COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 8 novembre 2007


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DOMENICO TUCCILLO

La seduta comincia alle 9,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro per lo sviluppo economico, Pierluigi Bersani, in relazione all'attuazione di alcune norme del decreto-legge n. 81 del 2007 e alla situazione energetica italiana.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2 del regolamento, del Ministro per lo sviluppo economico, Pierluigi Bersani, in relazione all'attuazione di alcune norme del decreto-legge n. 81 del 2007 e alla situazione energetica italiana.

PIER LUIGI BERSANI, Ministro dello sviluppo economico. È pervenuta dalla presidenza della Commissione la richiesta di riferire su alcune questioni specifiche che riguardano i disaccantonamenti che sono stati recentemente disposti su alcuni capitoli di spesa. In particolare, è stato chiesto di riferire sulla situazione degli approvvigionamenti di gas naturale.
Molto brevemente, anche perché consegnerò una nota tecnica, vorrei riferire sul tema dei disaccantonamenti che hanno riguardato, in modo significativo, il FAS (fondo aree sottoutilizzate). La Commissione sa che l'articolo 7 aveva accantonato, idealmente, una serie di risorse su diversi capitoli di spesa. È stato poi operato un disaccantonamento, che ha riguardato anche il FAS, per la cifra significativa di mezzo miliardo di euro. In pratica, la legge finanziaria 2007 ha prodotto alcune decurtazioni, rispetto alla dotazione storica del FAS, con l'impegno di ripristinarle. Tale ripristino è avvenuto, sia con un emendamento alla finanziaria, sia con l'attribuzione al FAS di residui di strumenti extra FAS - come ad esempio il credito di imposta occupazione - che non avevano attinto tutte le risorse, sia utilizzando alcune risorse premiali accantonate dal FAS stesso e che servivano all'interno di un meccanismo, appunto, di premialità a livello regionale. Questo disaccantonamento, quindi, è andato a coprire e ristorare questa parte della premialità, ristabilendo l'equilibrio nella spesa storica FAS e anche nel meccanismo premiale.
L'altro disaccantonamento è molto più semplice e riguarda il tema della legge n. 808: in questo caso le risorse sono state utilizzate per pagare gli impegni che avevamo già assunto precedentemente con imprese che avevano fruito del contributo previsto dalla legge n. 808 e che, sostanzialmente, attendevano di essere pagate.
Il tema cruciale, però, riguarda l'approvvigionamento di gas. Non fornisco tutto il quadro della situazione energetica, bensì focalizzo l'attenzione su questo specifico punto, che ritengo abbastanza dirimente; se emergeranno esigenze particolari potremo ampliare la riflessione.
L'attuale situazione è la seguente: per l'approvvigionamento di gas dipendiamo per l'85 per cento dall'estero; il restante 15 per cento viene prodotto in Italia. Non si


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tratta di un panorama, nello scenario dei prossimi 15 anni, dissimile da quello europeo. L'Europa si sta avvicinando, rapidamente, a questo tipo di percentuali. La produzione italiana non è diminuita tanto per un esaurimento delle riserve, quanto perché è diventato difficile - quasi impossibile - attivare processi autorizzativi per l'utilizzazione di queste risorse.
Abbiamo un potenziale di riserve tra 120 e 200 miliardi metri cubi, una parte delle quali (60 miliardi) potrebbe essere messa in produzione tra pochi anni (non sto considerando l'alto Adriatico, che da solo vale 34 miliardi). Non si riesce, tuttavia, ad attivare queste risorse. Abbiamo pensato, lavorando l'anno scorso nel mese di luglio con gli operatori del settore e con le regioni, a una proposta innovativa che fosse in grado di riattivare queste produzioni, cercando di fare in modo che le comunità locali, con propri strumenti e propri soggetti diventassero parti in causa di un partenariato per la realizzazione di progetti assieme all'operatore industriale. Stiamo lavorando su questa ipotesi e vedremo se essa qualche risultato.
In ogni caso, siamo in forte dipendenza dall'estero e, come è noto, facciamo riferimento in particolare alla Russia e all'Algeria. Siamo in potenziale criticità per la copertura del fabbisogno di gas dall'anno 2004. Non ho bisogno di richiamare qui le emergenze, che furono segnalate come di origine prevalentemente climatica, nel 2004-2005 e nel 2005-2006. In quegli inverni noi dovemmo attingere allo stoccaggio strategico, cioè alla scorta di gas (5 miliardi di metri cubi) destinata all'utilizzo in caso di gravi problemi di approvvigionamento. Il primo anno ne abbiamo usati 800 milioni di metri cubi, e nel 2005-2006, 1,2 miliardi di metri cubi. L'ultimo inverno non ha presentato alcuna emergenza climatica, essendosi verificato un andamento favorevole delle temperature. Non possiamo, però, dire che il problema è rappresentato dal freddo, che può crearci grandi problemi solo perché abbiamo alla base un problema determinante.
Non abbiamo risposto strutturalmente a una crescita della domanda di gas, in particolare nel settore termoelettrico, con una proporzionale crescita del sistema infrastrutturale di stoccaggio. Ormai circa il 60 per cento della produzione termoelettrica avviene tramite il gas e negli scorsi anni abbiamo avuto - voglio essere chiaro - un rallentamento dei progetti di potenziamento dei gasdotti. Si è verificato negli anni scorsi, da parte dell'ENI, un rinvio degli investimenti e non vi sono stati da parte del Governo - lasciatemelo dire - lo stimolo e la reazione affinché ciò non avvenisse.
Ci siamo infilati direttamente nel dibattito sulla «bolla» del gas, quando invece il problema è esattamente opposto. È chiaro che le cause contingenti si sovrappongono alla suddetta situazione di base.
Oltre a questi dati strutturali, quando arriva il freddo, il problema si aggrava: si hanno limitazioni della produzione idroelettrica, perché arriva poca acqua dai bacini ghiacciati nei periodi di maggiore freddo. Quando poi insorge un inconveniente nell'esercizio di un gasdotto, come è avvenuto in Libia nel 2004-2005, oppure si verificano problemi, come quelli fra Russia e Ucraina del gennaio 2006, tutto ciò costituisce un aggravamento, ma il dato di fondo è quello che dicevo.
Stiamo cercando di porre rimedio a questa situazione e dovremmo concentrarci tutti quanti su questo problema. Ho già affermato - e lo ripeto qui davanti alla Commissione - che se i rimedi di cui fra poco dirò sortiranno - come credo - gli effetti desiderati, ritengo che l'attuale situazione di criticità (che ho introdotto, in genere, nel messaggio comunicativo, dichiarando che «siamo al pelo») può finire nell'ottobre 2008. Fino ad allora, lo ripeto, «siamo al pelo».
Abbiamo in corso un'azione di promozione e spinta al potenziamento dei gasdotti di transito in Austria. Una prima tranche, da 3 miliardi di metri cubi, sarà operativa il 1o ottobre 2008 e una seconda tranche dovrebbe essere operativa a partire dal 2009. Ci sono stati segnalati problemi sull'altro versante: alcuni comuni


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austriaci avrebbero qualche problema, da una nostra verifica risulterebbe che non sia così. Andrò a vedere personalmente se è vero che qualche comune austriaco si oppone, perché non sono tranquillo - non lo sono mai - sul fatto che chi deve potenziare questi tubi abbia veramente l'intenzione di farlo velocemente.
Riguardo al gasdotto di transito in Tunisia, è previsto un potenziamento per 3 miliardi di metri cubi, operativo a partire dal 1o aprile 2008; più, sempre che tutto proceda a dovere, ulteriori 3 miliardi a partire da ottobre dello stesso anno.
Inoltre, abbiamo la partita dei gassificatori. Vedrò proprio oggi il ministro del Qatar, con il quale abbiamo ormai frequentazioni mensili, giacché - come è noto - dobbiamo allestire il mega rigassificatore di Rovigo, che ha subito vicissitudini e inconvenienti sui quali potrebbe essere scritto un libro e che dovrebbe, a questo punto, aver superato tutti gli ostacoli. Potrà essere operativo a partire dal 1o ottobre 2008.
Questo per noi rappresenta un intervento strategico, non solo per la dotazione di risorse energetiche che può portare, ma anche per la flessibilità che può garantire.
Abbiamo anche autorizzato a Livorno - però con una coda di ricorsi - l'installazione di un rigassificatore più piccolo al largo delle coste toscane, sul quale sussiste un contenzioso giuridico.
Abbiamo bisogno - come ho già detto altre volte - di tre o quattro rigassificatori, per metterci in sicurezza. Comunque, potenziando i due tubi e avviando queste opere già dall'anno prossimo, verso la fine del 2008, saremo in una situazione di maggiore tranquillità.
Poi dobbiamo guardare avanti. Adesso siamo a circa 86 miliardi di metri cubi, ma da qui a 7-8 anni saremo a 100. Ricordiamoci sempre che non possiamo misurare le infrastrutture come un vestito aderente alla quantità di consumo di gas che abbiamo. Non funziona in questo modo. Le infrastrutture devono avere un certo grado di flessibilità, poiché ci sono momenti di punta in certi mesi dell'anno ed inoltre, se vogliamo immaginare una situazione in cui un minimo di mercato si sviluppi, con relative variazioni di prezzo, dovremo caricarci anche dei costi necessari per ottenere una certa sovracapacità, senza esagerare.
Veniamo alla prospettiva strategica. Nei prossimi anni dobbiamo potenziare gli approvvigionamenti, ma dobbiamo anche capire in quale contesto geopolitico e con quale dottrina intendiamo muoverci in questo complicatissimo mondo.
La dottrina dovrebbe essere quella di diversificare e flessibilizzare più che si può gli approvvigionamenti, di avere quindi nuove rotte perfezionando nel contempo i sistemi di relazione con i nostri partner tradizionali, nel senso di una più forte reciprocità.
Con questa filosofia ci stiamo muovendo e stiamo portando a termine una serie di accordi importanti. C'è il modello dell'accordo ENI-Gazprom, Governo italiano-Governo russo, che sostanzialmente prevede il prolungamento delle forniture e dei contratti ENI; la possibilità di investimento ENI nella Stream in Russia; la possibilità di accesso di Gazprom, entro certi limiti, al mercato italiano. Si tratta quindi di una partnership che non è più soltanto da paese venditore a paese acquirente, bensì di una partnership che realizza l'idea di avere soggetti investitori sull'uno e sull'altro versante. Se la Commissione vorrà, si potrà approfondire questo aspetto, anche se esistono complesse questioni, come ad esempio il rispetto della normativa comunitaria e quant'altro. Tuttavia, si tratta di una filosofia che l'Italia sta proponendo e praticando, ed è il primo caso.
Voglio segnalare anche la conclusione - spero - ad Alghero di un accordo storico con l'Algeria. Ieri abbiamo avuto un incontro con il ministro algerino e abbiamo ormai definito come procedere. Anche in questo caso, siamo di fronte ad un meccanismo di genere nuovo. Il nuovo tubo, che viene direttamente dall'Algeria, consentirà (è scritto nell'accordo) la reciprocità, sotto forma di investimenti italiani in Algeria, che svilupperemo nel tempo, nonché un parziale eccesso dell'azienda


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algerina nel mercato italiano. Faccio notare che in questo accordo diversifichiamo anche i soggetti titolari di contratti, poiché stiamo parlando di ENEL, di Edison, di municipalizzate e via dicendo.
In più, abbiamo fatto accordi per un nuovo importante gasdotto Turchia-Grecia-Italia, che dovrebbe consentire l'approvvigionamento dal mar Caspio, quindi dall'Azerbaigian e non direttamente dalla Russia. Con quest'ultima, invece, si è stipulato un accordo per un grande gasdotto sottomarino, il progetto South Stream, che attraverserebbe il Mar nero e poi, lungo la Bulgaria e lungo la Grecia, dovrebbe aprirsi con un ramo più limitato verso di noi e un altro ramo maggiore verso l'Europa. È un'opera importante, perché viene realizzata da ENI, che può utilizzare su questo progetto risorse proprie in quelle aree del mondo e in Russia.
Riassumendo: potenziamento strategico dei tubi, potenziamento dei sistemi di relazioni e quant'altro.
Rimane il problema - di prima grandezza - degli stoccaggi. Abbiamo capacità di stoccaggio troppo limitate; sono in corso alcune procedure VIA (Valutazione Impatto Ambientale), una delle quali si è conclusa favorevolmente. Quindi faremo un impianto di stoccaggio nuovo, piuttosto grande (tenete presente che, in genere, si impiegano 2-3 anni).
Stiamo definendo un piano nazionale di aumento della capacità di stoccaggio, con la selezione di nuovi giacimenti e stiamo occupandoci del miglior grado di utilizzazione di questi stoccaggi, che sono meccanismi molto complessi. Non si tratta semplicemente di buchi da dove aspirare il gas, bensì di meccanismi tecnici molto delicati. Ci siamo attrezzati anche con un comitato tecnico di emergenza e monitoraggio, per vedere come affrontare le coperture immediate.
Per il prossimo inverno abbiamo lavorato, con tutti gli attori, per un miglior utilizzo, nel tempo e nella modalità, delle capacità di stoccaggio: il riempimento è stato completato la scorsa settimana. Prevediamo comunque che, nel caso di un inverno rigido, possa esserci un ricorso alla riserva strategica. Ad agosto scorso, abbiamo attivato le procedure per obbligare la massimizzazione dell'importazione di gas e abbiamo introdotto meccanismi di premi e penali per i clienti industriali che, in caso di necessità, riducano o meno i propri consumi.
Concludo con una considerazione da sottoporre alla valutazione della Commissione. I problemi relativi a un buon equilibrio fra sviluppo dei sistemi infrastrutturali e andamento dei consumi, devono essere inquadrati nei processi di liberalizzazione, i quali suscitano interrogativi. Ogni tanto, a livello europeo, la vexata quaestio si scarica su un determinato oggetto: in questo momento, l'oggetto è la separazione, o meno, delle reti.
Io sostengo la tesi per cui, superata una fase storica durante la quale occorre portare il gas o la luce a tutti gli italiani - adesso risolviamo questo problema anche per la Sardegna - e nella quale l'interesse del campione nazionale coincide con l'interesse allo sviluppo delle infrastrutture, una volta entrati nella fase in cui il problema è portare gas e luce con la miglior qualità e al minor prezzo, l'interesse del campione nazionale non necessariamente coincide con le esigenze di sviluppo infrastrutturale. Ciò accade non per cattiva volontà, ma perché ciascuno deve fare il proprio mestiere.
Questo è il punto ed è un punto industriale: mi riferisco all'autonomia industriale di un soggetto che si occupa di infrastrutture e che valuta, sotto la propria responsabilità, se c'è o meno la bolla del gas e che risponde al Paese, non agli azionisti.
Credo che, con amicizia ed equilibrio, tutti noi, come sistema Paese, dobbiamo porci questo problema, e comprendere che questo soggetto industriale deve avere un radicamento nazionale (in attesa di averlo europeo) poiché stiamo parlando di un soggetto strategico.
Devo dire, di fronte ad allarmismi di varia natura, che a me non risulta un indebolimento di ENEL causato dalla


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creazione della società Terna. Ovunque mi rechi nel mondo, trovo che ENEL si è rafforzato.
L'ultima battuta voglia farla sull'andamento del prezzo del petrolio, che è il tema di oggi. Si può discutere a lungo se l'aumento del prezzo del greggio sia motivato da questioni strutturali, dall'ingresso di nuovi paesi consumatori, dalle tensioni mondiali o altro, ma non può essere spiegato solo con questo.
Ormai sul petrolio si determina un mercato praticamente inconoscibile agli stessi attori, dove strumenti e soggetti di natura finanziaria giocano un ruolo preponderante. In tale mercato l'andamento del prezzo non corrisponde in modo equilibrato né all'aumento dei costi di estrazione, che non si discostano di molto da quelli che conosciamo, né allo svolgimento di un ciclo di investimenti proporzionato agli aumenti.
Attualmente assistiamo ad uno scenario in cui, a fronte della supposta esistenza di problemi strutturali, vediamo soggetti finanziari che pubblicano bilanci colossali. Si tratta delle società petrolifere e dei paesi produttori, che - giustamente - alimentano fondi di investimento che hanno ormai raggiunto una certa dimensione.
Davanti a ciò, personalmente sostengo, ho sostenuto e sosterrò negli incontri con i rappresentanti europei, che il vecchio continente, con i suoi 480 milioni di consumatori, non può assistere da spettatore a questa vicenda. Bisogna lanciare qualche segnale al mercato e far capire che non si intende restarci a qualsiasi prezzo. Per esempio, si può tenere nel cassetto un drastico piano di risparmio energetico, da attivare al bisogno. Credo che l'opinione pubblica europea sia pronta per un'azione del genere, così come credo che si debba sviluppare una nuova contrattualistica. Avevamo inventato il CIP6, che poi è degenerato, ma il suo senso era quello di favorire, con il prezzo prefissato, gli investimenti, dal momento che di investimenti eravamo carenti. Questa era la logica iniziale.
In zone del mondo tranquille esistono risorse non attivate perché hanno costi alti di estrazione; ci sono gli scisti petroliferi e quant'altro. Non dico di scegliere un'alternativa, ma almeno di dare un segnale, ad esempio attrezzandosi con contratti di tipo assicurativo, per evitare speculazioni finanziarie eccessive. Se le due ipotesi che ho citato non vanno, allora dobbiamo intervenire in altro modo, poiché questo andamento può causarci problemi molto seri, tanto dal lato dell'inflazione che da quello della crescita. Credo che il tema vada affrontato con una certa urgenza e serietà. Non è possibile e non è serio svegliarsi ogni mattina e domandarsi se il petrolio abbia superato o meno quota 100 dollari al barile. Credo che sia più serio che 480 milioni di consumatori, in amicizia con tutto il mondo, si attrezzino maggiormente.

PRESIDENTE. Do la parola agli onorevoli che desiderano intervenire per porre domande o formulare osservazioni.

PIETRO FRANZOSO. Vorrei chiedere al ministro, se, per quanto riguarda il prezzo del petrolio, entri in gioco anche l'eccessiva differenziazione che esiste tra il dollaro e l'euro. Credo che l'Europa dovrebbe approfondire queste tematiche.
Circa l'aspetto energetico, poiché siamo ormai gasdipendenti (il consumo energetico e la produzione di energia sono dovute più che altro a centrali a gas), chiederei se non si ritenga opportuno che in questo Paese si stabilisca finalmente dove realizzare i tre o quattro rigassificatori necessari, evitando che, in presenza di una miriade di progetti diffusi su tutto il territorio nazionale, alla fine si realizzi il progetto di chi, al termine di una specie di gara, arriverà per primo.
In ultima analisi, vorrei chiedere al ministro se non sia arrivato il momento di guardare con attenzione al problema della produzione di energia con il nucleare. Ha fatto bene l'Italia a partecipare agli studi sui processi futuri, ma credo che ora dobbiamo guardare con attenzione agli ultimi avvenimenti in materia e che sia


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arrivato il momento di dare risposte in termini di costi. L'aspetto energetico è diventato insostenibile sia per le famiglie che per la produzione. Si tratta di uno dei fattori che fanno schizzare i costi, in termini di competitività, delle aziende in Europa, atteso che - l'abbiamo sempre detto - le centrali le abbiamo sempre sotto casa.
Tornando al gas, vorrei sapere se possa ancora esistere, dal punto di vista scientifico e tecnologico, il blocco dei giacimenti di gas dell'alto Adriatico, atteso che, al confine, il paese contermine sta già sfruttando questi giacimenti.

LUIGI D'AGRÒ. Signor ministro, lei ha parlato della necessità strategica di arrivare ad un approvvigionamento diversificato. Sappiamo perfettamente che negli altri Paesi tale mix passa dal carbone e dal nucleare. Le domando se lei ritenga che il mix italiano, legato quasi esclusivamente in questo momento in parte al carbone e principalmente al gas, debba continuare all'infinito o se invece esista una soluzione, in qualche modo radicale, che per i prossimi 20 anni dovremmo iniziare a mettere in cantiere.
Lei ha parlato delle tensioni sui mercati per quanto riguarda i prezzi. Esiste una direttiva europea che fa partire il mercato dei derivati elettrici. Sappiamo perfettamente qual è stata la parentesi di tutela che in qualche modo l'acquirente unico ha avuto per quanto riguarda la calmierazione dei prezzi. Ho la sensazione che un mercato dei derivati energetici possa scaricare sull'utenza finale tutti rischi che esso comporta, piuttosto che portare un vantaggio effettivo per il mercato finale. Intendo dire che potrebbe esservi un vantaggio quasi esclusivo per chi compera in relazione a prezzi variabili e scarica poi i rischi, ancora una volta, sull'utenza finale.
Lei ha parlato degli stoccaggi strategici. Abbiamo visto la difficoltà a ripristinarli e sappiamo perfettamente che c'è il problema del VIA. Abbiamo la sensazione che sia in atto un confronto-scontro fa il suo Ministero e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Vorremmo capire un po' meglio questo aspetto.
Riguardo ai rigassificatori, lei ha parlato di Livorno e Rovigo ma non ho sentito citare Brindisi.
Trovo interessante quanto lei ha detto a proposito dell'Austria. Vi è la tendenza a dire che vi sono interessi non sempre collegati, fra il cosiddetto nostro campione nazionale e chi in quel Paese ha necessità di mettere in rete le infrastrutture e quindi di potenziarle. Tra l'altro, mi pare sia in corso un'iniziativa europea di separazione delle reti, in un contesto di sicurezza di proprietà: mi sto riferendo ad una nuova golden share che potrebbe determinare effettivamente una tutela della sicurezza e del campione nazionale.

MARILDE PROVERA. Ringrazio il ministro per la sua introduzione, che mi sembra il coronamento di una serie di audizioni che abbiamo avuto con ENI ed ENEL sulla stessa materia. Vorrei tentare di approfondire con lei alcuni punti.
Il primo punto verte sulla domanda finale che lei ci pone e che tutti insieme ci dobbiamo porre. Mi piacerebbe poterle dire che ho una risposta confezionata, ma non è così. Tuttavia, l'intuizione che rendersi il più autonomi possibile possa contrastare le speculazioni del mercato, mi sembra un'affermazione su cui ragionare. Sottolineo ciò, perché nelle audizioni avute con ENI ed ENEL, il punto che mi è parso più in ombra è esattamente questo. L'Italia non è un paese ricco di risorse proprie per la produzione energetica: non possiamo contare né sul carbone né sul nucleare (a proposito, spero che neanche una qualche follia ci porti a riaffrontare questo tema), mentre solo in minima parte possiamo fare affidamento sul petrolio. Di conseguenza, non abbiamo materie prime, ma abbiamo altre possibilità di produzione energetica: ad esempio, una seria politica sul risparmio e contenimento energetico, nonché la possibilità di produzioni alternative con le rinnovabili.
A me sembra che, a questi due versanti, del risparmio e delle alternative, nelle audizioni avute con ENI ed ENEL, sia


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stato riservato un capitolo del tutto esiguo, citato perché si deve citare e perché in questo periodo non si può fare altro. Ora, fare una robusta guerra sul mercato prevede di potersi rendere autonomi e ciò significa un piano di risparmio vero, ma bisogna attrezzarsi per farlo. Se noi lo proponessimo al resto dell'Europa, ci metteremmo nelle condizioni di rispettarlo, per poi tentare di seguire la Germania sulla produzione delle alternative.
Venendo al gas, a me risulta che esportiamo GPL (gas di petrolio liquefatto), perché in Italia non vi è un sostegno al suo utilizzo, anzi in questo periodo lo penalizziamo. Il GPL si produce dai processi di raffinazione petrolifera e, dato che esistono problemi di stoccaggio, lo si esporta per necessità, rischiando pertanto di non spuntare un prezzo competitivo. Per fortuna, esiste una domanda che mantiene il prezzo sufficientemente alto, ma il problema reale che mi stupisce è che, di fronte alla denuncia di carenza di fonti energetiche italiane e in particolare del problema del gas metano, proposto anche da lei in questa audizione, abbiamo poi una fonte, come quella del GPL, che è sottovalutata.
Incrociando le cose dette oggi da lei, signor ministro, e quelle precedentemente dette da ENI ed ENEL, quest'anno dovremmo essere, all'incirca, in sicurezza. Ci siamo messi nelle condizioni - si è visto dalle varie audizioni - per non entrare oggi in una condizione limite.
Il problema vero rimane quello della prospettiva. Se non ho sbagliato i conti, basandomi sui dati che lei ci forniva e che si possono dare per abbastanza scontati - anche se nulla è mai scontato definitivamente -, e cioè l'accordo Stream con la Russia, l'accordo con l'Algeria, l'accordo Turchia-Grecia-Italia per il nuovo gasdotto, nonché l'insieme delle iniziative che lei oggi ha illustrato e che ci ha a suo tempo dettagliato, anche con alcune slide (in modo particolare ENI), mi sembra che i volumi da lei prospettati come necessari in una visione strategica, si raggiungano senza dover forzare ulteriormente sui rigassificatori.
In ogni caso, dovendo affrontare il tema rigassificatori (per due dei quali mi sembra si sia arrivati a buon punto, come lei ci dice), abbiamo intuito da tempo che la necessità poggia su tre o quattro rigassificatori. Perché, allora, tenere l'insieme del Paese in tensione permanente su 14 rigassificatori? Si tratta di un interrogativo che credo dovrebbe trovare risposta, così da rendere più facile la scelta di una localizzazione effettiva per un minimo di impianti. Io penso a meno di 4, mentre lei dice 3-4, ma ciò è indifferente ai fini della discussione.
L'ultima questione che volevo porre non è direttamente collegata a quanto oggi abbiamo affrontato, ma riguarda l'interpellanza svolta ieri in questa Commissione ad opera dei colleghi D'Agrò, Fava e Vito su GME (gestore mercato elettrico). Dalla risposta fornita dal rappresentante del Governo ho capito che GME ha stipulato, da sola, un accordo con Borsa italiana che spinge, se pensiamo anche ai successivi passi, al rischio di una privatizzazione o di un calo di autonomia di GME sul mercato, pur trattandosi di un gestore che si è ben comportato, che porta introiti e soprattutto che garantisce un contenimento tariffario. Chiedo, in sintesi, perché non si cerchi invece di potenziare il completamento dell'operazione avviata con GME anche sui derivati, impedendo in questo modo al mercato di cannibalizzarla.
Un'ultima considerazione sulla divisione delle reti dal produttore. Io penso che ENI abbia avuto la forza che l'ha connotata sul mercato, in quanto è proprietaria, gestisce le reti e in Italia è riuscita a concludere accordi con un partner così difficile come la Russia. Se noi facessimo un'operazione di divisione delle due competenze, indeboliremmo anche ENI ed esporremmo il nostro Paese, come già è accaduto, ad un rischio sull'energia.

ANNA TERESA FORMISANO. In un clima del genere, con i dati poco fa illustrati dal ministro, ho una preoccupazione che voglio esternare: come mai, nel settore della ricerca energetica, la finanziaria prevede un sostenuto taglio di fondi


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all'ENEA? Credo che, in questo momento, a tutto si dovrebbe pensare tranne che a procedere in tal modo. O noi investiamo in questi campi, oppure pronunciamo solo grandi parole e slogan. La sostanza è che l'ENEA, che dovrebbe essere l'ente principe in questo settore, nella finanziaria subisce un taglio di fondi.
Pongo una questione rispetto ad un'interrogazione presentata dal collega Luigi D'Agrò - alla quale ieri il sottosegretario ha risposto - sugli strumenti finanziari derivati relativi all'energia elettrica. Il ministero ci dice che è opportuno tutelare il ruolo pubblico svolto dal gestore del mercato elettrico nell'ambito del costituendo mercato. Io chiedo di chiarire il significato del ruolo pubblico che il gestore del mercato dovrebbe continuare a svolgere nel costituendo mercato, perché può essere di tutto e di più. Vorrei sapere qual è l'intenzione reale del ministero nel definire il ruolo pubblico.
Il Governo ci dice - lo ha accennato prima la collega Provera - che c'è un accordo operativo tra la società gestore del mercato elettrico a Borsa italiana. Anche in questo caso, mi domando che cosa significhi un accordo operativo, giacché dietro questa parola possono esserci tante cose. Vorrei sapere se si tratti di una collaborazione più strutturata, o di qualcosa di più e se si voglia arrivare alla ridefinizione della compagine proprietaria. Credo che questo sia un altro punto nodale, rispetto al problema dell'energia.
Vorrei rivolgere al ministro un invito sulla questione iniziale. O decidiamo di investire realmente fondi su una ricerca seria, applicata a fonti energetiche, o saremo invasi anche in questo campo dalle ricerche che stanno facendo altri attorno a noi. Invito a rivedere quel taglio di fondi all'ENEA, perché rappresenta un segnale che non si coniuga con tutto quello che diciamo, o perlomeno che il Governo dice.

STEFANO ALLASIA. Prendendo spunto dal dibattito nato in questa Commissione, grazie ai colleghi D'Agrò, Provera e Formisano, sull'avvio di un mercato di strumenti finanziari derivati sull'energia elettrica, colgo l'occasione per fornire alcuni argomenti di riflessione a riguardo, a seguito dell'evoluzione del quadro normativo di riferimento che ha chiarito dubbi in ordine alla natura giuridica dei contratti derivati sull'energia elettrica.
L'avvio di un mercato a termine sull'energia elettrica si configurerebbe come un mercato finanziario, il quale rientrerebbe nella disciplina prevista dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria. In tale nuovo scenario, qualunque soggetto intendesse organizzare un mercato dovrebbe essere autorizzato dall'autorità di riferimento che, nella nuova formulazione del testo unico, è rappresentata dalla Consob e dall'Authority sull'energia. Al riguardo, è lecito supporre che l'Authority, in considerazione del ruolo che è chiamata a svolgere con riferimento al mercato a termine, abbia avuto contezza di una evoluzione normativa in tal senso, già durante la fase dei lavori preparatori. Pertanto, viene da domandarsi come mai la stessa non abbia informato i ministeri di riferimento e il Parlamento, riguardo a misure da adottare per evitare distorsioni sul mercato; come mai non si sia preoccupata di rispondere alla richiesta della Confindustria di esporre, unitariamente all'attuale mercato a pronti, anche un mercato a termine sull'energia elettrica, finanziario e fisico, e di aprire quindi una discussione.
Alla luce di quanto si è osservato nel denunciare l'inerzia dimostrata dall'Authority sulla questione di fronte alle istituzioni, si potrebbe ipotizzare la sussistenza di qualche debolezza del collegio, che attualmente non raggiunge il plenum e che qualche forma di ridefinizione ha portato a non porre problemi all'organico politico.
Ad ogni modo, viene da chiedersi se una mancanza di esperienza nel settore finanziario, da parte dell'Authority, chiamata comunque insieme alla Consob a definire le disposizioni di vigilanza sui mercati a termine dell'energia, sia stata adeguatamente valutata, a fronte delle esigenze contrastanti e agli elevati rischi che


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l'avvio di un mercato a termine di tipo finanziario potrebbe potenzialmente procurare.
Questi sono i problemi che poniamo al ministro con grande forza, per evitare di trovarci nuovamente a discutere sul perché il tema non sia stato trattato con la giusta attenzione.

RUGGERO RUGGERI. Sono contento che oggi sia qui il Ministro Bersani, che si è presentato in una maniera corretta, leale, senza nascondere i problemi che stiamo attraversando. Sono convinto che la nostra Commissione possa dare un contributo, come ha sempre fatto in momenti simili a quello attuale, che poi la storia andrà a studiare, capire e migliorare. La questione di fondo riguarda il processo di liberalizzazione che ha investito il mondo intero, compreso il nostro Paese. Se riflettiamo con un po' più di serenità, possiamo analizzare l'inizio e lo sviluppo di questo processo nel rispetto della tradizione italiana per quanto riguarda l'energia, la storia dell'ENI.
Esiste un filo di giusta continuità fra il primo Ministero Bersani, il Ministero Marzano e l'attuale Ministero Bersani. L'energia - l'abbiamo detto tutti - è un tema che riguarda più generazioni, Governi, investimenti strutturali. Mi sembra che ciò sia indicativo anche della nostra responsabilità.
Ripercorriamo le difficoltà che abbiamo incontrato. Basta guardare i tentativi, in parte riusciti e in parte no, di dare una spinta al nostro Paese, per avere un po' più di presenza e ruolo sul mercato, per scrollarsi di dosso uno statalismo che oggi non ha più senso. Abbiamo trovato grandi resistenze trasversali, non da una parte politica o dall'altra, e neppure riguardanti singole professioni o singoli settori del nostro Paese.
Per quanto riguarda l'energia, anche con i Ministri Marzano e Urso abbiamo trovato ostacoli nel continuare la liberalizzazione: basta guardare, ad esempio, i provvedimenti riguardanti la distribuzione e i nostri comuni.
Il problema, in questo caso, riguarda il tema della libertà del mercato, che può definirsi libero quando tutti possono partecipare: e qui affiora ancora il tema della rete. Quando noi vogliamo affrontare questo problema, incontriamo ancora una questione trasversale che riguarda l'ENI e il tema della separazione. In tutto il mondo c'è la separazione ed ENI può diventare più debole o più forte. Ma qui c'è di mezzo l'interesse superiore del Paese, non quello di una pur grandissima azienda. Signor ministro, quando vediamo che l'ENI sta facendo utili che non ha mai realizzato nella sua storia, mentre le nostre imprese pagano il più alto costo energetico in Europa, è legittimo domandarsi se stiamo operando bene per l'interesse del Paese, oppure no.
Questo è un problema di libertà, libertà di accesso al mercato e libertà di comperare. Ha fatto bene il Governo, attraverso la pragmaticità del Ministro Bersani, ad andare al cuore delle cose, dando un enorme impulso alla diversificazione dell'approvvigionamento. Quasi tutti i provvedimenti sono passati dalla nostra Commissione e ci siamo resi ben conto di ciò. L'idea di rendere l'Italia una piattaforma del Mediterraneo, con tutto quello che ciò implica, relativamente a prodotti e quant'altro, fa allora capire anche alla nostra Commissione che l'energia non è solo un prodotto e che ad essa sono legati la politica estera e i grandi conflitti nella storia (ricordiamo le problematiche che stiamo vivendo in questi giorni, ancora, con l'Iran e l'Iraq).
Dovremmo anche noi avere la forza per aiutare il Governo ad affrontare, quantomeno, un paio di questioni, la prima delle quali riguarda il ruolo del sistema energetico e mi riferisco al tema della separazione della rete. Deve essere fatto un vero tentativo di dare più libertà a questo mercato; tra l'altro, il tema della separazione della rete dovrebbe essere affrontato per primo, in questa sede.
La seconda questione riguarda il problema delle autorizzazioni. Sebbene sussista la trasversalità, noi dovremmo avere la capacità di aiutare il Governo anche su


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quest'ultimo punto; ciò, premettendo la sicurezza, la diversificazione, la ricerca nel campo nucleare, le fonti rinnovabili, insomma tutto quello che possiamo rivedere nel progetto Industria 2015. In conclusione, dobbiamo fare un intervento di carattere legislativo di supporto alla ricerca della strada per riaprire il Paese al futuro.
Il Governo precedente ha tirato fuori la formula della legge obiettivo, una forma di rispetto, di democrazia, di coinvolgimento. Adesso siamo noi a dover operare, poiché stiamo governando in questo momento il Paese.

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, lascio nuovamente la parola al Ministro per la replica.

PIER LUIGI BERSANI, Ministro dello sviluppo economico. Ringrazio molto per le varie osservazioni, che mi forniscono l'opportunità di fare qualche precisazione.
Parlo in primo luogo della questione del mix energetico. È più facile che l'Europa assomigli, via via, di più all'Italia di oggi che non il contrario. Se noi siamo quelli che vanno a gas, saremo quelli che andranno a gas in misura prevalente nel futuro e anche l'Europa, in modo prevalente, andrà a gas. Questo è un punto che deve farci riflettere sull'aspetto che affrontavo nell'introduzione, cioè dentro quale dottrina, strategia geopolitica o modellistica contrattuale noi mettiamo questo problema. Ciò vuol dire avere necessariamente una politica mediterranea, una politica nei confronti della Russia, una politica per l'utilizzazione di risorse proprie e una politica per la flessibilità di approvvigionamento cioè il rigassificatore, che è comunque necessario, in quanto è l'unico oggetto che consente di non essere legati a un tubo e di muoversi nel mondo, in termini di approvvigionamento.
Detto questo, abbiamo sicuramente un mix squilibrato poiché, per quanto l'Europa possa andare sempre di più a gas, essa potrà comunque godere di un mix mediamente più equilibrato.
Abbiamo una linea di azione che deve metterci in sicurezza per quanto riguarda il gas e correggere la quota di carbone, senza chiedere per quest'ultimo un riequilibrio del mix (sarebbe irrealistico) e comunque sapendo che la percentuale odierna, se aumentano i consumi, deve mantenersi e che occorrono investimenti anche nel carbone. Non è realistico pensare che, mantenendo il 15 per cento al carbone e aumentando i consumi non si debba costruire più alcuna centrale a carbone.
La linea, secondo me, è correggere - e non indebolire - il mix di carbone, usando le migliori tecnologie e, quindi, investire nel carbone per tenerci al corrente sulle nuove acquisizioni tecnologiche in questo campo, unendo il tema anche a progetti di ricerca, ai quali stiamo partecipando, sul tema del carbone pulito, dell'imprigionamento della CO2 e così via.
Esistono tecnologie sempre più pertinenti, ben fatte e noi dobbiamo stare all'interno di questo processo. Se non vogliamo fare con il carbone quello che abbiamo fatto con il nucleare, cioè cancellarlo, allora bisogna investire per mantenere la quota di carbone. Non possiamo fermare questa macchina. Si dovrà agire in modo limitato e governato, con le garanzie di salute e senza pensare di raggiungere la Germania, che viene sempre citata come metro di paragone per il grande sviluppo di energia eolica, rinnovabile e altro, mentre tutti dimenticano di dire che il 40 per cento della produzione elettrica proviene dal carbone.
Non sto dicendo di fare come la Germania, però devo dire che nessuno, in giro, dice che fa venire il tumore, mentre si sentono dire cose assurde: questo è un altro punto da sollevare. Esistono elementi di irrazionalità dilagante, rispetto ai quali dobbiamo fare argine tutti. Siamo in condizioni di avere la miglior tecnologia che ci sia al mondo e i migliori controlli sanitari ambientali. Non è vero che in Italia siamo messi male dal punto di vista delle agenzie di controllo: chi dice queste cose, racconta delle eresie. Non si può delegittimare il sistema sanitario italiano in questo campo; non si possono delegittimare le ARPA (Agenzia regionale prevenzione


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e ambiente); non si può consentire che il primo che si alza al mattino delegittimi una procedura complicatissima.
Io ho avuto un contrasto (a danno della mia immagine, però qualcuno deve rischiare di perdere la faccia, in questo Paese) con l'Ordine dei medici, che non è titolato ad intervenire in una procedura in cui sono coinvolti i medici, le ASL e le ARPA. Cerchiamo di ristabilire una razionalità, altrimenti non so come si possa risolvere questo problema.
C'è da essere preoccupati, perché quando dico «al pelo», intendo dire al netto di imprevisti, nel senso che tutto quello che abbiamo detto fin qui vale al netto dell'eventualità che si rompa un tubo. Cerchiamo quindi di affrontare le cose per quelle che sono.
I rigassificatori sono impianti industriali: il Giappone ne ha 24, la Spagna 5 e non si è mai verificato un incidente. Non può succedere, perché si tratta di impianti industriali. Tra l'altro, non è possibile fare il gosplan dei rigassificatori, proprio perché le norme europee li considerano impianti industriali e così, come non posso dire quante officine di produzione di macchine automatiche si avviano in Italia, né dove, così non posso dire quanti rigassificatori si installano, o dove. Posso solo indicare il fabbisogno minimo per il Paese. Gli operatori di mercato lo sanno e sanno fare bene i conti! Dovrebbero investire mille miliardi, sapendo che non c'è più il fabbisogno? Quando vi saranno tre o quattro rigassificatori - è un facile pronostico - il quinto non si farà, non perché io lo impedirò, ma perché il Governo non investirà più mille miliardi in un mercato che ormai è diventato poco interessante.
Noi siamo in un territorio delicato, molto conteso perché è scarso e pieno di bellezze naturali. Tutto questo lo capisco, ma almeno razionalizziamo. Abbiamo valutazioni d'impatto ambientale rigorosissime, e allora parliamone, però senza affermare che, a causa del rigassificatore di Pisa, rischia di crollare la torre di Pisa. Non lasciamo circolare voci di questo genere!
Diversificare significa anche usare le fonti rinnovabili e fare efficienza energetica. Questi sono i nostri due principali capitoli. Anche sulle fonti rinnovabili ci sono problemi ovunque in Italia. Personalmente, sono favorevole alle fonti rinnovabili, ma mi piace anche il mercato pulito e metto la Commissione di fronte al seguente pronostico: o noi riusciremo, rispetto agli obiettivi, a determinare meccanismi autorizzativi che consentano fisicamente di andare avanti, o altrimenti saremmo sospinti verso meccanismi di incentivazione, che determineranno un mercato sporco, dove si pagheranno i pezzi di carta e se si utilizzerà lo strumento di mercato dei certificati verdi, i prezzi schizzeranno alle stelle perché non ci sarà produzione.
Quando un mercato è incentivato, o si sta al passo con la struttura di produzione, disponendo degli strumenti di certificazione che danno un segnale al mercato, oppure si forma una strozzatura. Allora, è meglio lasciar perdere perché, oltre a non avere le fonti rinnovabili, vi è il rischio che si creino delle «mezze mafie» e io, a questo punto, non sono più d'accordo.
Occorre affrontare questi problemi: dobbiamo produrre energia da fonti rinnovabili e dobbiamo ricercare l'efficienza energetica. Su questo punto ho parlato con le regioni molto seriamente e chiaramente, per evitare malintesi.
A chi mi propone il nucleare rispondo molto semplicemente che, se non siamo capaci di fare le cose facili, non è bene metterci a fare le cose difficili. Sono anni che non abbiamo risolto, unico caso in Europa, la questione di un deposito transitorio di superficie per i rifiuti ordinari della sanità a basso contributo radioattivo. Non abbiamo un deposito nazionale per questi rifiuti, non abbiamo un posto dove mettere le scorie del vecchio nucleare. Ci siamo andati a inventare il sito geologico con un danno - lasciatemelo dire - di psicosi, perché la gente non sa niente di siti geologici o di siti di superficie. Siamo andati un giorno a proporre qualcosa che non ha nessun Paese al mondo (giustamente, noi facciamo qualcosa che non fa


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nessuno). Gli Stati Uniti, spendendo 10.000 miliardi, hanno iniziato a fare un buco simile e non hanno ancora finito. Dobbiamo, semmai, parlare di un deposito di superficie, che è una cosa normalissima che hanno tutti (in effetti abbiamo iniziato un percorso di questo tipo assieme alle regioni).
A chi mi dice di tornare al nucleare, dico di risolvere prima questo piccolo problema. Non è possibile pensare ad un piano nucleare senza prima risolvere il problema del deposito di superficie. Non abbiamo «il fisico» per fare un piano nucleare, come dicono anche quelli che il nucleare lo fanno. In un convegno a Bergamo, un rappresentante dell'EDF (Electricité de France) ha detto: «Noi siamo molto interessati al nucleare, ma il nucleare non è un impianto, è un sistema». Bisogna avere know-how, tecnologia, cultura, insomma una logica. Ci stiamo esercitando a ricostruire un minimo di know-how attraverso la SOGIN (Società gestione impianti nucleari), l'ENEA e quant'altro e rientriamo nel giro internazionale della ricerca nucleare di quarta generazione, cioè quello che risolve il problema delle scorie. Posso anticipare che la settimana prossima, con il ministro americano, concretizzeremo qualcosa di preciso a questo proposito. Lo stiamo facendo e faremo investimenti su questo tema.
Nel frattempo, dobbiamo dimostrare che di questo deposito di superficie facciamo un luogo di tecnologia e di alta formazione. Cerchiamo di ricostruire anche una nostra capacità, dei nostri strumenti per rientrare nella ricerca nucleare di nuova generazione. Tutti dicono che con il nucleare di vecchia generazione, i conti tornano. Io non l'ho potuto sperimentare: lo verificherò quando mi faranno vedere quanto hanno accantonato le grandi compagnie che producono nucleare in Europa, fanno energia a basso costo e guadagnano bene, per esempio per il trattamento delle scorie. Chi costruisce una centrale termoelettrica o a gas, nei suoi conti include anche il costo di smantellamento, di smaltimento dei rifiuti e tutto il resto. Adesso siamo in un mercato liberalizzato e i conti vanno fatti così. Non si possono certo addebitare a «Pantalone» oppure scaricare sulla bolletta. Questi problemi devono essere risolti.
Noto un grande interesse sul tema della Borsa e dei derivati. Con le norme comunitarie la cosa è molto semplice: ogni soggetto, titolato ad essere un soggetto finanziario, può trattare. Trovo buona l'idea che si parlino e trovino un accordo i due soggetti, uno che ha conoscenza del mercato fisico, materiale, e che quindi ha i piedi dentro la struttura del mercato elettrico attuale; l'altro che ha il know-how di tipo finanziario.
Questi strumenti hanno un pregio - io li guardo dal punto di vista della sostanza, non da quello finanziario - e, al tempo stesso, possono avere un difetto dal punto di vista strutturale
Il pregio è che consentono, al di là del mercato spot, di affrontare meglio gli equilibri di mercato. Si prenda il caso, per esempio, dei famosi «energivori». Con strumenti del tipo dei derivati, gente che è in condizioni di avere una certezza di consumo nel lungo periodo, probabilmente, con l'intermediazione di strumenti finanziari, può anche risolvere per via di mercato problemi che adesso si pongono in termini, sostanzialmente, di sovvenzione.
La controindicazione è che effetti speculativi si scarichino sul mercato spot e sono d'accordo che ciò rappresenti, evidentemente, un rischio.
Credo che questi due soggetti, con la presenza dell'autorità, dovrebbero tutelare quel tanto di interesse pubblico, di clienti collettivi eccetera, permettendo al contempo di utilizzare al meglio gli strumenti di mercato a disposizione.
Presso il Ministero dell'economia e delle finanze sono in corso alcune discussioni anche su questo profilo. Io vedo tutto ciò come una possibilità non semplice da attuare, nell'ambito della quale bisogna trovare un punto di equilibrio che ci consenta di utilizzare lo strumento di


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mercato con giudizio e grandissima attenzione, per non turbare gli equilibri sostanziali del sistema elettrico.
Mi viene a mente che uno dei disaccantonamenti riguarda ENEA. Si tratta di 24 milioni di euro, che vengono restituiti a ENEA. Noi vogliamo stare all'interno di tutti i percorsi della ricerca: siamo presenti nel carbone e nel rinnovabile, mentre per il nucleare ci stiamo attivando, in quanto lo scenario cambia rapidamente e, in questi campi, il 2030 non è lontanissimo.
Spero, infine, si sia notato che stiamo disperatamente cercando di accelerare accordi internazionali di ogni genere. Credo che ciò rappresenti una risorsa strategica del nostro Paese. Dobbiamo avere l'ambizione di svolgere un ruolo di collegamento fra il Mediterraneo e gli altri Paesi, in modo da raggiungere, sotto il profilo delle relazioni strategiche, una posizione che possa anche interpretare al meglio un certo ruolo dell'Europa.
A tale proposito possiamo effettivamente fare qualcosa di concreto, come si è visto anche nei recenti accordi. Spero che questo sforzo si noti e abbia l'incoraggiamento di tutte le forze parlamentari.

PRESIDENTE. Ringraziamo il ministro.
Dichiaro conclusa la seduta.

La seduta termina alle 10,50.