risultati - chiedo al ministro Mussi (senza evidentemente indulgere alle solite questioni più poliziesche che altro) di aprire un tavolo di confronto al quale far partecipare il Ministero dell'economia e delle finanze in quanto ministero vigilante delle fondazioni bancarie, il Ministero dell'università e della ricerca, il Ministero delle attività produttive e tutti gli altri ministeri interessati agli istituti di ricerca. Ci sono istituti di ricerca che fanno capo al Ministero della salute (l'Istituto superiore di sanità), altri che fanno capo al Ministero delle politiche agricole (l'istituto per la pioppicoltura), quelli che fanno capo all'ENEA e dunque al Ministero dell'ambiente, e tanti altri che fanno capo ad altri ministeri ancora. Insomma, occorre disegnare una cornice idonea a ricollegare tutto ciò per far sì che la ricerca possa avere un andamento positivo e possa disporre di fondi. Questi ultimi di fatto esistono già concretamente e vanno rapportati ai programmi, anch'essi esistenti, previsti dalla legge istitutiva delle fondazioni.
Non so se questa sia la sede opportuna, ma non posso non ribadire la posizione, più volte espressa al ministro Mussi dal mio partito, sui temi etici della ricerca. La nostra posizione è per sostenere ricerche che non implichino la distruzione di embrioni e quindi valorizzare la ricerca per le cellule staminali adulte. Ribadiamo di essere impegnati a votare, anche in sede europea, contro ogni tipo di ricerca che distrugga embrioni umani.
Infine, vorrei conoscere il pensiero del Governo rispetto al decentramento delle università italiane e quindi rispetto alle sedi periferiche. Di fatto accade che le sedi universitarie forti non decentrano, mentre le sedi deboli, per essere più forti e per trovare fondi, decentrano. Qual è l'idea del ministro Mussi, al riguardo?

ANDREA LULLI. Desidero esprimere un sincero apprezzamento per la relazione svolta dal ministro Mussi e un convinto sostegno alle linee programmatiche.
Sostanzialmente, mi preme sottolineare due aspetti. Il primo riguarda la necessità di intervenire sul mercato dei capitali. L'idea è quella di costruire uno strumento che faciliti il convogliamento dei capitali, anche privati, in investimenti in ricerca. Credo sia un'idea importante, che non va abbandonata. Non sarà semplice, per come è fatta l'Italia, però credo sia una scommessa che dobbiamo fare.
La seconda questione - ce ne sarebbero tante, ma il tempo è limitato - riguarda il fatto che, oltre alla mappatura dei centri di ricerca, sarebbe interessante conoscere i flussi finanziari sulle tipologie di ricerca. Anche questo sarebbe un fatto importante per capire il reale posizionamento del nostro paese e su quali frontiere effettivamente è impegnato.
Inoltre, c'è il problema della circolazione dei saperi. Personalmente, sono convinto che uno dei problemi di fondo del nostro sistema imprenditoriale, viste le dimensioni (è un dato di fatto, anche se auspichiamo il rafforzamento e la crescita dimensionale), sia l'esistenza - se mi si passa questa semplificazione - di una sorta di analfabetismo rispetto alle nuove tecnologie e alle nuove frontiere della scienza e della tecnica.
Rammento che il Giappone varava piani quinquennali per la ricerca nell'applicazione delle biotecnologie nei settori tessili. Ora, il problema che abbiamo è di alfabetizzare non solo gli imprenditori, ma anche i tecnici. Insomma, occorre alfabetizzare la nostra intellettualità tecnica, perché sia possibile coniugare il saper fare tradizionale ai nuovi saperi. Giudico questo, insieme ad altri che sono stati citati, un elemento strategico.


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Mi domando e le domando, signor ministro: è possibile ipotizzare qualche progetto sperimentale utilizzando il VII Programma quadro per andare in questa direzione?

ANNA TERESA FORMISANO. Parliamo tutti di fuga di cervelli all'estero e dello sforzo che compiono i nostri ragazzi di tutte le università quando iniziano il dottorato di ricerca. Vogliamo pensare di rivedere gli stipendi che prendono questi ragazzi? Realisticamente, non parliamo di un dipendente universitario qualunque: parliamo di un'alta categoria, e purtroppo gli stipendi - li conosciamo bene - sono quelli che sono.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. A Camerino, percepiscono 900 euro!

ANNA TERESA FORMISANO. In genere, percepiscono circa 800 euro al mese. Nell'università di Cassino ne prendono 900: non si tratta certo di grosse cifre. Questo, in ogni caso, è l'ordine di grandezza.
L'idea è di fare una riflessione seria, se vogliamo investire. Credo che questo sia un discorso da fare al di là delle sigle politiche e al di là degli schieramenti, perché si tratta di un patrimonio di tutti e di tutto il paese.
La seconda riflessione concerne le aziende che investono nel settore della ricerca. Vorrei sommessamente ricordare al ministro Mussi che qualche anno fa fu fatto un accordo di programma tra il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero dell'università e della ricerca per creare i parchi scientifici e tecnologici. È il caso di ripensare e di rivedere quel tipo di strutture, che hanno fornito grandi risultati e che, però, oggi sono in affanno e non sono più in grado di andare avanti con le proprie gambe.
Il Governo deve prendere in considerazione le realtà nate nel nostro paese - e sono tante fortunatamente - che hanno prodotto ricerca applicata per le aziende, dando dei risultati, e dare una boccata di ossigeno a queste strutture che devono e possono andare avanti, producendo risultati migliori.
Ci sono, nel nostro paese, tantissime università che producono - passatemi la parola forte - laureati che vengono occupati il giorno dopo e tantissime università che, invece, «sfornano» laureati che stanno in lista d'attesa per anni. Non credo che sia un caso, anzi, ritengo ciò sia dovuto anche a rapporti tra docente, università, struttura, numero chiuso, e via discorrendo. Non sarebbe il caso di pensare ad una premialità per le università che immettono nel mondo del lavoro laureati che sono competitivi e che subito trovano lavoro, rispetto alle università - purtroppo tante - che «parcheggiano» i laureati? Questo non accade nel nostro paese.
Non so se il ministro Mussi conosca la realtà che esiste nella nostra regione. Noi ospitiamo la sede, come città di Roma, dell'unico istituto europeo di ricerca sul cervello, che si chiama European Brain Research Institute (EBRI), di cui è presidente Rita Levi Montalcini. Credo che - come diceva la collega Di Centa - pochi sappiano che questo è uno dei fiori all'occhiello del nostro paese e ritengo che anche su questo vada fatta una riflessione, così come sugli IRCCS, che non possono prendere soltanto i fondi dal Ministero della salute (dovrebbero avere diritto di accesso ai fondi del Ministero dell'università e della ricerca).

PRESIDENTE. Passo adesso la parola al ministro Mussi per la replica.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Questo è un bel modo di discutere. Naturalmente, ognuno esprime opinioni anche in base alla propria appartenenza politica (maggioranza e opposizione), però entrando nel merito, le argomentazioni diventano più appassionanti.
Mi sento di prendere l'impegno di replicare, magari anche più brevemente, ogni volta che c'è da affrontare qualche questione rilevante sulla quale è interessante sentire l'opinione della Commissione.


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È un modo per testare la bontà di un'idea, le spine che porta un'eventuale rosa e le contraddizioni che può creare. Poi, il Parlamento è un grandissimo organo di senso, prima ancora che un'istituzione di rappresentanza. Quindi, con il vostro permesso, ci proverò.
Cito una famosa frase di Galileo Galilei: «La luce della scienza cerco e 'l beneficio». A cosa serve la ricerca sui neutrini? A niente; serve a sapere come è fatto l'universo. Applicazioni industriali non ne dà, anche se ovviamente ha moltissime ricadute (ad esempio, può averne la tecnologia dell'argon liquido). Tuttavia, quando si parte dalla ricerca di base, basta sapere che può servire ad incrementare la nostra conoscenza del mondo. Questo già è sufficiente.
Cito un famoso episodio: il primo ministro inglese va a trovare Faraday, che sta lavorando su strane gabbie che emettono delle scintille. Il primo ministro inglese chiede a Faraday a cosa serva e Faraday risponde: «Non lo so, però non escludo che, prima o poi, lei su questa roba raccoglierà delle tasse». Era l'elettricità.
Si parte con un certo numero di ricerche e naturalmente molte di esse, poi, hanno una ricaduta tecnologica e producono industria ed economia. L'importante è saper dosare l'investimento per la ricerca di base e per la ricerca applicata, anche se si tratta di due termini assai arbitrari, che vanno usati con cautela, perché è difficile separare con un taglio netto i due campi.
Qualche giorno fa, dopo la prima audizione in questa Commissione, ho incontrato l'ambasciatore americano. È stato un lungo incontro cordiale, durante il quale ho avuto l'invito, che ho raccolto, a passare un periodo negli Stati Uniti. Alla fine - tra il serio e il faceto - gli ho detto: «Caro ambasciatore, per voi l'Italia è il paese del bengodi. Infatti, noi spendiamo circa 500 mila euro per ogni laureato, che poi diventano 700-800 mila euro; poi voi passate, vi date un'occhiata intorno e prendete la »crema«. È una specie di produzione per l'esportazione gratis, ma gratis per gli altri». Il nostro è un paese curioso, dove si spendono pochi soldi e si produce anche grande qualità. Rischiamo di diventare una cava di materiale umano pregiato, oggi per gli Stati Uniti, un po' meno per la Francia, la Germania e la Gran Bretagna, ma - state sicuri - domani per l'India e la Cina.
Non c'è da rammaricarsi che un giovane ricercatore guardi il mondo come se fosse un villaggio. Va bene così. Il problema è che in un sistema ben ordinato, per ognuno che esce ce ne vorrebbe un altro che entra. A questo dobbiamo mirare. Altrimenti, si diventa la periferia di qualche impero.
Onorevole D'Agrò, a dire le cose come stanno non ci vuole mai coraggio; ci vuole coraggio a falsificarle. Ricordo che una volta andai in televisione dopo che il mio partito aveva perso alle elezioni quasi il 4 per cento. I grandi dirigenti non volevano andare, per cui andai io che ero giovanissimo: Bruno Vespa mi chiese come fosse andata ed io risposi: «Il PCI meno 4 per cento, la DC più 4 per cento: è andata male per noi e bene per la DC». Lui mi disse che avevo coraggio ed io dissi: «No, con quei numeri lì, ci vorrebbe coraggio a dire il contrario».
La verità è questa. Effettivamente, in Italia spendiamo qualcosa di più della media europea, ma non siamo certo ai vertici mondiali. Negli Stati Uniti, dove per un dollaro che mette lo Stato due li mette l'impresa, hanno annunciato che stanno realizzando un programma di raddoppio degli investimenti pubblici nella ricerca di base, in dieci anni. Ciò significa il raddoppio di una massa di risorse di per sé già immensa. Ovviamente, data la struttura industriale italiana, dobbiamo sapere che in Italia è obbligatorio avere una percentuale nel rapporto tra pubblico e privato un po' diversa che in altri paesi. Abbiamo troppe, tante, tantissime piccole e piccolissime aziende, le quali non hanno una capacità di investimento sufficiente. Per cui, in Italia la mano pubblica deve compiere uno sforzo superiore ed io non mi contento della percentuale attuale. So che, negli anni prossimi, dalla mano pubblica


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devono venire nuove risorse, però bisogna anche mobilitare risorse private. Questo è sicuro.
In genere, bisogna parlare «contropelo», nel senso di essere duri con gli industriali quando si parla con loro direttamente, e invece parlare bene delle imprese negli incontri con gli studenti. Infatti, con loro, parlo bene delle imprese, della necessità di coinvolgere le imprese in una politica per l'università e per la ricerca.
Non penso che si possa ottenere un rapporto come quello che c'è in altri paesi: un euro o un dollaro pubblico e due euro o due dollari privati. Bisogna che lo Stato metta di più, bisogna che le imprese mettano di più. Per questo c'è bisogno anche di mirate politiche fiscali e di intervento sul mercato dei capitali. Non è semplicissimo ottenere risultati, perché già esistono delle politiche fiscali.
Nel decreto-legge all'esame del Parlamento sul quale - ahimè - sarà posta la fiducia, è previsto un taglio del 10 per cento dei consumi intermedi; ci sono però, ad esempio, nella parte fiscale, due provvedimenti che riguardano le deduzioni di imposta per le spese di brevettazione e trasferimento di tecnologia, spese che valgono, sulla carta, un miliardo di euro. Ho sottolineato questo aspetto a Montezemolo e Pistorio, che non lo avevano colto, anche se su di esso Il Sole 24ore aveva pubblicato un articolo. In finanziaria ci sarà altro per quanto riguarda i crediti di imposta per la committenza delle imprese alle università e ai centri pubblici di ricerca.
Poi, spero che funzioni l'istituzione di un fondo pubblico che assuma su di sé una parte dei rischi dei fondi chiusi di venture capital. So di molti imprenditori italiani che partecipano a fondi di venture capital negli Stati Uniti, in Israele, in Cina, eccetera.
È di tutta evidenza che la spesa pubblica va razionalizzata; bisogna spendere bene e per spendere bene bisogna valutare i risultati della ricerca. È del tutto evidente. Ho a disposizione il rapporto CIVR 2001-2003. In primo luogo, darò l'incarico al CIVR di aprire subito le procedure per la valutazione 2003-2006, perché non si può rimanere indietro di tre anni nella valutazione. Nel frattempo vorrei provare a distribuire i fondi residui, o almeno una loro quota, sulla base dei risultati della valutazione del CIVR, in modo da premiare gli istituti che hanno fatto meglio.
Quanto ai ricercatori, complessivamente sono 65 mila in Italia, 150 mila in Francia, 180 mila in Gran Bretagna, 250 mila in Germania, 660 mila in Giappone, un milione e 300 mila negli Stati Uniti. Quest'Himalaya è da scalare, nel senso che bisogna incrementarli e per farlo spero di poter inserire nella finanziaria, almeno nell'allegato, il piano decennale per l'assunzione di giovani ricercatori.
Nei prossimi dieci anni metà degli insegnanti delle università - abbiamo l'università con l'età media più alta del mondo - usciranno, per cui dovranno entrare i giovani ricercatori e bisognerà cercare di inserire persone valide. Come fare? Se si potesse, abolirei i concorsi e consentirei ad ognuno di cooptare chi vuole per poi effettuare una valutazione successiva. Non si può fare perché l'articolo 97 della Costituzione prevede l'effettuazione di analisi comparative. Poiché ognuno ha la sua idea sui concorsi, ho chiesto contributi scritti alla Conferenza dei rettori, al Consiglio nazionale delle università e all'Accademia dei Lincei. Tenteremo di trovare un sistema idoneo. Comunque, penso che sia fondamentale, progressivamente, spostare il baricentro dalla definizione capillare delle procedure alla valutazione dei risultati.
È per questo che mi piacerebbe inserire nella legge finanziaria una delega per l'istituzione dell'agenzia di valutazione, cioè per trasformare il CIVR e il CNVSU, che hanno fornito discreti risultati, in un'agenzia di valutazione che sia terza rispetto ai soggetti valutati e al potere politico, con un obiettivo, anche qui, progressivo. Badate, se io prendo gli attuali fondi, che vanno distribuiti secondo la serie storica, e ne sposto una quota esagerata subito sul premio alla valutazione dei risultati, vuol dire che chiudo tot atenei e tot centri di ricerca.
Però, nel corso degli anni, bisogna stabilizzare i fondi che vengono distribuiti e aumentare progressivamente il budget che


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viene assegnato sulla base della valutazione dei risultati. Insomma, bisogna innescare tra le università e i centri di ricerca una competizione a chi raggiunge una qualità più elevata di didattica e di ricerca, non a strapparsi gli studenti. Credo che questo sarebbe utile anche a correggere quella tendenza - in parte inevitabile - alla «licealizzazione» dell'università, come diceva D'Agrò. Di fatto, siamo passati all'università di massa e tendenzialmente andiamo verso l'università per tutti. Non solo in Italia, in tutto il mondo.
Quindi, è del tutto evidente che dobbiamo provare a portare più in alto possibile la qualità media, ma anche che avremo dei gradi di qualità. Negli Stati Uniti d'America, ad esempio, vi è un dislivello esagerato tra le diverse università, da quelle famose nel mondo, alla Colgate University.
Uno degli effetti perversi della gestione degli ultimi 30 o 40 anni è questa esagerata spalmatura sul territorio. L'università deve assicurare la mobilità sociale, ma nel senso che deve rompere la «crosta» delle classi sociali. E così non è, perché tende a riprodurle. Deve inoltre far muovere le persone, non gli atenei. Siamo l'unico paese che, anziché spostare gli studenti, ha spostato le sedi. Ci sono moltissime sedi decentrate che portano impresso a fuoco il nome del notabile locale che le ha portate lì. Ora ovviamente ci sono i pentiti, ma è evidente che non si può chiudere. Comunque, per quanto riguarda l'autorizzazione ad istituire nuove università, devono essere presentati progetti che competono con Yale! La Ranieri è chiusa e gli standard verranno alzati al punto tale che molte nuove richieste non potranno essere accolte. Ovviamente, il sistema che c'è va migliorato, compresi i decentramenti. In Romagna, ad esempio, non sono stati istituiti nuovi atenei, ma è stata decentrata l'università di Bologna. È evidente che, comunque, questa diffusione non ha corrisposto ad un disegno preciso.
Ora abbiamo molti pentiti, perché numerosi comuni che hanno assai insistito per acquisire un «blasone», ora chiedono di ritirarsi, perché non ce la fanno più a sostenere i costi. Chi si è impegnato, però, dovrà mantenere l'impegno. Perché nasca qualcosa di nuovo occorreranno standard elevatissimi sia nel pubblico, sia nel privato, tanto più nel telematico: ci sono ben 12 università telematiche in Italia, mentre ve ne sono due in Francia e una in Spagna (ho trovato un decreto in registrazione, che ho ritirato, che ne prevedeva altre cinque, per un totale di 17 università telematiche in Italia!). Un'università, badate, non può essere un computer in una stanza che distribuisce cassette VHS agli studenti. Quella non è un'università, perché se l'università è un posto dove si fa ricerca e didattica, allora anche le università telematiche devono avere requisiti minimi di ricerca e di didattica, altrimenti non possono essere riconosciute.
Sull'ASI è stata sollevata qualche questione da molti intervenuti. Vi ricordo che l'ASI da sola vale il 40 per cento di tutti gli investimenti pubblici in ricerca. Ci sono delle eccellenze italiane assolute nella ricerca spaziale. Molte delle tecnologie delle grandi spedizioni spaziali sono italiane, quindi, l'ASI va rilanciata. In questi anni c'è stato un indebolimento e lo si vede anche dalla flessione della partecipazione italiana a grandi progetti come Galielo e GMES. Ieri ho incontrato i colleghi dell'agenzia spaziale francese: c'è la proposta di un nuovo protocollo, con un rilancio in grande stile della partnership italo-francese In tale occasione, ho detto che la partnership italo-francese va bene, ma bisogna realizzare almeno un triangolo coinvolgendo la Germania, anche perché sulle politiche della ricerca e dell'università si costruisce parte della politica estera di un paese, e tanto più dell'Europa.
L'onorevole Lazzari ha detto che siamo fuori da settori fondamentali. È vero, in alcuni settori siamo deboli, però in altri, quali lo spazio, il biomedicale, la fisica della materia, il nucleare, l'astrofisica e le nanotecnologie, l'Italia non è proprio l'ultima del mondo. Questi settori possono essere rafforzati, mentre in altri settori si può recuperare il ritardo.
Per quel che riguarda il settimo programma quadro, i fondi strutturali - parola


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che qui non ho sentito ma che raccomando di mettere in agenda - costituiscono un'opportunità importantissima. Il settimo programma quadro ammonta a 53 miliardi di euro, parte dei quali si deve all'iniziativa italiana.
Sulla questione della ricerca sulle staminali è stata raggiunta un'intesa - che rappresenta un punto di mediazione - per la quale sono state decisive Italia e Germania: non si possono usare cellule che derivano dalla distruzione, avvenuta ovviamente in Europa, di embrioni umani. In Italia, badate, ci sono 5 centri che fanno ricerche perfettamente legittime con cellule che derivano dalla distruzione di embrioni umani avvenuta in altre parti del mondo (Australia, Canada e Stati Uniti), ma nessuno batte ciglio.
Si porrà presto il grande problema etico dei 250 mila embrioni crioconservati da distruggere in inceneritore o usare per la ricerca. Qual è la scelta etica? Ho posto il problema durante il comitato europeo sulla competitività e i miei colleghi hanno detto che verrà affrontato presto, perché ormai abbiamo embrioni crioconservati da molto tempo, alcuni certamente non più vitali, che nessun ricercatore e nessun medico impianterebbe. Per ora il problema di cosa fare di questo materiale genetico è stato accantonato.
In sede europea è stato raggiunto un accordo convincente che ha consentito lo sblocco del settimo programma quadro, che era fermo sulla questione delle staminali. Il programma, che partirà a gennaio è finanziato con 53 miliardi di euro e i fondi strutturali per l'Italia possono valere più di 10 miliardi di euro sia alle regioni dell'Obiettivo 1, sia alle altre, considerato che una percentuale dovrà essere distribuita A questo punto, bisogna attrezzarsi per ottenerla.
Per quello che riguarda la questione del sud, ho sospeso il decreto sulla programmazione universitaria per rivederne i criteri. C'erano alcuni criteri distorsivi, negli standard e in altri aspetti, che penalizzavano fortemente il Mezzogiorno. Bisogna correggere qualcosa. Ho visto che l'ultima rata è stata distribuita in modo tale che il 75 per cento è andato al nord (il 20 per cento solo a Milano), il 20 per cento al centro e il 5 per cento alle università a sud di Roma. Evidentemente, c'è qualcosa che non funziona, per cui bisogna introdurre qualche criterio, come quello del reddito pro capite regionale, che dia dei vantaggi. Nonostante l'esistenza di qualche aspetto che va rivisto, i fondi strutturali restano lo strumento fondamentale.
Circa l'IIT, la sua nascita bizzarra lo ha reso un istituto di ricerca non collegato all'università, né agli altri enti di ricerca, isolato su una collina di Genova, dipendente dal Ministero dell'economia e delle finanze, non si sa bene per quale motivo. Questo istituto, tra l'altro, riceve, da solo, la promessa di 1000 miliardi in dieci anni...

ANDREA LULLI. Spero in lire, non in euro!

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. In lire, sì, ma sono comunque tanti. Tenga presente, onorevole, che l'università La Sapienza di Roma, il più grande ateneo d'Europa, in dieci anni riceve 100 miliardi di vecchie lire. D'altro canto, fermare l'IIT e chiuderlo, visto che è andato molto avanti, mi sembrava una sciocchezza. Però, bisogna correggere in corsa, per esempio tentando di collegarlo all'istituto europeo di tecnologia, ipotesi questa che però è ferma. Ci sono molte altre ipotesi sul tavolo, di due delle quali mi sono fatto portatore: la prima prevede un istituto concentrato come un MIT, oppure una rete di istituti che, però, in ogni paese dividerebbe in due il sistema (da una parte gli istituti collegati all'istituto europeo e dall'altra quelli che sono fuori). L'altra ipotesi che ho portato in Europa è quella di un istituto che si occupi di una rete di materie, cominciando da una materia fondamentale: l'energia. Questa è la proposta che l'Italia ha portato in Europa: un istituto, cioè, che colleghi tutti i centri e tutte le ricerche che si occupano di energia, visto che è la questione del secolo e del millennio. Vediamo se la proposta verrà accolta.
Ovviamente, in questo caso è un po' complesso pensare di collegarvi l'IIT di


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Genova che si occupa di robotica umanoide e quindi di neuroscienze, elettronica e quant'altro. Comunque, vedremo come si può risolvere la questione.
Per quanto riguarda le considerazioni espresse dal collega Ruggeri, ho letto un rapporto. Ahimè, il conflitto di civiltà è già cominciato in certi campi: ad esempio, in campo biomedico. La gran parte dei morti per malattie è in Africa, ma la quota che si dedica alla ricerca medica per quelle malattie è una frazione insignificante dell'investimento mondiale, a riprova che il conflitto di civiltà c'è già. La medicina è occidentale, non è dell'umanità.
Poiché il mercato spinge nella direzione asimmetrica della diseguaglianza, la situazione richiede gli interventi politici dei governi e delle istituzioni internazionali. Nella rivista Science del mese scorso, è stato pubblicato uno splendido articolo che parla di queste tematiche, il cui titolo è, appunto: «Nel mondo la malattia si chiama diseguaglianza».
Onorevole Di Centa, la banda larga non riguarda me, ma è del tutto evidente che è fondamentale non solo per il principio di equità, ma anche perché è indispensabile per lo sviluppo del sistema della Information communication technology (ICT) in generale, e infine perché molte delle comunicazioni tramite sistemi satellitari viaggiano in banda larga. Dunque, ci troviamo d'accordo.
Per quanto riguarda il progetto CNR Himalaya, qualche giorno fa è stato collaudato in Valle d'Aosta il prototipo dell'inceneritore che dovrebbe ripulire l'Himalaya, che, dopo decenni di scalate, è diventato un grande immondezzaio. È stato testato e pare che funzioni, per cui verrà montato. Però, poiché è ancora un po' troppo pesante, sarà necessario alleggerirlo tramite lo sviluppo dei materiali (tenete conto che forse va installato più su rispetto a dove ora si trova la Piramide che si trova a cinquemila metri).
Onorevole Affronti, sull'Asia siamo d'accordo...

PAOLO AFFRONTI. E le fondazioni bancarie?

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Siamo in contatto. Le fondazioni bancarie già investono un po', ma rispetto al tesoro di cui dispongono (ben 80 miliardi di euro) possono fare di più. Quindi, le stiamo contattando.
Onorevole Lulli, per quanto riguarda la questione dell'analfabetismo tecnologico, occorre correggerlo, tant'è che una parte del VII Programma quadro, intitolata «People», contiene alcuni capitoli dedicati a questo problema. Quindi, con qualche progetto assennato, potremmo attingere a questo programma.
Concordo con l'onorevole Formisano sul fatto che i parchi scientifici e tecnologici hanno funzionato, sono stati degli strumenti importanti, anche se non tutti.

ANNA TERESA FORMISANO. La maggior parte.

FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Però, occorre indubbiamente dare loro una boccata di ossigeno, perché hanno funzionato.
Per quanto riguarda la fondazione EBRI, la visiterò il prossimo mese.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Mussi per la sua disponibilità. Aggiungo come nota personale che sono lieto che questa fase di lavoro della Commissione si chiuda con una importante replica del ministro. Grazie ai colleghi e, in modo particolare, agli uffici della Commissione. Buon lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,20.